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Brano : Annali VI, 6
Autore : Tacito
Originale
[6.6] Insigne visum est earum Caesaris litterarum initium; nam his verbis exorsus est: 'quid scribam vobis,
patres conscripti, aut quo modo scribam aut quid omnino non scribam hoc tempore, di me deaeque peius
perdant quam perire me cotidie sentio, si scio.' adeo facinora atque flagitia sua ipsi quoque in supplicium
verterant. neque frustra praestantissimus sapientiae firmare solitus est, si recludantur tyrannorum mentes,
posse aspici laniatus et ictus, quando ut corpora verberibus, ita saevitia, libidine, malis consultis animus
dilaceretur. quippe Tiberium non fortuna, non solitudines protegebant quin tormenta pectoris suasque ipse
poenas fateretur.
Traduzione
6. Parve insolito l'inizio della lettera di Cesare, che appunto cos? esordiva: ?Cosa debba scrivervi, o
senatori, o in che modo, oppure cosa, in questo momento, non debba scrivervi, se io lo so, possano gli d?i e
le dee farmi perire di morte peggiore di quella di cui mi sento ogni giorno morire?. Tanto i suoi delitti e le sue
nefandezze s'erano trasformati in tormento anche per lui. Non a caso il maggiore dei saggi soleva affermare
che, se si potesse mettere a nudo l'animo dei tiranni, vi si vedrebbero lacerazioni e ferite, perch?, come il
corpo porta i segni delle percosse, cos? l'animo ? straziato dalla crudelt?, dalle incontrollate passioni, dai
propositi malvagi. In verit?, n? la potenza n? il rifugio nella solitudine proteggevano abbastanza Tiberio dal
dover confessare i tormenti del suo cuore e le sue pene.
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