Il cammino della Grazia lungo i secoli

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Diocesi di Piacenza-Bobbio
Ufficio Stampa: Servizio Documentazione
Casa Madre dei Missionari Scalabriniani
“Operai e Operaie della Grazia
1944 – 2004”
28 Maggio 2004
“Il cammino della Grazia lungo i secoli”
Programma
Ricordando l’inizio, da quando il Signore ci ha “costituito” dandoci consapevolezza” del
suo “dono”, desideriamo fraternamente condividere la nostra gioia e gratitudine anche
con alcuni momenti di riflessione e di festa.
* Venerdì 28 maggio ore 20,45, presso la Casa Madre dei Missionari Scalabriniani, via
Torta 14 (PC). Don Gianni Colzani, docente presso la Pontificia Università Urbaniana,
Roma. Il cammino della Grazia lungo i secoli: “Il mistero nascosto da secoli e da
generazioni, ma ora manifestato ai suoi santi” (Col 1,26).
* Domenica 6 giugno, ore 16, con festa al Centro di vita La vite e i tralci, Albareto di Ziano
P.no. Mons. Luciano Monari Vescovo di Piacenza – Bobbio. La Grazia nel Vangelo di
Giovanni. “Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza”(Gv 10,10)
ore 18 Santa Messa - ore 19, Cena insieme.
* Venerdì 11 giugno, ore 20,45, presso la Casa Madre dei Missionari Scalabriniani, via
Torta 14 (PC). Mons. Giuseppe Busani Direttore ULN e Vicario Episcopale per la
Pastorale della Diocesi di Piacenza-Bobbio - Il Battesimo: nascita del cristiano. “Quanti
siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo” (Gal 3,27).
Dizionari: Libreria Editrice Vaticana.
Don Gianni Colzani
“Il mistero nascosto da secoli e da generazioni,
ma ora manifestato ai suoi santi” (Col 1, 26).
Premessa Introduttiva,
è bello trovarci insieme parlare delle cose di Dio
Vorrei innanzitutto ringraziare Mirella Bucciotti per le parole gentili che ha detto, ma più che altro
ringraziare voi. A me piace trovarci insieme perché è bello (magari perdendo un po’ di tempo nel
quale si poteva fare altro) parlare delle cose di Dio; non è che sia così frequente, e trovare persone
disponibili a farlo è una cosa sempre bella (verrei anche da Reggio Calabria e non solo da Roma,
non c’è nessun dubbio su di questo).
Il tema che mi è stato affidato riguarda un poco la “storia della grazia”. Comincerei con il dire che,
di tutte le parole di cui ci serviamo per presentare la vita cristiana, questa non è la più consueta.
Oggi quando parliamo ai cristiani diciamo di “carità” e di “impegno” e di “regno di Dio”, mentre di
“grazia” parliamo poco, perché il termine ci sembra un poco avvolto da spiritualismo.
Andiamoci a chiederci semplicemente: il problema, la questione che la grazia vuole affrontare, qual
è?
Credo che la questione che la grazia vuole affrontare è il problema della persona umana, non tanto
la natura umana, l’uomo razionale; ma in che modo le persone maturano una esperienza piena e
grande della loro vita? In che modo un uomo diventa tale? Quali esperienze deve fare?
1
1. La “Grazia”, è “Vangelo”, è “Bella notizia”
La nostra tradizione occidentale ama sottolineare l’importanza della ragione, la razionalità; il nostro
mondo ama sottolineare il successo, la carriera, il denaro; ognuno ha un po’ la sua ricetta sulle cose
importanti per affrontare la vita e per avere una vita piena e riuscita.
Noi sosteniamo che la “bella notizia” è che le persone non sono impegnate nella fatica di realizzarsi
contro tutti e contro tutto. Nessuno è obbligato a “tirare fuori le unghie” perché altrimenti la sua vita
finisce in un cantuccio. Il Vangelo, la “bella notizia”, è che il Signore ha preso in mano la nostra
vita, la sostiene, l’ama. Questo è il punto fondamentale che noi chiamiamo: “Grazia”, “Vangelo”,
“Buona notizia”, sorpresa.
Siamo liberati dalla fatica di dimostrare quello che valiamo, perché agli occhi di Dio noi siamo il
tesoro più grande. Egli per noi ha dato il Figlio, e se «[32]Egli che non ha risparmiato il proprio
Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con lui?» (Rm 8, 32).
Ecco, che noi dobbiamo dire che la grazia è alla fin fine un termine che indica fondamentalmente
Dio stesso nel suo chinarsi con misericordia e con bontà e con pazienza sulla nostra vita,
intrecciando a tal punto la Sua vita con i nostri destini che non è più possibile dividere Dio
dall’uomo. L’uomo è immagine di Dio (cfr. Gen 1, 26), e Dio è Padre di questa umanità.
Credo che quando parliamo della grazia, non parliamo di qualche anima bella che ha delle splendide
intuizioni e fa delle cose soprannaturali. Noi parliamo delle mamme, dei papà, dei giovani, dei sani,
dei malati… e diciamo: che cosa vuoi fare della tua vita? Puoi aprire gli occhi e renderti conto di
quello che Dio ha cominciato a fare di te e con te. Noi chiamiamo questo aprire gli occhi,
“accogliere”, “contemplazione”. Non è la parola che indica i puri mistici grandi ed eccezionali, ma
indica chiunquel’operaio e il professionista, quando aprono gli occhi e guardano stupiti e
meravigliati l’amore che Dio ha per ciascuno di noi.
Ecco, credo che noi dobbiamo partire da questa semplice convinzione; gli esegeti dicono: “La
grazia ha un chiaro carattere personale, è Dio stesso nel suo favore, nel suo innamorarsi, nel suo
chinarsi sulla umanità; non è qualche cosa che Dio distacchi da sé e la dà come noi possiamo dare
un pacchetto qualsiasi, ma è Lui stesso nel suo profondo amore per ciascuno di noi.
Allora noi possiamo dire che se c’è un intreccio così profondo tra l’amore di
Dio e la vita dell’uomo – se l’uomo, la persona umana, è veramente la
passione di Dio –, allora non è possibile introdurci nella comprensione
dell’amore del Signore se non partendo dalle esperienze della vita. Ce ne
sono tre esperienze che ci interessa, che in qualche modo ci permettono di
ripercorrere tutto il cammino storico. La nostra epoca è diversa da quella
passata, ma le epoche passate magari non coglievano e non parlavano di
quello che cogliamo e di cui parliamo noi, ma è lo stesso modo che toccano
qualche cosa di perenne.
-IL’esperienza della vita umana nei primi secoli cristiani
è bisognosa della comunione con Dio
Ora, i primi tre/quattro secoli cristiani avevano un’esperienza della vita umana considerata
nella sua debolezza, fragilità, che noi oggi diremmo “creaturalità”. Quando deve parlare della
persona umana il Salmista dice che “l’uomo è come un filo d’erba” (cfr. Sal 103, 15), come un filo
di fumo leggero, basta un colpo di vento e lo scombina: oggi c’è domani non c’è più, ed è proprio
questo senso di precarietà, di fragilità e di vulnerabilità.
Dio è un’altra cosa, Dio è roccia, Dio è la montagna, Dio non è colui che oggi c’è e domani cambia
parere, Dio è stabilità.
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1. I primi secoli dei grandi teologi greci colgono la differenza radicale tra l’uomo
e Dio: il bisogno della umanità di essere come Dio, di entrare nella comunione di
vita con Dio
Nei primi secoli, il primo modo è questa opposizione – il contrasto tra: - la precarietà e la fragilità
umana, - e la stabilità rocciosa di Dio – con cui le persone umane parlano della grazia. I “primi
secoli sono Ireneo, Giustino, Atanasio. I primi secoli sono quelli dei grandi teologi greci, sono i
secoli in cui colgono la differenza radicale tra l’uomo e Dio.
Davanti a Dio tu scopri di essere polvere e cenere, davanti a Dio ti devi coprire la faccia perché non
si può vedere Dio e poi continuare a vivere. Dio è in qualche modo Dio e non un uomo. Ed è
proprio questa differenza radicale che rappresenta la nostra regia dei primi secoli. Essere come Dio,
entrare in comunione con Lui, vuole dire: abbandonare questa vita che corre verso la morte;
condividere con Dio un atteggiamento differente, una condizione di vita in cui né pianto né lacrima
sarà più, ma luogo sacro nella gioia e nella comunione piena con Dio.
Ecco, noi abbiamo questa sensibilità: gli uomini si guardano e si colgono temporali, mortali,
precari, vulnerabili… basta poco, e poi noi diciamo: “ha avuto un ictus”. Allora dicevano:
“quarant’anni, sessanta per i più robusti”. Oggi attacchiamo vent’anni ancora, ottant’anni per i più
robusti, novanta per qualcuno… Ma la vita umana, dicono i nostri filosofi, è: “Questo essere per la
morte”. All’uomo non capita di morire come può capitare un incidente: passa per il marciapiede ti
cade una tegola sulla testa e muore. No, l’uomo muore perché da dentro egli è mortale, perché la
morte lo abita da sempre, perché dal momento in cui uno è nato è abbastanza vecchio per poter
morire.
Allora noi abbiamo questa opposizione, questo bisogno della umanità di essere come Dio, di
entrare nella comunione di vita con Dio. Questo avviene non perché l’uomo scala la montagna di
Dio, ma perché l’uomo viene raggiunto dall’amore di Dio. Dio non è il punto di una conquista
dell’uomo, ma l’uomo è al contrario il termine dell’amore di Dio, quindi dobbiamo entrare in questa
logica.
Ma ahimè al tempo di Gesù dicevano: una persona umana è il frutto delle sue opere. E nel
linguaggio di oggi noi diremmo: che avevano già il concetto della autorealizzazione, una persona è
il frutto delle sue opere, di quello che fa. Noi diremmo che anche i capitalisti sono abbastanza
farisei: una persona è il frutto del denaro che guadagna; vale mille lire, vale cento mila lire, ma oggi
non si parla più di lire, siamo nella società dell’euro. Ma noi riduciamo facilmente le persone a
quello che loro hanno fatto.
Il Vangelo dice: una persona non è la somma di ciò che lei ha fatto, ma è abitata dall’amore di Dio,
da sempre, da sempre! E ogni persona viene da lontano, viene dall’amore di quel Dio che ci ha
amato prima ancora della creazione del mondo, che si è chinato con misericordia e con bontà e con
misericordia su ciascuno di noi.
2. La prima maniera di parlare della grazia è la comunione dell’eternità con il
tempo
Allora possiamo crederci? È mai possibile la comunione di Dio con la sua creatura: dell’eterno con
il mortale, del santo con il peccatore? È mai possibile la comunione di grazia?
Oppure noi diciamo: Dio è presente, è presente nel Cielo, nella natura, nell’uomo e nella vita, ma la
grazia è una presenza tutta particolare? Ed è proprio questo sforzo di descrivere la presenza di Dio
in ciascuno di noi, dove per cui è l’infinitamente grande, l’illimitato, e come dice Tommaso: “È il
mio Signore, il mio Dio. Se non fosse scritto nella Bibbia, e uno direbbe, “il mio Signore”, sarebbe
una forma di eresia solenne. Ma è scritto nelle Scritture: «il mio Dio» (Gen 28, 21).
Ed ecco che la prima maniera è la comunione, la prima maniera di parlare della grazia è la
comunione dell’eternità con il tempo. Gesù è la sintesi della vita umana con Dio, il dono dello
Spirito, ed è questa comunione profonda e radicale.
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Quando i teologi non riescono a dire fino in fondo una verità, ricorrono ad una immagine, e molte
volte i Padri facevano così. Essi parlavano del ferro e del fuoco e dicevano: “Prendete un ferro e
mettetelo sul fuoco, lasciatelo sul fuoco fino al punto che il ferro diventa rosso incandescente – è
ferro, ma è fuoco – tanto che se lo avvicina ad un materasso o ad un vestito lo brucerebbe – è ferro
ma è fuoco”.
3. L’esperienza di Dio è trasformante, ma è sempre un’esperienza che deve
rispettarne il mistero.
Così nella comunione con Dio l’uomo rimane “ferro” ma è ricolmato da questo “fuoco” divino, che
è l’immagine del “roveto ardente” (cfr. Es 3, 1-6), della presenza del fuoco dell’amore di Dio che
brucia senza consumare, diventa l’immagine della persona in grazia. La presenza di Dio non ti
distrugge, non ti annienta, ma certo ti trasforma.
Ed essi usavano l’immagine ancora dell’aria e della luce. L’aria c’è anche adesso che è sera, ma se
non accendiamo le luci elettriche noi saremmo nel buio, ma quando al mattino si alza il sole e la
luce penetra l’aria, l’aria stessa diventa luminosa, trasparente, essa stessa illumina.
Così l’anima è come l’aria attraversata dai raggi della luce divina, e così la persona diventa
luminosa, capace di acquisire le caratteristiche, dei modi di essere e di agire, e in qualche modo
l’amore di Dio opera in noi.
Appunto, essi dicevano: “Come il ferro è trasformato dal fuoco, come l’aria è trasformata dalla luce,
così la persona è trasformata profondamente dall’amore del Signore, dal suo Spirito”. Così prende
una persona e la cambia, prende 12 pastori e li trasforma in Apostoli, prende ciascuno di noi e ci
trasforma in figli di Dio, amici di Dio, figli di Dio.
In qualche modo noi dobbiamo dire che questa presenza di Dio è una presenza singolare. San
Bonaventura la riassumeva così. “Parlando nel linguaggio comune noi diciamo: “Io sono in grazia”;
ma qualche volta diciamo: “Io possiedo, io ho la grazia”. Allora Bonaventura scriveva: “Avere est
averi”, “Avere la grazia è non possedere Dio ma essere posseduti da Lui, essere avuti da Lui”.
Ed ecco che in qualche modo noi dobbiamo dire, che certo la presenza di Dio in noi ci trasforma,
ma è una presenza sorprendente, in cui noi non possediamo mai Dio come potremmo possedere una
cosa che diventa nostra.
Penso a Gregorio di Nissa 1, che ha uno splendido lavoro in “De vita morti”, in cui ispirandosi al
Libro dell’Esodo traccia il cammino dell’anima in grazia, della persona in grazia, sulla immagine di
Mosè che volta le spalle all’accampamento, dove vi è musica e festa, e sale solo sulla montagna
scoscesa verso Dio. Come incontra Dio? Il Libro dell’Esodo dice: “Egli entra nella nube, nella nube
che occupava la cima della montagna” (cfr. Es 24, 15). Ecco, che la presenza di Dio in noi ha
sempre il sapore del mistero, della “nube”.
Un grande sconosciuto (abbiamo delle ipotesi) mistico inglese del 1400 ha intitolato un celebre
lavoro di mistica così, “de cloud”, “la nube”, “La nube della non conoscenza”. Dove più nulla si
riduce al conoscere e al sapere, ma tutto diventa l’esperienza singolare dello scambio di amore, “del
mio e il tu”, che pur rimanendo “un io e un tu”, diventano un unico mistico “noi”.
Ecco, che noi possiamo dire: l’esperienza di Dio è trasformante, ma è sempre un’esperienza che
deve rispettarne il mistero.
Utilizzando un canto del Libro del Cantico dei Cantici, Gregorio di Nissa, dice: “È come quando
una innamorata riesce a far passare il polpastrello del dito attraverso una fessura del muro della
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Gregorio di Nissa. Nacque intorno al 335 nella famiglia di Basilio. Dopo essere stato per qualche tempo professore di
retorica, scelse la vita monastica, ritirandosi in un monastero del Ponto. Nel 371 venne consacrato vescovo di Nissa.
Fallì nel suo incarico, se si dà credito a Basilio, a causa della sua poca fermezza nei rapporti con gli ariani e della sua
scarsa abilità in politica. Come se ciò non bastasse, la sua imperizia amministrativa venne complicata dall’accusa di
peculato lanciatagli contro dagli eretici. Nel 376 venne destituito durante la sua assenza. Tornò nella diocesi due anni
dopo e nel 379 prese parte al sinodo di Antiochia. Nel 380 fu eletto vescovo di Sebaste, compito che svolse solo per
qualche mese. Nel 381 partecipò al concilio di Costantinopoli. Morì nel 385.
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porta, e sente che il suo amato è lì, lo sente, ne sente la voce, non può dire di vederlo, di
abbracciarlo, non può dire che è una cosa sola con lui, e tuttavia è lì, è una cosa sola”.
Questo è il mistero che i Padri greci hanno provato a illuminare: la fragilità e l’eternità, la
debolezza… e allora la vita umana ha certo a che fare con il cibo, con il lavoro… ma ha a che fare
con Dio. La nostra vita ha a che fare con la salute, con la malattia, con il lavoro e con la mente… ha
a che fare con tutte queste cose, ma la nostra vita ha a che fare soprattutto con Dio. E la prima
maniera di parlare di Dio è questa: Dio è colui che ci introduce in una comunione di vita, che ci
trasforma, che è vera esperienza autentica…
Ma lasciamo parlare il Salmo 23, che ha una battuta in cui dice così, in cui si comprende il valore
della presenza di Dio: «[4]Se anche camminassi per una valle di morte, non temerei alcun male,
perché tu sei con me». È questa certezza che Dio è «il mio bastone e il mio vincastro», «la mia
sicurezza». (Sal 23); «la mia roccia», «il mio scudo, il mio baluardo» (Sal 18, 3),
Questo è ciò che il mondo dei primi secoli cristiani ha abbondantemente
espresso e presentato. Il primo punto di partenza è stato questo: la caducità,
la precarietà, la povertà, la mortalità umana.
Gregorio di Nissa dirà: “Dio con la sua potenza di risurrezione e di vita si
unisce al cadavere umano e lo trasforma, lo rende vivente per sempre”.
-IIL’esperienza della persona umana, precaria, vulnerabile e debole,
è con Agostino bisognosa dell’aiuto di Dio
Il secondo modo, con cui nella storia della tradizione del pensiero cristiano si è imparato a parlare
della grazia, questa dimensione di trasformazione e di vicinanza, presenta un mistero che è in noi e
che è infinitamente diverso, altro da noi.
La seconda maniera ha preso le mosse soprattutto con Agostino, ma non solo, ha preso le mosse
dall’esperienza della debolezza e del peccato. La violenza, l’ingiustizia, la falsità, la menzogna,
abitano nel cuore della persona umana, e questo è appunto l’esperienza del peccato, e in qualche
modo messa di fronte non solo all’uomo creatura, debole, precario, ma messo di fronte all’uomo
peccatore.
1. La grazia è l’azione di Dio salvatore, è aiuto e riconciliazione e redenzione per
un uomo debole e peccatore.
La grazia è l’azione di Dio salvatore, è aiuto per un uomo debole e peccatore, ed è
riconciliazione e redenzione per un uomo peccatore.
Vale la pena di fermare un momento la nostra attenzione anche su questo secondo modo, seconda
maniera di linguaggio di parlare della grazia, vale la pena perché credo abbia il suo valore, il suo
significato.
Innanzitutto dobbiamo dire che l’esperienza del peccato è profondamente diffusa nell’uomo creato
da Dio. Adamo è peccatore. È peccatore la prima generazione dell’Esodo, quella che è passata per il
“mare dei giunchi”, quella che ha “mangiato la manna”. Quindi la generazione che ha visto i doni di
Dio è peccatrice.
Noi siamo peccatori, tutti gli uomini sono peccatori. Le Scritture lo dicono in tante maniere, in tanti
modi, e narrano la storia di uomini che riteniamo santi, eppure sono peccatori: Dante, “il santo re”;
Pietro, “il portavoce dei Dodici”. E ogni volta che deve parlare di Giuda, il Vangelo aggiunge: “uno
dei Dodici”, “uno degli eletti”, a monito perenne di coloro che sono stati eletti da Dio.
Agostino ha tentato una spiegazione psicologica e dice: “La persona umana cerca la felicità, e non
potendo trovarla dentro di sé, la cerca fuori di sé, nelle cose e nelle persone”.
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E il Libro della Sapienza, dice: «[6] Forse essi s’ingannano (…) perché le cose vedute sono tanto
belle» (Sap 13, 6.7); è possibile innamorarsi di esse, innamorarsi delle persone. Ma noi dobbiamo
dire che l’unico punto in cui mettere la nostra felicità, l’unica gioia, è Dio!
Ecco, che questo tema del peccato va sottolineato. Lo so che non è facile parlare del peccato, si
preferisce un linguaggio diverso: stiamo a parlare di errore, di esperienza, di sbaglio… Il peccato è
una cosa più seria, non si pecca per sbaglio, si pecca perché lo vuoi! Non si pecca per errore, ma
perché vuoi proprio quello. Il vecchio catechismo diceva che commettere un peccato è un po’
difficile: “ci vuole piene avvertenza e deliberato consenso”, per sbaglio uno non pecca, per errore
uno non pecca. Ma la capacità di essere “carogna” ce l’abbiamo, sappiamo essere questo!
Il sapere essere violenti e falsi, il sapere aggiustare le cose, questo è ciò che le Scritture chiamano:
“adulterio”, “rottura dell’alleanza”, “distacco da Dio”. È ciò che interiorizzando essi chiamano:
“cuore di carne”, “cuore di pietra” (cfr. Ez 36, 26), per indicare qualche cosa che si è allontanato da
quel cuore nuovo che il Signore ci dà.
2. Il Signore ci trasforma, ci rinnova, non si spaventa dei nostri peccati, ha preso
in mano la nostra vita e l’ha modificata radicalmente e profondamente
Allora noi comprendiamo come l’esperienza del peccato ritorna continuamente. San Paolo nel cap.
3 della lettera ai Romani, dopo aver fatto passare i romani e i giudei, dirà: “Tutti sono peccatori”
(cfr. Rm 3, 9ss), tutti! Non sono sotto l’ira di Dio, perché il Vangelo non lo dice. Ma tutti, pur
essendo peccatori, sono sotto il mistero della grazia di Dio (cfr. Rm 3, 24).
Dice Paolo: “Forse si troverebbe uno disposto a morire per un giusto. Ma Dio ha mostrato a noi il
suo amore proprio quando noi eravamo ancora peccatori” (cfr.- Rm 5, 7-8). Dio non ci ama perché
siamo bravi, ma ci trasforma in persone giuste e autentiche con il suo amore. Il Signore non ha
paura di mescolare il suo amore con il peccato umano, ma per trasformarlo.
Diceva san Bernardo: “Il Signore non ci ama perché siamo giusti, ma ci rende giusti con il suo
amore”. Ed è questa la sorpresa, il Signore ci trasforma, ci rinnova, non si spaventa dei nostri
peccati; non hai bisogno di difenderti, ma ti puoi mettere davanti a Lui e come il pubblicano e dire:
«Abbi pietà di me peccatore» (Lc 18, 13); «non sono degno che tu entri nella mia casa» (Lc 7, 6).
Questa capacità di Dio di prendere in mano la debolezza, la miseria, il peccato umano e di
trasformarlo, ha generato un linguaggio. Agostino ha detto: “Dio è l’aiuto”, adiutórium. Auxilium,
noi l’abbiamo anche prestato a Maria. Ma è Dio l’aiuto. Il povero grida e Dio l’aiuta. Il termine
“aiuto” ritorna circa settanta volte nell’Antico Testamento, ritorna sempre (salvo sei o sette volte
paradossalmente in cui indica la donna aiuto dell’uomo) il termine tizzer per parlare di Dio, Dio è
l’aiuto. L’aiuto del peccatore, della persona fragile, della persona che non è più niente, Dio è
l’aiuto, è il sostegno. Il linguaggio biblico, diceva, è il Gô’êl; noi abbiamo tradotto “Redentore”,
“Riscattatore”, “Salvatore”. Dio è il Salvatore, è colui che prende un uomo, una persona, che non è
più niente… e che cosa ti resta? Ti resta semplicemente lo spazio dell’amore e del rendimento di
grazie. A ciascuno di noi salvati, resta il bisogno del canto dell’hillel, lode a YHWH, Iahvè, il
Signore.
Ecco, che noi possiamo dire che le Scritture da una parte parlano della Comunione, ma dall’altra del
Salvatore, dell’Aiuto, del Riconciliatore, di Colui che ha pagato il debito che noi avevamo, che ci ha
redento dalla schiavitù, che è morto per noi e ci ha salvato.
Dobbiamo dare a queste parole il loro valore e il loro peso, significa che il Signore ha preso in
mano la nostra vita e l’ha modificata radicalmente e profondamente.
Ecco, due grandi maniere, e me ne resta una terza. Posso anche dire che voi
siete l’espressione della pazienza e della bontà. Ma c’è una terza maniera di
parlare della persona umana, non più solo persona precaria, vulnerabile,
debole, bisognosa della comunione con il Santo, con l’Eterno. Non solo il
peccatore bisognoso del Salvatore, di colui che lo tira fuori, lo redime dai
suoi peccati.
6
-IIIL’esperienza della persona umana come
persona libera trasformata da Dio
La terza maniera di parlare della persona umana è quella come persona libera. Questa una
tentazione di sempre, la ritroviamo nei Farisei 2, in Pelagio 3, nella nostra epoca moderna, nel
mondo greco con la gnosi 4. Alla base c’è erroneamente la persona che si autocostruisce, e questo
tema della libertà dice in qualche modo che: Dio è libero, perché – diceva Pelagio – tratta tutti allo
stesso modo, Dio non fa preferenze di persone, non dà a uno cento e a un altro quaranta, ma dà
cento a tutti, poi dipende da te da come usi i talenti, da quello che gli restituisci; sei il doppio, sei –
a proposito del seme – il trenta per uno, il sessanta, il cento… dipende dai meriti che noi abbiamo
guadagnato davanti a Dio.
Lutero 5 era angosciato da questa esperienza, perché per quanto cercasse disperatamente con la
scienza di arrivare, avvertiva dentro di sé, che usando una terminologia passata la chiamava la
“concupiscenza” 6, agostiniano com’era. E andava chiedendosi: “Dove troverò un Dio che mi sia
favorevole?”. Commentando la lettera ai Romani, Lutero si imbatte in quello che non è
Farisei. Gruppo religioso-politico molto influente in Israele, frequentemente nominato nel NT, mai nell’AT, anche se
hanno origine nel sec. II a.C., come testimonia Giuseppe Flavio che ne parla abbastanza. Godevano di un grande
prestigio tra il popolo, davanti al quale si presentavano come conoscitori scrupolosamente osservanti della Legge. Si dà
al termine il significato di “separato”, ma non si è sicuri dell’oggetto della separazione, che potrebbe essere ciò che è
impuro, l’autorità religiosa, la classe politica… Credevano nella risurrezione dei morti e nella vita futura, a differenza
dei *sadducei. Molti degli *scribi e dei *dottori erano farisei. Dopo la distruzione di *Gerusalemme ad opera dei
romani (70 d.C.), l’unico partito e tendenza del giudaismo fu il farisaismo. Nei *vangeli, i farisei appaiono, con gli
scribi e i sadducei, come gli avversari di Gesù, il quale attacca duramente il loro orgoglio, la loro avarizia, la loro
ipocrisia e, soprattutto, la tendenza permanente a credere che la salvezza viene dalla legge.
3
Pelagianesimo. Eresia riguardante la grazia, iniziata con Pelagio (vissuto verso il 400), monaco bretone o irlandese il
quale, prima a Roma e poi nel Nord Africa, insegnò che gli esseri umani possono raggiungere la salvezza coi loro soli
sforzi. Il peccato originale non sarebbe altro che un cattivo esempio dato da Adamo ma che non recò nessun danno
spirituale ai suoi discendenti e, in particolare, lasciò intatto l’uso naturale della libera volontà. Riducendo la grazia al
buon esempio dato da Cristo, Pelagio esortava ad una vita ascetica intensa e patrocinava una Chiesa elitaria.
Sant’Agostino di Ippona (354-430) gli si oppose strenuamente. Il Pelagianesimo fu condannato in vari concili del Nord
Africa (DS 222-230; FCC 3.049-3.050, 8.001-8.007), da due papi e dal Concilio di Efeso nel 431 (DS 267-268).
4
Gnosi. Gnosticismo. In greco, “conoscenza”. Movimento filosofico-teologico che considera la conoscenza decisiva
per la salvezza. Nasce prima del cristianesimo con elementi di diverse culture antiche. Acquista forza nel mondo
ebraico ed ellenistico dal sec. I a.C. e si estende, anche con elementi cristiani, fino al sec. IV d.C. È dualista: lo spirito
deve essere liberato dal carcere della materia per mezzo della conoscenza per tappe successive. Contiene elementi
compatibili con il cristianesimo, soggiacenti in alcune sue espressioni. Altri elementi, invece, contaminarono la fede e
provocarono forti reazioni già in scritti neotestamentari, come 1 e 2 Cor, Col, 1 Gv, Giuda. Successivamente, varie sette
eretiche, come i *doceti e i valentiniani, anche se divergenti tra loro, professarono idee gnostiche, che includevano una
visione negativa della creazione, la negazione dell’*Incarnazione e della morte e risurrezione di Cristo, la sostituzione
dei sacramenti con riti gnostici magici, il cambiamento del *canone delle Scritture, ecc.
5
Lutero, Martin (1483-1546). Monaco agostiniano, teologo, che scatenò la *Riforma protestante (1517), che già si
andava preparando per la decadenza religiosa degli ultimi tempi del Medio Evo. Il punto centrale della sua dottrina
riguarda il concetto della *giustificazione, la quale, secondo Lutero, per quanto riguarda l’uomo, dipende
esclusivamente dalla fede, non dalle opere, e non cambia radicalmente l’uomo: il sangue di Cristo copre i nostri peccati,
e Dio non ne tiene conto, anche se di fatto permangono in noi. Basò la sua nuova dottrina su una lettura personale della
lettera ai *Romani, anche se l’occasione ultima fu la pubblicazione di una *bolla del papa Leone X che concedeva
indulgenze a chi avesse dato contributi per la costruzione della *basilica di san Pietro a Roma. Lutero fu un bravo
scrittore in lingua tedesca e tradusse in questa lingua la Bibbia. Compose anche dei *Catechismi per la diffusione della
sua dottrina, i primi se non si contano alcuni tentativi di scarso valore nel Medio Evo. Pur avendo rifiutato l’autorità del
papa, Lutero fu intransigente con quelli, tra i suoi stessi seguaci, che osavano contraddirlo.
6
Concupiscenza. Desiderio o brama eccessivi. Generalmente si riferisce soprattutto al desiderio sessuale, ma
comprende anche altri ambiti. Sebbene il desiderio non sia peccato, la concupiscenza viene presentata nella Bibbia
come causa di peccati.
2
7
protestantesimo, ma è la radice di ogni esperienza cristiana, la nozione di Iustitia Dei 7, Iustitia
Christi, Giustizia di Dio, Giustizia di Cristo: Dio è giusto non perché applica un codice di legge, ma
ti dà quello che meriti.
1. Dio non è un giudice! Dio è un salvatore! Prende in mano la nostra vita e la
trasforma!
Quando Paolo deve parlare di Dio, che dà alla persona umana quello che si merita, usa la nozione di
“ira”; quando Dio ti dà quello che ti meriti allora “Dio ti bastona”, è un Dio irato (cfr. Rm 1, 18).
Quando Dio è giusto è giusto con sé, con il suo amore, con la sua misericordia, ed effonde la sua
giustizia giustificando e trasformando le persone.
Allora, la libertà umana viene trasformata e la persona umana diventa una nuova creatura. San
Paolo dirà semplicemente: «Se uno è in Cristo è una creatura nuova» (2 Cor 5, 17), è tutta un’altra
cosa, è tutta un’altra vita! Quindi noi non possiamo considerare Dio come un legislatore e un
giudice: “Dio non ci fa corridori del Giro d’Italia, che sta a vedere che questo è arrivato fuori tempo
massimo e allora lo manda via”. Lui non è un giudice, Dio è Padre.
Noi non possiamo continuare a dire che Dio è amore e al momento buono diciamo: “In quel giorno
nella Valle di Giosafat Dio tirerà fuori il suo grande Libro e comincerà a dire, il 20 aprile del 1940,
dunque tu sei nato – parlo di me, ecc.
No, Dio non è un giudice! Dio è un salvatore! Prende in mano la nostra vita e la trasforma!
Allora noi cristiani non troviamo un’altra parola per parlare della grazia che questo: “Vivere in Dio,
con Dio, per Dio”. Il termine “vita” è il termine forse più bello per parlare non semplicemente di
una libertà, ma di una libertà che vale, per cui il Vivente, lo Spirito vivificante e il Verbo di ogni
vita diventano il sostegno della nostra esistenza.
Allora noi possiamo dire della grazia parlando:

della comunione con Dio come gli antichi (vedasi punto I),

dell’aiuto e della riconciliazione che Dio il salvatore fa di noi
(vedasi punto II),

della trasformazione della nostra vita (vedasi punto III).
-IVIl carattere profondamente dinamico della vita di grazia
Quello che mi preme sottolineare prima di chiudere è proprio il carattere profondamente
dinamico di questa vita di grazia.
Mi servirei del vecchio Tommaso, quando parlando della “grazia” dice che essa cresce dentro di
noi, non perché dici tre Ave Maria invece di una (e tre è più di una); ma la grazia cresce dentro di
noi, come dice lui, “sicut et comitum, in cognuscente et sicut amatum”, in amante.
Quando la grazia cresce in una persona che ama? Quando la pensa! Quando una persona amata è
nei suoi pensieri, gli occupa la vita e il tempo, è energia per lui! per lei! Diventa desiderio, diventa
nostalgia, quando la persona amata è in colui che ama.
1. Bisogna gustare e vedere quanto è buono e quanto è bello il Signore
Diceva Guglielmo di Senterì: “Se Dio è nel tuo amore, allora è in te”. Quando la persona amata è
dentro colui che ama, allora gli diventa spontaneo compiere i gesti dell’amore e dire le parole
dell’amore. La grazia non cresce come una quantità, ma cresce quasi per salti, come la vita.
Iustitia Dei non è la norma oggettiva che l’uomo deve realizzare, né l’essenza beata e trascendente di Dio in sé, ma
l’uscire di Dio fuori di sé, il suo atto d’amore soggettivo rivelato in Cristo e operato dallo Spirito che dona la fede:
«Questa non è la giustizia di cui Dio stesso è giusto, ma la giustizia con la quale Dio ha fatto giusti noi».
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Noi diciamo: “Ma era una ragazza! Ma guarda adesso che signorina che si è fatta!” La guardiamo e
diciamo: “Ma ormai è adulta, non ha più vent’anni! Ha avuto un figlio!”.
Ed è proprio di colpo che noi ci accorgiamo che questa condivisione di pensiero e di vita ha
trasformato il nostro modo di ragionare, di pensare, di scegliere, di agire, di gustare. E uno arriva a
comprendere quanto è bello: è bello, stare con il Signore!
E io vi direi: “Quando è l’ultima volta che avete detto: È proprio stato bello? L’ultima volta!”. Non
ditemi che è stato quando siete andati ad un museo come Brera. Non è vero, uno non viene fuori da
Brera dicendo “è stato proprio bello”. Qualche volta uno torna a casa da una esperienza di carità,
qualche volta da una splendida gita, qualche volta dopo una lettura, e qualche volta dice: è proprio
stato bello! “Bello” non è contrario di “faticoso”. “Bello” è pieno, in grado di diventare energia
profonda di vita.
E quando Pietro deve parlare di Cristo, dice non “il buon pastore”, ma “il bello pastore”; perché
l’esperienza di Dio è bellezza! «Bisogna gustare e vedere quanto è buono» e quanto è bello il
Signore (cfr. 1 Pt 2, 3; Sal 34, 9).
Allora se questo è la grazia per noi, si può capire che molte volte nel nostro tempo l’atteggiamento
dominante sia la noia. Non posso capire come qualcuno che si è seduto al banchetto di Dio, e ha
intuito il mistero di questa chiamata, possa essersi tirato indietro, questo no!
Ecco, mi sembra che sia più o meno questo quello che volevo dire per far
passare un po’ i diversi modi con cui il tema della grazia è stato pensato
nella storia della vita, ma anche nelle esperienze delle persone.
Mi fermerei qui, poi magari parlando riusciamo ad andare anche un po’
oltre.
Qualcuno dice che la bellezza è come l’estetica. No, è invece come quando uno si chiede, “che
bello!”, è tutta un’altra cosa.
Nietzsche diceva una volta, parlando dei cristiani, e non ha tutti i torti: “Tanti più gioiosi dovranno
cantare per convincermi che hanno incontrato il Signore”. A volte i cristiani sono non seri, ma un
po’ seriosi, con tanti pensieri per la testa. Ma un bel sorriso è molto più bello.
* Cv. Documento rilevato come amanuense dal registratore, scritto in uno stile didattico e con riferimenti biblici, ma
non rivisto dall’autore.
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