Capitolo 5 IL MODELLO DELLA SINTESI NEOCLASSICA* 1. Il keynesismo del modello IS-LM: un equivoco culturale Il modello IS-LM costituisce ancora oggi lo schema macroeconomico di base preso come riferimento dalla gran parte degli economisti che si definiscono keynesiani. Ciononostante, la “natura keynesiana” di questo modello è stata sempre oggetto di discussione. I primi a contestare il “keynesismo” del modello furono i più stretti allievi di Keynes che, con Joan Robinson, parlarono a proposito di “keynesismo bastardo”. L’espressione “sintesi neoclassica”, frequentemente utilizzata con riferimento al modello IS-LM, ne svela – a parere di chi scrive – l’intima sostanza: si tratta di una rivisitazione del modello della Teoria generale in chiave neoclassica che ha aperto la strada ad una operazione di riconduzione dei principi espressi nel libro del ’36 nell’alveo della teoria neoclassica. Le ragioni della Robinson e degli altri allievi di Keynes sono note, e comunque saranno chiare al termine della lettura di questo capitolo. Vale comunque la pena sottolineare l’importante equivoco culturale in cui è caduta, dopo l’edificazione del modello IS-LM, buona parte della teoria economica: i “keynesiani della sintesi”, non raccolgono che alcune intuizioni di Keynes e calano la loro analisi in un contesto di ragionamento e di metodo tutto neoclassico. Il compito di seguire le orme di Keynes rimane di fatto nelle mani degli autori di scuola post-keynesiana. A ben vedere, l’equivoco culturale è duplice. Infatti, con la “sintesi” di Hicks e Hansen (i due autori del modello IS-LM) non solo alcuni principi cardine della Teoria generale vengono estratti dalla logica complessiva del libro e ricostruiti in “ambiente teorico” neoclassico, ma la stessa Teoria generale viene completamente estrapolata dall’insieme delle opere di Keynes, per cui il valore esemplificatorio di alcune ipotesi avanzate da Keynes in quel libro viene completamente smarrito. Con riferimento a quest’ultimo aspetto, è possibile affermare che lo stesso Keynes, inconsapevolmente, preparò la strada alla “sintesi”. Con la Teoria generale, infatti, egli abbandonò il suo programma di lavoro per concentrarsi sul fenomeno della crisi. A tale scopo, mise da parte lo studio delle fasi del processo economico (per concentrarsi sugli equilibri finali), tralasciò l’analisi del mercato monetario (supponendo una offerta di moneta esogena), rinunciò ad approfondire le determinanti della distribuzione (assumendo la teoria marginalista della distribuzione), concentrò la sua attenzione sull’altra faccia della moneta (la riserva di valore). Nella Teoria, Keynes si concentrò sulle condizioni di equilibrio macroeconomico, sul principio della domanda aggregata, sulla trappola della liquidità. Dunque, la teoria che doveva essere sottoposta a “riconduzione dottrinaria nell’ortodossia neoclassica” era già stata in parte sfrondata, dallo stesso autore, di alcuni scomodi apparati non-neoclassici. D’altronde, dopo la * Appunti presentati in prima stesura. A completamento di questo capitolo si rinvia al testo di A. Graziani, Teoria economica. Macroeconomia. 74 pubblicazione dei lavori di Hicks e Hansen, Keynes non si curò di chiarire esplicitamente la questione, sebbene alcuni contributi sulla “teoria monetaria della produzione” lo vedono chiaramente impegnato in un ritorno di interesse al progetto del Trattato sulla moneta. Nell’opera di Hicks e Hansen ci imbattiamo in ipotesi estranee al pensiero di Keynes. Hicks e Hansen riprendono dalla teoria neoclassica della domanda di moneta l’idea secondo cui la moneta ha un’utilità indiretta. L’utilità della moneta dipende dal quantitativo di merci che essa consente di acquistare. Come per qualsiasi merce, la moneta ha dunque una utilità marginale decrescente. Si trattava di un assunto respinto da Keynes. Per Keynes la moneta ha un’utilità diretta, in quanto rappresenta una sorta di assicurazione contro l’incertezza. Proprio per tale ragione, in caso di caduta di prospettive di profitto, nella crisi, cioé nel caso della trappola della liquidità, la domanda di moneta diventa teoricamente infinita. Si tratta di una conclusione assai improbabile seguendo l’ipotesi della utilità indiretta della moneta. E’ chiaro, infatti, che se l’utilità marginale della moneta si comporta come quella di una qualsiasi merce, a un certo punto essa assumerà un valore pari allo zero, e poi valori negativi; e nessun agente razionale domanda un bene il cui consumo conferisce disutilità. La trappola della liquidità – che Keynes intendeva come una circostanza ricorrente nelle economie capitalistiche e nient’affatto speciale – diventa un caso teorico “limite”, una eccezione. Per quanto concerne l’offerta di moneta, gli autori della “sintesi” raccolgono impropriamente l’ipotesi avanzata da Keynes nella Teoria, e cioé l’esogeneità della offerta di moneta. Come sappiamo, nel Trattato sulla moneta Keynes aveva spiegato che la quantità di moneta in circolazione è determinata dalla domanda di finanziamenti (il finance motive). Pertanto, nelle fasi espansive del ciclo l’offerta di moneta era destinata a crescere, per poi contrarsi nelle fasi depressive. Si è anche visto che lo stesso Keynes, allo scopo di concentrare l’attenzione sul fenomeno della crisi per caduta della domanda aggregata, ipotizzò – nella Teoria – un’offerta di moneta data. L’esogenità dell’offerta di moneta era una ipotesi semplificatrice, dunque, avente lo scopo di porre sotto esame la crisi. Hicks e Hansen raccolgono impropriamente l’ipotesi di esogeneità della offerta di moneta in quanto il loro intento è spiegare non la crisi, ma in generale il funzionamento del sistema economico. Essi effettuano cioé una generalizzazione di assunto che Keynes non avrebbe mai sottoscritto. Il risultato della ipotesi di offerta di moneta data è l’“effetto Pigou” riproponibile nei termini più chiari nel real balance effect alla Patinkin. Per comprendere il punto, prendiamo in considerazione un’economia con offerta di moneta data, e ipotizziamo che vi sia – come prevede Keynes nella Teoria generale – una situazione di equilibrio macroeconomico con disoccupazione involontaria. In una situazione del genere, in assenza di attriti, l’eccesso dell’offerta sulla domanda di lavoro determina una caduta del salario monetario, una riduzione dei costi di produzione delle imprese, e di conseguenza un ribasso dei prezzi degli outputs. Quest’ultimo, data l’ipotesi circa l’offerta di moneta, genera un incremento dell’offerta reale di moneta cioé una crescita dei saldi monetari reali – una caduta del tasso dell’interesse, un aumento del livello degli investimenti, della domanda aggregata e quindi della produzione e della occupazione. Dunque, l’ipotesi di offerta di moneta data rende possibile la teorizzazione di una catena causale (un meccanismo di aggiustamento automatico) che assicura l’assenza di disoccupazione involontaria. A questo punto la i fenomeni di crisi e la persistenza della disoccupazione involontaria diventano, in 75 presenza di offerta di moneta data, al massimo degli “incidenti di percorso”, casi particolari. Piena occupazione, legge degli sbocchi, inesistenza d’incertezza e dunque di accumulo indefinito di scorte liquide, banche come puri intermediari finanziari, rappresentano l’orizzonte teorico all’interno del quale si muove il modello HicksHansen. 2. Il modello E’ qui sufficiente, per procedere alle osservazioni successive, esporre una versione semplice del modello. Cominciamo con l’analisi del mercato delle merci. Definiamo la domanda aggregata (Y), come somma di consumi (C), investimenti (I) e spesa pubblica (G). I consumi, sono costituiti da una componente autonoma (C0) e da una componente che dipende direttamente dal reddito disponibile (Yd). Gli investimenti sono costituiti da una componente autonoma (I0), da una componente funzione inversa del tasso dell’interesse r (secondo il coefficiente a). Il reddito disponibile è ciò che rimane del reddito una volta sottratte le imposte (T). In equazioni: Yd = C + I + G; C = C0 + cYd; I = I0 – ar; Yd = Y – T; Y s = Yd da cui, con passaggi successivi: Y = C0 + c (Y – T ) + I0 – ar + G ; ar = C0 + Io + G - Y ( 1 –c) – cT; r 1 C o I 0 G Y 1 c c T . a a a Quest’ultima è l’equazione della IS. Essa rappresenta la condizione di equilibrio del mercato delle merci (domanda aggregata uguale offerta aggregata), ovvero le coppie di tasso di interesse e reddito che pongono in equilibrio il mercato delle merci. Sul piano analitico, risulta evidente la relazione inversa esistente tra interesse e reddito. Da un punto di vista grafico, possiamo definire la IS come il luogo geometrico dei punti del piano interesse-reddito che portano in equilibrio il mercato delle merci: 76 r IS eccesso offerta di merci eccesso domanda di merci O Y La IS è, date le ipotesi, inclinata negativamente: supponendo di partire da un qualsiasi punto del piano in cui ci sia equilibrio del mercato delle merci, una riduzione del tasso dell’interesse determinerebbe un aumento degli investimenti e quindi della domanda aggregata; pertanto, affinché permanga l’equilibrio la riduzione del tasso di interesse deve associarsi ad un aumento della produzione (e quindi del reddito). A questo punto passiamo allo studio delle condizioni dell’equilibrio monetario. Supponiamo che il livello dei prezzi sia dato, per cui tutte le espressioni monetarie che consideriamo corrispondono immediatamente a specifiche dimensioni reali. Indichiamo con “Md” la domanda di moneta, e con “Ms” l’offerta. Siano l1 e l2 rispettivamente le propensioni per la liquidità rispetto al reddito e al tasso di interesse. Avremo: Md = l1Y – l2r ; Ms = M ; Md = Ms ; da cui: M = l1Y – l2r ; r l1 1 Y M; l2 l2 quest’ultima è l’equazione della LM. Essa rappresenta la condizione di equilibrio monetario (domanda di moneta uguale offerta di moneta), ovvero le coppie di tasso di interesse e reddito che pongono in equilibrio domanda e offerta di moneta. Sul piano analitico, risulta evidente la relazione diretta esistente tra interesse e reddito. 77 Da un punto di vista grafico, possiamo definire la LM come il luogo geometrico dei punti del piano interesse-reddito che portano in equilibrio domanda e offerta di moneta: r LM eccesso offerta di moneta eccesso domanda di moneta 0 Y La LM è, date le ipotesi, inclinata positivamente. Ipotizziamo di partire da un punto del piano in cui ci sia equilibrio tra domanda e offerta di moneta; supponiamo che si determini un incremento del livello del reddito. In seguito all’aumento del reddito, si avrà un incremento della domanda di moneta a scopi transattivo-precauzionali, per cui – essendo data l’offerta di moneta – si avrebbe un eccesso di domanda di moneta. Affinché permanga l’equilibrio è dunque necessario che l’altra componennte della domanda di moneta (la componente speculativa) si riduca; è cioé necessario che all’aumento del reddito faccia seguito un aumento del tasso di interesse. A questo punto, è possibile osservare come il modello mostri l’esistenza di un punto di equilibrio simultaneo per il mercato delle merci e per il mercato della moneta, costituito dal punto d’intersezione tra la IS e la LM: r IS LM E O Y Le coordinate del punto di equilibrio (Ye, re) si desumono attraverso la risoluzione del sistema contenente le due equazioni della “IS” e della “LM”: 78 1 1 c Y 1 C 0 I 0 G c T ; a a a l1 1 r Y M; l2 l2 r Risolvendo: l1 1 1 1 c Y M 1 c Y C 0 I 0 G T ; l2 l2 a a a a l1 a Y 1 c Y M C 0 I 0 G cT ; l2 l2 al a Y 1 1 c M C 0 I 0 G cT ; l2 l2 Y C0 I 0 G cT a M ; al1 l2 1 c l2 1 in questo modo, abbiamo determinato il valore del reddito di equilibrio contestuale dei due mercati. Accanto all’esistenza dell’equilibrio, è possibile anche mostrare la capacità del sistema di convergere all’equilibrio. Prendiamo in considerazione un dato punto del piano interesse-reddito, ad esempio il punto A del grafico in basso. r LM A D E B IS Y 79 Nel punto A si ha equilibrio del mercato delle merci, ma non l’equilibrio del mercato della moneta; infatti, in A vi è di eccesso di offerta1. Un eccesso di offerta di moneta implica la presenza di scorte liquide reali superiori al livello desiderato dagli agenti. Si mette in moto una cautena causale che, a partire dal processo di riaggiustamento dei portafogli, porta all’equilibrio in E. Infatti, la presenza di scorte liquide reali eccessive determina una crescita della domanda di titoli, un aumento del prezzo dei titoli, una caduta del tasso di interesse, un aumento degli invetimenti, un aumento della domanda aggregata e dunque del reddito di equilibrio. In conclusione, a partire dal punto si mette in moto un processo di aggiustamento automatico che porta, attraverso un calo di r e un incremento di Y, al punto E. Similmente si può mostrare che l’economia è in grado di raggiungere spontanemente l’equilibrio a partire da altri punti di squilibrio. Ad esempio si consideri il punto D del grafico in alto. In questo caso, l’eccesso di offerta di merci determina un accumulo i scorte invendute e dunque un calo della produzione e del reddito. Ne segue un calo della domanda di moneta e quindi un aumento della domanda di titoli, un aumento del prezzo dei titoli e una riduzione del tasso dell’interesse. Con ciò l’economia si porta da D a E. 3. Politica fiscale e politica monetaria Torniamo al valore del reddito al quale si ha equilibrio del mercato delle merci e del mercato della moneta: Y C0 I 0 G cT a M . al1 l2 1 c l2 1 Questa equazione ci consente di conoscere gli effetti sul reddito di equilibrio di variazioni della parte autonoma della domanda aggregata e dell’offerta di moneta. In particolare, si osservano i moltiplicatori della politica fiscale e della politica monetaria i quali esprimono – rispettivamente – la variazione del reddito di equilibrio conseguente ad una variazione unitaria della spesa pubblica e dell’offerta di moneta. Il moltiplicatore della politica fiscale è: Y 1 . G al1 1 c l2 1 Per capire ciò basta confrontare il punto A con il punto B, che si trova lungo la LM e che quindi rappresenta un punto di equilibrio del mercato della moneta. A parità di reddito, nel punto A vi è un valore maggiore del tasso di interesse. Ciò significa che la domanda di moneta a scopo speculativo è inferiore rispetto al valore di equilibrio e che dunque in A vi è un eccesso di offerta di moneta. 80 Il moltiplicatore della politica monetaria è: a l2 Y . a M l1 1 c l2 Sviluppiamo l’analisi in termini sintetici attraverso la ben nota “casistica” del modello IS-LM. Inizialmente (nelle sezioni 3.1 – 3.3), supponiamo che la politica fiscale sia finanziata mediante indebitamento pubblico. 3.1. Politica fiscale e LM “tradizionale” Supponiamo di avere una politica fiscale espansiva in presenza della LM sin qui considerata. In questo caso, l’incremento del reddito sarà: Y 1 al1 1 c l2 G . Si osserva che il valore del moltiplicatore è inferiore al valore del moltiplicatore keynesiano. Dal punto di vista grafico, si assiste a una trasposizione della IS verso destra e l’economia si porta dal punto E al punto E1. Si nota che il reddito aumenta meno di quanto previsto nella Teoria generale (punto Ek). r IS1 IS0 LM E1 E Ek Y 0 81 Y La logica del modello può essere chiarita descrivendo la catena causale che si innesca. L’incremento della spesa pubblica determina un incremento del reddito che a sua volta, causa un incremento della domanda di moneta; poiché l’offerta di moneta è data, l’unico modo che gli operatori hanno a disposizione per ottenere la moneta di cui hanno bisogno è costituito dalla vendita di titoli. L’aumento dell’offerta di titoli, determina una caduta del loro prezzo e di conseguenza, un aumento del tasso dell’interesse. Nel modello IS-LM, il reddito cresce in misura inferiore rispetto al caso keynesiano a causa di questo incremento del tasso di interesse. In questo modello, infatti, le variabili monetarie retroagiscono sulle variabili reali attraverso l’aumento del tasso di interesse: quest’ultimo, infatti, induce una riduzione degli investimenti (spiazzamento degli investimenti) che in parte mitiga gli effetti espansivi della politica fiscale. La retroazione monetaria non è prevista nel modello della Teoria generale e questo spiega la ragione del minore incremento del reddito nel modello IS-LM. Vale la pena sottolineare che nel modello in esame la retroazione monetaria si realizza in quanto a seguito dell’incremento del reddito (generato dalla politica fiscale espansiva) l’offerta di moneta non cresce. Se l’offerta di moneta seguisse endogenamente l’espansione del reddito (come si verificherebbe nel modello del Trattato) il fenomeno dello spiazzamento degli investimenti non si avrebbe luogo. E’ anche opportuno osservare che nel modello IS-L l’interazione tra le variabili reali e le variabili monetarie passa attraverso il tasso di interesse. Quest’ultimo si presenta come un fenomeno al tempo stesso reale e monetario. 3.2. Politica fiscale e trappola della liquidità Nel modello IS-LM è possibile considerare il “caso” keynesiano della crisi, proponendo una LM orizzontale che rispecchia la trappola della liquidità. Il tratto orizzontale della LM corrisponde a una domanda di moneta a scopo speculativo teoricamente infinita. r IS1 IS0 E0 0 Y E1 LM Y Ipotizziamo di partire da una situazione di equilibrio, rappresentata dal punto E0. La politica fiscale espansiva traspone la IS verso destra, determinando uno spostamento del 82 punto di equilibrio da E0 a E1. Si assiste ad un aumento del reddito senza variazione in aumento del tasso di interesse. Su un piano logico, l’incremento del reddito scaturito dall’aumento della spesa pubblica non comporta un aumento della domanda di moneta (e quindi un aumento del tasso di interesse) in quanto la domanda di moneta è già teoricamente infinita. In altri termini, in questa situazione non si assiste ad un incremento della offerta di titoli e la catena causale prima descritta si interrompe. Ciò significa, in conclusione, che la politica fiscale espansiva non genera spiazzamento degli investimenti e ha come effetto l’incremento del reddito previsto dalla equazione del moltiplicatore keynesiano. Quest’ultima conclusione può essere verificato tornando alla equazione del moltiplicatore della politica fiscale. In questo caso, la domanda di moneta come funzione del tasso dell’interesse diventa infinita (l2=), per cui al denominatore il rapporto al1/l2 si annulla e il moltiplicatore della spesa pubblica, diventa: Y 1 G. 1 c 3.3. La politica fiscale nel caso neoclassico Il “caso neoclassico” del modello IS-LM è descritto da una LM verticale, costruita dunque nell’ipotesi che la domanda di moneta diviene funzione esclusiva del reddito (l2=0). r LM E1 IS1 E0 IS0 0 Y Ipotizziamo di partire da una situazione di equilibrio, rappresentata dal punto E0. La politica fiscale espansiva traspone la IS verso destra, determinando uno spostamento del punto di equilibrio da E0 a E1. Si assiste ad un aumento del tasso di interesse senza variazione in aumento del reddito. Su un piano logico, l’incremento della spesa pubblica genera un aumento della domanda di moneta e un successivo incremento della 83 offerta di titoli tale da generare una diminuzione del prezzo dei titoli e un conseguente aumento del tasso di interesse che spiazza totalmente gli investimenti. In altri termini, la crescita della spesa pubblica induce – attraverso l’incremento del tasso di interesse – un calo simmetrico degli investimenti. La spesa pubblica si sostituisce esattamente alla spesa privata e gli effetti moltiplicativi si azzerano. In questo caso la politica fiscale si presenta totalmente inefficace. Anche in questo caso è bene sottolineare che il ragionamento si tiene sull’ipotesi della esogeneità dell’offerta di moneta; se l’offerta di moneta seguisse la domanda di moneta la politica fiscale non sarebbe inefficace. Quanto appena detto può essere verificato osservando l’equazione del moltiplicatore della politica fiscale, tenendo presente che in questo caso l2=0: Y 1 1 1 0. al al G 1 1 1 c (1 c) l2 0 3.4. Politica monetaria e LM “tradizionale” Analizziamo, a questo punto, gli effetti di una politica monetaria espansiva all’interno del sistema economico. Gli incrementi dell’offerta di moneta nell’ambito del modello vengono concepiti come incrementi esogeni decisi dalle autorità monetarie. r LM0 IS LM1 E0 E1 O Y Ipotizziamo che, a partire da un punto di equilibrio iniziale in E0, si realizzi una politica monetaria espansiva; in seguito a ciò, la LM si traspone verso il basso e verso destra, da LM0 a LM1. Si determina un nuovo equilibrio in E1, a più bassi livelli del reddito e del tasso di interesse. Sul piano logico, l’aumento della offerta di moneta genera un eccesso di scorte liquide e quindi un riaggiustamento dei portafogli finanziari. Si assiste pertanto ad un aumento della domanda di titoli, ad una crescita del prezzo dei titoli, ad una riduzione del tasso di interesse, ad un incremento della domanda dei beni di investimento e conseguentemente del reddito di equilibrio. 84 In questo caso la politica monetaria risulta efficace e le varibili monetarie non neutrali. 3.5. Politica monetaria e trappola della liquidità In questo caso la politica monetaria risulta – come prescriveva Keynes nella Teoria generale – del tutto inefficace. Graficamente, l’incremento della offerta di moneta determina una trasposizione da LM0 a LM1 con “scivolamento” della parte orizzontale della funzione, per cui l’equilibrio permane in E0. Sul piano della logica economica questo è il “caso” del modello che maggiormente si approssima alle conclusioni keynesiane. In questa circostanza, l’incremento dell’offerta di moneta non determina un aumento della domanda dei titoli, in quanto l’offerta dei titoli è già teoricamente infinita (e dunque la domanda di moneta a scopo speculativo è teoricamente infinita). Ciò dipende dal fatto che gli operatori prevedono unanimemente un ribasso tale del corso dei titoli per cui le perdite in conto capitale derivanti dal possesso dei titoli più che compensano i guadagni in conto interessi. Quindi, la moneta ulteriormente immessa rimane “intrappolata” nelle scorte liquide degli agenti e il tasso di interesse non cala (e dunque non si hanno gli effetti positivi sulla domanda di investimenti). In questo caso, la politica monetaria espansiva non determina nessun effetto sul livello della produzione e di conseguenza sul livello dell’occupazione. r IS LM0 LM1 E0 O Y Osservando l’equazione del moltiplicatore della politica monetaria, e ricordando che in questo caso l2=, si ha: a l2 a Y 0 0. a al1 M (1 c) l1 1 c (1 c) l2 85 3.6. La politica monetaria nel caso neoclassico Ipotizziamo di partire da un equilibrio iniziale in E0 in una situazione di caso classico (LM verticale); assumiamo che vi sia una politica monetaria espansiva. In seguito a ciò, si ha una trasposizione della LM verso destra, da LM0 a LM1, per cui si determina un nuovo equilibrio in E1 a cui corrisponde un minor livello del tasso di interesse e un maggior livello del reddito rispetto a E0. r LM0 LM1 E0 E1 IS O Y Vale la pena osservare il valore particolare che assume in questo caso il moltiplicatore della politica monetaria. Ricordando che qui l2=0, si ottiene: a l2 a 0 Y . a al1 M l1 1 c (1 c) l2 0 l’indeterminatezza può risolversi come segue: al 2 l2 a l2 Y 1 . a al1l 2 M l1 l1 1 c (1 c)l 2 l2 l2 86 Si torna pertanto alla relazione neoclassica considerando che 1/l1 è la velocità di circolazione della moneta. 3.7. Il mix di politiche Naturalmente, nel caso in cui le due politiche agiscano in contemporanea (spesa pubblica finanziata con emissione di moneta pubblica) gli effetti espansivi (o restrittivi) si cumulano e i due moltiplicatori precedentemente osservati devono essere considerati congiuntamente: 1 a l2 Y Y . G M al1 1 c l2 Da un punto di vista grafico, in caso di politica fiscale espansiva assecondata dalle autorità di politica monetaria avremo contestualmente uno spostamento verso destra della IS e della LM. In caso di politica monetaria perfettamente accomodante si assisterà ad un incremento del reddito a tasso di interesse di equilibrio invariato. In termini grafici si ha uno spostamento da IS0 a IS1 e da LM0 a LM1; l’equilibrio passa da E0 a E1. r IS1 LM0 IS0 LM1 E0 O E1 Y In questo caso, l’aumento della spesa pubblica genera un incremento della domanda aggregata e del reddito di equilibrio; mentre l’incremento dell’offerta di moneta disinnesca la tendenza alla caduta del prezzo dei titoli appagando l’accresciuta domanda di liquidità degli agenti. 87 4. Prezzi variabili Abbiamo osservato che l’intersezione tra la IS e la LM individua un punto di equilibrio del mercato delle merci e della moneta. Sappiamo che in corrispondenza di questo punto anche il mercato dei titoli è in equilibrio. Si è anche osservato che - con eccezione della politica fiscale nel caso “neoclassico” e della politica monetaria nel caso della trappola della liquidità – le politiche risultano efficaci nell’incrementare il livello di attività dell’economia. Ciò può essere evidentemente vero solo a condizione che si ipotizzino equilibri iniziali di sottoccupazione; infatti se il reddito iniziale fosse stato corrispondente al pieno impiego, politiche fiscali e/o monetarie espansive non avrebbero avuto alcun effetto sul livello della produzione. Una considerazione simile può essere effettuata con riferimento al livello dei prezzi. Nell’analisi sin qui condotta del modello IS-LM si è infatti assunta l’ipotesi di prezzi dati. Infatti, una eventuale rimozione di questa ipotesi porta – in assenza di rigidità del mercato del lavoro – il modello a determinare endogenamente l’equilibrio di piena occupazione. Per controllare questa conclusione ricorriamo a un grafico ponendo accanto al modello IS-LM la funzione di produzione ed il mercato del lavoro. Nel primo quadrante in alto rappresentiamo le funzioni IS e LM; nel secondo tracciamo la bisettrice; nel terzo rappresentiamo la funzione di produzione; nel quarto poniamo il mercato del lavoro, con le tradizionali funzioni di domanda e offerta. Considerando la IS0 e la LM0, come si osserva, l’equilibrio si ha in corrispondenza del reddito Y0; per la produzione di questo reddito si rendono necessari - data la tecnica - N0 lavoratori. Data la funzione di domanda di lavoro, come si evince dall’ultimo quadrante in basso, il salario reale corrisposto dalle imprese sarà w/p0; a tale livello del salario reale l’offerta di lavoro è Ns0. In altri termini, nell’economia in questione vi è equilibrio del mercato delle merci e della moneta in presenza di disoccupazione involontaria pari al segmento Ns0-N0. L’equilibrio con sottoccupazione è la posizione in cui l’economia permane in caso di prezzi fissi. L’unica possibilità di incremento della occupazione riposa in una politica espansiva. Ma rimuoviamo l’ipotesi di prezzi fissi e supponiamo che i prezzi siano perfettamente flessibili. In questo caso, i salari monetari, dato l’eccesso di offerta sulla domanda di lavoro, tendono a diminuire; ciò determina una caduta dei prezzi e una crescita della quantità reale di moneta nell’economia. Da un lato l’aumento della quantità reale di moneta nell’economia genera il noto processo di aumento della domanda di titoli, aumento del loro prezzo, riduzione del tasso di interesse, aumento della domanda di beni di investimento e dunque aumento della produzione. D’altra parte la produzione e l’occupazione crescono in quanto i salari reali si riducono (i salari monetari scendono più dei prezzi a causa della presenza di disoccupazione involontaria). L’esito finale di questo processo è l’equilibrio di piena occupazione. Da un punto di vista grafico, supponendo di trovarci inizialmente in corrispondenza dell’equilibrio in E0, l’introduzione della piena flessibilità dei prezzi porta a una trasposizione della LM verso destra (per l’aumento dell’offerta reale di moneta) sino al nuovo equilibrio in E1, che corrisponde al punto EN del mercato del lavoro. In altri termini, la rimozione della rigidità dei prezzi ci riporta al ben noto effetto Pigou: il sistema recupera la “capacità neoclassica” di trovare spontaneamente la strada per la piena occupazione. 88 r LM0 LM1 E0 E1 IS0 O Y0 Y Y Y Y0 O Y N0 N w/p Nd Ns w/p0 EN N0 Ns0 N A questo punto si apre la strada a una nuova serie di considerazioni. In certo senso sembra di potere affermare che ciò che differenzia tale modello dalla tradizionale impostazione neoclassica-walrasiana non è un discrimine teorico bensì l’ipotesi che sta alla base delle diverse elaborazioni; la differenza cioé consta nel diverso giudizio circa la velocità e la capacità del mercato del lavoro di “reagire” agli squilibri tra domanda e offerta di lavoro. Vale la pena ricordare che Keynes ragionava in modo del tutto differente; infatti, a suo avviso la disoccupazione non dipendeva da ragioni interne al mercato del lavoro 89 (la rigidità del mercato) bensì da cause esterne al mercato del lavoro (la scarsità della domanda aggregata) il quale si presentava come un mercato “residuale”. Nel ragionamento keynesiano una riduzione dei salari aggregati avrebbe al più aggravato lo squilibrio determinando una ulteriore caduta della domanda aggregata. 90