VI Domenica del Tempo Ordinario Anno A Antifona d`ingresso Sii

VI Domenica del Tempo Ordinario
Anno A
Antifona d'ingresso
Sii per me difesa, o Dio, rocca e fortezza che mi salva,
perché tu sei mio baluardo e mio rifugio;
guidami per amore del tuo nome. (Sal 31,3-4)
Colletta
O Dio, che hai promesso di essere presente
in coloro che ti amano
e con cuore retto e sincero custodiscono la tua parola,
rendici degni di diventare tua stabile dimora.
Oppure:
O Dio, che riveli la pienezza della legge
nella giustizia nuova fondata sull’amore,
fa’ che il popolo cristiano,
radunato per offrirti il sacrificio perfetto,
sia coerente con le esigenze del Vangelo,
e diventi per ogni uomo segno di riconciliazione e di pace.
PRIMA LETTURA
A nessuno ha comandato di essere empio.
Dal libro del Siràcide (15, 16-21) (NV) [gr. 15, 15-20]
Se vuoi osservare i suoi comandamenti, essi ti custodiranno; se hai fiducia in lui, anche tu vivrai.
Egli ti ha posto davanti fuoco e acqua: là dove vuoi tendi la tua mano.
Davanti agli uomini stanno la vita e la morte, il bene e il male: a ognuno sarà dato ciò che a lui
piacerà. Grande infatti è la sapienza del Signore; forte e potente, egli vede ogni cosa.
I suoi occhi sono su coloro che lo temono, egli conosce ogni opera degli uomini.
A nessuno ha comandato di essere empio e a nessuno ha dato il permesso di peccare.
SALMO RESPONSORIALE
Dal Salmo 118 (119)
R/. Beato chi cammina nella legge del Signore.
Beato chi è integro nella sua via
e cammina nella legge del Signore.
Beato chi custodisce i suoi insegnamenti
e lo cerca con tutto il cuore. R/.
Tu hai promulgato i tuoi precetti
perché siano osservati interamente.
Siano stabili le mie vie
nel custodire i tuoi decreti. R/.
Sii benevolo con il tuo servo e avrò vita,
osserverò la tua parola.
Aprimi gli occhi perché io consideri
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le meraviglie della tua legge. R/.
Insegnami, Signore, la via dei tuoi decreti
e la custodirò sino alla fine.
Dammi intelligenza, perché io custodisca la tua legge
e la osservi con tutto il cuore. R/.
SECONDA LETTURA
Dio ha stabilito una sapienza prima dei secoli per la nostra gloria.
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi (2, 6-10)
Fratelli, tra coloro che sono perfetti parliamo, sì, di sapienza, ma di una sapienza che non è di
questo mondo, né dei dominatori di questo mondo, che vengono ridotti al nulla. Parliamo invece
della sapienza di Dio, che è nel mistero, che è rimasta nascosta e che Dio ha stabilito prima dei
secoli per la nostra gloria.
Nessuno dei dominatori di questo mondo l’ha conosciuta; se l’avessero conosciuta, non avrebbero
crocifisso il Signore della gloria. Ma, come sta scritto: «Quelle cose che occhio non vide, né
orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, Dio le ha preparate per coloro che lo amano».
Ma a noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito; lo Spirito infatti conosce bene ogni cosa, anche
le profondità di Dio.
CANTO AL VANGELO (Cf Mt 11, 25)
Alleluia, alleluia.
Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra,
perché ai piccoli hai rivelato i misteri del Regno.
Alleluia.
VANGELO
Così fu detto agli antichi; ma io vi dico.
Dal Vangelo secondo Matteo (5, 17-37)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a
dare pieno compimento. In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà
un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto. Chi dunque trasgredirà uno
solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel
regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli.
Io vi dico infatti: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel
regno dei cieli. Avete inteso che fu detto agli antichi: “Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere
sottoposto al giudizio”. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere
sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: “Stupido”, dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi
gli dice: “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geènna. Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare
e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’
prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono.
Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché l’avversario
non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione. In verità io ti dico:
non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo!
Avete inteso che fu detto: “Non commetterai adulterio”. Ma io vi dico: chiunque guarda una donna
per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore.
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Se il tuo occhio destro ti è motivo di scandalo, cavalo e gettalo via da te: ti conviene infatti perdere
una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geènna. E se la tua mano
destra ti è motivo di scandalo, tagliala e gettala via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue
membra, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geènna.
Fu pure detto: “Chi ripudia la propria moglie, le dia l’atto del ripudio”. Ma io vi dico: chiunque
ripudia la propria moglie, eccetto il caso di unione illegittima, la espone all’adulterio, e chiunque
sposa una ripudiata, commette adulterio.
Avete anche inteso che fu detto agli antichi: “Non giurerai il falso, ma adempirai verso il Signore i
tuoi giuramenti”. Ma io vi dico: non giurate affatto, né per il cielo, perché è il trono di Dio, né per la
terra, perché è lo sgabello dei suoi piedi, né per Gerusalemme, perché è la città del grande Re. Non
giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello.
Sia invece il vostro parlare: “sì, sì”, “no, no”; il di più viene dal Maligno».
Preghiera sulle offerte
Questa nostra offerta, Signore,
ci purifichi e ci rinnovi,
e ottenga a chi è fedele alla tua volontà
la ricompensa eterna.
Antifona di comunione
Hanno mangiato e si sono saziati
e Dio li ha soddisfatti nel loro desiderio,
la loro brama non è stata delusa. (Sal 78,29-30)
Oppure:
Dio ha tanto amato il mondo da donare il suo unico Figlio,
perché chiunque crede in lui non perisca,
ma abbia la vita eterna. (Gv 3,16)
Oppure:
Chi osserva e insegna agli uomini i precetti del Signore,
sarà grande nel regno dei cieli. (cf. Mt 5,19)
Preghiera dopo la comunione
Signore, che ci hai nutriti al convito eucaristico,
fa’ che ricerchiamo sempre quei beni
che ci danno la vera vita. Per Cristo nostro Signore.
Note del Testo
Il Maestro, divinamente buono e semplice, ha usato espressioni così inflessibili?
Eppure, chi si assumerebbe la responsabilità di dire che queste frasi sono soltanto delle iperboli?
Occorre distinguere, ricordando che gli scritti di Matteo hanno raccolto in cinque discorsi gli
insegnamenti di Gesù e li hanno applicati alla realtà di quel tempo.
Gesù stesso aveva dato l’autorità di estrarre dal loro «tesoro cose nuove e cose antiche».
v. 17:
Nei versetti Mt 5,17-20, il nostro Signore dimostra l’identità dei principi che egli ha esposti,
con quelli dell'antica legislazione e la loro dissomiglianza dal tradizionale insegnamento, che era
allora in voga. In questo versetto, «la legge ed i profeti» presi insieme, significano l'autorità ed i
principi dell'Antico Testamento. Non importa distinguere qui la legge dai profeti, come fanno alcuni
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critici, né ricercare quali fossero le supposizioni degli avversari di Cristo relativamente
all'intenzione che gli attribuivano di rovesciarli.
Il nesso che collega questo versetto coi precedenti, si trova nelle parole «buone opere»,
contenuto in Mt 5,16. Questa menzione delle buone opere come mezzo necessario per glorificare
Dio, tanto sotto la nuova come sotto l'antica economia, solleverebbe naturalmente una questione
circa alla loro mutua relazione, e particolarmente circa alla autorità della legge mosaica sotto il
regno del Messia. Le parole contenute in questo versetto sono indirizzate a due classi di individui i
quali, da due diversi punti di vista, consideravano Gesù come un sovvertitore della legge e dei
profeti. Alcuni rispettavano la legge, non soltanto nel suo senso letterale, ma ancora nel senso
spirituale; e temevano che Gesù avesse l'intenzione di rovesciare tutte le istituzioni stabilite da Dio
fra loro. Per costoro, le parole di Gesù suonavano come s'egli avesse detto: Non temete che io venga
ad abbattere la legge ed i profeti; anzi io vengo per compiere le cose che essi hanno detto. Altri
acclamavano Gesù Cristo, sperando che egli avrebbe abbattuto così la legge morale, come la
cerimoniale e avrebbe concesso loro il permesso di vivere liberamente nel peccato. Per questi le
parole di Gesù significavano: Non sperate che io sia venuto per mettermi alla testa di un movimento
rivoluzionario, o per diminuire la santa autorità della legge di Dio.
v.20:
Questo versetto contiene un corollario dedotto dai tre precedenti. Gli Scribi ed i Farisei non
osservavano la legge, poiché essi l'annullavano con le loro tradizioni, e la mettevano in pratica
soltanto esternamente. Perciò essi pretendevano invano di essere giusti; e Gesù Cristo dichiara che
coloro i quali desiderano entrare nel regno dei cieli devono essere più santi di loro. Il nostro Signore
diede così ai suoi uditori, che avevano fino a quel momento, creduto che gli Scribi ed i Farisei
avessero «le chiavi della scienza» e fossero i più giusti degli uomini, una idea molto più elevata
della santità della legge. La “giustizia” di cui si tratta qui, non è quella che ci è imputata per la fede,
ma bensì una vita giusta e santa che è la conseguenza della prima. Perciò se vogliamo che la nostra
giustizia superi quella degli Scribi e dei Farisei, conviene che essa abbia la sua sede nei nostri cuori,
e si manifesti nella nostra vita.
“voi non entrerete nel regno dei cieli”.
Gesù Cristo insegna in queste parole che senza una giustizia superiore a quella dei Farisei,
noi non possiamo far parte della sua Chiesa, né in questo mondo, né nel mondo avvenire.
v. 22:
In opposizione ai commenti degli Scribi e dei Farisei «seduti sopra la sedia di Mosè», il
Legislatore stesso, «DIO manifestato in carne», si accinge ad esporre il vero significato del
comandamento; e chi al par di lui lo può spiegare? “IO vi dico: chiunque si adira con il proprio
fratello …”
Gesù dimostra qui che la legge di Dio è «giudice dei pensieri e delle intenzioni del cuore»;
che non è destinata a reprimere solo gli atti violenti, ma pur anche le malvagia disposizioni dalle
quali essi procedono. Egli riconduce il Patto alla sua origine, allo spirito che l'ha prodotto, e
combatte il peccato nella sua sorgente, ipocritamente risparmiata dai Farisei. Il Signore non ci
proibisce in un modo assoluto di adirarci. L'ira, quando è diretta contro al peccato è lecita. Gesù
guardava gli ipocriti Farisei «con indignazione» (Mc 3,5); e ci viene detto: «Adiratevi e non
peccate» (Ef 4:26). Ma il Signore parla qui di un'ira piena di odio contro al fratello. In questo caso
l'ira è peccaminosa; è disubbidienza al sesto comandamento; è l'omicidio che sì svolge nel cuore,
benché non sia ancora arrivato alle mani. «Chiunque odia il suo fratello, è omicida» (1Gv 3,15).
“Chi poi dice al fratello: “Stupido”, dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: “Pazzo”, sarà
destinato al fuoco della Geènna”.
«Raca» = “Stupido” è parola di disprezzo che significa privo di senso. «Pazzo» non
denotava solo privazione di senno, ma vi si aggiungeva l'idea di depravazione e di iniquità:
sciagurato, birbante! Siccome è difficile determinare la differenza che passa fra il senso di «Raca»
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e quello di «Pazzo»», alcuni critici moderni negano l'esistenza d'una gradazione in questo versetto,
sia riguardo alla colpa, sia relativamente alla punizione. In tal caso esso conterrebbe una inutile
tautologia. Se fossimo vissuti nella Galilea in quel tempo, avremmo, senza dubbio, capito al pari
degli uditori di Cristo la gradazione indicata da questi epiteti, nella trasgressione del sesto
comandamento. Ogni epoca, ogni paese ha i modi suoi propri per esprimere tali cose; e senza
dubbio Gesù si servì delle espressioni aramaiche oltraggiose allora in voga, per dar maggior
chiarezza al suo discorso.
Vi erano tre gradi di condanna tra gli Ebrei: quella inflitta dal «tribunale» che non poteva
condannare alla morte; quella inflitta dal «sinedrio», che era investito di un tal potere; e quella
inflitta dai magistrati di Gerusalemme ai cadaveri dei giustiziati, che non erano reclamati dai loro
amici, facendoli gettare nella valle di Hinnom, al Sud della città, ove erano arsi dai fuochi
costantemente accesi per consumare ogni immondizia. Ma ciò che rendeva specialmente infame
quella valle era la memoria del culto barbaro reso dal re Manasse a Moloc, in onore del quale egli
fece in quel luogo passare i suoi figli per il fuoco (2Cr 33,6). Più tardi il re Giosia profanò quel
luogo, affinché il popolo cessasse di sacrificarvi i suoi figli (2Re 23,10). Quando i profeti
minacciavano il popolo dei castighi di Dio, essi annunziavano che questa valle chiamata anche
Tofet, tamburo, perché si faceva qui un gran rumore con tamburi, affinché non si sentissero le strida
dei bambini che bruciavano, diventerebbe una specie di macello, dove sarebbero gettati i cadaveri
dei difensori della città, e dove il fuoco dell'ira di Dio li consumerebbe (Is 30,33;66,24); (Ger 7,32).
Questa valle, di cui il nome era associato alle più nefande iniquità da una parte, e coi più tremendi
giudizi di Dio dall'altra, era divenuta il tipo di quel luogo in cui gl'impenitenti saranno arsi nel fuoco
dell'ira di Dio. Con l'andar del tempo la parola geenna venne generalmente adoperata per indicare
l'inferno.
È evidente dunque che, con le espressioni famigliari contenute in questo versetto, Gesù
intese parlare dei castighi inflitti non dalle leggi umane, bensì dalle divine. Egli manifestò la
spiritualità della legge indicando che vi sono diversi gradi nella trasgressione di questo
comandamento prima di giungere agli atti violenti ed all'omicidio, ognuno dei quali merita la morte
eterna.
v.23:
I quattro versetti seguenti (Mt 5,23-26), contengono un'applicazione pratica degli
insegnamenti di Gesù relativi al sesto comandamento; applicazione che l'uso della seconda persona
singolare rende più chiara e più diretta. Se la legge condanna sentimenti e parole apparentemente
insignificanti, è chiaro che i dissidi, quantunque i Farisei li considerassero come poco importanti,
saranno più severamente condannati di quelli, ed esigono pronta riconciliazione. Il Signore lo
dimostra nei vers. Mt 5,23-24, rammentando che gli atti religiosi di quelli che ricusano di
riconciliarsi coi loro nemici non sono accettati da Dio. Tutti i sacrifici offerti al Signore dal popolo
d'Israele, tanto gli espiatori, quanto quelli sacrificali, dovevano essergli presentati sull'altare del
tempio di Gerusalemme. Riferendosi a questo uso, noto ad ognuno nella folla, Gesù Cristo ha
l'intenzione di indicare la religione nel suo insieme. Quantunque il nostro primo dovere sia di
rendere il nostro culto a Dio, Gesù Cristo, per dimostrare l'importanza e la necessità della
riconciliazione, dichiara che l'offensore, anche se egli fosse in procinto di rendere il suo culto a Dio,
dovrebbe sospenderlo, finché non avesse confessato il suo torto al suo avversario, e non si fosse
riconciliato con lui. Se la legge condanna sentimenti e parole apparentemente insignificanti, è
chiaro che i dissidi, quantunque i Farisei li considerassero come poco importanti, saranno più
severamente condannati di quelli, ed esigono pronta riconciliazione. Il Signore lo dimostra nei
versetti Mt 5,23-24, rammentando che gli atti religiosi di quelli che ricusano di riconciliarsi coi loro
nemici non sono graditi a Dio. Riferendosi a questo uso, noto ad ognuno nella folla, Gesù Cristo ha
l'intenzione d'indicare la religione nel suo insieme.
v. 28:
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Nessun esempio potrebbe mettere maggiormente in evidenza la natura spirituale della legge
di Dio, poiché il peccato che secondo Cristo costituisce già una violazione del settimo
comandamento, è commesso soltanto con la mente e col cuore, mentre colei che ne è l'oggetto può
esserne affatto inconsapevole. Interpretato dal Signore, questo comandamento proibisce non solo gli
atti colpevoli come insegnavano i Farisei, ma persino ogni sguardo lascivo, ogni desiderio impuro
diretto non solo verso persone coniugate, ma anche verso nubili. Lo sguardo di cui parla Gesù non è
prodotto da un pensiero fugace, immediatamente represso da una santa vigilanza, ma è uno sguardo
diretto dalla volontà stessa dell'uomo con lo scopo di fomentare in se stesso e negli altri passioni
impure. Questo deve essere il significato seguito da un infinito. Vedi Mt 6,1; col proposito
deliberato di essere osservati dagli uomini. Colui che giunge a tanto ha già trasgredito la legge. Noi
non dobbiamo dunque supporre dalla parola «adulterio» qui usata, che il nostro Signore intenda
restringere l'infrazione di questo comandamento alle relazioni colpevoli fra i coniugati.
L'espressione «chiunque guarda una donna» indica che questo comandamento si riferisce ad ogni
sorta di impurità, e le istruzioni che seguono, indirizzate indistintamente ai celibi ed ai coniugati, lo
confermano.
In questa luce si comprende quel “compimento” che Cristo dice di essere venuto a svelare.
Con questa svolta la religione si trasforma da osservanza di un codice di norme circoscritte in
un’adesione totale della coscienza e dell’esistenza. Contro i 613 precetti della Legge numerati dai
rabbini Gesù Cristo –citando proprio l’Antico Testamento – ci ricorda che il comandamento è uno
solo eppure abbraccia ogni atto e ogni istante della vita: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo
cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente e amerai il prossimo tuo come te stesso”. E’ da
questo comandamento che “dipende tutta la Legge e i Profeti” (Mt 22, 37-40).
v. 29:
Gesù Cristo applica qui il suo insegnamento all'individuo. consigli contenuti in questo e nel
versetto 30 sono pressoché identici nella forma e nella sostanza ad un'esortazione posteriore del
Signore Mt 18,8-9; (Mc 9,43-48). È questo un esempio notevole del metodo didattico adottato da
Cristo, quello cioè di ripetere gli stessi insegnamenti più o meno modificati ad assemblee diverse.
La mano destra essendo più abile ed utile della sinistra, la medesima distinzione, con
ragione o senza, è stata conferita all'occhio e al piede destro. Gesù Cristo applica qui il suo
insegnamento all'individuo: vale a dire, se ti è d'inciampo, se ti è occasione di caduta con le
tentazioni, che ti dà, o per la licenza che tu gli concedi, cavalo, e gettalo via da te. Naturalmente non
è l'occhio, come organo corporale, quello che Cristo intende che debba essere cavato, ma la
concupiscenza che si pasce e cresce per mezzo dell'occhio; e viene qui rappresentata dall'organo che
si vuole strappare e gettar via. E’ chiaro che un uomo potrebbe con l'intenzione di dominare la sua
passione cavarsi l'occhio destro, e nondimeno sentire più che mai il fuoco di quella concupiscenza
nelle sue membra, mentre, senza mutilazione alcuna, egli potrebbe, per la grazia di Dio, vincere la
passione nel cuore, adottando coraggiosamente e mettendo in opera il proponimento di Giobbe
31,1: «Io aveva stretto un patto con gli occhi miei; come dunque avrei fissati gli sguardi sopra una
vergine?» A questo combattimento di una volontà rigenerata, che veglia perché i membri del corpo
non diventino «servi del peccato» ci esorta il Salvatore in questo e nei seguenti versetti. In una
parola egli dice ai suoi discepoli che se essi intendono il vero senso della legge, non
indietreggeranno davanti ai più dolorosi sacrifici, alla più penosa abnegazione, al fine di vivere
nella purezza e nella santità,
“poiché ti conviene infatti perdere una delle tua membra, piuttosto che tutto il tuo corpo venga
gettato nella Geènna”.
La metafora è probabilmente tolta dall'esperienza chirurgica, e in ogni caso è adatta come
illustrazione del soggetto, poiché è noto ad ognuno, quando la salute del corpo è compromessa da
uno dei membri, non si esita a tagliarlo per evitare la morte. È meglio rifiutare la soddisfazione di
una mala concupiscenza in questa vita, dice il Signore, che abbandonarsi in balìa del peccato, il
quale conduce alla perdizione.
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vv. 33-36:
Gesù, nello spirito autentico della profezia biblica, spezza questo schema così caro anche a
quei cristiani che si accontentano di confessare il solito: ”Non ho ammazzato nessuno, non ho
rubato, non ho commesso adulterio, non ho ingannato nessuno”. Gesù riscopre il Decalogo nella sua
radicalità: i comandamenti sono solo segni essenziali di un atteggiamento interiore totale che deve
coinvolgere tutte le scelte quotidiane. Non si è giusti solo in alcuni atti estremi e in alcuni ore del
giorno, ma si è sempre e totalmente consacrati all’amore del prossimo rispettandolo ed aiutandolo,
si è sempre e totalmente consacrati all’amore matrimoniale in una piena donazione, si è sempre e
totalmente consacrati alla verità anche nelle piccole cose.
v.33-34:
Il Signore sceglie quindi il terzo comandamento per mostrare il contrasto fra le
interpretazioni farisaiche della legge ed il suo vero senso, che egli espone con autorità, essendo egli
stesso il divino legislatore. Le parole di questo versetto sono un compendio dell'insegnamento della
legge sul giuramento Levitico 19,12; (Nm 30,2), trasmesso dai Talmudisti ed inculcato al popolo
dai suoi dottori. I Farisei interpretavano il comandamento per comprendere esattamente il senso
attribuito al terzo comandamento, converrebbe aggiungere a questo versetto: «Non prendere il
nome del Signore Dio tuo in vano», nel senso letterale, e consideravano tutti i giuramenti presi in
quel sacro nome come obbligatori, e chi trascurava di adempierli, come spergiuro; ma, secondo la
tradizione dei padri, i giuramenti presi in ogni altro nome non erano proibiti; e chi mancava a quelli
che non erano fatti nel santo nome di Jehova, non si reputava spergiuro né peccatore Lightfoot ci
dice che il giurare invano era strettamente proibito anche dai Farisei, ma essi restringevano talmente
la cerchia dei vani giuramenti, che un uomo poteva giurare centomila volte, e nondimeno non
farsene reo!
Ma io vi dico: non giurate affatto (v. 34)
E’ necessario tenere presente la distinzione farisaica, fra i giuramenti sacri e quelli usati per
fare più animata ed enfatica la conversazione; solo noi vogliamo intendere il senso di questa
ingiunzione del nostro Signore. In Matteo 5,34-36, abbiamo qualche saggio dei vani giuramenti dei
quali gli Ebrei facevano uso, rasentando quanto possibile fosse, senza mai pronunziarlo, il nome di
Jehova. L'ingiunzione: « non giurate affatto», viene fatta dal nostro Signore, evidentemente contro
l'abitudine dei profani giuramenti nel conversare comune, e nelle più piccole occasioni. Ciò
nonostante, alcuni moralisti eccessivi, trovano in essa una proibizione positiva di giurare, anche in
un tribunale o nelle più solenni circostanze, per la soddisfazione altrui. Ciò proviene dal badare
solamente alla lettera della ingiunzione di Cristo, e trascurarne lo spirito; difetto dal quale
dobbiamo guardarci come da un fariseismo contrario allo spirito del Vangelo. Guardiamo piuttosto
all'esempio di Dio Padre in Ebrei 6,13-17; a quello di Gesù Cristo il di cui in verità io vi dico, fu
una solenne affermazione della verità, e che rispose senza scrupolo al terribile scongiuro di Caifa
(Mt 26,63-64); all'esempio degli apostoli, che scrivevano sotto la direzione dello Spirito Santo
(Rom 1,9; 2Corinzi 1,23; Gal 1,20; Fil 1,8; 1Tessalonicesi 2,5); e perfino a quello degli angeli (Ap
10,6). D'altronde, troviamo nel contesto l'esatta spiegazione di queste parole, poiché nostro Signore
stesso aggiunge: «Né per lo cielo…, né per la terra…, né per Gerusalemme» (v. 34).
v. 36:
Non giurare neppure per la tua testa.
Era questo un giuramento comunissimo fra gli Ebrei, e lo è tuttora fra gli Orientali. Equivale
all'esclamazione: Per la mia vita! Per l'anima mia! cioè: Ch'io possa morire se ciò non è vero! Il
nostro Signore proibisce di giurare così, e ne dà la ragione:
“perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo tuo capello”.
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La parola «potere» ha qui il senso di creare, o cambiare radicalmente il colore dei capelli, non di
modificarli con tinte o con preparati chimici. Il senso del versetto è evidentemente quello che deriva
dalla constatazione che non avendo alcun potere sulla nostra vita rappresentata dalla “testa” (capo),
che Dio solo può abbreviare o prolungare, siamo colpevoli giurando per quella, come giurando per
il Creatore nostro.
v. 37:
Il giuramento, sommariamente parlando, è una promessa accompagnata da una invocazione
della divinità chiamata a testimone di quanto si dice. I Giudei giuravano per il cielo (come
raccomandava Filone), per la Città Santa e per altre realtà connesse con Dio.
Gesù proibisce qualsiasi giuramento perché l’uomo non può disporre né di Dio (vv. 34-35), né di se
stesso (v. 36). Non si può impegnare Dio poiché non ci appartiene; e neanche noi stessi perché
apparteniamo a Lui. Questo discorso di Gesù non è puro umanesimo; tutto è trattato dal punto di
vista di Dio. La verità di un uomo è nella corrispondenza del “sì” e del “no” che pronuncia con le
radici del suo sentimento e del suo pensiero.
I Padri della Chiesa
Notate ancora, a questo punto, come Gesù convalidi la legge antica, facendo un paragone tra
questa e quella nuova: egli dimostra che sono della stessa discendenza, che hanno la stessa origine;
esse, più o meno, sono dello stesso genere. Egli, perciò, non rigetta l’antica legge, ma vuole
svilupparla. Se la vecchia legge fosse stata cattiva, Cristo non si sarebbe preoccupato di realizzarla e
neppure di perfezionarla, ma l’avrebbe del tutto rigettata. A questo punto potreste domandarmi
perché la legge antica, se buona in se stessa, non conduce più gli uomini al «regno». Vi rispondo
che, evidentemente, essa non salva più gli uomini che vivono dopo l’avvento di Gesù Cristo, perché
essi ora, avendo ricevuto una grazia ben più grande di prima, debbono di conseguenza sostenere
battaglie più dure. Ma tutti coloro che sono vissuti prima di Cristo e sono stati fedeli seguaci della
vecchia legge, si sono salvati. Gesù stesso dice nel Vangelo: Molti verranno dall’oriente e
dall’occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli (Mt 8,11).
E noi vediamo del resto che Lazzaro, mentre gode di grandi beni celesti, riposa nel seno di Abramo
(cf. Lc 16). Insomma, tutti coloro che brillarono di vivissima luce nell’antica legge, splendettero
proprio per aver tradotto in vita i suoi precetti. Se questa legge fosse stata malvagia, oppure avesse
avuto un autore diverso da Dio, Cristo, alla sua venuta, non l’avrebbe realizzata. Se egli avesse
accondisceso a compierla soltanto per attirare i giudei e non per mostrare l’identica origine e
l’affinità tra l’antica e la nuova legge, perché allora non avrebbe cercato anche di perfezionare le
leggi e i costumi dei gentili, per attrarli nello stesso modo?
Così è del tutto evidente che, se la legge antica ha cessato di salvare gli uomini, non è perché
essa sia stata malvagia, ma perché è venuto il tempo in cui i precetti debbono essere più elevati. Se
l’antica è meno perfetta della nuova, ciò non significa che essa sia malvagia: se così fosse, nella sua
condanna ricadrebbe ugualmente anche la seconda. E, infatti, se si paragona la conoscenza che noi
ora abbiamo della legge nuova con la conoscenza che possederemo nella vita futura, quella attuale
risulta parziale e imperfetta e certamente scomparirà quando sopravverrà quella del cielo. Quando
sarà venuto ciò che è perfetto - dice Paolo - sarà abolito ciò che è imperfetto (1Cor 13,10): questo
accadde alla legge antica, quando giunse la nuova. Per lo stesso motivo, non dovremo disprezzare la
legge nuova, per il fatto, cioè, che essa deve cessare quando saremo nel cielo e «ciò che è
imperfetto sarà abolito». Noi diciamo che essa è grande e sublime; infatti, le ricompense promesse
da questa legge sono ben più grandi di quelle promesse dall’antica e in essa la grazia dello Spirito
Santo è ben più abbondante. Dio, perciò, giustamente esige da noi frutti e doni maggiori. Egli, ora,
non ci promette più una terra in cui scorre latte e miele, né una lunga vecchiaia, o un gran numero di
figli o l’abbondanza del pane e del vino, o grandi greggi di pecore e di buoi, ma ci promette il cielo
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stesso e i beni celesti, la dignità di essere figli adottivi del Padre, fratelli del Figlio unigenito, suoi
eredi, partecipi della sua gloria e del regno, e un’infinità di altre ricompense. Paolo ci fa
chiaramente intendere che noi abbiamo fruito di un aiuto ben più grande, quando dice: Non c’è più
condanna per coloro che sono in Cristo Gesù e che vivono, non secondo la carne, ma secondo lo
spirito; poiché la legge dello spirito di vita mi ha liberato dalla legge del peccato e della morte
(Rm 8,1-2) (Crisostomo Giovanni, Commento al Vangelo di san Matteo)
Cinque periodi si erano compiuti [alla venuta di Cristo]. Il primo comincia con la creazione
del genere umano, cioè con Adamo il primo uomo, e giunge fino a Noè, che nel diluvio costruì la
sua arca. Il secondo dura poi fino ad Abramo, che fu chiamato padre di tutti quei popoli, i quali lo
avrebbero imitato nella fede. Per quanto riguarda la generazione carnale, però, egli fu padre del
futuro popolo dei giudei, il solo, prima che i popoli accogliessero la fede cristiana, che su tutto
l’orbe terrestre adorasse il Dio vero, e da cui Cristo, il redentore, sarebbe derivato secondo la carne.
Queste due epoche sono tracciate con tutta chiarezza già nei libri dell’Antico Testamento. Sui tre
ultimi periodi, invece, si pronuncia anche il Vangelo, là ove ricorda la discendenza corporea del
Signore Gesù Cristo (cf. Mt 1,17). Il terzo periodo si estende da Abramo fino al re Davide; il quarto
da Davide fino alla tremenda deportazione del popolo di Dio in Babilonia, il quinto, finalmente, da
quella deportazione fino alla venuta di nostro Signore Gesù Cristo, dal qual momento decorre ora
per noi il sesto periodo.
In questo periodo la grazia dello Spirito, che prima era nota solo a pochi patriarchi e profeti,
deve rivelarsi a tutti i popoli. Ora poi ognuno deve dedicarsi al servizio di Dio con assoluto
disinteresse, non per ricompense terrene o per la felicità di questo mondo, ma unicamente e solo per
desiderio della vita eterna, in cui Dio stesso sarà nostra ricompensa. E in questa sesta età lo spirito
umano deve venire riformato a immagine di Dio, proprio come a immagine di Dio l’uomo fu creato
il sesto giorno. Solo così si ha il perfetto adempimento della legge, quando la si osserva tutta, non
per brama di beni terreni, ma per amore del legislatore. E chi non vorrà rendere di cuore il suo
amore a Dio, giustissimo e misericordiosissimo, che ha tanto amato l’uomo, nonostante la sua
ingiustizia e la sua superbia, da mandare per lui il suo Figlio unigenito, per mezzo del quale ha tutto
creato; il quale non mutando la sua natura, ma assumendo la natura umana, è diventato uomo e non
solo per vivere tra gli uomini, ma anche per poter morire per il loro bene, e per loro opera?
Così dunque Cristo ci ha rivelato il Nuovo Testamento dell’eredità eterna, in cui l’uomo,
nuovamente creato dalla grazia di Dio, deve condurre una vita nuova, cioè una vita di legge. Ma
così egli ci ha mostrato anche che l’Antico Testamento - in cui il popolo carnale, a eccezione di
alcuni pochi patriarchi e profeti nominati e di alcuni santi nascosti, viveva nei desideri carnali
dell’uomo vecchio, bramava dal Signore solo ricompense terrene, che gli venivano elargite come
tipo dei futuri beni spirituali - era solo l’inizio. Per questo Cristo il Signore, quando divenne uomo,
disprezzò tutti i beni di questa terra, e per mostrare questo suo disprezzo sopportò tutti i dolori
terreni e comandò di sopportarli; noi perciò non dobbiamo cercare la felicità nei beni della terra e
non dobbiamo temere i dolori, come fossero infelicità. Con la sua nascita da una madre che concepì
senza contatto di uomo e rimase illibata in tutti i tempi - vergine al concepimento, vergine alla
nascita, vergine fino alla morte - e che era fidanzata a un semplice falegname, egli annientò ogni
orgoglio di nobiltà e di progenie illustre. Nascendo poi a Betlemme, che fra tutte le città della
Giudea era tanto piccola da venire segnata, ancora al giorno d’oggi, con un semplice puntino, volle
insegnarci che nessuno deve vanagloriarsi per la grandezza della sua patria. Povero fu egli, a cui
tutto appartiene in proprietà e per mezzo di cui tutto è stato creato; e lo fu perché nessuno di coloro
che vuole credere in lui pensi di innalzarsi superbo per le sue ricchezze terrene. Tutta la creazione
testimonia il suo regno eterno, tuttavia egli non permise agli uomini di farlo re, perché voleva
insegnare a quei poveri uomini, che la superbia aveva da lui separati, la strada dell’umiltà. Egli, che
tutti nutre, ebbe fame. Egli, che ha creato ogni bevanda e che è, spiritualmente, il pane degli
affamati e la sorgente degli assetati, ebbe sete. Egli, che si è fatto per noi strada verso il cielo, si
affaticò camminando sulla terra. Egli, che aveva donato la lingua ai muti e l’udito ai sordi, divenne
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come sordo e muto di fronte a coloro che lo bestemmiarono. Egli, che aveva sciolto i legami delle
malattie, si lasciò legare; egli, che aveva tolto i ceppi di tutti i mali dal corpo degli uomini, si lasciò
stringere dai ceppi. Egli che ha posto fine a tutte le nostre croci, fu affisso in croce; e morì, lui che
aveva risuscitato i morti. Ma è anche risorto per non più morire, perché si imparasse da lui a
disprezzare la morte, ma non in modo che dopo non si viva più. (Agostino, Come catechizzare i
principianti, 2,39-40)
Passi paralleli biblici
v. 17:
Lc 16,17; Gv 8,524 ; At 6,13; 18,13; 21,28; Rm 3,31; 10,4; Gal 3,17-24
Mt 3,15; Sal 40,6-8; Is 42,21; Rm 8,4; Gal 4,4,5; Col 2,16,17; Eb 10,3-12
v. 20:
Mt 23,2-5,23-28; Lc 11,39,40,44; 12,1; 16,14,15; 18,10-14; 20,46,47; Rom 9,30-32; 10,2,3; 2Co
5,17; Fil 3,9
Mt 3,10; 7,21; 18,5; Mc 10,15,25; Lc 18,17,24,25; Gv 3,3-5; Eb 12,14; Ap 21,27
v. 22:
Mt 5,28,34,44 ; 3,17; 17,5; De 18,18,19; At 3,20-23; 7,37; Eb 5,9; 12,25
Ge 4,5,6; 37,4,8; 1Sa 17,27,28; 18,8,9; 20,30-33; 22,12-23; 1Re 21.4; 2Cron 16,10; Est 3,5,6; Sal
37,8; Dan 2,12,13; 3,13,19; Ef 4,26,27
Mt 5,23,24; 18,21,35; De 15,11; Ne 5,8; Ab 1,10,12; Rm 12,10; 1Co 6,6; 1Te 4:6; 1G 2:9;
3:10,14,15; 4:20,21; 5:16
Sal 7,4; 25,3; 35,19; 69,4; 109,3; Lm 3,52; Gv 15,25
v. 29:
M19,12; Rm 6,6; 8,13; 1Co 9,27; Gal 5,24; Col 3,5; 1P 4,1-3
Mt 16,26; Pr 5,8-14; Mc 8,36; Lu 9,24,25 At 18,8,9; Mc 9.43-48
Mt 19,12; Rm 6,6; 8,13; 1Co 9,27; Gal 5,24; Col 3,5; 1P 4,1-3
Mt 16,26; Pr 5,8-14; Mc 8,36; Lc 9,24,25
v. 34:
Dt 23,21-23; Ec 9:2; Gc 5,12
Mt 23,16-22; Is 57,15; 66:1
v. 37:
2Co 1,17-20; Col 4,6; Gc 5,12
Mt 13,19; 15,19; Gv 8,44; Ef 4,25; Col 3,9; Gc 5,12
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