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CORNAREDO, 29 APRILE 1945. LA MORTE DI PAOLO SANGUINETTI
FU UN’ESECUZIONE O UNA FATALE DISGRAZIA?
I FATTI.
Paolo Sanguinetti venne ucciso a soli quattro giorni dalla Liberazione dal nazi-fascismo davanti all’ingresso del Municipio, per mano di un partigiano.
Per alcuni si trattò di una vera e propria esecuzione da parte di qualcuno che, approfittando della comprensibile confusione che regnava in quelle giornate, avrebbe deliberatamente aperto il fuoco su di lui. Per altri fu, invece, una tragica fatalità; di questa
opinione è anche Oreste Gussoni, allora diciottenne testimone oculare.
CHI ERA PAOLO SANGUINETTI.
Il maggiore di Cavalleria Paolo Sanguinetti era nato ad Orbassano –TO- il 9 aprile
1909 ed era residente a Cairo Montenotte –SV- paese d’origine della sua famiglia.
Coniugato con Irene Zuccarini, aveva quel fatidico 29 aprile ’45, appena compiuto
trentasei anni.
Non sappiamo il vero motivo della sua presenza a Cornaredo, però, sua sorella aveva
sposato il Grande Ufficiale Alfredo Marchetti, proprietario della manifattura MAIM.
Dal loro matrimonio nacque una figlia, portatrice di handicap, morta in giovane età.
Alfredo Marchetti, Commendatore dell’Ordine del S. Sepolcro e Cavaliere di Malta,
morì a 61 anni. La moglie rimasta sola, ad un certo punto si trasferì in casa del dottor
Achille Pagani, amico di famiglia e scomparve nel 1984.
Di entrambi i coniugi, negli archivi del comune di Cornaredo, non risultano certificati
di morte.
La proprietà della ditta MAIM passò dai Marchetti ad Aliverti che la detenne fino alla
sua chiusura nel 1977.
Torniamo a Paolo Sanguinetti le cui scelte di vita sembrerebbero contraddittorie; temo, però, che nessuno ormai sia in grado di fare chiarezza assoluta.
Dopo aver militato nel Regio Esercito col grado di Maggiore di Cavalleria, in seguito
all’armistizio dell’otto settembre del ’43, sarebbe passato tra le fila delle Forze Armate della Repubblica di Salò. Il suo nome risulta infatti nell’elenco dei caduti della RSI
curato dalle associazioni di ex combattenti della medesima.
Viene ricordato come facente parte delle “FF.AA. Repubblicane”, i cosiddetti “Repubblichini”. La data della morte è il 29-4-1945 e, sotto la casella: “causa della
morte” vi è una “f” che significa ”fucilato”. Probabilmente, visto che la sua morte fu
causata da un colpo di arma da fuoco, venne classificato, automaticamente, tale.
Per contro, bisogna tenere presente la lapide, della quale parleremo in modo più dettagliato più avanti, dove i “Garibaldini” della 106a “SAP” lo ricordano come “compagno caduto nei giorni dell’insurrezione”.
Vale la pena ricordare cosa erano le “SAP” e chi vi faceva parte.
Eccone una descrizione tratta dal libro “ Vent’anni sono lunghi. Cornaredo dal fasci-
smo alla liberazione”, di Massimiliano Tenconi, pubblicato nel 2007 dal Comune di
Cornaredo con il patrocinio della Provincia di Milano:
“ I membri delle Sap si differenziavano sia dai partigiani inseriti nelle formazioni di
montagna, sia dai combattenti di città appartenenti ai Gap.
Il sappista continuava a mantenere la legalità ed assolveva l’importantissimo ruolo di
raccordo tra le avanguardie combattenti e la mobilitazione popolare antifascista ed
antitedesca. A queste formazioni, aperte a tutti senza preclusioni di natura politica,
erano affidati compiti di propaganda, di sabotaggio in tutte le sue forme, di disarmo
del nemico fino ad arrivare ad operare con azioni sempre più complesse. Costituivano
così un retroterra importante per le formazioni di montagna ed erano un bacino da cui
poter attingere nuovi partigiani. In pratica erano “un’area di cospirazione organizzata”, una seconda linea “di addestramento, ma nell’azione, in vista della sollevazione
insurrezionale”.
Sanguinetti dette quindi il suo aiuto alla Resistenza ed è comprensibile che i partigiani, pur riconoscendone i meriti nella lapide dedicatagli, siano stati sul vago a proposito della sua morte essendo, presumibilmente, stato uno di loro a causarla.
LA TESTIMONIANZA DI ORESTE GUSSONI (Classe 1927).
“Mi trovavo, quel giorno, nella piazza di Cornaredo insieme a moltissime altre persone. Erano quelle giornate di festa per la fine della guerra e del regime fascista, ma
anche di caos, di gente che circolava con le armi in pugno ed anche di vendette e ritorsioni verso coloro che avevano collaborato con fascisti e tedeschi.
Sono passati quasi settant’anni, allora ne avevo diciotto, ma ricordo i fatti in questione come fosse ieri!
Quella mattina erano giunti in paese tre camion, parcheggiati poi vicino alla filanda,
con a bordo dei partigiani armati e tre giovani donne accusate di collaborazionismo.
Un gruppetto di partigiani rasò alle ragazze i capelli e poi, con una vernice rossa,
tracciò una croce sulla testa di ognuna.
Una volta terminata questa operazione, molti di questi uomini arrivati con i camion
entrarono nel Municipio.
Nel frattempo io, come tanti altri, mi ero avvicinato al portone per capire cosa stesse
succedendo. Eravamo lì in attesa quando, ad un certo punto, si aprì la porta ricavata
in una delle due pesanti ante e si apprestò ad uscire un uomo molto alto, sui 30 – 35
anni, che teneva imbracciato un fucile tipo “Parabello”.
Dato che il fucile aveva il calcio di ferro in posizione aperta, era abbastanza ingombrante ed il partigiano per poter passare attraverso la porta dovette fare un movimento semi-circolare, girando su sé stesso. Nel far ciò, urtò con il calcio del fucile il
portone, causando così la pressione del dito sul grilletto che provocò lo sparo.
Il Sanguinetti si trovava, suo malgrado, in quel momento proprio di fronte a lui e,
colpito in pieno, si accasciò.
Venne immediatamente portato nell’ambulatorio del dottor Pagani, distante pochi
passi, ma per lui non ci fu più nulla da fare: era morto sul colpo!
La sua morte generò fin da subito, in chi non era stato testimone come me, dei forti
dubbi sull’involontarietà dello sparo che lo uccise. A sostegno della tesi o dell’esecuzione, o di una vendetta, venne rimarcato il fatto che il partigiano che sparò uscì dal
portone col dito sul grilletto e con il colpo in canna. Tutto vero, ma in quei giorni
non era stato certamente l’unico a farlo; parecchi giravano per strada pronti a sparare nel caso di incontri pericolosi, sempre possibili visto che eravamo appena al 29
aprile del 1945.
Mi ricordo benissimo che colui che aveva sparato, rimase sorpreso e sconcertato da
quanto lui stesso aveva provocato.
Tra l’altro la pallottola dopo ucciso il Sanguinetti attraversò tutta la piazza rischiando così di colpire altre persone, per poi terminare la sua traiettoria sul braccio sinistro di Giulio Bertani, reduce della guerra di Russia che camminava a fatica per i
postumi di un congelamento ai piedi, che si trovava davanti al portone principale
della chiesa. Per sua fortuna la stessa aveva ormai perso efficacia e non gli causò
ferite, finendo poi per terra alla base di una colonna.
Comunque, io che ho visto la tragica vicenda svolgersi proprio davanti ai miei occhi,
sono convinto che la morte di Paolo Sanguinetti sia stata del tutto casuale e non un
atto volontario; è stato solo sfortunato a trovarsi proprio in quel posto in quel momento, poteva capitare a chiunque altro, anche a me che ero nei pressi, poco lontano
da lui.”
DUE LAPIDI COMMEMORATIVE.
Nell’attuale Ufficio Tributi del Comune, che all’epoca corrispondeva alla saletta dell’ambulatorio del dottor Pagani, trovano posto sulla parete due lapidi a ricordo di quel
drammatico evento. La prima in alto, in marmo scuro, recita:
“ Per onorare la memoria del Magg. Paolo Sanguinetti perito per tragico
incidente le Famiglie Sanguinetti e Marchetti offrono alla popolazione di
Cornaredo che tanto partecipò al loro dolore. 1945. “
Anche se, talvolta, le versioni ufficiali dei fatti non collimano con la vera realtà, in
questo caso le parole appena citate confermano la testimonianza di Oreste Gussoni.
Ecco il testo della seconda lapide, in marmo chiaro:
“ I Garibaldini della 106a Brigata SAP
ricordano il compagno
Paolo Sanguinetti
caduto nei giorni dell’insurrezione. 29-4-1945. “
IN CONCLUSIONE:
A settant’anni di distanza da quel tragico evento, con queste poche righe confidiamo
di aver contribuito a fare chiarezza su quanto successe quel 29 aprile ’45.
Tante e diverse sono le versioni dei fatti che in questi anni sono circolate, basate solo
su “voci di popolo”; nel frattempo sono rimasti in pochi coloro che hanno vissuto in
prima persona quegli avvenimenti.
Oreste Gussoni è una di quelle persone; i suoi ricordi sono precisi e la sua rievocazione lucida, puntuale e certamente affidabile.
Siamo pertanto persuasi che la drammatica vicenda si sia svolta come lui rievoca e
che la morte di Paolo Sanguinetti sia stata una tragica fatalità.
Sergio Piffari.
Cornaredo, ottobre 2014.
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