"Centocittà - Politica in campo aperto" "Centocittà - Politica in campo aperto" era una essenziale ma ben frequentata rivista dei giovini neodossettiani nel volgere dei '90. Durò un paio d'anni: era diretta da Lapo Pistelli , fresco deputato europeo eletto nel Listone, vi scrivevano tra gli altri Enrico Letta, Mario Adinolfi , Giorgio Tonini, Dario Franceschini. Anch'io collaborai con qualche corsivo, firmato ovviamente "La Scolta". Eccoli, un po’ alla volta: Centocittà n.9, gennaio1992 “BACILLI – Sempre vigile, la nostra “scolta” ci segnala un refuso sfuggito al povero compositore. Introdotto per motivi di spazio nella pagina del precedente numero dedicato alla salute, La Scolta ne approfitta per avvisarci sulla possibile infezione da “bacilli” e, in modo arguto, così rettifica: Ebbene sì, il virus è anche fra noi. Freudianamente presente, ahimé, nella chiosa del mio corsivo di dicembre, che in origine così recitava: “Cultura cattolico-democratica quindi, con orgoglio e senza infingimenti. Sperando che il Paese mai più abbisogni, Presidente (De Mita n.d.R.), di una cultura DemoCristiana”. A stravolgere il senso e il sapore della piccola polemica, un refuso birichino ha eliminato la cultura cattolico-democratica sostituendola con la dicitura “cultura cattolicodemocristiana”. A parte ogni considerazione sulla valenza culturale e politica di un simile fosco connubio, il fatto non fa che riconfermarmi nella tesi stessa esposta nel pezzullo : che anche fra i sedicenti cattolici-democratici, financo fra i rebeldes di Centocittà, il virus dell’appartenenza partitica, del legame sotterraneo con la struttura, del continuo rimirarsi l’ombelicopartito prevalga sulle istanze e le speranze d’innovazione? Meditiamo, meditiamo…non è il solo segnale! Ad ogni buon conto, rincuoriamoci con Pomicino: “mai come in questo momento almeno per noi la rilettura di Sturzo e la “Centesimus annus” offrono punti di ancoraggio forti al pensiero dei cattolici-democratici “ (La Repubblica, 14.12.91). ‘O ministro un sano cattolico-democratico !? Per fortuna (!), i fatti parlano. Ma teniamo gli occhi aperti…” La Scolta Centocittà n.8, dicembre 1991 “ TRACCE - In un recente dialogo pubblico (ormai necessita precisare: dialogo, non mera esternazione), un frizzante Presidente democristiano ha relazionato in merito al tema del giorno, la ri-forma elettorale. Discorso davvero intenso, appassionato, con la ormai rara avis di una sincera attenzione alla situazione sociale e istituzionale del paese: ciò al di là del merito specifico, che ha visto un’esaltazione un po’ acritica del centrismo degasperiano, letto quale instrumentum della condizione di possibilità di gestione del cambiamento, capace di mantenere insieme le condizioni della democrazia italiana in anni di asperrimi sconti, ideali e non. Ma non di questo si vuol qui disquisire, bensì di una piccola, anche trascurabile ma assai significante disattenzione dell’oratore. Nel corso della sua ricostruzione storica, l’on. De Mita ha usato en passant un’espressione, quella di “cultura DemoCristiana”, che come un fastidioso tarlo del pensiero mi ha rincorso per tutta la serata. “Cultura DemoCristiana”: proprio ad un esponente fra i più attenti del nostro cattolicesimo politico doveva sfuggire questa piccola traccia, questa spia di una mentalità dura a morire, questo sintomo discorante di una weltanschauung radicata e pervicace. Proviamo a domandarci tutti se tale dizione – apparentemente innocua – risponde o meno al comune sentire politico dei cittadini d’Italia. Certamente esiste, e con plurisecolare dignità, una cultura cattolica, seppure ci si auspichi che ci venga risparmiato il ritorno sulla scena di un’ ideologia cattolica, magari spacciata de facto quale fede cattolica sic et simpliciter. Come pure esiste, per meglio dire resiste, una vivace cultura cattolico-democratica, anch’essa radicata nella storia, nella politica e nella cultura viva del paese; e per quanto ci compete, siam qui all’uopo per approfondire le analisi, i contenuti, le capacità di esplorazione del futuro, convinti come siamo delle enormi ancorché inespresse sue potenzialità politiche. Ma una cultura DemoCristiana, ci si contenta ! La stessa dizione evoca un senso dell’appartenenza partitica, un giocare sulla difensiva, un ammirarsi tutto ripiegato su se stessi; quand’anche non richiami, all’orecchio disattento e un po’ perfido dell’elettorato secolarizzato e leghizzato, quella sapida melassa di clientelismo, piccola-grande amoralità, strumentalizzazione della politica, attaccamento al potere che troppo spesso si è ritrovata in ogni luogo impensabile e impensato, financo entro gli innocui slip di incongrui personaggi: la sub-cultura sbardelliana del “volemose bene”, dell’intrigo ai limiti del malaffare che tanti – helàs! – identificano col “sistema di potere democristiano”. Cultura cattolico-democratica dunque: con orgoglio e senza infingimenti. Sperando che il paese mai più abbisogni, Presidente, di una cultura DemoCristiana. “ La Scolta Centocittà n.7, novembre 1991 “ITINERARI – Uno strano malessere, da quanto appare leggendo alcuni signa temporum, pervade oggi la generazione di quei cattolici nati all’esperienza sociale e politica verso la metà degli anni ’70, di coloro dei quali cioè l’intero ceto politico, e non solo la DC, auspicherebbe l’assimilazione/omologazione nelle proprie fila: a garantire l’auspicato ricambio generazionale in chi di ricambio ideale non pare voler far mostra alcuna. Arrivati alfine al conquistato diritto alla diaspora anonima, ambito obiettivo di una generazione tutta, ebbene un opprimente senso di inadeguatezza e perplessità ci prende alla gola, lasciandoci attoniti, con lo sguardo errabondo su panorami lunari. Quali le mete conquistate, quali le vette impervie scalate in heroica solitudo per tanti anni? All’intorno, fragori e macerie di muri caduti anche “per” noi, indistinto appiattirsi delle tensioni storiche, ideali, finalistiche dell’agire politico in una sapida melassa di ambizioni, voglie di rivalsa, grandi sinistri afflati unitari subitamente apparsi sine gestazione né memoria storica. Inappagata tensione ideale, politica come servizio al bene comune: tarlo inesausto di una quotidianità del politico la cui mera reductio ad unum è quella di un burocratico annichilimento gestionale. Per le magnifiche sorti del sospirato CAMBIO, con materiale umano poi non troppo preparato ma ambiziosetto, per gestire alfine l’etereo involucro di un Paese che è ormai perennemente altrove. Ebbene, appagati nel percorso, nel lungo – estenuante quanto felice – esodo dagli angusti angiporti e dalle fumose bettole demofile che il cattolicesimo politico della nostra adolescenza ci aveva tristemente propinato quale obbligato orizzonte delle nostre prorompenti speranze, ci ritroviamo ora ebefatti e stupiti ad un approdo inimmaginato. Né ci conforta, se non per momentanei – e quantomai problematici – entusiasmi e passioni, il veder tracciare nuovi solchi e nuovi sentieri : i pesci nella Rete, pullulante di impolitiche anime candide e invischiata nel padule di ridondanti pacifismi e protagonismi; oppure le mete a termine del proceduralismo rizomatico, da padri della patria eternamente sospesi fra il buon senso di Segni ontologicamente conservatori e il clamore referendario brandito quale clava degli onesti. Nunc, quid agendum ? Lentamente, ma con progressiva coscienza la mente sonda i percorsi dell’ “anima della politica”, si sofferma a scavare, a ricercare nelle storie personali e nella storia stessa del Paese le radici ultime e inestirpabili del proprio pathos : e passo passo avanzano inesauste le motivazioni calde, il filo rosso del cattolicesimo democratico nella vita politica e nel tessuto intimo della società italiana. Nomi, ideali, storie, esperienze politiche e sociali si allineano sulla pagina aperta di un animus politico inappagato : Murri, Ferrari, Donati, Miglioli, lo stesso Sturzo…e poi Rossetti, La Pira, Lazzati ! Un patrimonio genetico a cui non ci si può sottrarre: fughe, ribellioni ed esodi da padri non già tirannici, ma fidenti s/coinvolti e financo – talvolta –complici stessi del nostro fuggire. Una matrice così ricca, così radicalmente inscritta nel profondo della coscienza politica dei cattolici, ancora oggi resta da sondare, da far fruttificare, per condurla ad incarnare le radicali intuizioni di un Concilio anch’esso ancor lungi, nonostante tutto, dall’essere profonda costituzione materiale per la Chiesa che è in Italia. Abdicare a questo compito, anche fra chi a lungo ha lottato, per strade anche incongrue e tortuose, per giungere a veder divenire sensus communis la legittimità di un laico agire politico dei cattolici, soltanto condurebbe oggi a lasciare il campo a convulsi, decadenti ma abilissimi epigoni e maestri del sinistro appiattimento dell’agire politico; ai responsabili cioè, fra l’altro, di quel diffuso, micidiale abbassarsi delle attese della gente, vero comune denominatore sociale di questo scorcio di secolo. Spazi vi sono, ed affiorano con la limpidezza di squarci d’azzurro. Non già nell’asfittico delegittimato e delegittimatesi agone partitico, almeno fintanto che permanga il ferino avvinghiarsi di parti e correnti ai feticci del potere: ma nel terreno vivo e fecondo dell’agire etico e responsabile, dell’agire di persone umane, di esseri amorevoli e trasparenti nei cento fiori di un volontariato che sappia farsi carico, nelle sue persone migliori, di un senso dello Stato come luogo dello svolgersi penultimo del bene comune; nelle persone che vivono e pregano, di coloro che nelle scuole di formazione diocesane si educano alla politica si educano cioè alla responsabilità e bellezza di un agire penultimo, con la consapevolezza di avere inserita la ricchezza profetica ed inesplorata di una grande traditio. Ancorché dunque sulla difensiva, laddove il brillìo di pur sfocate alternative potrà ammaliare molti, questo patrimonio umano e politico – pur guardando con attenzione ed incoraggiamento alla prospettiva di una democrazia italiana finalmente compiutasi – saprà impegnarsi e lottare, anche in diversi organismi, perché una tale memoria non solo non vada dispersa ma permei di nuova linfa vitale l’agire politico del laicato cattolico. Non già quindi per un ascoso progetto di una malintesa visibilità ecclesiale, sorta di polacca trasposizione raffigurante un improprio attore difendere, su impropri palcoscenici, impropri diritti da minoranza etnica. Bensì per un reale, maturo, consapevole riappropriarsi – nella cultura ma soprattutto nell’azione politica – di un comunque in espropriabile laico lascito storico, di una pulsione cattolico democratica che è e rimarrà a pieno diritto, nei decenni avvenire, storia, politica e cultura viva di questo Paese. “ La Scolta