Titularul disciplinei: Conf. univ. dr. ELENA PÎRVU

PROGRAMA ANALITICĂ
Disciplina: LIMBA ITALIANĂ (Morfologie)
Specializarea: Română – Italiană
Anul I ID, Semestrul II
Titularul disciplinei: Conf. univ. dr. ELENA PÎRVU
Programa analitică
Limba Italiană (Morfosintaxă), Anul I
Denumirea disciplinei
Semestrul
Codul disciplinei
Facultatea
Litere
Domeniul de licenţă
Filologie
Programul de studii de
licenţă (specializarea)
II
Numărul de credite
Numărul orelor pe
an / activităţi
Total
SI TC AT
Română - Italiană
Categoria formativă a disciplinei: DF - fundamentală, DG - generală,
DS - de specialitate, DE - economică/managerială, DU - umanistă
Categoria de opţionalitate a disciplinei: DI - impusă, DO - opţională,
DL - liber aleasă (facultativă)
Discipline
anterioare
Obiective
Conţinut
(descriptori)
AA
Obligatorii
(condiţionate)
Recomandate
DF
DI
-
- însuşirea de către studenţi a caracteristicilor fiecărei părţi de vorbire;
- însuşirea de către studenţi a deprinderilor de a se exprima corect în limba
italiană.
1. Il verbo
1.1. Classificazione
1.1.1. Il significato e la funzione dei verbi
1.1.2. Il genere dei verbi: verbi transitivi e verbi intransitivi
1.1.3. La forma del verbo: attiva, passiva e riflessiva
1.1.3.1. Forma attiva e passiva
1.1.3.2. Forma riflessiva
1.1.3.3. Forma intransitiva pronominale
1.1.4. I verbi impersonali
1.2. Le “variabili” del verbo
1.2.1. La persona, il numero e il genere
1.2.2. Il modo
1.2.3. Il tempo
1.2.4. L’aspetto
1.3. I verbi di “servizio”
1.3.1. I verbi ausiliari
1.3.1.1. L’uso degli ausiliari con i verbi intransitivi
1.3.1.2. La concordanza del participio passato con l’ausiliare essere
1.3.1.3. La concordanza del participio passato con l’ausiliare avere
1.3.2. I verbi servili
1.3.3. I verbi fraseologici
1.3.4. I verbi causativi
1.4. Il verbo secondo la flessione: le coniugazioni
1.4.1. La coniugazione dei verbi ausiliari
1.4.2. La coniugazione attiva
1.4.3. La coniugazione passiva
1.4.4. La coniugazione riflessiva
1.4.5. I verbi sovrabbondanti
1.4.6. I verbi difettivi
1.4.7. I verbi irregolari
1.5. Uso dei modi e dei tempi
1.5.1. Il modo indicativo e i suoi tempi
1.5.2. Il modo congiuntivo e i suoi tempi
1.5.3. Il modo condizionale e i suoi tempi
1.5.4. Il modo imperativo
1.5.5. L’infinito e i suoi tempi
1.5.6. Il participio e i suoi tempi
1.5.7. Il gerundio e i suoi tempi
2. L’avverbio
2.1. Posizione dell’avverbio
2.2. Formazione e classificazione degli avverbi
2.2.1. Gli avverbi di modo
2.2.2. Gli avverbi di luogo
2.2.3. Gli avverbi di tempo
2.2.4. Gli avverbi di giudizio
2.2.5. Gli avverbi di quantità
2.2.6. Gli avverbi interrogativi ed esclamativi
2.2.7. Gli avverbi presentativi
2.3. I gradi dell’avverbio
2.4. L’alterazione degli avverbi
3. La preposizione
3.1. Classificazione
3.2. La preposizione di
3.3. La preposizione a
3.4. La preposizione da
3.5. La preposizione in
3.6. La preposizione con
3.7. La preposizione su
3.8. La preposizione per
3.9. Le preposizioni tra e fra
4. La congiunzione
4.1. Classificazione
4.2. Le congiunzioni coordinative
4.3. Le congiunzioni subordinative
5. L’interiezione
5.1.Onomatopee
Forma de evaluare (E - examen, C - colocviu / test final, LP - lucrări de control)
E
Stalibirea
- răspunsurile la examen / colocviu / lucrări practice
50%
notei
- activităţi aplicative atestate / laborator / lucrări practice/ proiect etc.
finale
- teste pe parcursul semestrului
25%
(procentaje)
- teme de control
25%
Bibliografia
Maurizio Dardano; Pietro Trifone, Grammatica italiana. Con nozioni di
linguistica, Terza Edizione, Bologna, Zanichelli Editore, 1995.
Laura Lepschy; Giulio Lepschy, La lingua italiana. Storia, varietà dell’uso,
grammatica, Milano, Bompiani, 1993.
Marcello Marinucci, La lingua italiana, Milano, Edizioni Scolastiche Bruno
Mondadori, 1996.
Elena Pîrvu, La lingua italiana. Corso di morfologia, Craiova, Editura
AIUS, 1999.
Elena Pîrvu, Morfologia italiana, Bucureşti, Editura Didactică şi
Pedagogică, R.A, 2003.
Giampaolo Salvi; Laura Vanelli, Grammatica essenziale di riferimento della
lingua italiana, Firenze, Istituto Geografico De Agostini Le Monnier,
1992.
Marcello Sensini, La lingua italiana. Moduli di educazione linguistica e
testuale, Milano, Arnoldo Mondadori Scuola, 1998.
Luca Serianni (con la collaborazione di Alberto Castelvecchi), Grammatica
italiana. Italiano comune e lingua letteraria, Bologna, UTET Libreria,
1989.
Lista materialelor
didactice
necesare
Suport de curs ID
Coordonator de disciplină
Gradul didactic, titlul
Elena Pîrvu
Conferenţiar univ. dr.
Semnătura
Legenda: SI - studiu individual, TC - teme de control, AT - activităţi tutoriale, AA - activităţi
aplicative aplicate
SUPORT DE CURS
Disciplina: LIMBA ITALIANĂ (Morfologie)
Anul I ID, Semestrul II
Titularul disciplinei: Conf. univ. dr. ELENA PÎRVU
INDICE
1. Il verbo
1.1. Classificazione
1.1.1. Il significato e la funzione dei verbi
1.1.2. Il genere dei verbi: verbi transitivi e verbi intransitivi
1.1.3. La forma del verbo: attiva, passiva e riflessiva
1.1.3.1. Forma attiva e passiva
1.1.3.2. Forma riflessiva
1.1.3.3. Forma intransitiva pronominale
1.1.4. I verbi impersonali
1.2. Le “variabili” del verbo
1.2.1. La persona, il numero e il genere
1.2.2. Il modo
1.2.3. Il tempo
1.2.4. L’aspetto
1.3. I verbi di “servizio”
1.3.1. I verbi ausiliari
1.3.1.1. L’uso degli ausiliari con i verbi intransitivi
1.3.1.2. La concordanza del participio passato con l’ausiliare essere
1.3.1.3. La concordanza del participio passato con l’ausiliare avere
1.3.2. I verbi servili
1.3.3. I verbi fraseologici
1.3.4. I verbi causativi
1.4. Il verbo secondo la flessione: le coniugazioni
1.4.1. La coniugazione dei verbi ausiliari
1.4.2. La coniugazione attiva
1.4.3. La coniugazione passiva
1.4.4. La coniugazione riflessiva
1.4.5. I verbi sovrabbondanti
1.4.6. I verbi difettivi
1.4.7. I verbi irregolari
1.5. Uso dei modi e dei tempi
1.5.1. Il modo indicativo e i suoi tempi
1.5.2. Il modo congiuntivo e i suoi tempi
1.5.3. Il modo condizionale e i suoi tempi
1.5.4. Il modo imperativo
1.5.5. L’infinito e i suoi tempi
1.5.6. Il participio e i suoi tempi
1.5.7. Il gerundio e i suoi tempi
2. L’avverbio
2.1. Posizione dell’avverbio
2.2. Formazione e classificazione degli avverbi
2.2.1. Gli avverbi di modo
2.2.2. Gli avverbi di luogo
2.2.3. Gli avverbi di tempo
2.2.4. Gli avverbi di giudizio
2.2.5. Gli avverbi di quantità
2.2.6. Gli avverbi interrogativi ed esclamativi
2.2.7. Gli avverbi presentativi
2.3. I gradi dell’avverbio
2.4. L’alterazione degli avverbi
3. La preposizione
3.1. Classificazione
3.2. La preposizione di
3.3. La preposizione a
3.4. La preposizione da
3.5. La preposizione in
3.6. La preposizione con
3.7. La preposizione su
3.8. La preposizione per
3.9. Le preposizioni tra e fra
4. La congiunzione
4.1. Classificazione
4.2. Le congiunzioni coordinative
4.3. Le congiunzioni subordinative
5. L’interiezione
5.1. Onomatopee
1. Il verbo
1.1. La forma del verbo: attiva, passiva e riflessiva
Secondo il ruolo che attribuisce al soggetto della frase, il verbo può avere forma
attiva, passiva e riflessiva.
Il verbo è di forma attiva quando il soggetto coincide con l’agente dell’azione, cioè
compie l’azione espressa dal verbo: L’estate scorsa abbiamo visitato la Sicilia.
Il verbo è di forma passiva quando l’agente non è il soggetto, ma il complemento:
complemento d’agente se animato, complemento di causa efficiente se inanimato, entrambi
introdotti dalla preposizione da.
Quando il complemento d’agente o di causa efficiente non sono espressi si ha la
forma passiva assoluta.
In italiano, di solito, la forma passiva è realizzata con l’ausiliare essere coniugato nel
modo, nel tempo e nella persona della corrispondente voce attiva, seguito dal participio
passato del verbo, accordato in genere e numero con il soggetto: L’affresco è stato rovinato
dall’umidità.; L’automobile è stata revisionata.
Oltre che con l’ausiliare essere, in italiano, il passivo si può formare anche con l’aiuto
degli ausiliari:
- venire, che conferisce alla frase un valore dinamico, sottolineando un’azione; per
questo si usa solo nel contesto dei tempi semplici: Paolo è lodato da tutti. / Paolo viene
lodato da tutti.
L’ausiliare venire può essere usato con tutti i verbi che indicano azione e il suo uso è
particolarmente frequente in quei casi in cui l’assenza del complemento d’agente o di causa
efficiente favorisce l’interpretazione di stato: La finestra è chiusa. / La finestra viene chiusa.
- andare, solo nel contesto dei tempi semplici, e senza possibilità di esprimere il
complemento d’agente. Come ausiliare del passivo, andare comporta:
1. Un generico valore passivo. In questo caso è una variante di essere con una
sfumatura aspettuale in cui si sottolinea lo svolgimento del processo. Questo valore è ristretto
ad un inventario lessicale limitato, costituito da verbi che esprimono un’idea di
«consunzione», o che indicano un senso generalmente negativo, come: deludere, distruggere,
(dis)perdere, spendere, sprecare, vendere, tagliare, abbattere ecc. In tal caso è in uso solo la
terza persona, singolare e plurale: Il libro andò perso. (“fu perso”); I documenti andarono
smarriti. (“furono smarriti”).
Il generico valore passivo si presenta soprattutto nei tempi composti e all’infinito, ma
non esclude l’impiego dei tempi semplici: Vorrei avere tutti i soldi che vanno spesi
malamente. (“vengono spesi, sono spesi, si spendono”).
2. L’idea di opportunità, dovere, necessità. Questo valore è ammesso con tutti i verbi,
ma solo nei tempi semplici e alla terza persona, singolare e plurale. In questo caso «va +
participio passato» ha il valore di «deve essere + participio passato»: Questo lavoro va finito
per domani. (“deve essere finito”).
Inoltre, il passivo si può formare con il cosiddetto “si” passivante premesso alla terza
persona singolare o plurale di un verbo transitivo attivo in un tempo semplice: All’improvviso
si sentì (= fu sentita) una voce; Si acquistano (= sono acquistati) mobili antichi.
Il verbo ha forma riflessiva quando il soggetto compie e nello stesso tempo subisce
l’azione e, quindi, l’azione si riflette sul soggetto.
Vengono definiti verbi riflessivi i verbi transitivi che nella coniugazione sono
preceduti o seguiti da uno dei pronomi atoni riflessivi mi, ti, si, ci, vi: Lavandosi le mani,
Marco si guardava nello specchio.
Essi, però, esprimono diversi tipi di “riflessività” e quindi hanno diverso significato e
valore. Perciò, all’interno della forma riflessiva, è opportuno distinguere tra una forma
riflessiva propria o diretta, una forma riflessiva indiretta o apparente e una forma
riflessiva reciproca.
a) Un verbo transitivo ha forma riflessiva propria o diretta quando c’è identità di
persona tra il soggetto e il complemento oggetto, che è sempre rappresentato dai pronomi
atoni mi, ti, si, ci, vi: Paolo si lava (= lava se stesso) con acqua calda.
b) Un verbo ha forma riflessiva indiretta o apparente quando le particelle
pronominali mi, ti, si, ci, vi svolgono la funzione di complemento di termine: Paolo si lava ( =
lava a se stesso) le mani.
c) Un verbo è alla forma riflessiva reciproca quando, attraverso l’uso dei pronomi
atoni plurali ci, vi, si, esprime un’azione che viene esercitata in modo scambievole fra due o
più persone (o anche animali o cose): Luigi e Carlo si abbracciarono (= l’un l’altro).
1.2. I verbi di “servizio”
1.2.1. I verbi ausiliari
Gli ausiliari propriamente detti dell’italiano sono due: essere e avere.
Per quanto riguarda la collocazione dell’ausiliare, esso di norma precede
immediatamente il participio a cui si riferisce: ho parlato, siamo andati.
Tra ausiliare e participio possono interporsi elementi semanticamente «deboli», come
avverbi o congiunzioni: Non ho ancora letto la lettera arrivata stamattina. Abbiamo già
affrontato quest’argomento.
Per quanto riguarda l’uso dell’ausiliare, nell’italiano si possono identificare tre gruppi
di verbi:
a) verbi che usano solo avere: i verbi transitivi e alcuni verbi attivi intransitivi: Paolo
ha comprato due dischi nuovi; Ieri ho dormito dalle due alle quattro.
b) verbi che usano soltanto essere: i verbi riflessivi, i verbi usati in forma impersonale,
la maggioranza dei verbi intransitivi, i verbi alla forma passiva: Marco si è vestito per uscire;
Non ci siamo accorti di nulla; Questo romanzo è scritto da Luigi Pirandello.
c) verbi che usano l’uno o l’altro variando significato in ciascun caso: alcuni verbi
intransitivi, come aumentare, correre, crescere ecc, e i verbi impersonali relativi a fenomeni
atmosferici: Sono corso a casa. / Ho corso tutta la giornata; È piovuto tanto. / Ha piovuto
tutta la notte.
L’uso dell’ausiliare temporale è oscillante anche con un verbo che regge un verbo
all’infinito: Luigi è dovuto andare in città; Ieri ho dovuto comprare un nuovo libro.
*
*
*
*
*
Quando
l’ausiliare
temporale
è
essere,
il
participio
passato
si
accorda
obbligatoriamente in genere e in numero con il soggetto. Ciò, forse, perché l’ausiliare essere,
marcando più la condizione, lo stato, che l’azione, richiede al participio passato più una forza
predicativa nominale che verbale.
Nel caso dell’ausiliare avere, che sottolinea il ruolo di agente diretto dell’azione del
soggetto, il participio passato rimane di solito invariato, nella forma di maschile singolare.
Quando il complemento oggetto è espresso con un pronome clitico incontriamo le
seguenti situazioni:
a) Se si tratta di un pronome clitico di terza persona (lo, la, li, le), l’accordo del
participio passato con il complemento oggetto è obbligatorio, a causa delle confusioni che
possono apparire, specialmente nella pronuncia, per il fatto che, se il pronome-complemento
oggetto di terza persona precede l’ausiliare avere, al singolare, la vocale finale del pronome
atono tende ad essere omessa, situazione indicata nella lingua scritta con l’uso dell’apostrofo:
Ieri ho parlato con Carla. L’ho incontrata all’Università.
b) Se il complemento oggetto è rappresentato da uno dei pronomi mi, ti, ci, vi,
l’accordo del participio passato con l’oggetto è facoltativo: I Rossi ci hanno invitato a cena
martedì. I Rossi ci hanno invitati a cena martedì.
c) Per quanto riguarda il ne partitivo, la concordanza è preferita se il verbo è seguito
da un complemento oggetto e questo indica il genere e il numero di ne: In vacanza ho letto
molti libri. Ne ho letti molti.
Se il complemento oggetto non indica il numero e il genere del ne partitivo, si
preferisce la forma invariata del participio passato: Carlo ha bevuto della birra in
abbondanza. Ne ha bevuto in abbondanza.
1.2.2. I verbi servili
I verbi servili o modali sono una classe particolare di verbi che, premessi all’infinito
di un verbo, formano con esso un predicato unico.
Di solito si considerano verbi servili potere, dovere e volere e, con alcune restrizioni,
sapere (nel senso di “essere capace di”, “essere in grado di”). Dal punto di vista semantico,
questi verbi qualificano una particolare modalità dell’azione, incardinata sulla possibilità
(potere, sapere), sulla necessità (dovere), sulla volontà (volere): Marco può arrivare da un
momento all’altro; Ha saputo risolvere tutto senza problemi; Dobbiamo attendere il nostro
turno; Luigi non ha voluto mangiare nulla.
Per quanto riguarda la scelta dell’ausiliare temporale nella presenza degli ausiliari
modali dovere, potere, volere e sapere, possiamo distinguere le seguenti situazioni:
1. Se sono combinati con l’infinito di un verbo attivo, prendono l’ausiliare dell’infinito
che reggono. Sapere, invece, prende sempre l’ausiliare avere, essendo verbo servile nel senso
di “essere capace di”, “essere in grado di”: Abbiamo dovuto attendere il nostro turno; Siamo
dovuti partire più presto; Come mai hai saputo venire qui?
2. Se l’infinito è un verbo riflessivo, osserviamo che:
a) Se il pronome riflessivo “sale” ad attaccarsi al verbo servile, si usa l’ausiliare
essere, perché tutta la costruzione diventa riflessiva e l’ausiliare temporale dei verbi riflessivi
è essere: Carlo e Lucia si sono potuti sposare a maggio.
b) se il pronome riflessivo si unisce all’infinito in posizione enclitica, si usa l’ausiliare
avere, la costruzione conservando il carattere transitivo della forma attiva del verbo
all’infinito. In più, anche i verbi servili, usati da soli, selezionano l’ausiliare avere: Carlo e
Lucia hanno potuto sposarsi a maggio.
3. Anche certi verbi intransitivi attivi richiedenti essere e uniti ad un complemento di
interesse o di termine rappresentato da un pronome enclitico (mi, ti, ci, vi, gli, le), come:
piacere, sembrare, capitare ecc., si comportano come i verbi riflessivi: assumono essere se il
pronome è in posizione proclitica; assumono avere se è in posizione enclitica: Non capisco
come mi sia potuto accadere tutto ciò; Non capisco come abbia potuto accadermi tutto ciò.
4. Se il verbo all’infinito è alla forma passiva, per evitare la ripetizione dell’ausiliare
essere (che è anche l’ausiliare della forma passiva), l’ausiliare selezionato sarà avere: Carla
ha fatto tutto da sola; non ha voluto essere aiutata da nessuno.
L’accordo del participio passato dipende anche nel contesto dei verbi servili dal tipo
di ausiliare e dal tipo dei pronomi clitici che precedono il participio.
Dunque, quando l’ausiliare è essere il participio passato si accorda obbligatoriamente
in genere e in numero con il soggetto, mentre nel contesto dell’ausiliare avere è invariabile e
assume la forma del maschile singolare: Carla ha dovuto comprare un libro; Luisa è dovuta
andare in città.
Con i verbi servili, l’accordo del participio passato del verbo servile con l’oggetto
clitico della terza persona è possibile e obbligatorio solo se l’oggetto clitico “sale”
all’ausiliare del verbo servile, ma è impossibile se l’oggetto rimane attaccato all’infinito: Non
abbiamo potuto vederli / Non li abbiamo potuti vedere nemmeno un attimo.
Se il complemento oggetto clitico che “sale” all’ausiliare del verbo servile è
rappresentato da uno dei pronomi mi, ti, ci, vi, ne partitivo, l’accordo del participio passato
con l’oggetto è facoltativo: Non vi abbiamo potuto vedere / Non vi abbiamo potuti vedere
alla festa; Gelati, Luisa ne ha potuto mangiare / ne ha potuti mangiare molti.
1.2.3. I verbi fraseologici
Sono detti fraseologici i verbi che reggono un infinito retto da preposizione o un
gerundio, evidenziando un particolare aspetto dell’azione dei verbi che seguono; per questo
motivo vengono definiti anche aspettuali.
Nei tempi composti, i verbi fraseologici richiedono l’ausiliare che avrebbero se
fossero usati autonomamente.
I verbi fraseologici costituiscono un unico predicato con il verbo che li accompagna.
I costrutti più notevoli esprimono i seguenti ambiti di significato:
- azione che sta per iniziare: stare per, accingersi a, essere sul punto di ecc. + infinito:
Ho fretta: sto per partire; Mario si accinge a partire.
- azione che viene tentata: sforzarsi di, cercare di, tentare di, provare a + infinito:
Cerca di venire presto; Abbiamo tentato di scalare la cima della montagna.
- azione che inizia: cominciare a, iniziare a, mettersi a + infinito: Silenzio: l’oratore
comincia a parlare; D’un tratto si mise a correre.
- azione in svolgimento: stare + gerundio, stare a + infinito, andare + gerundio,
venire + gerundio: Non disturbarmi: sto svolgendo un compito difficile.
- azione che dura nel tempo: continuare a, insistere a o nel, persistere a o nel,
ostinarsi a + infinito: Continua a disturbare; Insiste nel dire sciocchezze.
- azione che si avvia verso una certa conclusione: finire per + infinito: Finiremo per
restare senza spiccioli.
- azione che termina: smettere di, cessare di, finire di, terminare di + infinito: Ha
smesso di piangere; Ha cessato di piovere; Ha finito di parlare: era ora.
1.2.4. I verbi causativi
Si chiamano verbi causativi o fattitivi i verbi fare e lasciare che si accompagnano a
un altro verbo, posto all’infinito, per esprimere un’azione causata - fatta eseguire (fare) o
lasciata eseguire (lasciare) - dal soggetto e non direttamente compiuta da esso: L’ho fatto
aspettare più di un’ora; Il professore non mi ha lasciato finire la lezione.
1.3. Uso dei modi e dei tempi
1.3.1. Il modo indicativo e i suoi tempi
L’indicativo è il modo verbale della realtà, della certezza e della obiettività. Si usa
pertanto, sia nelle proposizioni indipendenti sia in quelle dipendenti, per indicare ciò che è
vero e sicuro o, comunque, ritenuto e presentato come tale.
L’indicativo ha otto tempi: quattro semplici (presente, imperfetto, passato remoto,
futuro semplice) e quattro composti (passato prossimo, trapassato prossimo, trapassato
remoto, futuro anteriore).
Il presente esprime un fatto, una situazione o un modo di essere che si verificano o
sussistono nel presente, cioè contemporaneamente al momento in cui si parla.
Il passato prossimo indica un’azione compiuta nel passato, il cui processo è
considerato obiettivamente o psicologicamente attuale.
L’imperfetto indica un’azione avvenuta nel passato in un arco di tempo di cui non è
precisato né il momento di inizio, né quello conclusivo.
Il trapassato prossimo indica un’azione conclusa nel passato, anteriormente a un’altra
azione passata e ad essa collegata.
Il passato remoto (o passato storico) è il tempo proprio della narrazione.
Il trapassato remoto indica un fatto anteriore al passato remoto. Oggi si trova solo
nelle proposizioni temporali introdotte da quando, dopo che, non appena, appena (che).
Il futuro semplice indica un fatto che deve ancora verificarsi o giungere a
compimento.
Il futuro anteriore si usa nelle subordinate temporali e indica un’azione anteriore ad
un’altra pure del futuro.
1.3.2. Il modo congiuntivo e i suoi tempi
Il congiuntivo è il modo della possibilità, del dubbio e dell’incertezza. Indica che
l’evento espresso dal verbo è presentato come possibile, verosimile, incerto, ipotizzabile,
dubbio, desiderabile, sperato o temuto.
In italiano, il modo congiuntivo ha quattro tempi: due semplici (presente e
imperfetto) e due composti (passato e trapassato).
Il congiuntivo presente è usato:
- nelle proposizioni indipendenti, per esprimere un dubbio, un timore, una volontà, un
augurio o un’ipotesi, per lo più in forma interrogativa: Che sia arrabbiato con noi?
- nelle proposizioni subordinate, per esprimere un rapporto di contemporaneità rispetto
a un presente o a un futuro contenuti nella reggente: Desidero che Maria resti qui.
Il congiuntivo passato è usato:
- nelle proposizioni indipendenti, per esprimere dubbio o possibilità nel passato, per
lo più in forma interrogativa: Che il treno sia già partito?
- nelle proposizioni subordinate, per esprimere un rapporto di anteriorità rispetto a un
presente o a un futuro della reggente: Luisa penserà che tu non le abbia telefonato.
Il congiuntivo imperfetto è usato:
- nelle proposizioni indipendenti, per esprimere un timore, un augurio ecc. che si
ritengono o si temono al presente non realizzabili: Magari legesse qualche libro!
- nelle proposizioni subordinate, per esprimere un rapporto di contemporaneità rispetto
a un indicativo passato o a un condizionale della reggente: Temevo che partisse senza soldi;
Vorrei che non arrivassi così tardi; o un rapporto di anteriorità rispetto a un indicativo
presente della reggente: Credo che allora vivesse da sola.
Il congiuntivo imperfetto si usa, inoltre, nella protasi del periodo ipotetico della
possibilità: Se fossi ricco, regalerei molti soldi ai poveri; e dell’irrealtà, in riferimento al
presente: Se fossi invisibile, saprei cosa si dice di me.
Il congiuntivo trapassato è usato:
- nelle proposizioni indipendenti, per esprimere desiderio o possibilità riferiti al
passato e non realizzati: Se avessi studiato di più!
- nelle proposizioni subordinate, per esprimere un rapporto di anteriorità rispetto a un
indicativo passato o a un condizionale passato della reggente: Non sapevo se tu fossi arrivato;
Non avrei mai immaginato che fosse stato Mario.
Si usa, inoltre, nella protasi del periodo ipotetico dell’irrealtà, in riferimento al
passato: Se fosse stato onesto, non avrebbe rubato.
1.3.3. Il modo condizionale e i suoi tempi
Il condizionale è il modo della possibilità condizionata: presenta l’evento espresso dal
verbo come possibile o realizzabile solo a certe condizioni: Verrei volentieri, ma non posso;
Se ti impegnassi di più, saresti migliore; Te lo avrei detto, se me lo avessi chiesto.
Il condizionale presente esprime un evento che potrebbe verificarsi nel presente o nel
futuro a condizione che accada o che sia accaduto un altro evento: Se avessi bisogno di aiuto,
ti chiamerei; Se avessi preso l’aereo, sarei già a casa.
Il condizionale presente si usa soprattutto nell’apodosi del periodo ipotetico della
possibilità: Se la gente seguisse questi consigli, lei perderebbe i clienti; e dell’irrealtà, in
riferimento al presente: Se fossi un gabbiano, volerei sopra il mare.
Si usa pure, in proposizioni indipendenti o subordinate, per esprimere:
- una richiesta cortese: Mi passeresti quel libro?
- una supposizione: Il vero responsabile sarebbe un noto uomo d’affari.
- un’opinione personale, presentata in forma attenuata: Secondo me, bisognerebbe
telefonargli subito.
- un dubbio, in forma diretta o indiretta: Dovrei forse uscire?; Non so proprio che cosa
dovrei fare.
Il condizionale passato esprime un evento che si sarebbe potuto verificare nel passato,
se si fosse verificata una certa condizione.
Il condizionale presente si usa soprattutto nell’apodosi del periodo ipotetico
dell’irrealtà, in riferimento al passato: Se fosse tornato in tempo, gli avrei parlato.
In dipendenza di un tempo passato, specialmente nelle proposizioni soggettive,
oggettive e interrogative indirette, il condizionale passato si usa per indicare un fatto che si
sarebbe potuto realizzare in un momento successivo (futuro nel passato): Si dice che avrebbe
fatto meglio ad agire in modo diverso.; Mi dicevano che saresti arrivato oggi.
Il condizionale passato si usa pure per esprimere:
- un’opinione personale, in forma attenuata: Non avresti dovuto fare così.
- una supposizione: A quanto si dice, qualcuno l’avrebbe avvertito.
- un dubbio, in forma diretta o indiretta: A chi avrei dovuto rivolgermi?; Non so
proprio a chi avrei dovuto rivolgermi.
1.3.4. Il modo imperativo
L’imperativo esprime un ordine, un comando, una esortazione, un consiglio, un
invito, una preghiera o un divieto. Ha un solo tempo, il presente, ed è usato solo in
proposizioni indipendenti.
Ha forme proprie solo per le seconde persone. Per le altre tre (per la terza singolare e
per la prima e la terza plurali) si usano le corrispondenti forme del congiuntivo presente
(congiuntivo esortativo).
Il comando nella forma negativa si esprime:
- con non seguito dall’infinito per la seconda persona singolare: Non cantare!
- con non seguito dalle forme dell’imperativo positivo per tutte le altre persone: Non
canti!(egli); Non cantiamo! (noi); Non cantate! (voi); Non cantino! (essi).
1.3.5. L’infinito e i suoi tempi
L’infinito è il modo che esprime l’evento in maniera generica e indeterminata:
esprime, cioè, il semplice significato del verbo.
Esso ha due tempi: uno semplice, il presente, e uno composto, il passato.
Come tutti i modi indefiniti, l’infinito è, nello stesso tempo, una forma verbale e una
forma nominale e, quindi, può essere usato in funzione di verbo e di sostantivo.
In funzione di verbo, l’infinito si usa:
- nelle proposizioni subordinate implicite, nelle quali assume come soggetto la persona
del verbo della frase reggente: Ti scrivo per farti sapere la data del mio arrivo; Prenderò una
decisione dopo aver esaminato la questione.
- in dipendenza da verbi servili, causativi e fraseologici: Vorrei partire prima di sera;
L’ho fatto aspettare più di un’ora; Ha smesso di piovere.
- in luogo dell’imperativo, per esprimere un comando o un avvertimento rivolti a
interlocutori generici; per lo più si trova in insegne, in cartelli, in istruzioni per l’uso e simili:
Mescolare lentamente per cinque minuti; Circolare! Circolare!
- preceduto dall’avverbio non, l’infinito esprime divieto o comando negativo: Giorgio,
non toccare il mio disegno!
- nelle frasi interrogative ed esclamative, per esprimere, con particolari effetti emotivi,
dubbio, sorpresa, desiderio, contrarietà e simili: Che cosa dire?; Io venire a spasso con te?!
- nelle narrazioni può sostituire l’indicativo, creando un particolare effetto stilistico
che evidenzia la ripetitività dell’azione (infinito narrativo): E tutti lì a pregarla, a cercare di
convincerla.
1.3.6. Il participio e i suoi tempi
Il participio è un modo che, esprimendo il significato del verbo come se fosse una
qualità di un nome, “partecipa” sia delle caratteristiche del verbo sia di quelle dell’aggettivo.
Il participio ha due tempi, entrambi semplici, il presente e il passato.
Il participio presente può avere valore di verbo o di aggettivo.
Come verbo corrisponde per significato a una proposizione relativa che esprime
un’azione contemporanea a quella indicata dalla reggente: Udimmo una voce invocante (=
che invocava) aiuto.
Come aggettivo corrisponde a un attributo del nome: Abbiamo assistito a uno
spettacolo deprimente; Claudio ha un sorriso affascinante.
Il participio passato, come il participio presente, accomuna in sé la funzione verbale
con quella di aggettivo.
Come aggettivo, il participio passato funge da attributo o da elemento del predicato
nominale, e concorda in genere e in numero con il sostantivo cui si riferisce: I carabinieri
hanno catturato il bandito evaso; La casa sembrava abbandonata.
Come verbo, unito agli ausiliari essere e avere, il participio passato serve a formare i
tempi composti dei verbi transitivi, intransitivi, riflessivi e pronominali e, unito all’ausiliare
essere (e, più raramente venire o andare), serve a costruire tutti i tempi della forma passiva:
Mario è andato al cinema; Entrambi hanno ascoltato i commenti; La terra viene (è) arata
dal contadino; Durante il traslocco molte cose andarono smarrite.
Sempre come verbo, unito a un sostantivo o a un pronome, è spesso usato come
predicato di varie proposizioni dipendenti implicite, con valore temporale, causale, concessivo
o relativo, che esprimono un’azione o un fatto anteriori a quelli espressi dalla reggente:
Terminata (= dopo che fu terminata) la cerimonia, ci fu un rinfresco.
1.3.7. Il gerundio e i suoi tempi
Il gerundio è il modo che indica un’azione che si compie in stretta relazione con
un’altra azione espressa da un verbo di modo finito. Infatti, il gerundio si usa esclusivamente
in proposizioni dipendenti implicite.
Ha due tempi: presente (o gerundio semplice) e passato (o gerundio composto).
Il gerundio presente indica azione contemporanea a quella espressa dal verbo della
reggente: Parlando si possono chiarire i malintesi.
Il gerundio passato esprime un’azione anteriore a quella indicata nella reggente:
Avendo camminato molto, si sentiva distrutto dalla stanchezza.
BIBLIOGRAFIA DI BASE
Elena Pîrvu, Morfologia italiana, Bucureşti, Editura Didactică şi Pedagogică, 2003,
pp. 107-184.
Maurizio Dardano; Pietro Trifone, Grammatica italiana. Con nozioni di linguistica,
Terza Edizione, Bologna, Zanichelli Editore, 1995, pp. 305-381.
Luca Serianni (con la collaborazione di Alberto Castelvecchi), Grammatica italiana.
Italiano comune e lingua letteraria, Bologna, UTET Libreria, 1989, pp. 379-486.
TRACCIA PER LA VERIFICA FORMATIVA DEI CONTENUTI
1. Come si costruisce la forma passiva del verbo?
2. Cos’è il passivo con il si passivante?
3. Come si classificano i riflessivi?
4. Descrivere l’uso dei verbi ausiliari.
5. Descrivere l’uso dei verbi servili.
6. Specificare quali sono i tempi dell’indicativo e come si usano.
7. Specificare quali sono i tempi del congiuntivo e come si usano.
8. Specificare quali sono i tempi del condizionale e come si usano.
9. Definire cos’è l’imperativo e come si usa.
10. Spiegare cosa sono i modi indefiniti, indicare quali sono e come si usano.
2. L’avverbio
L’avverbio è la parte invariabile del discorso che si aggiunge a un verbo, a un
aggettivo, a un nome o a un altro avverbio per modificarne, qualificandolo o determinandolo,
il significato: Il treno partirà sicuramente in orario.
Può modificare anche un’intera frase: Forse non verrò alla festa.
Secondo il loro significato, cioè in base al tipo di modificazione o di determinazione
che esprimono, gli avverbi si distinguono in: avverbi di modo o qualificativi e avverbi
determinativi: di luogo; di tempo; di quantità; di valutazione o giudizio; interrogativi;
esclamativi; presentativi.
2.1. Gli avverbi di modo
Gli avverbi di modo indicano il modo in cui si svolge un evento oppure aggiungono
una precisazione qualificativa a un aggettivo o a un altro avverbio: Al suo arrivo fu accolto
calorosamente; Il panorama è veramente ineguagliabile.
Appartengono a questo tipo:
- gli avverbi in -mente: calorosamente, gentilmente, velocemente ecc.;
- gli avverbi in -oni: ginocchioni, cavalcioni, bocconi ecc.;
- gli avverbi costituiti dalla forma maschile singolare di taluni aggettivi qualificativi
usati, appunto, in funzione avverbiale: chiaro, giusto, piano, forte, alto ecc.;
- alcuni altri avverbi quali: bene, male, così, insieme, cioè, come, invano ecc.
2.2. Gli avverbi di luogo
Gli avverbi di luogo esprimono una determinazione di luogo.
I più comuni avverbi di luogo sono:
a) qui, qua, quaggiù, quassù, che indicano un luogo vicino a chi parla;
b) là, colà, laggiù, lassù, lì, ivi, quivi, che indicano un luogo lontano da chi parla e da
chi ascolta;
c) costì, costà, che indicano un luogo vicino a chi ascolta (rari nell’uso parlato al di
fuori della Toscana);
d) vicino, presso, lontano, dappertutto, fuori, dentro, dietro, indietro, davanti, dinanzi,
avanti, intorno, sotto, sopra, su, giù ecc.:
e) dovunque, ovunque, dove, ove, donde, onde, che si usano esclusivamente per
mettere in relazione due proposizioni e sono detti perciò avverbi di luogo relativi: Non so
dove può essersi nascosto.
f) Le particelle avverbiali:
- ci, vi (“qui, in questo luogo, in quel luogo”): Adoro Venezia perché ci sono nato.
- ne (“da qui, da qua, da lì, da là”): Amo la mia città e me ne allontano raramente.
2.3. Gli avverbi di tempo
Gli avverbi di tempo esprimono una determinazione di tempo.
I più comuni avverbi di tempo sono: ora, allora, adesso, ormai, subito, prima, poi,
dopo, poscia, sempre, spesso, sovente, talora, talvolta, ancora, tuttora, finora, già, mai,
presto, tardi, ieri, oggi, domani, dopodomani ecc.: Parleremo dopo di questa faccenda.
2.4. Gli avverbi di giudizio
Gli avverbi di giudizio esprimono un giudizio in forma affermativa, negativa o
dubitativa. Si distinguono in:
- avverbi di affermazione: sì, certo, certamente, esattamente, sicuro, sicuramente,
appunto, giusto, proprio, indubbiamente ecc.: Sì, Luisa è stata la prima a pettinarsi così.
- avverbi di negazione: no, non, neanche, nemmeno, neppure, mica ecc.: Non ti posso
comprare quell’abito, costa troppo.
- avverbi di dubbio: probabilmente, forse, magari (“forse”) ecc.: Credi forse che non
ti aiuteremo?; Magari non si farà neanche vedere, ma bisogna aspettarlo.
Sì. L’avverbio sì può essere usato da solo, o accompagnato da altri avverbi; serve
come risposta a una domanda: - Vieni a pescare con noi? / - Sì (= vengo a pescare con voi).
Può inoltre modificare un verbo, un aggettivo e simili: Giovanni è sì studioso, ma
molto furbo.
L’affermazione sì può essere rafforzata: con il raddoppiamento: sì, sì, ho capito; con
l’aiuto di altri avverbi affermativi: sì certo; con formule come sissignore, signorsì.
Non. In italiano, non è l’avverbio negativo per eccellenza. Quando precede il verbo
connota la frase negativa: Non ho potuto seguire l’ultima fase della gara.
Non può negare anche un solo elemento della frase, generalmente un pronome, un
aggettivo o un avverbio: Non molti ti hanno creduto; Mi sembra un film non interessante.
Nelle contrapposizioni, quando non si ripete il verbo nel secondo termine, non viene
sostituito da no: Io ho letto il libro, Maria no (= non l’ha letto).
Spesso non viene rafforzato da un elemento posposto al verbo, rispettivamente da:
- l’avverbio affatto (“per niente”, “in nessun modo”): Non ho affatto freddo.
- l’avverbio mica (“per nulla, minimanente, affatto”): Non è mica vero quello che dici.
- gli avverbi neanche, nemmeno, neppure: Non si è visto neanche oggi; Non mi piace
nemmeno quando è gentile con me; Non l’ho neppure invitato.
- i pronomi niente, nulla e il pronome o l’aggettivo nessuno: Non ho visto niente;
Non è stato fatto nulla per lui; Non è venuto nessuno; Non ho nessun desiderio di vederti.
- l’avverbio mai: Luigi non è mai stanco.
Quando sono collocati davanti al verbo, neanche, nemmeno, neppure, niente, nulla,
nessuno e mai rifiutano la presenza della negazione non: Neanche voglio vederlo; Nemmeno
mi ha guardato; Neppure Franco l’ha saputo; Nulla può convincerlo; Mai mi sarei permesso
di gridare in classe.
No. L’avverbio no può essere usato da solo e serve come risposta a una domanda: - Ti
è piaciuto lo spettacolo? / - No (= non mi è piaciuto).
No si usa pure nelle frasi che esprimono un’alternativa o una contrapposizione,
quando non si ripete il verbo nel secondo termine: Vuoi mangiare o no?; A me è piaciuto il
film, a Luigi no.
L’avverbio no può essere rafforzato: con il raddoppiamento: no no, no e poi no; con
l’aiuto degli avverbi davvero e certo: no davvero, no certo, certo che no; da formule come
nossignore.
2.5. Gli avverbi di quantità
Gli avverbi di quantità più comuni e più usati sono: molto, poco, alquanto, parecchio,
tanto, quanto, altrettanto, più, meno, troppo, nulla, niente (“per nulla”), abbastanza, quasi,
piuttosto, appena, assai (“abbastanza, sufficientemente”), almeno, affatto, così (“molto,
tanto”), minimamente, interamente ecc.: Studia molto e parla poco; Oggi ho mangiato tanto.
2.6. Gli avverbi interrogativi ed esclamativi
Gli avverbi interrogativi ed esclamativi compaiono in frasi interrogative dirette ed
esclamative, in riferimento:
- al modo: come: Come farò senza il tuo aiuto?
- al luogo: dove, ove, donde, onde: Dove ti posso rintracciare?
- al tempo: quando: Quando ti deciderai a smettere di fumare?
- alla quantità: quanto: Quanto manca alla fine della partita?
- alla causa: perché: Perché ti comporti in quel modo?
2.7. Gli avverbi presentativi
Gli avverbi presentativi sono, in realtà, uno solo: ecco; esso, però, può essere usato in
molti modi e forme diverse. Infatti, ecco si usa per presentare, annunciare, mostrare, indicare
qualcosa o qualcuno, specialmente in frasi esclamative o in frasi nominali.
Si premette:
- a verbi: Ecco, guarda cosa hai combinato!
- a nomi: Ecco il dottore.
- a pronomi personali: Ecco… io… vorrei… un gelato!; Eccoti di nuovo qui.
- ad altri avverbi: Ecco qua!
- a congiunzioni: Ecco che arriva Giorgio.
Può avere valore conclusivo: Non ne voglio più sapere, ecco!
BIBLIOGRAFIA DI BASE
Elena Pîrvu, Morfologia italiana, Bucureşti, Editura Didactică şi Pedagogică, 2003,
pp. 186-197.
Maurizio Dardano; Pietro Trifone, Grammatica italiana. Con nozioni di linguistica,
Terza Edizione, Bologna, Zanichelli Editore, 1995, pp. 382-401.
Luca Serianni (con la collaborazione di Alberto Castelvecchi), Grammatica italiana.
Italiano comune e lingua letteraria, Bologna, UTET Libreria, 1989, pp. 487-514.
TRACCIA PER LA VERIFICA FORMATIVA DEI CONTENUTI
1. Definire gli avverbi di modo.
2. Quali sono gli avverbi di luogo e come si usano?
3. Quali sono gli avverbi di tempo e come si usano?
4. Quali sono gli avverbi di giudizio e come si usano?
5. Quali sono gli avverbi interrogativi e presentativi, come si usano?
3. La preposizione
In italiano, le preposizioni si suddividono in tre categorie: preposizioni proprie,
preposizioni improprie e locuzioni prepositive.
L’italiano ha le seguenti preposizioni proprie: di, a, da, in, con, su, per, tra o fra.
Quando sono premesse direttamente al nome, al pronome, all’avverbio o al verbo che
reggono, queste preposizioni si chiamano preposizioni semplici. Quando invece sono
premesse a un articolo determinativo, come abbiamo visto parlando dell’articolo, si uniscono
con esso dando luogo alle cosiddette preposizioni articolate: del, dello, della, dell’ ecc.
Con le preposizioni tra, fra non si formano preposizioni articolate.
Nell’italiano attuale non si formano preposizioni articolate neppure con per.
Le preposizioni articolate formate da con sono poco usate, tranne col, ancora comune.
Le preposizioni improprie sono parole che, pur appartenendo ad altre parti del
discorso, a seconda del contesto, possono assumere il ruolo di preposizioni. Fanno parte delle
preposizioni improprie:
- aggettivi: salvo, secondo, lungo ecc.: Ho passeggiato lungo la via Veneto.
- avverbi: prima, dopo, davanti, avanti, dietro, dentro, oltre, fuori, sopra, sotto,
presso, contro, insieme ecc.: Verrò da te dopo le otto; Dietro la casa c’è un parco immenso.
- verbi al participio presente o passato: durante, mediante, rasente, nonostante,
escluso, eccetto, dato ecc.: Nonostante le tue riserve l’affare si concluderà.
Le locuzioni preposizionali sono gruppi di due o più parole usate come preposizioni:
in mezzo a, allo scopo di, in faccia a, in luogo di, per causa di, vicino a, invece di ecc.: Invece
di piangere trova una soluzione; Lo avvisai per mezzo del telefono.
3.1. La preposizione di
La preposizione di (può elidersi davanti ad altra vocale, in particolare davanti a i:
d’inverno, d’un tratto, d’accordo) “specifica” la parola che segue nel senso più ampio: È
indispensabile nutrirsi di pane; Alcuni di noi partiranno subito.
Seguita da un verbo all’infinito, introduce le seguenti subordinate implicite:
- soggettiva: Si prega di chiudere la porta.
- oggettiva: Spero di arrivare in tempo.
- dichiarativa: Per fortuna ho avuto la possibilità di avvertirti in tempo.
- causale: Mi dispiace di essermi comportato male con te.
- finale: Ti prego di evitare commenti.
- consecutiva: È degno di essere premiato.
La preposizione di serve anche per formare:
- locuzioni prepositive: prima di, dopo di, fuori di, invece di, in luogo di ecc.;
- locuzioni avverbiali: di là, di sopra, di sotto, di recente, di nascosto, di rado ecc.;
- locuzioni congiuntive: di modo che, dopo di che ecc.
3.2. La preposizione a
La preposizione a (davanti ad altra vocale, in particolare davanti ad a si può avere la
forma ad, con d eufonica) indica la direzione di un movimento, sia reale sia figurato, o il
punto di arrivo del movimento. È pure la preposizione specifica del complemento di termine
(che in romeno ha come corrispondente il complemento indiretto in dativo): Porterò i tuoi
saluti a mio padre; La mia famiglia vive a Craiova.
Seguita da un infinito, può introdurre le seguenti subordinate implicite:
- causale: Hai sbagliato a non venire sabato.
- finale: Verrò di persona a salutarti.
- condizionale: A pensarci bene, non ci sto.
- temporale: A sentirlo dire così, non ci ho visto più.
- limitativa: A guardarlo, sembrerebbe perfetto.
- condizionale: A pensarci bene, non ha tutti i torti.
- relativa: È stato l’unico a riuscire nell’impresa.
La preposizione a serve anche a formare:
- locuzioni prepositive: fino a, vicino a, davanti a, dietro a, a seguito di ecc.;
- locuzioni avverbiali: a caso, a poco a poco, a mano a mano, a uno a uno ecc.
3.3. La preposizione da
La preposizione da indica un concetto di provenienza, di distacco e allontanamento,
sia reale sia figurato. È pure la preposizione specifica del complemento d’agente: È stato
mandato da Paolo; È stato abbagliato da una luce.
La preposizione da si elide solo in pochi casi: d’ora in poi, d’altronde, d’altro canto.
In altri casi si unisce alla parola che segue raddoppiandone la consonante iniziale: da bene 
dabbene, da vero  davvero, da capo  daccapo, da che  dacché ecc.
Seguita da un infinito, può introdurre le seguenti subordinate implicite:
- consecutiva: È stato tanto abile da rimontare e vincere la partita.
- finale: Dammi qualcosa da mangiare.
- limitativa: I problemi di geometria sono divertenti da risolvere.
- relativa: Ho un vestito da smacchiare.
La preposizione da serve anche a formare:
- locuzioni prepositive: da parte di, fuori da, fino da, di qua da, di là da ecc.;
- locuzioni avverbiali: da vicino, da lontano, da capo, da meno ecc.
3.4. La preposizione in
La preposizione in indica la posizione, reale o figurata, nello spazio e nel tempo:
Studio in biblioteca; Vado spesso in campagna.
Seguita da un infinito (l’infinito rifiuta la preposizione semplice in, ma richiede la
preposizione articolata), la preposizione in può introdurre la subordinata implicita temporale:
I genitori soffrono nel vedere i figli allontanarsi.
La preposizione in serve anche a formare:
- locuzioni prepositive: in compagnia di, in seguito a, in relazione a, in base a ecc.;
- locuzioni avverbiali: in qua, in là, in giù, in su, in basso, in alto, di volta in volta ecc.
3.5. La preposizione con
La preposizione con indica l’idea di unione o partecipazione. Indica pure un rapporto
di carattere strumentale: È uscito con una valigia in mano; Vado in vacanza con il mio amico.
Seguita da un infinito (l’infinito rifiuta la preposizione semplice con, ma richiede la
preposizione articolata), la preposizione con può introdurre la subordinata implicita modale:
Col passar del tempo, la questione si chiarirà.
3.6. La preposizione su
La preposizione su indica fondamentalmente “contiguità, approssimazione” e
“posizione superiore”: Ho dimenticato i guanti sul tavolo.
La preposizione su si usa pure in varie locuzioni avverbiali: sul momento, sul tardi, sul
far del giorno, sul serio, su due piedi ecc.
3.7. La preposizione per
La principale funzione della preposizione per è quella di introdurre il “tramite”
attraverso cui si svolge l’azione, in accezione locativa, strumentale, modale ecc.: Esci per la
porta dietro; Luigi è partito per Roma.
Seguita da un infinito, può introdurre le seguenti subordinate implicite:
- finale: Cambiai atteggiamento per non aggravare la situazione.
- consecutiva: È troppo piccolo per lavorare.
- causale: Si è sentito male per aver bevuto troppo.
Seguita da un infinito seguito dall’espressione che faccia o che facesse o da un
aggettivo seguito da che sia, che sembri, che appaia, introduce la subordinata concessiva
esplicita: Per mangiare che faccia, Giorgio rimane magro come un chiodo.
La preposizione per serve anche a formare:
- locuzioni avverbiali: per l’appunto, per sempre, per lungo, per poco, per caso ecc.;
- locuzioni congiuntive: per la qual cosa, per quanto, per il fatto che ecc.
3.8. Le preposizioni tra e fra
Le preposizioni tra e fra indicano una posizione intermedia, nello spazio e nel tempo,
tra due elementi. Per questo sono spesso correlate alla congiunzione e: Tra l’ufficio e casa
mia ci sono pochi minuti di macchina.
Le preposizioni tra e fra si usano pure in varie locuzioni avverbiali: tra/fra poco,
tra/fra l’altro, tra/fra non molto, tra/fra breve ecc.
BIBLIOGRAFIA DI BASE
Elena Pîrvu, Morfologia italiana, Bucureşti, Editura Didactică şi Pedagogică, 2003,
pp. 199-208.
Maurizio Dardano; Pietro Trifone, Grammatica italiana. Con nozioni di linguistica,
Terza Edizione, Bologna, Zanichelli Editore, 1995, pp. 402-424.
Luca Serianni (con la collaborazione di Alberto Castelvecchi), Grammatica italiana.
Italiano comune e lingua letteraria, Bologna, UTET Libreria, 1989, pp. 327-357.
TRACCIA PER LA VERIFICA FORMATIVA DEI CONTENUTI
1. Come si classificano le preposizioni?
2. Indicare le funzioni della preposizione di.
3. Indicare le funzioni della preposizione a.
4. Indicare le funzioni della preposizione da.
5. Indicare le funzioni delle preposizioni in, con, su, per, tra e fra.
4. La congiunzione
La congiunzione è la parte invariabile del discorso che serve a collegare due parole di
una proposizione coordinandole, oppure due proposizioni coordinandole o subordinandole.
Rispetto alla loro forma, le congiunzioni possono essere:
– semplici, se sono formate da una sola parola: e, o, né, ma, se, come, che, anche,
quando, mentre, però, quindi ecc.;
– composte, se sono formate dalla fusione di due o più parole: cioè, perciò, oppure,
poiché, affinché, sebbene, neanche, nemmeno, neppure, nondimeno ecc.;
– locuzioni congiuntive, se sono formate da due o più parole scritte separatamente:
visto che, in quanto a, dal momento che, di modo che, ogni volta che, anche se ecc.
Rispetto alla funzione sintattica, le congiunzioni si dividono in:
- congiunzioni coordinative o coordinanti, quelle che uniscono proposizioni o parti
di proposizione sintatticamente equivalenti: Mario e Giorgio frequentano la stessa classe.
- congiunzioni subordinative o subordinanti, quelle che collegano due proposizioni
stabilendo un rapporto di subordinazione per cui una dipende sintatticamente dall’altra: È
pallido che pare un lenzuolo; Non so nulla perché non ho letto il giornale.
4.1. Le congiunzioni coordinative
In base al tipo di rapporto che stabiliscono tra gli elementi che collegano, le
congiunzioni coordinative si suddividono in:
- copulative: sono quelle che hanno la funzione esclusiva di collegamento: e, anche,
inoltre, pure, né, neppure, neanche, nemmeno ecc.: Mangia di tutto, anche la plastica.
- disgiuntive: collegano due elementi di cui uno esclude l’altro ponendo
un’alternativa: o, oppure, ovvero, ossia, altrimenti ecc.: Vuoi latte o limone nel tè?
- avversative: indicano una contrapposizione: ma, però, tuttavia, nondimeno, pure,
eppure, anzi, piuttosto, invece ecc.: Abito in una casa vecchia ma comoda.
- dichiarative o esplicative: introducono una parola o una proposizione che spiega o
precisa quanto si è detto precedentemente: cioè, ossia, infatti, invero, vale a dire ecc.: Sono
andato a trovarlo due giorni fa, ossia lunedì.
- conclusive: indicano una conclusione, una conseguenza di ciò che si è detto prima: e,
dunque, quindi, pertanto, perciò, allora ecc.: Volete una spiegazione e io ve la darò.
- correlative: indicano relazione reciproca tra due parole o due proposizioni: e... e,
sia... sia, sia che... sia che, o... o, né... né ecc.: Ho acquistato sia la moto sia la bicicletta.
4.2. Le congiunzioni subordinative
In base al loro senso e, quindi, al tipo di collegamento che stabiliscono fra la
proposizione subordinata e la reggente, le congiunzioni subordinative si suddividono in:
- dichiarative: introducono un’affermazione: che, come: Mi consola la certezza che
un giorno tornerai.
- finali: introducono una proposizione che indica lo scopo per cui avviene l’azione
espressa dalla reggente: perché, affinché, acciocché ecc.: Controlla che non combini guai.
- causali: introducono una proposizione che indica la causa di ciò che è espresso nella
reggente: perché, poiché, giacché, siccome, che, visto che, per il fatto che ecc.: Giacché non
vuoi giustificarti, ti proibisco di uscire.
- condizionali: introducono una proposizione che indica la condizione necessaria
perché avvenga l’azione espressa nella reggente: se, purché, qualora, quando, a condizione
che, a patto che, nel caso che, supposto che ecc.: Ti ascolterò, se mi dirai la verità.
- concessive: introducono una proposizione che indica la circostanza nonostante la
quale si compie l’azione espressa nella reggente: sebbene, nonostante, benché, quantunque,
anche se, seppure, nonostante che ecc.: La gita fu rimandata, sebbene il tempo fosse bello.
- consecutive: introducono una proposizione che indica la conseguenza di quanto si
afferma nella reggente (in cui, il più delle volte, si trova un termine correlativo): (tanto)... che,
(a tal punto)... che, (tale)... che ecc.: Va così veloce che sembra una freccia.
- temporali: introducono una proposizione che indica le circostanze temporali
dell’azione espressa nella reggente: quando, mentre, finché, come, appena che, ogni volta che,
prima che, dopo che, fino a che ecc.: Resto a casa fino a quando non smette di piovere.
- comparative: introducono una proposizione che costituisce un secondo termine di
paragone: (così)... come, (piuttosto)... che, (più)... che, (meglio)... che, (meno)... che,
(altrimenti)... che ecc.: Mi piace di più dipingere che disegnare.
- modali: introducono una proposizione che indica il modo in cui si compie l’azione
espressa nella reggente: come, come se, quasi, nel modo che ecc.: Decidi come meglio credi.
- avversative: introducono una proposizione che esprime un’azione contrapposta a
quanto si afferma o avviene nella reggente: mentre, quando, laddove, anziché ecc.: Lo
credevo onesto, mentre si è dimostrato un bugiardo.
- limitative: introducono una proposizione che esprime una limitazione a quanto
espresso nella reggente: che, per quanto, in quanto a ecc.: Che io sappia, sono già partiti.
- eccettuative: introducono una proposizione che esprime un’eccezione rispetto a
quanto si afferma nella reggente: fuorché, salvo che, tranne che, eccetto che, a meno che ecc.:
Non lo farò, a meno che non vi sia obbligato.
- esclusive: introducono una proposizione nella quale si esclude qualcosa da ciò che è
affermato nella reggente: senza che: Prese una decisione, senza che ne sapessimo nulla.
- interrogative indirette: introducono una proposizione che esprime una domanda o
un dubbio: se, come, quando, quanto ecc.: Desidero sapere se interverrai alla cerimonia.
BIBLIOGRAFIA DI BASE
Elena Pîrvu, Morfologia italiana, Bucureşti, Editura Didactică şi Pedagogică, 2003,
pp. 210-214.
Maurizio Dardano; Pietro Trifone, Grammatica italiana. Con nozioni di linguistica,
Terza Edizione, Bologna, Zanichelli Editore, 1995, pp. 425-431.
Luca Serianni (con la collaborazione di Alberto Castelvecchi), Grammatica italiana.
Italiano comune e lingua letteraria, Bologna, UTET Libreria, 1989, pp. 359-365.
TRACCIA PER LA VERIFICA FORMATIVA DEI CONTENUTI
1. Come si classificano le congiunzioni secondo la forma?
2. Come si classificano le congiunzioni secondo la funzione?
3. Come si suddividono le congiunzioni coordinative?
4. Come si suddividono le congiunzioni subordinative?
5. L’interiezione
L’interiezione o esclamazione è la parte invariabile del discorso che esprime in
forma immediata un sentimento, uno stato d’animo, una preghiera, un saluto, un richiamo.
In italiano, le interiezioni si suddividono in tre categorie: interiezioni proprie (o
semplici, o primarie), interiezioni improprie (o secondarie) e locuzioni interiettive (o
esclamative).
Le interiezioni proprie sono quelle che hanno sempre e soltanto la funzione di
interiezione:
- ahi, ahimè, ohi (indicano sofferenza fisica o morale): Ohi, che dolore!
- uff, uffa (indicano noia, fastidio): Uff, ancora quel discorso!
- boh, bah, ehm, uhm, mah, ma (indicano dubbio, incertezza, rassegnazione): Boh, che
vuoi, è sempre così.
- ah, oh, eh, uh, ih (indicano disappunto, dolore, sorpresa, gioia, ilarità): Oh, che
regalo bellissimo.
- urrà, urrah, hurrá (indicano gioia): Urrà, siamo entrati in finale!
- oh, toh (indicano sorpresa): Oh, che bella sorpresa!
- st, sst, ssst, sss (usate per zittire o richiamare qualcuno): Sss, basta parlare!
- ehi, ps, pst, pss (usate per richiamare l’attenzione di qualcuno): Ps, voi due!
- deh (indica preghiera, esortazione): Deh, spiriti dell’aria e dell’acqua.
- beh, be’ (apocope di bene, usate per troncare, introdurre, interrogare): Beh, vogliamo
muoverci?
- puah (indica disgusto): Era un intruglio disgustoso! Puah!
- sciò (usata per scacciare animali): Sciò, zanzare malefiche!
- alt, marsc’ (usate per dare un ordine) ecc.
Le interiezioni improprie sono parole che appartengono comunemente ad altra
categoria (nomi, verbi, aggettivi, verbi, avverbi ecc.) usate come interiezioni per diversi scopi:
- verme!, cane!, maiale!, bestia!, animale! ecc., usate per insultare;
- vieni!, vai!, zitto!, taci!, basta!, fuori! ecc., usate per ordinare;
- dai!, vai!, suvvia!, coraggio!, andiamo!, animo!, forza! ecc., usate per esortare;
- pietà!, perdono!, scusi!, scusa!, usate per pregare;
- giusto!, bene!, bravo!, esatto!, usate per apprezzare;
- male!, sbagliato!, vergogna!, scusa!, usate per biasimare.
Le locuzioni interiettive sono gruppi di parole che assumono valore esclamativo:
Santo Cielo!, Per carità!, Dio mio!, Per l’amor di Dio!, Al ladro!, Al fuoco!, Ci mancherebbe
altro!, Porca miseria!, Siamo fritti! ecc.: Uh, Santo Cielo! Ho dimenticato la pizza in forno!;
Mamma mia, che spavento!
5.1. Onomatopee
Le onomatopee sono espressioni che imitano e riproducono versi di animali, suoni e
rumori: miao, bau, toc-toc, cip cip, drin, din don, tic tac, bum! ecc.
Le onomatopee sono spesso usate in forma nominale e, in qualità di sostantivi,
possono essere precedute dall’articolo o da una preposizione (semplice o articolata): Il tic tac
dell’orologio mi ossessiona; I miei canarini cantano il loro cip-cip allegro.
BIBLIOGRAFIA DI BASE
Elena Pîrvu, Morfologia italiana, Bucureşti, Editura Didactică şi Pedagogică, 2003,
pp. 216-217.
Maurizio Dardano; Pietro Trifone, Grammatica italiana. Con nozioni di linguistica,
Terza Edizione, Bologna, Zanichelli Editore, 1995, pp. 432-434.
Luca Serianni (con la collaborazione di Alberto Castelvecchi), Grammatica italiana.
Italiano comune e lingua letteraria, Bologna, UTET Libreria, 1989, pp. 367-378.
TRACCIA PER LA VERIFICA FORMATIVA DEI CONTENUTI
1. Come si classificano le interiezioni?
2. Definire le interiezioni proprie e spiegare le loro caratteristiche e funzioni.
3. Definire le interiezioni improprie e spiegare le loro caratteristiche e funzioni.
4. Cosa sono le locuzioni interiettive?
5. Definire le onomatopee e spiegare le loro caratteristiche e funzioni.
RICAPITOLAZIONE
1. Cosa sono i verbi predicativi e quelli copulativi?
2. Come si costruisce la forma passiva del verbo?
3. Come si classificano i verbi riflessivi?
4. Descrivere ed indicare l’uso dei verbi impersonali.
5. Descrivere l’uso dei verbi ausiliari.
6. Descrivere la concordanza del participio passato con l’ausiliare essere.
7. Descrivere la concordanza del participio passato con l’ausiliare avere.
8. Descrivere l’uso dei verbi servili.
9. Definire i verbi fraseologici ed indicare gli ambiti di significato che esprimono.
10. Descrivere l’uso dei verbi causativi.
11. Specificare quali sono i tempi dell’indicativo e come si usano.
12. Specificare quali sono i tempi del congiuntivo e come si usano.
13. Specificare quali sono i tempi del condizionale e come si usano.
14. Definire cos’è l’imperativo e come si usa.
15. Spiegare cosa sono i modi indefiniti, indicare quali sono e come si usano.
16. Qual è la posizione dell’avverbio?
17. Descrivere gli avverbi derivati.
18. Definire e descrivere gli avverbi di modo.
19. Quali sono gli avverbi di luogo e come si usano?
20. Quali sono gli avverbi di tempo e come si usano?
21. Quali sono gli avverbi di giudizio e come si usano?
22. Quali sono gli avverbi interrogativi e presentativi, come si usano?
23. Come si classificano le preposizioni?
24. Indicare le funzioni della preposizione di.
25. Indicare le funzioni della preposizione a.
26. Indicare le funzioni della preposizione da.
27. Indicare le funzioni delle preposizioni in, con, su, per, tra e fra.
28. Come si classificano le congiunzioni secondo la forma?
29. Come si classificano le congiunzioni secondo la funzione?
30. Come si suddividono le congiunzioni coordinative?
31. Come si suddividono le congiunzioni subordinative?
32. Come si classificano le interiezioni?
33. Definire le interiezioni proprie e spiegare le loro caratteristiche e funzioni.
34. Definire le interiezioni improprie e spiegare le loro caratteristiche e funzioni.
35. Cosa sono le locuzioni interiettive?
36. Definire le onomatopee e spiegare le loro caratteristiche e funzioni.
*
*
*
*
*
Gli esercizi dal volume Elena Pîrvu, Morfologia italiana, Bucureşti, Editura Didactică
şi Pedagogică, 2003, pp. 241-269.