LUDWIG storie di fuoco, sangue, follia “Ludwig” è l’ultima opera di Monica Zornetta, giornalista che ha lavorato per il Gazzettino, è stata corrispondente Rai, e ha collaborato (ahilei) con Lucarelli. Il libro è uscito nell’ottobre 2011 edito da Dalai. Racconta la storia di “Ludwig”, ossia di Abel e Furlan, “la diabolica coppia di serial killer che tra gli anni Settanta e Ottanta ha seminato il terrore in Italia e in Germania”, come dice il risvolto di copertina. Si tratta di un libro-documento e contemporaneamente di un libro-inchiesta che procede allo stesso modo dell’inchiesta prima investigativa e quindi giudiziaria. Si parte dall’ultimo atto (4 marzo 1984, tentativo di incendio da parte di Abel e Furlan della discoteca “Melamara” di Castiglione delle Stiviere, Mantova e loro arresto) e si va a ritroso. Abel è tedesco: occorre indagare su di lui in Germania. In Germania si riscontrano analogie tra l’incendio del Melamara e l’incendio del locale “Liverpool” il 7 gennaio 1984 a Monaco (il volantino di rivendicazione è partito da Novara il 18 gennaio 1984). Comincia la scoperta di altre corrispondenze, di rimandi… Fatti si legano ad altri fatti, volantini di rivendicazione ad altri volantini, tutti scritti con quei ridicoli (se non fossero macabri) caratteri runici. Il libro si legge d’un fiato, essendo scritto bene, ordinato. Gli investigatori (e i lettori) tornano ad analizzare il primo volantino della serie (p. 32), del novembre 1980, che rivendica gli omicidi dell’estate 1977 a Verona, del dicembre ’78 a Padova e del dicembre ’79 a Venezia. Alla lista va aggiunto anche un quarto omicidio (di una prostituta a Vicenza), del 20 dicembre 80, rivendicato nel febbraio 81. Le analogie tra i modi operandi conducono all’attentato incendiario alla Torretta a Verona, nel maggio ’81 con la morte di Luca Martinotti e il ferimento di Aurelio Angeli, crimine che viene rivendicato il 23 luglio 1982 insieme con quello dei due frati di Monte Berico di tre giorni prima. La trama dei delitti s’accresce, s’infittisce, tutti i fascicoli vengono riuniti a Verona. Ma Ludwig si sente forte e sfida le forze dell’ordine: il 26 febbraio 1983 a Trento viene ucciso frate Mario Bison e la rivendicazione è spedita da Padova due giorni dopo. Emerge lo scorcio di una stagione tremenda che vede in primo piano l’epopea infausta del brigatismo rosso e delle stragi nere. Ludwig, nonostante l’efferatezza dei suoi delitti rimane quasi in secondo piano. Non c’è tempo per indagare la psicologia (e la psichiatria) di un’intera stagione violenta, la Zornetta cita gli avvenimenti per offrire un minimo di dati cronistici al lettore e per collocare gli avvenimenti nella loro dimensione relativa. Ma è una stagione tremenda. Nel libro-inchiesta emerge qualche (più di qualche) concessione al gusto di romanzare, un genere che oggi va per la maggiore. Ma l’autrice lo dichiara da subito in prefazione; e difatti le parti “ricostruite”, con la descrizione in diretta degli omicidi e degli attentati, sono riportate in corsivo, quasi l’autrice voglia dirci: “attenti, mi lascio un poco andare alla mia passione di scrivere”. Succede anche in altri punti del libro. In alcune pagine molto belle si ha l’aria d’essere dentro un libro “alto”, come quando (pag. 92) l’autrice descrive il momento dello scatto delle foto segnaletiche. Il ritmo è efficace. Il libro sembra “respirare” di suo. A pagina 53 è reso molto bene dal punto di vista letterario il particolare della scritta “1500” sul martello usato per una aggressione.. In altri momenti si riscontra una scrittura “al femminile”, laddove si ravvisa il gusto per la metafora insistita, o a tutti i costi. In particolare quando l’inizio di una crisi di nervi in uno dei due assassini è l’ “epicentro di un terremoto” (pag. 13), quando gli occhi iniettati di sangue (pag. 14) sono “due globi carminio”, quando i movimenti nervosi delle braccia (pag. 30) vengono ripetutamente descritti dall’immagine delle “braccia tese”. A pag. 51 il sangue a terra è una “pozza carminio”, insomma, non riesce proprio a essere semplicemente rosso. A pagina 40 e a pagina 169 un “guarda caso” dovrebbe far riflettere il lettore (ma solo quello distratto!) Nel descrivere gli episodi (sulla base di testimonianze successive) l’autrice non riesce a fare a meno di ipotizzare sensazioni, pensieri, desideri, reazioni di vittime e colpevoli. Anche in questo senso si può parlare di “scrittura femminile”. “Negli occhi di don Mario [che sta cadendo sotto i colpi di Ludwig] non c’è traccia di odio”: si capirà alla fine che la l’osservazione è ricavata da un commento di Marco Furlan di molto successivo all’episodio e riportato alla fine del libro. Altre volte la suspense è creata con successo: il prete è ospite di una struttura religiosa che accoglie religiosi in difficoltà personale o che si sono macchiati di qualche colpa. Immediata sorge la domanda: qual è la colpa di cui si è macchiato il prete? L’autrice non lo dice. O meglio, non lo dice subito, lo si scoprirà diverse pagine dopo. Anche altre volte succede che il lettore si chieda: perché l’autrice non mi dà subito la risposta alla domanda che sorge immediata. Ma non è distratta: lo farà poco dopo, qualche capoverso dopo. Il libro è ben costruito sotto questo aspetto. A pag. 76 un discutibile vezzo narrativo: “quella notte” scintillano “i lampeggianti cobalto” anziché i banali “lampeggianti blu” della polizia, o “lampeggianti” e basta. Oltretutto il cobalto è rosso, anche se si usa per ottenere il blu. Talvolta emergono i risultati della collaborazione con l’autore di “Blu notte” e spuntano i lucarellismi, artifici descrittivi con cui si tenta di attribuire un retroterra di pensieri, intenzioni e reazioni ai personaggi coinvolti nella vicenda, a volte scontato, a volte tutto da dimostrare (è un vezzo diffuso ma che ha reso ridicolmente famoso Lucarelli, anche se questa è un’altra storia!). In particolare a pag. 75 “il rumore dei colpi sbriciola il silenzio…” (Cosa fa il rumore? sbriciola il silenzio?); a pag. 102: “il riscontro [che va perso] svanendo tra le fiamme”, metafora evitabile. A pag. 177 “Mentre Albrigo spera, in aula gli imputati rompono il ghiaccio…”, e sperare diventa un’attività ben collocabile in un contesto spaziale o temporale determinato. Ma il ritmo rimane vivo. La storia riporta i colpi di scena, le lentezze, le difficoltà degli investigatori, l’arresto per errore di Silvano Romano, un professore che sta indagando a suo modo sulla vicenda; e quindi segue il rilancio di Ludwig: l’8 aprile 1983 la nuova rivendicazione del rogo di S. Giorgio, il 14 maggio 83 incendio all’Eros Sexy Center di viale Monza a Milano, rivendicato sei giorni dopo da Bologna. NOTE DI DISCUSSIONE pp. 95-96: i coltelli da cucina pag. 116: descrizione della famiglia Abel: “di confessione protestante” Thomas (del ’55), Robert (del ’57), Wolfgang (del ’59), Sabine (nata a Dusseldorf nel 1968 e morta nel 1974) La famiglia Abel nel 1966 si trasferì a Montericco di Arbizzano di Negrar (nella Valpolicella). Wolfi si iscrive al liceo nel 1974 (a 15 anni? con un anno di ritardo?) e all’università nel 1978 (solo 4 anni di liceo?). Probabilmente Wolfgang si iscrive al liceo nel 73 (anno scolastico 73-74). pag. 117: il paese “in linea d’aria è all’altezza di Negrar”: sottinteso ogni riferimento alla latitudine o all’altezza nelle carte geografiche. pag. 123: Abel si laurea nel giugno 1983: non in corso dunque, come afferma il padre ma un anno fuori corso, essendo all’epoca la durata legale del corso di studi di 4 anni. E non discutendo “due tesi”, bensì presentando due tesine, sostitutive della tesi, com’era prassi all’epoca. Molto insistito il parallelismo con Raskolnikov. pag. 127: Abel e Furlan si diplomano lo stesso anno (come mai, dato che Abel ha un hanno di più? Furlan ha fatto la prima in privato?) rispettivamente con 56 e 54 per la loro immaturità affettiva e (per Furlan) “con qualche incertezza in campo letterario”. Nelle pagine successive la descrizione della fase processuale si fa più pulita, più attinente ai fatti. pag. 132 I genitori di Abel ritengono negativa l’influenza di Marco, “personalità dominante” pag. 219 “omicidi giovanili”. pag. 221 L’autrice: “Ma, ci si chiede: come hanno potuto i periti accertare il non vizio di mente di Abel e Furlan al tempo del Melamara e dei loro colloqui e non, invece, degli altri delitti? Perché non considerarli sani di mente anche negli altri delitti? E perché scrivere che «il comportamento di Ludwig va intese come un insieme di gravissimi e irrazionali reati costituenti sintomo di infermità»?” È uno dei pochi momenti in cui l’autrice esplicitamente dichiara un suo punto di vista. Se se lo chiede (“ci si chiede”) significa che non trova l’affermazione coerente. Perché? Come non trovare perfettamente sane di mente persone di intelligenza e cultura più o meno apprezzabili che si macchiano di gesti infami? Michele Misseri è sano di mente eppure è persona malata o criminale in gran parte di quello che ha fatto e detto; idem per Sabrina e Cosima. Invasati erano i brigatisti; invasato era “Ludwig”; eppure parlando con ciascuno degli aderenti a quei gruppi di invasati si ha la sensazione della loro sanità mentale… La deriva criminale è frutto delle situazioni, dello spirito dei tempi, dello spirito di un’associazione, di un’intesa, di un’amicizia… anche di certi amori. È trascurato completamente quest’aspetto, evidentemente distante dalla psicologia dell’autrice. Non altrettanto indagato il clima ideologico (e fortemente ideologicizzato) in cui vivono e si muovono gli studenti universitari patavini alla fine degli anni’70 e inizio degli anni ’80 Domande per l’autrice: 1. Come le è venuta l’idea del libro che poi ha proposto all’autore? 2. Quanto tempo ci ha dedicato? R. Un anno ci ha lavorato, 3. Qual è stato il suo modo di operare? R. Ho spulciato i faldoni dell’inchiesta e intervistato i personaggi della vicenda, alcuni più volte. 4. Come ha avuto accesso ai documenti e agli atti? 5. Ha incontrato disponibilità o meno da parte degli attori di contorno (avvocati, magistrati…) coinvolti nella vicenda? R. Ho 6. Se ha incontrato resistenze di tipo ideologico, quali sono state? R. Ho 7. Quali sono stati gli aspetti della storia più difficili da sistemare e raccontare? R. Ho 8. Dove si colloca il confine tra criminalità e follia? R. Ho 9. Chi dei due Ludwig è effettivamente la “personalità dominante”? R. Ho 10. Il personaggio in incognito e con la parrucca intervistato da Lucci delle Iene è o non è Furlan? R. Ho 11. Lei ha intervistato Abel, lo ha incontrato di persona: che idea s’è fatta di lui? Personalmente lo ritiene colpevole? R. Ho 12. Lei ha incontrato di persona Maritan e Pasco (ne parla alle pagine 246-247). In quale occasione? Impressioni? R. Ho 13. Qual è la domanda che avrebbe voluto le facessi e non sono state capace di farle, ma alla quale lei vuole senz’altro rispondere? R. Ho Segnalo infine alcuni refusi: a pag. 39 “el ghe xa fare” anziché “el ghe sa fare”; a pag. 67: “eco mariano” anziché “eco mariana”; a pag. 105 un “;” al posto di una “,”; a pag. 114 manca un “.”; a pag. 287 “deliro” per “delirio”. A pag. 50 non si capisce a chi si riferisce “Eccola”. Infine non è un refuso ma un’incoerenza di punteggiatura il punto a volte prima a volte dopo le uncinate che chiudono il discorso diretto o la citazione: più spesso si incontra “.»”, ma diverse volte anche “».”