La preghiera per la pace Chi ha dimestichezza con la preghiera liturgica potrebbe essere assalito spesso da una specie di "schizofrenia" spirituale. Infatti i testi biblici di cui è tessuta tutta quella pre-ghiera pongono frequentemente sulle labbra dell'orante esultanti espressioni di giubilo per i doni e le opere di Dio - in particolare per quello della pace, lo shalom ebraico, pienezza di realizzazione, di felicità e di pace - e per le sue meravigliose promesse di salvezza, di liberazione dal male, di vittoria su tutti i "nemici", di libertà e comunione piena con Dio e con i fratelli....Quelle parole sono spesso in dolorosa dissonanza con la realtà della storia grande e piccola, del passato e del presente, con le minacce del futuro... Dopo 2000 anni di cristianesimo, dopo la redenzione operata dalla Pasqua di Cristo Si-gnore e attualizzata ogni giorno nell'azione liturgica, quella Pasqua in cui hanno trovato compimento tutte le divine promesse che si riassumevano nella signoria di Dio, rifiutata da Adamo e finalmente riaffermata in modo definitivo nel Regno inaugurato dal Signore Risorto, di tutto questo splendore cosa appare sullo scenario del nostro mondo? La pace, strettamente collegata in molti testi biblici proprio con il Regno: primo pro-grammatico annuncio sulla grotta di Betlehem (Lc 2,14); nuovo saluto del Risorto ai suoi in ogni sua apparizione (Gv 20,19.26 ); sintesi di quanto la sua Pasqua ha operato; dono ereditario promesso da Gesù nell'ultima cena (Gv 14,27 ), è forse come un mirag-gio del deserto che si profila all'orizzonte e mai si raggiunge? Pregare per la pace! Ma che senso ha oggi? Come rispondere a così inquietanti interro-gativi che scaturiscono da interiore sofferenza, perché la pace è profondo, ineludibile anelito del cuore umano. Perché continuare a pregare anche ad Assisi il 24 Gennaio, mentre si aprono nuovi e più inquietanti scenari di guerra, nonostante si sia già tanto e dappertutto pregato per la pace dopo quel tragico 11 Settembre? Come rispondere a noi stessi e a chi ci domanda ragione della "speranza" che come cristiani dobbiamo continuare a testimoniare? Nella Storia della Salvezza - VT e NT - c'è una dimensione spesso ignorata e più spesso ancora disattesa o incompresa: l'escatologia, cioè lo sbocco finale della storia umana. Infatti tutte le varie tappe della Storia della Salvezza hanno una struttura "aperta", nel senso che mai nessuno degli avvenimenti, e ancor più delle promesse di Dio al suo po-polo, hanno trovato pieno compimento. La realizzazione è stata, è sempre parziale, incompiuta; rimanda sempre ad un "futuro", il futuro della pienezza del progetto salvifico di Dio, che troverà il suo termine definitivo soltanto nell' "èscaton" finale della sto-ria, quando la Salvezza non sarà più Storia, perché sfocerà nell'eternità. La promessa, il dono della pace, anche dopo la Pasqua del Signore non fa eccezione a questa struttura dell'economia divina. In definitiva, anche la pace è soggetta alla tensione dialettica del "già e non ancora": già donata, ma non ancora in modo definitivo; quindi sempre soggetta alla fragilità, all'incoerenza degli uomini, destinatari di quel do-no, e alle oscure insidie del Maligno, l'autore ultimo, misterioso ma tanto reale di ogni forma di male, guerra compresa. Se questa è l'economia della Storia della Salvezza, così voluta dalla sapienza d'amore del nostro Dio, la fede è l'unica lampada capace di orientare e rassicurare il nostro cam-mino. Anche la preghiera dovrà sostanziarsi di fede, cioè di fiducioso abbandono al-l'imperscrutabile sapienza del Padre, che unicamente vuole il bene delle sue creature da sempre e per sempre amate. A cura delle Benedettine di Citerna (Perugia)