Le dimensioni fondamentali dell’associazionismo familiare
L’associazionismo familiare è un fenomeno sul quale già da qualche anno si è
sviluppato un consolidato interesse da parte degli studiosi che ne riconoscono l’identità
specifica.
Nel rapido processo di differenziazione del terzo settore, l’associazionismo familiare
appare come una manifestazione dotata di tratti peculiari, che occupa uno spazio distinto
nell’ambito dell’associazionismo sociale, ed è caratterizzato dalla duplice natura associativa e
familiare.
Per comprendere appieno la specificità di tale fenomeno è opportuno richiamare
brevemente il significato sociologico dei due caratteri che lo identificano: associativo e
familiare.
1.1
Il carattere “associativo”
L’associazione è – in senso ampio – una relazione di avvicinamento, di cooperazione, di
connessione, con obiettivi prettamente sociali, tipica delle società a welfare avanzato,
altamente differenziate, che, nell’intreccio dinamico tra pubblico e privato, producono
costruzioni sociali di tipo relazionale soggette ad una logica propria. L’associazione, nella
forma che ha assunto attualmente, è “un gruppo organizzato su basi volontarie per il
raggiungimento di obiettivi comuni non raggiungibili direttamente dai singoli membri”
(Donati, 1991: 142). È volta alla produzione di benessere, o meglio, di un bene comune che ha
un carattere relazionale (può essere prodotto e fruito solo assieme e non ha carattere
utilitaristico).
Il concetto di bene relazionale racchiude l’essenza dell’associazionismo sociale,
perché indica l’intenzionalità a tutelare una nuova generazione di diritti, che possono essere
promossi solo da comunità di persone, da gruppi primari e gruppi associativi.
La capacità dell’associazionismo di produrre beni relazionali si fonda sul suo carattere
distintivo: il codice simbolico della solidarietà, proprio delle relazioni di privato-sociale. La
solidarietà, nell’ambito di una riorganizzazione dell’intero sistema societario in cui venga
riconosciuta la piena soggettività sociale delle organizzazioni di terzo settore, può diventare
mezzo simbolico generalizzato per lo scambio fra tutti i sottosistemi sociali.
Come vedremo, spesso la solidarietà non viene esercitata in modo pieno, ma con
gradi diversi, lungo un continuum tra chiusura e apertura verso l’esterno: l’apertura è
sinonimo di capacità di uscire dall’orientamento privatistico di tutela di diritti
particolaristici. Constateremo più avanti, parlando dei caratteri innovativi
dell’associazionismo familiare, che requisiti essenziali per favorire una maggiore apertura
verso l’esterno sono la capacità di lavorare per progetti, dando vita a reti a cui partecipino a diverso
titolo altri soggetti sociali (sia del terzo settore che istituzionali) e mostrandosi sensibili alla cultura della
valutazione dell’efficacia della propria azione.
1
1.2
Il carattere “familiare”
Comprendere ed identificare la “familiarità” dell’azione associativa è uno degli aspetti
cruciali nella riflessione sull’associazionismo familiare e la strada che si imbocca per
distinguere le associazioni autenticamente familiari è discriminante anche per il futuro
stesso dell’associarsi tra famiglie, perché ha a che fare con le dimensioni della soggettività
della famiglia e della sua cittadinanza
Il modello, a cui si fa qui riferimento, è stato elaborato in occasione della prima
rilevazione nazionale sull’associazionismo familiare effettuata nel 1993 (da un’équipe di
ricerca coordinata dal Prof. Donati e da me). Fra i tanti elementi che possono essere presi
in considerazione per connotare l’associazionismo familiare (e li illustrerò più avanti, nel
delineare le tipologie di associazioni familiari), due dimensioni possono essere considerate
vere e proprie distinzioni guida della “familiarità”:

una dimensione considera i membri dell’associazione in base al rapporto col bisogno
a cui l’associazione risponde, ovvero, portatori del bisogno oppure soggetti di altro
tipo, oppure ancora un mix di soci del primo tipo e di altri soggetti;
 l’altra dimensione analizza le caratteristiche dell’azione associativa, che può essere tesa
ad aiutare specificamente le famiglie interessate, oppure proporsi finalità più
generali, oppure un mix di obiettivi familiari specifici e di obiettivi sociali generali.
Le due dimensioni, poste l’una in verticale e l’altra in orizzontale, come assi di un
piano cartesiano, consentono di costruire una matrice da cui emerge il “familiare” come
carattere che può presentare diverse gradazioni e sfumature: il familiare si connota, infatti, in
forma generale per diventare via via più specifico, fino all’associazionismo che possiamo
considerare “familiare” in senso stretto. Qui, nel nucleo “forte”, risulta molto marcata la
caratteristica di condivisione del bisogno familiare e di influenza sulle mediazioni familiari.
Le associazioni familiari in senso stretto sono organismi che si costituiscono attorno
ad uno specifico bisogno familiare, sono promossi da famiglie e attuano un intervento che
non solo è rivolto alla famiglia, ma la coinvolge in modo diretto e la rende protagonista
dell’azione: l’associazione promuove, così, una solidarietà di tipo familiare, legata cioè al
quotidiano, continua, personalizzata, flessibile, mutevole, che assume forme differenziate
sulla base dei livelli diversi di risposta ai bisogni delle famiglie.
In questo modo l’associazionismo familiare agisce sulle relazioni familiari, rigenerandole
e rafforzandole (fornendo loro le risorse), perché trovino autonomamente la risposta
risolutiva al proprio bisogno. Ciò facendo, viene potenziata la specifica competenza della
famiglia a generare continuamente un complesso intreccio di interdipendenze tra diritti
individuali e diritti intersoggettivi, da cui si genera un benessere che non è individuale, ma
familiare.
2. Tra particolarismo e solidarietà
La capacità di coniugare il carattere associativo e quello familiare, propria delle
famiglie che si associano, produce come effetto emergente una forma autentica di
associazionismo familiare, che rappresenta un luogo privilegiato per l’espressione della
2
soggettività e della cittadinanza della famiglia; consente, dunque, alla famiglia di diventare
un soggetto cruciale del contesto societario, fino a fare del suo codice specifico – la
solidarietà – un modello per la riorganizzazione dell’intera società.
La “cittadinanza societaria” della famiglia è, tuttavia, possibile solo nell’ambito di una
società in cui accanto ai codici mercantile e politico abbia dignità peso il codice, tipicamente
familiare, della solidarietà. A rallentare, se non impedire, il processo di trasformazione in
senso societario della cittadinanza della famiglia, concorrono le tendenze tuttora in atto – e
da cui non sono esenti neppure le associazioni familiari –, a rafforzare la privatizzazione
della famiglia. In tal caso, si deve parlare di una cittadinanza solo “apparentemente”
familiare: ciò accade qualora prevalga la cultura dell’individualismo e della frammentazione
che identifica i diritti-doveri della famiglia con quelli di uno/alcuni dei suoi componenti (la
coppia, il bambino, la donna...).
La possibilità di parlare di una cittadinanza in senso proprio della famiglia, dipende,
in ultima analisi, dal riconoscimento della soggettività della famiglia in quanto tale: si tratta,
si tratta, cioè, di elevarsi al di sopra della somma tra i diritti e i doveri dei suoi singoli
membri, cogliendone l’ “effetto emergente”, la “relazionalità”, in una dimensione
solidaristica, che gode in quanto tale di diritti-doveri propri.
L’associarsi tra famiglie può costituire un modo molto efficace di contrastare il rischio
dell’individualismo, del narcisismo, della solitudine, a condizione che la connotazione
“familiare” si svincoli con decisione da un codice di tipo familistico, privatistico, che le
ultime indagini qualitative da noi svolte indicano come ancora sensibilmente diffuso: spesso
le associazioni, che nascono come risposta ai bisogni delle famiglie che le costituiscono,
non appaiono in grado di elaborare una strategia più ampia, una modalità d’azione che
giunga davvero alla produzione di un bene comune, prodotto insieme e fruito insieme o,
quantomeno – ed è questa un’ipotesi più ottimistica – non ne sembrano consapevoli. Non
mostrano di aver ancora elaborato una propria cultura, in cui siano valorizzate tutte le
potenzialità dell’esperienza associativa.
Tuttavia, mentre sembra resistere una certa tendenza al privatismo dell’azione
associativa, al contempo, le associazioni familiari risultano capaci di promuovere un ruolo
della famiglia nella società decisamente innovativo, paiono sensibili al tema della centralità
della famiglia nell’arena sociale e alla necessità di ripensare, partendo da qui, lo stato sociale.
Da questo punto di vista, l’esperienza dell’associazionismo familiare si rivela per certi versi
ambivalente: da una parte rivendica un ruolo attivo, una posizione di primo piano nel
rapporto con gli altri attori delle politiche sociali, ma dall’altra sembra che questa vocazione
ad eccedere i propri confini non trovi sempre conferma nel codice d’azione che i diversi
organismi riescono a produrre.
Il vero elemento discriminante tra le differenti esperienze associative è la modalità di
intendere il benessere familiare: è necessario che l’associazionismo familiare si svincoli dai
paradossi moderni del benessere familiare, dei quali è ancora pregno il nostro welfare state,
percorrendo la strada di un benessere alternativo, che valorizzi la famiglia come istituzione
sociale dove si realizza la piena reciprocità tra i sessi e le generazioni, generatrice di
benessere per la persona e la società.
3
3. L’associazionismo familiare come sorgente di benessere per la famiglia
La riflessione sulla natura del benessere a cui aspira la nostra società è essenziale per
comprendere quale ruolo giochino oggi le associazioni familiari che promuovano un
benessere autenticamente familiare. La linea di demarcazione corre
 tra la tesi di chi sostiene che il benessere familiare sia il prodotto del benessere
degli individui che ne fanno parte, della loro autorealizzazione, della libertà dai
vincoli reciproci, dalla tutela della privacy familiare
 e la tesi opposta di chi ritiene che il benessere familiare sia un bene in sé, che
nasce dalla condivisione, che si genera quando c’è una valorizzazione reciproca dei
membri della famiglia, quando la famiglia si apre ad altre famiglie, anche se ciò
“lede” il benessere individuale: in ciò sta la contro-paradossalità della famiglia, che
si pone come alternativa alle logiche correnti.
Percorrere la prima strada è quanto hanno fatto le politiche di welfare fino ad oggi, che
hanno generato un diffuso malessere delle famiglie, sempre più patologiche, e hanno messo
in crisi lo stesso welfare state. Da questo punto di vista, tale crisi ha una chiara “base
familiare”.
La possibilità di uscire da questo circolo vizioso dipende dalla capacità della famiglia
di ritornare ad essere “protagonista” e artefice del proprio benessere: è necessario aiutare la
famiglia ad essere più famiglia e – come abbiamo visto – ciò è compito primario delle
associazioni familiari, che agendo sulle relazioni familiari, le rigenerano e le rafforzano
(fornendo loro le risorse), perché producano autonomamente il proprio benessere,
trovando la risposta risolutiva al proprio bisogno.
Agire sulle relazioni familiari, perché producano benessere, significa promuoverne e
potenziarne i quattro caratteri distintivi.
 Attuazione del carattere “generativo” della famiglia
La famiglia che si associa ad altre famiglie interpreta la propria capacità di generare
benessere come incapacità di rimanere segregata entro i confini “privati” del nucleo
familiare e necessità di socializzare, “pubblicizzare”, le esigenze familiari, scegliendo
l’esperienza associativa. In questo modo produce benessere familiare.
 Promozione della “soggettività” sociale della famiglia
Il fine sociale, la sfida alla quale la famiglia deve rispondere, è quello di agire come
“soggettività sociale” con i relativi diritti/doveri di cittadinanza, di influire
sull’evoluzione e sul progresso della società, restituendo le “basi familiari” alle politiche
sociali; ciò è possibile se l’immagine che rimanda è quella di una relazione che produca
benessere, mediando tra livello individuale, livello familiare e livello sociale: così si
presenta la famiglia che aderisce ad un progetto associativo.
 Attribuzione di “cittadinanza societaria” alla famiglia
Aspirare ad una cittadinanza di tipo societario per la famiglia, significa attribuire dignità
piena al codice della solidarietà su cui si fonda il benessere familiare. In questa
4
prospettiva, l’associazionismo familiare costituisce un’efficace mediazione perché il
benessere familiare diventi un fine politico e sociale.
 Riconoscimento della famiglia come “sorgente” e “custode” dei valori.
La famiglia che è sorgente e custode dei valori solidaristici, attraverso l’associazionismo
familiare prende coscienza della rilevanza sociale del suo codice simbolico e ne fa un
modello per il benessere dell’intera società.
Le famiglie che scelgono l’esperienza associativa, in pratica, riescono a far leva sulla
capacità di generare benessere, coniugata con il codice della solidarietà di cui sono
portatrici, per rispondere alla sfida della soggettività sociale, con la quale possono
promuovere una nuova forma di cittadinanza societaria.
È un itinerario a più tappe, che può essere percorso fino in fondo dalle associazioni
che si lasciano alle spalle i codici familistici e privatistici, sviluppando in modo compiuto la
propria natura familiare.



la prima tappa è quella in cui le famiglie si considerano soggetti sociali a pieno titolo,
specificamente caratterizzati dalla capacità di generare un benessere che è familiare;
nella seconda tappa, accettano la sfida di agire da soggetti sociali, anziché come sistemi
chiusi, mettendo in campo il codice simbolico centrato sulla “solidarietà”, che le
caratterizza intimamente;
nella terza tappa, sublimando i propri bisogni particolaristici verso finalità di tipo più
universalistico, mediano tra diritti individuali e diritti intersoggettivi, fungendo da
modello e da sorgente valoriale per il terzo settore, da archetipo di una nuova forma di
cittadinanza societaria, alternativa a quella fondata sui codici politici e mercantili.
La strada per implementare la nuova cittadinanza societaria della famiglia richiede
l’assunzione di un punto di vista capace di coniugare le istanze delle istituzioni pubbliche
con quelle delle famiglie: in questo senso, appare necessario che le singole associazioni
familiari, che sono portatrici di interessi ancora legati ad obiettivi specifici, diano vita a forme
federative (quale il “Forum delle associazioni familiari”), che esprimono un punto di vista
capace di elevarsi al di sopra delle identità particolari delle singole famiglie e delle singole
associazioni, per rappresentare le famiglie nell’ambito dell’arena sociale, accanto allo Stato e
al mercato.
Emergono così due livelli di benessere familiare legato all’associarsi tra famiglie:
 ad un primo livello, le relazioni tra le famiglie e le associazioni a cui esse danno vita; qui il benessere
deriva, innanzitutto, dai servizi che le associazioni offrono alle famiglie, ma anche dagli
effetti prodotti dall’impegno nell’esperienza associativa sulla vita familiare stessa;
 ad un secondo livello, le relazioni tra associazioni familiari e altri soggetti sociali, ovvero altre
associazioni (familiari e non), federazioni, attori politico-istituzionali, attori e istituzioni del mercato,
mass media; il benessere generato in queste relazioni si riverbera in modo indiretto sulla
vita familiare ed il benessere familiare diventa un modello per il benessere della società
nel suo complesso.
5
Dalle ricerche svolte su associazionismo familiare e benessere, sembra, tuttavia che il
benessere familiare prodotto dall’esperienza associativa si concentri essenzialmente sulla
soddisfazione dei propri bisogni e sulla possibilità di contare su un maggiore peso sociale. L’azione
associativa apparirebbe ancora, dunque, sensibilmente legata ad un codice di tipo
particolaristico, che produce un benessere che con fatica riesce ad oltrepassare i confini
dell’associazione stessa e ciò denoterebbe una consapevolezza ancora troppo scarsa del
ruolo sociale svolto.
4. Due caratteri innovativi: reticolarità e progettualità
Il rischio che corrono tuttora le associazioni familiari è – come abbiamo visto –
quello di restare legate ad una logica particolaristica e percorrere la strada dell’associarsi tra
associazioni appare come una strategia vincente per uscire da tale vicolo cieco. Si tratta, nel
complesso, di sviluppare il “familiare” come progetto comune.
L’uso del termine “progetto”, per identificare lo spazio entro cui implementare
un’azione comune non è casuale, perché i più recenti interventi legislativi spingono le
organizzazioni del terzo settore a creare sinergie tra soggetti sociali, reti tra associazioni per
l’elaborazione di progetti comuni, finalizzati alla realizzazione di servizi per la persona e la
famiglia.
In questo senso, la possibilità per le associazioni sociali di esercitare un’autentica
soggettività sociale sembra dipendere soprattutto – come abbiamo osservato già in esordio
– dalla capacità di rispondere a due requisiti oggi cruciali: la capacità di entrare in rete con altri
soggetti sociali e la capacità di lavorare per progetti, coniugata con la volontà di entrare in un processo di
valutazione dell’efficacia della propria azione.
La costruzione di reti di associazioni si può declinare secondo diverse gradazioni ed
obiettivi, ciascuno dei quali può dar vita a reti differenti che possono intersecarsi o
sovrapporsi. Il Forum delle Associazioni familiari, ad esempio, ha dato vita ad una rete
centrata sulla rappresentanza e tutela dei diritti della famiglia in quanto soggettività sociale,
sulla promozione della cultura familiare, sulla diffusione del codice solidaristico. Ma ci
possono essere altre reti parallele o intersecantesi:
 una rete centrata sulla organizzazione di servizi di supporto all’azione delle
associazioni aderenti alla associazione di associazioni;
 una rete centrata sulla rappresentanza e tutela dei diritti delle famiglie rispetto ad
uno specifico bisogno;
 una rete centrata sulla messa in comune di conoscenze/competenze/strumenti;
 una rete centrata sulla elaborazione di progetti comuni per la realizzazione di
servizi innovativi per la famiglia.
Nel momento in cui l’associazionismo familiare, abbandonando ogni logica
privatistica, si apre ad una socialità più vasta, esso può diventare un modello per rifondare il
welfare state a partire dalle reti sociali e dalla valorizzazione della soggettività familiare.
6
4.1
Alcune questioni aperte
Le diverse ricerche empiriche realizzate mostrano in modo chiaro come il modello di
associazionismo familiare che abbiamo delineato rappresenti una sorta di ideal-tipo a cui
corrisponde un universo variegato: l’eterogeneità dell’azione associativa delle e per le
famiglie fa sì che il carattere “familiare” si declini non solo con “intensità” differente (da un
associazionismo familiare in senso generale ad uno in senso stretto), ma anche con modalità
sensibilmente diverse.
Il tema dell’identità delle associazioni familiari assume un’importanza sempre
maggiore, soprattutto nel momento in cui approda ai tavoli legislativi: il riconoscimento
politico dell’associazionismo familiare comporta la necessità di circoscrivere i caratteri che
rendono le organizzazioni titolari di tale riconoscimento, in particolare quando la legge
passa attraverso l’istituzione di appositi Registri2. Una ricerca che stiamo tuttora
conducendo sulle associazioni familiari in Lombardia, portate allo “scoperto” da una
recente legge che istituisce il Registro delle associazioni di solidarietà familiare (l.r. 23/99),
mette in evidenza i delicati problemi di identità di un universo complesso, che spinto a
progettare interventi in favore della famiglia, indossa a posteriori una veste “familiare”
fregiandosi di un’identità che lo rappresenta solo in parte: ci sono, infatti, parecchie
organizzazioni di volontariato, associazioni sociali ed, addirittura, cooperative che, per
poter fruire di finanziamenti regionali, si sono iscritte al Registro delle associazioni di
solidarietà familiare. Il fatto non è da leggere solo nei termini del solito espediente per
aggirare la legge: certamente per molti ha assunto questo significato, ma non va
sottovalutato il fatto che tante organizzazioni di terzo settore sono state stimolate a
progettare per la famiglia e a finalizzare la propria azione a produrre un benessere di tipo
familiare. Indubbiamente, tuttavia, l’espansione eccezionale che sembra aver avuto il
mondo dell’associazionismo familiare lombardo, se ci si ferma al dato statistico delle
organizzazioni iscritte al nuovo Registro, è un fenomeno da ridimensionare e, soprattutto,
induce a chiedere quale sia la strada più corretta per far emergere dall’ombra le associazioni
in grado di progettare veramente per il benessere della famiglia.
5. I settori di intervento
L’indagine nazionale svolta nel 1993 ha ricostruito, attraverso un capillare follow-up
telefonico, un universo di circa 1700 associazioni familiari, più della metà delle quali si trova
nel Nord Italia. Il “Forum delle associazioni familiari” ne raggruppa 351, distribuite in
È il caso della recente legge della Regione Lombardia (23/99) che, nell’articolo 5, intitolato
“Promozione dell’associazionismo familiare”, adotta la perifrasi “associazioni atte a favorire il mutuo
aiuto nel lavoro domestico e di cura familiare, anche attraverso l’organizzazione di «banche del tempo e/o
di attività di mutuo aiuto tra le famiglie»” e, scendendo più nello specifico, definisce le associazioni di
mutuo aiuto “organizzazioni che favoriscono l’erogazione e lo scambio, tra i soci, di prestazioni di servizi
e di sussidi a sostegno della famiglia” e le banche del tempo “forme di organizzazione mediante le quali
persone disponibili ad offrire gratuitamente parte del proprio tempo per l’attività di cura, custodia e
assistenza, vengono poste in relazione con soggetti e con famiglie in condizione di bisogno”. Si tratta,
evidentemente, di una definizione molto ampia, che, se da una parte risponde all’obiettivo di non
inquadrare in una codificazione troppo rigida una realtà tutt’ora poco formalizzata, dall’altra parte corre il
rischio di non riuscire a “vedere” le associazioni autenticamente familiari.
2
7
modo non omogeneo in 19 Comitati regionali. L’attenzione delle Regioni al fenomeno
dell’associazionismo familiare è sempre più vivace, come dimostra la stessa costituzione dei
Comitati regionali da parte del “Forum delle associazioni familiari”. L’unica Regione
italiana ad aver istituito – con la legge n. 23/99 – un apposito Registro è la Lombardia, che
ha iscritto ben 447 organizzazioni.
Tabella 1: Le associazioni familiari in Italia e nel “Forum delle associazioni
familiari”
Regioni
N° associazioni
N° associazioni
familiari in Italia al
iscritte al “Forum
1993 (follow up
delle associazioni
telefonico)
familiari”
Piemonte
133
Valle d’Aosta
4
Lombardia
Trentino Alto Adige
Veneto
Friuli Venezia Giulia
Liguria
15
455
19
51
31
175
24
98
19
50
20
Emilia Romagna
175
19
Toscana
108
14
Umbria
18
21
Marche
3
14
129
42
27
11
5
3
Campania
48
18
Puglia
73
22
Basilicata
15
15
Calabria
17
20
112
24
16
0
1712
351
Lazio
Abruzzo
Molise
Sicilia
Sardegna
Totale
I risultati delle elaborazioni multivariate sui dati dell’ultima rilevazione nazionale
hanno messo in evidenza come l’elemento maggiormente discriminante, tra le 221
associazioni del campione, sia il tipo di bisogno attorno al quale si costituiscono: è in
ragione dello specifico bisogno familiare a cui rispondono che coprono i più diversi settori di
intervento. In particolare è emersa la presenza di tre macro-tipi:
 nel primo tipo è centrale lo stato del bisogno che genera una dipendenza sia
dall’associazione sia dalle istituzioni pubbliche, alle quali si richiede un intervento
legislativo sempre auspicabile; ciò implica accettare che il pubblico regolamenti
8
l’ambito privato sociale della famiglia, che ha molte esigenze, pur non essendo in
grado di dare a sua volta molto;
 nel secondo tipo, è centrale lo stigma, la sensazione di essere emarginati, che
suscita un desiderio di isolamento e l’immagine di una famiglia assolutamente
autonoma, che da una parte ha come effetto il forte coinvolgimento dei soci per
non dover dipendere da nessuno e dall’altra il rifiuto “sdegnato” di ogni
intervento pubblico;
 il terzo tipo è la promozione dei diritti di categorie più deboli e a rischio”, senza
che di fatto si tratti di situazioni patologiche, ma spesso di situazioni di normalità e
di accompagnamento a situazioni che potrebbero divenire problematiche.
Attraverso la disamina di recenti fonti bibliografiche sul tema e l’esplorazione dei più
aggiornati siti internet4, che ha focalizzato l’attenzione sul “bisogno” che genera
l’associazione e sulla risposta che ad esso è stata data, abbiamo ricostruito una
tipologizzazione che riteniamo possa essere rappresentativa dell’universo delle associazioni
familiari. Nella tabella seguente sono raccolti i risultati di tale indagine, distinti per ambiti di
intervento e genere di risposta attesa. Va segnalato che, rispetto alle distinzioni individuate
nella rilevazione nazionale, la tabella rileva come significativa – accanto ai tre tipi
“dipendenza-stigma-promozione” – anche una quarto tipo di riposta, quella ad una
“situazione di normalità”
Fra le fonti più significative, si ricordano in particolare Iref, VI rapporto sull’associazionismo sociale,
La società civile in Italia, Edizioni Lavoro, Roma, 1998; Iref, VII rapporto sull’associazionismo sociale,
L’impronta civica. Le forme di partecipazione sociale degli italiani: associazionismo, volontariato,
donazioni, Edizioni Lavoro, Roma, 2000; www.nonprofitonline.it; www.forumasnifam.org (sito del
“Forum delle associazioni familiari”).
4
9
Tabella 2: Tipologie più diffuse di associazioni familiari in Italia
la tipologia delle risposte
Associazioni familiari …
situazione di
normalità
situazione di
situazione di
bisogno/
emarginazione/
dipendenza
stigma
promozione
diritti
Per famiglie (in modo generico)
Ricreative
Educative
Per la formazione
Per individui – famiglie indigenti
Per individui tossicodipendenti/alcolisti
e-o loro famiglie
Per individui disabili e-o loro famiglie
Per individui affetti da handicap e-o loro
famiglie
Per individui anziani e-o loro famiglie
Per individui affetti da malattia e-o loro
famiglie
Per individui uniti dallo stesso disagio o
problematica e-o loro famiglie
Per prevenzione e cura di disturbi psicofisici
Banca del tempo
Per l’accoglienza
Per assistenza e reinserimento sociale
Per famiglie monogenitori
Per famiglie con minori
Per famiglie di immigrati
Per minori / ragazzi giovani
Per genitori
Per coppie senza figli
Per le adozioni nazionali-internazionali
Possiamo ricondurre questa molteplicità di iniziative a tre grandi settori intervento: la
tutela dei diritti delle famiglie, l’auto-organizzazione dei servizi di vita quotidiana sia in situazioni di
normalità sia in situazioni “patologiche”, la finalità formativa/educativa.
 La tutela dei diritti delle famiglie. Le associazioni che appartengono a questo settore di
intervento sostengono la cittadinanza societaria delle famiglie, esprimendo ed
organizzando le esigenze collettive e diffuse delle famiglie, attraverso la promozione di
una solidarietà reciproca. Le associazioni tutelano diritti che spesso lo Stato non
riconosce o riconosce solo in parte a individui e gruppi, inoltre promuovono iniziative di
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voice. L’azione associativa vuole sensibilizzare lo Stato verso le tematiche familiari e
rendere maggiormente consapevoli le famiglie del loro ruolo sociale.
 L’auto-organizzazione dei servizi di vita quotidiana. Copre una vasta gamma di iniziative ed
attività che vanno dalla creazione di nidi-famiglia fino all’istituzione di scuole per i figli,
dal sostegno e cure per i membri malati, agli aiuti ai portatori di handicap, alla
costituzione di banche del tempo, ecc. In questa area sono compresi tutti i compiti di
cura svolti dalle famiglie. Tali servizi si connotano per il loro carattere familiare:
coinvolgono nella risoluzione dei problemi la famiglia nel suo complesso, attraverso
un’azione di responsabilizzazione ed imprimono agli interventi il carattere di flessibilità
che distinguono le attività di care della famiglia.
 La
finalità
educativa/formativa.
Risponde
alla
crescente
richiesta
di
informazione/formazione in tutte le età della vita, attraverso la proposta di attività a
diverso titolo formative: dai corsi per le giovani coppie, ai corsi per genitori, alle attività
ricreative e/o educative per i minori e per gli anziani.
6. Conclusioni: verso un potenziamento delle relazioni familiari e comunitarie
Le famiglie che si associano sono capaci di riconoscere i propri bisogni e di
mobilitare le risorse necessarie per risolverli. Nel fare questo, creano nuove opportunità di
sviluppo personale e comunitario. Si crea una nuova forma di comunità societaria, in cui
vengono rafforzati i legami, le risorse le potenzialità presenti, che permettono un aumento
del benessere della comunità nel suo complesso.
L’azione dell’associazionismo familiare si situa nella prospettiva di una reale
sussidiarietà all’interno della società, nel senso dell’assunzione di un ruolo attivo da parte
della comunità nella gestione della vita sociale.
La possibilità di avere un’influenza diretta e specifica sulle decisione politiche,
tuttavia, accresce notevolmente nel momento in cui nascono collaborazioni e sinergie con
altre associazioni, implementando reti che si coagulano attorno ad obiettivi di livello
diverso e con diversi livelli di comunanza.
L’aumento costante degli aderenti al “Forum delle associazioni familiari” dimostra
che le associazioni familiari italiane stanno compiendo questo passo decisivo che è segno di
maturità e consapevolezza del proprio ruolo sociale, cercando link e forme di
coordinamento, sviluppando strategie di lavoro sinergico.
Anche sul versante delle politiche sociali si manifesta, nelle soluzioni più illuminate,
l’orientamento a promuovere sinergie tra i soggetti del terzo settore. Alcuni recenti
interventi legislativi (Legge 23/99 della Regione Lombardia; l. 285) stimolano le
organizzazioni di terzo settore a lavorare per progetti e a realizzarli mettendosi in rete.
L’orientamento ad associarsi tra associazioni si traduce in un aumento considerevole
del loro peso politico a livello nazionale.
Le sfida principale per il futuro prossimo dell’associazionismo familiare è
sicuramente quella di sperimentare tutti i vantaggi dell’associarsi tra associazioni. La
costituzione di una rete tra associazioni consente di:
 uscire dal privatismo associativo, portando a compimento la vocazione della famiglia ad
una generatività di tipo sociale;
11





esercitare un’influenza positiva sull’identità della famiglia a livello sociale e politico,
“producendo” famiglia;
sviluppare il “familiare” come area del comune, ovvero trovare una modalità comune
delle associazioni di dirsi “familiari”, riconoscendosi in un pensiero comune sulla
famiglia;
aumentare la rappresentanza sociale e politica della famiglia;
implementare una sussidiarietà di tipo orizzontale, che in questo caso si attuerebbe nel
“potenziamento” reciproco (reciprocità) tra organismi del medesimo livello, mettendo in
comune risorse e competenze
accrescere il benessere della società, sollecitando la realizzazione della welfare society,
mentre – sul versante interno – le singole associazioni incidono sul benessere concreto
delle famiglie.
Se l’implementazione di reti di associazioni è uno dei caratteri innovativi verso i quali
l’associazionismo deve orientarsi, abbiamo visto precedentemente che oggi è cruciale
rispondere ad un altro requisito: la capacità di lavorare per progetti e di assumere la
prospettiva della valutazione dell’efficacia dei propri interventi, perché è questa la strada
imboccata dalle legislazioni più innovative in ambito politico sociale, che sempre più
frequentemente tendono a bypassare il problema del riconoscimento e dell’identità dei
soggetti del terzo settore, riconducendo la relazione con tali soggetti a quella con i progetti
che sanno elaborare e realizzare.
Bibliografia
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