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Diocesi Piacenza-Bobbio
Ufficio Stampa: Servizio documentazione
Collegio Padri Oblati Missionari di Rho (MI)
Esercizi spirituali per sacerdoti
“Il discepolato”
Quarta Meditazione
Mons. Luciano Monari, Vescovo
27 agosto 2002
1. La difficoltà nel cammino del discepolo nel seguire Gesù richiede una capacità
di abbandono e di fiducia in Lui
L’essenziale nella vita del discepolo è seguire Gesù. Di questo seguire Gesù abbiamo però già
visto la difficoltà, la fatica. Leggiamo la prima parte del Vangelo secondo Marco e ci accorgiamo
che i discepoli, pur legati a Gesù da un vincolo di fiducia e di solidarietà profonda, fanno però fatica
a entrare pienamente nella dinamica del “seguire”. Perché verrebbe chiesto a loro una capacità di
abbandono e di fiducia che istintivamente i discepoli non possiedono; c’è bisogno di un intervento
del Signore che guarisca; c’è bisogno che il Signore “tolga la sordità e la cecità del cuore” dei
discepoli.
Però arrivati alla professione di fede di Pietro il cammino non è ancora concluso, anzi si può dire
che il difficile inizia ora. Per rendersene conto basta confrontare due versetti del Vangelo secondo
Marco.
 Il primo è 1, 17 conteneva quell’impartivo su cui ci siamo fermati:
«seguitemi». Quell’“imperativo” aveva prodotto un effetto evidente:
l’abbandono della famiglia, del lavoro, del contesto sociale in cui i discepoli
erano vissuti fino a quel momento e la scelta di accompagnare Gesù.
 Al cap. 8, 34 c’è scritto: «Se qualcuno vuole seguirmi rinneghi se stesso,
prenda la sua croce e mi segua». Non c’è più l’“imperativo”, non c’è più il
“seguitemi”; ma c’è “se qualcuno vuole seguirmi”. Questo “se” ha una
motivazione precisa nella condizione dei discepoli, che mostrano tutta la
fatica di accettare Gesù così com’è; non c’è dubbio che vogliono andare
dietro a Gesù, ma vorrebbero che Gesù fosse come loro si aspettano; e
quando la realtà smentisce, cioè va contro le loro attese, nasce
inevitabilmente una crisi.
1.1. Il primo annuncio della Pasqua, della passione e resurrezione
Proviamo a leggere, ma lo ricordate benissimo quando Pietro fa la professione di fede: «Tu sei il
Cristo. [30]E impose loro severamente di non parlare di lui a nessuno. [31]E cominciò a insegnar
loro che il Figlio dell’uomo doveva molto soffrire, ed essere riprovato dagli anziani, dai sommi
sacerdoti e dagli scribi, poi essere ucciso e, dopo tre giorni, risuscitare. [32]Gesù faceva questo
discorso apertamente. Allora Pietro preselo in disparte, e si mise a rimproverarlo. [33]Ma egli,
voltatosi e guardando i discepoli, rimproverò Pietro e gli disse: Lungi da me, satana! Perché tu
non parli secondo Dio, ma secondo gli uomini» (Mc 8, 29b-33).
Dunque, la professione di fede di Pietro appare incompleta alle orecchie di Gesù; è buona, esprime
un’intelligenza vera di quello che Gesù è, ma ha bisogno di essere qualificata. E Gesù lo fa
innanzitutto imponendo il silenzio e poi cominciando a insegnare.
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Notate come il Vangelo di Marco cambi il titolo: «cominciò a insegnar loro che è il Figlio
dell’uomo». Non dice che è il Messia, come aveva detto Pietro: «Tu sei il Cristo».
«[31]Cominciò a insegnar loro che il Figlio dell’uomo», è un titolo più misterioso (cfr. Dn 7, 13-14),
che ha certamente una minore tradizione che Cristo, cioè Messia; è più facile da plasmare secondo
la volontà e l’esperienza di Gesù che non il titolo Messia.
«[31]Cominciò a insegnar loro che il Figlio dell’uomo doveva molto soffrire, ed essere riprovato
dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, poi venire messo a morte e, dopo tre giorni,
risuscitare.
C’è il primo famoso annuncio della passione. Li chiamiamo annunci della passione ma non è giusto,
sarebbero gli annunci della Pasqua; sono annunci della passione e della resurrezione. In Marco
non è mai della sola passione ma sempre con la resurrezione, e sotto questo presupposto del verbo
«doveva». Quel “doveva” esprime chiaramente non un destino anonimo che sta sopra la vita di
Gesù, ma la consegna del Padre; il compito che il Padre gli ha affidato e che per Gesù è chiaramente
un dovere di obbedienza: «doveva molto soffrire, ed essere riprovato…».
1.2. L’incomprensione dei discepoli
«[32]Gesù faceva questo discorso apertamente. Allora Pietro lo prese in disparte, e si mise a
rimproverarlo». Questa incomprensione di Pietro non è semplicemente di Pietro ma è, come
vedremo, anche degli altri discepoli, ed è una incomprensione che si riferisce a due dimensioni
dell’esperienza:
1. di Gesù e della sua sofferenza,
2. delle conseguenze che porta questo nella vita del discepolo.
Perché, siccome quella è la strada di Gesù, se qualcuno vuole stare con Gesù, come il discepolo
deve fare, il destino di Gesù diventa anche il suo. E questo ancora in due prospettive:
1. la sofferenza e della persecuzione,
2. il servizio di chi si colloca all’ultimo posto.
Proveremo a vedere queste due realtà.
1.2.1. La reazione di Pietro viene respinta con durezza da Gesù
Ma intanto m’interessa sottolineate come alla reazione di Pietro – che vorrebbe in qualche modo
insegnare a Gesù che cosa deve essere il Messia, quale tipo di prospettiva sia legato a questa figura
che ha evidentemente una sua tradizione e una sua radice antichissima nella spiritualità d’Israele,
Davidica o qualche cosa del genere (cfr. Is 11, 1; 2 Sam 7, 12-13; Lc 1, 31-33) – Gesù risponde
con una durezza che non ci saremmo aspettati: «voltatosi e guardando i discepoli, rimproverò
Pietro e gli disse: Lungi da me, satana!».
C’è evidentemente quel “satana” che ci colpisce, perché attribuito ad un discepolo fa evidentemente
impressione. È vero che qui con satana s’intende la funzione di satana, quindi quella di tentare, di
proporre un cammino lontano dalla volontà del Padre (cfr. Zc 3, 1-2); però, appunto, la funzione di
satana. Tanto che va insieme con quel «lungi da me» che è esattamente l’opposto della vocazione
del discepolo:
 se uno dice: “seguimi”;
 se uno dice: “lungi da me”;
chiede due movimenti evidentemente contrapposti.
In qualche modo Pietro viene respinto, il discepolato non è così. Gesù lo ha chiamato a seguirlo,
ma in un’ottica diversa da quella che Pietro possiede e a cui è attaccato: «Lungi da me, satana!
Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini».
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2. Condizione del discepolato è rinnegare se stessi e prendere la propria croce
Poi, dopo questo brano, c’è la dilatazione dell’insegnamento di Gesù.
Allora, abbiamo detto:
 Gesù insegna quale sia il cammino che lo aspetta;
 a questo insegnamento di Gesù si contrappone la non intelligenza di
Pietro e dei discepoli;
 a questa non intelligenza Gesù risponde spiegando che quel cammino di
cui sta parlando è il suo, ma se vogliono è anche dei discepoli.
«[34]Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: Se qualcuno vuol venire dietro di me
rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. [35]Perché chi vorrà salvare la propria vita, la
perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà» (Mc 8, 34-35). Le
parole sono molto precise.
Dunque, condizione del discepolato è “rinnegare se stessi”. E rinnegare se stessi credo è spiegato
da quel versetto che segue: “Sapere perdere la propria vita per Gesù Cristo e per il vangelo”.
“Rinnegare se stessi” vuole dire:
1. Il legame che noi abbiamo con noi stessi non è più assoluto e decisivo ma
è collocato in secondo piano rispetto al legame con Gesù e con il Vangelo. È
più importante Gesù e il Vangelo del proprio io.
2. “Prendere la croce”, che va inteso in senso molto esplicito e preciso.
Il rito della condanna alla crocifissione supponeva che il condannato a morte si caricasse del legno
della croce, perlomeno del palo orizzontale della croce, e percorresse tutta la via verso il luogo del
patibolo, e una via frequentata, non per dei vicoli nascosti; no, deve passare per la via principale,
perché sia visto e tutti sappiano quello che lui ha fatto e il motivo per cui è condannato a morte,
perché la condanna a morte ha tra le sue motivazioni anche quella esemplare del fare paura.
Dunque, il condannato con il legno sulla spalla passa in mezzo alla gente verso il luogo del
patibolo; questa è l’immagine che tutti conoscevano benissimo.
Allora, dire che “il discepolo è uno che porta la sua croce” significa: che il discepolo è uno che è
condannato a morte, che è stato caricato della croce e adesso fa il suo cammino, sapendo che alla
fine c’è il patibolo, c’è il sacrificio della vita. Si tratta di cimentarsi in una vita che è dura tanto
quanto è duro l’ultimo viaggio di un condannato a morte, e di un condannato a quella morte che è la
morte di croce.
Capite che più duro di così il discorso non potrebbe essere. E si capisce bene che ci sia stata da
parte dei discepoli una fatica nel capire, ma s’intende soprattutto una fatica nell’accettare. Qui è
una comprensione che non è fatta solo di intelligenza, ma è fatta di condivisione di vita.
2.1. L’episodio della Trasfigurazione
Probabilmente per questo il Vangelo colloca proprio qui l’episodio della “Trasfigurazione” (cfr.
Mc 9, 2-10), con quelle parole del Padre che danno testimonianza a Gesù: «Questi è il Figlio mio
prediletto; ascoltatelo!» (Mc 9, 7). “Ascoltatelo” si riferisce esattamente a quello che abbiamo
appena detto. “Ascoltatelo” in quelle parole misteriose e ripugnanti che ha incominciato a
esprimere, perché è adesso che Gesù incomincia la rivelazione sul mistero e sul cammino della
croce. E la testimonianza di Dio, del Padre, è da questo punto di vista a suo favore. Bisogna che i
discepoli siano capaci di accettare l’insegnamento di Gesù, per quanto scandaloso sia.
Forse non è un caso che in questa scena della Trasfigurazione abbiamo:
1. I tre personaggi che parlano tra di loro – Mosè, Elia e Gesù –, di che cosa
Marco non lo dice; Luca (cfr. Lc 9, 28-36) lo riferisce alla passione;
comunque Marco non dice di che cosa parlassero.
2. In un modo o nell’altro sono tutti rivelatori della Parola di Dio.
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Ma poi quando la “nube” copre questi personaggi e la voce di Dio esce dalla nube: «[8]Subito
guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo con loro» (Mc 9, 8). Devono
imparare a fidarsi di Gesù, a cogliere il Suo insegnamento come definitivo; anche tutto quello che
c’era prima deve ritrovare il suo significato in Lui, in quello che Gesù dice. Quindi che non
riportino le parole di Gesù a quello che loro sanno già dell’Antico Testamento, ma al contrario
riportino quello che sanno alle parole che Gesù sta dicendo e che sono quelle definitive: «È il mio
Figlio nel quale mi sono compiaciuto, è il prediletto» (2 Pt 1, 17) – l’unico – «ascoltatelo!» (Mc 9,
7).
2.2. In Marco negli annunci della passione c’è lo schema dell’incomprensione dei discepoli e
l’insegnamento di Gesù
Marco ha costruito il viaggio di Gesù verso Gerusalemme sulla scansione degli annunci della
passione: al cap.8, 31-33, poi al cap. 9, 30-32, poi al cap. 10 32, 34. In tutti e tre i casi (e per tre
volte non è per caso perché deve essere inculcato bene dentro la testa e al cuore dei discepoli) c’è lo
stesso schema: l’incomprensione dei discepoli e l’insegnamento di Gesù.
2.3. Nel primo annuncio della passione il problema è la sofferenza alla persecuzione
Nel primo caso il problema qual è? La sofferenza alla persecuzione, prendere la croce. Gesù va
verso il patibolo e il discepolo deve andare verso il patibolo: «prenda la sua croce e mi segua».
Negli altri due annunci il tema è un po’ apparentemente diverso, ma in realtà si riallaccia a quello
che abbiamo ascoltato, perché è il tema del primo o dell’ultimo posto, del comando o del servizio,
di quale deve essere la logica del discepolato.
I discepoli sono quelli che stanno vicini a Gesù formando una specie di cerchia dei più intimi,
quindi non c’è dubbio che il legame che loro hanno con Gesù è privilegiato; ma che cosa vuole dire
“privilegiato”?
 Che sono primi rispetto agli altri? No, “sono ultimi rispetto agli altri”.
 Che possono imporre il loro dominio e la loro volontà? Al contrario,
vuole dire che “devono farsi servi e schiavi di tutti”.
Si tratta di cogliere questo, e il Vangelo lo esprime con chiarezza sia nelle parole di Gesù, sia nella
fatica dei discepoli ad accettare un messaggio così alternativo rispetto alle loro attese, e proviamo a
vedere.
3. La scelta dell’ultimo posto e del servizio da schiavo rivolto a tutti
3.1. Nel secondo annuncio della passione il verbo tipico è “consegnare”
«[30]Partiti di là, attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. [31]Istruiva
infatti i suoi discepoli e diceva loro (è una istruzione a parte, privata, proprio per il gruppo): Il
Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma una volta
ucciso, dopo tre giorni, risusciterà. [32]Essi però non comprendevano queste parole e avevano
timore di chiedergli spiegazioni. [33]Giunsero intanto a Cafàrnao. E quando fu in casa, chiese loro:
Di che cosa stavate discutendo lungo la via? [34]Ed essi tacevano. Per la via infatti avevano
discusso tra loro chi fosse il più grande. [35]Allora, sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: Se uno
vuol essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti. [36]E, preso un bambino, lo pose in mezzo
e abbracciandolo disse loro: [37]Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me; chi
accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato» (Mc 9, 30-37).
Il secondo annuncio della passione è simile al primo, con quel verbo significativo che è uno dei
verbi tipici della passione, “consegnare”: sarà «consegnato nelle mani degli uomini».
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Sarà consegnato ai sommi sacerdoti, e i sommi sacerdoti lo consegneranno a Pilato, e Pilato lo
consegnerà ai soldati. Insomma gli uomini diventeranno padroni della vita e della morte di Gesù:
«consegnato nelle loro mani».
Però evidentemente dietro a questa consegna, che è la consegna degli uomini, ci sta la consegna di
Dio: è Dio che consegna nel suo amore il suo Figlio agli uomini.
C’è quindi un modo duplice di vedere questa condizione di Gesù, dal punto di vista:
 degli uomini è un Gesù senza potere nelle loro mani;
 di Dio è un segno di un amore che viene portato fino al compimento, fino
alla perfezione.
3.1.1. Di fronte all’annuncio della passione e della resurrezione i discepoli non capiscono:
“l’ultimo di tutti è il servo di tutti”
Di fronte all’annuncio della passione e della resurrezione i discepoli non capiscono (ma noi non
facciamo fatica a capire loro), «avevano timore di chiedergli spiegazioni», e questo è significativo:
si rendono conto che Gesù si sta muovendo in un contesto estraneo a loro, e se dovessero capire
sarebbero costretti a cambiare mentalità e comportamento, quindi preferiscono non chiedere niente,
non sapere; il che psicologicamente è molto comprensibile, e lo capiamo bene anche noi perché
questo ci succede molte volte di fronte ai disegni della volontà di Dio.
Di fatto, mentre Gesù annuncia la passione, i discepoli discutono su chi sia il più grande;
evidentemente l’incomprensione sta nei fatti. Vuole dire: i mondi in cui si muovono sono diversi. I
discepoli non stanno seguendo Gesù, fisicamente sì ma in realtà stanno seguendo i loro sogni e i
loro desideri, e sono questi sogni che Gesù deve infrangere: Se uno vuol essere il primo, sia l’ultimo
di tutti e il servo di tutti».
Dove questo «di tutti» è importante perché significa che il discepolo non ha la possibilità di
scegliere le persone che vuole servire. Ci sono delle persone che sono gradevoli e servirle si fa
volentieri, ed è una cosa bellissima. Ma ci sono delle persone che sono sgradevoli, proprio
sgradevoli! e servirle si fa fatica e non ci si prova proprio nessun gusto, anzi si ha l’impressione di
essere stupidi.
Ebbene, “l’ultimo di tutti è il servo di tutti”, quindi non devi scegliere le persone da servire, devi
fare della tua vita un servizio senza condizioni e riserve; questo vuole dire quel “mettersi all’ultimo
posto”. «L’ultimo di tutti», non è il problema del sentirsi chissà che cosa dal punto di vista di una
depressione o di una svalutazione di sé o cose del genere; no, è il servizio quello che conta; vuole
dire: chiunque altro è degno di essere servito da parte tua.
Quando san Francesco ha voluto chiamare i suoi frati minori ha scelto un comparativo, perché
“minore” è un comparativo; allora il senso è quello: tu “comparati” e quando hai di fronte un altro
tu sei minore, sei più piccolo di lui chiunque sia. C’è un’istruzione di Francesco ai sui frati in cui
chiede a loro di essere sottomessi ad ogni creatura; che cosa mai voglia dire “ogni creatura” non lo
so…, perché “ogni creatura” s’intende anche gli animali, quindi tutto. “Sottomessi ad ogni
creatura”, con questo atteggiamento che è tipicamente francescano, ma in fondo tipicamente
evangelico.
3.1.2. Al centro nel Regno dei Cieli ci stanno coloro che hanno fatto la scelta del servizio e
dell’ultimo posto
Di fatto, «[36]E, preso un bambino, lo pose in mezzo e abbracciandolo disse loro: [37]Chi accoglie
uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me».
L’azione simbolica la trovate descritta in un modo più ampio nel Vangelo secondo Matteo, dove la
rivelazione dell’identità del discepolo diventa un’esortazione anche etica molto precisa, e a me
sembra molto bella perché è collocata da Matteo all’inizio del cap. 18°; cioè all’inizio:
 del discorso ecclesiastico,
 della costituzione della comunità ecclesiale,
5
 del Codice di Diritto Canonico, e il C.D.C. dà la costituzione della
Chiesa.
Ebbene, all’inizio di questa costituzione, Matteo ci mette il seguente episodio:
«[1]In quel momento i discepoli si avvicinarono a Gesù dicendo: Chi dunque è il più grande nel
regno dei cieli? [2]Allora Gesù chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: [3]In verità
vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli.
[4]
Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli.
[5]
E chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me» (Mt 18, 1-5).
Il Regno dei Cieli ha una sua forma, costituzione e struttura; in quella forma, chi è il più grande?
Con l’azione simbolica: “Gesù prende un bambino e lo mette in mezzo”. Il motivo del bambino è
chiaramente il fatto che:
 è piccolo,
 dal punto di vista sociale non ha rilevanza,
 non può decidere niente perché sono i grandi che devono decidere per lui.
Il motivo per cui viene messo in mezzo è quello; è un’azione simbolica.
Come se nel Consiglio di amministrazione della Fiat un giorno si mettesse un bambino al centro,
che cosa possa centrare un bambino nel Consiglio di amministrazione della Fiat, che è un luogo di
potere, è evidentemente incomprensibile.
I discepoli hanno l’impressione di essere la cerchia delle persone che sono primi nel Regno di Dio,
nel Regno dei Cieli, in quanto discepoli di Gesù. Ebbene, in mezzo si mette il bambino, perché sia
chiaro chi è al centro del Regno di Dio (cfr. Mt 11, 25).
La risposta è: «se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei
cieli»; si tratta di diventare bambini, non di rimanerlo, non è un infantilismo. Si tratta di fare una
scelta del servizio e dell’ultimo posto, del non avere la possibilità di affermarsi con il potere o la
forza che ci appartiene. Ebbene, la prospettiva secondo il Vangelo è quella.
3.2. Il terzo annuncio della passione è il più particolareggiato
Questa prospettiva viene ripresa e approfondita nel terzo e più grande annuncio della passione;
più grande perché è più dettagliato. Siamo al cap. 10: «[32]Mentre erano in viaggio per salire a
Gerusalemme, Gesù camminava davanti a loro ed essi erano stupiti; coloro che venivano dietro
erano pieni di timore» (Mc 10, 32a).
Osservate com’è bella la costituzione della scena, fa impressione: Gesù cammina davanti, tutti i
discepoli sono stupiti, non si rendono conto di che cosa sta succedendo; quelli che vengono dietro
sono evidentemente i discepoli, sono quelli che seguono: «erano pieni di timore».
«Prendendo di nuovo in disparte i Dodici, cominciò a dir loro quello che gli sarebbe accaduto:
[33]
Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell’uomo sarà consegnato ai sommi sacerdoti e
agli scribi: e lo condanneranno a morte, e lo consegneranno ai pagani, [34] e lo scherniranno, e gli
sputeranno addosso, e lo flagelleranno e lo uccideranno; ma dopo tre giorni risusciterà. [35]E gli si
avvicinarono Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedeo, dicendogli: Maestro, noi vogliamo che tu ci
faccia quello che ti chiederemo. [36]Egli disse loro: Cosa volete che io faccia per voi? Gli risposero:
[37]
Concedici di sedere nella tua gloria uno alla tua destra e uno alla tua sinistra. [38]Gesù disse
loro: Voi non sapete ciò che domandate. Potete bere il calice che io bevo, o ricevere il battesimo
con cui io sono battezzato? Gli risposero: Lo possiamo. [39]E Gesù disse: Il calice che io bevo
anche voi lo berrete, e il battesimo che io ricevo anche voi lo riceverete. [40]Ma sedere alla mia
destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato.
[41]
All’udire questo, gli altri dieci si sdegnarono con Giacomo e Giovanni. [42]Allora Gesù,
chiamatili a sé, disse loro: Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano, e
i loro grandi esercitano su di esse il potere. [43]Fra voi però non è così; ma chi vuol essere grande
tra voi si farà vostro servitore, [44]e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti. [45]Il Figlio
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dell’uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto
per molti» (Mc 10, 32b-45).
Questo è il terzo annuncio e questa volta particolareggiato, ci sono tutte le scene della passione
una dopo l’altra, legate sempre (almeno in greco) dalla congiunzione “e” che si ripete per sei volte,
che dà l’impressione di martellate che vengono una dopo l’altra in questo cammino che va verso la
Pasqua.
3.2.1. I discepoli si sdegnano con i figli di Zebedeo che chiedono di partecipare “alla gloria di
Gesù alla destra e alla sinistra”
Appena finito questo annuncio sentiamo i figli di Zebedeo che chiedono di partecipare “alla
gloria di Gesù alla destra e alla sinistra”. Stesso discorso, e vuole dire: sono in un contesto di
pensiero diverso, non capiscono che cosa sta succedendo; stanno andando verso Gerusalemme, il
patibolo, la croce, quindi Gesù ha già sulle spalle la sua croce; eppure questi qui cercano dei
privilegi in quel Regno che hanno l’impressione Gesù vada a inaugurare, a impostare: «uno alla tua
destra, e uno alla tua sinistra». Dice il Vangelo che sono anche disposti a pagare un prezzo, “del
calice e del battesimo”. E quando dicono: «lo possiamo», affermano la verità; in fondo sono
disposti a pagare anche un prezzo alto.
Quando Marco ha scritto il Vangelo, Giacomo aveva già pagato con la morte (cfr. At 12, 2), quindi
aveva sigillato la sua dedizione o il suo impegno con Gesù. Però Gesù concede a loro la vicinanza,
la condivisione del cammino della croce, ma per il resto non hanno niente di garanzia autonoma,
devono fidarsi di Dio, devono consegnare a Dio la loro vita e il loro futuro.
«Sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato
preparato»; cioè per i quali Dio lo ha preparato. Il discepolo non può pretendere niente, deve
imparare a mettere in gioco tutto, fidandosi, confidando nella risposta di Dio.
«[41]All’udire questo, gli altri dieci si sdegnarono con Giacomo e Giovanni». Questo si capisce
bene, hanno l’impressione di essere stati giocati – che qualcuno abbia alterato i “dati della partita”
che si sta preparando, e quindi Giacomo e Giovanni siano privilegiati un passo avanti nella corsa
verso i primi posti che inevitabilmente immaginano si compirà –, quindi si sdegnano con Giacomo
e Giovanni.
3.2.2. La costituzione della Chiesa è diversa da quella di qualunque tipo di società politica,
perché il contenuto non è la gestione del potere
L’ultima istruzione di Gesù parla innanzitutto del mondo politico (non ne ha parlato molte volte ma
qui ne parla). Il “mondo politico” è un mondo dove il contenuto dell’esperienza è la gestione del
potere: «Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano, e i loro grandi
esercitano su di esse il potere». Così era e così è, perché la politica è esercizio del potere, può
essere fatto bene o può essere fatto male… tutto quello che volete, ma questo sta fuori dalla nostra
considerazione. Il mondo politico ha una sua logica di rapporti perché il contenuto della vita politica
è quello.
«[43]Ma tra voi però non è così»; ed è significativo che Marco usi l’indicativo presente. Non dice:
“tra voi non sia così”, ma «tra voi non è così». “Tra voi” vuole dire: i rapporti che vigono
all’interno del gruppo dei discepoli e della comunità di Gesù sono rapporti diversi da quelli che
vigono nella società politica, qualunque essa sia, può essere una società monarchica o democratica,
di qualunque genere di costituzione ma è un’altra cosa. Quindi non è la forma politica che decide il
valore evangelico di qualche cosa.
Diceva un commentatore: “Non è che la democrazia garantisca dalla ricerca dei primi posti”; questo
è evidente e non c’è neanche bisogno di dimostrarlo. Quindi la realtà decisiva non è la forma di
potere in quanto tale, ma è il fatto che siamo in due contesti di rapporto diversi: «tra voi non è
così», la costituzione della Chiesa è diversa da quella di qualunque tipo di società politica,
perché il contenuto non è la gestione del potere.
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3.2.3. La logica del ministero di Gesù è che non è venuto ad esercitare un potere ma a porsi
all’ultimo posto come schiavo
«Non è così; ma chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore, [44]e chi vuol essere il primo
tra voi sarà il servo di tutti». Si usa prima il termine diakonos e poi il termine douloô, quindi servoschiavo; “schiavo di tutti”, perché sia chiaro, perché ci colpisca bene.
Il motivo di questo è dato, ed è un motivo che non cambia, perché «[45]Il Figlio dell’uomo infatti
non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per la moltitudine».
Allora, la logica del ministero di Gesù è questa: Gesù non è venuto ad esercitare un potere, ma
a porsi all’ultimo posto come schiavo, “a trasformare la propria vita in un servizio di riscatto per
tutti”. Ripensate chiaramente all’Inno della Lettera ai Filippesi: “si è fatto servo fino alla morte e
alla morte di croce” (cfr. Fil 2, 7-8); questo è Gesù.
Siccome Gesù è il centro della comunità che si forma, quindi la logica di quella comunità è la
stessa. Il discorso dal punto di vista del significato è chiarissimo e non ha ambiguità.
Questo non vuole dire che non ci siano nella comunità cristiana dei ministeri e non ci sia una
gerarchia tra i ministeri. La gerarchia tra i ministeri c’è – san Paolo la riprende: primo, secondo, ecc
(cfr. 1 Cor 12, 28ss) –, quindi non è il problema di questo genere. E non vuole dire neanche che
nella comunità cristiana non si devono evitare le responsabilità, anzi non è uno scappare dalle
responsabilità quello che il Signore chiede, ma è essere all’ultimo posto; cioè fare della propria vita
e della propria presenza nella comunità cristiana l’occasione del servizio, dell’ultimo posto.
Dopo evidentemente ci tocca vergognarci di fronte a queste parole, cioè ci tocca riconoscere che tra
noi e queste parole c’è una distanza grande. Però questo evidentemente non significa che possiamo
cambiare le parole, ma che dovremo ripartire continuamente dall’interiorizzazione di questa logica
alternativa, bisogna che diventi desiderio; cioè che non sia solo “testa”, in testa lo capiamo, ma
diventi cuore, quindi impulso, un desiderio più grande di quello evidentemente istintivo che
abbiamo di andare ai “posti di onore”, questo ce l’abbiamo, quindi ce lo portiamo dentro e bisogna
che conviviamo con questo, ma bisogna che impariamo a gestirlo, a orientarlo. E ci posiamo
arrivare innanzitutto attraverso questa interiorizzazione della Parola del Signore, della figura, della
forma del Signore, come “forma di schiavo e di servo”, servo di Dio.
3.3. La guarigione del “cieco di Gerico” esprime quell’intervento di Gesù che dà speranza anche
ai discepoli
Che il discorso non sia facile e non venga immediato questo è chiaro da tutto quello che abbiamo
detto; ed è il motivo per cui, dopo questi tre annunci della passione, troviamo un miracolo: la
guarigione del “cieco di Gerico”, e di un cieco che è in parallelo con il “cieco di Betsaida” (cfr. Mc
8, 22-26).
Si capisce bene, perché la guarigione del “cieco di Gerico” esprime quell’intervento di Gesù
che dà speranza anche ai discepoli. Sono messi male i discepoli di fronte a questi annunci della
passione, se dovessero contare su di sé e sulle proprie capacità non ci sarebbe molto da aspettarsi.
Ma per fortuna c’è una forza di guarigione che Gesù ha introdotto nella vita degli uomini, e
permette anche ai discepoli, con tutta la loro fragilità, di diventare davvero discepoli.
«[46]E giunsero a Gerico. E mentre partiva da Gerico insieme ai discepoli e a molta folla, il figlio di
Timèo, Bartimèo, cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. [47]Costui, al sentire che c’era Gesù
Nazareno, cominciò a gridare e a dire: Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me! [48]Molti lo
sgridavano per farlo tacere, ma egli gridava più forte: Figlio di Davide, abbi pietà di me! [49]Allora
Gesù si fermò e disse: Chiamatelo! E chiamarono il cieco dicendogli: Coraggio! Alzati, ti chiama!
[50]
Egli, gettato via il mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. [51]Allora Gesù gli disse: Che vuoi
che io ti faccia? E il cieco a lui: Rabbunì, che io riabbia la vista! [52]E Gesù gli disse: Va, la tua
fede ti ha salvato. E subito riacquistò la vista e prese a seguirlo per la strada» (Mc 10, 46-52).
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3.3.1. La cecità impedisce di seguire Gesù
Notate che all’inizio questo “cieco siede lungo la strada”. Ma la strada non è fatta per stare seduti, la
strada è il luogo del cammino. Gesù è da tre capitoli per strada, in via; da quando siamo partiti da
Cesarea di Filippo Gesù è per strada (cfr. Mc 8, 27) verso Gerusalemme. E adesso è l’ultima tappa,
perché usciti da Gerico non si attraversano città, si arriva fino a Gerusalemme attraverso il deserto
di Giuda fino a Betània e poi Bètfage, che è alla periferia di Gerusalemme (cfr. Mc 11, 1); quindi
siamo proprio all’ultima tappa, la via è quella verso Gerusalemme.
«Seduto lungo la strada a mendicare», è bloccato dalla cecità; la cecità gli impedisce di seguire
Gesù, di camminare per la strada, di percorrere il cammino del compito della sua vocazione.
«Lungo la strada a mendicare». Passa Gesù, ed è come l’occasione per questo cieco, un’occasione
che lui cerca in tutti i modi, vincendo anche l’opposizione della folla, che prima vorrebbe impedire
al cieco di gridare a Gesù perché disturba, poi invece da Gesù viene trasformata in strumento di
mediazione, quindi il cieco chiama perché vada da Gesù.
3.3.2. La speranza per il discepolo è che incontrando Gesù gli permette di ricevere la
guarigione e di seguire il Signore
Il dialogo con Gesù lo ricordate, ma quello che interessa evidentemente (dicono tutti i
commentatori) è quella conclusione: «riacquistò la vista e prese a seguirlo per la strada». È un
discepolo, segue Gesù. E questa volta segue Gesù per la via di Gerusalemme, quindi segue Gesù per
la via della passione, della croce.
Ecco, qui c’è una speranza. La speranza che anche noi ciechi – quindi incapaci di vedere le cose
come le vede Gesù, incapaci di cogliere che l’essenziale è l’ultimo posto e che è il servizio di tutti –
possiamo essere guariti e seguire Gesù per la strada. Perché è capitato qualche cosa di incredibile;
cioè quella ricchezza di vita e di amore che è Dio che passa in mezzo agli uomini – “sentendo che
passava Gesù”, e questo passaggio di Gesù lo abbiamo incontrato tante volte – è il presupposto, la
condizione di tutto quello che succede dopo: della possibilità di incontralo e incontrando Lui di
ricevere quella guarigione che permette al discepolo di seguire il Signore.
Riassunto conclusivo
Volevamo dire:
 La difficoltà della sequela: quel «seguitemi» con cui parte il discepolo è un imperativo che si
impone.
 Ma questo “imperativo che si impone” è solo l’inizio di tutto un cammino faticoso che deve
passare attraverso:
1. La fiducia in Gesù.
2. L’accettazione della croce e della sofferenza.
3. La scelta dell’ultimo posto e del servizio da schiavo rivolto a tutti.
Ecco, solo in questo cammino – “il seguire Gesù” – diventa effettivamente un discepolato serio e
autentico.
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Documento rilevato dalla registrazione, adattato al linguaggio scritto, non rivisto dall’autore.
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