IL VANGELO DI MARCO
INTRODUZIONE
La testimonianza più antica sul Vangelo di Marco
proviene da Papia vescovo di Ierapoli, (intorno al
140 d.C.), e si trova nella sua opera “Esegesi
delle parole del Signore”. Quest’opera che ci è
stata tramandata da Eusebio di Cesarea nella
“Storia ecclesiastica”, dice: Marco diventato
interprete di Pietro, scrisse accuratamente tutto ciò
che ricordava delle cose dette dal Signore, ma
senz’ordine. Marco non aveva mai ascoltato Gesù,
né era stato suo discepolo, ma, più tardi, era stato
discepolo di Pietro che adattava il suo
insegnamento alle necessità (degli uditori), ma non
aveva intenzione di fare un’esposizione ordinata
dei detti di Gesù. Così Marco non commise errori
nel riferire le cose come le ricordava, perché la sua
preoccupazione fu di non omettere nulla di ciò che
aveva udito, e di non alterare nulla”1.
Marco anche se non era stato né ascoltatore, né discepolo del Signore, Papia
insiste sul fatto che era strettamente legato a Pietro (discepolo di Pietro). La sua
affermazione “non commise errori” e la difesa che ne fa “nel riferire le cose come le
ricordava, perché la sua preoccupazione fu di non omettere nulla di ciò che aveva
udito, e di non alterare nulla”, rivela chiaramente che anche Papia si sente
obbligato a confrontarsi con le critiche e le ostilità che lo scritto di Marco
incontrava tra i cristiani suoi contemporanei. Molte altre testimonianze posteriori
affermano che la composizione di questo scritto e stato fatto a Roma dopo la
morte di Pietro;2 Ma esistono varie testimonianze che Pietro era ancora vivo
quando Marco scrive.
Che l'autore di questo vangelo sia Marco è fuor di dubbio. Fin dal primo momento
la tradizione cristiana tese ad attribuire i vangeli agli apostoli o ai discepoli diretti
di Gesù; se, nonostante questa tendenza, tutta la tradizione considera
unanimemente Marco come l'autore del vangelo, è perché c'erano buone ragioni
per farlo. Inoltre, come abbiamo visto, Marco è un vangelo che incontrò difficoltà
ad essere accettato in seno alla Chiesa; il modo più facile per aggirare queste
difficoltà sarebbe stato quello di attribuirlo a un apostolo di riconosciuta
autorevolezza; se questo non avvenne, fu perché era un fatto indiscusso per tutti
che l'autore di questo vangelo era un certo Marco.
Il Vangelo di Marco è il più breve e il più antico. La maggior parte dei critici
attribuisce la composizione del Vangelo tra il 65 e il 70. In seguito ad altri studi
1
2
Cf EUSEBIO, Historia Ecclesiastica, III, 35-45.
Testimonianze di Ireneo, Clemente di Alessandria, Origene, Girolamo, ecc.
con il ritrovamento di alcuni frammenti di Papiro nelle grotte di Qmaràn
daterebbe il vangelo prima del 50.
Il vangelo di Marco è concentrato sulla persona di Gesù, sui Suoi insegnamenti,
potremo dire sulla Sua identità. Marco ci pone questa domanda: Chi è Gesù?
Conosco veramente Gesù? Sono veramente suo discepolo?
Marco non è stato testimone diretto di Gesù, ma ha cercato nelle prime comunità
cristiane quello che veniva ricordato di Lui. Ha preso gli elementi per lui più
importanti e ha fatto una grande costruzione.
Marco parte da questa frase: “Come è scritto nel libro del profeta Isaia: Ecco, io
mando il mio messaggero davanti a te. Voce di uno che grida nel deserto”.
Parla di Giovanni Battista. Avrebbe potuto però cominciare dicendo: “In quel
tempo, lungo Il Giordano, si presentò Giovanni Battista”. Il vangelo potrebbe
benissimo cominciare così.
Ma il vangelo di Marco comincia dal passato, con una meditazione profonda, e
così facendo invita noi a meditare in profondità, quasi ad entrare nell’intimità di
questo scritto. Dobbiamo prima comprendere come Dio si è comportato con
l’uomo nel passato e poi si arriva a Giovanni Battista e Gesù.
Attraverso questo riferimento al libro di Isaia in realtà l’evangelista Marco
comincia facendo parlare Dio. “Come è scritto nel libro del profeta Isaia:
ecco io mando il mio messaggero davanti a te”. Dio parla attraverso la bocca
del profeta e il profeta annuncia ciò che Dio dice.
Le prime frasi sono le più importanti perché servono per ambientarci, Marco ci
vuole collocare nel rapporto fra Dio e Gesù.
Marco ci dice: “Ascolta il vangelo e cerca di capire il rapporto fra Dio e Gesù”.
Come Gesù è in relazione con il Padre: questo è il messaggio fondamentale per la
nostra vita.
Cosa devo fare della mia vita? Cosa devo fare con quell’amico che mi ha tradito?
Devo perdonare? Prima di queste domande, la domanda principale è: ascolta il
Vangelo e cerca di capire come Gesù è in relazione con Dio e come Dio è
stato in relazione con Gesù. Questo è decisivo per la nostra vita: non le azioni,
ma che Dio ci salva, non le nostre scelte.
La grande regola della nostra vita viene da Dio, e questo è vero anche per Gesù. È
per questo che Marco inizia dicendo: “Ecco, io (Dio), mando il mio messaggero
(Giovanni Battista) davanti a te che sei Gesù. Lui, Giovanni, ti preparerà la
strada, lui sarà voce di uno che grida nel deserto: preparate il cammino per
il Signore”.
Dobbiamo stare attenti a questo rapporto tra il Padre e Gesù, è un punto
decisivo. La frase è bellissima, la traduzione corretta sarebbe non “preparate la
strada del Signore”, ma “preparate la strada per il Signore”. Non semplicemente
la strada che piace al Signore, ma la strada in cui il Signore viene a camminare.
Giovanni Battista prepara il cammino che Gesù farà, ma è il cammino che Dio
viene a fare con il suo popolo. Questa è la chiave di lettura del vangelo.
Marco scrive il suo vangelo in una lingua che non ha pretese letterarie, ma di una
grande efficacia, dei quattro vangeli è quello che usa il greco semplice e popolare.
Alcuni attribuiscono a una padronanza meno perfetta delle lingua greca e che
invece può essere semplicemente ricondotto alla condizione sociale dei suoi
destinatari, persone semplici, con le quali l’evangelista se voleva comunicare il
suo messaggio, non poteva usare il linguaggio degli scribi. Ma l’opera può essere
sicuramente considerata teologicamente meditata dall’evangelista.
Nel quadro generale gli episodi riferiti non sono strettamente collegati, la
psicologia dei protagonisti non è approfondita, la collocazione nel tempo e nello
spazio non è molto schematica. Eppure ci sono aspetti particolari di grande
interesse: le scene che descrivono l’ambiente palestinese sono ricche di
annotazioni concrete e vivaci: Gesù si dimostra ogni volta, un personaggio che
non finisce di stupire: è un uomo vero e sensibile, deciso e sicuro nella parola e
nei gesti, assolutamente indipendente dai maestri della legge di Mosè.
Gesù nel vangelo di Marco si commuove (1,41; 6,34; 8,2), prova pena per la
cecità dei farisei (3,5), intuisce il modo di pensare degli scribi (2,8), si arrabbia
(3,5; 8,33), reagisce con durezza di fronte all’impotenza dei suoi discepoli a
scacciare uno spirito immondo (9,19), abbraccia con affetto i bambini (9,36;
10,16), ecc. Egli non ricerca popolarità, ma autentici rapporti, la sua vita e il suo
insegnamento vogliono condurre alla fede.
Marco scrive per i fedeli di origine pagana, e secondo la tradizione più antica, per
i cristiani di Roma. Ad essi egli presenta, Gesù Messia e Figlio di Dio, operatore di
miracoli, dominatore di satana che viene costretto a riconoscergli una superiorità
divina. Si rivolge ai suoi lettori con un documento agile e autorevole, in grado di
dare un volto di Gesù integrale e concreto, contro i pericoli di una fede vaga ed
astratta.
Mc 1,1
[1] Origini della buona notizia, di Gesù, Messia, Figlio di Dio.
Con l’espressione “la buona notizia” comprendiamo che questa notizia fa parte
già dell’esperienza sia dell’evangelista che dei suoi lettori. In Marco la buona
notizia si riferisce a Gesù, Messia, Figlio di Dio. Il qualificativo “buona” non
rimane nel passato, ma si colloca nel presente dei lettori ed è oggetto di
esperienza euforica. Per i lettori di Marco, la buona notizia è una realtà presente,
favorevole e gioiosa.
Questa “buona notizia” sperimentata nel presente, in rapporto con il suo arkhê,
“principio/origine”, che si colloca nel passato, è il momento in cui la buona notizia
divenne realtà, così arkhê fa vedere gli avvenimenti passati che culminano con la
creazione di una realtà nuova e permanente.
Marco non pretende, di comunicare la buona notizia alla sua comunità che la
conosce già per esperienza, ma di narrare gli avvenimenti che hanno dato origine
alla realtà che vivono i suoi lettori. Questa conferma la finalità catechetica del
vangelo, che non pretende di esporre direttamente il messaggio di Gesù a quelli
che non lo conoscono, ma di servire per la formazione della comunità e dei
cristiani neofiti.
D’altra parte, questa buona notizia è in relazione con la persona di Gesù (“la
buona notizia di Gesù”). La predicazione di Giovanni Battista, che apre il racconto
di Marco è solo una preparazione per essa.
Il termine greco tradotto con “origini” in questo contesto ha un significato sia
temporale che causale: l’opera di Gesù è stata principio e causa della presente
esperienza della buona notizia della Signoria di Dio: “Dopo che Giovanni fu
arrestato, Gesù si recò nella Galilea predicando il vangelo di Dio e diceva:
«Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al
vangelo”(1,14-15). Il tempo è compiuto: con Gesù è scoccata l’ora decisiva della
storia.
Le “origini” abbracciano, tutto il periodo della vita pubblica di Gesù, che culmina
con la sua morte-resurrezione; da allora la buona notizia comincia a diventare
realtà per il mondo intero.
Marco riprendendo la prima parola della Genesi, ha voluto indicare l’irruzione
della nuova creazione.
L’espressione iniziale, “origini della buona notizia”, indica che questa non aveva
precedenti; Marco racconterà fatti completamente nuovi che sono emersi da
questo ribaltamento della storia. Il vangelo di Gesù Messia è una novità radicale
rispetto a tutto ciò che lo precede e, senza dubbio, in questa rottura con il
passato esiste una certa continuità: l’AT ha preparato e annunciato la novità di
Cristo.
“la buona notizia” è il “Vangelo” ma questo termine non designa l’opera di Marco
(solo a partire dal II secolo questi scritti vengono chiamati “Vangeli”). La buona
notizia è l’opera salvatrice di Gesù per l’individuo e per la società umana; la
Signoria di Dio (1,14-15), è la stessa persona di Gesù che stabilisce questa
Signoria. Le origini della buona notizia sono nella persona, nel messaggio e
nell’attività di Gesù.
Proprio perché la buona notizia continua ad essere presente, Marco può
raccontare le origini, ma non la conclusione (il termine arkhê nasconde un
pensiero teologico: il regno di Dio non è stato stabilito tutto subito, nella sua
totalità e perfezione; il Messia non è apparso come un fulmine che
improvvisamente e definitivamente trasforma tutto. Utilizzando il termine arkhê
(origini) Marco fa svanire l’illusione dell’arrivo immediato di un regno
perfettamente costituito; esso esige uno sviluppo).
Di fatto il finale letterario dei vangeli non è mai conclusione tematica, ma
apertura di una nuova tappa, quella della trasmissione del messaggio3 (16,7). Per
Marco il lettore deve tornare a meditare su ciò che ha ascoltato e diventi lui
stesso un portatore del messaggio.
Gesù sarà il personaggio principale del racconto evangelico, a Lui vengono
attribuiti due titoli complementari: “Messia” (titolo giudaico4), Figlio di Dio (titolo
universale5). Alcuni manoscritti omettono la parola “Figlio di Dio”, ma la loro
presenza è richiesta dalla coerenza interna del testo del Vangelo.
Infatti “Messia” e “Figlio di Dio” sono rispettivamente le professioni di fede dei
giudei (8,29: Pietro6) e dei pagani (15,39: il centurione7). La formula completa, che
Gesù accetta, si trova in 14,61: “Ma egli taceva e non rispondeva nulla. Di nuovo il
sommo sacerdote lo interrogò dicendogli: «Sei tu il Cristo8, il Figlio di Dio
benedetto?». [62]Gesù rispose: «Io lo sono!...”.
“Messia” Termine ebraico, che significa “Unto” nel giudaismo indicava il futuro
re o capo che Dio doveva mandare per salvare il popolo. Riducendo le idee
dominanti in quel tempo a un minimo di elementi comuni, possiamo dire che,
per il giudaismo, la venuta del Messia doveva produrre un cambiamento radicale
3
Cf. Mt 28,19s; Lc 24,46-49; Gv 20,21.
Cf. 8,29; 14,61.
5
Cf. 3,11;5,7; 14,61; 15,39
6
“Ma egli replicò: «E voi chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo” Mc 8,29.
7
“Allora il centurione che gli stava di fronte, vistolo spirare in quel modo, disse: «Veramente quest'uomo era Figlio di
Dio!”.
8 Cristo, CHRISTOS (dal Greco: l’unto, il lucente, il sacro).
4
nella storia di Israele: lo avrebbe liberato dal peso straniero e sarebbe iniziato il
dominio della giustizia, della prosperità, della fedeltà a Dio, con la purificazione
delle antiche istituzioni.
Sotto la sua signoria Israele sarebbe diventato il centro del mondo e le altre
nazioni gli sarebbero state sottomesse:
[8]Chiedi a me, ti darò in possesso le genti
e in dominio i confini della terra.
[9]Le spezzerai con scettro di ferro,
come vasi di argilla le frantumerai». (Sal 2,8-9).
In Marco il titolo “Messia” non ha articolo. Secondo il modo di esprimersi del
giudaismo, bisognava dire “il Messia”, dato che si trattava di una figura unica e
ben conosciuta. La specificazione avrebbe rimandato al concetto di Messia
guerriero, oggetto dell’attesa popolare. Omettendo l’articolo, Marco indica che
Gesù non è il Messia nel senso ammesso dalla tradizione giudaica; è un Messia
diverso.
Nello stesso tempo, l’indeterminazione di “Messia/Unto” insinua che altri
possono partecipare all’unzione; di fatto se quella di Gesù è fatto con lo Spirito9,
egli comunicherà questo Spirito agli uomini10.
Il titolo “Messia” (re consacrato da Dio) esprime chiaramente che l’opera
salvatrice di Gesù non si limita alla sfera individuale, ma toccherà direttamente
quella sociale.
“Figlio di Dio” si diceva del re unto stabilito da Dio e, più in generale di quelli
che esercitano autorità in nome di Dio11. Ma questo titolo si applicava per
antonomasia al Messia e ne esprimeva la sua elezione e missione divina (Mc
14,61); si trova certamente anche in bocca ai non giudei (Mc 3,11; 5,7 (demoni);
15,39 (centurione)).
Mentre il titolo “Messia” apparteneva esclusivamente alla tradizione di Israele,
quella di “Figlio di Dio” era comune a giudei e pagani. Nemmeno “Figlio di Dio” è
determinato; questa denominazione designa primariamente Gesù, ma non
esclusivamente. La qualità di “Figlio” si estenderà a tutti i suoi seguaci (11,25) 12.
Il duplice titolo “Messia Figlio di Dio” descrive la realtà di Gesù come salvatore,
in opposizione a quella di “Messia Figlio di Davide” che egli rifiuta (12,35-37).
Secondo la concezione semitica, “figlio” non indica solo il fatto di essere stato
generato da un padre, ma, innanzitutto, la somiglianza con lui nell’essere e
nell’agire: il figlio ha per modello suo padre e si comporta come lui.
Quindi il modello di Gesù non è Davide, re guerriero, ma Dio stesso; la salvezza
che egli porta non seguirà la linea della violenza ma quella dello Spirito di Dio.
Non sarà un secondo Davide, ma la presenza di Dio tra gli uomini e il realizzatore
dell’opera di Dio. L’opposizione tra “Figlio di Dio” e “Figlio di Davide” è una delle
chiavi di lettura del vangelo.
Il titolo dell’opera di Marco è, in particolare, il titolo “Messia” insinuano che
quello che sta per essere raccontato compie un’attesa: la storia di Israele era
incompleta, attendeva un termine che ora arriva. Esiste quindi, una certa
continuità tra l’Antico Testamento e la buona notizia di Gesù Messia. L’inizio
Cf. 1,10.
Cf. 1,8.
11 Cf. Sal 82,6; Gv 10,34ss.
12 “Quando vi mettete a pregare, se avete qualcosa contro qualcuno, perdonate, perché anche il
Padre vostro che è nei cieli perdoni a voi i vostri peccati” Mc 11,25.
9
10
assoluto, indicato dal termine “origine” indica a sua volta che il compimento non
si adeguerà all’attesa.
Collocato nel suo momento storico, il titolo dell’opera indica anzitutto che Marco
risponderà a una legittima curiosità: “Come ebbe origine questa realtà che
viviamo oggi (la buona notizia conosciuta e sperimentata da lui e dai suoi
lettori?”.
Marco annuncia un racconto delle origini e così di fatto viene presentato questo
vangelo: esporrà come il Messia ha compiuto la sua opera, i cui effetti sono
presenti.
Gli aspetti polemici che si riscontreranno nel corso del vangelo dimostrano che
Marco si propone anche di affrontare determinate interpretazioni della persona e
dell’attività di Gesù che egli ritiene illegittime.
“La buona notizia” ha due aspetti, quello del contenuto (notizia) e quello
dell’esperienza (buona). Marco può esporre la prima, ma non la seconda. Può cioè
proporre il messaggio di Gesù, valido per ogni tempo, ma l’esperienza della buona
notizia, da parte di ogni individuo, dipende anche dalla sua accettazione del
messaggio.
Il vangelo porta così la comunità già costituita ad approfondire la sua esperienza
di Gesù; per coloro che si accostano è un invito a partecipare ad essa.
Il messaggio contenuto nella notizia non è solo concettuale, concreto, reale ma si
incarna anche nella persona stessa di Gesù ed esige un rapporto con lui; la sua
vita e la sua morte sono modello e appello permanente per i suoi seguaci. Per
questo la descrizione delle origini ha un valore perenne per le comunità cristiane
e, per la stessa ragione, è insostituibile. Non basta accettare ciò che gli altri
dicono di Gesù, bisogna sempre rifarsi a Gesù stesso.