SCHEDA sulla DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA

Diocesi di Macerata-Tolentino-Recanati-Cingoli-Treia
Ufficio Problemi Sociali e Lavoro
SCHEDA DI APPROFONDIMENTO
La DOTTRINA SOCIALE CRISTIANA: identità, oggetto, metodo (*)
1. DOTTRINA SOCIALE CRISTIANA
(DOTTRINA, dal lat. doctrina «insegnamento», dal verbo docere
«insegnare»). Rappresenta il pensiero e l’insegnamento della Chiesa in campo sociale (fonti: Sacra scrittura,
Tradizione, Vangelo, Magistero ecclesiale). È il complesso di principi e norme con cui la Chiesa, «esperta
in umanità» 1, a partire dal XIX secolo, interviene nelle questioni sociali, offrendo «non soluzioni
tecniche» (poiché non è suo compito), bensì «principi di riflessione, criteri di giudizio, direttrici
d’azione» 2. La DOTTRINA SOCIALE CRISTIANA indica una dimensione dinamica dell’uomo verso la sua piena
realizzazione in Dio, che comincia, però, ad attuarsi nella storia. Tale dottrina nasce dalla testimonianza dei
martiri che hanno dato la vita per la «promozione dell’uomo e il suo autentico sviluppo. Non dobbiamo
dimenticare, infatti, che – com’ è stato detto: Il sangue dei martiri è inchiostro per le encicliche 3» 4.
Una prima formulazione della DOTTRINA SOCIALE CRISTIANA, in senso propositivo, venne da papa LEONE
XIII, con l’enciclica RERUM NOVARUM (1891) sulla moderna questione operaia.
Dal 1891 al 1991, i cento anni della DOTTRINA SOCIALE CRISTIANA possono essere suddivisi in tre periodi:
PERIODI ANNI TESTI PRINCIPALI
primo
periodo
1891- RERUM NOVARUM (1891) di LEONE XIII
1958 QUADRAGESIMO ANNO (1931) di PIO XI
RADIOMESSAGGIO DI PENTECOSTE (1941) e RADIOMESSAGGIO SULLA DEMOCRAZIA
(1944) di PIO XII
secondo
periodo
1958- MATER ET MAGISTRA (1961) e PACEN IN TERRIS (1963) di GIOVANNI XXIII
1978 GAUDIUM ET SPES (1965) del Concilio Vaticano II
POPULORUM PROGRESSIO (1967) e OCTOGESIMA ADVENIENS (1971) di PAOLO VI
terzo
periodo
1978- LABOREM EXERCENS (1981), SOLLICITUDO REI SOCIALIS (1987) e CENTESIMUS ANNUS
1991 (1991) di GIOVANNI PAOLO II
Nel primo periodo, il metodo della DOTTRINA SOCIALE CRISTIANA si potrebbe definire deduttivo: dai principi
generali e immutabili, ricavati dalla fede, conseguiva un modello di società che i cristiani e gli uomini di
buona volontà erano tenuti a realizzare. In questo primo periodo emergeva un’immagine di Chiesa distaccata
dal mondo, al quale essa trasmetteva la verità dall’alto. Dal secondo periodo in poi si ha una svolta:
GIOVANNI XXIII avvia un metodo induttivo (continuato da PAOLO VI e da GIOVANNI PAOLO II), dal
particolare al generale: cioè il punto di partenza è l’esperienza, il momento storico. La Chiesa, in «intima
unione» con l'intera famiglia umana, «scruta i segni dei tempi e li interpreta alla luce del Vangelo» 5;
condivide «Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d'oggi, dei poveri soprattutto e di
(*) Sintesi a cura di FRANCO BIANCOFIORE - Macerata, 2007 . Cf. Alle radici della giustizia, Città Nuova
Editrice, Roma 2000, pp. 17-22, 26-27, 147-149, in www.pastoralelavoromarche.com
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GIOVANNI PAOLO II, Sollicitudo rei socialis, n. 41b.
GIOVANNI PAOLO II, Sollicitudo rei socialis, n. 41e.
3 Le encicliche sono lettere circolari indirizzate dal papa ai vescovi, al popolo di Dio e agli uomini di buona volontà su argomenti di
carattere morale o dottrinale, di solito designate con le prime due o tre parole latine del testo.
4 F. BIANCOFIORE, F. SALVUCCI, Alle radici della giustizia, Città Nuova Editrice, Roma 2000, premessa, p. 13. In merito al vero
senso di una lettera enciclica, viene da pensare alla seguente affermazione di SAN PAOLO: «La nostra lettera siete voi, lettera scritta
nei nostri cuori, conosciuta e letta da tutti gli uomini. È noto infatti che voi siete una lettera di Cristo composta da noi, scritta non con
inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivente, non su tavole di pietra, ma sulle tavole di carne dei vostri cuori» (2 Cor 3, 2-3).
5 CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Cost. past. Gaudium et spes, n. 4.
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tutti coloro che soffrono, [poiché] sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di
Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore» 6.
1.1 La DOTTRINA SOCIALE CRISTIANA è un’utopia?
La DOTTRINA SOCIALE CRISTIANA è stata considerata talvolta un’utopia, specie con la pubblicazione
dell’enciclica SOLLICIUDO REI SOCIALIS (1987), nella quale GIOVANNI PAOLO II ipotizzava il superamento dei
blocchi Est-Ovest e dei due sistemi economici (capitalismo e collettivismo) come condizione necessaria per
la realizzazione di un vero sviluppo mondiale. Ipotesi, questa, profetica, in quel contesto storico considerata
del tutto utopica.
- Significato del termine utopia: ideale perfetto ma irrealizzabile (lo stato ideale descritto da Tommaso Moro
è il non luogo, quello che si vorrebbe ma non c’è) 7.
- La DOTTRINA SOCIALE CRISTIANA non è affatto un’utopia, perché produce giudizi morali che orientano il
comportamento umano, nella consapevolezza che l’ideale non sarà mai compiuto su questa terra ma nei
«Cieli nuovi e terra nuova» (Is 65, 17).
1.2 La DOTTRINA SOCIALE CRISTIANA è un’ideologia?
La DOTTRINA SOCIALE CRISTIANA è stata anche intesa come una particolare forma di ideologia religiosa
applicata al sociale. Viene anche accusata di integrismo (= posizione ideologica di chi sostiene
l’applicazione integrale dei principi e dei programmi di una dottrina, senza mediazioni o flessibilità nei
confronti di altre posizioni o ideologie). Si rende necessario chiarire il termine ideologia.
Significati del termine ideologia:
— A) Secondo un’accezione neutra, usata nel linguaggio comune, l’ideologia è il complesso d’idee intorno ad alcuni
principi fondamentali, caratterizzato da valori pratici distinti da quelli di altre ideologie (per esempio: «Ognuno ha la
propria ideologia, le proprie convinzioni»).
Differenza tra ideologia e DOTTRINA SOCIALE CRISTIANA:
- l’ideologia consiste nell’adesione a certi valori escludendone altri (umanesimo parziale);
- la DOTTRINA SOCIALE CRISTIANA non ne esclude nessuno, perché è basata su un’antropologia che considera
l’uomo nella pienezza della sua realtà (umanesimo integrale).
— B) Secondo un’accezione negativa, l’ideologia viene considerata come un modo errato di pensare.
- Per K. MARX l’ideologia è una forma di pensiero apparente, una descrizione della realtà in base all’apparenza. Sono,
ad esempio, ideologiche le forme di pensiero che descrivono la società capitalistica senza evidenziarne le contraddizioni
principali: lo scontro tra padroni e proletari, come pure la proprietà privata dei mezzi di produzione. Secondo M ARX,
inoltre, l’ideologia ha la tendenza a presentarsi come pensiero universale, mentre al contrario contiene la difesa di un
interesse particolare.
- Per L. PAREYSON l’ideologia è la verità che si possiede, quindi né si cerca né si ammette che altri la possano
arricchire con il loro contributo. Al pensiero autentico, che per PAREYSON è quello filosofico o rivelativo, è dato il
compito di rivelare o cercare la verità: atto essenzialmente dialogico.
- LA DOTTRINA SOCIALE CRISTIANA: non si identifica con alcun sistema economico o partito e neppure con le
culture o le scienze umane, ma da ognuna di esse può trarne determinati strumenti. Questa nonidentificabilità le permette di esprimere la propria capacità critica nei confronti di sistemi, partiti, organismi,
culture, ecc.
- La DOTTRINA SOCIALE CRISTIANA non è un’ideologia. Per comprendere questa affermazione occorre
considerare che da parte del cristianesimo esistono tre diversi atteggiamenti di pensiero di fronte alla verità:
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CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Cost. past. Gaudium et spes, n. 1.
Esistono altre accezioni del termine utopia. Per J. J. ROUSSEAU l’utopia permette di pensare e di orientarsi verso una situazione
sociale non data, avrebbe cioè una funzione di progresso che aiuta a costruire un progetto per il futuro. La dimensione utopica viene
così a contrapporsi con quella realistica, intesa come l’accettazione del dato di fatto. In I. KANT l’utopia ha una funzione
«regolativa», tipica della ragione in senso kantiano, capace cioè di indicare la direzione verso la quale volge il desiderio umano. In E.
BLOCH l’utopia adempie ad una funzione «critica», mettendo in grado di ipotizzare mondi diversi da quello presente, e di poter
dunque valutare quest’ultimo nei suoi limiti.
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1. La verità è posseduta. Poiché la DOTTRINA SOCIALE CRISTIANA si basa sulla Rivelazione, si può dire
che essa possiede la verità nella fede, nel senso che la custodisce visto che tale verità appartiene ad un
Altro. Se la verità fosse solo posseduta si correrebbe il rischio di cadere nell’ideologia.
2. La verità è cercata. La Rivelazione è una parola eterna, data da Dio in Gesù Cristo. Il cristiano la
possiede interamente nella fede, ma non nella storia. Il cristiano cerca la verità attraverso le esperienze
storiche. Perciò egli non impone la verità, ma nel rapporto con l’altro cerca con lui la radice profonda
nella storia che anch’egli custodisce in sé («germi del verbo» 8).
3. La verità è costruita. È la prassi che si accompagna alla ricerca: il cristiano fa la verità costruendo il
bene nella storia, attraverso tutte le forme di attività umane fino all’organizzazione del bene comune
mediante la politica. In questo esercizio di verità generata il cristiano esprime l’Incarnazione (con la
quale la storia riceve pienezza) e la Risurrezione (consapevolezza della provvisorietà del proprio fare).
 La DOTTRINA SOCIALE CRISTIANA raccoglie in unità i tre atteggiamenti del cristiano e in tal modo non
corre il rischio di trasformarsi in ideologia.
1.3 La DOTTRINA SOCIALE CRISTIANA è una terza via?
La DOTTRINA SOCIALE CRISTIANA non propone un terzo modo di concepire l’economia e la società, alternativo
al modello capitalista e a quello comunista. La DOTTRINA SOCIALE CRISTIANA non è una terza via, ma esprime
giudizi morali sulle situazioni, sui sistemi economico-sociali, giuridici, culturali anche offrendo indicazioni e
incoraggiando a superare gli errori. Ciò è stato esplicitamente affermato nella SOLLICITUDO REI SOCIALIS: «La
dottrina sociale della Chiesa non è una “terza via” tra capitalismo liberista e collettivismo marxista, e
neppure una possibile alternativa per altre soluzioni meno radicalmente contrapposte: essa costituisce una
categoria a sé. Non è neppure un’ideologia, ma l’accurata formulazione dei risultati di un’attenta riflessione
sulle complesse realtà dell’esistenza dell’uomo, nella società e nel contesto internazionale, alla luce della
fede e della tradizione ecclesiale. Suo scopo principale è di interpretare tali realtà, esaminandone la
conformità o difformità con le linee dell’insegnamento del Vangelo sull’uomo e sulla sua vocazione terrena e
insieme trascendente; per orientare, quindi, il comportamento cristiano. Essa appartiene, perciò, non al
campo dell’ideologia, ma della teologia e specialmente della teologia morale» 9. Tale interpretazione è stata
ribadita da GIOVANNI PAOLO II, anche dopo la caduta del comunismo, nel discorso a Tallin (Estonia), nel
1993.
1.4 La DOTTRINA SOCIALE CRISTIANA è una categoria a sé
Nella SOLLICITUDO REI SOCIALIS (n. 41) si afferma che la DOTTRINA SOCIALE CRISTIANA è una categoria a sé,
che «trae verità, valutazione e discernimento dalla Rivelazione» 10. Essa si forma con il ricorso: alla teologia
(antropologia cristiana ispirata al Vangelo, basata sull’idea che l’uomo è immagine di Dio); alla filosofia (si
appella anche alla retta ragione per trovare le norme oggettive della moralità umana); alle scienze sociali
(con le quali l’etica cristiana si pone in dialogo).
 La DOTTRINA SOCIALE CRISTIANA è dottrina etica che raccoglie diversi contributi interdisciplinari
nell’unità del giudizio morale. Al contempo non è se stessa se priva di tali contributi. Nella DOTTRINA
SOCIALE CRISTIANA, per principio, non vi può essere contrasto tra teologia (elemento di fede) e filosofia
(elemento di ragione), bensì unità. La teologia (considerata non tanto madre di tutte le scienze, secondo
l’accezione medievale, bensì ancella), espressa nella DOTTRINA SOCIALE CRISTIANA, non guarda la società
dall’alto, ma si mette a repentaglio (cioè, in certo senso, rischia), accetta la sfida della storia nella
convinzione che l’uomo è uno sia quando crede sia quando pensa (visione integrale dell’uomo).
La fonte della DOTTRINA SOCIALE CRISTIANA è la Rivelazione (con diverse mediazioni: teologia, filosofia,
sociologia, storia, politica, ecc.) 11, si collega perciò direttamente al mistero del Cristo: icona che raccoglie e
interpreta la vicenda umana della storia nei due volti del Crocifisso e Abbandonato (sconfitte e dolore
«Giustamente i Padri della Chiesa vedevano nelle diverse religioni quasi altrettanti riflessi di un'unica verità come “germi del
Verbo”, i quali testimoniano che, quantunque per diverse strade, è rivolta tuttavia in una unica direzione la più profonda aspirazione
dello spirito umano, quale si esprime nella ricerca di Dio ed insieme nella ricerca, mediante la tensione verso Dio, della piena
dimensione dell'umanità, ossia del pieno senso della vita umana» GIOVANNI PAOLO II, Redemptor hominis, n. 11b.
9 GIOVANNI PAOLO II, Sollicitudo rei socialis, n. 41g.
10 Cfr. CONGREGAZIONE PER L’EDUCAZIONE CATTOLICA, Orientamenti per lo studio e l’insegnamento della dottrina sociale della
Chiesa nella formazione sacerdotale, 30 dicembre 1988, pubblicato in «L’Osservatore Romano» del 28 giugno 1989.
11 «Nella prospettiva cristiana la Rivelazione rappresenta la relazione che Dio stabilisce con il credente, come evento che non ha
altra condizione al di là della libertà assolutamente gratuita di Dio di comunicarsi. Dio per relazionarsi istituisce il destinatario
(l’uomo) come altro da sé, perché questi possa corrispondergli, e la testimonianza ecclesiale, come veicolo dell’annuncio della
salvezza». M. VERGOTTINI, Enciclopedia filosofica e delle scienze umane, De Agostani, Novara 1996, p. 847.
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dell’umanità) e del Risorto (accoglienza e trasformazione del dolore in gioia). Tale annuncio del Cristo
suscita un atteggiamento esistenziale, esperienziale e pratico, vivibile da parte di tutti. La DOTTRINA SOCIALE
CRISTIANA, pertanto, si distingue per il suo universalismo: il Magistero della Chiesa è universale.
 Domande:
Perché il Magistero sociale della Chiesa si rivolge a tutti gli uomini?
Quali le ragioni umane per prendere sul serio un’enciclica?
 1^ risposta. Una risposta viene dai fatti, dalla realtà dell’esistenza e dall’esperienza comune:
esiste un martirologio cristiano, che testimonia un impegno per l’uomo, fino alle estreme
conseguenze, che si unisce a quello di tutti gli uomini («Le encicliche sono scritte con il sangue dei
martiri») 12. Perché il Vangelo entri in una cultura (inculturazione) deve trovare la strada
dell’uomo, penetrando le diverse culture anche a costo della vita da parte di testimoni (martiri). Per
questo la DOTTRINA SOCIALE CRISTIANA diviene voce anche per chi non ha voce («opzione
preferenziale per i poveri» 13); facendosi promozione umana essa elabora, perciò, una teoria,
evitando sterili paternalismi e vuoti slogan. Il soggetto della DOTTRINA SOCIALE CRISTIANA è
l’umanità stessa.
 2^ risposta. Con la
CENTESIMUS ANNUS (1991) l’universalismo della DOTTRINA SOCIALE
CRISTIANA compie un passo in avanti. GIOVANNI PAOLO II afferma che milioni di uomini 14, nel
loro impegno, si sono ispirati e si ispirano alla DOTTRINA SOCIALE CRISTIANA dando vita, nel corso
della storia, a «un grande movimento per la difesa della persona umana e la tutela della sua dignità»
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, ma ciò in collaborazione con i credenti di altre religioni e con gli uomini di buona volontà.
Questo si realizza con un’essenziale apertura della Chiesa all’umanità (la Chiesa si fa uno con la
storia), in virtù della stessa universalità della sua missione, attraverso uno svuotamento inverante
di sé, caratteristico di chi ama avendo interesse per la persona amata. Cioè, la Chiesa, facendo
propria l’esperienza di Gesù crocifisso e abbandonato, si svuota, rinuncia a «possedere» la Verità,
come Gesù abbandonato rinuncia a «possedere» la Sua divinità e si trasforma in Risorto. Pertanto,
la Chiesa stessa più si svuota più è vera e, facendo ciò, consente ad ogni uomo di riconoscersi in
Gesù crocifisso e abbandonato e di fare proprie le Sue parole 16.
L’universalità della DOTTRINA SOCIALE CRISTIANA non comporta la rinuncia all’identità che la fede conferisce,
in quanto universalità significa portare la propria fede ad un livello così vero che anche gli altri ne
riconoscano il valore (= credibilità della DOTTRINA SOCIALE CRISTIANA).
— La credibilità non si realizza se la fede viene usata per separarsi dagli uomini, come scudo protettivo
che, dietro una facciata di condanna e di intransigenza, nasconde una debolezza: quella che si esprime in
un’ideologia o in una terza via che la SOLLICITUDO REI SOCIALIS esclude.
— La credibilità si realizza dando la vita e la fede si attua nel ripetere e rinnovare ciò che ha fatto Cristo.
«La nostra fede ci dà fiducia nell’uomo – creato ad immagine di Dio e redento da Cristo – che noi desideriamo difendere ed
amare per se stesso, coscienti che egli non è uomo che per la sua cultura, cioè per la sua libertà di crescere integralmente e con tutte
le sue capacità specifiche». GIOVANNI PAOLO II, Discorso al Pontificio Consiglio per la Cultura, 18 gennaio 1983.
13 «Oggi più che mai la Chiesa è cosciente che il suo messaggio sociale troverà credibilità nella testimonianza delle opere, prima che
nella sua coerenza e logica interna. Anche da questa consapevolezza deriva la sua opzione preferenziale per i poveri, la quale non è
mai esclusiva né discriminante verso altri gruppi. Si tratta, infatti, di opzione che non vale soltanto per la povertà materiale, essendo
noto che, specialmente nella società moderna, si trovano molte forme di povertà non solo economica, ma anche culturale e religiosa.
L'amore della Chiesa per i poveri, che è determinante ed appartiene alla sua costante tradizione, la spinge a rivolgersi al mondo nel
quale, nonostante il progresso tecnico-economico, la povertà minaccia di assumere forme gigantesche. Nei Paesi occidentali c'è la
povertà multiforme dei gruppi emarginati, degli anziani e malati, delle vittime del consumismo e, più ancora, quella dei tanti profughi
ed emigrati; nei Paesi in via di sviluppo si profilano all'orizzonte crisi drammatiche, se non si prenderanno in tempo misure
internazionalmente coordinate». GIOVANNI PAOLO II, Centesimus annus, n. 57b.
14 «Questo ampliamento dei soggetti che riflettono sul rapporto tra fede e realtà sociale, avvenuto capillarmente e a tutti i livelli della
comunità ecclesiale viene ad incidere fortemente sul metodo, sui contenuti e sulla sensibilità del magistero sociale, episcopale e
pontificio, perché ne amplia e innova l’humus in cui si genera e ne costituisce anche maggiore possibilità di ascolto e di attenzione
efficace». S. MOSSO, Nuovi contenuti e nuovi problemi nell’insegnamento sociale della Chiesa, relazione al Convegno
dell’Università Cattolica su «L’insegnamento sociale della Chiesa: principi e nuovi contenuti», Milano, 14-16 aprile 1988.
15 GIOVANNI PAOLO II, Centesimus annus, n. 3.
16 Cf. A.M. BAGGIO, Corso di dottrina sociale cristiana, II^ lezione, scuola di formazione socio-politica Agorà, Macerata 1996/97.
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