Formaggio, miele e cabernet Entrò nella cucina come in un

Formaggio, miele e cabernet
Entrò nella cucina come in un santuario. Attento a non far rumore con le scarpe per
non disturbare degli invisibili fedeli in preghiera. Si fermò pochi passi oltre la soglia,
in attesa che le pupille si dilatassero e gli occhi si abituassero all’assenza di luce. Aprì
gli scuri dalla finestra e una luna debole si fece strada nella stanza. Poggiò il
sacchetto di carta su di un mobile. Armeggiò in un cassetto, prese una candela, sfregò
un fiammifero e lo accese. La cucina era come cristallizzata, come una stella di
pietra. L’isola al centro, i coltelli che riflettevano la fiamma della candela, il frigo
silenzioso. Un tuono lo fece sobbalzare. Stava riprendendo a piovere. Come il
pomeriggio e gli ombrelli aperti si spingevano nella folla dietro l’auto scura che
avanzava lenta per le vie. Temporali d’agosto che arrivano furiosi, risciacquano
l’aria come un panno sporco.
Stese una tovaglia trovata in un altro cassetto. Prese un coltello, un bicchiere e li
poggiò sulla tovaglia. Dal sacchetto tirò fuori del puzzone di moena, un vasetto di
miele, una bottiglia di cabernet. Aprì la bottiglia di vino, ne versò nel bicchiere,
bevve.
Girò la sedia e si sedette con lo schienale in avanti. Tagliò una fetta di formaggio, ne
prese un morso. Suo padre avrebbe approvato.
“Dite che questa non è la stagione per formaggio, miele e cabernet. Nooo. Non sapete
cosa vi perdete.”
Gli parve di sentirlo. Si voltò. Il santuario era vuoto come quando era entrato. Solo i
fedeli silenziosi. Chissà da quanto suo padre non ne aveva mangiato di formaggio,
miele e ancor più bevuto vino. La malattia comincia a togliere per prime le passioni
più sentite.
Versò una goccia di miele su una nuova fetta di formaggio. L’abbinamento fece
sobbalzare le papille gustative. Li accompagnò col vino.
La prima volta che ne aveva bevuto aveva otto anni. Accadde in quella stessa cucina.
Non ricordava che tipo di vino fosse, ricordava solo il colore. Il rosso, il rosso di un
rubino, delle labbra miele di una bella donna. Suo padre lo chiamò in cucina. Il fatto
aveva dello straordinario. Non faceva entrare nessuno, quando cucinava. Girò la
sedia, si sedette. “Devi imparare da piccolo. Devi sviluppare un tuo gusto. Ci sono
tanti vini in giro e tanti sono falsi. Ma se impari a riconoscere quelli giusti, diventano
amici veri, di quelli che ti accompagnano per sempre.” Prese un bicchiere piccolo,
uno di quelli da liquore. Versò un dito del liquido color rosso rubino e glielo porse.
Lo bevve di un fiato per non tradire l’emozione bambina. Gli vennero le lacrime agli
occhi, ma gli piacque, eccome se gli piacque. Aveva trovato un amico.
Dopo trent’anni l’aveva girata lui la sedia. Aveva preso un bicchiere grande. Versato
il giusto secondo la sua voglia.
Sollevò il bicchiere in aria, guardò in alto in un brindisi solitario. Bevve. Gli vennero
le lacrime agli occhi. Le lacrime rotolarono giù fino al mento.