UN GRIDO DI SPERANZA
(Venerdì Santo 2004)
La Passione di Gesù è un evento troppo alto e incandescente, perché si possa trattare
con le nostre parole. Ci vorrebbero i grandi innamorati di Cristo come i contemplativi, i
mistici e poeti come Jacopone da Todi, S. Giovanni della Croce e S. Teresa d’Avila per
balbettare qualcosa. Ma lasciamo alla Parola di Dio che abbiamo ascoltato il compito di
introdurci nel Mistero che celebriamo.
Un grido di speranza
“Cristo, nei giorni della sua vita terrena, offrì preghiere e suppliche con forti grida e
lacrime a colui che poteva liberarlo dalla morte e fu esaudito per la sua pietà”. Così si
esprime l’autore della lettera agli Ebrei che abbiamo ascoltato nella prima lettura.
Anche nei Vangeli spesso si accenna a un Gesù che grida. “Verso le tre del pomeriggio
– dice Matteo – Gesù gridò a gran voce: Eli, Eli lama sabactani, che vuol dire: Dio mio,
Dio mio, perché mi hai abbandonato?”.
Ancora, nel Vangelo di Luca: “E mandando un grande grido, Gesù esclamò: Padre,
rimetto il mio spirito nelle tue mani”.
Abbiamo fatto attenzione alle parole di Gesù in Croce, ma ecco che i Vangeli
sottolineano anche le grida di Gesù in Croce. Non deve essere casuale questa insistenza.
Viene d’obbligo la domanda: perché Gesù grida sulla Croce? Quale il suo significato per
noi?
L’evangelista Giovanni nel suo racconto della Passione che abbiamo ascoltato, non
accenna al grido di Gesù in Croce, ma riassume in una parola tutto il mistero della sua morte
in Croce con l’ultima sua parola: “Tutto è compiuto”. E chinato il capo spirò.
La morte di Gesù in Croce non è stata un incidente di percorso, frutto di un ennesimo
errore giudiziario: aspetti questi da non escludere in una lettura storica della passione. La
morte di Gesù in Croce è piuttosto la conseguenza di una vita, di uno stile di vita vissuta
all’insegna della libertà di donare la sua vita all’amore del Padre e alla causa dell’uomo da
salvare, fino a perdere la preoccupazione di salvare se stesso.
Quel “tutto è compiuto” è come un grido di speranza rivolto a tutti quelli che muoiono
come Gesù, dedicando la vita all’amore di Dio e dell’uomo da salvare. La morte di Gesù in
Croce rivela una nuova libertà: quella che consente anche a ciascuno di noi di perdere la
propria vita, di dedicarla cioè ad una causa, del cui perfetto compimento si fa garante Dio
stesso.
Un grido di protesta
Mi ha colpito alcuni anni fa, accompagnando le ultime ore di vita di un amico, sentirlo
esprimere le sue ultime volontà alzando sempre più la voce, quasi gridando. “Perché
gridi?” gli diceva la figlia minore. “Non c’è bisogno di gridare, ti sentiamo lo stesso, ti
siamo vicini”. Appunto, perché un uomo che muore grida? Me lo sono domandato tante
volte da allora.
Il grido di un morente è anche segno di protesta. L’uomo che muore protesta contro il
silenzio di cui viene circondato. La morte sembra aver attirato nella nostra cultura una sorta
di censura, di silenzio forzato. La morte non parla, non deve parlare. E così l’ideale è quello
di morire nel sonno, d’andarsene senza saperlo e, quasi, senza farlo sapere. Anche quando
uno è in ospedale per morire, egli è trattato come se dovesse guarire.
L’ideale in passato era quello di una “buona morte”, alla quale prepararsi con esercizi,
preghiere, forme di assistenza e di accompagnamento. E si aveva paura della morte
improvvisa. Recitava una litania: “A morte improvvisa, libera nos Domine”. Dalla morte
improvvisa, liberaci o Signore! Oggi, quando si dice che “il tale ha fatto una bella morte”,
si intende una morte improvvisa, istantanea, quasi senza accorgersi. Perché?
L’uomo d’oggi ha difficoltà a misurarsi con un evento che lo interpella così
profondamente e radicalmente. Il grido di un morente è perciò una provocazione a non
rimuovere la difficoltà, a non lasciare cadere la domanda che essa solleva: “Dio mio, Dio
mio, perché mi hai abbandonato?”. È la stessa domanda pregata da Gesù in Croce. La
questione che la morte umana solleva non è solo una questione psicologica o sociale, ma
propriamente una questione religiosa.
In uno dei suoi Ultimi Canti padre Davide Maria Turoldo con il suo stile provocatorio
scrive: “No, credere a Pasqua non è giusta fede: troppo bello…a Pasqua. Fede vera è al
Venerdì Santo, quando Tu non c’eri lassù, quando non una eco risponde al suo alto grido”.
In realtà, Dio risponde al grido di Gesù in Croce liberandolo dalla morte ed esaudendo quel
grido di speranza con la Risurrezione. Ma, oltre che grido si speranza, quello di Gesù in
Croce è anche grido di protesta. Protesta nei confronti della religione dell’ottimismo.
Religione dell’ottimismo è quella che finisce per trasformare Dio in un idolo: cioè in un
dio facile, remissivo, a totale disposizione dell’uomo, soprattutto prodigo di favori. Un dio
così non manca anche oggi di devoti. Alle volte si ha l’impressione che al Cristianesimo si
chieda solo il segreto di sentirsi bene, cioè più confortati e rilassati, non la novità radicale
che con l’annuncio della Risurrezione è in grado di sommuovere tutto il quadro
dell’esistenza. Ma questo è un Cristianesimo senza speranza e senza attesa. È un
Cristianesimo appiattito sul presente.
Rivolgendosi ai giovani per la XIX Giornata mondiale della gioventù il Santo Padre
così si esprimeva: “Non siate sorpresi se sul vostro cammino incontrate la Croce… È
proprio questa la verità che ho voluto ricordare ai giovani del mondo consegnando loro
una grande Croce di legno al termine dell’Anno Santo della Redenzione nel 1984. Da
allora, essa ha percorso diversi Paesi, in preparazione alle vostre Giornate Mondiali della
Gioventù. Centinaia di migliaia di giovani hanno pregato attorno a quella Croce.
Deponendo ai suoi piedi i pesi di cui erano gravati, hanno scoperto di essere amati da Dio,
e molti di loro hanno trovato anche la forza di cambiare vita” (Messaggio del Santo Padre
“Vogliamo vedere Gesù”, 6).
Anche noi, ciascuno di noi, tra poco uscirà allo scoperto per venire qui davanti alla
Croce e deporre, insieme al bacio della nostra venerazione, il peso di qualche fatica,
delusione, sfiducia in noi stessi e negli altri. E da lì, dalla Croce, ripartire e trovare “la forza
di cambiare vita”, come dice il papa ai giovani. E se lo dice ai giovani…
+ Adriano VESCOVO
Reggio Emilia, 9 aprile 2004
Liturgia del Venerdì Santo, Basilica di S. Prospero in città