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IL FLAMINIO - Sommario del n°2 - Dicembre 1980
Rivista quadrimestrale di studi vittoriesi
Edita dalla Comunità Montana delle Prealpi Trevigiane
Mario PICCIN
La Comunità Montana delle Prealpi Trevigiane.
Appunti di Geologia, Morfologia e Idrografia.
Nella sua più comune accezione, il territorio che costituisce il comprensorio della Comunità Montana delle Prealpi
Trevigiane (1) si identifica col Trevigiano nordorientale ed é suddiviso in otto comuni (2) la cui estensione territoriale
varia da quella minima di Sarmede a quella notevolmente più ampia di Vittorio Veneto; un territorio che, malgrado i
profondi contrasti delle fattezze morfologiche, appare abbastanza omogeneo nel suo insieme geografico. Il territorio
della Comunità Montana è inserito in un contesto geografico particolare, dato che corrisponde a zone appartenenti a tre
distinte unità geografiche: le Prealpi bellunesi, le Prealpi carniche occidentali e le colline subalpine dell'alto Trevigiano.
I confini della Comunità Montana sono per lo più amministrativi, solo a nord il limite orografico, individuato dalla linea
di cresta della dorsale delle Prealpi bellunesi, le dà una chiara individuazione geografica che rispecchia evidentemente
un contesto sociale ed economico diverso dal Bellunese. Verso sud il territorio della Comunità si affaccia alla pianura
allacciandosi attraverso gli sbocchi transcollinari di Val dobbiadene, Pieve di Soligo, Tarzo e Vittori ' o Veneto, avendo
così un primo immediato contatto con il polo industriale del Coneglianese. Passando ora a descrivere i caratteri più
prettamente fisici (geologici e geomorfologici) che distinguono questo comprensorio, ci è utile riconoscere le seguenti
subregioni: Vallata Trevigiana;
MARIO PICCIN E' laureato in Scienze Geologiche presso l'Università di Padova. Attualmente insegna e lavora come
geologo libero professionista. Si occupa della geologia e della morfologia delle Prealpi venete nell'ambito di alcuni
Gruppi Naturalistici locali (C.E.C., G.S. CAI, G.N.V.).
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Valle Lapisina o Vallone di Fadalto;
media montagna del Cansiglio;
colline subalpine trevigiane.
LA VALLATA TREVIGIANA
Questa valle, che collega Valdobbiadene a Vittorio Veneto, tipico esempio di valle monoclinale susseguente,
rappresenta la parte occidentale del territorio della Comunità Montana. Essa è diretta da ENE a WSW, come
continuazione della Valle Lapisina, e separa in modo caratteristico la dorsale asimmetrica delle Prealpi
bellunesi, M. Cesen (m. 1570) Col Visentin (m. 1763), dalle creste delle colline subalpine che iniziano con la
Costa di Zuel e Le Prese e degradano verso il Solighese ed il Coneglianese con sommità intorno ai 400600
metri. La valle, che nella sua parte centrale è larga più di un kni, è percorsa dal F. Soligo, il quale ha origine
dai due laghi di Revine (3). I rilievi subalpini, che la limitano a sud, sono costituiti da una alternanza di strati
arenacei, calcarei, marnosi, argillosi e conglomeratici, appartenenti ai vari periodi del Terziario, che
giacciono in posizione fortemente rialzata, a volte fino alla verticale, e che danno luogo, con le parti più
resistenti, a lunghi dossi rettilinei paralleli all'asse della valle (corde o coste). La dorsale prealpina (il cui
fianco meridionale è interessato da alcune valli relativamente profonde e trasversali alla Vallata, tra le quali
ricordo la Valle di S. Boldo, la Valle di San Daniele o Valle di Cison, la valle del T. Corin e le due a nord di
Miane) è invece costituita da calcari e dolomie mesozoici sollevati in un'anticlinale asimmetrica, talora a
ginocchio (come tra Cison e Tovena), nota col nome di "flessura Bassano Valdobbiadene ". E' a causa di
questa struttura se, su tutto il tratto prealpino, gli strati calcarei e dolomitici, appartenenti alle varie formazioni
mesozoiche, sono da fortemente a mediamente inclinati verso sudest; a mano a mano che si sale verso la
linea di cresta l'inclinazione diminuisce fino a scomparire; oltre tale linea, in versante bellunese, gli strati
sono lievemente e gradualmente inclinati a nordovest, formando il fianco sud orientale della sinclinale
bellunese. Le fratture su questo versante sono relativamente numerose e in certi casi assumono il carattere
di vere e proprie faglie, per lo più verticali e dirette prevalentemente a ENEWSW, NNESSW e NWSE, perciò
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ben rientrabili nel quadro strutturale della regione. Il solco vallivo, per lo più pianeggiante e regolare, si è.
impostato sul fianco di raccordo della flessura BassanoValdobbiadene e può essere considerato come una
valle d'erosione scavata in corrispondenza delle rocce calcareomarnose cretaciche e di quelle flyschioidi
argillose eoceniche, al contatto delle quali, secondo alcuni Autori, passa anche una faglia verticale parallela
alla valle (linea di Valealda o faglia di Longhere (BOZZO & SEMENZA, 1973; ZANFERRARI, 1973). Lungo
tutto il fondovalle affiorano depositi quaternari, morenici e detritici, che hanno contribuito a modellare
definitivamente il paesaggio singolare della valle. Ricordo tra i più tipici: la morena frontale di Gai, quella
laterale di Fratta, l'apparato morenico di Tarzo, i depositi argillosotorbosi neri lungo la Tajada, il deposito.
sabbioso argilloso con tronchi subfossili di Larix decidua Mill. (12.500 a. a.C.) alle Fornaci di Revine
(CASADORO et alii, 1976) e, inoltre, le numerose conoidi alluvionali, le falde detritiche e le frane. La Vallata,
il cui profilo trasversale ad U rispecchia l'evidente escavazione glaciale, presenta un'idrografia superficiale
limitata al F. Soligo e ai suoi affluenti, modesti torrentelli (T. Piaveson, T. Gravon, T. il Ruio, T. Corin, T. S.
Pietro, T. Visnà) che scendono dalle già note vallette trasversali del versante prealpino. La valle è bloccata
da un rilievo sia pure modesto (frana) a est di 1Revine, al suo sbocco nella valle del F. Meschio, e termina
con il congiungersi, tra Miane e Valdobbiadene, della serie di colline subalpine con la dorsale delle Prealpi
bellunesi. La via di uscita delle acque dalla valle è rappresentata esclusivamente dall'interruzione del
sistema collinare che viene attraversato dal già citato F. Soligo, il quale, raccolte in prossimità di Follina le
acque dell'unica vera risorgiva carsica sita a ridosso del Convento di Follina, devia bruscamente il suo corso
dapprima verso sudest e poi verso sud, immettendosi poco a nord di Nervesa della Battaglia nel F. Piave.
Sono arrivato così a descrivere le particolarità morfologiche più evidenti della valle, ossia i due laghi di
Revine (m. 224 s.l.m.), localizzati nella parte orientale. I laghi, chiamati rispettivamente L. di Lago e L. di S.
Maria, che sono collegati da uno stretto canale (lo Stret), hanno una forma quasi simile e sono entrambi
allungati nella stessa direzione della valle. Essi rappresentano i resti del grande Lago Lapisino che nel
Singlaciale W. 111 (31.00017.000 a.C.) si espandeva nella Vallata da Gai a Revine, evidentemente
formatosi in seguito alla deglaciazione Wùrm (VENZO, 1977). Probabilmente i due laghi, che ora sono in
fase di forte interramento, hanno un'alimentazione sotterranea, in parte coadiuvata da quella del T.
Piaveson, avente origine da una sorgente carsica intermittente situata alla base del versante prealpino.
Per tutte queste sue particolarità morfologiche e per altre non descritte in questa Nota, la Vallata Trevigiana
è, da alcuni anni, oggetto di ricerche naturalistiche di vario genere, delle quali alcuni risultati sono stati
pubblicati in occasione del 5' Convegno sulla Storia Naturale delle Prealpi Venete e in un volume
monografico dedicato al Comune di RevineLago, mentre altri sono in corso di stampa e/o di stesura.
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LA VALLE LAPISINA 0 VALLONE DI FADALTO
La Valle Lapisina, detta anche Vallone di Fadalto, è la più orientale delle vie di comunicazione tra l'alta
pianura trevigiana e il Bellunese e corrisponde alla parte più settentrionale del territorio della Comunità
Montana. Essa è limitata a nord dalla Sella di Fadalto (m. 489), mentre a sud trova la sua naturale
continuazione nella Vallata Trevigiana; è comunque anche in comunicazione con la pianura del Vittoriese,
attraverso la stretta di Serravalle. La Valle Lapisina, che è diretta da SSW a NNE, si è impostata, da un
punto di vista strutturale, lungo l'asse di una sinelinale relativamente stretta e fagliata, avente la stessa
direzione della valle. Le rocce, che affiorano vistosamente sui fianchi e talvolta anche sul fondo, Iá dove non
sono ricoperte da depositi morenici o detritici, sono rappresentate da calcari mesozoici che, in parte, sono
simili a quelli costituenti il versante settentrionale della Vallata; tra Maren e Valcalda sono comunque
presenti anche rocce calcareomarnose, come la tipica "scaglia rossa" del Cretacico superiore, mentre,
procedendo da questa località verso est e verso sud, ricompaiono le alternanze di rocce terziarie (arenarie,
calcari, marne) che costituiscono la Costa di Serravalle. Da un punto di vista morfologico, la Valle Lapisina è
chiaramente una valle glaciale scavata e modellata, durante il Quaternario, da quel ramo del ghiacciaio del
Piave che, originatosi dal precedente nei pressi di Ponte nelle Alpi, invadeva dapprima la Conca dell'Alpago
e scendeva poi lungo la valle, biforcandosi di nuovo a nord di Vittorio (S. Giustina): un ramo andava ad
occupare la Vallata fino a Gai (morena frontale), incontrandosi là con il piccolo ghiacciaio trasfluente dal
ghiacciaio plavense attraverso il Passo di S. Boldo; l'altro proseguiva verso sud, riversandosi nella pianura di
Vittorio fino all'altezza di Colle Umberto,
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dove rimane conservato il caratteristico dosso morenico (anfiteatro morenico di Vittorio Veneto). Per la
particolare situazione strutturale e per la prolungata erosione glaciale, i fianchi della valle (in destra
orografica il versante orientale delle Prealpi bellunesi e in sinistra le propaggini occidentali del massiccio del
Cansiglio) si presentano assai ripidi, con dislivelli, tra il fondovalle e le creste, superiori ai 1000 metri. Il
profilo trasversale è variabile e passa da U a V con forme intermedie composte, causa di ciò sono
principalmente le numerose frane, tardowúrmiane e in parte anche più recenti, staccatesi dai fianchi per la
cessata spinta laterale della massa glaciale e, successivamente, l'azione erosiva del F. Meschio e degli altri
modestissimi corsi d'acqua. Oltre a depositi di frana, a falde detritiche e ad altri depositi di versante, di età
anche recentissima, la Valle Lapisina è ricca di materiali morenici che il ghiacciaio ha abbandonato sul fango
man mano che si ritirava; esso ha lasciato, però, altre testimonianze del suo passaggio, che si identificano
con le forme di esarazione (le conche attualmente occupate dai laghi) e con le zone rocciose lisciate e
modellate (rocce montonate), che possono anche presentarsi visibilmente striate. Dal punto di vista
idrografico, l'unico corso d'acqua degno di nota è il F. Meschio che ha le sue origini in una bellissima
risorgiva carsica situata ai piedi del Col Visentin, poco a nord dell'abitato di Savasga. Il F. Meschio, che per
un breve tratto iniziale scorre verso nordest riversandosi nel laghetto di Negrisiola (m. 160 s.l.m.), procede
verso sud e, dopo aver ricevuto le acque del T. Sora che scende da Revine, si infossa nella gola di
Serravalle per sboccare nella pianura di Vittorio. A parte il F. Meschio, gli altri corsi d'acqua sia pure modesti,
ma degni di nota, sono il Rio Valscura e il Rio di Pradal che scendono entrambi dal versante orientale. Nella
Valle Lapisina, così come in Vallata, le caratteristiche morfologiche più evidenti restano però i laghi, in
numero di tre, che occupano il fondo di altrettante conche allungate nella stessa direzione della valle. Da sud
a nord incontriamo dapprima il piccolo L. di Negrisiola (m. 160 s.l.m.), alla cui estremità si trovano le centrali
idroelettriche di ~. Floriano Vecchia e Nuova, poi l'artificiale L. del Restello (m. 177 s.l.m.) con la centrale
idroelettrica in caverna di Nove e quindi, alle pendici della Sella di Fadalto, il L. Morto (m. 274 s.l.m.), il più
ampio dei tre (lungo circa Km. 1,7, largo m. 600, profondo m 52, esteso per Kmq. 0.76), alla cui estremità
nord sorge la centrale idroelettrica in caverna di Fadalto, che utilizza il dislivello esistente di 106 metri tra il L.
Morto e il sovrastante L. di S. Croce (4). Il L. Morto e quello di S. Croce rappresentano due begli esempi di
laghi intravallivi formatisi per sbarramento alluvionale, morenico e di frana.
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MEDIA MONTAGNA DEL CANSIGLIO
Con questa denominazione intendo indicare quel territorio, facente parte della Comunità Montana, che è
situato a sudest della Valle Lapisina e che si identifica con le estreme propaggini occidentali delle Prealpi
carniche o, più in particolare, con il versante sudoccidentale dell'altopiano del Cansiglio. Questo territorio, il
cui confine orientale è segnato dal limite di regione con il FriuliVenezia Giulia, si affaccia direttamente
sull'alta pianura trevigiana seguendo una linea spezzata che collega Vittorio a Villa di Villa e che passa,
approssimativamente, per i paesi di Anzano, Cappella Maggiore e Sarmede. Dal punto di vista geologico,
quest'area può essere divisa in due da una linea tettonica subverticale di direzione NWSE, nota col nome di
linea di Montaner (ZANFERRARI, 1973). Tale linea, che inizia nella zona di Drio Corghe (a sudovest del M.
Pizzoc) e prosegue per Montaner e Stevenà, può essere grosso modo adoperata per distinguere due zone
geologicamente diverse: la pruna, più elevata, a nord, è costituita da calcari bioclastici e di scogliera,
cretacici, e subordinatamente (sul M. Pizzoc e sul Piano del Cansiglio) da calcari marnosi rossi e grigi
("scaglia rossa e grigia") di età cretacicoeocenica; la seconda, collinosa, a sud, è formata dalle già note
alternanze di arenarie, calcari, marne, conglomerati e argille che rappresentano, nel Trevigiano
nordorientale, i vari periodi del Terziario. Tutti questi litotipi si trovano, lungo l'intero versante sudoccidentale
del Cansiglio, fortemente raddrizzati e in certi casi addirittura rovesciati. Ciò significa che siamo di nuovo in
presenza di un motivo a flessura come per la dorsale delle Prealpi bellunesi (passante talora a piegafaglia e
a faglia vera e propria) con fianco di raccordo più o meno verticale (piega a ginocchio) e con gomito
superiore (Pizzoc, Cansiglio) suborizzontale. Il gomito inferiore, costituito dalle rocce terziarie, annovera
spesso la presenza al tetto di masse calcaree cretaciche (dintorni di Villa di Villa), di estensione e potenza
assai variabili, completamente sconnesse e brecciate, che rappresentano parti più o meno caotiche scivolate
per gravitá dalle zone più elevate del versante durante i movimenti verticali che hanno sollevato l'altopiano e
che sono avvenuti lungo il piano subverticale della sopracitata linea di Montaner. Dal punto di vista
morfologico, è ora evidente che le forme del paesaggio rispecchiano le diverse litologie e il particolare
assetto strutturale. Si nota, infatti, un ripido pendio lungo tutto il versante là dove affiorano i massicci strati
calcarei bioclastici e di scogliera fortemente inclinati, mentre le forme si fanno più dolci nelle zone costituite
dalle più tenere rocce terziarie i cui strati tendono, man mano che si procede verso la pianura, alla
orizzontalità.
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La rete idrografica di quest'area è costituita da diversi corsi d'acqua a carattere torrentizio, tutti affluenti di
sinistra del F. Meschio. Ricordo i principali: T. Carron, Rio Dolza, T. Bordon, T. Vizza, T. Valsalega, T. Friga,
Rio Sarmede. Essi scendono dal versante sudoccidentale del Cansiglio, incidendolo in alcuni casi anche
profondamente (Valsalega), e mandano le loro acque nel F. Meschio dopo aver intensamente intagliato i
teneri terreni terziari.
COLLINE SUBALPINE TREVIGIANE
Le colline, che si stendono ininterrottamente a sud della Vallata, dal Piave al Meschio, sono disposte in rilievi
allungati paralleli all'orlo delle Prealpi bellunesi, cioé diretti da WSW a ENE. Come ho già fatto notare, esse
sono costituite da alternanze di rocce relativamente dure (calcari, arenarie, conglomerati) e di rocce assai
più tenere (marne, arenarie poco cementate, argille) di età compresa tra l'Eocene e il Miocene terminale
(Pontico). L'intera serie si trova, per effetto dei movimenti orogenetici verticali prevalentemente
postmiocenici, fortemente rialzata e addirittura, in qualche località, gli strati si presentano verticali. Per
questo motivo e per l'alternarsi di rocce facilmente erodibili con rocce molto più tenaci, ne é risultato un
seguito di lunghi dossi rettilinei (corde o coste, cuestas, hogback), paralleli l'uno all'altro, non più alti di
400600 metri (Col Franchin m. 440, M. Mondragon m. 436, M. Baldo m. 597, M. Altare m. 450, ecc), tra i
quali si insinuano alluvioni terrazzate. Per quanto riguarda l'idrografia, numerosi sono i torrenti che scendono
da quest'area verso la pianura. A parte il F. Soligo (già nominato) e i suoi affluenti (T. Campea ed altri) cito,
tra i più importanti, il T. Raboso e il T. Lierza tributari del Piave, il T. Cervano, il F. Monticano e il T. Cervada
appartenenti, invece, al bacino idrografico del Livenza.
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L'IDROGRAFIA
Dal punto di vista delle acque, oltre ai già citati torrentelli, numerosi a causa della orografia del terreno, ma
sempre modestissimi, se si eccettuano il Meschio e il Follina, e oltre ai laghi giá citati, sono da considerare
alcune particolarità idrografiche della Comunità Montana: il Cansiglio, che è praticamente privo di acque
superficiali: ciò è dovuto alla natura carsica del terreno, non certo alla mancanza di precipitazioni; la qualità
delle acque dei laghi, nettamente diversa tra i laghi della Valle Lapisina e quelli della Vallata: i primi
appaiono limpidi e privi di vegetazione infestante lungo le sponde, sia a causa del forte declivio con cui esse
precipitano, sia a causa della loro profondità, sia, infine, a causa della qualità delle acque che, più che da
sorgenti locali, sono di diretta provenienza alpina, artificialmente portate colà per ragioni economiche
(produzione di energia elettrica). Al contrario, i laghetti della Vallata presentano fenomeni di eutrofizzazione
che, per quanto attribuibili anche alla diversa origine dei laghi stessi e alla loro scarsa profondità, vengono
probabilmente esaltati dai reflui agricoli, oltre che dagli scarichi urbani provenienti dai borghi rivieraschi;
un'ultima particolarità da notare sono le sorgenti abbastanza numerose, ma sempre alquanto modeste e
molto spesso captate per uso pubblico. Tuttavia si possono registrare tre notevoli eccezioni: le sorgenti del
Follina e del Piaveson in Vallata, e del Meschio nella Valle Lapisina. La sorgente del Follina, che sgorga
impetuosamente da un'unica polla di notevoli dimensioni, è situata dietro il Convento di Follina; da essa
prende origine il F. Follina, tanto abbondante di acque sempre chiare e fresche quanto di breve percorso. A
Lago nasce il Piaveson che è attivo solo in determinati periodi, in corrispondenza di piogge abbondanti;
probabilmente si tratta di una sorgente carsica a sifone: l'acqua sgorga infatti con molta violenza,
limpidissima e ricca di ossigeno, con una portata di 3 me/s. Se si tiene presente che questa sorgente può
attivarsi anche più volte all'anno e per tredieci giorni di seguito, è evidente l'importanza pratica del fenomeno
che rappresenta l'unico apporto di acqua pulita ai laghi di Revine. La sorgente del F. Meschio e quelle
dell'acquedotto vittoriese sgorgano limpidissime e abbondanti ai piedi del Col Visentin, in località Savassa la
prima e Negrisiola le seconde.
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LE FONTI SALUTARI
A Vittorio Veneto esistono, sia pur marginalmente defilate, alcune cune modeste sorgenti termali che hanno
avuto, in un certo senso, un rapporto particolare con l'attività antropica locale. Attualmente, infatti, in città, la
località ai piedi del M. Altare è ancora chiamata Salsa. Le cronache nominano queste sorgenti dal 1500, ma
da allora in poi le polle furono alternativamente dimenticate e rivalutate. Le sorgenti hanno origine da diaclasi
esistenti tra strati arenaceoconglomeratici e strati marnosi, e sarebbero alimentate da un bacino imbrifero
tutto. sommato molto modesto. Esse pare fossero assai piú numerose e abbondanti nel passato, ma oggi la
situazione di queste sorgenti, abbandonate, mal captate, mescolate con acque superficiali, è del tutto
precaria, tanto che di esse, salvo la sorgente "Salsa" ed anche questa solo parzialmente funzionante, non
rimane praticamente altra vestigia che l'Hotel Terme, ultimo ricordo di un'impresa commerciale iniziata per il
loro sfruttamento agli inizi del secolo. Tra gli Autori recenti che hanno studiato e censito le sorgenti ricordo il
BASAGLIA (1959), il PICCOLI (1960) ed il CORTUSO, il quale, una ventina di anni fa, in una relazione per la
ricerca e utilizzazione delle acque, scriveva che le fonti principali erano tre: a) la prima fra la ferrovia e la
strada di Salsa, sgorgante sotto il livello stradale in un piccolo manufatto interrato; b) la seconda, la più
importante, sgorgante nell'interno della exproprietà Coletti usata prima del 1915 in "un modesto impianto
balneare e termale", c) la terza in corrispondenza del Colle dei Labbi. Nella zona però, affermava il
CORTUSO, esistono altre piccole sorgenti meritevoli di una intelligente e metodica opera (11 ricvrea"clie,
oltre ad aumentare sensibilmente la portata delle sorgenti più note, dovrebbe permettere l'individuazione di
nuove polle che, razionalmente utilizzate, potrebbero costituire un notevole motivo di richiamo per la e città.
Tali fonti furono trovate salso bromo jodiche, batteriologicamente pure e adatte ad essere usate come
bevande, inalazioni o bagni per curare o prevenire, di volta in volta, varie malattie quali stipsi, asma,
bronchiti, malattie della pelle ed osteoarticolari, ecc.
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LE CAVITA'CARSICHE
La dorsale prealpina della Vallata, caratterizzata da calcari e dolomie, ed il Cansiglio, con il suo complesso
di scogliera calcareo ripiegato al centro a cupola depressa, hanno determinato condizioni adatte al formarsi
di cavità carsiche, presenti con una certa frequenza. E' questo un aspetto poco conosciuto, ma non
sconosciuto, dalla popolazione della Comunità Montana. Un certo numero di cavità sono note da molto
tempo, altre sono state scoperte di recente, anche in concomitanza di scavi per l'allargamento di strade o
altro. Da qualche anno le cavità note nel territorio della Comunità Montana sono oggetto di esplorazione da
parte di geologi, speleologi, biologi e hanno rivelato aspetti naturalistici tutt'altro che banali: dalla diciottesima
cavità italiana (per profondità) come il "Bus de la Genziana", ad una fauna troglobia endemica di notevole
interesse tassonomico e biogeografico (PAOLETTI, 1978). Non do qui di seguito l'elenco delle cavità sinora
note, o quanto meno rilevate dai naturalisti, in quanto si possono facilmente avere tutte le notizie utili presso
il Catasto Grotte del Gruppo Speleologico CAI di Vittorio Veneto, viale della Vittoria, 321 (presidente il Dr.
Vladimiro Toniello), dove, su un apposito schedario, sono state censite e descritte dettagliatamente circa
una quarantina di cavità. Per la loro singolarità vanno ricordate le Grotte del Calieron, in Comune di
Fregona. Le Grotte del Calieron sono un insieme di cavità, parte di origine naturale e parte di origine
artificiale. La parte naturale consiste in una profonda, impressionante forra, scavata nei banchi di arenaria
dalle acque vorticose del T. Calieron; nella zona circostante sono state aperte, alcuni secoli fa, diverse cave
di pietra da taglio (la cosiddetta pieradolza utilizzata per stipiti, architravi, ecc.) ormai del tutto abbandonate.
CAUSE NATURALI DI ALTERAZIONE E DI DISSESTO IDROGEOLOGICO
Le condizioni geologiche, la geomorfologia accidentata, l'irregolarità del regime pluviometrico, le escursioni
termiche e il contrasto tra volume complessivo degli afflussi e la limitatezza dei bacini idrografici adibiti a
modulare tali volumi sono i principali tra i molti fattori che possono concorrere al dissesto idrogeologico di
una regione. Il territorio della Comunità Montana si presenta attualmente stabilizzato e mancano fenomeni
naturali tali da poter generare cambiamenti notevoli nelle forme del paesaggio. Solo l'azione antropica ha
cambiato e può cambiare in poco tempo l'aspetto di molte zone. Tuttavia
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durante l'alluvione del 1966 si verificarono, nel territorio della Comunità, avvenimenti che richiesero interventi
di protezione idrogeologica. In particolare alcune sistemazioni idraulico forestali hanno interessato il bacino
montano del F. Meschio e alcuni sottobacini. Passando ora ad esaminare i principali fenomeni di dissesto
posso dire che, per quanto riguarda le frane, alcune di grandiose, testimoniate da colossali accumuli di
blocchi molto fratturati e brecciati, si sono verificate nella zona tra Rugolo e Villa di Villa durante e dopo il
sollevamento postmiocenico del Cansiglio, mentre altre, verificatesi nei periodi interglaciali e all'inizio del
postglaciale, hanno interessato la zona tra il L. di S. Croce e il L. del Restello (Fadalto, Nove) e quella tra
Revine e Longhere. In epoca storica, invece, le frane che destano maggior interesse sono due. La prima
accadde il 16 ottobre 1521 a Forcal (località a nord di Vittorio Veneto) dove una grande massa rocciosa si
staccò dalle pendici del Col Visentin e precipitò nel laghetto di Forcal (5), riversando un'enorme quantità
d'acqua nell'alveo del Meschio. Conseguentemente il fiume straripò in più parti inondando Serravalle dove
provocò ingenti danni soprattutto a causa della grande quantità di detriti e fango che portava con sè (6). La
seconda frana si è invece verificata a Costa di Vittorio Veneto il 14 maggio 1937 ed ha causato otto vittime.
Fu questa una tipica frana per scivolamento gravitativo, predisposta dalla posizione a franapoggio degli strati
arenacei, ma causata probabilmente da un periodo di intense piogge nei giorni precedenti e da movimenti
sismici avvenuti qualche mese prima (terremoto del 18 ottobre 1936). Attualmente movimenti franosi di una
certa consistenza sono presenti a est di Sarmede, tra la Madonna di Val e la Madonna delle Grazie. In
questa zona, qualche anno fa, l'accelerarsi dei movimenti portò all'interruzione della costruenda strada
Rugolo Villa di Villa. Altre piccole frane di crollo si sono verificate, anche di recente, nei pressi di Serravalle.
Per quanto riguarda l'attività sismica, il territorio in esame ha sofferto più di una volta e i terremoti hanno più
volte causato danni, specialmente in quelle zone dove s'incontrano importanti linee tettoniche (zona di
CanevaStevenà). I movimenti sismici più importanti che provocarono vittime e forti danni negli ultimi due
secoli furono quelli avvenuti negli anni 1873 (29 giugno), 1885 (19 dicembre), 1892 (11 gennaio), 1936 (18
ottobre). Il sisma del 1873, il cui epicentro fu localizzato a oriente del L. di S. Croce, è ricordato come il più
brutto e causò nove vittime a Sarmede, tre a Cappella, trenta nell'Alpago, trentotto a S. Pietro di Feletto,
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mentre quello del 1936, con epicentro in Cansiglio, ne causò sette a Caneva. Tutti questi terremoti, come
quello recentissimo del Friuli (6 maggio 1976), sono terremoti di frattura o tettonici. C'è Aa dire ora che
l'architettura spontanea locale non appare particolarmente condizionata dagli eventi sismici verificatisi in
passato, segno questo che la loro intensità nella zona in esame non doveva essere tanto grande. Infatti,
anche le costruzioni più antiche appaiono in condizioni precarie piii per abbandono degli occupanti che per
eventi naturali. Egualmente però, per questa non sempre disastrosa, ma frequente attività sismica, molte
zone sono state dichiarate sismiche. Un grosso pericolo può essere rappresentato invece dalle slavine che
talvolta cadono dal M. Millifret lungo il versante orientale della Valle Lapisina, a sud della Sella di Fadalto.
Recentemente, infatti, febbraio 1978, a causa delle abbondanti nevicate, ne sono cadute due che hanno
ostruito sia la SS 51 d' Alemagna che la ferrovia Conegliano Belluno (fig. 3), senza però causare vittime. Si
può quindi concludere col rilevare la mancanza di fenomeni naturali tali da modificare le forme del
paesaggio; non devono però essere tralasciati quegli eventi naturali minori che lentamente potrebbero
ingrandirsi portando rapidi effetti denudativi e dissestativi a molte zone. Per questo va inteso che una più
completa e continua sistemazione dei corsi d'acqua e dei versanti può portare ad una migliore stabilità
morfologica, idraulica e forestale.
Mario Piccin
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Note
Come responsabile del settore "scienze della Terra", nell'ambito del Gruppo Naturalistico del Vittoriese, mi
sono sentito in obbligo di dare alle stampe questo lavoro che in sé rappresenta una sintetica visione
panoramica delle conoscenze a tuttt'oggi acquisite nel campo geologico e geomorfologico. Il mio augurio è
che queste pagine siano di stimolo, oltre che agli studiosi del Gruppo Naturalistico, anche agli studenti,
soprattutto delle scuole medie superiori, e a tutti gli appassionati desiderosi di conoscere meglio il nostro
territorio. Tengo, infine, a precisare che la presente Nota, per altro corredata da una sufficiente bibliografia, è
puramente descrittiva e non contribuisce certo ad ampliare le conoscenze o a risolvere, con nuovi dati, i
problemi insiti nel contesto geologico geomorfologico della regione montana del Trevigiano nord orientale. E'
augurabile che in un prossimo futuro le ricerche di dettaglio nel Vittonese, ove già sono in corso, e nei
comuni della Comunità Montana, portino ad una completa conoscenza del territorio e dei suoi problemi, in
maniera da garantirne una buona conservazione e, nello stesso tempo, una razionale utilizzazione. Materiali
del presente saggio sono già stati utilizzati da CAMPESAN G.C. e PAGOTTO G. nella loro tesi per il
conseguimento del certificato internazionale di ecologia umana: La Comunità Montana delle Prealpi
Trevigiane: descrizione di un ambiente (1978).
1) La toponomastica adoperata è quella che risulta dalle carte alla scala 1:25.000 dell'Istituto Geografico
Militare di Firenze.
2) Miane, Follina, Cison di Valmarino, RevineLago, Vittorio Veneto, Fregona, Sarmede, Cordignano.
3) I due laghi sino alla metà del secolo scorso non avevano alcun emissario e debordavano con gran danno
ai raccolti nei terreni coltivati. Nel 1878 si cercò di porre rimedio scavando il canale che ora è chiamato 'Ia
Tajada" e che mette in comunicazione le acque del L. di Lago con il F. Soligo, che ha le sorgenti non molto
lontano. Ciò nonostante, tutt'oggi si continua a lamentare l'esondazione delle acque dei due laghi alla
minima pioggia insistente.
4) Fino alla metà del secolo XVIII il L. di S. Croce non aveva alcun emissario, ma la vicinanza del Bosco del
Cansiglio, da cui si traeva gran quantità di legname da costruzione, spinse a scavare un canale (1780) lungo
7 km. detto Rai, che immetteva nel Piave (cfr. VENETO di E. Migliorini, 1962, pag. 304). Attualmente il L. di
S. Croce (m. 386 s.l.m., lungo Km. 5.5., largo in media Km. 2, profondo m. 33, esteso per 7,8 kmq, capacità
idrica circa 120 milioni di mc), sbarrato a nord da una diga che ne alza il livello a 386 m., costituisce il centro
vitale dei grandiosi impianti idroelettrici PiaveS. Croce, iniziati nel 1920 e ultimati nel 1926. La deviazione dal
Piave viene effettuata presso Soverzene a quota m. 390 mediante una diga trasversale lunga circa 1 km. Un
canale di 10 km, parte in galleria e parte all'aperto, convoglia l'acqua nel lago, dal quale con appositi canali
in galleria passa ad alimentare successivamente le centrali di Fadalto, Nove e S. Floriano, con scarico
rispettivamente nel L. Morto, nel L. del Restello e in quello di Negrisiola. All'estremità di quest'ultimo l'acqua,
nuovamente incanalata, viene condotta verso le centrali di Castelletto e di Caneva, a sud est di Vittorio
Veneto. La massima parte delle acque scaricate è destinata infine all'irrigazione di un'area di circa 36.000 ha
della zona sulla sinistra del Piave (cfr. VENETO, Guida d'Italia del T.C.I., 1969, pag. 492).
5) Il laghetto di Forcal, con quello di Negrisiola, costituiva in quel tempo l'unica testimonianza di un lago
molto più grande (Lago delle Longhere) che nell'interstadio W III/IV (1714000 a. a. C.) occupava il bacino di
esarazione sbarrato ad ovest dalla soglia di Revine. Questo grande lago doveva svilupparsi a nord per oltre
4 km. sino alla stretta rocciosa di S. Floriano, potendo estendersi alla conca dell'attuale L. del Restello, e
potè durare per almeno 3.000 anni sinchè il Meschio, l'emissario di allora, incise la soglia formando la gola di
Serravalle e svuotando il lago (VENZO, 1977).
6) In una vecchia traduzione in lingua italiana della famosa lettera scritta in latino da Giannantonio Flaminio
al ViceLegato di Bologna, Bernardo de Rossi, datata 13 novembre 1521, dove si parla della frana che riempì
il lago di Forcal con conseguente inondazione della Città di Serravalle, si legge: "M2rcoledi fu quel giorno per
li serravallesi funestissimo, e di crudele memoria. Il Meschio, che passa per mezzo alla Città sempre ameno
per l'innanzi, e vaghissimo Fiume, cominciò verso le 24 oltremodo a gonfiarsi, (soleva egli scorrere
costantemente con moderata copia d'acque placide, ed innocenti) e tanto in brevissimo &mpo s'accrebbe
che superati gli Argini, uscì dal suo letto, e torbidissimo contro il suo uso, terribile, e violentissimo con
istraordinario impeto, e fracasso allagò improvvisamente tutte le Contrade della Città. Nel punto stesso che
gonfiavasi il Fiume, una gran parte del monte che sovrasta al Lago, che è lungi un miglio dalla Città, o dal
Terremoto, o dall'impeto del Nubifragio staccata entro vi si precipitò, e quel lago già profondissimo ricolmò in
guisa, che al presente si può tutto attraversare a piedi asciutti, da ciò potrai farti un'idea dell'enorme Rupe
crolata. Per tale avvenimento il Meschio, che nasce in què luoghi così smisuratamente ingrossò, che
sull'istante la Città in ampio stagno ridusse". (cfr. Santa Maria del Meschio a cura di R. BECHEVOLO, 1971).
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