Benedetto XVI, Francesco e l'arte di vedere il volto di Cristo Per vedere Cristo, è necessario preparare gli occhi attraverso la Fede Roma, 29 Aprile 2013 (Zenit.org) Rodolfo Papa Si potrebbe delineare - come molte volte è stato già fatto nel passato e nel presente -, una storia che attraverso le opere d’arte miri alla descrizione del volto di Cristo. Si potrebbe anche scrivere una storia che narri la varie modalità con cui il volto di Cristo è stato rappresentato. Si potrebbero scrivere - come del resto si fa - minuziose analisi storicocritiche di ogni dettaglio e di ogni particolare del volto di Cristo nell’arte. Si potrebbe fare tutto questo, e tuttavia di fatto non comprendere nulla del volto di Cristo, e forse nemmeno nulla del “sistema d’arte” che ha prodotto quei meravigliosi testi “visibili” di spiritualità che sono i dipinti della storia dell’arte sacra. Anzi, certe analisi minuziose ma decontestualizzate nascondono il vero significato di queste opere. Infatti non basta possedere la vista per vedere le cose, bisogna che questa sia educata alla visione, spirituale e fisica, del mondo, delle cose e dell’arte. Papa Francesco, nella predica di venerdì scorso durante la Santa Messa nella cappella di Santa Marta [1], ci ha ricordato che «Gli occhi della nostra anima hanno bisogno, hanno necessità di essere preparati per guardare quel volto meraviglioso di Gesù». Infatti è necessario che si percorra un cammino di formazione, di preparazione per educare i nostri occhi a vedere il volto di Gesù Cristo. L’arte della pittura ha questo compito meraviglioso di offrire alla vista lo sguardo dell’Amato, per mostrarlo e per farcelo riconoscere come colui che ci ama; le immagini dipinte ci possono educare pazientemente, delicatamente, a riconoscere il volto di Dio. Ma come può accadere questo? Solo attraverso la preghiera: solo attraverso la preghiera un artista può tentare di offrire un ritratto del volto di Cristo e solo attraverso la preghiera si può contemplare con giusta devozione l’immagine dipinta. Abbiamo argomentato più volte [2] come l’arte pittorica svolga primariamente un compito di educazione catechetica, cui si aggiunge un effetto caritativo nell’offerta di modelli parenetici e misure comportamentali. A questi due aspetti fondamentali dell’azione dell’immagine sull’anima del fedele, andrebbe aggiunto il primo ed il più importante dei moti che essa produce, ovvero l’educazione dell’occhio stesso alla visione, l’educazione al vedere. Infatti, l’immagine educa alla sua visione. A motivo dell’importanza fondamentale di questo aspetto, è imprescindibile comprendere che non tutte le immagini sono buone; non ogni immagine educa al bene. C’è una grande differenza, a volte abissale, tra una immagine ed un’altra. La Chiesa, nella sua infinita saggezza, anche attraverso molti travagli, ha ribadito che l’immagine dipinta è utile, è un valido mezzo capace di affiancare le parole, gli scritti e le preghiere, per formare ed educare la vista oculare e quella dell’anima al bene, al vero ed al bello. Ed ha anche offerto gli strumenti per discernere quale arte possa servire il sacro culto [3] e quali teorie estetiche vadano respinte [4]. Nella medesima omelia di venerdì, papa Francesco si è riferito criticamente alle filosofie che identificano la religione con la “alienazione” (facendo un probabile e implicito riferimento al marxismo, ma non solo ad esso). Ha ribadito che Gesù, però, trasmette un messaggio opposto, invitandoci a fidarci di lui: «Abbiate fede anche in me. Questo che io ti dico è la verità: io non ti truffo, non ti inganno». Francesco in modo suggestivo ha spiegato che prepararsi al cielo significa «incominciare a salutarlo da lontano», quasi un cominciare a vederlo, intraprendendo un “cammino della bellezza”, che ci conduce al “ritorno alla patria”: proprio questa è la “verità” e non è “alienazione”, è permettere che «Gesù prepari il nostro cuore, i nostri occhi per quella bellezza tanto grande». Papa Francesco ha concluso la sua omelia con la preghiera che il Signore ci conceda una “speranza forte” e ci prepari «la dimora definitiva, nel nostro cuore, nei nostri occhi e nel nostro udito». Ascoltando queste parole di Papa Francesco, mi sono tornati in mente alcuni scritti di Joseph Ratzinger, risalenti al 1981, volti a fondare teologicamente una cristologia spirituale. Egli infatti spiegava che per comprendere veramente ed interamente Gesù Cristo, senza lasciarsi fuorviare dai vari modelli interpretativi -che sono al contempo riduttivi-, è necessario partecipare alla Sua preghiera, perché essa è il centro della persona di Gesù. In tal senso Ratzinger scriveva «l’atto fondamentale della religione è la preghiera, che nella religione cristiana raggiunge la sua del tutto specifica caratteristica: essa è una consegna del proprio sé nel corpo di Cristo, dunque un atto d’amore, che, in quanto amore nel corpo e col corpo di Cristo, necessariamente conosce e compie l’amore di Dio come amore del prossimo, come amore alle membra di questo corpo». Da qui ne discende una peculiare caratteristica della cristologia spirituale che egli propone come modalità di conoscere il volto di Gesù Cristo, senza separazioni o divisioni o contrapposizioni, superando di fatto una ermeneutica storico-critica, capace di analisi importanti ma incapace di rendere una visione unitaria e omnicomprensiva di tutti gli aspetti e i livelli di indagine. All’interno di questo peculiare percorso teologico, Ratzinger evidenzia l’importanza dell’occhio, scrivendo «il Nuovo Testamento fa continuamente intuire questo fatto e prepara così le componenti fondamentali di una dottrina della conoscenza teologica. Faccio un solo esempio. Quando Anania fu mandato da Paolo, al fine di accoglierlo nella Chiesa, egli, riluttante e diffidente di fronte a questo uomo, si sentì dire: va’ da lui, “ecco sta pregando” (At 9,11). Nella preghiera Paolo s’avvicina al momento in cui liberato dalla cecità non solo esteriormente, ma anche intimamente inizia ad essere un vedente. Chi prega, inizia a vedere; pregare e vedere sono in relazione, poiché – come afferma Riccardo di S. Vittore – L’amore è occhio. Gli autentici progressi della cristologia non possono perciò mai provenire da una pura teologia di scuola, e nemmeno da una moderna teologia di scuola, quale si presenta in un’esegesi critica, in una storia del dogma, in un’antropologia orientata alle scienze umane, e così via. Tutto questo è importante, tanto importante come lo è la scuola. Ma non basta: deve aggiungervisi la teologia dei santi, la quale è teologia dell’esperienza. Tutti i reali progressi nella conoscenza teologica hanno la loro origine nell’occhio dell’amore e nella sua facoltà visiva» [5]. Da qui ne deduciamo un parallelo: come attraverso la conoscenza di una sola scuola teologica non si può riuscire a conoscere veramente Gesù e a riconoscerlo come il Cristo, come l’Amato, similmente per saper vedere bene le immagini che Lo rappresentano e Lo mostrano alla vista, è necessario superare ogni visione riduttiva e parziale di una sola “scuola”, e nutrire sempre la conoscenza con la Fede nutrita dalla preghiera. L’arte apre alla vista, se a sua volta si apre alla Fede attraverso la preghiera, altrimenti rimane lettera morta, e tutti i percorsi –pur importanti- per studiarla rimarrebbero riduttivi. Se la storia dell’arte sacra non è informata della Fede, difficilmente sarà capace di restituire una esegesi corretta del senso, e dall’altra parte se l’arte non è realmente informata da una profonda Fede non sarà in grado di dirci nulla del volto di Cristo, perché si lascerà di volta in volta fuorviare da storiografie riduzioniste o comunque parziali. Gli artisti, come gli esegeti biblici, si possono far distrarre di volta in volta da posizioni disgreganti, come ancora Ratzinger ci ricorda: «in tal modo si disgrega anche la figura dello stesso Gesù presentato in modelli sempre nuovi: il Gesù delle fonti scientifiche, il Gesù di questa o di quella comunità, il Gesù filantropico, il Rabbi Gesù, il Gesù apocalittico, il Gesù zelota, il Gesù rivoluzionario, il Gesù politico, e così via» [6] . A queste riduzioni e riduzionismi, a queste lacerazioni e ritratti di moda, l’arte sacra quella autentica - si è sempre opposta, cercando, per quanto è possibile, l’interezza del volto di Gesù Cristo, volgendosi alla sua bellezza che è visione contemplante, che apre l’occhio e ridona la vista al cieco. Rappresentando le sacre storie, l’arte della pittura, attraverso narrazioni, simboli e metafore, educa ad uno sguardo più profondo e penetrante della realtà. L’arte sacra, attraverso il suo complesso “sistema d’arte”, educa ad un linguaggio in grado di comprendere l’interezza, la pienezza del discorso cristiano, senza limitazioni e senza riduzioni o decurtazioni. La figurazione non è una porzione superata dalla storia, un lacerto di un modo antico ed ingenuo ormai superato ed insignificante, ma è il linguaggio compiuto della Chiesa che, attraverso un lungo percorso di elaborazione, è teso alla rappresentazione dell’intero e non del parziale. L’immagine sacra cristiana si volge a tutta l’umanità di Gesù e al suo essere divino, al suo essere Figlio, al suo essere Chiesa come corpo mistico, tanto da tenere insieme contemporaneamente il poco che possiamo e l’intero che preghiamo. Per certi versi si potrebbe dire che la dinamica è la medesima di quella proposta nella splendida prima omelia che Papa Francesco ha pronunziato di fronte ai Cardinali il 14 marzo 2013 nella Cappella Sistina: «Noi possiamo camminare quanto vogliamo, noi possiamo edificare tante cose, ma se non confessiamo Gesù Cristo, la cosa non va. Diventeremo una ONG assistenziale, ma non la Chiesa, Sposa del Signore. Quando non si cammina, ci si ferma. Quando non si edifica sulle pietre cosa succede? Succede quello che succede ai bambini sulla spiaggia quando fanno dei palazzi di sabbia, tutto viene giù, è senza consistenza. Quando non si confessa Gesù Cristo, mi sovviene la frase di Léon Bloy: “Chi non prega il Signore, prega il diavolo”. Quando non si confessa Gesù Cristo, si confessa la mondanità del diavolo, la mondanità del demonio». Rodolfo Papa, Esperto della XIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, docente di Storia delle teorie estetiche, Pontificia Università Urbaniana, Artista, Storico dell’arte, Accademico Ordinario Pontificio.