SINTOMO E FUNZIONAMENTO PSICHICO 09/03/2010 Nei primi mesi di vita la madre “pensa” per il bambino attraverso il suo io ausiliario per cui il bambino vive esperienze di gratificazione e frustrazione che rimangono “non pensate” perchè ancora non si è aperto uno spazio psichico ed il bambino non riesce a decodificare quello che prova. Le esperienze affettive ovvero le stimolazioni emotive che il bambino riceve in questo periodo dal caregiver vanno ad integrarsi con le stimolazioni biologiche, organiche per cui il bambino vive delle esperienze che non è in grado di comprendere, nuove che vanno a costituire il suo “IO CORPOREO”, ovvero l’io del bambino che essendo ancora privo della capacità di pensare e decodificare quello che vive, rimane ancorato al corpo. Viene così avallato ciò che la psicoanalisi ci dice da tempo rispetto all’io corporeo, cioè che esso è un processo dinamico che inizia con la nascita e continua per tutta la nostra vita, che riguarda le rappresentazioni molteplici del nostro corpo (trascrizioni e ritrascrizioni di momenti evolutivi e relazionali). Il sentire corporeo spesso sta alla base delle scelte relazionali al di là della nostra volontà cosciente. Secondo Freud qualunque funzione psichica si appoggia dapprima su una funzione fisica che viene poi trasportata a livello mentale. L’io psichico del bambino man mano che si va strutturando dovrebbe fondersi con l’io corporeo e la personalità del bambino si dovrebbe legare al corpo, con la pelle che diventa la membrana-frontiera che delimita l’io dal non io. Il corpo reale man mano che viene simbolizzato cioè pensato perde il suo valore lasciando lo spazio gradualmente ai vissuti corporei che si sviluppano sulla base delle esperienze soggettive. In psicologia sappiamo che l’Io è, soprattutto all’inizio della vita, un io-corporeo. Sappiamo che la comunicazione ha nel corpo il suo strumento privilegiato, ma inconsapevole. E sappiamo anche che i messaggi trasmessi non sempre corrispondono al nostro pensiero cosciente. Una delle caratteristiche psicologiche ricorrenti nel paziente dermatologico è costituita da alterazioni della percezione e dell’autopercezione cutanea ed infatti l’esperienza clinica con questo tipo di paziente dà enorme rilievo al contatto corporeo (Pancheri, 1984). Questo conferma parzialmente una certa difficoltà nel discernere chiaramente i messaggi esterni, ma anche nel comunicare con l’esterno. A questo proposito è interessante sottolineare che nonostante la pelle sia una barriera protettiva contro le perturbazioni esterne ed una difesa del nostro stato interno, molto spesso dice di noi più di quanto vorremmo: su di essa sono evidenti la nostra salute, l’età, l’etnia, le cicatrici, i rossori, i pallori, i brividi Da quanto sopra introdotto, si può ben immaginare, dal punto di vista psicologico, l’importanza del tatto e del contatto a partire dalla relazione madre-bambino: il primo legame affettivo si costituisce proprio grazie alla soddisfazione del bisogno di contatto e di calore che il bambino sperimenta all’inizio della sua vita. Risulta quindi evidente il valore primario del contatto corporeo, specialmente nelle prime relazioni infantili (Di Sauro, Mura, 2007; De Blasi, 2007). Di questa opinione sono anche altri autori di stampo psicoanalitico che hanno messo in primo piano il ruolo della pelle e delle prime esperienze infantili tattili e cutanee considerandole essenziali per uno sviluppo sano del bambino sia dal punto di vista fisico che psichico (Di Sauro, 2007). Per Anna Freud (1979), per esempio, essere accarezzato ed abbracciato all’inizio della vita, aiuta il bambino a costruire un’immagine corporea ed un Io corporeo sani. Il bambino acquisisce la percezione della pelle come superficie in occasione delle esperienze di contatto. Nel bambino, la superficie dell’insieme del proprio corpo e di quello della madre diventa oggetto di esperienze assai importanti per le loro qualità emozionali, per la loro stimolazione e fiducia, del piacere e del pensiero. Bagni, lavaggi, 1 sfregamenti, sollevamenti, strette, ecc. sono tutte cure materne occasione di involontarie stimolazioni epidermiche. Le madri conoscono molto bene l’esistenza dei piaceri della pelle sia nel lattante che in loro stesse e con le loro carezze, i loro giochi li stimolano volontariamente. Il bambino piccolo riceve i gesti materni prima come un’eccitazione, poi come una comunicazione. Il massaggio diventa un messaggio (Di Sauro, Bertiè, 2006; Di Sauro, 2007). Anzieu ha introdotto in questo senso il concetto di IO – PELLE che può essere spiegato come una rappresentazione dell’ Io del bambino utilizzata da questo nelle prime fasi del suo svilippo; grazie ad essa il bambino riesce a vedere il proprio Io come capace di contenere materiale psichico, il tutto a partire dalla consapevolezza della propria superficie corporea che gli fornisce la possibilità di differenziare lo spazio interno da quello esterno; il concetto di Io – Pelle ha quindi il pregio di farci valutare la grande importanza della funzione di contenimento e di differenziazione della pelle. A questo proposito è interessante sottolineare che nonostante la pelle sia una barriera protettiva contro le pertubazioni esterne ed una difesa del nostro stato interno, molto spesso dice di noi più di quanto vorremmo: su di essa sono evidenti la nostra salute, l’ età, l’ etnia, le cicatrici, i rossori, i pallori, i brividi. Infatti, ” la pelle è un organo di senso ricco di terminazioni nervose che trasmettono piacere e dolore e che come tale può diventare sede di sintomi di conversione quali anestesie, parestesie, iperestesie, o bersaglio di manovre masochistiche, volontarie come in evidenti condotte perverse, o inconsce ” (Biondi, 1992). Il concetto di “Io” (”Io sono questo e non quest’altro”) si sviluppa proprio a partire dalla nostra pelle, che dagli albori della nostra vita ci invia continui messaggi sensoriali che ci permettono di discriminare puntualmente il mondo esterno da quello esterno. All’inizio siamo ciò che tocchiamo, ma in seguito impariamo a distinguere sempre più nettamente il soggetto dell’esperienza dall’oggetto esperito. La pelle è il confine della nostra sfera individuale, che ci separa inesorabilmente dal mondo esterno, ma è anche quel medium altamente sensibile che ci permette di entrarvi in con-tatto per realizzare quelli scambi indispensabili a ogni processo vitale. Allo stesso modo possiamo dire che l’Io è la pelle del nostro mentale. Nei pazienti schizofrenici assistiamo alla rottura di questa “pelle psichica”, con la conseguente perdita della propria delimitazione ed “emorragia” dei contenuti psichici profondi. Il soggetto diventa “Senza pelle” perchè una pelle non è mai stata costituita. Importante in questo senso lo studio di Miller e Baruch che già nel 1948 analizzarono la relazione madre – bambino in soggetti affetti da eczema. Essa appariva particolarmente alterata a causa della figura della “rejecting mother” definita come una madre il cui atteggiamento riflette il desiderio più o meno conscio, di liberarsi del figlio. Con le autoescoriazioni dovute al continuo grattarsi il bambino, da una parte si adegua all’ immagine negativa che la madre ha di lui, rendendosi indegno di essere amato, dall’ altra soddisfa il suo desiderio di disobbedire alla continua ed ossessiva richiesta di non grattarsi (Miller e Baruch, 1948). Un contributo piuttosto esteso e dettagliato è quello di Spitz che ha analizzato l’ eczema nell’ ambito del vasto quadro dello sviluppo delle relazioni oggettuali del neonato. La ricerca fu effettuata in un istituto di pena che ospitava donne internate per una grande varietà di reati e divenute madri durante la detenzione. In questa occasione furono studiati duecentotre bambini dei quali il 15% si ammalò di eczema entro il primo anno di vita. Al contrario, i bambini allevati in condizioni affettive diverse, in genere sviluppano la malattia in una percentuale che varia dal 2 al 3%. Spitz utilizzò come controllo per il suo studio gli altri centosessantacinque bambini ospitati nello stesso istituto e non affetti da eczema e nella sua dettagliata analisi, rilevò che esistevano due tipi di differenze significative tra i gruppi: una congenita ed una 2 ambientale. Per quanto riguarda la prima scoprì che nel settore dei riflessi cutanei, i bambini con eczema manifestavano un’ eccitabilità dei riflessi molto più elevata e, dato che i riflessi alla nascita sono un comportamento non appreso, l’ autore concluse che ci dovesse essere una predisposizione congenita. L’ eczema sarebbe quindi dovuto ” a un’ accresciuta prontezza di risposta o, in termini analitici, ad un accresciuto investimento della ricezione cutanea”. Per quanto riguarda il secondo fattore, cioè l’ influenza dell’ ambiente, e quindi le relazioni oggettuali, risultò che le madri dei piccoli ammalati avevano una personalità manifestamente infantile “Che tradiva un’ ostilità mascherata sotto forma di angoscia per il figlio; madri a cui non piaceva toccare il loro bambino o prendersene cura e che lo privavano sistematicamente del contatto cutaneo” (Spitz, 1965). Anche Gill ed altri hanno condotto un’ interessante ricerca su quarantaquattro bambini affetti da dermatite atopica con un’ età media di 6,9 anni. Gli autori hanno tentato di esaminare sistematicamente la relazione tra stress ed ambiente familiare da una parte ed intensità del sintomo dall’ altra. Sono stati misurati due tipi di eventi stressanti: eventi di grande rilievo come per esempio la nascita di un fratellino o il trasferimento in un’ altra casa; problemi quotidiani cronici distinguendo lo stress associato a comuni problemi quotidiani da quello associato alla malattia. Per valutare l’ ambiente familiare è stata utilizzata la Family Environment Scale (FES), una scala composta da dieci sottoscale: coesione, espressività, conflittualità, indipendenza, orientamento al successo, orientamento intellettuale e culturale, orientamento attivo – ricreativo, enfasi morale – religiosa, oorganizzazione e controllo. Infine, per valutare l’ intensità dello stimolo è stata effettuata una mappa della pelle arrossata ed è stata compilata una scheda col punteggio dei sintomi standard, in relazione al corso dei sintomi, all’ intensità della grattatura ed all’ impiego di medicinali. Uno dei risultati più interessanti di questo studio è l’ influenza dell’ ambiente familiare sulla gravità della sintomatologia. Gli autori hanno infatti riscontrato che un ambiente familiare “indipendente/organizzato” si correla ad un numero inferiore di sintomi, viceversa un ambiente familiare “morale/religioso” è associato a più sintomi. Nel primo tipo di organizzazione familiare si può rilevare una enfatizzazione di qualità come la riflessione, la fiducia in se stessi, la pianificazione, la routine regolare e la chiara divisione delle responsabilità; gli autori ipotizzano quindi che in questo caso venga assolta dalla famiglia una funzione di cuscinetto contro gli effetti dello stress, che i genitori diano ai figli indicazioni più chiare in merito alle conseguenze della grattatura ed infine che siano più pronti a trattamenti totali quali bagni e somministrazione di creme incoraggiando nei bambini una maggiore responsabilità nei confronti delle cure mediche. Le famiglie con un alto fattore “morale/religioso” sono invece più rigide in merito a ciò che è giusto e sbagliato, credono nella punizione, si affidano alla fede partecipando ad attività religiose. E’ possibile che questo tipo di ambiente sia maggiormente stressante e produca quindi più sintomi e maggiori necessità di medicamenti (risultato quest’ ultimo riscontrato dagli autori). Per quanto riguarda invece le misure dello stress, è stato rilevato che i problemi cronici legati alla patologia cutanea erano fortemente collegati alla gravità del sintomo, mentre non lo erano gli eventi della vita ed i problemi quotidiani più comuni. In conclusione quindi, secondo questo studio solo lo stress da dermatite atopica sembra essere collegato alla gravità dei sintomi (Gil et al., 1987). Il precedente risultato non è in armonia con quelli riscontrati in altre ricerche riguardanti lo stress in pazienti adulti con dermatite atopica. Tra questi ricordiamo lo studio di Faulstich ed altri che hanno utilizzato il già citato Sympton Check List – 90 riscontrando molti sintomi di stress psicologico. 3 L’ ipotesi degli autori è che lo stress possa condurre ad un’ alterazione dell’ attività autonoma sfociante in cambiamenti vascolari periferici, tali da far diminuire la soglia del prurito e quindi dare avvio al ciclo prurito – grattatura (Faulstich et al., 1985). In questa stessa ricerca inoltre, come in uno studio precedente di Garrie ed altri, sono stati riscontrati alti livelli di ansia nei soggetti con Dermatite Atopica rispetto ai gruppi di controllo (Garrie et al., 1974). Prandina e Soavi in un loro studio del 1960 su venticinque donne di età compresa tra i quattordici ed i trentasette anni, studiate con la tecnica del colloquio e sottoposte a non meno di tre conversazioni, hanno messo in rilievo la difficoltà nel tentare una ricostruzione della psicologia di queste pazienti a causa della varietà delle condizioni patologiche presenti. Sembra comunque che il loro disturbo abbia origini molto precoci, nel primo anno di vita; gli autori ritengono infatti, che ” in una costituzione predisposta, quando sfavorevoli relazioni con la figura materna determinano una struttura affettiva patologica e le maggiori difficoltà e carenze sono sperimentate in un’ epoca della vita nella quale l’ importanza della cute nello smistamento delle emozioni è fondamentale, possa verificarsi un fenomeno di conversione dei conflitti emotivi sul mantello cutaneo “. Dallo studio è emerso inoltre che la maggior parte delle pazienti (il 76 %) soffriva di psiconevrosi d’ ansia manifestando in tutto il loro comportamento una grande passività. “Sono in genere sonnolente, prepongono l’ inattività ed il riposo ad attività anche dilettevoli. Molto spesso insicure, pensano di non essere adeguate ai loro compiti, di non essere apprezzate. Hanno sfiducia negli affetti e nelle relazioni sociali. Quasi sempre, pur essendo completamente dipendenti dalle figure parentali, specialmente dalla madre, sono risentite ed in disaccordo con lei. A questo tipo di personalità si accompagnano in genere lesioni cutanee estese.” Elemento di particolare rilievo per gli autori è quello dell’ attività, ed infatti ritengono di poter mettere in correlazione, la diminuzione dell’ ansia, la comparsa dell’ attività e la limitazione delle lesioni, portando a dimostrazione di ciò il fatto che le pazienti dello studio che presentavano una struttura caratteriale ossessiva e non la psiconevrosi d’ ansia precedentemete descritta, mostravano lesioni eczematose quasi inesistenti, come se i meccanismi ossessivi fossero in grado di deviare verso le attività compulsive la problematica emotiva liberando così la pelle dall’ ingerenza di nevrosi (Prandina e Soavi, 1960). Anche Panconesi, in accordo con le affermazioni di Prandina e Soavi, ritiene che fino ad oggi non sia stata ancora individuata una struttura psicologica comune a tutti i pazienti, anche se emergono ( dalla letteratura ) alcuni elementi ricorrenti: i soggetti con dermatite atopica hanno ” intensi sentimenti di dipendenza, labilità emozionale, impulsività, aggressività repressa ed ostilità verso i genitori, marcato erotismo cutaneo e difficoltà sessuali con tendenze masochistiche “. Esiste inoltre “una spiccata tendenza a rivolgere gli impulsi ostili e aggressivi all’ interno anzichè contro bersagli esterni”. (Panconesi, 1989) ALOPECIA AREATA I capelli hanno sempre costituito un mito nella storia dell’ uomo con significati simbolici diversi nelle varie epoche e culture. Nella nostra, per esempio, giocano un ruolo molto importante nell’ immagine di sè tanto è vero che vediamo i capelli esaltati dalla pubblicità per la loro consistenza, lucentezza, quantità (Panconesi, 1989). Forse è anche per questo che tra le malattie psicosomatiche di interesse dermatologico, l’ alopecia areata è, dopo la psoriasi la più indagata. Essa si manifesta sotto forma di chiazze di deglabrazione di solito localizzate sul cuoio capelluto e meno frequentemente sulla barba, sulle ciglia, sulle sopracciglia e su altre zone pelose. La superficie del cuoio capelluto che emerge dalle chiazze appare liscia, bianca e brillante, è ben delimitata, di forma ovale o rotonda, di dimensioni variabili tra 1 e 5,6 4 cm; le chiazze si ingrandiscono progressivamente e possono a volte confluire producendo una calvizie piuttosto diffusa. La chiazza alopecica compare bruscamente, e non dà in genere alcun tipo di sintomatologia subiettiva tanto che i pazienti colpiti vengono spesso avvertiti da altri del problema. In ogni caso ci si è occupati di questo disturbo fin dai tempi più antichi, visto che già Aurelio Celso, medico romano vissuto nel 25° secolo d.C., ne parlava nel trattato “De re medica”, ed è proprio a sua memoria che questa malattia viene ancora oggi chiamata “Area Celsi” (Lombardo, 1970). Il termine “alopecia” deriva invece dal greco e significa “volpe”, per la caduta stagionale del pelo tipica di questo animale (Paga et al., 1987). L’ alopecia areata rappresenta il 3,5% di tutta la casistica dermatologica e si verifica in genere tra i cinque ed i trentacinque anni di età, colpendo maggiormente maschi. Per quanto riguarda l’ eziopatogenesi di questo disturbo, le ipotesi suggerite sono state molte, anche se nessuna singolarmente è ancora riuscita a spiegarne in maniera esauriente l’ origine. Alcuni autori hanno proposto una predisposizione genetica, basata sull’ osservazione di una certa incidenza familiare; altri suggeriscono un’ alterazione vascolare, ipotesi giustificata dal fatto di aver rilevato una riduzione del numero e dei calibri dei vasi sanguigni in corrispondenza della chiazza alopecica; ultimamente però, si è dimostrata piuttosto convincente l’ evidenza di un disturbo immunitario cellulo – mediato, vista la scoperta di una bassa percentuale di linfociti T circolanti in questi soggetti (Giannetti et al., 1978). In relazione a quest’ ultime ipotesi si potrebbe chiamare in causa l’ influenza dello stress cronico sul Sistema Immunitario,anche in ragione di molte ricerche che hanno rilevato un sensibile aumento degli eventi stressanti prima del verificarsi della malattia. Si può fare riferimento a tale proposito al già citato lavoro di Lykestos ed altri che in uno studio riguardante pazienti affetti da alopecia areata, orticaria e psoriasi, trovarono in tutte le affezioni esaminate punteggi significativamente più alti dei controlli nelle esperienze di stress nell’ anno precedente la malattia. Inoltre i soggetti esaminati risultavano meno dominatori e più autopunitivi (esprimenti rabbia nei propri confronti); più allopunitivi (esprimenti rabbia nei confronti degli altri) e più nevrotici rispetto ai controlli. (Lykestos et al., 1985). Oppure lo studio clinico condotto da De Weert ed altri su cento casi di alopecia areata analizzati dall’ Aprile 1979 al Dicembre 1981 secondo il quale ben il 70% dei pazienti sembravano soffrire di stress cronico in ambito familiare, professionale o relazionale. Tale dato fu rilevato grazie ad un attento esame psichiatrico (De Weert,1984). Perini ed altri, utilizzando la scala di Paykel, riferiscono addirittura di una presenza di eventi stressanti consistenti in lutti, divorzi, eventi incontrollati e non desiderati per circa l’ 87,5% dei loro pazienti nei sei mesi precedenti la comparsa dell’ alopecia (in Biondi, 1992). Mehlman invece, ha effettuato una ricerca sui bambini affetti da questa patologia ed ha rilevato come la base dell’ psoriasi areata sia da ricercare in uno stress cronico rappresentato dal difficile rapporto madre – figlio. Il bambino riuscirebbe per un po’ a mantenere il proprio equilibrio utilzzando la negazione, però poi il verificarsi di uno stress acuto (per esempio la nascita di un fratellino, uno svezzamento troppo veloce, un abbandono), di importanza tale da rievocare il precedente conflitto, lo porterebbe a manifestare il disturbo in questione (Mehlman, Griesemer, 1968). In conclusione, quindi, esiste una sufficiente mole di dati per considerare lo stress un fattore per lo meno facilitante o precipitante l’ alopecia areata. Altro tema lungamente dibattuto riguarda il possibile ruolo predisponente di alcuni tratti di personalità per il manifestarsi dell’ alopecia. Anche in questo senso le ricerche sono numerose. 5 Giuliani e Gentili, la cui ricerca abbiamo già citato, hanno effettuato uno studio su ventidue pazienti alopecici tra i sedici ed i trent’ anni di età confrontandoli con un gruppo di controllo di ventidue soggetti sani. Gli autori hanno indagato su possibili legami tra patologia dermatologica e livelli di sviluppo dell’ Io, ritenendo perciò fondamentale il rapporto madre – bambino nella primissima infanzia, ed anzi, considerando l’ inadeguatezza di questo rapporto primario la causa del sintomo psicosomatico. Infatti “nodo centrale del lavoro è stato considerare come fondamentale effetto dell’ inadeguato maternage, una mancata o incapace manipolazione del corpo del bambino da parte della madre. Questo comporterebbe nel corso dello sviluppo infantile una difficoltà nell’ attivazione del processo di integrazione psico – somatica.” A riprova di questa ipotesi è stata riportata l’ elevata percentuale di soggetti non allattati al seno e di soggetti con età di divezzamento al seno tra il primo ed il secondo mese di vita nel gruppo campione, e considerato che la durata dell’ allattamento al seno può essere considerata un parametro rappresentativo della quantità di stimolazione tattile ricevuta nel primo anno di vita, gli autori ritengono che la presenza nel gruppo degli alopecici di soggetti con periodi di allattamento al seno inferiori alla media, possa essere rappresentativa di una certa carenza o inadeguatezza di manipolazione, cioè di un inadeguato “maternage”. Oltre a questo parametro valutativo, per la ricerca sono stati utilizzati il colloquio anamnestico e due tests proiettivi: il test di Wartegg, un reattivo di realizzazione grafica che permette di scavalcare il canale verbale considerato non privilegiato nella comunicazione del soggetto psicosomatico, ed il test di Rorschach, strumento “valido, completo, culture free, che permettesse di fare inferenze sulla personalità dei soggetti attraverso un referente teorico rapportabile alla teoria psicoanalitica”. Dal colloquio anamnestico sono sorte per questi pazienti, in confronto al gruppo di controllo, maggiori difficoltà nei rapporti interpersonali, nell’ ambito della famiglia, della coppia e dei rapporti sociali, oltre a maggiori difficoltà nel rendimento scolastico, nelle scelte professionali e di vita. Dai tests proiettivi è sorto un quadro psicologico particolare, connotato principalmente da tre caratteristiche: scarsa identità, paura di abbandono, ansia del contatto. Queste caratteristiche formano per gli autori ” una triade dinamica indissolubile nella personalità dell’ alopecico. Più in generale la tendenza a distanziarsi da ogni problema anche se vissuto con disagio, attraverso rigide dinamiche, sembra rispondere alla tendenza di questi pazienti a rifiutare una comunicazione libera con il loro mondo interno. Tale predisposizione all’ isolamento da ciò che è “profondo”, attraverso meccanismi di rimozione e negazione, e la tendenza stessa alla superficializzazione delle dinamiche conflittuali sembrerebbero ben riassunte nel loro disturbo localizzato a livello del rivestimento più esterno” (Giuliani e Gentili, 1986). Franchi e Alemani hanno effettuato uno studio su un gruppo di soggetti ambulatoriali sottoposti ad una visita dermatologica, ad un colloquio psichiatrico, al test di Rorschach ed a controlli dermatologici e psichiatrici a distanza. I risultati del Rorschach hanno messo in evidenza per i soggetti affetti da alopecia areata le seguenti caratteristiche: blocco emotivo, depressione, inibizione affettiva, distacco dalla realtà vissuta come minacciosa, rifiuto di autoanalisi, stereotipia del pensiero, conformismo, difficili rapporti familiari specialmente nei confronti dell’ autorità paterna, scarse capacità introspettive e problemi nell’ accettazione del proprio corpo, della propria immagine e del proprio ruolo sessuale. Secondo gli autori, inoltre, è di rilievo generale, soprattutto in medicina psicosomatica, la tendenza dei pazienti a localizzare i loro disturbi in un determinato ambito corporeo e ad “offrirli all’ interesse del medico eludendo i suoi tentativi di estendere l’ indagine al di là dei quell’, ambito corporeo particolare. L’ area Celsi, raccogliendo in una zona ristrettissima la malattia del paziente, sembra esprimere in modo esasperato questa tendenza alla localizzazione, ma nello stesso tempo, per 6 antitesi paradossale, lascia intuire esemplarmente come e quanto esssa sia il segno superficiale di un disagio che investe tutta la persona” (Franchi e Alemani, 1975). Dall’ esame della letteratura sembra quindi emegere una personalità di base di questi soggetti, vista la presenza di tratti comuni che potrebbero costituire il terreno predisponente su cui verrebbe ad instaurarsi la patologia cutanea. E’ probabile comunque che alla base dello sviluppo di questo disturbo non ci sia solo una personalità peculiare o solo una maggiore frequenza di eventi stressanti, ma entrambi i fattori. E’ possibile cioè che l’ inscriversi di più eventi emotivamente pregnanti per il soggetto su una determinata predisposizione psicologica, sia in grado di provocare la dermopatia tramite un processo fisiopatogenetico in gran parte sconosciuto, nel quale l’ aspetto immunologico probabilmente riveste un ruolo primario (Biondi,1992). PSORIASI La Psoriasi è una malattia cronica della pelle che può insorgere a qualsiasi età con uguale frequenza nei maschi e nelle femmine. E’ una dermatosi tra le più comuni e colpisce il 2-4% della popolazione. L’ eziopatogenesi non è ancora completamente chiara, ma attualmente vengono ipotizzati un fattore basale ereditario e fattori scatenanti inquadrabili nel termine di stress (Biondi, 1992). L’ incidenza degli eventi stressanti è stata documentata dalle ricerche di Baldaro (Baldaro et al., 1989) e da quella già citata di Fava (Fava et al,1980) i quali hanno riferito l’ esistenza di eventi stressanti precedenti l’ esordio della malattia rispettivamente nel 90% e nell’ 80% dei casi. L’ elemento interessante che accomuna le due ricerche è l’ aver utilizzato per la misurazione degli eventi stressanti l’ intervista semistrutturata secondo la metodica di Paykel, finalizzata alla ricerca di tali eventi nei sei mesi precedenti l’ esordio della malattia. Questa comune metodologia ci spiega forse la somiglianza dei risultati, cosa che non accade per una ricerca di Seville che ritrovò la presenza di stress specifici prima della comparsa della malattia solo nel 39% dei suoi pazienti (Seville, 1977). In questo stesso lavoro però l’ autore mise in evidenza un elemento importante e cioè il miglioramento della prognosi quando i pazienti riuscivano a ricordare e ad accettare l’ evento precipitante, cioè lo stress. In questo senso quindi la consapevolezza di sè sembrava essere determinante. Anche Lykestos ed altri, nel loro già citato studio, oltre a trovare una maggiore incidenza di eventi stressanti nell’ anno precedente la comparsa della malattia, riscontrarono nei pazienti psoriasici una significativa presenza di sintomi di ansia, depressione, e difficoltà ad esprimere l’ aggressività( Lykestos,1985). In studi condotti tramite MMPI negli USA sono stati rilevati, rispetto ai controlli, punteggi più elevati sulla scala dell’ isteria (intesa come preoccupazione per i sintomi fisici in pazienti che sono spesso immaturi, pretenziosi ed egocentrici) e della psicastenia (intesa come insufficiente fiducia e stima in se stessi, spesso associata al senso di colpa ed all’ autorecriminazione) (Goldsmith et al.,1969). E’ necessario però tenere conto del fatto che questo studio è stato effettuato in pazienti ospedalizzati e ciò può aver influito non poco sui risultati della ricerca. Ecco perchè può risultare di ancora maggiore interesse la ricerca di Baldaro ed altri che hanno utilizzato per la valutazione psicologica di dodici soggetti psoriasici un questionario di autovalutazione da compilare tranquillamente presso la propria abitazione. Il questionario in oggetto è il Symptom Questionnaire di Kellner ed è composto da novantadue items riguardanti sintomi ed espressioni di benessere psicologico. Gli items sono divisi in quattro scale sintomatologiche: ansia, depressione, somatizzazione, ostilità; e quattro scale di benessere: rilassatezza, contentezza, benessere fisico, buona disposizione verso gli altri. 7 Esso doveva essere compilato per due volte a distanza di quindici giorni nei mesi Luglio, Agosto, Settembre, Ottobre. I primi due mesi in genere corrispondono ad un periodo stagionale di remissione della sintomatologia, gli ultimi due ad una tipica riacutizzazione autunnale della stessa. I risultati hanno messo in evidenza una maggiore presenza di sintomi psicopatologici ed una minore sensazione di benessere psicologico. Particolarmente degno di nota è l’ elevato punteggio ottenuto nella scala dell’ ostilità. In genere infatti, in campo dermatologico, la rabbia ed il risentimento sono posti in rilievo per altri tipi di dermatiti (dermatite da contatto e forme psicogene di prurito e grattamento), mentre nel caso di pazienti psoriasici si è sempre indagatp più in relazione a variabili psicologiche quali ansia e depressione (Baldaro et al.,1984). Bassi e Lazzerini hanno studiato quarantuno casi di psoriasi, sia dal punto di vista dermatologico che da quello psichico (con colloquo e test proiettivi), arrivando in conclusione a ribadire l’ eziologia psicosomatica della dermatosi in questione. Tra gli altri argomenti a sostegno della loro ipotesi riportano il miglioramento della sintomatologia in corso di gravidanza e l’ azione favorevole del sole sulle dermatosi. Per quanto riguarda il primo argomento, oltre alla mutata situazione endocrina della donna in stato di gravidanza, c’è senza dubbio una profonda modificazione nella psiche della donna che sta per divenire madre. Invece un diverso vissuto della maternità, come per esempio la non accettazione della stessa, potrebbe spiegare il fenomeno, difficilmente interpretabile altrimenti, della persistenza e dell’ aggravamento delle lesioni in talune gravide, fenomeno che è stato constatato dagli autori. Per quanto riguarda invece il secondo aspetto, cioè l’ azione benefica del sole sulla psoriasi, senz’ altro è da mettere in primo piano l’ azione positiva degli ultravioletti, ma esclusivamente in relazione a questa non si spiegano le differenze di reazione tra i soggetti e nello stesso soggetto da un’ estate all’ altra. Tenendo però presente che l’ elioterapia di solito è associata alle vacanze, alla vita all’ aria aperta, al rilassamento, all’ allontanamento dalle abitudini e costrizioni sociali, è difficile attribuile il merito esclusivo della remissione del sintomo. Gli autori inoltre, dall’ analisi dei casi esaminati, rilevano molti tratti comuni tra i pazienti, come la presenza dell’ ansia e di tratti narcisistici del carattere: ” se la pelle può essere considerata, in certi casi, una bandiera di battaglia sul campo dei conflitti intrapsichici ed interpersonali, è chiaro che può meglio figurare se logora e lacerata”. Viene rilevata inoltre, dall’ analisi esistenziale dei pazienti, “la fuga nella malattia che molti psoriaci realizzano in momenti difficili del loro vissuto, allontanandosi,specialmente tramite l’ ospedalizzazione, dalla problematica concreta della vita e sopratutto dallo stridore dei rapporti interpersonali.” Nei soggetti femminili gli autori hanno rilevato problematiche di identificazione. Infatti, sono piuttosto frequenti in queste donne “spiccate ambizioni nella sfera del lavoro, tendenza all’ iperattività ed all’ indipendenza, oltre al rifiuto inconscio degli attributi biologici della femminilità: mestruazioni, gravidanza, parto, menopausa, con gravi difficoltà di adattamento.” Al contrario, nei soggetti di sesso maschile è stata riscontrata passività, dipendenza, delega dell’ iniziativa e della responsabilità. Sono inoltre stati rilevati in un numero significativo di pazienti inibizione dell’ aggressività con conseguenti note depressive. Gli autori concludono quindi che” l’ aggressività derivante, prima dai difettosi rapporti parentali e poi dalle difficoltà interpersonali, non essendo verbalizzata, avrebbe tendenza ad esprimersi nel linguaggio corporeo. La cute potrebbe diventare così la vissillifera della protesta dell’Io” ( Bassi e Lazzerini, 1974). C’ è dunque, nel caso della psoriasi, un’ evidenza indiscutibile dell’ importanza dei fattori psichici; questo però non significa voler sostenere una ipotesi psicogenetica della malattia, ma riconoscere che i fattori psicologici, ed in particolare modo lo stress, devono obbligatoriamente essere considerati insieme ad altri tra i fattori 8 codeterminanti la comparsa ed il mantenimento della malattia tanto è vero che, per quanto riguarda l’ approccio terapeutico, si sono ottenuti buoni risultati combinando il trattamento medico con tecniche di rilassamento, di psicoterapia d’ appoggio e con tecniche comportamentali (Biondi, 1992). CONCLUSIONE Nel nostro lavoro ci siamo voluti occupare della pelle e delle affezioni che la tormentano partendo dal presupposto che, essendo la cute una parte così visibile ed estesa del nostro corpo, essa possa effettivamente rappresentare l’ espressione più apparente di conflitti intrapsichici ed interpersonali. Questi conflitti sono rappresentati ampiamente ed in maniera ricorrente, come si può constatare dalle ricerche da noi citate, dagli eventi stressanti che sono tali, lo ricordiamo, non tanto per loro natura, ma anche e specialmente a causa di quella che abbiamo definito la mediazione messa in atto dal nostro apparato cognitivo. L’ interpretazione ed il significato che attribuiamo agli eventi della vita è un elemento essenziale nel renderli potenzialmente patogeni. Il punto di vista da noi adottato, e che abbiamo cercato di dimostrare, è che tali situazioni stressanti possano contribuire a far diminuire l’ efficienza delle difese ultime dell’ organismo, cioè del Sistema Immunitario, creando così un terreno fertile per l’ instaurarsi della patologia cutanea. Mentre siamo riusciti a documentare in maniera concorde la presenza di eventi stressanti precedenti l’ esordio della malattia, ben più difficile è risultato il compito di scoprire un tipo di personalità peculiare e ben definita tra i soggetti affetti da dermopatia, anche se effettivamente tutti gli studi riguardanti le quattro dermatosi da noi analizzate mettono sempre in rilievo la presenza di caratteristiche psicopatologiche non solo di tipo prettamente psichiatrico. Anche se comunque non è stata rilevata una “personalità tipo”, abbiamo potuto riscontrare alcuni elementi ricorrenti come per esempio ansia e depressione seguite a breve distanza da sentimenti di dipendenza e senso di colpa. Ma la caratteristica più interessante e presente in maniera evidente è l’ aggressività, quasi sempre repressa e rivolta più all’ interno che contro bersagli esterni, e che trova completa espressione proprio nel soggetto, o meglio, sulla sua pelle, quasi a non voler rinunciare, per lo meno, alla denuncia del conflitto psichico vissuto. Secondo alcuni autori tale ostilità repressa ricorre non solo nel paziente dermatologico, ma anche nell’ ambiente in cui vive, caratterizzando in particolar modo l’ inizio della relazione madre – bambino. Anche senza fare riferimento ad una presunta ostilità materna, sono diversi gli studiosi che fanno risalire, almeno in parte, l’ origine della dermopatia ad un inadeguato rapporto primario che si traduce in una mancanza o insufficienza di stimolazione tattile. Ricordiamo che il contatto cutaneo è ormai considerato universalmente essenziale per uno sviluppo sano del bambino sia dal punto di vista fisico che psichico, ed è proprio in ragione di tali considerazioni che abbiamo voluto dare rilievo all’ importanza ed alla delicatezza di queste prime stimolazioni tattili, citando anche autori e ricerche che attribuiscono alla pelle un ruolo di coesione, di comunicazione, di contenimento, di confine, ruolo purtoppo molto spesso ancora tralasciato. Bibliografia: Racamier P.C. (1993) “Il genio delle origini” Raffaello Cortina Editore Baldassarre M. (2008) “Coppia, famiglia e patologie emergenti” Alpes Italia Editore Firth, R. (1973) “Symbols public and private”, London: Allen & Unwin Ltd. Melli,C., Giorgini, S., “Aesthetics in Psychosomatic Dermatology: I.Cosmetics, self-image, attractiveness”, In Panconesi, E., (1984), “Stress and skin diseases: Psychosomatic Dermatology” Lippincott, Philadelphia, pp. 180-187. Melli,C., Giorgini, S., “Aesthetics in Psychosomatic Dermatology: II.Skin changes esperienced as 9 cutaneous diseases”, In Panconesi, E., (1984), “Stress and skin diseases: Psychosomatic Dermatology” Lippincott, Philadelphia, pp. 188-200. Bènazèraf, C., (1998), “La pelle specchio dell’anima”, Xenia Edizioni, Milano (ed. or. 1994). Panconesi, E., “Dermatologia psicosomatica oggi”, In: Panconesi, E., (1989), “Lo stress, le emozioni e la pelle”, Ed. Masson, Milano, pp.3-19. Panconesi, E., “Conclusioni provvisorie: la psicosomatica come strumento necessario”, In: Panconesi, E., (1989), “Lo stress, le emozioni e la pelle”, Ed. Masson, Milano, pp.149-152. Baldaro, B., Brocani, G., Bossi, G., Offidani, A.M., Novelli, N., Ferri, A.M., (1989), “incidenza di eventi stressanti nei sei mesi precedenti la comparsa di alopecia areata”, Medicina Psicosomatica, 34(4), pp.271-275. Beard, H.O., (1986), “Social and psychological implications of alopecia areata”, Journal of the American Academy of Dermatology, 14, pp.697-700. Panconesi, E., “Psychosomatic Dermatology”, In: Panconesi, E., (1984), “Stress and skin diseases: Psychosomatic Dermatology”, Lippincott, Philadelphia, pp.94-179. Dott. Alessandro Capponi Psicologo – Psicoterapeuta Corso Vecchio 54 05100 Terni 10