PALMA: ALBERO, UCCELLO, MANO A cura di Elena Pavari Tempo di primavera, di Pasqua; di “rinascita” naturale e spirituale. Per molti è solo un’occasione di vacanza ma, anche semplicemente guardando il calendario, tutti sanno che la domenica precedente la Pasqua è la “Domenica delle Palme”; spesso anche chi non frequenta abitualmente le funzioni religiose rispetta la tradizione e porta a casa (o si fa portare) un ramo di “ulivo benedetto”. Ma è Domenica “delle Palme” o “dell’ulivo” (o tutt’e due) e perché? Per rispondere a questa domanda, occorre anzitutto ricordare che la liturgia di questo giorno fa riferimento ad un evento storico: l’ingresso di Gesù a Gerusalemme, seguito poi dal racconto della sua passione e morte. Nei 4 vangeli sinottici il testo è simile ma con qualche variante. In tutti si racconta che, al passaggio di Gesù, gli uomini “stendono mantelli” e secondo Matteo “tagliano rami dagli alberi”, secondo Marco “rami dagli alberi dei campi”; solo il vangelo di Giovanni (Giov. 12,13) parla di palme, mentre Luca non cita nessun albero. Queste notizie apparentemente semplici, sono in realtà ricche di riferimenti storici, geografici e simbolici. Storicamente, la scena si collega ad antiche tradizioni ebraiche: i rami di alberi sono usati nella “festa delle capanne” (“Sukkoth”) istituita da Mosè in memoria dell’Esodo dall’Egitto e più tardi accompagnano la processione di Maccabe verso il Tempio. La continuità delle tradizioni è confermata dal Salmo 118 (117): “Benedetto colui che viene nel nome del Signore … ordinate il corteo con rami frondosi”. Se ci riferiamo all’ambiente geografico, è molto verosimile che gli “alberi dei campi” lungo la strada percorsa da Gesù siano gli ulivi, coltivati allora e anche tutt’oggi sulle colline intorno a Gerusalemme. La palma è tipica piuttosto di regioni più meridionali della Palestina (come Gerico, “città delle palme”) ma al tempo di Gesù era certamente possibile averne rami per occasioni speciali. L’ulivo è familiare anche per noi e non ci soffermiamo qui sulla storia e simbologia di questa pianta, così importante per tutte le civiltà mediterranee. Ricordiamo solo che in questa specifica occasione Gesù è acclamato come “figlio di Davide”: nella tradizione ebraica, Davide è simboleggiato proprio dall’ulivo. Le palme invece rappresentano per noi qualcosa di più “esotico” e spesso ne abbiamo un’idea stereotipata, trasmessa dalle immagini di romanzi, di film, di pubblicità turistiche. Proviamo a saperne qualcosa di più: senza pretese scientifiche, ma curiosando tra frammenti di geografia e di storia, di botanica e di anatomia, riti religiosi e tradizioni sportive, agricoltura e artigianato. Il nome Palme (Palmae) indica una grande famiglia di piante che Linneo chiamò “principi delle piante” (Principes plantarum) in omaggio alle loro straordinarie doti di utilità e di bellezza. E’ una famiglia numerosa, perché comprende circa 200 generi e 2000 specie. Sono diffuse nelle regioni tropicali e sub-tropicali di tutti i continenti, dove vivono spontanee ma sempre più coltivate; alcune si adattano anche alle zone temperate con clima più mite.. In Italia nasce spontanea (anche nel mio giardino)solo la “palma di S. Pietro (Chamaeropsis humilis) già nota a Teofrasto; tutte le altre che ammiriamo nei parchi o lungo i viali nella Riviera, in Sicilia ecc. sono importate in epoca più o meno remota (in Europa le palme furono particolarmente di moda ai tempi dell’impero napoleonico). L’aspetto delle palme può presentare una grande varietà di forme e dimensioni: ci sono alberi alti fino a 50 metri, piante nane, cespugli, rampicanti. Le foglie coriacee e resistenti hanno forma varia, secondo due modelli principali: “pennate” (come nelle palme da datteri) o”palmate” (come nelle palme di S. Pietro). I piccoli fiori sono riuniti in voluminose inflorescenze, tutte le palme sono “dioiche” cioè hanno fiori maschili e femminili su individui diversi. L’impollinazione naturale avviene per mezzo del vento o di insetti, ma in alcune regioni, l’uomo fino da tempo antichissimo ha imparato a praticare le “fecondazione artificiale” salendo sugli alberi e trasportando manualmente il polline (oggi si usano altre tecniche, ma il principio è lo stesso). Tutte le palme sono sia belle che utili. C’è, com’è noto, una categoria di palme coltivate a scopo ornamentale, (da serra o da appartamento) che alimenta un notevole commercio internazionale. Ma è forse più interessante sapere che nella famiglia di quelle prevalentemente utili alcune si sono “specializzate” nella produzione di materiali destinati agli usi più diversi, a livello sia artigianale che industriale. C’è la “palma di sago” (o sagù) dal cui frutto si ottiene una fecola alimentare; ci sono palme “da olio” o “da cera” che producono un grasso usato nell’industria dei saponi; le palme “da avorio”, nei semi contengono una sostanza durissima (avorio vegetale) destinato alla fabbricazione di bottoni e oggetti vari ; palme “da giunco” o “ rattam” che hanno fusti lavorati per i tipici mobili leggeri; palme “da bastone” per fare i bastoncini di Malacce e quelle “da cappello” da cui i famosi “panama”. Ma l’elenco sarebbe lungo. Il botanico Fenaroli riferisce che secondo un antico carme in lingua Tamil i “Borassi” (palme dell’India meridionale simili al cocco) avrebbero ben 800 utilizzazioni. Senza dubbio, in questa numerosa famiglia i personaggi più importanti sono due: la palma da cocco “re degli alberi”, la palma da datteri “regina del deserto”. Lasciamo ai tropici il re e tutte le sue ricchezze. A noi interessa di più la “regina”: il suo deserto ci è vicino, la sua immagine fa parte della nostra storia e delle nostre tradizioni. La palma da datteri è una pianta antichissima, una delle più antiche conosciute e coltivate dall’uomo nell’area mesopotamica e in alcune zone dell’Africa. Noccioli di datteri risalenti ad oltre mille anni a.C. sono stati trovati in una tomba in Egitto e in alcuni siti archeologici in Palestina e Siria La palma stilizzata è un motivo presente in una ceramica cretese (circa 1550 a.C.), in un bassorilievo assiro, in alcune colonne egiziane e – secondo i testi biblici – decorava il tempio di Salomone. Tra le numerose citazioni letterarie, forse la più antica è una novella in lingua accadica (circa 2000 – 1500 a.C.) in cui una palma e una tamerice vantano i propri meriti (ovviamente vince la palma). La lunga storia di questo albero è sempre accompagnata da una serie di significati simbolici, immagini, leggende, tradizioni che, come sempre, nascono dall’esperienza di una realtà concreta, interpretata secondo una o più modelli culturali. Nei territori abitati dalle palme (dove oggi i venti di guerra sembrano più pericolosi di quelli del deserto) si sono avvicendate nel corso dei millenni popolazioni e civiltà diverse: Sumerica, Akkadica, Babilonesi, Egiziani, ebraica, greca, latina, cristiana, araba, medievale ….. Non c’è quindi da meravigliarsi che la palma abbia potuto assumere significati diversi, in parte arrivati fino ai nostri tempi. Il nome botanico di questa pianta “Phoenix dactylifera” già dimostra un intreccio di lingue e di significati. Infatti la parola greca “Phoenix” - in italiano Fenice – potrebbe riferirsi alla regione Fenicia come luogo di origine (ma in genere i botanici indicano la provenienza delle piante con un aggettivo): più suggestiva è l’ipotesi che si alluda all’”Araba Fenice”, il mitico uccello capace di risorgere dalle ceneri, di cui favoleggiano Erodoto ed altri scrittori greci. La palma ha diverse caratteristiche naturali che si prestano a questa interpretazione. E’ anzitutto un simbolo di vita, di rinascita: cresce, come dicono gli Arabi, “con la testa al sole e i piedi nell’acqua” e se gli Egiziani – adoratori del dio Sole – ammiravano la sua chioma, per chi attraversava le immense distese di sabbia del Sahara la palma delle oasi significava soprattutto la presenza di acqua, indispensabile per la vita degli uomini e degli animali. Questa pianta riesce infatti a raggiungere con una fitta rete di radici una falda acquifera nel profondo sottosuolo e tutta la sua struttura è organizzata per permettere la sopravvivenza sua (e anche dei suoi vicini), in un ambiente difficile. Il tronco, lungo ma elastico, resiste senza spezzarsi al forte vento del deserto. I lunghi rami hanno foglie inserite lateralmente sul rachide come le penne degli uccelli e sono capaci di orientarsi verticalmente per difendersi dal sole, curvarsi verso il basso per raccogliere l’umidità; se piove, le foglie concave a doccia fanno scorrere l’acqua verso il suolo. La palma può dunque rappresentare un “albero uccello”, ma anche un “albero mano”: infatti il termine “dactylifera” significa che “porta” (dal verbo latino “fero” = portare) i datteri chiamati in greco “dactylos” la stessa parola usata per le dita della mano. Quindi incontrare nel deserto la palma voleva dire non solo trovare acqua, ma anche trovare cibo: un frutto ricco di sostanze nutritive e conservabili a lungo. Nell’etimologia troviamo spesso associazioni tra elementi vegetali e parti dell’anatomia umana, ma questa con la mano è particolarmente suggestiva. La mano infatti non è solo uno strumento capace di compiere lavori diversi, ma è anche il più importante mezzo di comunicazione non verbale: può esprimere fisicamente ira e violenza, tenerezza e amicizia, respingere o accogliere, benedire o maledire. Si tratta di una comunicazione più primitiva e più diretta rispetto a quella visiva, ma entrambe sono importanti per una vera conoscenza. (Il verbo ebraico “conoscere” è costruito sulla radice “yad” che significa mano, a cui si aggiunge la lettera “’ayin” che vuol dire occhio). Dalla tradizione ebraica impariamo che la palma è un personaggio femminile: in lingua ebraica si chiama infatti “tamar”, che è anche un nome di donna. Nell’Antico Testamento si menzionano due donne con questo nome (la nuora di Giuda e la sorella di Assalonne); la profetessa Deborah “sedeva sotto una palma”. Tamar era l’antico nome della città chiamata dai Romani Palmira (oggi in Siria) dove regnò la famosa regina Zenobia. Abbiano già ricordato l’uso rituale delle foglie di palma nelle feste; il valore alimentare dei datteri era certamente noto a Mosè, che li nomina tra i frutti della “Terra promessa” (Deut. 8,7-8) qui “miele” è il succo dei datteri. Sempre lodata la sua bellezza:nel Cantico dei Cantici la palma diviene un paragone per la bellezza della sposa. “Quanto sei bella, quanto sei graziosa o amore, piena di delizie la tua statura assomiglia a una palma e i tuoi seni ai grappoli” (Ci. 7,7-8) La palma è anche un segno di Giustizia (Salmo 92191): “il giusto fiorirà come palme”, attributo della Sapienza (Siracide 24, 14). Nella cultura greca (quella che ha lasciato maggiori tracce nel mondo occidentale) la palma assume il significato di vittoria, sia sul campo di battaglia che nelle gare atletiche. La tradizione è rimasta nel linguaggio dei nostri tempi, che ancora usa il termine “palma della vittoria” per il vincitore di una competizione sportiva (o anche di altro tipo). Tuttavia nella cultura greca, essenzialmente antropocentrica, l’elemento vegetale è sempre secondario rispetto alla figura umana: la vittoria è raffigurata da una figura femminile munita di ali, che talvolta porta in mano un ramo di palma o una corona di alloro (le ali potrebbero derivare da immagini di antiche divinità mesopotamiche). Nella tradizione cristiana il significato simbolico della palma è abbastanza complesso, in quanto raccoglie alcuni importanti elementi delle sue principali radici culturali; quella ebraica, quella greca, ma la elabora per l’annuncio evangelico fondamentale: la resurrezione di Cristo. L’”albero della croce” è il nuovo “albero della vita”, la vittoria di Cristo è vittoria sulla morte, sulle tombe degli antichi martiri cristiani si trova incisa la palma accanto alla croce e al monogramma di Cristo. Nell’Apocalisse di Giovanni (Ap. 7,9) la palma diviene un segno non solo di salvezza personale, ma di redenzione a livello universale: “una gran folla di uomini che nessuno poteva contare, di ogni nazione, popolo, tribù e lingua stavano davanti al trono e davanti all’Agnello, indossavano vesti bianche e portavano palme nelle mani”. La palma diviene poi un motivo frequente sull’iconografia cristiana, soprattutto accanto a figure di Santi. Ma la tradizione cristiana si è mantenuta viva, attraverso i secoli, anche con leggende e tradizioni popolari spesso tradotte in immagini. Tra queste c’è un racconto, tratto dal Vangelo apocrifo dello “pseudo - Matteo”, in cui la palma ha una funzione importante di protezione e di soccorso. La storia si riferisce alla fuga in Egitto della Sacra Famiglia per sfuggire alla persecuzione di Erode: Giuseppe guida Maria, seduta su un asinello col bambino in braccio, in un lungo viaggio attraverso il deserto e quando si fermano stanchi all’ombra di una palma questa curva i suoi rami per offrire a Maria i suoi frutti. La leggenda, arricchita con vari dettagli dalla pietà popolare, è anche spesso rappresentata in pittura. Un esempio noto è la scena nella predella dell’Annunciazione di Lorenzo Monaco, in Santa Trinita a Firenze (Cappella Bartolini Salimbeni). Attraverso storie e immagini così diverse, questo albero antico sembra volerci dare un esempio di resistenza e flessibilità, di bellezza e di generosità …. E’ un messaggio molto attuale: sperare nella rinascita vuol dire anche “saper dare una mano”. “La Passione delle Palme” Ci si può accostare alle palme senza commuoversi? Sulle fronde delle palme Il vento portò e posò i vagiti di Gesù Bambino, il pianto della fuga in Egitto e sulle fronde delle palme il vento ha posato le Sette Parole di Gesù moribondo il Suo lamento il Suo tormento, le Sue lacrime, i Suoi singhiozzi, il Suo perdono e tutta la Sua arsura divina. p. Massimiliano Piani Da “Il lamento degli alberi” Tip. La Castiglionese maggio 1992