IL SECOLO DEI LUMI 1715-1789 Verso la Rivoluzione francese Durante il « secolo dei lumi » – è così che viene comunemente interpretato il Settecento – nuovi scenari politici, economici e sociali si delinearono in Europa. È necessario tuttavia fornire fin da subito una chiave interpretativa di questo complesso periodo storico, nel corso del quale ci imbatteremo in fenomeni decisivi all’interno della nostra storia : si pensi tra tutti alla Prima rivoluzione industriale in Gran Bretagna, alla Rivoluzione americana e, soprattutto, a quella Rivoluzione spirituale che è l’Illuminismo. Una rivoluzione, quest’ultima, che risulta essere tanto fondamentale da aver dato il nome a un’intera epoca. Non è un caso allora che il periodo storico in analisi si fermi al 1789, data d’inizio della Rivoluzione francese, nella quale confluiscono tutte le riflessioni propriamente filosofiche che avevano animato il dibattito culturale in Europa e che determinarono il senso stesso delle rivoluzioni politiche ed economiche che interessarono il Settecento. In altre parole, la Rivoluzione francese costituisce il punto di arrivo della nostra ricerca, nella misura in cui le analisi relative a questo secolo potranno fornirci le indicazioni necessarie a comprendere l’intera portata di quel fenomeno – la Rivoluzione francese, appunto – a cui costantemente ci richiamiamo ancora oggi nel momento in cui viene creata una nuova formazione politica, sia essa uno Stato nazionale o addirittura l’Unione europea. Illuminismo e Rivoluzione francese : è questa la coppia concettuale intorno a cui ruotano queste osservazioni. Meglio : l’Illuminismo è la chiave di lettura della Rivoluzione francese e, più ampiamente, dell’intero Settecento, di cui detta Rivoluzione costituisce il culmine. Che cosa infatti si nasconde nella presa della Bastiglia del 1789, nella dittatura giacobina di Robespierre del 1793, nella reazione termidoriana del 1794, nel colpo di Stato del 18 brumaio del 1799 (Napoleone si impadronì con la forza del potere) e nella proclamazione nel 1804 di Napoleone a imperatore dei francesi con titolo ereditario ? Scrive François Furet in un suo splendido saggio intitolato Augustin Cochin : La teoria del giacobinismo (in Critica della Rivoluzione francese, Laterza, Roma-Bari 2004) : « La società di pensiero di tipo “filosofico” costituisce nel XVIII secolo la matrice di un nuovo rapporto politico che sarà una caratteristica della Rivoluzione, la sua principale innovazione. Nel consenso delle logge, dei circoli e dei musei già si profila la volontà generale di Rousseau, quella libertà imprescrittibile del cittadino che non è riducibile ai suoi interessi particolari, “quel puro atto dell’intelletto che, ridotta al silenzio ogni passione, riflette su ciò che l’uomo può esigere dal suo simile, e su ciò che il suo simile ha il diritto di esigere da lui” [Rousseau, Contratto sociale, 1762] : la società filosofica è la prima forma di produzione di un obbligo collettivo nato dalla combinazione di un meccanismo sociologico con una filosofia dell’individuo. La somma delle volontà libere crea la tirannia del Sociale, religione della Rivoluzione francese e del XIX secolo ». * La citazione da Furet ci serve da spunto per iniziare a comprendere che cosa sia stato l’Illuminismo e quale sia stata la portata di questo fenomeno, che sembra aver avuto inizio intorno al 1730 in Francia, per poi diffondersi in tutta Europa condizionando le vicende culturali e politiche in Italia, in Russia, in Austria e in Prussia. Prima tuttavia di ampliare la riflessione sull’Illuminismo, pare opportuno premettere alcune annotazioni di carattere geopolitico, che ci permettono di comprendere ancor più chiaramente lo spirito che vigeva in Europa a quel tempo. Austria, Russia e Prussia formano, insieme a Gran Bretagna e Francia, le cinque maggiori potenze europee nel periodo successivo al tramonto del predominio francese di Luigi XIV. Tra di esse si formò un sistema politico internazionale fondato sul « principio dell’equilibrio », sancito dai trattati di pace che posero termine alla guerra di Successione spagnola. Tuttavia il nuovo ordine continentale fondato sull’equilibrio non garantì la pace : ne siano una prova la guerra della Quadruplice Alleanza (1717-1719), le guerre di Successione polacca (1733-1738) e austriaca (1740-1748), causate da crisi aperte da questioni dinastiche, e la guerra dei Sette 2 anni (1756-1763), nella quale confluirono gli antagonismi austroprussiano e franco-britannico già emersi nella guerra di Successione austriaca. Valgano poi alcune osservazioni sulla condizione in cui si trovarono alla fine del Settecento le potenze prima menzionate : se, da una parte, la Gran Bretagna rafforzò il proprio primato marittimo e coloniale e, conseguentemente, la propria posizione di potenza mondiale (nonostante la perdita delle colonie nordamericane, che diedero vita tra il 1776 e il 1783 a un nuovo Stato indipendente, gli Stati Uniti d’America, che si richiamava agli ideali liberali e democratici proclamati dall’Illuminismo), dall’altra Austria, Prussia e Russia iniziarono sempre più decisamente ad attrezzarsi per conquistare un ruolo di primo piano sulla scena internazionale. Un interessante aspetto è costituito dalla politica espansionistica operata a partire dal 1739 dall’Austria e, in particolare, dalla Russia ai danni dell’Impero ottomano in vista della conquista di uno sbocco sul Mar Nero, ossia sul Mediterraneo (prima e seconda guerra contro i turchi promosse da Caterina II, 1769 & 1787-1792). A questo si aggiungano le tre « spartizioni della Polonia » operate da Austria, Russia e Prussia tra il 1772 e il 17951. Torniamo ora al tema delle nostre analisi sull’Illuminismo e sull’influenza da esso esercitata sul pensiero politico settecentesco in Europa e, più precisamente, proprio in quelle grandi nazioni a cui abbiamo fatto più sopra riferimento – eccezion fatta per la Francia e la Gran Bretagna, la quale nel corso di questo secolo compì ulteriori decisivi passi verso il « parlamentarismo », andando ben oltre i limiti fissati dal Bill of Rights. In Gran Bretagna, infatti, venne istituzionalizzata la pratica che faceva del gabinetto dei ministri – formato da membri del partito di maggioranza – il vero detentore Si precisino qui alcuni aspetti riguardanti la storia della Prussia e della Russia durante il periodo di Luigi XIV. Tra il 1660 e il 1688, sotto il governo di Federico Guglielmo, il Brandeburgo-Prussia, il più vasto e potente dei principati tedeschi, si trasformò in uno Stato unitario con un governo accentrato di tipo assolutistico sul modello francese. Allo stesso modo, la Russia dello zar Pietro I Romanov (detto « il Grande ») fu trasformata in una monarchia centralizzata e burocratica di stampo europeo: affascinato dal progresso scientifico e tecnologico dell’Occidente, Pietro I rinnovò le strutture produttive del paese (sul modello protezionistico di Colbert), limitò l’influenza politica e la potenza economica del clero e fece ogni sforzo per rompere il secolare isolamento culturale della Russia. Emblematica a questo proposito è la costruzione di Pietroburgo – la nuova capitale – sotto la direzione di ingegneri e architetti italiani, tedeschi e svizzeri. 1 3 del potere esecutivo, responsabile davanti al Parlamento : ciò significava che un gabinetto, per mantenersi, doveva godere della fiducia del Parlamento anziché del Re. Nello stesso tempo il Parlamento avocò a sé tutto il potere legislativo, dapprima condiviso con la Corona, che aveva in materia un diritto di veto. Ora, in Austria, Russia e Prussia ebbe luogo il noto fenomeno del « dispotismo illuminato », nel quale la forma politica dell’assolutismo venne sempre più rischiarata dal lume della ragione, evolvendosi dunque in un sistema sempre più democratico, sempre più civile. Detto altrimenti, nel corso del Settecento e, più specificamente, all’interno della riflessione dei philosophes francesi vengono gettate le basi di quello che chiamiamo « Stato di diritto », col quale si assiste al superamento di quel sistema politico, economico e sociale che va comunemente sotto il nome di « Antico Regime ». Pensiamo, tra gli altri, ai casi di Federico II di Prussia (1740-1786), della zarina Caterina II di Russia e di Maria Teresa d’Asburgo, la quale, in particolare, diede il via tra il 1740 e il 1780 a una politica di riformismo che spaziava dalla razionalizzazione dell’apparato di governo alla centralizzazione amministrativa, dalla più equa ripartizione delle imposte (al cui pagamento vennero costretti anche i nobili) alla realizzazione di un nuovo catasto (anche nel Ducato di Milano, secondo la nuova metodologia “parcellare”, i cui parametri fondamentali erano la destinazione d’uso e la produttività dei suoli), dall’introduzione dell’istruzione primaria obbligatoria alla laicizzazione delle scuole, dalla soppressione delle corporazioni all’abolizione della tortura. Una politica, quella di Maria Teresa, che fu fortemente condiviso dal figlio e successore Giuseppe II d’Asburgo, il quale concesse la tolleranza religiosa, sottopose la Chiesa cattolica all’autorità dello Stato e promulgò un nuovo codice penale che stabiliva l’uguaglianza dei sudditi di fronte alla legge (« giuseppinismo »). * Ma per quale motivo compaiono allora nelle parole di Furet sopra citate espressioni come « tirannia del sociale », e perché la filosofia 4 o, meglio, la società filosofica – la quale costituisce il culmine della società civile – diviene « la prima forma di produzione di un obbligo collettivo » ? « Obbligo », « tirannia »… sono parole che evocano una minaccia, e non una limpida e lineare emancipazione dell’uomo, il quale avrebbe in questo periodo sempre più coltivato i valori civili dell’uguaglianza, della libertà e della tolleranza, e che conseguentemente avrebbe favorito un vasto programma di riforme “modernizzatrici” nel campo dell’amministrazione, dell’economia, dell’istruzione e dei rapporti tra Stato e Chiesa. Che dire poi della definizione del « Sociale » in termini di una « religione » della Rivoluzione francese e, più ampiamente ancora, di tutto l’Ottocento (« Stato liberale ») ? Ricordiamo le parole con cui Augustin Cochin definiva il giacobinismo e, più precisamente, il tristemente noto fenomeno del « Comitato di salute pubblica », con il quale ebbe inizio la fase del Grande Terrore : « La “salute pubblica” è una finzione indispensabile, in democrazia, come il “diritto divino” in un regime autoritario ». Il riferimento è certamente l’episodio che vide coinvolto l’intero partito giacobino in una mattanza devastante ; e tuttavia è chiaro come l’espressione « salute pubblica » evochi un valore da noi considerato “sacro”, per il quale cioè saremmo disposti, proprio per difendere la democrazia, anche a commettere dei crimini pur di preservarlo. « Salute pubblica » diviene allora la traduzione secolarizzata di quella salvezza eterna che animava gli strenui difensori di una fede che si era sempre più cristallizzata in una vuota dottrina tanto perbenista quanto quella liberal-borghese (si pensi, a questo proposito, al fenomeno tipicamente illuminista del « deismo », in cui tutte le Chiese storicamente esistenti vengono rifiutate in nome di una religione “naturale”, fondata sulla sola ragione. I deisti non sono atei : per loro era infatti razionale credere in un Dio creatore e ordinatore dell’universo e provare gratitudine e ammirazione per lui). Ma non è tutto questo in netto contrasto con la concezione comune dell’Illuminismo e della stessa Rivoluzione francese ? L’illuminismo, infatti, si affermò anche in Italia tra il 1750 e il 1770, e vide tra i protagonisti Giambattista Vico, i fratelli Pietro e Alessandro Verri (Il Caffè, 1764-1766) e, soprattutto, Cesare Beccaria, il cui nome è legato al celeberrimo trattato Dei delitti e delle pene (1764), in cui 5 l’autore sostiene, sulla scorta dei principi utilitaristici, razionalistici e umanitari (in che senso ?) propri dell’Illuminismo, la necessità che il giudice sia imparziale e distinto dall’accusatore, che le leggi siano scritte in modo chiaro e inequivocabile, che le pene siano commisurate ai delitti. In questa prospettiva Beccaria esprime una risoluta condanna della pensa di morte, definita una « guerra della nazione contro un cittadino », priva di ogni fondamento giuridico e inutile come deterrente di fronte al crimine. In sostituzione di essa Beccaria propone lunghe pene detentive basate sul lavoro, dal momento che costituiscono esempi ben più efficaci nella prevenzione del delitto. Un’epoca riformatrice, dunque, capace di produrre tra il 1751 e il 1772 quell’impressionante progetto che fu l’Enciclopedia di Diderot e D’Alembert, e alla quale contribuirono intellettuali del calibro di Voltaire, Montesquieu e Rousseau. Scopo dell’Enciclopedia, secondo le parole dello stesso Diderot, è quello di delineare « un quadro generale degli sforzi dello spirito umano in tutti i generi e in tutti i secoli ». Di straordinaria modernità, in tal senso, fu il rilievo dato alle arti meccaniche (le voci ad esse dedicate, accompagnate da numerose tavole illustrative, furono il frutto dell’osservazione diretta del lavoro degli operai nelle loro officine) – a dimostrazione di una mentalità laica, razionale e insieme pragmatica. Per tale mentalità, emancipata da ogni dogmatismo e da ogni immobilismo culturale, la stessa scienza era provvisoria e il suo cammino – e con esso quello di tutti gli uomini – sempre aperto al miglioramento e al progresso. La stessa Enciclopedia, infatti, si proponeva non come acquisizione definitiva del sapere, ma come sintesi provvisoria e aperta al futuro. Come dobbiamo allora intendere il monito lanciato da Furet a proposito della Rivoluzione francese e del pensiero che ne è alla base, anche alla luce della celeberrima Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, la quale costituisce la prima traccia di quel problematico e attualissimo fenomeno dei « diritti dell’uomo » ? 6 LA RIVOLUZIONE AMERICANA Premesse Per risanare il proprio bilancio dopo la guerra dei Sette anni, la Gran Bretagna aumentò le tasse ai coloni, praticando una rigida politica mercantilista (Sugar Act, 1764 ; Stamp act, 1765 ; Tea Act, 1773) “No taxation without representation” La questione fiscale assunse il significato di una questione politica di principio. Per i coloni il risveglio d’una coscienza nazionale passa attraverso la tradizione politica inglese : all’inizio, infatti, la protesta contro le nuove imposte viene avvolta nella bandiera dei diritti immemoriali del popolo inglese e della sua Costituzione. 1774 I congresso di Filadelfia I coloni decisero di interrompere gli scambi commerciali con la Gran Bretagna. 1775 Scoppio della guerra d’indipendenza Al fianco dei coloni insorti, guidati da George Washington, interverranno la Francia (1778) e la Spagna (1779). 1776 Dichiarazione d’indipendenza americana Il 4 luglio i rappresentanti dei coloni proclamarono l’indipendenza delle 13 colonie britanniche del Nord America. Il testo della Dichiarazione (redatta da Thomas Jefferson) affermava solennemente il rivoluzionario principio per cui un governo è legittimo solo se gode del consenso dei governati e il popolo ha il diritto di ribellarsi se tale condizione viene a mancare. 1783 Pace di Versailles Dopo la sconfitta a Yorktown (1781) la Gran Bretagna fu costretta a riconoscere l’indipendenza delle 13 colonie. 7 1787 Emanazione della Costituzione degli Stati Uniti d’America Richiamandosi agli ideali affermati nella Dichiarazione d’indipendenza, la Costituzione fece degli Stati Uniti una Repubblica federale presidenziale basata su un bilanciato rapporto di forze tra governo centrale federale e autonomie dei singoli Stati. A fondamento dell’attività degli organi federali vennero posti i principi della separazione dei poteri e dell’equilibrio tra essi, ciascuno dei quali esercitava il proprio controllo sugli altri. La Costituzione degli Stati Uniti, prima Costituzione scritta ispirata a idee liberali e democratiche, segnò una tappa decisiva nello sviluppo del moderno Stato di diritto, imperniato sulla superiorità del governo delle leggi rispetto al governo degli uomini. [1861-1865 Guerra di Secessione La guerra consacrò la supremazia di tutte quelle forze che avrebbero poi trasformato la vecchia America rurale nella nuova America della grande industria e dell’alta finanza.] DOCUMENTI Dichiarazione d’indipendenza « Quando nel corso degli umani eventi si rende necessario ad un popolo sciogliere i vincoli politici che lo avevano legato ad un altro ed assumere tra le potenze della terra quel posto distinto ed eguale cui ha diritto per Legge naturale e divina, un giusto rispetto per le opinioni dell’umanità richiede che esso renda note le cause che lo costringono a tale secessione. – Noi riteniamo che le seguenti verità siano di per se stesse evidenti, che tutti gli uomini sono stati creati uguali, che essi sono stati dotati dal loro Creatore di alcuni Diritti inalienabili, che questi sono la Vita, la Libertà e la ricerca della Felicità. – Che allo scopo di garantire questi diritti, sono creati fra gli uomini i Governi, i quali derivano i loro giusti poteri dal consenso dei governati. » Costituzione degli Stati Uniti d’America « Noi, popolo degli Stati Uniti, allo scopo di creare un’Unione ancor più perfetta, di garantire la giustizia, di assicurare la tranquillità interna, di 8 provvedere alla difesa comune, di promuovere il benessere generale e di salvaguardare per noi stessi e per la nostra posterità i doni della libertà, decretiamo e stabiliamo questa Costituzione degli Stati Uniti d’America. » INTERPRETAZIONI Alla fine del Settecento si vide nella Rivoluzione americana il primo capitolo di un più vasto e più generale processo di liberazione dell’umanità : con essa era iniziata “l’età della rivoluzione democratica”. Questa definizione è oltremodo seducente perché fondata sugli innegabili profondi legami spirituali e culturali fra Europa e America del Nord alla fine del Settecento : “un governo del popolo, per il popolo, con il popolo” (A. Lincoln, 1860). Si potrebbe inserire la Rivoluzione americana, come primo capitolo, nella storia di quel generale risveglio delle nazionalità, di quella rivoluzione liberale e nazionale che contraddistingue la prima metà dell’Ottocento europeo. Non ha forse l’America combattuto la sua Guerra d’Indipendenza contro i dominatori e i tutori stranieri ? In tutta la storia coloniale americana è implicito un rifiuto morale dell’Europa, alla quale si contrappone il mito dell’America come terra di rifugio dalla miseria e dalla corruzione europea. Fossero illuministi, puritani o quaccheri, tutti videro la possibilità di realizzare nelle solitudini americane la loro utopia, quella società ideale da contrapporre all’Europa corrotta e decadente. Ma il loro stesso rifiuto dell’Europa fu in nome di valori tipicamente europei. L’identità nazionale suggellata dalla Costituzione non è che la secolarizzazione della Terra promessa : la giovane Repubblica rappresenta l’avventura della libertà. L’America è contemporaneamente uno spazio (definito territorialmente), una comunità (contrattualistica, antinglese e antimonarchica) e un’idea. 9 RIVOLUZIONE FRANCESE – NAPOLEONE 1789-1815 Premesse politiche ed economiche Crisi economica e dissesto finanziario Il ruolo del “terzo stato” – l’effervescenza ideologica (philosophes) Convocazione degli Stati generali Prima fase rivoluzione 1789-1792 : Dall’Assolutismo al Costituzionalismo Fine dell’Assolutismo e abolizione degli ordinamenti feudali Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino 1789 Costituzione 1791 Seconda fase rivoluzione 1792-1794 : Dalla Monarchia alla Repubblica Sconfitta delle forze moderate : la rivoluzione è diretta dalla sinistra repubblicana Abolizione della monarchia (il re viene ghigliottinato) e proclamazione della Repubblica Giacobini e Robespierre 1793 : dal Comitato di salute pubblica alla Costituzione democratica al Terrore al culto dell’Ente supremo Chiusura processo rivoluzionario 1794-1799 : Riflusso moderato/borghese Smantellamento del regime giacobino Soppressione delle rivolte popolari e monarchiche Costituzione 1795 10 Crisi del Direttorio e colpo di Stato del 18 brumaio : Napoleone Napoleone : dal Consolato all’Impero al crollo Dal Consolato all’Impero (1799-1804) Napoleone domina l’Europa (1805-1811) Crollo Impero napoleonico (1812-1815) 11 RIVOLUZIONE FRANCESE (1789-1799) 1789 Rifiutatasi per l’ennesima volta di pagare le tasse, la nobiltà francese impose al re Luigi XVI di convocare gli Stati generali, assemblea rappresentativa dei tre ordini del regno cui spettava l’ultima parola in materia fiscale (questa assemblea non si riuniva dal 1614). Pur temendo una reazione nobiliare, il re, che per calcolo politico non intendeva alienarsi il sostegno del popolo, acconsentì che fosse aumentato il numero dei delegati del Terzo Stato; nei primi mesi dell’anno si tennero dunque le elezioni per scegliere i deputati da inviare all’assemblea. Di fronte al rifiuto opposto dal re all’introduzione del sistema di voto per testa in luogo di quello tradizionale per ceti, i deputati del Terzo Stato si riunirono separatamente e, coscienti di rappresentare l’intera nazione, si proclamarono Assemblea nazionale, giurando di non separarsi prima di aver dato al paese una nuova Costituzione. Il re cedette e ordinò ai deputati del clero e della nobiltà di unirsi alla nuova assemblea, che si proclamò Assemblea nazionale costituente. Il re non era in realtà intenzionato ad accettare il nuovo corso imposto dai deputati del Terzo Stato e fece circondare Parigi da truppe fedeli; esasperata, la cittadinanza parigina passò all’azione e prese d’assalto la Bastiglia. Il giorno successivo il re annunciò il ritiro delle truppe, mentre la borghesia parigina istituiva una nuova municipalità, il Comune di Parigi. Sollecitata dall’ondata di agitazioni popolari in tutto il paese a sostegno della rivoluzione (nelle città e nelle campagne), l’Assemblea costituente approvò una serie di deliberazioni di rilevanza storica, come l’abolizione degli ordinamenti feudali e la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, che affermava con forza i capisaldi della concezione liberale e democratica dello Stato: uguaglianza di tutti gli uomini, parità dei diritti, libertà individuali, sovranità popolare, separazione dei poteri statali (lo Stato da proprietà della corona diveniva patria comune di tutti i francesi). 1789-1790 Fu abolita la compravendita di cariche pubbliche, furono soppressi i vincoli corporativi che limitavano la vita economica, le tasse divennero obbligatorie per tutti, furono confiscati e venduti i 12 beni della Chiesa per risanare il bilancio statale; fu stabilita la totale nazionalizzazione della Chiesa francese, imponendo a vescovi e parroci, stipendiati dallo Stato, un giuramento di fedeltà alla Costituzione. A fronte di queste trasformazioni, gli aristocratici e i sacerdoti ostili alla rivoluzione emigrarono; lo stesso re tentò di fuggire, ma fu ricondotto a Parigi e, su iniziativa della borghesia, non fu accusato di alto tradimento, per il timore che si potesse aprire la strada a una radicalizzazione del processo rivoluzionario in senso democratico. 1791 A conclusione dei lavori, l’Assemblea emanò una Costituzione, che faceva della Francia una monarchia costituzionale sul modello britannico, fondata sulla divisione dei poteri dello Stato e sulla limitazione delle prerogative del sovrano (potere legislativo: Assemblea legislativa; potere esecutivo: re; potere giudiziario: magistratura). La Costituzione smantellò le strutture dell’assolutismo e dell’Antico Regime, dando luogo alla nascita del primo Stato di diritto nell’Europa continentale. Al contempo essa, pur proclamando l’uguaglianza giuridica di tutti i cittadini, sancì di fatto l’avvento al potere della borghesia proprietaria, limitando il diritto di voto su base censitaria. 1791-1792 Eletta sulla base della nuova legge elettorale, l’Assemblea legislativa che prese il posto dell’Assemblea costituente vide una netta preminenza della destra monarchica e moderata guidata dai foglianti (al centro gli indipendenti o “palude”, a sinistra i girondini e i giacobini). Il governo da essi formato dovette fronteggiare una situazione difficile a causa del cattivo andamento dell’economia, della minaccia di un complotto aristocratico contro al rivoluzione e delle minacce di guerra provenienti dai sovrani di Austria e Prussia. 1792 Il governo, sotto la spinta dei girondini e del re, deliberò un “attacco preventivo” ai danni di Austria e Prussia. L’andamento della guerra fu però disastroso per la Francia. Di fronte all’andamento della guerra, il popolo di Parigi, organizzato nel movimento dei sanculotti, insorse. A Parigi si formò la Comune 13 insurrezionale, che imprigionò il re per tradimento e costrinse l’Assemblea legislativa a sciogliersi dopo aver indetto l’elezione a suffragio universale maschile di una nuova assemblea, la Convenzione. Intanto la Comune assumeva i pieni poteri, dettando legge alla stessa Assemblea; fu inoltre scatenata una durissima offensiva contro gli oppositori interni della rivoluzione a salvaguardia della “salute pubblica” (iniziò in questo modo una prima ondata di terrore). Dopo la vittoria di Valmy, resa possibile dal massiccio contributo di volontari intervenuti in difesa della patria, la Convenzione nazionale proclamò l’abolizione della monarchia e la nascita della Repubblica. 1793 Il processo a Luigi XVI per tradimento evidenziò i contrasti in seno alle forze repubblicane della Convenzione tra i girondini (contrari alle rivendicazioni egualitarie dei sanculotti) e i montagnardi. Alla fine le prove della collusione del sovrano con il nemico fecero prevalere le tesi dei montagnardi e Luigi XVI fu ghigliottinato. L’esecuzione del re e l’espansionismo francese derivante da alcuni successi in guerra misero in allarme tutte le nazioni europee, cosicché anche la Gran Bretagna e la Spagna si allearono ad Austria e Prussia, dando vita alla prima coalizione antifrancese. Sotto l’urto della coalizione nemica le sorti della guerra tornarono a volgere al peggio, così come si faceva sempre più grave la situazione interna a causa dell’inflazione e della scarsità di viveri (rivolta contadina in Vandea). In una situazione di estremo pericolo per la Repubblica, i sanculotti, rispondendo all’appello di Robespierre, accerchiarono la sede della Convenzione e imposero l’arresto dei deputati girondini, accusati di non aver saputo condurre la guerra. La Convenzione si vide costretta ad affidare il governo a un ristretto organismo dotato di poteri dittatoriali, il Comitato di salute pubblica, guidato dai giacobini più intransigenti. Il nuovo governo giacobino, animato da Robespierre, varò una serie di misure economico-sociali a carattere democratico (confisca dei beni degli emigrati, aggravio del peso fiscale a carico dei ricchi, facilitazioni per i contadini che volevano acquistare le terre), impose un sanguinario regime di intolleranza e di terrore contro i nemici interni ed esterni della rivoluzione (furono istituiti i tribunali rivoluzionari, che agivano in base alla “legge contro i 14 sospetti”) e tentò di imporre una nuova cultura rivoluzionaria e radicalmente laica (fu adottato un nuovo calendario). La Convenzione, ormai dominata dai giacobini, approvò una nuova Costituzione democratica che introduceva il suffragio universale maschile e i principi del diritto al lavoro e all’istruzione. 1794 Il governo giacobino salvò il paese dall’occupazione straniera, ma la dittatura del Comitato di salute pubblica suscitò l’opposizione degli “indulgenti” (Danton), che sostenevano la necessità di porre fine al Terrore, e degli “esigenti”, che avevano preso la direzione dell’ala estremista dei sanculotti. Robespierre non esitò a stroncare ambedue le opposizioni. Ormai padrone assoluto del Comitato, Robespierre poté dar corso al progetto di instaurare una democrazia sociale, che avrebbe dovuto essere basata sulla piccola proprietà privata, sul lavoro e sulla virtù di cittadini capaci di sacrificare gli egoismi privati. Per realizzare questo ideale, era necessaria una forte tensione morale; a tale scopo l’“Incorruttibile” ritenne indispensabile la fondazione di una nuova religione repubblicana e sociale di matrice deista, che si basava sul culto dell’Ente Supremo, garante della giustizia “che veglia sull’innocenza oppressa e punisce il crimine trionfante”. Una nuova ondata di Grande Terrore non fece tuttavia che esasperare l’ostilità nei confronti del Comitato e le forze moderate della Convenzione decretarono l’arresto di Robespierre e dei suoi collaboratori, che furono ghigliottinati senza processo (9 termidoro). 1795 Espressione della borghesia agiata, il nuovo gruppo dirigente termidoriano ripristinò la libertà economica e religiosa, smantellando il regime del Terrore. Il ripristino della libertà economica fece ben presto salire i prezzi, sprofondando i ceti popolari nella fame; nella primavera del 1795 il popolo parigino tentò di insorgere, ma la Convenzione stroncò il movimento. Rianimati dalla disfatta giacobina, i monarchici tentarono un colpo di mano, ma l’esercito, comandato da Napoleone Bonaparte, represse la rivolta. Successivamente fu approvata una nuova Carta costituzionale che ritornava al sistema elettorale censitario e che affidava il governo a un Direttorio di cinque membri, che guidò il 15 paese dal 1795 al 1799. Il Direttorio non riuscì a garantire stabilità politica al paese, a causa dell’ancor viva opposizione dei giacobini e dei monarchici; tuttavia il governo riuscì a stroncare nel 1796 la “congiura degli Eguali”, fondata su idee comuniste, e nel 1797 la destra monarchica con l’aiuto dell’esercito. 1796-1797 Nella speranza di poter meglio controllare la situazione interna grazie a una vittoriosa campagna militare, il Direttorio rilanciò la guerra di conquista contro l’Austria, la sola potenza continentale rimasta in guerra con la Francia (Prussia e Spagna avevano concluso nel 1795 dei trattati di pace con la Francia). Mentre le due armate principali, che avrebbero dovuto marciare su Vienna, rimasero bloccate sul Reno, quella impegnata sul fronte italiano fu affidata a Napoleone, che passò di vittoria in vittoria. La discesa dell’esercito francese in Italia provocò un vero terremoto politico nel paese, dove si formarono provvisorie repubbliche controllate dalla Francia (repubbliche ligure e cisalpina, che univa la Repubblica transpadana, a nord del Po, e la Repubblica cispadana): si era infatti creato un fronte di patrioti – borghesi e intellettuali così chiamati per le loro simpatie rivoluzionarie – convinti che l’arrivo dei francesi avrebbe aperto anche per l’Italia una nuova epoca di libertà. Imposto il suo dominio su quasi tutta l’Italia centro-settentrionale, Napoleone riorganizzò di propria iniziativa i territori conquistati e, desideroso di chiudere in fretta la guerra per presentarsi al più presto a Parigi con l’aureola del vincitore, nel 1797 firmò con l’Austria la pace di Campoformio. Questa pace inferse un durissimo colpo alle speranze dei patrioti italiani, che videro sacrificato il paese sull’altare delle ambizioni personali di Napoleone. 1798-1799 Sconfitta l’Austria, Napoleone decise di attaccare la Gran Bretagna, colpendola nei suoi interessi economici vitali in Egitto. Sbarcato ad Alessandria, occupò il Cairo, ma la flotta francese fu distrutta da quella inglese al comando dell’ammiraglio Nelson. Intanto Austria e Russia, unitesi alla Gran Bretagna nella seconda coalizione antifrancese, riconquistavano l’Italia (dove caddero le giovani repubbliche filofrancesi – se n’erano costituite anche a 16 Roma e a Napoli) e giungevano a minacciare le frontiere della Francia. 17 NAPOLEONE – RESTAURAZIONE 1799-1815 Napoleone comincia di già la mistificazione dell’Europa, convinto che la scienza della vita consiste per ciascuno esclusivamente nelle manovre dell’egoismo. Bonaparte non è soltanto un uomo, ma un sistema, e s’egli avesse ragione, la specie umana non sarebbe più ciò che Iddio l’ha fatta. Bisogna esaminarlo, dunque come un grande problema, la cui soluzione interessa il pensiero in tutti i secoli. Madame de Staël, 1818 1799 Colpo di Stato del 18 brumaio (9 novembre) Tornato in patria in un momento di gravi difficoltà per il governo, Napoleone si accordò con il direttore Sieyès (cf. Direttorio) e si impadronì con la forza del potere, sapendo di poter contare sul sostegno dell’esercito e della borghesia. Sciolte le assemblee legislative, si istaurò un governo provvisorio formato da tre consoli. « Rendere la Repubblica cara ai cittadini, dichiara Napoleone il 25 dicembre 1799, rispettabile allo straniero, temibile ai nemici : questi sono gli impegni che noi abbiamo presi accettando la prima magistratura. Essa sarà cara ai cittadini se le leggi e gli atti dell’autorità sono sempre improntati allo spirito dell’ordine, della giustizia e della moderazione. Senza ordine, l’amministrazione non è che un caos : niente finanze, niente credito pubblico ; e con le fortune dello Stato crollano anche quelle dei singoli cittadini. » Emanazione della Costituzione dell’anno VIII Assunta la guida del paese, Napoleone promulgò una nuova Costituzione. La direzione dello Stato venne affidata a tre consoli, ma di fatto i pieni poteri erano nelle mani del primo console, ossia Napoleone stesso : sia il potere legislativo che quello giudiziario persero ogni autonomia e vennero sottoposti all’autorità dell’esecutivo. « Un primo console, dice Napoleone, non rassomiglia a quei re per grazia di Dio che considerano i loro Stati un’eredità. Egli ha bisogno di azioni clamorose e di conseguenza della guerra ». Napoleone riorganizzò lo Stato in modo efficiente, secondo un modello 18 centralistico e autoritario, ma nel contempo istituzionalizzando conquiste fondamentali della rivoluzione francese ; la Francia inoltre, legittimata dall’esperienza rivoluzionaria, avrebbe dovuto guidare gli altri Stati europei verso un più avanzato ordine sociale. L’opera di riorganizzazione dello Stato si inserisce nell’alveo del processo di accentramento amministrativo promosso dall’assolutismo monarchico : assoggettamento dell’amministrazione periferica al controllo dei prefetti ; costituzione di una magistratura di nomina governativa ; fondazione della Banca di Francia ; riorganizzazione del sistema dell’istruzione, posto sotto la diretta gestione dello Stato. 1800-1814 Età napoleonica in Italia Tra il 1800 e il 1809 tutta l’Italia (tranne Sicilia e Sardegna) cadde progressivamente sotto il dominio francese. La sistemazione imposta da Napoleone, da un lato, semplificò la geografia politica della penisola, facendo nascere un Regno d’Italia (nell’Italia centro-settentrionale) dai forti connotati nazionali ; dall’altro, favorì l’ammodernamento dei sistemi amministrativi e degli apparati di governo. 1804 Promulgazione del Codice napoleonico Il nuovo codice civile offriva alla Francia una legislazione chiara e uniforme per tutto il paese, incentrata sul rispetto del diritto di proprietà e sulla regolamentazione dell’istituto familiare. In esso venivano salvaguardati i valori della borghesia proprietaria, stabilendo così un clima di ordine e di sicurezza favorevole allo sviluppo economico. Proclamazione dell’Impero Già detentore di un potere di fatto monarchico, Napoleone ottenne dal Senato una modifica della Costituzione in base alla quale fu proclamato imperatore dei francesi con titolo ereditario. 1805-1811 Apogeo della dominazione napoleonica sull’Europa Sconfiggendo le forze della terza, della quarta e della quinta coalizione antifrancese, Napoleone impose il proprio dominio a tutta l’Europa continentale. 19 1806 Blocco economico continentale Per costringere alla resa la Gran Bretagna, sua irriducibile avversaria, Napoleone decise di colpirla nei suoi interessi economici vitali, vietando a tutti i paesi sotto il controllo francese ogni rapporto commerciale con il regno d’oltremanica. Il blocco continentale non mancò di danneggiare la Gran Bretagna, ma ebbe effetti ancor più negativi sui paesi alleati della Francia, che furono tagliati fuori dai grandi commerci transoceanici controllati dai britannici. Esso tuttavia favorì in una certa misura lo sviluppo di determinati settori dell’industria europea e la formazione di un mercato integrato a livello continentale. 1812 Campagna di Russia Quando la Russia tentò di promuovere una nuova coalizione antifrancese, Napoleone invase il paese. La campagna di Russia si risolse tuttavia in una catastrofe per l’esercito napoleonico. 1814 Abdicazione di Napoleone La disfatta dell’esercito napoleonico in Russia convinse Austria, Prussia, Svezia e Gran Bretagna a unirsi ai russi nella sesta colazione antifrancese, che a Lipsia sconfisse definitivamente Napoleone. Costretto ad abdicare, l’imperatore venne relegato sull’isola d’Elba, mentre sul trono francese veniva restaurato il fratello di Luigi XVI, Luigi XVIII. 1815 Avventura dei Cento giorni Mentre in Austria si svolgevano i lavori del Congresso di Vienna, Napoleone, fuggito dall’Elba, sbarcò in Francia e riassunse il potere. Subito però le potenze della sesta coalizione ripresero le armi e a Waterloo l’esercito napoleonico subì un’irrimediabile sconfitta. Napoleone si consegnò ai britannici, che lo esiliarono sull’isola di Sant’Elena. Congresso di Vienna Crollato l’Impero napoleonico, i nuovi assetti politici e territoriali dell’Europa furono decisi dalle quattro potenze vincitrici (Austria, Russia, Prussia e Gran Bretagna). L’opera del Congresso mirò a restaurare un ordine europeo fondato sui princìpi dell’Antico Regime, rimettendo sui loro troni i sovrani legittimi (principio di legittimità) e ripristinando l’equilibrio tra i 20 grandi Stati (principio dell’equilibrio). La forma di governo più diffusa tornò a essere la monarchia assoluta e una pesante cappa di oppressione politica e culturale calò sull’Europa. 21 I MOTI LIBERALI DEL XIX SECOLO (1815-1848) La Restaurazione e il Congresso di Vienna del 1815 Crollato l’Impero napoleonico, i nuovi assetti politici e territoriali dell’Europa furono decisi dalle quattro potenze vincitrici (Austria, Russia, Prussia e Gran Bretagna) nel corso del Congresso di Vienna (1815). L’opera del Congresso mirò a restaurare un ordine europeo fondato sui principi dell’Antico Regime, rimettendo sui loro troni i sovrani legittimi (principio di legittimità) e ripristinando l’equilibrio tra i grandi Stati (principio di equilibrio). Dall’applicazione di questi due principi derivò il seguente assetto geo-politico : I) la Francia mantenne la sua integrità territoriale, venendo riportata ai confini del 1792 : la realizzazione di un sistema equilibrato richiedeva una Francia non eccessivamente indebolita (intorno al paese fu però creata una cintura di Stati-cuscinetto) ; II) l’Austria (grazie a Metternich, ministro degli esteri e poi anche cancelliere) si ingrandì e poté recuperare tutti i territori sottratti da Napoleone (Trentino, Lombardia, Veneto), divenendo la potenza egemone in Italia (l’unico Stato italiano che non entrò nell’orbita austriaca fu il Regno di Sardegna) ; III) fu costituita una Confederazione germanica di 39 Stati, di cui entrarono a far parte anche la Prussia (che aveva ingrandito il proprio territorio) e l’Austria, al cui imperatore fu attribuita la presidenza della Dieta di Francoforte, l’organo rappresentativo della Confederazione ; IV) la Gran Bretagna ottenne i suoi principali guadagni territoriali nelle colonie (la quasi totalità dei possedimenti coloniali persi dalla Francia passò alla Gran Bretagna) ; la Gran Bretagna, inoltre, vedeva con preoccupazione l’affermarsi di una potenza egemone in Europa, timorosa di veder restringersi il mercato europeo (come era accaduto all’epoca del “blocco continentale” di Napoleone). La forma di governo più diffusa tornò a essere la monarchia assoluta (la Restaurazione incarnò uno spirito antiliberale) e una pesante cappa di oppressione politica e culturale calò sull’Europa, costringendo le forze di opposizione liberali e democratiche a organizzarsi nella clandestinità in “società segrete” (la più importante in Italia fu la Carboneria). Fu tuttavia impossibile 22 riportare in vita l’Antico Regime, poiché le forze politiche, sociali ed economiche che ne avevano provocato la crisi non potevano ormai più essere eliminate : i movimenti liberali, democratici e nazionali (il cui seme era stato diffuso in Europa dalla Rivoluzione francese e dallo stesso Napoleone) e la pressione delle dinamiche economiche in atto dovevano costituire i maggiori fattori di crisi dell’ordine politico internazionale che le grandi potenze si erano impegnate a conservare anche con l’intervento militare (Santa Alleanza, Quadruplice Alleanza). In particolare, la Restaurazione si opponeva al principio di nazionalità, sul quale si fondava l’idea dello Statonazione : l’assetto politico-territoriale deciso dal Congresso di Vienna si ispirava, infatti, su una concezione dello Stato, secondo la quale esso costituiva un bene patrimoniale del sovrano (la monarchia austriaca, per esempio, dominando su una molteplicità di etnie diverse, temeva più di qualsiasi altro Stato lo sviluppo dei movimenti per l’emancipazione nazionale)2. I moti del 1820-1821 Nel 1820-21 una prima ondata di rivolte a carattere costituzionale investì il continente (Spagna, Regno delle due Sicilie, Regno di Sardegna e Lombardia), ma le potenze del “concerto” europeo (alle quattro già menzionate si era aggiunta nel 1818 la Francia dei Borbone) riuscirono a riprendere il controllo della situazione. Nonostante il fallimento di questi moti, i liberali, che guardavano alla Costituzione francese del 1791 come a un modello (libertà Nel corso del Settecento il termine “nazione” assunse la moderna accezione di “popolo”, cioè di comunità di uomini radicata in un determinato territorio e, soprattutto, in possesso di una precisa identità culturale. Determinanti furono le tesi sia di Rousseau, il quale concepì lo Stato come un “corpo morale e collettivo”, cioè una comunità di cittadini capace di esprimere liberamente un insieme di valori e una volontà generale ; sia di Herder, il quale teorizzò l’esistenza di nazioni come comunità “naturali” di popolo, definite una volta per tutte da profondi legami di lingua, razza e costumi. Infine, la cultura romantica sviluppatasi nel primo ventennio dell’Ottocento, specie in Germania (Schlegel, Fichte, Schelling), rilanciò con rinnovato vigore le tesi herderiane ; la riscoperta della storia e delle tradizioni di ciascun popolo (in particolare, un’appassionata rivalutazione del Medioevo, nel quale veniva colto il momento originario di formazione dello spirito delle nazioni europee) venne coniugata con l’amore per la libertà. 2 23 individuali, rappresentatività e divisione dei poteri), rappresentarono la forza di opposizione più consistente, dal momento che i movimenti nazionali erano ancora allo stato embrionale e non potevano quindi rappresentare una seria minaccia per l’assetto continentale vigente. Il fallimento dei moti costituzionali del 1820-1821 confermò la debolezza dell’opposizione liberale : si trattò di iniziative promosse da élites politiche prive dell’appoggio delle masse popolari. Diverso fu il caso della Grecia, che giunse all’indipendenza nel 1829 dopo una lunga guerra iniziata nel 1821 a cui parteciparono, a sostegno dei nazionalisti, Gran Bretagna, Russia e Francia : i fatti di Grecia avevano reso concreta la possibilità di una crisi definitiva dell’Impero ottomano, sui cui territori le grandi potenze appuntavano le proprie contrastanti mire espansionistiche (“questione d’Oriente”). Sebbene i territori turchi fossero fuori dal sistema continentale creato a Vienna, l’Austria non vedeva di buon occhio la vittoria di un movimento nazionale nei Balcani, dove anch’essa era presente. La Gran Bretagna, dal canto suo, temeva che la Russia, conquistando il controllo degli stretti (Bosforo e Dardanelli), potesse minacciare le sue rotte commerciali tra il Mediterraneo orientale e l’India. I moti del 1830-1831 Una prima parziale rottura dell’assetto internazionale di Vienna si ebbe con le rivoluzioni del 1830-31, che portarono all’abbattimento della monarchia borbonica in Francia e all’indipendenza del Belgio dall’Olanda. La rivoluzione in Francia fu provocata dalla politica ultrarealista di Carlo X (successore di Luigi XVIII3), il quale, legato alla fazione La Restaurazione aveva significato il ritorno sul trono della monarchia borbonica con Luigi XVIII, fratello del sovrano ghigliottinato nel 1793. Il ripristino del legittimismo dinastico non si era tradotto tuttavia nella riproposizione pura e semplice dell’Antico Regime : il sovrano aveva infatti concesso nel 1814 una Carta costituzionale, pur conservando la pienezza del potere fondato sull’investitura divina. Sul piano istituzionale la Carta sanciva un ordinamento conservatore con limitati tratti liberali : si trattava di un sistema costituzionale ma non parlamentare, poiché il governo rispondeva esclusivamente al sovrano, prescindendo del tutto dalla volontà della 3 24 nobiliare più reazionaria, ne condivideva i piani di restaurazione integrale. Il tentativo del sovrano di stroncare l’opposizione liberale, che deteneva la maggioranza in Parlamento, si tradusse in una rivolta del popolo parigino nel luglio del 1830, che alla fine abbatté la monarchia. La vittoria fu possibile grazie alla partecipazione delle masse popolari, che invece era mancata nei moti del 1820-21 ; tra le componenti rivoluzionarie prevalse quella liberale moderata, espressione della borghesia industriale e finanziaria : fu l’alta borghesia a imporre una soluzione politica – la salita al trono di Luigi Filippo d’Orleans, “re dei francesi” per volontà della nazione (e non più “re di Francia” per diritto divino) – che appariva la più idonea a salvaguardare i propri interessi sia contro l’eventuale riproporsi di tentativi reazionari sia contro le tendenze democratico-repubblicane. Il principale artefice della politica conservatrice della monarchia orleanista fu Guizot, il quale ispirò la sua azione alla ricerca del “giusto mezzo” tra le spinte reazionarie della nobiltà e la sovversione dei repubblicani e dei socialisti. La politica di Guizot coincise con gli interessi dell’alta borghesia delle banche, della finanza e della grande industria ; corollario economico di questa politica era il liberismo, secondo il celebre motto “laissez faire, laissez passer”. Gli eventi francesi si ripercossero subito nel vicino Belgio : la direzione del moto indipendentista fu assunta dalla borghesia, che gli diede un indirizzo nazionale e liberale. Per l’opposizione della Francia e della Gran Bretagna la sollevazione popolare non fu repressa dalle potenze della Santa Alleanza : il Belgio poté così divenire uno Stato indipendente e dotarsi di una Costituzione liberale. Dopo Parigi e Bruxelles insorse anche Varsavia : la politica reazionaria dello zar Nicola I si era abbattuta anche sulla Polonia. Nella rivoluzione polacca le aspirazioni all’indipendenza si associarono a quelle liberali : nel gennaio del 1831 gli insorti proclamarono l’indipendenza, fiduciosi in un intervento della Francia, la quale scelse tuttavia la prudenza e non sostenne il maggioranza parlamentare (Camera dei Pari, eletti dal re, e Camera dei deputati, eletti da un ristretto numero di cittadini appartenenti alla grande proprietà terriera e all’alta borghesia). 25 principio di non intervento (come aveva fatto per il Belgio). Lo zar, sostenuto da Austria e Prussia, soffocò così nel sangue la rivolta. In Italia, il fallimento dei moti del 1820-1821 non aveva arrestato l’attività cospirativa dei liberali legati alla Carboneria. Quest’ultima era rimasta vitale in quegli Stati che, non coinvolti dalle sollevazioni, non avevano subìto la dura repressione delle forze reazionarie. Gli avvenimenti di Parigi indussero i settari a passare all’azione nell’Italia centrale (Parma, Modena, Reggio Emilia e Stato pontificio) : fiduciosi nell’intervento della Francia (che invece non si mosse), gli insorti non poterono nulla contro la reazione dell’Austria, che ristabilì l’ordine preesistente. Il fallimento di questi moti in Italia palesò i limiti dell’attività condotta dalle società segrete, alle quali mancarono tanto una prospettiva nazionale quanto un’adesione delle masse popolari. Proprio a questi limiti cercò di porre rimedio il programma di Mazzini che puntava a realizzare un’Italia “una, libera, indipendente e repubblicana”4. * Sul piano internazionale si era venuta così a creare una contrapposizione tra le potenze assolutiste (Austria, Russia e Prussia) e quelle liberali (Francia e Gran Bretagna), cui guardavano tutti gli avversari dell’ordine di Vienna. Due diverse Europe Con questa formula Mazzini intendeva affermare che il futuro Stato repubblicano avrebbe dovuto essere unitario e non federale. L’opzione repubblicana era una diretta conseguenza del suo pensiero democratico, secondo il quale solo la Repubblica costituiva un’espressione autentica della sovranità popolare. Con Mazzini il popolo rappresentava una figura ideale e mistica, investita dalla missione storica di realizzare l’unità nazionale : quest’ultima non poteva essere frutto dell’opera di uno dei sovrani che regnavano in Italia, né di un aiuto straniero, ma solo l’esito di una guerra del popolo. Mazzini fece della “Giovine Italia” (1831) e della “Giovine Europa” (1834) gli strumenti con cui formare nel popolo una consapevolezza della necessità di costruire un movimento di emancipazione nazionale. Il progetto di Mazzini incontrò consenso presso ristretti settori della piccola e media borghesia e, in particolare, presso quei gruppi di intellettuali che erano nutriti di idealismo romantico. Il fallimento dei moti mazziniani degli anni Trenta e Quaranta (fratelli Bandiera, 1844) irrobustì la corrente dei liberali moderati, i quali auspicavano che l’unità si compisse mediante un lento processo senza rivolgimenti rivoluzionari (unificazione e mercato nazionale). 4 26 andavano formandosi : una retta da regimi liberali, dove lo sviluppo industriale e la trasformazione borghese della società erano più avanzati ; l’altra conservatrice, dove le strutture economiche e sociali erano più arretrate e le forze del rinnovamento meno dinamiche. In Prussia, per esempio, il tema dell’unità nazionale rimase circoscritto all’agitazione di piccole minoranze intellettuali e studentesche, imbevuto di spirito romantico, che avevano animato la resistenza antifrancese negli anni del dominio napoleonico (cf. Fichte, Discorsi alla nazione tedesca). Si ricorda la Burschenschaft, lega studentesca fondata nel 1815 dagli universitari di Jena, il cui motto era “onore, patria e libertà”. Allarmato da toni sempre più antiaustriaci delle agitazioni, Metternich nel 1819 decise di sciogliere le leghe studentesche, porre sotto sorveglianza le università e limitare la libertà di stampa. In Russia nacque un primo nucleo di opposizione, cui aderirono soprattutto ufficiali dell’esercito, tutti di origine nobiliare. Sorsero così le prime società segrete ; l’insurrezione scattò nel dicembre 1825 (moto decabrista), ma i rivoltosi furono sconfitti e i loro capi impiccati (in seguito, disputa tra “slavofili” e “occidentalisti”). La Gran Bretagna, dal canto suo, era governata da una monarchia parlamentare (Camera dei lord : grande nobiltà e vescovi anglicani, alleati dei tories ; Camera dei comuni : eletta con sistema censitario – piccola nobiltà terriera e ricca borghesia mercantile, alleati dei whigs) : essa tuttavia adottò dopo il 1815 una politica conservatrice, che rinfocolò il malcontento popolare (recrudescenza del movimento luddista, 1816). Ma dal 1824 si avviò una moderata politica riformatrice, che si tradusse nel 1832 con il Reform act, che ampliò il corpo elettorale maschile (un elettore ogni 22 cittadini) : buona parte della media borghesia vide soddisfatte le proprie aspirazioni ; nel frattempo, veniva emanata la prima legge per la tutela del lavoro infantile nelle fabbriche (1833). I primi anni del regno della regina Vittoria (1837-1901) furono contrassegnati dalle violente agitazioni sociali promosse dal movimento cartista, così denominato dalla Carta del popolo, un documento che rivendicava il suffragio universale maschile. Espressione del malcontento della classe operaia, il movimento mirava a ottenere una rappresentanza 27 parlamentare per le classi lavoratrici. Le agitazioni cartiste furono represse con fermezza. Gli sviluppi del sistema liberal-costituzionale posero infine il complesso problema del rapporto tra liberalismo e democrazia (Tocqueville, John Stuart Mill) ; le stesse tematiche ricevettero anche in Italia un impulso, sollecitato dalla questione dell’unità e dell’indipendenza nazionale (Mazzini, Cattaneo : unità nazionale sotto forma di repubblica federale, gli Stati Uniti d’Italia ; Gioberti : istituzione di una Confederazione degli Stati presieduta dal Papa nel rispetto delle dinastie regnanti ; Balbo : programma confederale realizzabile solo nel quadro di una forte iniziativa da parte del Regno di Sardegna). Con l’affermazione della civiltà dell’industria, si delineava in Europa la nuova società borghese, articolata in classi e imperniata sull’antagonismo tra borghesia e proletariato ; quest’ultimo cominciava a organizzarsi nei primi movimenti operai (Trade Unions) e socialisti (Saint-Simon, Fourier, Blanc, Proudhon, Owen5). Le rivoluzioni del 1848-1849 Nel 1848 un movimento rivoluzionario di dimensioni continentali si levò contro l’ordine costituito di Vienna. L’incendio rivoluzionario divampò sullo sfondo della pesante crisi agricola che nei due anni precedenti si era abbattuta sul continente, provocando una grave penuria alimentare e diffondendo lo scontento tra la popolazione. Nel quadro di una situazione economica critica, i conflitti sociali e politici interni si accentuarono sempre più, finendo per esplodere. Saint-Simon teorizzò l’avvento di una società di “produttori” guidata secondo criteri tecnico-scientifici, in cui tutti i cittadini avrebbero dovuto essere attivi ; suo fondamento indispensabile sarebbe stata la fratellanza umana. Proudhon sosteneva che la proprietà fosse un furto : con questa perentoria affermazione egli non intendeva condannare la proprietà in sé, ma quella che garantiva un reddito senza bisogno di lavorare. Owen, un industriale tessile, trasformò la sua azienda in una comunitàmodello, aumentando i salari, diminuendo le ore di lavoro e promuovendo attività culturali e ricreative per il loro tempo libero ; il suo esperimento non fu seguito e naufragò anche per ragioni di inefficienza economica. 5 28 Epicentro della rivoluzione fu Parigi, dove lo schieramento antiorleanista diede vita a un’accesa “campagna dei banchetti”, così chiamata perché i comizi pubblici, proibiti dalle autorità, venivano camuffati da “banchetti” generosamente offerti alla cittadinanza affamata. Punto di incontro delle diverse forme di opposizione era la rivendicazione del suffragio universale maschile. Sordo al crescente malcontento Guizot tentò di impedire un banchetto, al che il popolo parigino insorse, occupò la Camera dei deputati e proclamò la Repubblica (il re dovette riparare all’estero). A potere si insediò un governo provvisorio dominato dai repubblicani e in cui entrarono anche due socialisti. La rivoluzione francese del 1848 segnò l’avvento sulla scena politica del proletariato (gli operai parigini avevano contribuito in misura rilevante al successo della rivolta). Il nuovo esecutivo seguì una politica democratico-socialista : emblematica fu la proclamazione del “diritto al lavoro”, destinato a trovare attuazione nella creazione di “officine nazionali” finanziate dallo Stato ; fu introdotto il suffragio universale maschile, fu ripristinata la libertà di stampa e di parola ; la giornata lavorativa fu limitata a 10 ore. Dalla Francia il moto si propagò all’Impero asburgico, dove i movimenti liberali, democratici e nazionali passarono all’offensiva. A Vienna una sollevazione popolare, guidata da insegnanti e studenti, provocò la caduta di Metternich e la fuga del re ; insorsero poi Budapest e Praga (fu costituito un governo ungherese, che abolì i diritti feudali, e fu eletto un Parlamento a suffragio universale maschile). I fatti di Vienna ebbero immediate ripercussioni anche in Germania ; per prima si sollevò Berlino (il re di Prussia, per salvare il trono, promise una Costituzione e la convocazione di un Parlamento), quindi l’agitazione si estese alle altre città tedesche, coinvolgendo tutti gli Stati della Germania. Fu portato così in primo piano la questione dell’unità nazionale in Germania. Lo stesso re di Prussia si fece paladino, a scopo strumentale, dell’unificazione tedesca, cercando di dirottare su questo obiettivo l’agitazione in corso, temendo che essa potesse svilupparsi in senso liberale e democratico. A Francoforte si riunì l’assemblea nazionale tedesca, al fine di elaborare una Costituzione che avrebbe dovuto essere adottata dalla nuova Germania unificata. 29 I liberali entrarono in fermento anche nel Regno delle due Sicilie, ottenendo dal sovrano la Costituzione. A questo seguì la concessione della Costituzione anche in Toscana, nel Regno di Sardegna (Statuto albertino) e nello Stato pontificio. In marzo poi, pochi giorni dopo la caduta di Metternich, Venezia e Milano (“Cinque giornate”) insorsero contro gli austriaci, costringendoli a ritirarsi. Nella città veneta fu proclamata la Repubblica di San Marco, mentre sull’esempio di Milano si sollevarono anche le altre città lombarde. La vittoria delle insurrezioni antiaustriache in Lombardia e Veneto spinse il re di Sardegna Carlo Alberto, che puntava ad ampliare il proprio regno, a dichiarare guerra all’Austria. A Carlo Alberto si unirono anche i sovrani di Toscana e del Regno delle due Sicilie e il Papa, preoccupati di essere travolti dall’agitazione patriottica e democratica. Lo scontro con l’Austria assunse il carattere di guerra nazionale di stampo federale, in vista cioè della costituzione di una confederazione di Stati retti dalle legittime dinastie. L’intesa antiaustriaca si ruppe rapidamente, a causa dell’ambiguo atteggiamento di Carlo Alberto, che mirava soltanto a conseguire un successo personale attraverso l’annessione del Lombardo-Veneto, e della preoccupazione per l’eventualità di un esito vittorioso dell’agitazione democratica (in questa prospettiva l’Austria appariva più un’alleata che una nemica) ; gli altri regnanti finirono così col disimpegnarsi dal conflitto. La prima guerra d’indipendenza italiana si concluse con la severa sconfitta dell’esercito sabaudo ; gli austriaci, da parte loro, rioccuparono Milano. * Nell’autunno del 1848 la rivoluzione stava ormai rifluendo ovunque in Europa. In Francia l’ordine fu ripristinato con l’avvento al potere di Luigi Napoleone Bonaparte, nipote dell’imperatore e candidato del “partito dell’ordine” alle elezioni presidenziali della repubblica francese. Sostenuto dalla borghesia e dalla destra conservatrice, ottenne i voti di gran parte delle masse popolari, preoccupate (non 30 meno della borghesia) dallo “spettro del comunismo” (MarxEngels) e sensibili alla sua propaganda populista. Nel dicembre del 1848 il sovrano prussiano, che poteva contare sulla fedeltà dell’esercito, sciolse il Parlamento e concesse una Costituzione che ben poco spazio lasciava ai principi del liberalismo. Intanto, i lavori dell’Asseblea di Francoforte, dominata dai liberali di orientamento moderato favorevoli a una monarchia costituzionale, si erano arenati in una contesa tra i fautori della “grande Germania” (Stato germanico comprendente l’Austria posto sotto la guida asburgica) e della “piccola Germania” (senza l’Austria sotto la guida prussiana). Alla fine prevalsero i sostenitori della “piccola Germania”, i quali, dopo aver preparato una Costituzione federale, offrirono il titolo imperiale al sovrano di Prussia. Egli però, temendo una reazione dell’Austria, lo rifiutò, in segno di spregio per una corona che gli veniva attribuita dal “popolo”. Da lì a poco l’Assemblea sarebbe stata sciolta, anche in seguito all’atteggiamento della borghesia, che, temendo una rivoluzione sociale, aveva preferito fare blocco con la nobiltà e la monarchia. Rifiutando la corona imperiale, il re di Prussia non aveva tuttavia inteso a rinunciare a sfruttare in favore del proprio regno l’agitazione nazionale tedesca. Anche in Austria, dopo la promulgazione di una Costituzione ben poco liberale, il potere tornava saldamente nelle mani della monarchia, che reprimeva nel sangue i moti indipendentisti boemo e ungherese. In Italia, nel frattempo, la sconfitta dei piemontesi ridiede slancio all’iniziativa dei democratici : di fronte al fallimento della “guerra federale” dei sovrani, essi ritenevano che fosse giunto il momento di una “guerra del popolo” nel nome della Repubblica. Le forze repubblicane presero così il potere in Toscana e a Roma (Repubblica romana, alla cui testa fu posto un triumvirato formato anche da Mazzini). Incalzato dagli eventi, Carlo Alberto riprendeva la guerra contro l’Austria, ma veniva definitivamente sconfitto, abdicando poco dopo in favore di Vittorio Emanuele II. Ben presto calava il sipario anche sulla repubblica toscana, soppressa dagli austriaci, su quella romana, schiacciata da un esercito francese (Luigi Napoleone intendeva guadagnarsi il completo appoggio delle forze conservatrici cattoliche del suo paese e stabilire un 31 contrappeso all’egemonia austriaca in Italia ; alla difesa di Roma partecipò anche Garibaldi), e su quella di Venezia, ultima ad arrendersi all’Austria nell’agosto del 1849. 32 IL TRIONFO DELLA BORGHESIA 1850-1870 L’assetto politico-territoriale di Vienna era uscito pressoché indenne dalla bufera rivoluzionaria del 1848-1849. Nei due decenni successivi, tuttavia, le forze prorompenti della moderna civiltà borghese e industriale spinsero con sempre maggiore decisione verso nuovi assetti politici e sociali. In campo internazionale si assisté al trionfo dei movimenti nazionalisti in Italia e in Germania. Contemporaneamente l’economia europea compiva un grande balzo in avanti, grazie al decollo della Rivoluzione industriale in diversi Stati del continente e all’affermarsi della rivoluzione dei trasporti e delle comunicazioni, che rese possibile la formazione di un mercato mondiale sempre più integrato dominato dall’Europa. Oltre che sotto la forma del colonialismo (di dimensioni contenute rispetto a quelle del periodo successivo dominato dall’imperialismo), l’espansione europea nel mondo si espresse nella penetrazione commerciale : conquistare nuovi mercati ai propri manufatti divenne un obiettivo irrinunciabile per i paesi industrialmente più avanzati. A questo si aggiunga che il progresso economico portò con sé lo sviluppo delle forze sociali caratteristiche della civiltà industriale : liberalismo e socialismo. In particolare, il movimento socialista visse dopo il 1848 una svolta decisiva, trasformandosi in soggetto politico autonomo e, per iniziativa soprattutto di Marx, dando vita a Londra, nel 1864, alla Prima Internazionale, il cui scopo era di dare un indirizzo unitario alle molteplici organizzazioni socialiste (marxisti, proudhoniani, anarchici). 1852 Nascita del Secondo Impero in Francia Già Presidente della Repubblica, Luigi Napoleone Bonaparte, dopo aver promosso un colpo di Stato che gli conferiva poteri dittatoriali, si fece proclamare “imperatore dei francesi” con il nome di Napoleone III. Nel suo regime convivevano impulso alla modernizzazione e attitudini conservatrici, tentazioni dispotiche e misure democratiche (suffragio universale maschile) ; sotto la sua guida la politica estera francese fu diretta a riportare la Francia ai fasti dell’età napoleonica, 33 nel tentativo di restituirle il ruolo di potenza egemone in Europa e nel mondo (Algeria, Senegal, Indovina & Canale di Suez). Nonostante il suo volto autoritario, l’Impero godette, almeno fino al 1860, di grande popolarità : il notevole progresso economico (industrializzazione, potenziamento delle infrastrutture, smantellamento del sistema protezionistico, esposizioni universali) assicurò ampi consensi tra tutte le classi sociali. 1853-1856 Guerra di Crimea Lo zar Nicola I, che puntava a conquistare gli stretti dei Dardanelli e del Bosforo a spese dell’Impero ottomano (“questione d’Oriente”), provocò una guerra con quest’ultimo con il pretesto di voler proteggere i cristiani ortodossi sotto sovranità ottomana. I turchi, però, forti anche dell’appoggio di britannici e francesi e grazie al non intervento dell’Austria a fianco della Russia, ebbero la meglio. A questa guerra prese parte anche il Regno di Sardegna, che, guidato dal 1852 da Cavour, poté sottoporre all’attenzione dell’Europa la questione italiana. 1858 Accordi di Plombières tra Regno di Sardegna e Francia Convinto della necessità di una guerra contro l’Austria per risolvere la questione dell’indipendenza dell’Italia, Cavour, il cui programma mirava a fare dello Stato sardo la guida del movimento nazionale italiano, si accordò con l’imperatore Napoleone III, dando vita a un’alleanza in funzione antiaustriaca. Con questo accordo Napoleone III, atteggiandosi a paladino delle nazionalità oppresse, sperava di attrarre la penisola nella sfera d’influenza francese. Fu dunque prospettato un assetto politico che avrebbe visto la nascita di una confederazione di Stati (regno dell’alta Italia, dell’Italia centrale e Regno delle due Sicilie) sotto la presidenza onoraria del Papa. 1859 Seconda guerra d’indipendenza italiana Con abilità Cavour spinse l’Austria a dichiarare guerra al Regno di Sardegna (solo così sarebbe scattata l’alleanza stipulata con la Francia). Dopo 34 cruente battaglie le truppe sardo-francesi, rinforzate da volontari accorsi da tutta Italia, ebbero la meglio. Quando tutto faceva pensare che gli alleati avrebbero scatenato l’offensiva finale, Napoleone III improvvisamente propose un armistizio all’Austria (la nascita di un sentimento filopiemontese negli Stati italiani faceva sfumare le pretese egemoniche di Napoleone III in Italia). L’Austria cedette la Lombardia alla Francia, che a sua volta la consegnò al regno sabaudo. 1860 Plebisciti nell’Italia centrale In Emilia Romagna e Toscana, dove si erano insediati governi provvisori in seguito a sollevazioni promosse da elementi filosabaudi, si tennero plebisciti favorevoli all’annessione di quei territori al Regno di Sardegna. Spedizione dei Mille Tentare di estendere il processo di unificazione allo Stato pontificio e al Regno delle due Sicilie avrebbe suscitato l’opposizione di Napoleone III, preoccupato dalla nascita di un forte Stato unitario (di parere opposto era la Gran Bretagna, convinta della necessità di opporre un grande Stato alla Francia nel Mediterraneo). Quando tutto faceva credere che non potessero aver luogo ulteriori sviluppi, ecco che l’iniziativa mazziniana dava nuovo slancio. Con il tacito consenso di Vittorio Emanuele II e sotto il vigile controllo di Cavour, Garibaldi salpò per la Sicilia. Sbarcato nell’isola assunse i pieni poteri in nome del re sabaudo, quindi riguadagnò la terra ferma e, piegando la resistenza delle truppe borboniche, risalì fino a Napoli. Intanto l’esercito sardo occupava le Marche e l’Umbria. La prospettiva di concludere a Roma l’impresa iniziata in Sicilia attraeva sempre più Garibaldi e i democratici, che tuttavia rinunciarono a compromettere l’opera di unificazione del paese. Dei plebisciti sancirono poi l’annessione dei nuovi territori conquistati al Regno di Sardegna. 1861 Proclamazione del Regno d’Italia In seguito alle annessioni decretate dai plebisciti, Vittorio Emanuele II divenne re d’Italia, realizzando il suo disegno di unificare la penisola sotto la monarchia dei Savoia. La soluzione sabauda della questione italiana si era imposta su quella democratico-repubblicana ; le forze sociali 35 trainanti del movimento di unificazione erano state solo gli intellettuali e la borghesia progressista del Centro-Nord. Mancavano ancora al nuovo Stato nazionale il Veneto, Trento, Trieste e Roma con il Lazio. 1861-1876 La Destra storica al potere in Italia La guida del governo del nuovo Stato nazionale italiano fu assunto dalla Destra “storica” (a indicare il ruolo decisivo svolto nella storia italiana), cioè dai liberali moderati che avevano diretto il moto risorgimentale ; alla base dei loro programmi politici c’erano il centralismo amministrativo e il liberismo economico (libero scambio & infrastrutture). Le correnti democratiche formavano invece l’opposizione di Sinistra (Depretis, Crispi), socialmente e territorialmente meno omogenea della Destra e interessata all’allargamento del diritto di voto, al decentramento amministrativo e al completamento in tempi brevi dell’unità. La Destra, che rimase al potere per circa 15 anni, dovette affrontare il difficile compito dell’unificazione amministrativa e legislativa del paese : esso venne risolto estendendo gli ordinamenti del Regno di Sardegna a tutte le altre regioni (lo Statuto albertino divenne la carta costituzionale dello Stato italiano). Fu adottato un assai ristretto suffragio a base censitaria : ossessionati dal timore di una disgregazione dello Stato, i governanti della Destra videro nelle masse popolari un pericolo per le istituzioni. Con una severa politica finanziaria e fiscale il governo riuscì inoltre a portare in pareggio il bilancio dello Stato, fortemente gravato dalle spese sostenute dal Piemonte nelle guerre contro l’Austria : esso fu raggiunto al prezzo di dolorosi sacrifici da parte delle classi popolari (la “tassa sul macinato” del 1869 provocò un aumento del prezzo del pane), sottoposte a un opprimente carico fiscale ; in questo modo si acuì sempre più la frattura tra “paese legale” e “paese reale”. Tra il 1861 e il 1865 si assistette nel Mezzogiorno a una guerra civile che impegnò l’esercito regio contro bande di briganti : il brigantaggio fu la manifestazione più virulenta del distacco esistente tra le massi rurali del Sud e le istituzioni della nuova Italia. 36 1866 Guerra austro-prussiana Il dinamismo delle forze economiche fu alla base del processo di unificazione tedesca : l’ampliamento nel 1854 dello Zollverein (istituito nel 1818), il potenziamento della siderurgia e della meccanica e lo sviluppo di una rete ferroviaria su tutto il territorio tedesco avevano consentito la formazione di un’economia nazionale integrata. Nel quadro di questo processo evolutivo si faceva così sempre più manifesta l’avversione della borghesia industriale tedesca nei confronti della divisione del paese in tanti piccoli Stati con i loro particolari ordinamenti giuridici e sistemi monetari. In questo senso il programma di Bismarck, nominato cancelliere nel 1862, si conciliava perfettamente con il processo di unificazione, poiché egli considerava la potenza dell’industria un presupposto fondamentale della potenza militare. La Gran Bretagna, da parte sua, guardava con favore a una Germania unita, considerandola un contrappeso alla potenza francese a ovest e a quella russa a est. In questo senso, con l’obiettivo di estromettere l’Austria dalla Germania, primo passo verso l’unificazione del paese sotto la Prussia, Bismarck provocò una guerra nella quale la rivale venne sconfitta. La Prussia annetté alcuni territori tedeschi e l’anno dopo diede vita alla Confederazione della Germania del Nord (composta dagli Stati a nord del Meno). Per completare l’unità tedesca (ad essa mancavano gli Stati meridionali), era a questo punto necessario coinvolgere i sovrani e il popolo della Germania in una guerra patriottica contro un nemico comune esterno : la Francia. Terza guerra di indipendenza italiana Lo scoppio della guerra austro-prussiana indusse l’Italia a prendere le armi contro l’Austria allo scopo di strapparle i territori italiani ancora in suo possesso. La guerra ebbe, sul piano militare, un esito disastroso per l’Italia, che tuttavia, grazie alla vittoria della Prussia sull’Austria, poté ottenere da quest’ultima il Veneto (il dominio austriaco sul Trentino e la Venezia Giulia continuerà fino alla Prima guerra mondiale). 1867 Compromesso austro-ungarico Nel tentativo di arginare la crisi delle strutture istituzionali che travagliava l’Impero, Francesco Giuseppe accolse le rivendicazioni autonomistiche ungheresi, dividendo la monarchia asburgica nei due Stati di Austria e di 37 Ungheria. Benché con un unico sovrano, i due Stati erano dotati di governi e Parlamenti propri. 1870 Scoppio della guerra franco-prussiana Contrario all’unificazione tedesca, Napoleone III dichiarò guerra alla Prussia, cadendo nella trappola tesagli da Bismarck. In poco meno di due mesi i prussiani, cui si erano uniti gli altri Stati tedeschi, penetrarono in Francia e sbaragliarono l’esercito francese. Il disastroso andamento della guerra contro la Prussia provocò la caduta di Napoleone III : subito dopo fu proclamata la Repubblica e si costituì un governo di difesa nazionale. I prussiani riuscirono però a raggiungere Parigi e a cingerla d’assedio, costringendo il governo francese a firmare l’armistizio. Occupazione italiana di Roma Se ferma era la volontà del governo italiano di giungere all’annessione di Roma, altrettanto ferma era quella di papa Pio IX di conservare sulla città la propria sovranità, che egli considerava condizione indispensabile per la libertà della Chiesa (con il pontefice si era schierato Napoleone III, che manteneva a Roma un presidio militare). Nonostante già Cavour avesse auspicato, dopo il 1861, la netta separazione tra Stato e Chiesa (“libera Chiesa in libero Stato”), la posizione papale contro il liberalismo (Sillabo, 1864) precludeva ogni possibilità di dialogo tra Stato e Chiesa. In questa situazione di stallo mazziniani e garibaldini presero l’iniziativa puntando a un’azione di forza, ma furono fermati. Approfittando ora del crollo dell’Impero di Napoleone III, l’esercito italiano occupò la città ; un plebiscito sanzionò l’annessione di Roma e del Lazio al Regno d’Italia. Circa un anno dopo la sua occupazione Roma divenne la capitale d’Italia ; dal canto suo Pio IX, dichiaratosi prigioniero in Vaticano, scomunicò il re e i governanti italiani. Il rifiuto del Papa di riconoscere il Regno d’Italia non lasciò allo Stato altra via che quella di regolare unilateralmente i suoi rapporti con la Chiesa : nel 1871 il Parlamento votò la “legge delle guarentigie”, così chiamata perché intesa a garantire i diritti del pontefice secondo il principio cavouriano della reciproca libertà di Stato e Chiesa. Essa non venne però accettata dal Papa e la questione romana rimase perciò aperta (per una sua risoluzione bisognerà attendere i Patti lateranensi del 38 1929). Nel 1874 Pio IX esortò i cattolici a non partecipare alle elezioni politiche. 1871 Unificazione della Germania Sconfitta la Francia con le armi, Bismarck vide realizzato il suo piano di unificare la Germania, di cui divenne imperatore Guglielmo I di Prussia. La Comune di Parigi Deluso dall’armistizio con la Prussia, il popolo parigino insorse contro il nuovo governo repubblicano e diede vita alla Comune. Per il suo programma di ispirazione socialista (diritto al lavoro, giornata lavorativa di 10 ore, esproprio delle attività produttive abbandonate dai proprietari), questa assemblea municipale divenne subito l’incubo della borghesia e, dopo poche settimane, fu abbattuta in un bagno di sangue. 39