IV domenica di Pasqua: Il buon Pastore “ In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola». Io sono il buon pastore. Con questa affermazione Gesù attribuisce a sé quanto nella storia di Israele si dice con questo termine. L’immagine è ricorrente nella Scrittura. Il popolo d’Israele viene da progenitori nomadi, pastori che vivono del gregge e vivono per il gregge. Tale fu Abramo, Isacco, Giacobbe. Pastore nel deserto fu Mosè fino a quando non lo chiamò Jahvè per farlo pastore del suo popolo. Il termine dice forza e tenerezza: forza per guidare, difendere, trovare pascolo ed acqua per le pecore; tenerezza per il legame d’affetto che si instaura naturalmente tra il pastore e le sue pecore. Tutta la storia di Dio con il suo popolo può essere riassunta nell’allegoria del pastore. In occasione dell’Esodo “egli spinge il suo popolo come gregge” (Salmo 95,7); “simile a un pastore che fa pascolare il suo gregge, raccoglie nelle sue braccia gli agnellini, se li mette sul petto e spinge piano piano le pecore madri” (Is 40,11). Dio affida il gregge ai pastori preannunciando il vero pastore e lasciandolo intuire nella figura di Davide, il re secondo il cuore di Dio. Ci sono stati nel tempo molti pastori infedeli, denunciati dai profeti (Zaccaria) e proprio per questo Gesù rivendica a sé questo ruolo, realizzato in modo pieno e perfetto. Il brano di Giovanni inizia con una affermazione forte: “Io sono il buon pastore”. Quel “Io sono “ ricorda il nome che Dio affida a Mosè sull’Oreb: “Io sono colui che sono”. Nessuno è pastore come Gesù che riceve questo ruolo per missione divina e lo esercita col potere ricevuto da Dio. Egli è il Pastore al quale il Padre ha affidato la chiesa da guidare e salvare. La frase è una rivelazione di quanto Gesù è per noi e una assicurazione: egli c’è accanto a noi con l’affetto, l’attenzione, l’impegno che il pastore ha nei riguardi delle pecore. Nella frase c’è pure uno spunto polemico con coloro che dovrebbero essere pastori del popolo di Dio ma non si comportano come tali. Gesù è il vero pastore, colui che realizza tutte le buone qualità del pastore ideale. Egli conosce le sue pecore ed esse lo seguono perché ne hanno conosciuto la bontà. Con l’immagine del pastore Gesù esprime il legame profondo che egli ha con i suoi discepoli, con la chiesa come per ciascuno dei fedeli. Per bocca dei profeti, Dio si rivela al suo popolo come il Dio che libera e ne guida la storia con l’amore, la cura e la delicatezza del pastore. Questa è l’immagine di Dio presente nella coscienza del pio israelita che esprime la su fiducia nella preghiera dei salmi, in particolare col salmo 22, amato e pregato anche dal popolo cristiano. In Gesù l’immagine rivela il suo rapporto con i discepoli, un rapporto di amore, tutto proteso a dare loro la vita mediante il dono di se stesso: “Questa è la volontà di colui che mi ha mandato, che io non perda nessuno di quanti mi ha dato”. Un impegno e un prendersi cura che stà da sempre nel cuore del Signore e troverà il suo compimento nel dono di se stesso sulla croce. E’ un tema che la Chiesa propone ai suoi fedeli nel tempo di pasqua indicando con questo testo come il Signore risorto è ancora presente e operante nella comunità dei fedeli. Proviamo a cogliere e approfondire le affermazioni di Gesù. Egli rivela, Il rapporto di conoscenza e di amore reciproco che intercorre tra il Signore e noi; il suo impegno di donarci la vita e di garantircela; il suo rapporto col Padre. Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono”. Il nostro rapporto col Signore è una rapporto di reciproca conoscenza. Non una conoscenza nozionistica ma di comunione di amore. E’ la conoscenza propria di chi ama ed è disposto a condividere tutto con la persona amata. Il discepolo è sempre aperto e desideroso di ascoltare, perché questa è la via della conoscenza, per entrare sempre più nel profondo della vita di comunione del Signore. Nella Parola, Il Signore non solo si rivela ma si dona. La conoscenza del Signore passa attraverso l’ascolto della Parola e la Parola accolta riempie di gioia e di Spirito Santo i discepoli. E’ l’esperienza dei primi discepoli all’indomani della risurrezione e della comunità di Gerusalemme che continua poi con la predicazione degli apostoli di cui leggiamo in questo tempo di pasqua. Mediante l’ascolto dimostriamo di appartenere a Cristo, alimentiamo il nostro rapporto di conoscenza e di amore e ci facciamo discepoli del Signore. Ancora una volta ci viene segnalato il ruolo insostituibile della Parola nella vita del cristiano. Anche per questo l’incontro quotidiano con la Scrittura è irrinunciabile. Senza la Parola la vita del cristiano langua e, piano piano, porta alla apatia, alla tiepidezza, all’indifferenza. “Io do loro la vita eterna e non andranno mai perdute”. Il dono della vita eterna, frutto della pasqua del Signore viene comunicato a quanti fanno parte del gregge di Cristo. Un dono fatto già nel battesimo ma rinnovato attraverso tutti i momenti di grazia: l’Eucaristia, la Penitenza, la preghiera, le opere di carità. Essi gli appartengono e egli stende su loro la sua tutela e la sua garanzia di salvezza. E’ venuto per questo il Signore: ha dato tutto se stesso per la nostra salvezza e egli continua a garantircela impegnandosi per ognuno di noi. La nostra salvezza gli stà a cuore come al pastore stà a cuore la sorte delle sue pecore per le quali s’impegna perchè nulla manchi al loro sostentamento. Nelle incertezze del nostro cammino esistenziale, esperti anche delle nostre debolezze e fragilità, ci è di grande conforto ascoltare e lasciare entrare nel profondo della nostra consapevolezza la promessa del Signore: “nessuno le strapperà dalla mia mano “. E’ il Padre che gliele ha consegnate e volontà del Padre è che nessuno si perda di coloro che egli ha affidato al Figlio. Impegno solenne, garanzia di salvezza per chi si affida con fede e speranza al Signore. S. Paolo ribadisce lo stesso concetto, traendone i motivi di serenità e di fiducia che ne provengono: “Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli che non ha risparmiato il suo proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con lui…Chi ci separerà dunque dall’amore di Cristo?” . Tutto il discorso espresso con l’immagine del pastore ha come intento quello di assicurare la salvezza dei fedeli. Un messaggio che alimenta la speranza e infonde la pace. Accogliamolo con riconoscenza e amore.