Relazione - Centro Culturale Margarita

Relazione
6° Congresso Internazionale Danze Orientali
Dal tema
“DANZE ORIENTALI TRA CABARET E TEATRO”
A cura della Direzione Artistica
Maria Rita Gandra “Margarita”
1
TEATRODANZA & COREOGRAFIA
Storiografia e Approccio Metodologico nelle Danze Orientali
A cura di Maria Rita Gandra “Margarita”
TERMINOLOGIA E STORIA
Analisi del termine “ Coreografia”
Il termine Coreografia deriva dal greco choréía <danza> - gráphein < scrivere> e appare nel sec XVI per
indicare appunto la scrittura o notazione della danza cioè un sistema di simboli grafici che rappresenta i
movimenti dei ballerini ed i loro spostamenti nello spazio.
Sul finire del Settecento il termine comincia ad essere usato con il significato attuale di invenzione
dell’insieme di passi, movimenti e figurazioni che compongono un balletto.
La Coreografia è l’essenza stessa di un balletto occidentale, ne costituisce la struttura ed il disegno. Per
questo motivo verrà applicata non solo alle formazioni di balletto artistico ma anche a quelle dei balli di
gruppo coreografati in semplici forme per non professionisti e per un largo pubblico, che hanno
caratterizzato la tendenza sviluppata a partire dal 1950 nelle società occidentali ed in modo particolare in
Italia.
Il Coreografo, cioè l’inventore della coreografia, è l’autore di un balletto o formazione coreografica, così
come un compositore è autore della sua musica o un autore drammatico della sua tragedia. Tuttavia sul
piano filologico la coreografia non è propriamente il balletto o formazione coreografica.
Il balletto e la formazione coreografica (cioè la danza come tale) si uniscono alla scenografia,
composta dai costumi, le luci, le soluzioni teatrali o d’ambientazione, mentre la regia coordina il
tutto.
Sul piano estetico è praticamente impossibile e forse sbagliato distinguere in maniera precisa tale idea
globale di balletto o formazione coreografica dalla coreografia ad essi legata.
Fin dagli inizi della storia del balletto che avvenne nel ‘700, il coreografo, chiamato anche ‘inventore di
balli’ già nelle corti del ‘500, è anche operativamente il regista cioè l’ideatore dello spettacolo in tutti i suoi
aspetti. Inoltre, oggi come ieri, è il coreografo a dare indicazioni allo scenografo e perfino al compositore
quando si tratta di musica originale composta per un determinato balletto. L’importanza della figura del
coreografo non è mai stata messa in discussione.
Per quanto riguarda la nascita della Coreografia nelle Danze Orientali dobbiamo attendere la metà del ‘900
ed in modo particolare il 1956, anno in cui viene consacrata la nascita della Prima Compagnia
Folcloristica dell’Egitto, la leggendaria “Reda Troup”, il cui fondatore Mahmoud Reda presenta
coreografie Raq Sharqi & Folcloristiche in ambito teatrale.
2
L’ istituzionalizzazione della Danza Orientale avviene però nel primo grande locale di musica tradizionale
egiziana, il “Casino Badia”, primo luogo di esibizione di danzatrici professioniste.
Questo “Cabaret “ su modello di quelli europei è realizzato al Cairo nel 1926 ad opera di Badia Mansabni.
Danzatrice di origine libanese, elabora per prima la sequenza coreografica nella danza che fino ad allora si
basava sulla libera improvvisazione delle singole danzatrici. Si crea quindi un nuovo tipo di danzatrice
orientale moderna, diversa dall’alma e dalla gawazy.
Agli inizi dell’900 si comincia a far conoscere la Danza Orientale nella sua forma Raq Sharqi attraverso
apparizioni in contesti internazionali, affascinando e suscitando stupore e curiosità così da essere imitata e
introdotta nei paesi occidentali in breve tempo. La fiorente industria cinematografica egiziana degli anni ’40 e
il cinema hollywoodiano hanno inoltre un ruolo fondamentale come veicolo di diffusione della Danza
Orientale. E’ di origine occidentale anche l’uso del termine Belly Dance  Danza del Ventre per designare
questa danza, e sempre di origine americana l'uso del costume "spezzato", gonna e corpetto con la pancia
che rimane scoperta, per esaltare il movimento del bacino.
La differenza che intercorre tra l’ambientazione coreografica in un Cabaret e in un Teatro è comunque
sotanziale:
Il CABARET si caratterizza per la presenza del pubblico attorno alla danzatrice situata in uno spazio scenico
a 180° ed addiritura a 360°, creando una sorta di rapporto diretto tra pubblico e danzatrice che definisce e
connota ampiamente il genere nel corso di tutto il secolo.
Il TEATRO invece al contrario pone la danzatrice su uno spazio scenico distaccato dal pubblico, in cui la
fruizione dello spettatore avviene con un unico punto di vista frontale o al massimo a 180°; in un “altro”
luogo, creando un’atmosfera a volte mistica, surreale, animista o eroica a seconda dei posizionamenti della
dantrice/danzatore nello spazio scenico. Inoltre la caratteristica dello spettacolo in teatro è quella che la
Danza Orientale viene vista in modo allargato e non ristretta alla sola esibizione femminile solista.
LA SCRITTURA COREOGRAFICA
Analisi del sistema di simboli grafici e semantici che rappresentano i movimenti dei ballerini in
rapporto ai loro spostamenti spaziali.
Molti coreografi occidentali di Danza Moderna & Contemporanea tra cui K.McMillan, J.Robbins e M.Béjart,
tendono a creare una coreografia o singole parti di una coreografia in base alle peculiari qualità espressive
di determinati ballerini. Ci sono invece coreografi che procedono per appunti grafici: idee fermate sulla carta,
magari in maniera essenziale, per essere in seguito verificate in studio (per es. Cunningham).
Altri come G.Balanchine lavorano prevalentemente sulle partiture musicali, usando i danzatori come
strumenti e dando alle loro opere un perfetto senso orchestrale, come per Agon su musica di Stravinskiy:
questo però rende il balletto inadatto all’inserimento di personalità fortemente individualistiche.
Nelle Danze Orientali la scrittura coreografica, oggi come nella tradizione degli anni ’50 della Reda
Troupe, è estremamente legata ed in simbiosi con la musica, tanto che come dice Hossam Ramzy: “ la Danzatrice non deve fare né più né meno di ciò che la musica suggerisce”.
3
Tuttavia ciò che dice la musica araba non ha una codifica precisa ma è legata alla sua Interpretazione
Melodica & Ritmica.
Uno dei principali problemi della scrittura coreografica è quello della notazione cioè della registrazione dei
movimenti dei ballerini o danzatori, dei loro spostamenti spaziali, dei ritmi, ecc..
Fra i primi tentativi organici di notazione coreografica nel Rinascimento Europeo va ricordato quello adottato
da Th.Arbeau nel suo trattato Orchésographie scritto nel 1588. Assai più completo il metodo di M. Feuillet
in Coreografia o Arte della Danza del 1700, che viene ripreso e perfezionato da altri studiosi del periodo
Illuminista.
In tempi più recenti hanno avuto importanza i metodi di V.Stepanov con l’Alfabeto dei movimenti del
corpo umano del 1892 oltre a quello di R.von Laban , Labanotation. Infine è sicuramente di utile aiuto il
Metodo Vaganova sulle posizioni del danzatore nello spazio.
Oggi la notazione coreografica scritta è ampiamente superata dalle riprese video o cinematografiche.
Queste presentano tuttavia il problema di dover filmare, allo stesso tempo, i particolari e l’insieme; inoltre vi
sono angolazioni di ripresa che possono rivelarsi ingannevoli prospetticamente ed esiste sempre il problema
dell’appiattimento dato dalle due dimensioni.
LA COSTRUZIONE COREOGRAFICA
Metodologia della costruzione di una coreografia “tipo” e delle sue derivate “disciplinari” .
La centralità del corpo umano è uno dei presupposti teorici per la formulazione di una definizione
concettuale e simbolica della danza. La nuova danza del XX sec. può darci un corpus filosofico
compiuto grazie al fatto che interpreta una questione radicale di tutta la cultura occidentale: come
riconoscere l’Essere all’uomo di fronte alla finitezza del suo corpo.
La Danza Moderna & Contemporanea prima da una parte e le Danze Orientali poi, hanno dato già nel ‘900
le basi per un’arte coreografica in cui la centralità del corpo è in prima istanza. La differenza sostanziale stà
nel fatto che nella danza moderna & contemporanea il corpo è NEUTRO e assessuato, mentre nelle danze
orientali il corpo nella sua fisicità è SESSUATO, maschile o femminile, con le proprie caratteristiche
espressive e peculiarità.
Riportare l’essere all’uomo significa anche ritrovare nell’uomo il carattere divino che lo distingue, la sacralità
dell’Essere, recuperando antichi miti ancestrali di origine orientale. Non c’è da meravigliarsi dunque se una
delle più antiche arti è quella del movimento: la danza. Con caratteristiche diverse essa fiorisce dappertutto.
Le sue origini si perdono nella preistoria più remota: molto prima che la danza evolvesse negli stili di un’arte
complessa, l’uomo trae diletto a flettersi e scuotersi, a girare su se stesso, a divertirsi con passi artefatti, a
pestare i piedi aritmicamente, proprio come fanno i bambini anche oggi.
Consapevole del moto di potenti forze della natura, il primitivo esibisce a sua volta movimenti nella speranza
che tale imitazione quieti quelle forze terribili o anche nella pretesa di dar prova di un’analoga abilità
dinamica, capace di un sopravvento su di esse.
4
I cacciatori danzano prima di mettersi sulle tracce di una possibile preda, i guerrieri danzano prima di
affrontare il combattimento, l’intera tribù danza per esorcizzare gli spiriti maligni e propiziarsi agli dei. C’erano
danze per stimolare la pioggia, per festeggiare il raccolto (della fertilità), danze in onore delle nascite,
dell’avvento della pubertà (iniziazione), per i matrimoni, per ossequiare la morte ed il suo trapasso.
Tutte le grandi civiltà hanno creato danze proprie con l’elemento fondamentale della danza: il movimento del
corpo nello spazio.
Ma poiché il corpo ha una vastissima gamma di movimenti, questi possono essere espressi ed interpretati
con delle profonde differenze da cultura a cultura. Per facilitare la nostra comprensione potremmo
suddividere le diverse “forme” di danza nel mondo in tre grandi gruppi, in base alle civiltà:
1. Danza Occidentale
2. Danza Orientale
3. Danza Africana e Primitiva
Ognuna di queste forme viene connotata da una struttura base di postura, portamento, coordinazione e da
dinamiche del movimento corporale in relazione a “sé stesso”, alla rappresentazione “visuale coreografica”
intesa come immagine vista in senso pittorico bidimensionale e alla rappresentazione “spaziale coreografica”
tridimensionale.
L’INVENZIONE COREOGRAFICA NELLA DANZA
Morfologia della struttura coreografica intesa come “invenzione” di un insieme di passi, movimenti e
figure che compongono un balletto.
Larghissima parte dell’universo è in movimento. Nello spazio esterno i pianeti girano attorno al sole. Anche il
nostro pianeta, la Terra, segue l’orbita e gira contemporaneamente sul proprio asse, secondo un sistema di
simmetria ripetuta dall’atomo dove elettroni in rivoluzione ruotano contemporaneamente intorno a un nucleo
di protoni e neutroni.
Per forza d’istinto, i corpi umani si mettono in sincronia con il moto perenne del cosmo, movendosi a
loro volta senza una meccanica razionale:
a. Indietreggiamo per paura
b. Alziamo le mani in atteggiamento di sorpresa
c. Abbracciamo con gesto primitivo e logicamente non spiegabile qualcuno che ci è caro
d. Esprimiamo gioia ed euforia
Tutto ruota attorno a noi: assistiamo al ricorrente passare delle stagioni, all’inesorabile parabola della vita,
dalla nascita alla maturità, alla vecchiaia e alla morte. La vita stessa è movimento.
La filosofia nietzscheana ci consente di mettere in luce i parametri culturali che silenziosi scorrono dietro la
nascita della danza.
La necessità di tale filosofia è quella di rompere con una cultura focalizzata su qualcosa “fuori” dal
corpo esprimendosi con estrema determinazione.
5
La nuova umanità riconosce al proprio corpo il senso universale della vita.
All’alba di questa svolta epocale si situa un cambiamento culturale che considera l’uomo a partire da
quello che egli è innanzitutto, vale a dire corpo.
In tal senso tanto Nietzsche quanto la Nuova Danza sono interessati all’incontro dell’Essere e dell’uomo in
seno al principio vitale del corpo.
Molti coreografi evocano la presenza del Dio nel corpo di colui che balla; il filosofo tedesco afferma invece di
credere solamente in un dio che sappia danzare, secondo il principio cosmico della tradizione induista che
va sotto il nome di Shiva: dio/dea della danza che con il suo continuo incalzare simboleggia la creazione e
la distruzione di ogni cosa ponendosi all’incrocio di vita e morte per riassumerli in un unicum cioè in un solo
principio portante, quello di essere = movimento.
Nel dialogo socratico “L’anima e la danza” (1921), sulla falsariga del Simposio di Platone, Paul Valéry fa
interagire tre personaggi: Socrate, Fedro ed Erissimaco, i quali s’interrogano e discutono sull’essenza della
danza. Davanti al volteggiare di “un coro alato di danzatrici” spicca “Athikte, la danzatrice sorprendente e
suprema” che Socrate ammira convincendosi del fatto che “quel piccolo essere dà da pensare”. Con questa
affermazione Valéry individua una rilevanza filosofica che più tardi rinforza in una conferenza che
pronuncerà in occasione della presentazione dello spettacolo di danza spagnola della danzatrice
L’Argentina, nella quale il filosofo poeta torna ad interrogarsi sulla danza.
In questo splendido dialogo Valéry individua il proprio della danza in un esperire del corpo, segreto ed
ineffabile, nel quale si combinano insieme gli opposti. Questa prospettiva serve per cogliere altre
costellazioni di senso che fino ad ora non hanno trovato considerazione, come ad esempio la polarità tra
razionalità e sfondo mistico (inteso come illuminazione, passione, intuizione, affetto) del quale raramente si
tiene conto e che è riscontrabile in “L’anima e la danza”.
In questo testo di radicale importanza per l’acutezza e la profondità con le quali Valéry affronta la
questione del “che cos’è la danza”, egli innanzitutto prende consapevolezza del fatto che la ragione
è inadeguata a cogliere l’essenza della danza.
Con questa affermazione il filosofo-poeta dichiara lo statuto di secondarietà della ragione rispetto ad un
primum che è dato dall’esperienza delle danzatrici. In altri termini il primum è quel senso “divino” dell’essere
che è tale proprio perché trova senso in se stesso, perché trova senso dal semplice fatto che è … cioè che
è. Il danzatore “tutto danza diventa e tutto quanto il moto totale si consacra”.
Nel danzare, proprio perché l’oggetto “danza” è incluso nel soggetto “danzatrice-danzatore”,
scompare la differenza tra l’uno e l’altro.
Il corpo del danzatore-ice non è un mezzo che trasmette un messaggio, ma è un soggetto che
incarna nella danza stessa qualcosa della verità dell’essere e dell’esserci.
6
Valèry, alla fine del dialogo, giunge a catturare l’essenza originaria della danza, riallacciandosi a quell’antica
ed importante tradizione che attribuiva alla danza il senso del divino, del sacro, del segreto.
Il filosofo-poeta afferma che la danza è estasi, intesa non in senso proprio di esperienza mistica, ma
come “luogo vuoto” nel quale affiorano le più vere ed autentiche possibilità e potenzialità del corpo e
quindi nella sua capacità di metamorfosi espressiva.
LA CONVENZIONE COREOGRAFICA NELLA DANZA
Insieme di segni semantici che codificano una danza destinata ad essere decodificata da
convenzioni sociali in coreografie individuali, in coppia ed in gruppo.
Tutte le grandi civiltà hanno creato danze proprie, anche se in un certo senso tra loro affini dato che
usavano il corpo in movimento. Ma poiché il corpo ha una vastissima gamma di movimenti, i tipi di danza
presentano enormi differenze da cultura a cultura.
Quelle asiatiche sono più complesse in parte perché la danza orientale, come l’arte orientale in genere, è
strettamente legata alla religione ed ha, perciò, un carattere contemplativo. Ciò è evidente in modo
particolare in certi aspetti della danza indiana ed è una conseguenza del fatto che gli indù credono nella
creazione del mondo da parte di un “dio/dea ballerino/a”: Shiva.
Le danze che si sono sviluppate in India si avvalgono di gesti complicati realizzati non solo con le braccia ma
anche con le altri parti del corpo, spesso trascurate in Occidente, come le caviglie, il collo, il naso, i polsi e gli
occhi. Attraverso i secoli alcune nazioni asiatiche hanno associato la danza ad altre arti al fine di ottenere un
genere di spettacolo composto.
Due delle più importanti espressioni del teatro giapponese tradizionale, No e Kabuki, abbinano la danza
alla recitazione ed al canto. Il teatro cinese indigeno non fa una netta distinzione fra la danza, il dramma,
l’opera, i giochi di prestigio e le acrobazie.
Gli antichi greci vedevano nell’ordine formale della danza un esempio di perfetta armonia tra mente e
corpo ed in questo senso la danza era ricorrente nelle feste religiose, nei matrimoni ed ai funerali. La danza
era composta e solenne nella tragedia, dinamica e talvolta erotica nella commedia.
7
IL TEATRO OCCIDENTALE & ORIENTALE
« Il Teatro non ha categoria ma si occupa della vita.
È il solo punto di partenza, l'unico veramente fondamentale.
Il Teatro è la vita. »
Peter Brook
Il TEATRO è un insieme di differenti discipline, che si uniscono e concretizzano nell’ esecuzione di un
evento spettacolare dal vivo.
Proveniente dal greco θέατρον (théatron), che significa spettacolo, da θέα, (théa), ossia vista, comprende
le arti tramite cui viene rappresentata, sotto forma di testo recitato o drammatizzazione scenica, una storia,
un dramma, nel senso etimologico del termine.
Una rappresentazione teatrale si svolge davanti ad un pubblico utilizzando una combinazione variabile di
parola, gestualità, musica, danza, vocalità, suono e, potenzialmente, ogni altro elemento proveniente dalle
altre arti performative. Più strettamente, non c'è necessità dell'esistenza del testo: il movimento del corpo in
uno spazio con fini artistici ed illustrativi, eseguito di fronte ad un singolo spettatore, è definito di per sé
teatro.
Oltre al teatro di prosa in cui la parola (scritta o improvvisata) è l'elemento più importante, il teatro può avere
forme diverse, come l'opera lirica, il teatro-danza, il kabuki, la danza katakali, l'opera cinese, il teatro dei
burattini, la pantomina, che differiscono non solo per area di nascita ma per il differente utilizzo sia delle
componenti che compongono la rappresentazione sia per i fini artistici che esse definiscono.
La particolare arte del rappresentare una storia tramite un testo o azioni sceniche è la recitazione, o arte
drammatica.
Nelle lingue nordiche il verbo "recitare" coincide col verbo "giocare". Il termine italiano, invece,
pone l'accento sulla finzione, sulla ripetizione del gesto o della parola ("citare due volte").
Come qualsiasi altra forma artistica e culturale anche il teatro si è evoluto dalle origini ad oggi, nelle diverse
epoche e luoghi. La Storia del Teatro Occidentale pone come origine di questa disciplina la
rappresentazione teatrale nella cultura dell'Antica Grecia: i precedenti esempi teatrali come quelli di Egitto,
Etruria, ecc, ci aiutano a comprendere la nascita di questo genere ma non forniscono sufficienti fonti per
delinearne le caratteristiche.
DEFINIZIONI DI TEATRO
Da Aristotele ai giorni nostri, il termine ha subito diverse interpretazioni e sviluppi, ed è certo che il dibattito
intorno ad una definizione esaustiva dell'evento teatrale continuerà in futuro.
Sintetizzando i punti di convergenza dei diversi insegnamenti che hanno attraversato il teatro
contemporaneo negli ultimi decenni, da Jerzy Grotowski a Peter Brook, da Giorgio Strehler a Eugenio Barba,
8
possiamo trovare elementi comuni per una definizione: il teatro è quell'evento che si verifica ogni qual
volta ci sia una relazione tra almeno un attore che agisca dal vivo in uno spazio scenico e uno
spettatore che dal vivo ne segua le azioni.
Silvio D'Amico ha definito appunto il teatro come «la comunione d'un pubblico con uno spettacolo vivente:
« Non gl'immobili fantocci del Presepio; e nemmeno ombre in movimento. Non sono teatro le
pellicole fotografiche che, elaborate una volta per sempre fuor dalla vista del pubblico, e
definitivamente affidate a una macchina come quella del Cinema, potranno esser proiettate sopra
uno schermo, tutte le volte che si vorrà, sempre identiche, inalterabili e insensibili alla presenza di
chi le vedrà. Il Teatro vuole l'attore vivo, e che parla e che agisce scaldandosi al fiato del pubblico;
vuole lo spettacolo senza la quarta parete, che ogni volta rinasce, rivive o rimuore fortificato dal
consenso, o combattuto dalla ostilità, degli uditori partecipi, e in qualche modo collaboratori. »
In senso lato può avvenire anche fuori dagli spazi consueti, in ogni luogo dove sia possibile raccontare una
storia o catalizzare l'attenzione di un pubblico. Gli elementi essenziali che distinguono un evento teatrale da,
per esempio, una conferenza o dal vociare di un mercato pubblico, sono, nella pratica teatrale:
1. la scelta consapevole di una forma (nella finzione drammatica il personaggio o la maschera);
2. la definizione di uno spazio nel quale tale forma possa agire (il palcoscenico, tradizionale o
improvvisato);
3. il tempo stabilito dell'azione (l'elemento drammaturgico, la durata di un testo o di una partitura
gestuale).
È utile notare come, in ogni caso, spesso l'improvvisazione renda variabili le costanti sopra descritte,
anche se è opinione corrente dei maestri di questa disciplina che solamente il rigore di uno schema
predefinito renda l'attore libero di variarlo.
Più in generale, ciò che separa il teatro da altri avvenimenti che coinvolgono un pubblico, è il carattere di
compiutezza dell'azione scenica che la rende classificabile come arte e la distingue dagli altri eventi sociali,
didattici o semplicemente quotidiani.
Ciò non esclude del tutto che l'evento teatrale (la 'magia' di Eduardo) si possa temporaneamente
manifestare anche in altri contesti: nella parentesi narrativa di un insegnante durante una lezione scolastica,
o nella performance di un giocoliere in una piazza affollata.
IL TEATRO DRAMMATICO
Sicuramente può essere definito teatro uno spettacolo coreografico, il varietà, gli spettacoli musicali e i
numeri da prestigiatore, le esibizioni dei giocolieri nel circo, così come i pagliacci. Di norma, però la storia del
teatro restringe il campo della sua indagine alla forma «principe» di evento teatrale: il teatro drammatico.
Vale a dire la rappresentazione, la finzione drammatica, in cui gli attori interpretano personaggi, storie,
ambienti diversi dai propri, intendendo con questo dare vita ad una forma d'arte.
9
Nel teatro drammatico, è necessaria la presenza di tre elementi fondamentali: autore, attori e spettatori. Se
in altre forme d'arte teatrale spesso l'autore non è necessario, in un dialogo teatrale, scritto o non scritto,
esiste sempre un autore, che può talvolta coincidere, nel caso dell'improvvisazione, con l'attore stesso. Il
teatro drammatico presuppone quindi l'esistenza di un testo, e la comunicazione verbale, anche quando
non esclusiva, è comunque fondamentale.
Il concetto di dramma e di drammaticità è legato maggiormente ad un dialogo che non ad un monologo o
ad una lirica (pur potendo etimologicamente essere riferita a qualunque forma letteraria destinata alla
scena). È con la presenza di almeno un altro attore dialogante che si può meglio esprimere la caratteristica
principale del teatro drammatico: il contrasto tra almeno due differenti elementi. Bernard Shaw,
introducendo il suo primo volume di commedie, afferma: «Non c'è opera teatrale senza conflitto». Un
contrasto può verificarsi anche in un testo leggero, e costituisce la sua ossatura.
LO SPAZIO DEL TEATRO
Nel teatro il concetto di SPAZIO ha almeno due significati: il primo è lo spazio fisico, il luogo della
rappresentazione, il secondo è lo spazio dell'immaginazione, quello che Vladimir Toporov definisce come
mitopoietica.
Il luogo teatrale, spazio 'concreto' dell'azione scenica, può identificarsi con un teatro o una qualsiasi altra
struttura adatta a ospitare una rappresentazione (nel caso del teatro di strada, al contrario, sono attori e
pubblico ad adattarsi ad una struttura destinata ad altri scopi). All'interno del luogo teatrale può essere
delimitato lo spazio scenico, ovvero il perimetro della rappresentazione vera e propria, affidata agli attori.
Lo spazio rappresentato, inesistente fino a un momento prima dell'inizio della rappresentazione, è il luogo
mentale che viene evocato, grazie all'immaginazione dello spettatore e alla maestria dell'artista che ne crea i
confini, con la possibilità, durante la performance, di variarne continuamente le dimensioni e la forma (si può
citare, a questo proposito, lo spazio variabile creato dall'artista del mimo che voglia rappresentare una cella,
un muro, o uno spazio sconfinato).
A volte, lo spazio rappresentato può coincidere con il luogo teatrale. È il caso di spettacoli o performances
iper-realistici, o di rappresentazioni teatrali, in cui gli attori, rappresentando sé stessi, compiono azioni
teatrali in un luogo che coincide con il luogo reale in cui essi potrebbero agire quotidianamente.
Chiaramente definito, lo spazio rappresentato è stato, nel tempo e nella cultura occidentale moderna,
incorniciato nell'arcoscenico che, nel teatro all'italiana, divideva nettamente il luogo dell'azione scenica da
quello della fruizione: solo in epoche recenti, rifacendosi agli esempi degli antichi, l'azione si è spostata
anche nel luogo della fruizione, per tentare la "riconciliazione" tra una tipologia di teatro che non prevedeva
la partecipazione dello spettatore ed una che, invece, sosteneva la sua importanza all'interno della relazione
teatrale.
10
TEMPI TEATRALI
L'elemento temporale, in una rappresentazione teatrale, è ciò che ne determina più di ogni altra cosa le
caratteristiche di alterità rispetto all'esperienza quotidiana. Dalla ideazione, attraverso il tempo dedicato alle
prove, fino alla rappresentazione, i tempi teatrali prendono il sopravvento sul tempo individuale,
coinvolgendo alla fine all'interno di coordinate extra-quotidiane anche il pubblico, che tornerà al proprio
tempo abituale al calare del sipario.
Lo studio del tempo è parte integrante e fondamentale dello studio dell'attore teatrale: evidente nel
caso di una battuta comica, la precisione di tempo e ritmo nella parola e nell'azione determina la riuscita di
una scena, e spesso dell'intera rappresentazione. Questo è particolarmente determinante in ogni azione
performativa che si svolga dal vivo, in cui il riscontro del pubblico è immediato: lo spettatore stesso concorre
a determinare il tempo comune dell'evento teatrale, di per sé irripetibile, anche durante le repliche di uno
stesso spettacolo.
Si può quindi parlare di tempo teatrale come di un'esperienza transitoria e unica, in cui si incontrano
il tempo dell'esecuzione con quello della fruizione. (cfr. Insulti al pubblico di Peter Handke)
La durata della rappresentazione come evento, nella storia del teatro, fu definita in ogni epoca con modalità
differenti. Nel teatro greco, il tempo della rappresentazione coincideva con la durata di una intera giornata,
spesso coincidente con il tempo rappresentato nel testo (vedi l'esempio della tetralogia dell'Orestea di
Eschilo, che si apre all'alba concludendosi con il calare del giorno). Nel teatro medioevale, si estese fino a
comprendere, in alcuni misteri, anche 25 giorni consecutivi. Nel teatro colto del Cinquecento si arrivò alla
divisione in tre atti, fino ad arrivare ai giorni nostri ai tradizionali due tempi con intervallo, rispettati nella
maggior parte delle produzioni teatrali. Sperimentazioni, nel senso della sintesi estrema o al contrario della
dilatazione, sono state eseguite da molti artisti e registi del Novecento. Un esempio di sperimentazione
delle possibili variazioni temporali nell'evento teatrale sono gli spettacoli itineranti, che spesso hanno
struttura ciclica, nei quali lo spettatore ha la possibilità di fruire della rappresentazione da un punto non
necessariamente coincidente con l'inizio, e ripetere la visione per il tempo desiderato.
Il tempo narrato sulla scena, necessariamente 'al presente' anche quando si riferisca ad eventi passati, è
il frutto di una convenzione che intuitivamente si stabilisce tra i due protagonisti dell'evento: l'artista e lo
spettatore. Entrambi, sospendendo le regole che governano le rispettive esistenze, si prestano ad una sorta
di gioco, spendendo le proprie energie nel costruire il rapporto che si genera. Durante una serata
particolarmente riuscita, entrambi escono dall'edificio teatrale con una diversa percezione. Per molti attori
questo si accompagna ad una sorta di 'felice spossatezza' fisica ed emotiva, fatto che ha portato molti
maestri del teatro ad utilizzare, per l'esperienza performativa la similitudine con l'atto sessuale. Come in
quest'ultimo, è stato detto non senza ironia, la riuscita è determinata dal rispetto di un climax, che porti
l'attore e lo spettatore a raggiungere gradualmente il culmine dello spettacolo attraverso un sapiente
aumento del ritmo dell'azione.
Nella convenzione teatrale, spesso allo spettatore è affidato il compito di ricomporre cronologicamente i fatti
che gli vengono presentati in una successione non sempre consequenziale. Nell'Edipo Re di Sofocle, ad
11
esempio, la storia inizia quasi dalla fine, nel giorno in cui Edipo, al termine della sua avventura, vedrà
palesarsi il suo destino tragico. In questo caso, l'intervento dei messaggeri e del coro fornisce gli elementi
necessari alla ricostruzione degli eventi. Aristotele, nella Poetica, definì il tempo di una rappresentazione
come unitario, ossia un corso temporale che si svolga compiutamente dall'inizio alla fine. Il filosofo aveva
anche asserito che l'azione dell'epopea e quella della tragedia differiscono nella lunghezza "perché la
tragedia fa tutto il possibile per svolgersi in un giro di sole o poco più, mentre l'epopea è illimitata nel tempo".
Nella tragedia greca il coro, tra l'altro, era essenziale, per evitare incongruenze e spiegare gli antefatti.
Orazio, come Aristotele, insistette sul concetto di unità. In epoca rinascimentale, ad Aristotele vennero
attribuite le cosiddette tre unità, di azione, luogo e tempo, in cui quest'ultima sancirebbe la regola sopra
descritta (peraltro presente come convenzione in molti testi del teatro greco antico, come nell'esempio
citato).
Il teatro elisabettiano e spagnolo prima, e più radicalmente il teatro contemporaneo hanno mescolato e
rivoluzionato non solo i generi, ma anche le convenzioni relative al tempo rappresentato. Brecht, Samuel
Beckett, Tadeusz Kantor, Thomas Eliot, hanno proposto nuovi schemi narrativi, in cui l'elemento temporale
entra a far parte delle scelte stilistiche.
Più recentemente sono stati mutuati nel linguaggio teatrale stili e modi provenienti dal cinema e dalle arti
visive. L'utilizzo di flash-back e flash-forward, di video proiettati sul fondale o in schermi, moltiplicando le
possibilità di raccontare tempi diversi, anche contemporaneamente.
STILI TEATRALI Ci sono innumerevoli stili e generi che possono essere impiegati dai commediografi,
dai registi e dagli impresari per venire incontro ai diversi gusti del pubblico, nei diversi contesti e culture.
Possiamo elencarne alcuni, anche se la lista sarà sempre incompleta, considerando il fatto che i generi
elencati non si escludono a vicenda. La ricchezza del teatro è tale che i praticanti di questa disciplina
possono prendere in prestito elementi di ognuno di questi stili e presentare lavori multi-disciplinari in una
combinazione virtualmente infinita.

Tragedia: è un dramma di intento serio e di significato in genere elevato in cui un personaggio
eroico affronta gli eventi o le conseguenze delle sue azioni, e generalmente si conclude con la morte
dei protagonisti o con la descrizione della loro pena. In epoca classica, raccontava un fatto perlopiù
noto a tutti.

Commedia: perlopiù a lieto fine, la commedia ha temi leggeri, si occupa di problemi quotidiani e
mette a nudo le debolezze dei suoi personaggi. La risata è il segno più forte di complicità tra
spettatore e attore, e la maestria nel delineare personaggi comici ha portato al successo numerosi
attori teatrali.

Musical: (abbreviazione di musical comedy) è un genere di rappresentazione teatrale in cui l'azione
viene portata avanti sulla scena non solo dalla recitazione, ma anche dalla musica, dal canto e dalla
danza.
12

Commedia dell'arte: è una rappresentazione in cui gli attori, basandosi su un canovaccio,
rappresentano vicende ispirate alla realtà quotidiana, arricchite con numeri acrobatici, danze e canti,
e con l'ausilio di maschere.

Teatro dell'assurdo: è in genere riferito ad un particolare stile teatrale di scrittori di teatro europei
ed americani sviluppatosi tra gli anni quaranta e sessanta del Novecento; si caratterizza per dialoghi
apparentemente senza significato, ripetitivi e senza connessioni logiche.

Grand Guignol: è un dramma contenente scene macabre di pronunciata e spesso esagerata
efferatezza, con l'ausilio di effetti speciali più o meno rudimentali.

Mimo: è una rappresentazione di azioni, caratteri e personaggi che si serva solamente della
gestualità piuttosto che della parola.

Kabuki: è una forma di teatro, sorta in Giappone all'inizio del '600. Le vicende sono espresse
attraverso l'emotività dei singoli personaggi, il particolare prevale sempre su considerazioni morali o
politiche di carattere generale. Al testo, che spesso non ha una unitarietà narrativa, si aggiungono
movimenti stilizzati e un uso della voce vicino al canto.

Nō: è una forma di teatro sorta in Giappone nel XIV secolo che presuppone una cultura elevata per
essere compreso, a differenza del Kabuki che ne rappresenta la sua volgarizzazione. È
caratterizzato dalla lentezza, da una grazia spartana e dall'uso di maschere caratteristiche.
GENERI A SE’ STANTI Alcuni eventi teatrali sono considerati dei generi a sé stanti, pur entrando nel
novero delle rappresentazioni di carattere teatrale.

Opera Lirica: è un genere teatrale e musicale in cui l'azione scenica è sottolineata ed espressa
prevalentemente attraverso la musica ed il canto. I cantanti sono accompagnati da un complesso
strumentale che può allargarsi fino a formare una grande orchestra sinfonica.In genere non sono
presenti attori, e il testo letterario, chiamato libretto, è perlopiù cantato nella virtuosa modalità della
voce lirica.

Teatro-Danza: è una forma di danza allegorica, spesso simbolista, fortemente animata
dalla fusione tra teatro e arti figurative, e dove l'elemento narrativo è connotato in modo
astratto e antinaturalistico. In genere anche in questo caso non ci sono attori in scena, ma
danzatori, escludendo quei casi di attori poliedrici in grado di eseguire complesse
coreografie.

Teatro dell'Oppresso: è un metodo teatrale elaborato da Augusto Boal a partire dagli anni ’60,
prima in Brasile e poi in Europa, che usa il teatro come mezzo di conoscenza e come linguaggio,
come mezzo di conoscenza e trasformazione della realtà interiore, relazionale e sociale. È un teatro
che rende attivo il pubblico e serve ai gruppi di "spett-attori" per esplorare, mettere in scena,
analizzare e trasformare la realtà che essi stessi vivono. Ha tra le finalità quella di far riscoprire alla
gente la propria teatralità, vista come mezzo di conoscenza del reale, e di rendere gli spettatori
protagonisti dell’azione scenica, affinché lo siano anche nella vita.

Teatro Canzone : genere teatrale e musicale, nato su ispirazione e derivazione del musical, ma più
espressamente figlio del teatro di Bertold Brecht e degli spettacoli francesi di cantanti come Edith
Piaf, Jacques Brel, Juliette Greco. Il massimo esponente di questo genere è stato Giorgio Gaber,
13
che, con Sandro Luporini ha creato un vero e proprio filone di musica e teatro di narrazione, legato
principalmente a tematiche sociali e politiche, fin dalla fine degli anni '60. Attualmente molti
cantautori e gruppi operano con stili e realizzazioni sceniche vicine al teatro canzone.
IL TEATRO DIETRO LE QUINTE Il teatro non è solo ciò che si vede sul palcoscenico. Uno
spettacolo spesso coinvolge un intero mondo di persone nella creazione dei costumi, delle
scenografie, dell'illuminotecnica, della musica, e tutti coloro che, dietro le quinte, concorrono al
perfetto svolgimento dell'evento, i direttori di scena, gli attrezzisti, i macchinisti, i tecnici audio
e luci, il trovarobe, le sarte e le parrucchiere. E ovviamente, il regista.
STORIA
All'origine del teatro c'è l'aspirazione umana a rendere tangibile la relazione con le divinità, attraverso
la rappresentazione del sacro nei riti e nelle danze, e allo stesso tempo il bisogno di intrattenere e definire i
rapporti sociali, attraverso la forma della festa e della finzione ludica.
Il ritrovamento di un papiro, nel 1928, da parte di Kurt Sethe, ha dimostrato come, mille anni prima
della nascita della tragedia greca, il teatro fosse praticato nell'antico Egitto sotto forma del culto dei
"Misteri di Osiride". Dall'archeologia sappiamo inoltre come la civiltà minoica conoscesse l'uso di strumenti
musicali, come la cetra e il flauto, e come l'arte della danza fosse già praticata come mimica di azioni di
caccia o di guerra.
TEATRO E RITO Il rapporto tra rito e teatro è in continuo sviluppo, dagli albori di questa
disciplina fino ai giorni nostri. L'autonomia del teatro dal rito è una conquista progressiva: in origine,
l'attore e il sacerdote si confondono.
La maschera sacra che inizialmente è la rappresentazione del dio, diventa poi lo strumento di un gioco
narrativo che si allontana dal senso originario. Durante le rappresentazioni dionisiache in cui, per usare le
parole del filologo ungherese Károly Kerényi, «gli uomini passano dalla parte degli dei», accanto alle
forme rituali si sviluppano forme teatrali e parateatrali, che assumono il carattere nuovo di affermazione
dell'identità di gruppo e di condivisione di valori comuni.
Rito e teatro, una volta distinti, assumono compiti diversi. Il teatro esplora la condizione umana,
diventando coscienza critica sulle condizioni del mondo, dando forma alla tensione verso il futuro, alle
speranze e progettualità sociali del gruppo.
In epoche successive il confine tra teatro e rito si ridefinisce. Nelle corti rinascimentali le
rappresentazioni, sacre e profane esprimono l'essenza dello Stato Assoluto e le ragioni spirituali e
politiche del potere. Nascono cerimoniali laici, esemplari del rapporto tra il Principe e la società, mentre il
teatro celebra nuovi eroi, ricollegandosi ai miti classici.
14
L'ultimo grande cambiamento nel rapporto tra rito e teatro si ha nella Rivoluzione Francese, che smantella
il senso religioso come legame della collettività. Il teatro assume la sua forma mondana e commerciale,
espressione della nascente borghesia.
TEATRODANZA, non è un genere del balletto né una corrente vera e propria, e si è contraddistinto
come un fenomeno alquanto complesso della coreografia del Novecento. Si è affermato nella Germania
occidentale ai principi degli anni Settanta, specie ad opera dei cinque antesignani del Tanz Theater tedesco:
Pina Bausch (la più nota esponente del gruppo), Reinhild Hoffmann, Susanne Linke, Gehrard Bohner e
Hans Kresnik.
Con il termine Tanz Theater si intende principalmente una diramazione nell'ambito della danza moderna
dell'espressionismo tedesco degli anni Trenta, la cui poetica risale alle teorie di Rudolf Laban e alle
danze della sua allieva Mary Wigman.
In esso vengono innestati elementi propri della danza non accademica d'inizio secolo, ovvero della danza
moderna, della danza libera e talvolta del mimo e del cabaret. Il riferimento al teatro si rivolge perciò solo
in apparenza alla "dimensione teatrale" della danza che è propria del balletto romantico.
Si tratta, al contrario, del recupero di una dimensione primordiale del rapporto tra gesto e azione e
tra gesto e parola. Il teatrodanza, perciò, è una forma di danza spesso allegorica, che fa uso di
simboli, fortemente animata dalla fusione tra teatro e arti figurative, e dove l'elemento narrativo è
trattato in modo particolare, antinaturalistico.
Il fenomeno si è subito caratterizzato come un movimento estremamente composito e libero sul piano
linguistico oltre che per un certo intrinseco eclettismo, e si è diffuso nel mondo.
Tra gli altri maestri riconducibili alla poetica del teatrodanza, i nomi di particolare rilievo sono Alwin Nikolais
negli Stati Uniti, Carolyn Carlson in Francia, Alain Platel in Belgio e Lindsay Kemp in Inghilterra.
IL TEATRO DANZA IN ITALIA Il primo esempio "ufficiale" di teatrodanza italiano ha inizio solo nel
1985 con “Il cortile” della compagnia Sosta Palmizi, fondata da sei danzatori formatisi sotto la guida di
Carolyn Carlson durante gli anni della sua direzione della compagnia "Teatro e Danza La Fenice" a
Venezia (1981-1984): Michele Abbondanza, Francesca Bertolli, Roberto Castello, Roberto Cocconi,
Raffaella Giordano, Giorgio Rossi.
Il Teatrodanza italiano contemporaneo è dunque riconducibile alle compagnie fondate da ciascuno di questi
danzatori in seguito allo scioglimento della Sosta Palmizi originaria, ovvero: la compagnia
Abbondanza/Bertoni (M. Abbondanza, Antonella Bertoni), la compagnia Aldes (R. Castello), la compagnia
Arearea (R. Cocconi), l'Associazione Sosta Palmizi (R. Giordano, G. Rossi).
15
In realtà, sia pure in modo episodico, l'ingresso di nuove linee di tendenza provenienti dalla modern dance
americana risalgono al decennio precedente. Oltre ai casi di Elsa Piperno a Roma e di Bella Hutter a Torino
- coreografe che però, più che nel teatrodanza, hanno operato soprattutto nel campo della danza moderna sono da ricordare le prime sperimentazioni spontanee di commistione tra danza, mimo, pittura, musica e
teatro - assai diverse fra loro - avviate negli anni Settanta da Mimma Testa a Roma e da Liliana Merlo a
Teramo, tutte esperienze rimaste isolate ma non per questo meno significative.
TEATRODANZA ORIENTALE CONTEMPORANEO
Il TEATRODANZA ORIENTALE CONTEMPORANEO trova la sua maggiore interprete in Maria Luisa
Sales, splendida danzatrice orientale contemporanea e ricercatrice, docente in danza classica persiana, è
sicuramente oggi in Italia una delle maggiori esponenti in questa forma espressiva. Assieme a Paola Stella
e Roberta Bongini, rappresentano in modo fortemente significativo lo stile di fusione tra Danza Orientale
Classica e Danza Contemporanea.
Possiamo dire che con loro il Corpo Neutro della Danza Accademica inizia ad avere connotati
differenziali http://www.danzaorientalecontemporanea.blogspot.com/
Estratti dalle produzioni 2002-2006 per l’Opera Nazionale di Bucarest, il Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Rovereto e Trento
(MART), l’Auditorium di Roma, Il Museo canova Tadolini di Roma, Mediascena Europa “Off Broadway 2002” da cui è tratta la
performance: DANZA ORIENTALE CONTEMPORANEA: "GILGAMESH" http://www.youtube.com/watch?v=H3sp4KU8aS4
Spettacolo di Danza Orientale Contemporanea dedicato al tema delle Acque Sacre.
Mediascena Europa, “Off Broadway 2003”
da cui è tratto “ARDVI SURA ANAHITA” http://www.youtube.com/watch?v=N-27NoyWyPs
Spettacolo di Danza Orientale Contemporanea
ispirato al testo “Aradia – Il Vangelo delle Streghe” di C. G. Leland
da cui è tratto “LA DEA DELLE STREGHE” http://www.youtube.com/watch?v=_ZHh8vpOn0Q
Non sono da meno le opere Teatrodanza di Klemcy Salza, presente al nostro congresso, la quale terrà
seminari inerenti a: “La Solista e Lo Spazio Scenico” per il livello unico e “Grounding, Peso Corporeo e
Movimento” per i Primi Passi. La sua proposta artistica chiude lo studio della danza tradizionale e classica egiziana,
portata a nuove contaminazioni contemporanee.
Attualmente dirige la sua compagnia “Klemcy Salza Dance Company” con la quale ha partecipato a diversi eventi di
livello nazionale ed internazionale e con cui sarà presente in spettacolo presso questa 6° edizione del congresso.
www.klemcy-salza.com
Dott.ssa Maria Rita Gandra “Margarita”
Laureata in DAMS: Arte, Musica & Spettacolo – Maestra di Danza e Ballo Diplomata ISDAS – MIDAS
Coordinatrice Commissione Tecnica FIDS Danze Orientali – Giudice Naz. FIDS & Internazionale IDO
16
“Musicologia araba” a cura di Stolfo Fent
con la collaborazione di Massimo Parolin,
Lo studio della musicalità umana non deve arrestarsi a ciò che può essere fatto con le note della scala
musicale. In tre quarti del mondo il linguaggio musicale dell'uomo viene espresso attraverso sistemi diversi
del nostro, che non possiamo riprodurre e quindi conoscere usando la nostra scala musicale a
temperamento dodecatonico degli strumenti di tradizione occidentale.
L'intonazione di questi strumenti, così come quella del nostro canto, dipendono, infatti, dalle condizioni
storiche e culturali dell'ambiente in cui viviamo e da un tipo di educazione musicale che ha come base
remota, ma tutt'ora operante, il sistema eptatonico sintono, vale a dire le sette note delle nostra scala
musicale.
Dobbiamo riconoscere che per noi, figli del mondo occidentale, condizionati dalla tonalità e dalle sue regole
è molto difficile uscire da questa dimensione.
Il sistema modale della musica araba è assai complesso dato che la divisione per gradi ha tutt'altra
misurazione per quanto riguarda soprattutto la musica popolare, dove gli stessi strumenti vengono suonati
senza riferimento ad una tonalità.
Durante l'inizio del secolo scorso, tuttavia, vi è stata una ricerca approfondita sulla musica di tradizione
proveniente da vari luoghi del mondo arabo (Congresso del Cairo 1932) effettuando con l'aiuto di esperti
mondiali, la codifica dell'intonazione e sistemi modali delle diverse scale chiamate Maqam divenuti
fondamentali nella musica colta araba.
In tempi moderni possiamo misurare con precisione le frequenze di tutti i suoni udibili dall'orecchio umano e
non, attraverso apparecchiature sofisticate, precisione che non potrà mai essere parte vera
dell'accostamento dell'uomo alla musica, nella cui manifestazione si creano, istante per istante, situazioni
irripetibili, libere e spontanee, che non debbono essere sopraffatte dall'incubo di dover dipendere ad ogni
costo dal valore assoluto di ciascun intervallo.
Ed è in questo modo che saranno analizzati i valori della musica araba durante le varie fasi dello stage di
“Musicologia Araba” nel corso delle tre giornate del 6° Congresso Internazionale della danza orientale a
Riccione.
Rispettando una diversa cultura musicale con radici antichissime ed attraverso strumenti musicali
caratteristici che permettono di percepire queste note, melodie e il ritmo attraverso l'ascolto del suono reale
che saranno d'orientamento alla danza di cultura araba.
Musicologia Araba
a cura di Stolfo Fent e Massimo Parolin
Durata del laboratorio di 7 ore e mezzo suddiviso in 5 lezioni di 90 minuti.
Livello Unico
Strumenti uttilizzati: Oud, Rababa, Mizmar, Duduk, Nay, Zamr, Qanun, Mezued, Zurna, Duff, Bandir,
Ghaval, Reqq, Darbuka, doholla Davul, naqarrat, sagat,
I PARTE
IL SUONO :
Ambientazione ed introduzione alla musica araba tramite il suono degli strumenti musicali del mondo arabo
suddivisi tra generatori di melodia e ritmo.



Ascolto di un brano musicale eseguito dal vivo
Origini della musica araba
Classificazione degli strumenti musicali e loro storia ed evoluzione
( la maggior parte degli strumenti saranno esposti e suonati dal vivo per facilitare la comprensione )
II PARTE
MELODIA E RITMO:
con la partecipazione di Maryem
Percorso guidato tra ascolto e analisi dei ritmi e delle melodie che caratterizzano la musica araba,
percependone forma e dimensione spazio/temporale attraverso il movimento.
17



Il tempo ed il ritmo
Dimensione melodica
La voce
III PARTE:
IL TAQSIM E SCALE MELODICHE
con la partecipazione di Alice Nuar
Sensazioni e contenuto emotivo del sistema spazio tonale arabo.
Percezione e libera espressione in danza “Ad occhi chiusi”


Taqsim; esplorazione delle note nello spazio
I maqam: scale arabe
IV PARTE
con la partecipazione di Margarita
STILI MUSICALI
Panoramica geografica degli stili musicali tra musica tradizionale-popolare e musica colta attraverso
l'esecuzione musicale dal vivo.









Taqsim: improvvisazione ed esplorazione sonora nello spazio
Persia
Turchia
Siria/Libano
Penisola Araba e Golfo
Egitto/Nubia
Nord Africa/Maghreb
Arabo Andaluso, Muwashah
Sufi: musica spirituale
V PARTE
con la partecipazione di Alice Nuar
Quando la musica danza
Risultato finale di questa esperienza nel mondo della musica araba sarà la creazione di una coreografica,
costruita all'interno di sequenze musicali composte al momento sulle esigenze della danzatrice: la danza non
dipende da un lettore CD!
18
LE ORIGINI DEL FLAMENCO E LE NUOVE INTERPRETAZIONI
a cura di Angela “Jasmine”
Introduzione storica
Molti studi concordano che le origini della razza gitana si possono ritrovare nel nord dell'India e che tra il 900
e il 1100 iniziarono un lungo esodo per l’Asia e l’Europa, lasciando in ogni posto dove passarono numerosi
nuclei razziali.
In Spagna i gitani arrivarono attorno nel XV° secolo attraverso due principali punti: quelli provenienti dalla
rotta Balcanica che entrarono dai Pirenei, mentre un altro gruppo proveniente dal nord Africa che arrivò
attraversando lo stretto di Gibilterra.
All'inizio i gitani destarono molta curiosità e furono ben accetti e si stanziarono nella bassa Andalusia in
particolare tra Siviglia, Cadice e Granada. La situazione di benevolenza terminò ben presto e dal 1479 fino
al 1975 i gitani furono per la maggior parte del tempo un popolo emarginato, perseguitato e non fu permesso
loro di vivere liberamente né di lavorare. Questa situazione di abbandono totale e la fame li portò a rubare
per sopravvivere.
I gitani e la danza
Nella vita di ogni gitano la musica e la danza costituiscono un aspetto fondamentale per l'espressione delle
proprie emozioni e sentimenti. E' una forma di vivere il presente trasformando e dando sfogo al dolore, alla
sofferenza, alla nostalgia, ma anche negli aspetti positivi come l'allegria dello stare insieme.
Il popolo gitano, durante la sua storia, ha mantenuto elementi caratteristici della sua cultura e tradizione, che
a conseguenza della trasmissione orale, ha sofferto dell'assenza della letteratura scritta, ma nonostante ciò
le tradizioni si sono mantenute vive grazie alla lingua, le leggi gitane, le tradizioni, gli usi e costumi, i riti e
soprattutto con l'espressione artica musicale.
Le ballerine zingare orientali, sorelle delle “bajadere” indiane e delle “ghawasee” egiziane, ballavano la
romaica anche detta “tanana”, la quale è la celebre danza orientale che trova nel fremito nervoso e nelle
movenze lascive del corpo la sua espiazione sessuale.
Esempio di Tanana
Uomini: Amo i tuoi occhi accesi ed ombreggianti
La tue labbra sanguigne come l’albicocca
Le tue mammelle rotonde come pesche,
il tuo corpo flessuoso come un vimine.
Lado! Lado! Che io rompa la mandorla
E muoia felice del tuo bacio!
Donne:
Presto al mio corpo fai ombra del tuo corpo!
Sulle mia labbra, presto! Ruba le albicocche,
Sul mio seno vieni a cogliere le pesche,
come un laccio serra la mia vita fra le tue mani.
Vieni, del sole, a rompere la mandorla!
19
Vieni! Un bacio (ti do) e non morirne.
Uomini e Donne: Lado! Lado! Sii il mio rifugio.
Sole! Sole! Sii il mio orgoglio1.
I gitani non crearono il flamenco, però arrivarono ad essere i migliori esponenti di quest'arte, nata anche
valvola di sfogo ed espressione delle persecuzioni e ingiustizie subite durante i secoli. Tanto che la parola
“flamenco”, prima di designare uno stile di musica e danza, era l'epiteto con il quale venivano chiamati i
gitani.
L'importanza del sostrato arabo
Il sud dell'Andalusia fu conquistato dagli arabi dal 711 al 1492 (periodo Andalusì ) e la cultura araba-islamica
si mescolò con il potente sostrato latino, creando una cultura originale e propria.
Il sostrato andalusì opera quindi nel flamenco a vari livelli.
Da un lato, nei toni e nelle melodie con Ziryab, importante musicista e compositore arabo, e dall’altro il
sorgere della cultura poetica andalusì molto diversa dalla classica araba (come le zéjel, moaxaja, jarchas),
nelle quali qualche arabista ha trovato somiglianze formali o essenziali con alcune coplas2 del flamenco3.
Gli arabi, quando arrivarono in Spagna, portarono con se i loro canti beduini e diedero vita a delle scuole di
musica che, in breve tempo, divennero un vero e proprio nucleo di incontro tra musicisti provenienti dalle
parti più svariate del mediorente tra cui persiani, iraniani e musicisti dal Turan ( sud est dell’estinta Unione
Sovietica). Questi artisti possedevano una grande influenza indù da un lato e medioevale europea dall’altro.
Durante il regno di Abderramàn II4, visse a Cordoba un importante, simbolico e leggendario musicista Ziryab,
soprannominato “l’uccello nero”, al quale si attribuiscono molte innovazioni tra cui il cambio delle corde al
laùd e la sostituzione del plettro di legno con un plettro “ de garra de aguila”. Lo si considera il promotore
della prima scuola di educazione musicale del Mediterraneo, la scuola di Cordoba, il creatore delle prime
composizioni musicali che diedero vita alle prime forme arabe in Spagna: nuba, fasil, wasla, giacché ai quei
tempi la musica araba era improvvisata.
Evidentemente quando gli arabi uscirono dalla Spagna, lasciarono questo gran patrimonio culturale, che ora
è diventato elemento base per il cante jondo, soprattutto nell’aspetto melodico, così anche nei significati dei
testi, il concetto della variazione nelle ripetizioni dei canti e la mancanza di sensazione ritmica e il maqam
(forma d'improvvisazione vocale e strumentale).
La musica araba occupa un posto rilevante nell’impostazione tipica del cante jondo (grande). Con il nome di
“nuba andalusa”, in arabo classico naubah, troviamo un importantissima autentica tradizione musicale che
fu trasmessa dapprima da Bagdad a Qurtuba, l’odiena Cordoba e a Granada, nel sec. IX e da lì in seguito
al ritirarsi degli arabi dalla Spagna nei sec. XIII, XV e XVII, giunta in Africa settentrionale.
Il poeta granadino García Lorca aveva individuato nella poesia persiana e araba le forme del cante:
l’improvvisazione, la caratterizzazione, la forte individualità impressa nella modulazione della voce 5.
1 Giorgio Mancinelli, Musica Zingara, MEF, Firenze Ateneum 2006, p.78
2 Versi presenti nelle canzoni
3 Pedro Ojesto, Las claves del flamenco, Ediciones Autor, Madrid, 2008, p. 19
4 Storico re che convertì il sud della Spagna in un glorioso califfato
5
Giorgio Mancinelli, Musica Zingara, MEF, Firenze Ateneum 2006, p.111-113
20
Il sostrato moresco
Quando la Castiglia riconquistò il potere, i mori furono dapprima dispersi e poi espulsi, ma alcuni riuscirono
a scappare dalla sorte convertendosi al cristianesimo o mescolandosi con la popolazione gitana nei quartieri
marginali del basso Guadalquivir.
La condizione di popolo nomade ed errante fece sia da filo conduttore tra il mondo marginale dei moreschi (i
mori convertiti al cristianesimo) e la cultura urbana e dell’altro, che da incentivo per dedicarsi al canto e al
ballo andaluso per il sostentamento economico. I gitani mescolarono le proprie danze e canzoni , di fondo
indù e influenzate a loro volta dalle culture degli altri paesi attraversati, con le forme che già esistevano in
Spagna a loro volta influenzate da tantissimi altri popoli (spagnoli, arabi, ebrei, neri d'Africa e i canti
bizzantini).
La danza mora si presentava in generale sotto due forme: come danza “a solo”, eseguita da una sola
persona e perlopiù simile alla danza eseguita nelle corti arabe o come danza di coppia, o di gruppo che
rappresentava il combattimento con le spade fra cristiani e mussulmani.
Più tardi la danza moresca trovò ampia diffusione fra le genti di un alto livello culturale, presso i sovrani e
all’interno delle corti, dove si introdussero altri elementi oltre alla danza tra cui: nacchere o zagat (cimbali di
metallo)6.
Agli inizi “baile” si sviluppò in due filoni prinicipali, uno all'interno delle corti caratterizzato da passi semplici e
spostamenti lenti e marcati e si sviluppavano nei palcoscenici e l'altro negli ambienti popolari con danze
molto disinvolte, improvvisate e sempre accompagnati dalle percussioni (es. la zambra, i bailes de
cascabeles e la zarabanda)7.
Sotto il nome di zambra, si riconoscono due generi diversi tra loro, il primo appartiene alle danze gitane di
Granada e il secondo ad uno stile teatrale creato da Manolo Caracol per spettacoli, nei quali ricreava
l'ambiente moresco delle grotte di Sacromonte.
Il nome zambra deriva dalla parola araba zamra (flauto) o zamara (musicista) e si identifica come il genere
proprio dei moreschi granadini8.
Dall’altra parte, il cante flamenco ha attinto tantissimo dal razzismo dell’epoca. I gitani mescolarono la loro
musica con quella dei mussulmani ed ebrei e non solamente per la somiglianza stilistica, ma anche per la
simile condizione sociale e le persecuzioni vissute in comune.
Le linee attuali dell’arte del flamenco si crearono attorno al 1700, anche se erano in incubazione già da un
paio di secoli.
Il flamenco come ballo individuale è nato, come visto antecedentemente, da una serie di danze popolari più
o meno sensuali, tutte sviluppatesi nei bassifondi e negli ambienti delle taverne, dove la gente ballava, a
volte per festeggiare o sottolineare una ricorrenza, ma molto più spesso per dimenticare. Come sfogo
personale e privato esso ha sempre mantenuto qualcosa di primitivo. Nei cafés cantantes (luoghi d'incontro)
il ballo subisce una manipolazione tecnica e stilistica: si complicano le figure, si accentuano le differenze tra
6
Giorgio Mancinello, Musica Zingara, MEF, Firenze Ateneum 2006, p.126
7
vedi stage “danza gitana aflamencata”
8 Arbelos Carlos, El flamenco contado con sencillez, Madrid, Maeva, 2002.p.119
21
il programma di ballo maschile e il programma femminile, si sottolineano con vigore le distinte identità
sessuali e si sovraespone la figura femminile.
Dagli inizi del 1900 il flamenco viene portato nei grandi teatri prima spagnoli per poi arrivare in tutto il
mondo. Nascono le compagnie di ballo e le coreografie prestabilite e il baile perde una parte
dell'improvvisazione9.
Le nuove interpretazioni
Il mondo del flamenco a partire dal 1975 in poi si allarga introducendo anche fusioni e assimilando
ritmi da tutto il mondo e soprattutto dall’Argentina, Cile, Messico e in particolare affinità con la
musica jazz e deliziose fusioni con la musica araba e turca.
In generale possiamo quindi distinguere con “flamenco arabo” le moderne fusioni tra il flamenco attuale e la
musica araba e con “arabo-andaluso” la musica andalusì del periodo medievale durante la dominazione
araba, che comunque ere più suonata che ballata.
Queste due distinzioni attualmente non sono poi così nette, tanto che numerosi artisti amano chiamare le
proprie forme di fusione moderne con il termine “arabo-andaluso” anziché “flamenco-orientale o arabo” per
identificare uno stile gitano più “callejero” (di strada) e spontaneo rispetto all'attuale flamenco che si studia
nelle scuole di danza molto rigoroso e preciso.
Lo stage di flamenco orientale della domenica sarà dedicato allo studio della tecnica base di flamenco, i
passi base del flamenco, l'uso della gonna e come fusionare la danza del ventre con il flamenco.
Lo stage di flamenco orientale con il mantón sarà dedicato alla tecnica dello scialle e una coreogafia. (si
consiglia di partecipare al base prima).
Nello stage di danza gitana aflamencata si tratterà il tema delle danze gitane del XV e XVI secolo attraverso
una interpretazione personale su come ballavano i gitani dell'epoca da poco arrivati nella penisola iberica.
9 Caracteristícas del flamenco, www.andalucia.flamenco.org (5 Marzo 2009)
22
STAGE DI BARBARA PETTENATI
Gli stage proposti sono finalizzati alla preparazione fisica per una successiva corretta esecuzione dei
movimenti base della danza specifica.
Glutei, gambe, piedi
Riscaldamento total body
esercizi ginnici per i glutei
utilizzo del grande gluteo nell’esecuzione dei movimenti :
 di bacino dal basso verso l’alto
 ompalos
 twist
 lato lato
 drop hip
combinazioni in movimento
defaticamento finale
Addominali, dorsali
Riscaldamento total body
esercizi ginnici per gli addominali
utilizzo degli addominali e dei dorsali nell’esecuzione dei movimenti
 di bacino dall’alto verso il basso
 up, down e diagonali di torace
 cerchio orizzontale verticale assiale di torace
 pelvic up e down
 cammello
 roll up roll down
combinazioni in movimento
defaticamento finale
Coreografia tabla primi passi
brano: tabla solo 1
durata brano : 1:15
album : Issam the art of the drum solo
(stesso brano proposto al congresso di novembre ma coreografia più semplice adatta per chi studia da circa
6 mesi)
movimenti utilizzati :
 egyptian shimmy
 shimmy di spalle
 torace up - down
 lato lato bacino
 cerchio di bacino e di torace
M° Barbara Pettenati
Tecnico Federale e giudice di gara DO/C FIDS
cell 333 9517973
e-mail : [email protected]
www.barbara-ara.it
23