Materiale di Storia 1700-1800

IL SECOLO DEI LUMI 1715-1789
Verso la Rivoluzione francese
Durante il « secolo dei lumi » – è così che viene comunemente
interpretato il Settecento – nuovi scenari politici, economici e
sociali si delinearono in Europa. È necessario tuttavia fornire fin da
subito una chiave interpretativa di questo complesso periodo
storico, nel corso del quale ci imbatteremo in fenomeni decisivi
all’interno della nostra storia : si pensi tra tutti alla Prima
rivoluzione industriale in Gran Bretagna, alla Rivoluzione americana
e, soprattutto, a quella Rivoluzione spirituale che è l’Illuminismo.
Una rivoluzione, quest’ultima, che risulta essere tanto fondamentale
da aver dato il nome a un’intera epoca. Non è un caso allora che il
periodo storico in analisi si fermi al 1789, data d’inizio della
Rivoluzione francese, nella quale confluiscono tutte le riflessioni
propriamente filosofiche che avevano animato il dibattito culturale in
Europa e che determinarono il senso stesso delle rivoluzioni
politiche ed economiche che interessarono il Settecento. In altre
parole, la Rivoluzione francese costituisce il punto di arrivo della
nostra ricerca, nella misura in cui le analisi relative a questo secolo
potranno fornirci le indicazioni necessarie a comprendere l’intera
portata di quel fenomeno – la Rivoluzione francese, appunto – a cui
costantemente ci richiamiamo ancora oggi nel momento in cui
viene creata una nuova formazione politica, sia essa uno Stato
nazionale o addirittura l’Unione europea.
Illuminismo e Rivoluzione francese : è questa la coppia concettuale
intorno a cui ruotano queste osservazioni. Meglio : l’Illuminismo è
la chiave di lettura della Rivoluzione francese e, più ampiamente,
dell’intero Settecento, di cui detta Rivoluzione costituisce il culmine.
Che cosa infatti si nasconde nella presa della Bastiglia del 1789,
nella dittatura giacobina di Robespierre del 1793, nella reazione
termidoriana del 1794, nel colpo di Stato del 18 brumaio del 1799
(Napoleone si impadronì con la forza del potere) e nella
proclamazione nel 1804 di Napoleone a imperatore dei francesi con
titolo ereditario ? Scrive François Furet in un suo splendido saggio
intitolato Augustin Cochin : La teoria del giacobinismo (in Critica della
Rivoluzione francese, Laterza, Roma-Bari 2004) : « La società di
pensiero di tipo “filosofico” costituisce nel XVIII secolo la matrice
di un nuovo rapporto politico che sarà una caratteristica della
Rivoluzione, la sua principale innovazione. Nel consenso delle logge,
dei circoli e dei musei già si profila la volontà generale di Rousseau,
quella libertà imprescrittibile del cittadino che non è riducibile ai
suoi interessi particolari, “quel puro atto dell’intelletto che, ridotta al
silenzio ogni passione, riflette su ciò che l’uomo può esigere dal suo
simile, e su ciò che il suo simile ha il diritto di esigere da lui”
[Rousseau, Contratto sociale, 1762] : la società filosofica è la prima
forma di produzione di un obbligo collettivo nato dalla combinazione
di un meccanismo sociologico con una filosofia dell’individuo. La
somma delle volontà libere crea la tirannia del Sociale, religione della
Rivoluzione francese e del XIX secolo ».
*
La citazione da Furet ci serve da spunto per iniziare a comprendere
che cosa sia stato l’Illuminismo e quale sia stata la portata di questo
fenomeno, che sembra aver avuto inizio intorno al 1730 in Francia,
per poi diffondersi in tutta Europa condizionando le vicende
culturali e politiche in Italia, in Russia, in Austria e in Prussia. Prima
tuttavia di ampliare la riflessione sull’Illuminismo, pare opportuno
premettere alcune annotazioni di carattere geopolitico, che ci
permettono di comprendere ancor più chiaramente lo spirito che
vigeva in Europa a quel tempo.
Austria, Russia e Prussia formano, insieme a Gran Bretagna e
Francia, le cinque maggiori potenze europee nel periodo successivo
al tramonto del predominio francese di Luigi XIV. Tra di esse si
formò un sistema politico internazionale fondato sul « principio
dell’equilibrio », sancito dai trattati di pace che posero termine alla
guerra di Successione spagnola. Tuttavia il nuovo ordine
continentale fondato sull’equilibrio non garantì la pace : ne siano
una prova la guerra della Quadruplice Alleanza (1717-1719), le
guerre di Successione polacca (1733-1738) e austriaca (1740-1748),
causate da crisi aperte da questioni dinastiche, e la guerra dei Sette
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anni (1756-1763), nella quale confluirono gli antagonismi austroprussiano e franco-britannico già emersi nella guerra di Successione
austriaca. Valgano poi alcune osservazioni sulla condizione in cui si
trovarono alla fine del Settecento le potenze prima menzionate : se,
da una parte, la Gran Bretagna rafforzò il proprio primato
marittimo e coloniale e, conseguentemente, la propria posizione di
potenza mondiale (nonostante la perdita delle colonie
nordamericane, che diedero vita tra il 1776 e il 1783 a un nuovo
Stato indipendente, gli Stati Uniti d’America, che si richiamava agli
ideali liberali e democratici proclamati dall’Illuminismo), dall’altra
Austria, Prussia e Russia iniziarono sempre più decisamente ad
attrezzarsi per conquistare un ruolo di primo piano sulla scena
internazionale. Un interessante aspetto è costituito dalla politica
espansionistica operata a partire dal 1739 dall’Austria e, in
particolare, dalla Russia ai danni dell’Impero ottomano in vista della
conquista di uno sbocco sul Mar Nero, ossia sul Mediterraneo
(prima e seconda guerra contro i turchi promosse da Caterina II,
1769 & 1787-1792). A questo si aggiungano le tre « spartizioni della
Polonia » operate da Austria, Russia e Prussia tra il 1772 e il 17951.
Torniamo ora al tema delle nostre analisi sull’Illuminismo e
sull’influenza da esso esercitata sul pensiero politico settecentesco
in Europa e, più precisamente, proprio in quelle grandi nazioni a cui
abbiamo fatto più sopra riferimento – eccezion fatta per la Francia
e la Gran Bretagna, la quale nel corso di questo secolo compì
ulteriori decisivi passi verso il « parlamentarismo », andando ben
oltre i limiti fissati dal Bill of Rights. In Gran Bretagna, infatti, venne
istituzionalizzata la pratica che faceva del gabinetto dei ministri –
formato da membri del partito di maggioranza – il vero detentore
Si precisino qui alcuni aspetti riguardanti la storia della Prussia e della Russia durante
il periodo di Luigi XIV. Tra il 1660 e il 1688, sotto il governo di Federico Guglielmo,
il Brandeburgo-Prussia, il più vasto e potente dei principati tedeschi, si trasformò in
uno Stato unitario con un governo accentrato di tipo assolutistico sul modello
francese. Allo stesso modo, la Russia dello zar Pietro I Romanov (detto « il Grande »)
fu trasformata in una monarchia centralizzata e burocratica di stampo europeo:
affascinato dal progresso scientifico e tecnologico dell’Occidente, Pietro I rinnovò le
strutture produttive del paese (sul modello protezionistico di Colbert), limitò
l’influenza politica e la potenza economica del clero e fece ogni sforzo per rompere il
secolare isolamento culturale della Russia. Emblematica a questo proposito è la
costruzione di Pietroburgo – la nuova capitale – sotto la direzione di ingegneri e
architetti italiani, tedeschi e svizzeri.
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del potere esecutivo, responsabile davanti al Parlamento : ciò
significava che un gabinetto, per mantenersi, doveva godere della
fiducia del Parlamento anziché del Re. Nello stesso tempo il
Parlamento avocò a sé tutto il potere legislativo, dapprima
condiviso con la Corona, che aveva in materia un diritto di veto.
Ora, in Austria, Russia e Prussia ebbe luogo il noto fenomeno del
« dispotismo illuminato », nel quale la forma politica
dell’assolutismo venne sempre più rischiarata dal lume della ragione,
evolvendosi dunque in un sistema sempre più democratico, sempre
più civile. Detto altrimenti, nel corso del Settecento e, più
specificamente, all’interno della riflessione dei philosophes francesi
vengono gettate le basi di quello che chiamiamo « Stato di diritto »,
col quale si assiste al superamento di quel sistema politico,
economico e sociale che va comunemente sotto il nome di « Antico
Regime ». Pensiamo, tra gli altri, ai casi di Federico II di Prussia
(1740-1786), della zarina Caterina II di Russia e di Maria Teresa
d’Asburgo, la quale, in particolare, diede il via tra il 1740 e il 1780 a
una politica di riformismo che spaziava dalla razionalizzazione
dell’apparato di governo alla centralizzazione amministrativa, dalla
più equa ripartizione delle imposte (al cui pagamento vennero
costretti anche i nobili) alla realizzazione di un nuovo catasto
(anche nel Ducato di Milano, secondo la nuova metodologia
“parcellare”, i cui parametri fondamentali erano la destinazione
d’uso e la produttività dei suoli), dall’introduzione dell’istruzione
primaria obbligatoria alla laicizzazione delle scuole, dalla
soppressione delle corporazioni all’abolizione della tortura. Una
politica, quella di Maria Teresa, che fu fortemente condiviso dal
figlio e successore Giuseppe II d’Asburgo, il quale concesse la
tolleranza religiosa, sottopose la Chiesa cattolica all’autorità dello
Stato e promulgò un nuovo codice penale che stabiliva
l’uguaglianza dei sudditi di fronte alla legge (« giuseppinismo »).
*
Ma per quale motivo compaiono allora nelle parole di Furet sopra
citate espressioni come « tirannia del sociale », e perché la filosofia
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o, meglio, la società filosofica – la quale costituisce il culmine della
società civile – diviene « la prima forma di produzione di un
obbligo collettivo » ? « Obbligo », « tirannia »… sono parole che
evocano una minaccia, e non una limpida e lineare emancipazione
dell’uomo, il quale avrebbe in questo periodo sempre più coltivato i
valori civili dell’uguaglianza, della libertà e della tolleranza, e che
conseguentemente avrebbe favorito un vasto programma di riforme
“modernizzatrici” nel campo dell’amministrazione, dell’economia,
dell’istruzione e dei rapporti tra Stato e Chiesa. Che dire poi della
definizione del « Sociale » in termini di una « religione » della
Rivoluzione francese e, più ampiamente ancora, di tutto l’Ottocento
(« Stato liberale ») ?
Ricordiamo le parole con cui Augustin Cochin definiva il
giacobinismo e, più precisamente, il tristemente noto fenomeno del
« Comitato di salute pubblica », con il quale ebbe inizio la fase del
Grande Terrore : « La “salute pubblica” è una finzione
indispensabile, in democrazia, come il “diritto divino” in un regime
autoritario ». Il riferimento è certamente l’episodio che vide
coinvolto l’intero partito giacobino in una mattanza devastante ; e
tuttavia è chiaro come l’espressione « salute pubblica » evochi un
valore da noi considerato “sacro”, per il quale cioè saremmo
disposti, proprio per difendere la democrazia, anche a commettere
dei crimini pur di preservarlo. « Salute pubblica » diviene allora la
traduzione secolarizzata di quella salvezza eterna che animava gli
strenui difensori di una fede che si era sempre più cristallizzata in
una vuota dottrina tanto perbenista quanto quella liberal-borghese
(si pensi, a questo proposito, al fenomeno tipicamente illuminista
del « deismo », in cui tutte le Chiese storicamente esistenti vengono
rifiutate in nome di una religione “naturale”, fondata sulla sola
ragione. I deisti non sono atei : per loro era infatti razionale credere
in un Dio creatore e ordinatore dell’universo e provare gratitudine e
ammirazione per lui).
Ma non è tutto questo in netto contrasto con la concezione comune
dell’Illuminismo e della stessa Rivoluzione francese ? L’illuminismo,
infatti, si affermò anche in Italia tra il 1750 e il 1770, e vide tra i
protagonisti Giambattista Vico, i fratelli Pietro e Alessandro Verri
(Il Caffè, 1764-1766) e, soprattutto, Cesare Beccaria, il cui nome è
legato al celeberrimo trattato Dei delitti e delle pene (1764), in cui
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l’autore sostiene, sulla scorta dei principi utilitaristici, razionalistici e
umanitari (in che senso ?) propri dell’Illuminismo, la necessità che il
giudice sia imparziale e distinto dall’accusatore, che le leggi siano
scritte in modo chiaro e inequivocabile, che le pene siano
commisurate ai delitti. In questa prospettiva Beccaria esprime una
risoluta condanna della pensa di morte, definita una « guerra della
nazione contro un cittadino », priva di ogni fondamento giuridico e
inutile come deterrente di fronte al crimine. In sostituzione di essa
Beccaria propone lunghe pene detentive basate sul lavoro, dal
momento che costituiscono esempi ben più efficaci nella
prevenzione del delitto.
Un’epoca riformatrice, dunque, capace di produrre tra il 1751 e il
1772 quell’impressionante progetto che fu l’Enciclopedia di Diderot e
D’Alembert, e alla quale contribuirono intellettuali del calibro di
Voltaire, Montesquieu e Rousseau. Scopo dell’Enciclopedia, secondo
le parole dello stesso Diderot, è quello di delineare « un quadro
generale degli sforzi dello spirito umano in tutti i generi e in tutti i
secoli ». Di straordinaria modernità, in tal senso, fu il rilievo dato
alle arti meccaniche (le voci ad esse dedicate, accompagnate da
numerose tavole illustrative, furono il frutto dell’osservazione
diretta del lavoro degli operai nelle loro officine) – a dimostrazione
di una mentalità laica, razionale e insieme pragmatica. Per tale
mentalità, emancipata da ogni dogmatismo e da ogni immobilismo
culturale, la stessa scienza era provvisoria e il suo cammino – e con
esso quello di tutti gli uomini – sempre aperto al miglioramento e al
progresso. La stessa Enciclopedia, infatti, si proponeva non come
acquisizione definitiva del sapere, ma come sintesi provvisoria e
aperta al futuro.
Come dobbiamo allora intendere il monito lanciato da Furet a
proposito della Rivoluzione francese e del pensiero che ne è alla
base, anche alla luce della celeberrima Dichiarazione dei diritti dell’uomo
e del cittadino del 1789, la quale costituisce la prima traccia di quel
problematico e attualissimo fenomeno dei « diritti dell’uomo » ?
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LA RIVOLUZIONE AMERICANA
Premesse Per risanare il proprio bilancio dopo la guerra dei Sette
anni, la Gran Bretagna aumentò le tasse ai coloni, praticando una
rigida politica mercantilista (Sugar Act, 1764 ; Stamp act, 1765 ; Tea
Act, 1773)
“No taxation without representation” La questione fiscale
assunse il significato di una questione politica di principio. Per i
coloni il risveglio d’una coscienza nazionale passa attraverso la
tradizione politica inglese : all’inizio, infatti, la protesta contro le
nuove imposte viene avvolta nella bandiera dei diritti immemoriali
del popolo inglese e della sua Costituzione.
1774 I congresso di Filadelfia I coloni decisero di interrompere
gli scambi commerciali con la Gran Bretagna.
1775 Scoppio della guerra d’indipendenza Al fianco dei coloni
insorti, guidati da George Washington, interverranno la Francia
(1778) e la Spagna (1779).
1776 Dichiarazione d’indipendenza americana Il 4 luglio i
rappresentanti dei coloni proclamarono l’indipendenza delle 13
colonie britanniche del Nord America. Il testo della Dichiarazione
(redatta da Thomas Jefferson) affermava solennemente il
rivoluzionario principio per cui un governo è legittimo solo se gode
del consenso dei governati e il popolo ha il diritto di ribellarsi se tale
condizione viene a mancare.
1783 Pace di Versailles Dopo la sconfitta a Yorktown (1781) la
Gran Bretagna fu costretta a riconoscere l’indipendenza delle 13
colonie.
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1787 Emanazione della Costituzione degli Stati Uniti
d’America Richiamandosi agli ideali affermati nella Dichiarazione
d’indipendenza, la Costituzione fece degli Stati Uniti una Repubblica
federale presidenziale basata su un bilanciato rapporto di forze tra
governo centrale federale e autonomie dei singoli Stati. A
fondamento dell’attività degli organi federali vennero posti i
principi della separazione dei poteri e dell’equilibrio tra essi,
ciascuno dei quali esercitava il proprio controllo sugli altri. La
Costituzione degli Stati Uniti, prima Costituzione scritta ispirata a
idee liberali e democratiche, segnò una tappa decisiva nello sviluppo
del moderno Stato di diritto, imperniato sulla superiorità del
governo delle leggi rispetto al governo degli uomini.
[1861-1865 Guerra di Secessione La guerra consacrò la
supremazia di tutte quelle forze che avrebbero poi trasformato la
vecchia America rurale nella nuova America della grande industria e
dell’alta finanza.]
DOCUMENTI
Dichiarazione d’indipendenza « Quando nel corso degli umani
eventi si rende necessario ad un popolo sciogliere i vincoli politici
che lo avevano legato ad un altro ed assumere tra le potenze della
terra quel posto distinto ed eguale cui ha diritto per Legge naturale
e divina, un giusto rispetto per le opinioni dell’umanità richiede che
esso renda note le cause che lo costringono a tale secessione. – Noi
riteniamo che le seguenti verità siano di per se stesse evidenti, che
tutti gli uomini sono stati creati uguali, che essi sono stati dotati dal
loro Creatore di alcuni Diritti inalienabili, che questi sono la Vita, la
Libertà e la ricerca della Felicità. – Che allo scopo di garantire questi
diritti, sono creati fra gli uomini i Governi, i quali derivano i loro
giusti poteri dal consenso dei governati. »
Costituzione degli Stati Uniti d’America « Noi, popolo degli
Stati Uniti, allo scopo di creare un’Unione ancor più perfetta, di
garantire la giustizia, di assicurare la tranquillità interna, di
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provvedere alla difesa comune, di promuovere il benessere generale
e di salvaguardare per noi stessi e per la nostra posterità i doni della
libertà, decretiamo e stabiliamo questa Costituzione degli Stati Uniti
d’America. »
INTERPRETAZIONI
Alla fine del Settecento si vide nella Rivoluzione americana il primo
capitolo di un più vasto e più generale processo di liberazione
dell’umanità : con essa era iniziata “l’età della rivoluzione
democratica”. Questa definizione è oltremodo seducente perché
fondata sugli innegabili profondi legami spirituali e culturali fra
Europa e America del Nord alla fine del Settecento : “un governo
del popolo, per il popolo, con il popolo” (A. Lincoln, 1860).
Si potrebbe inserire la Rivoluzione americana, come primo capitolo,
nella storia di quel generale risveglio delle nazionalità, di quella
rivoluzione liberale e nazionale che contraddistingue la prima metà
dell’Ottocento europeo. Non ha forse l’America combattuto la sua
Guerra d’Indipendenza contro i dominatori e i tutori stranieri ?
In tutta la storia coloniale americana è implicito un rifiuto morale
dell’Europa, alla quale si contrappone il mito dell’America come
terra di rifugio dalla miseria e dalla corruzione europea. Fossero
illuministi, puritani o quaccheri, tutti videro la possibilità di
realizzare nelle solitudini americane la loro utopia, quella società
ideale da contrapporre all’Europa corrotta e decadente. Ma il loro
stesso rifiuto dell’Europa fu in nome di valori tipicamente europei.
L’identità nazionale suggellata dalla Costituzione non è che la
secolarizzazione della Terra promessa : la giovane Repubblica
rappresenta
l’avventura
della
libertà.
L’America
è
contemporaneamente uno spazio (definito territorialmente), una
comunità (contrattualistica, antinglese e antimonarchica) e un’idea.
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RIVOLUZIONE FRANCESE – NAPOLEONE
1789-1815
Premesse politiche ed economiche
Crisi economica e dissesto finanziario
Il ruolo del “terzo stato” – l’effervescenza ideologica (philosophes)
Convocazione degli Stati generali
Prima fase rivoluzione 1789-1792 :
Dall’Assolutismo al Costituzionalismo
Fine dell’Assolutismo e abolizione degli ordinamenti feudali
Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino 1789
Costituzione 1791
Seconda fase rivoluzione 1792-1794 :
Dalla Monarchia alla Repubblica
Sconfitta delle forze moderate : la rivoluzione è diretta dalla sinistra
repubblicana
Abolizione della monarchia (il re viene ghigliottinato) e
proclamazione della Repubblica
Giacobini e Robespierre 1793 : dal Comitato di salute pubblica alla
Costituzione democratica al Terrore al culto dell’Ente supremo
Chiusura processo rivoluzionario 1794-1799 :
Riflusso moderato/borghese
Smantellamento del regime giacobino
Soppressione delle rivolte popolari e monarchiche
Costituzione 1795
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Crisi del Direttorio e colpo di Stato del 18 brumaio : Napoleone
Napoleone :
dal Consolato all’Impero al crollo
Dal Consolato all’Impero (1799-1804)
Napoleone domina l’Europa (1805-1811)
Crollo Impero napoleonico (1812-1815)
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RIVOLUZIONE FRANCESE (1789-1799)
1789 Rifiutatasi per l’ennesima volta di pagare le tasse, la nobiltà
francese impose al re Luigi XVI di convocare gli Stati generali,
assemblea rappresentativa dei tre ordini del regno cui spettava
l’ultima parola in materia fiscale (questa assemblea non si riuniva dal
1614). Pur temendo una reazione nobiliare, il re, che per calcolo
politico non intendeva alienarsi il sostegno del popolo, acconsentì
che fosse aumentato il numero dei delegati del Terzo Stato; nei
primi mesi dell’anno si tennero dunque le elezioni per scegliere i
deputati da inviare all’assemblea. Di fronte al rifiuto opposto dal re
all’introduzione del sistema di voto per testa in luogo di quello
tradizionale per ceti, i deputati del Terzo Stato si riunirono
separatamente e, coscienti di rappresentare l’intera nazione, si
proclamarono Assemblea nazionale, giurando di non separarsi
prima di aver dato al paese una nuova Costituzione. Il re cedette e
ordinò ai deputati del clero e della nobiltà di unirsi alla nuova
assemblea, che si proclamò Assemblea nazionale costituente. Il
re non era in realtà intenzionato ad accettare il nuovo corso
imposto dai deputati del Terzo Stato e fece circondare Parigi da
truppe fedeli; esasperata, la cittadinanza parigina passò all’azione e
prese d’assalto la Bastiglia. Il giorno successivo il re annunciò il
ritiro delle truppe, mentre la borghesia parigina istituiva una nuova
municipalità, il Comune di Parigi. Sollecitata dall’ondata di
agitazioni popolari in tutto il paese a sostegno della rivoluzione
(nelle città e nelle campagne), l’Assemblea costituente approvò una
serie di deliberazioni di rilevanza storica, come l’abolizione degli
ordinamenti feudali e la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e
del cittadino, che affermava con forza i capisaldi della concezione
liberale e democratica dello Stato: uguaglianza di tutti gli uomini,
parità dei diritti, libertà individuali, sovranità popolare, separazione
dei poteri statali (lo Stato da proprietà della corona diveniva patria
comune di tutti i francesi).
1789-1790 Fu abolita la compravendita di cariche pubbliche, furono
soppressi i vincoli corporativi che limitavano la vita economica, le
tasse divennero obbligatorie per tutti, furono confiscati e venduti i
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beni della Chiesa per risanare il bilancio statale; fu stabilita la totale
nazionalizzazione della Chiesa francese, imponendo a vescovi e
parroci, stipendiati dallo Stato, un giuramento di fedeltà alla
Costituzione. A fronte di queste trasformazioni, gli aristocratici e i
sacerdoti ostili alla rivoluzione emigrarono; lo stesso re tentò di
fuggire, ma fu ricondotto a Parigi e, su iniziativa della borghesia,
non fu accusato di alto tradimento, per il timore che si potesse
aprire la strada a una radicalizzazione del processo rivoluzionario in
senso democratico.
1791 A conclusione dei lavori, l’Assemblea emanò una
Costituzione, che faceva della Francia una monarchia
costituzionale sul modello britannico, fondata sulla divisione dei
poteri dello Stato e sulla limitazione delle prerogative del sovrano
(potere legislativo: Assemblea legislativa; potere esecutivo: re;
potere giudiziario: magistratura). La Costituzione smantellò le
strutture dell’assolutismo e dell’Antico Regime, dando luogo alla
nascita del primo Stato di diritto nell’Europa continentale. Al
contempo essa, pur proclamando l’uguaglianza giuridica di tutti i
cittadini, sancì di fatto l’avvento al potere della borghesia
proprietaria, limitando il diritto di voto su base censitaria.
1791-1792 Eletta sulla base della nuova legge elettorale, l’Assemblea
legislativa che prese il posto dell’Assemblea costituente vide una
netta preminenza della destra monarchica e moderata guidata dai
foglianti (al centro gli indipendenti o “palude”, a sinistra i girondini
e i giacobini). Il governo da essi formato dovette fronteggiare una
situazione difficile a causa del cattivo andamento dell’economia,
della minaccia di un complotto aristocratico contro al rivoluzione e
delle minacce di guerra provenienti dai sovrani di Austria e Prussia.
1792 Il governo, sotto la spinta dei girondini e del re, deliberò un
“attacco preventivo” ai danni di Austria e Prussia. L’andamento
della guerra fu però disastroso per la Francia. Di fronte
all’andamento della guerra, il popolo di Parigi, organizzato nel
movimento dei sanculotti, insorse. A Parigi si formò la Comune
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insurrezionale, che imprigionò il re per tradimento e costrinse
l’Assemblea legislativa a sciogliersi dopo aver indetto l’elezione a
suffragio universale maschile di una nuova assemblea, la
Convenzione. Intanto la Comune assumeva i pieni poteri,
dettando legge alla stessa Assemblea; fu inoltre scatenata una
durissima offensiva contro gli oppositori interni della rivoluzione a
salvaguardia della “salute pubblica” (iniziò in questo modo una
prima ondata di terrore). Dopo la vittoria di Valmy, resa possibile
dal massiccio contributo di volontari intervenuti in difesa della
patria, la Convenzione nazionale proclamò l’abolizione della
monarchia e la nascita della Repubblica.
1793 Il processo a Luigi XVI per tradimento evidenziò i contrasti in
seno alle forze repubblicane della Convenzione tra i girondini
(contrari alle rivendicazioni egualitarie dei sanculotti) e i
montagnardi. Alla fine le prove della collusione del sovrano con il
nemico fecero prevalere le tesi dei montagnardi e Luigi XVI fu
ghigliottinato. L’esecuzione del re e l’espansionismo francese
derivante da alcuni successi in guerra misero in allarme tutte le
nazioni europee, cosicché anche la Gran Bretagna e la Spagna si
allearono ad Austria e Prussia, dando vita alla prima coalizione
antifrancese. Sotto l’urto della coalizione nemica le sorti della guerra
tornarono a volgere al peggio, così come si faceva sempre più grave
la situazione interna a causa dell’inflazione e della scarsità di viveri
(rivolta contadina in Vandea). In una situazione di estremo pericolo
per la Repubblica, i sanculotti, rispondendo all’appello di
Robespierre, accerchiarono la sede della Convenzione e imposero
l’arresto dei deputati girondini, accusati di non aver saputo
condurre la guerra. La Convenzione si vide costretta ad affidare il
governo a un ristretto organismo dotato di poteri dittatoriali, il
Comitato di salute pubblica, guidato dai giacobini più
intransigenti. Il nuovo governo giacobino, animato da Robespierre,
varò una serie di misure economico-sociali a carattere democratico
(confisca dei beni degli emigrati, aggravio del peso fiscale a carico
dei ricchi, facilitazioni per i contadini che volevano acquistare le
terre), impose un sanguinario regime di intolleranza e di terrore
contro i nemici interni ed esterni della rivoluzione (furono istituiti i
tribunali rivoluzionari, che agivano in base alla “legge contro i
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sospetti”) e tentò di imporre una nuova cultura rivoluzionaria e
radicalmente laica (fu adottato un nuovo calendario). La
Convenzione, ormai dominata dai giacobini, approvò una nuova
Costituzione democratica che introduceva il suffragio universale
maschile e i principi del diritto al lavoro e all’istruzione.
1794 Il governo giacobino salvò il paese dall’occupazione straniera,
ma la dittatura del Comitato di salute pubblica suscitò l’opposizione
degli “indulgenti” (Danton), che sostenevano la necessità di porre
fine al Terrore, e degli “esigenti”, che avevano preso la direzione
dell’ala estremista dei sanculotti. Robespierre non esitò a stroncare
ambedue le opposizioni. Ormai padrone assoluto del Comitato,
Robespierre poté dar corso al progetto di instaurare una
democrazia sociale, che avrebbe dovuto essere basata sulla
piccola proprietà privata, sul lavoro e sulla virtù di cittadini capaci di
sacrificare gli egoismi privati. Per realizzare questo ideale, era
necessaria una forte tensione morale; a tale scopo l’“Incorruttibile”
ritenne indispensabile la fondazione di una nuova religione
repubblicana e sociale di matrice deista, che si basava sul culto
dell’Ente Supremo, garante della giustizia “che veglia
sull’innocenza oppressa e punisce il crimine trionfante”. Una nuova
ondata di Grande Terrore non fece tuttavia che esasperare l’ostilità
nei confronti del Comitato e le forze moderate della Convenzione
decretarono l’arresto di Robespierre e dei suoi collaboratori, che
furono ghigliottinati senza processo (9 termidoro).
1795 Espressione della borghesia agiata, il nuovo gruppo dirigente
termidoriano ripristinò la libertà economica e religiosa,
smantellando il regime del Terrore. Il ripristino della libertà
economica fece ben presto salire i prezzi, sprofondando i ceti
popolari nella fame; nella primavera del 1795 il popolo parigino
tentò di insorgere, ma la Convenzione stroncò il movimento.
Rianimati dalla disfatta giacobina, i monarchici tentarono un colpo
di mano, ma l’esercito, comandato da Napoleone Bonaparte,
represse la rivolta. Successivamente fu approvata una nuova Carta
costituzionale che ritornava al sistema elettorale censitario e che
affidava il governo a un Direttorio di cinque membri, che guidò il
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paese dal 1795 al 1799. Il Direttorio non riuscì a garantire stabilità
politica al paese, a causa dell’ancor viva opposizione dei giacobini e
dei monarchici; tuttavia il governo riuscì a stroncare nel 1796 la
“congiura degli Eguali”, fondata su idee comuniste, e nel 1797 la
destra monarchica con l’aiuto dell’esercito.
1796-1797 Nella speranza di poter meglio controllare la situazione
interna grazie a una vittoriosa campagna militare, il Direttorio
rilanciò la guerra di conquista contro l’Austria, la sola potenza
continentale rimasta in guerra con la Francia (Prussia e Spagna
avevano concluso nel 1795 dei trattati di pace con la Francia).
Mentre le due armate principali, che avrebbero dovuto marciare su
Vienna, rimasero bloccate sul Reno, quella impegnata sul fronte
italiano fu affidata a Napoleone, che passò di vittoria in vittoria. La
discesa dell’esercito francese in Italia provocò un vero terremoto
politico nel paese, dove si formarono provvisorie repubbliche
controllate dalla Francia (repubbliche ligure e cisalpina, che univa la
Repubblica transpadana, a nord del Po, e la Repubblica cispadana):
si era infatti creato un fronte di patrioti – borghesi e intellettuali
così chiamati per le loro simpatie rivoluzionarie – convinti che
l’arrivo dei francesi avrebbe aperto anche per l’Italia una nuova
epoca di libertà. Imposto il suo dominio su quasi tutta l’Italia
centro-settentrionale, Napoleone riorganizzò di propria iniziativa i
territori conquistati e, desideroso di chiudere in fretta la guerra per
presentarsi al più presto a Parigi con l’aureola del vincitore, nel 1797
firmò con l’Austria la pace di Campoformio. Questa pace inferse un
durissimo colpo alle speranze dei patrioti italiani, che videro
sacrificato il paese sull’altare delle ambizioni personali di
Napoleone.
1798-1799 Sconfitta l’Austria, Napoleone decise di attaccare la Gran
Bretagna, colpendola nei suoi interessi economici vitali in Egitto.
Sbarcato ad Alessandria, occupò il Cairo, ma la flotta francese fu
distrutta da quella inglese al comando dell’ammiraglio Nelson.
Intanto Austria e Russia, unitesi alla Gran Bretagna nella seconda
coalizione antifrancese, riconquistavano l’Italia (dove caddero le
giovani repubbliche filofrancesi – se n’erano costituite anche a
16
Roma e a Napoli) e giungevano a minacciare le frontiere della
Francia.
17
NAPOLEONE – RESTAURAZIONE
1799-1815
Napoleone comincia di già la mistificazione
dell’Europa, convinto che la scienza della vita consiste
per ciascuno esclusivamente nelle manovre
dell’egoismo. Bonaparte non è soltanto un uomo, ma
un sistema, e s’egli avesse ragione, la specie umana
non sarebbe più ciò che Iddio l’ha fatta. Bisogna
esaminarlo, dunque come un grande problema, la cui
soluzione interessa il pensiero in tutti i secoli.
Madame de Staël, 1818
1799 Colpo di Stato del 18 brumaio (9 novembre) Tornato in
patria in un momento di gravi difficoltà per il governo, Napoleone
si accordò con il direttore Sieyès (cf. Direttorio) e si impadronì con
la forza del potere, sapendo di poter contare sul sostegno
dell’esercito e della borghesia. Sciolte le assemblee legislative, si
istaurò un governo provvisorio formato da tre consoli. « Rendere la
Repubblica cara ai cittadini, dichiara Napoleone il 25 dicembre
1799, rispettabile allo straniero, temibile ai nemici : questi sono gli
impegni che noi abbiamo presi accettando la prima magistratura.
Essa sarà cara ai cittadini se le leggi e gli atti dell’autorità sono
sempre improntati allo spirito dell’ordine, della giustizia e della
moderazione. Senza ordine, l’amministrazione non è che un caos :
niente finanze, niente credito pubblico ; e con le fortune dello Stato
crollano anche quelle dei singoli cittadini. »
Emanazione della Costituzione dell’anno VIII Assunta la guida
del paese, Napoleone promulgò una nuova Costituzione. La
direzione dello Stato venne affidata a tre consoli, ma di fatto i pieni
poteri erano nelle mani del primo console, ossia Napoleone stesso :
sia il potere legislativo che quello giudiziario persero ogni
autonomia e vennero sottoposti all’autorità dell’esecutivo. « Un
primo console, dice Napoleone, non rassomiglia a quei re per grazia
di Dio che considerano i loro Stati un’eredità. Egli ha bisogno di
azioni clamorose e di conseguenza della guerra ». Napoleone
riorganizzò lo Stato in modo efficiente, secondo un modello
18
centralistico e autoritario, ma nel contempo istituzionalizzando
conquiste fondamentali della rivoluzione francese ; la Francia
inoltre, legittimata dall’esperienza rivoluzionaria, avrebbe dovuto
guidare gli altri Stati europei verso un più avanzato ordine sociale.
L’opera di riorganizzazione dello Stato si inserisce nell’alveo del
processo
di
accentramento
amministrativo
promosso
dall’assolutismo
monarchico
:
assoggettamento
dell’amministrazione periferica al controllo dei prefetti ;
costituzione di una magistratura di nomina governativa ; fondazione
della Banca di Francia ; riorganizzazione del sistema dell’istruzione,
posto sotto la diretta gestione dello Stato.
1800-1814 Età napoleonica in Italia Tra il 1800 e il 1809 tutta
l’Italia (tranne Sicilia e Sardegna) cadde progressivamente sotto il
dominio francese. La sistemazione imposta da Napoleone, da un
lato, semplificò la geografia politica della penisola, facendo nascere
un Regno d’Italia (nell’Italia centro-settentrionale) dai forti
connotati nazionali ; dall’altro, favorì l’ammodernamento dei
sistemi amministrativi e degli apparati di governo.
1804 Promulgazione del Codice napoleonico Il nuovo codice
civile offriva alla Francia una legislazione chiara e uniforme per
tutto il paese, incentrata sul rispetto del diritto di proprietà e sulla
regolamentazione dell’istituto familiare. In esso venivano
salvaguardati i valori della borghesia proprietaria, stabilendo così un
clima di ordine e di sicurezza favorevole allo sviluppo economico.
Proclamazione dell’Impero Già detentore di un potere di fatto
monarchico, Napoleone ottenne dal Senato una modifica della
Costituzione in base alla quale fu proclamato imperatore dei
francesi con titolo ereditario.
1805-1811 Apogeo della dominazione napoleonica sull’Europa
Sconfiggendo le forze della terza, della quarta e della quinta
coalizione antifrancese, Napoleone impose il proprio dominio a
tutta l’Europa continentale.
19
1806 Blocco economico continentale Per costringere alla resa la
Gran Bretagna, sua irriducibile avversaria, Napoleone decise di
colpirla nei suoi interessi economici vitali, vietando a tutti i paesi
sotto il controllo francese ogni rapporto commerciale con il regno
d’oltremanica. Il blocco continentale non mancò di danneggiare la
Gran Bretagna, ma ebbe effetti ancor più negativi sui paesi alleati
della Francia, che furono tagliati fuori dai grandi commerci
transoceanici controllati dai britannici. Esso tuttavia favorì in una
certa misura lo sviluppo di determinati settori dell’industria europea
e la formazione di un mercato integrato a livello continentale.
1812 Campagna di Russia Quando la Russia tentò di promuovere
una nuova coalizione antifrancese, Napoleone invase il paese. La
campagna di Russia si risolse tuttavia in una catastrofe per l’esercito
napoleonico.
1814 Abdicazione di Napoleone La disfatta dell’esercito
napoleonico in Russia convinse Austria, Prussia, Svezia e Gran
Bretagna a unirsi ai russi nella sesta colazione antifrancese, che a
Lipsia sconfisse definitivamente Napoleone. Costretto ad abdicare,
l’imperatore venne relegato sull’isola d’Elba, mentre sul trono
francese veniva restaurato il fratello di Luigi XVI, Luigi XVIII.
1815 Avventura dei Cento giorni Mentre in Austria si svolgevano
i lavori del Congresso di Vienna, Napoleone, fuggito dall’Elba,
sbarcò in Francia e riassunse il potere. Subito però le potenze della
sesta coalizione ripresero le armi e a Waterloo l’esercito
napoleonico subì un’irrimediabile sconfitta. Napoleone si consegnò
ai britannici, che lo esiliarono sull’isola di Sant’Elena.
Congresso di Vienna Crollato l’Impero napoleonico, i nuovi
assetti politici e territoriali dell’Europa furono decisi dalle quattro
potenze vincitrici (Austria, Russia, Prussia e Gran Bretagna).
L’opera del Congresso mirò a restaurare un ordine europeo fondato
sui princìpi dell’Antico Regime, rimettendo sui loro troni i sovrani
legittimi (principio di legittimità) e ripristinando l’equilibrio tra i
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grandi Stati (principio dell’equilibrio). La forma di governo più
diffusa tornò a essere la monarchia assoluta e una pesante cappa di
oppressione politica e culturale calò sull’Europa.
21
I MOTI LIBERALI DEL XIX SECOLO (1815-1848)
La Restaurazione e il Congresso di Vienna del 1815
Crollato l’Impero napoleonico, i nuovi assetti politici e territoriali
dell’Europa furono decisi dalle quattro potenze vincitrici (Austria,
Russia, Prussia e Gran Bretagna) nel corso del Congresso di Vienna
(1815). L’opera del Congresso mirò a restaurare un ordine europeo
fondato sui principi dell’Antico Regime, rimettendo sui loro troni i
sovrani legittimi (principio di legittimità) e ripristinando l’equilibrio
tra i grandi Stati (principio di equilibrio). Dall’applicazione di questi
due principi derivò il seguente assetto geo-politico : I) la Francia
mantenne la sua integrità territoriale, venendo riportata ai confini
del 1792 : la realizzazione di un sistema equilibrato richiedeva una
Francia non eccessivamente indebolita (intorno al paese fu però
creata una cintura di Stati-cuscinetto) ; II) l’Austria (grazie a
Metternich, ministro degli esteri e poi anche cancelliere) si ingrandì
e poté recuperare tutti i territori sottratti da Napoleone (Trentino,
Lombardia, Veneto), divenendo la potenza egemone in Italia
(l’unico Stato italiano che non entrò nell’orbita austriaca fu il Regno
di Sardegna) ; III) fu costituita una Confederazione germanica di 39
Stati, di cui entrarono a far parte anche la Prussia (che aveva
ingrandito il proprio territorio) e l’Austria, al cui imperatore fu
attribuita la presidenza della Dieta di Francoforte, l’organo
rappresentativo della Confederazione ; IV) la Gran Bretagna
ottenne i suoi principali guadagni territoriali nelle colonie (la quasi
totalità dei possedimenti coloniali persi dalla Francia passò alla
Gran Bretagna) ; la Gran Bretagna, inoltre, vedeva con
preoccupazione l’affermarsi di una potenza egemone in Europa,
timorosa di veder restringersi il mercato europeo (come era
accaduto all’epoca del “blocco continentale” di Napoleone).
La forma di governo più diffusa tornò a essere la monarchia
assoluta (la Restaurazione incarnò uno spirito antiliberale) e una
pesante cappa di oppressione politica e culturale calò sull’Europa,
costringendo le forze di opposizione liberali e democratiche a
organizzarsi nella clandestinità in “società segrete” (la più
importante in Italia fu la Carboneria). Fu tuttavia impossibile
22
riportare in vita l’Antico Regime, poiché le forze politiche, sociali ed
economiche che ne avevano provocato la crisi non potevano ormai
più essere eliminate : i movimenti liberali, democratici e nazionali (il
cui seme era stato diffuso in Europa dalla Rivoluzione francese e
dallo stesso Napoleone) e la pressione delle dinamiche economiche
in atto dovevano costituire i maggiori fattori di crisi dell’ordine
politico internazionale che le grandi potenze si erano impegnate a
conservare anche con l’intervento militare (Santa Alleanza,
Quadruplice Alleanza). In particolare, la Restaurazione si opponeva
al principio di nazionalità, sul quale si fondava l’idea dello Statonazione : l’assetto politico-territoriale deciso dal Congresso di
Vienna si ispirava, infatti, su una concezione dello Stato, secondo la
quale esso costituiva un bene patrimoniale del sovrano (la
monarchia austriaca, per esempio, dominando su una molteplicità di
etnie diverse, temeva più di qualsiasi altro Stato lo sviluppo dei
movimenti per l’emancipazione nazionale)2.
I moti del 1820-1821
Nel 1820-21 una prima ondata di rivolte a carattere costituzionale
investì il continente (Spagna, Regno delle due Sicilie, Regno di
Sardegna e Lombardia), ma le potenze del “concerto” europeo (alle
quattro già menzionate si era aggiunta nel 1818 la Francia dei
Borbone) riuscirono a riprendere il controllo della situazione.
Nonostante il fallimento di questi moti, i liberali, che guardavano
alla Costituzione francese del 1791 come a un modello (libertà
Nel corso del Settecento il termine “nazione” assunse la moderna accezione di
“popolo”, cioè di comunità di uomini radicata in un determinato territorio e,
soprattutto, in possesso di una precisa identità culturale. Determinanti furono le tesi
sia di Rousseau, il quale concepì lo Stato come un “corpo morale e collettivo”, cioè
una comunità di cittadini capace di esprimere liberamente un insieme di valori e una
volontà generale ; sia di Herder, il quale teorizzò l’esistenza di nazioni come comunità
“naturali” di popolo, definite una volta per tutte da profondi legami di lingua, razza e
costumi. Infine, la cultura romantica sviluppatasi nel primo ventennio dell’Ottocento,
specie in Germania (Schlegel, Fichte, Schelling), rilanciò con rinnovato vigore le tesi
herderiane ; la riscoperta della storia e delle tradizioni di ciascun popolo (in particolare,
un’appassionata rivalutazione del Medioevo, nel quale veniva colto il momento
originario di formazione dello spirito delle nazioni europee) venne coniugata con
l’amore per la libertà.
2
23
individuali,
rappresentatività
e
divisione
dei
poteri),
rappresentarono la forza di opposizione più consistente, dal
momento che i movimenti nazionali erano ancora allo stato
embrionale e non potevano quindi rappresentare una seria minaccia
per l’assetto continentale vigente. Il fallimento dei moti
costituzionali
del
1820-1821
confermò
la
debolezza
dell’opposizione liberale : si trattò di iniziative promosse da élites
politiche prive dell’appoggio delle masse popolari.
Diverso fu il caso della Grecia, che giunse all’indipendenza nel 1829
dopo una lunga guerra iniziata nel 1821 a cui parteciparono, a
sostegno dei nazionalisti, Gran Bretagna, Russia e Francia : i fatti di
Grecia avevano reso concreta la possibilità di una crisi definitiva
dell’Impero ottomano, sui cui territori le grandi potenze
appuntavano le proprie contrastanti mire espansionistiche
(“questione d’Oriente”). Sebbene i territori turchi fossero fuori dal
sistema continentale creato a Vienna, l’Austria non vedeva di buon
occhio la vittoria di un movimento nazionale nei Balcani, dove
anch’essa era presente. La Gran Bretagna, dal canto suo, temeva
che la Russia, conquistando il controllo degli stretti (Bosforo e
Dardanelli), potesse minacciare le sue rotte commerciali tra il
Mediterraneo orientale e l’India.
I moti del 1830-1831
Una prima parziale rottura dell’assetto internazionale di Vienna si
ebbe con le rivoluzioni del 1830-31, che portarono all’abbattimento
della monarchia borbonica in Francia e all’indipendenza del Belgio
dall’Olanda.
La rivoluzione in Francia fu provocata dalla politica ultrarealista di
Carlo X (successore di Luigi XVIII3), il quale, legato alla fazione
La Restaurazione aveva significato il ritorno sul trono della monarchia borbonica con
Luigi XVIII, fratello del sovrano ghigliottinato nel 1793. Il ripristino del legittimismo
dinastico non si era tradotto tuttavia nella riproposizione pura e semplice dell’Antico
Regime : il sovrano aveva infatti concesso nel 1814 una Carta costituzionale, pur
conservando la pienezza del potere fondato sull’investitura divina. Sul piano
istituzionale la Carta sanciva un ordinamento conservatore con limitati tratti liberali : si
trattava di un sistema costituzionale ma non parlamentare, poiché il governo
rispondeva esclusivamente al sovrano, prescindendo del tutto dalla volontà della
3
24
nobiliare più reazionaria, ne condivideva i piani di restaurazione
integrale. Il tentativo del sovrano di stroncare l’opposizione liberale,
che deteneva la maggioranza in Parlamento, si tradusse in una
rivolta del popolo parigino nel luglio del 1830, che alla fine abbatté
la monarchia. La vittoria fu possibile grazie alla partecipazione delle
masse popolari, che invece era mancata nei moti del 1820-21 ; tra le
componenti rivoluzionarie prevalse quella liberale moderata,
espressione della borghesia industriale e finanziaria : fu l’alta
borghesia a imporre una soluzione politica – la salita al trono di
Luigi Filippo d’Orleans, “re dei francesi” per volontà della nazione
(e non più “re di Francia” per diritto divino) – che appariva la più
idonea a salvaguardare i propri interessi sia contro l’eventuale
riproporsi di tentativi reazionari sia contro le tendenze
democratico-repubblicane. Il principale artefice della politica
conservatrice della monarchia orleanista fu Guizot, il quale ispirò la
sua azione alla ricerca del “giusto mezzo” tra le spinte reazionarie
della nobiltà e la sovversione dei repubblicani e dei socialisti. La
politica di Guizot coincise con gli interessi dell’alta borghesia delle
banche, della finanza e della grande industria ; corollario economico
di questa politica era il liberismo, secondo il celebre motto “laissez
faire, laissez passer”.
Gli eventi francesi si ripercossero subito nel vicino Belgio : la
direzione del moto indipendentista fu assunta dalla borghesia, che
gli diede un indirizzo nazionale e liberale. Per l’opposizione della
Francia e della Gran Bretagna la sollevazione popolare non fu
repressa dalle potenze della Santa Alleanza : il Belgio poté così
divenire uno Stato indipendente e dotarsi di una Costituzione
liberale.
Dopo Parigi e Bruxelles insorse anche Varsavia : la politica
reazionaria dello zar Nicola I si era abbattuta anche sulla Polonia.
Nella rivoluzione polacca le aspirazioni all’indipendenza si
associarono a quelle liberali : nel gennaio del 1831 gli insorti
proclamarono l’indipendenza, fiduciosi in un intervento della
Francia, la quale scelse tuttavia la prudenza e non sostenne il
maggioranza parlamentare (Camera dei Pari, eletti dal re, e Camera dei deputati, eletti
da un ristretto numero di cittadini appartenenti alla grande proprietà terriera e all’alta
borghesia).
25
principio di non intervento (come aveva fatto per il Belgio). Lo zar,
sostenuto da Austria e Prussia, soffocò così nel sangue la rivolta.
In Italia, il fallimento dei moti del 1820-1821 non aveva arrestato
l’attività cospirativa dei liberali legati alla Carboneria. Quest’ultima
era rimasta vitale in quegli Stati che, non coinvolti dalle sollevazioni,
non avevano subìto la dura repressione delle forze reazionarie. Gli
avvenimenti di Parigi indussero i settari a passare all’azione
nell’Italia centrale (Parma, Modena, Reggio Emilia e Stato
pontificio) : fiduciosi nell’intervento della Francia (che invece non si
mosse), gli insorti non poterono nulla contro la reazione
dell’Austria, che ristabilì l’ordine preesistente. Il fallimento di questi
moti in Italia palesò i limiti dell’attività condotta dalle società
segrete, alle quali mancarono tanto una prospettiva nazionale
quanto un’adesione delle masse popolari. Proprio a questi limiti
cercò di porre rimedio il programma di Mazzini che puntava a
realizzare un’Italia “una, libera, indipendente e repubblicana”4.
*
Sul piano internazionale si era venuta così a creare una
contrapposizione tra le potenze assolutiste (Austria, Russia e
Prussia) e quelle liberali (Francia e Gran Bretagna), cui guardavano
tutti gli avversari dell’ordine di Vienna. Due diverse Europe
Con questa formula Mazzini intendeva affermare che il futuro Stato repubblicano
avrebbe dovuto essere unitario e non federale. L’opzione repubblicana era una diretta
conseguenza del suo pensiero democratico, secondo il quale solo la Repubblica
costituiva un’espressione autentica della sovranità popolare. Con Mazzini il popolo
rappresentava una figura ideale e mistica, investita dalla missione storica di realizzare
l’unità nazionale : quest’ultima non poteva essere frutto dell’opera di uno dei sovrani
che regnavano in Italia, né di un aiuto straniero, ma solo l’esito di una guerra del
popolo. Mazzini fece della “Giovine Italia” (1831) e della “Giovine Europa” (1834) gli
strumenti con cui formare nel popolo una consapevolezza della necessità di costruire
un movimento di emancipazione nazionale. Il progetto di Mazzini incontrò consenso
presso ristretti settori della piccola e media borghesia e, in particolare, presso quei
gruppi di intellettuali che erano nutriti di idealismo romantico. Il fallimento dei moti
mazziniani degli anni Trenta e Quaranta (fratelli Bandiera, 1844) irrobustì la corrente
dei liberali moderati, i quali auspicavano che l’unità si compisse mediante un lento
processo senza rivolgimenti rivoluzionari (unificazione e mercato nazionale).
4
26
andavano formandosi : una retta da regimi liberali, dove lo sviluppo
industriale e la trasformazione borghese della società erano più
avanzati ; l’altra conservatrice, dove le strutture economiche e
sociali erano più arretrate e le forze del rinnovamento meno
dinamiche.
In Prussia, per esempio, il tema dell’unità nazionale rimase
circoscritto all’agitazione di piccole minoranze intellettuali e
studentesche, imbevuto di spirito romantico, che avevano animato
la resistenza antifrancese negli anni del dominio napoleonico (cf.
Fichte, Discorsi alla nazione tedesca). Si ricorda la Burschenschaft,
lega studentesca fondata nel 1815 dagli universitari di Jena, il cui
motto era “onore, patria e libertà”. Allarmato da toni sempre più
antiaustriaci delle agitazioni, Metternich nel 1819 decise di sciogliere
le leghe studentesche, porre sotto sorveglianza le università e
limitare la libertà di stampa. In Russia nacque un primo nucleo di
opposizione, cui aderirono soprattutto ufficiali dell’esercito, tutti di
origine nobiliare. Sorsero così le prime società segrete ;
l’insurrezione scattò nel dicembre 1825 (moto decabrista), ma i
rivoltosi furono sconfitti e i loro capi impiccati (in seguito, disputa
tra “slavofili” e “occidentalisti”).
La Gran Bretagna, dal canto suo, era governata da una monarchia
parlamentare (Camera dei lord : grande nobiltà e vescovi anglicani,
alleati dei tories ; Camera dei comuni : eletta con sistema censitario –
piccola nobiltà terriera e ricca borghesia mercantile, alleati dei whigs)
: essa tuttavia adottò dopo il 1815 una politica conservatrice, che
rinfocolò il malcontento popolare (recrudescenza del movimento
luddista, 1816). Ma dal 1824 si avviò una moderata politica
riformatrice, che si tradusse nel 1832 con il Reform act, che ampliò il
corpo elettorale maschile (un elettore ogni 22 cittadini) : buona
parte della media borghesia vide soddisfatte le proprie aspirazioni ;
nel frattempo, veniva emanata la prima legge per la tutela del lavoro
infantile nelle fabbriche (1833). I primi anni del regno della regina
Vittoria (1837-1901) furono contrassegnati dalle violente agitazioni
sociali promosse dal movimento cartista, così denominato dalla
Carta del popolo, un documento che rivendicava il suffragio
universale maschile. Espressione del malcontento della classe
operaia, il movimento mirava a ottenere una rappresentanza
27
parlamentare per le classi lavoratrici. Le agitazioni cartiste furono
represse con fermezza.
Gli sviluppi del sistema liberal-costituzionale posero infine il
complesso problema del rapporto tra liberalismo e democrazia
(Tocqueville, John Stuart Mill) ; le stesse tematiche ricevettero
anche in Italia un impulso, sollecitato dalla questione dell’unità e
dell’indipendenza nazionale (Mazzini, Cattaneo : unità nazionale
sotto forma di repubblica federale, gli Stati Uniti d’Italia ; Gioberti :
istituzione di una Confederazione degli Stati presieduta dal Papa nel
rispetto delle dinastie regnanti ; Balbo : programma confederale
realizzabile solo nel quadro di una forte iniziativa da parte del
Regno di Sardegna). Con l’affermazione della civiltà dell’industria, si
delineava in Europa la nuova società borghese, articolata in classi e
imperniata sull’antagonismo tra borghesia e proletariato ;
quest’ultimo cominciava a organizzarsi nei primi movimenti operai
(Trade Unions) e socialisti (Saint-Simon, Fourier, Blanc, Proudhon,
Owen5).
Le rivoluzioni del 1848-1849
Nel 1848 un movimento rivoluzionario di dimensioni continentali
si levò contro l’ordine costituito di Vienna. L’incendio
rivoluzionario divampò sullo sfondo della pesante crisi agricola che
nei due anni precedenti si era abbattuta sul continente, provocando
una grave penuria alimentare e diffondendo lo scontento tra la
popolazione. Nel quadro di una situazione economica critica, i
conflitti sociali e politici interni si accentuarono sempre più, finendo
per esplodere.
Saint-Simon teorizzò l’avvento di una società di “produttori” guidata secondo criteri
tecnico-scientifici, in cui tutti i cittadini avrebbero dovuto essere attivi ; suo
fondamento indispensabile sarebbe stata la fratellanza umana. Proudhon sosteneva
che la proprietà fosse un furto : con questa perentoria affermazione egli non intendeva
condannare la proprietà in sé, ma quella che garantiva un reddito senza bisogno di
lavorare. Owen, un industriale tessile, trasformò la sua azienda in una comunitàmodello, aumentando i salari, diminuendo le ore di lavoro e promuovendo attività
culturali e ricreative per il loro tempo libero ; il suo esperimento non fu seguito e
naufragò anche per ragioni di inefficienza economica.
5
28
Epicentro della rivoluzione fu Parigi, dove lo schieramento
antiorleanista diede vita a un’accesa “campagna dei banchetti”, così
chiamata perché i comizi pubblici, proibiti dalle autorità, venivano
camuffati da “banchetti” generosamente offerti alla cittadinanza
affamata. Punto di incontro delle diverse forme di opposizione era
la rivendicazione del suffragio universale maschile. Sordo al
crescente malcontento Guizot tentò di impedire un banchetto, al
che il popolo parigino insorse, occupò la Camera dei deputati e
proclamò la Repubblica (il re dovette riparare all’estero). A potere si
insediò un governo provvisorio dominato dai repubblicani e in cui
entrarono anche due socialisti. La rivoluzione francese del 1848
segnò l’avvento sulla scena politica del proletariato (gli operai
parigini avevano contribuito in misura rilevante al successo della
rivolta). Il nuovo esecutivo seguì una politica democratico-socialista
: emblematica fu la proclamazione del “diritto al lavoro”, destinato
a trovare attuazione nella creazione di “officine nazionali”
finanziate dallo Stato ; fu introdotto il suffragio universale maschile,
fu ripristinata la libertà di stampa e di parola ; la giornata lavorativa
fu limitata a 10 ore.
Dalla Francia il moto si propagò all’Impero asburgico, dove i
movimenti liberali, democratici e nazionali passarono all’offensiva.
A Vienna una sollevazione popolare, guidata da insegnanti e
studenti, provocò la caduta di Metternich e la fuga del re ; insorsero
poi Budapest e Praga (fu costituito un governo ungherese, che abolì
i diritti feudali, e fu eletto un Parlamento a suffragio universale
maschile). I fatti di Vienna ebbero immediate ripercussioni anche in
Germania ; per prima si sollevò Berlino (il re di Prussia, per salvare
il trono, promise una Costituzione e la convocazione di un
Parlamento), quindi l’agitazione si estese alle altre città tedesche,
coinvolgendo tutti gli Stati della Germania. Fu portato così in primo
piano la questione dell’unità nazionale in Germania. Lo stesso re di
Prussia si fece paladino, a scopo strumentale, dell’unificazione
tedesca, cercando di dirottare su questo obiettivo l’agitazione in
corso, temendo che essa potesse svilupparsi in senso liberale e
democratico. A Francoforte si riunì l’assemblea nazionale tedesca,
al fine di elaborare una Costituzione che avrebbe dovuto essere
adottata dalla nuova Germania unificata.
29
I liberali entrarono in fermento anche nel Regno delle due Sicilie,
ottenendo dal sovrano la Costituzione. A questo seguì la
concessione della Costituzione anche in Toscana, nel Regno di
Sardegna (Statuto albertino) e nello Stato pontificio. In marzo poi,
pochi giorni dopo la caduta di Metternich, Venezia e Milano
(“Cinque giornate”) insorsero contro gli austriaci, costringendoli a
ritirarsi. Nella città veneta fu proclamata la Repubblica di San
Marco, mentre sull’esempio di Milano si sollevarono anche le altre
città lombarde. La vittoria delle insurrezioni antiaustriache in
Lombardia e Veneto spinse il re di Sardegna Carlo Alberto, che
puntava ad ampliare il proprio regno, a dichiarare guerra all’Austria.
A Carlo Alberto si unirono anche i sovrani di Toscana e del Regno
delle due Sicilie e il Papa, preoccupati di essere travolti
dall’agitazione patriottica e democratica. Lo scontro con l’Austria
assunse il carattere di guerra nazionale di stampo federale, in vista
cioè della costituzione di una confederazione di Stati retti dalle
legittime dinastie. L’intesa antiaustriaca si ruppe rapidamente, a
causa dell’ambiguo atteggiamento di Carlo Alberto, che mirava
soltanto a conseguire un successo personale attraverso l’annessione
del Lombardo-Veneto, e della preoccupazione per l’eventualità di
un esito vittorioso dell’agitazione democratica (in questa prospettiva
l’Austria appariva più un’alleata che una nemica) ; gli altri regnanti
finirono così col disimpegnarsi dal conflitto. La prima guerra
d’indipendenza italiana si concluse con la severa sconfitta
dell’esercito sabaudo ; gli austriaci, da parte loro, rioccuparono
Milano.
*
Nell’autunno del 1848 la rivoluzione stava ormai rifluendo ovunque
in Europa. In Francia l’ordine fu ripristinato con l’avvento al potere
di Luigi Napoleone Bonaparte, nipote dell’imperatore e candidato
del “partito dell’ordine” alle elezioni presidenziali della repubblica
francese. Sostenuto dalla borghesia e dalla destra conservatrice,
ottenne i voti di gran parte delle masse popolari, preoccupate (non
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meno della borghesia) dallo “spettro del comunismo” (MarxEngels) e sensibili alla sua propaganda populista.
Nel dicembre del 1848 il sovrano prussiano, che poteva contare
sulla fedeltà dell’esercito, sciolse il Parlamento e concesse una
Costituzione che ben poco spazio lasciava ai principi del
liberalismo. Intanto, i lavori dell’Asseblea di Francoforte, dominata
dai liberali di orientamento moderato favorevoli a una monarchia
costituzionale, si erano arenati in una contesa tra i fautori della
“grande Germania” (Stato germanico comprendente l’Austria posto
sotto la guida asburgica) e della “piccola Germania” (senza l’Austria
sotto la guida prussiana). Alla fine prevalsero i sostenitori della
“piccola Germania”, i quali, dopo aver preparato una Costituzione
federale, offrirono il titolo imperiale al sovrano di Prussia. Egli
però, temendo una reazione dell’Austria, lo rifiutò, in segno di
spregio per una corona che gli veniva attribuita dal “popolo”. Da lì
a poco l’Assemblea sarebbe stata sciolta, anche in seguito
all’atteggiamento della borghesia, che, temendo una rivoluzione
sociale, aveva preferito fare blocco con la nobiltà e la monarchia.
Rifiutando la corona imperiale, il re di Prussia non aveva tuttavia
inteso a rinunciare a sfruttare in favore del proprio regno
l’agitazione nazionale tedesca.
Anche in Austria, dopo la promulgazione di una Costituzione ben
poco liberale, il potere tornava saldamente nelle mani della
monarchia, che reprimeva nel sangue i moti indipendentisti boemo
e ungherese.
In Italia, nel frattempo, la sconfitta dei piemontesi ridiede slancio
all’iniziativa dei democratici : di fronte al fallimento della “guerra
federale” dei sovrani, essi ritenevano che fosse giunto il momento
di una “guerra del popolo” nel nome della Repubblica. Le forze
repubblicane presero così il potere in Toscana e a Roma
(Repubblica romana, alla cui testa fu posto un triumvirato formato
anche da Mazzini). Incalzato dagli eventi, Carlo Alberto riprendeva
la guerra contro l’Austria, ma veniva definitivamente sconfitto,
abdicando poco dopo in favore di Vittorio Emanuele II. Ben presto
calava il sipario anche sulla repubblica toscana, soppressa dagli
austriaci, su quella romana, schiacciata da un esercito francese
(Luigi Napoleone intendeva guadagnarsi il completo appoggio delle
forze conservatrici cattoliche del suo paese e stabilire un
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contrappeso all’egemonia austriaca in Italia ; alla difesa di Roma
partecipò anche Garibaldi), e su quella di Venezia, ultima ad
arrendersi all’Austria nell’agosto del 1849.
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IL TRIONFO DELLA BORGHESIA 1850-1870
L’assetto politico-territoriale di Vienna era uscito pressoché indenne
dalla bufera rivoluzionaria del 1848-1849. Nei due decenni
successivi, tuttavia, le forze prorompenti della moderna civiltà
borghese e industriale spinsero con sempre maggiore decisione
verso nuovi assetti politici e sociali. In campo internazionale si
assisté al trionfo dei movimenti nazionalisti in Italia e in Germania.
Contemporaneamente l’economia europea compiva un grande
balzo in avanti, grazie al decollo della Rivoluzione industriale in
diversi Stati del continente e all’affermarsi della rivoluzione dei
trasporti e delle comunicazioni, che rese possibile la formazione di
un mercato mondiale sempre più integrato dominato dall’Europa.
Oltre che sotto la forma del colonialismo (di dimensioni contenute
rispetto a quelle del periodo successivo dominato
dall’imperialismo), l’espansione europea nel mondo si espresse nella
penetrazione commerciale : conquistare nuovi mercati ai propri
manufatti divenne un obiettivo irrinunciabile per i paesi
industrialmente più avanzati. A questo si aggiunga che il progresso
economico portò con sé lo sviluppo delle forze sociali
caratteristiche della civiltà industriale : liberalismo e socialismo. In
particolare, il movimento socialista visse dopo il 1848 una svolta
decisiva, trasformandosi in soggetto politico autonomo e, per
iniziativa soprattutto di Marx, dando vita a Londra, nel 1864, alla
Prima Internazionale, il cui scopo era di dare un indirizzo unitario
alle molteplici organizzazioni socialiste (marxisti, proudhoniani,
anarchici).
1852 Nascita del Secondo Impero in Francia Già Presidente
della Repubblica, Luigi Napoleone Bonaparte, dopo aver promosso
un colpo di Stato che gli conferiva poteri dittatoriali, si fece
proclamare “imperatore dei francesi” con il nome di Napoleone III.
Nel suo regime convivevano impulso alla modernizzazione e
attitudini conservatrici, tentazioni dispotiche e misure democratiche
(suffragio universale maschile) ; sotto la sua guida la politica estera
francese fu diretta a riportare la Francia ai fasti dell’età napoleonica,
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nel tentativo di restituirle il ruolo di potenza egemone in Europa e
nel mondo (Algeria, Senegal, Indovina & Canale di Suez).
Nonostante il suo volto autoritario, l’Impero godette, almeno fino
al 1860, di grande popolarità : il notevole progresso economico
(industrializzazione,
potenziamento
delle
infrastrutture,
smantellamento del sistema protezionistico, esposizioni universali)
assicurò ampi consensi tra tutte le classi sociali.
1853-1856 Guerra di Crimea Lo zar Nicola I, che puntava a
conquistare gli stretti dei Dardanelli e del Bosforo a spese
dell’Impero ottomano (“questione d’Oriente”), provocò una guerra
con quest’ultimo con il pretesto di voler proteggere i cristiani
ortodossi sotto sovranità ottomana. I turchi, però, forti anche
dell’appoggio di britannici e francesi e grazie al non intervento
dell’Austria a fianco della Russia, ebbero la meglio. A questa guerra
prese parte anche il Regno di Sardegna, che, guidato dal 1852 da
Cavour, poté sottoporre all’attenzione dell’Europa la questione
italiana.
1858 Accordi di Plombières tra Regno di Sardegna e Francia
Convinto della necessità di una guerra contro l’Austria per risolvere
la questione dell’indipendenza dell’Italia, Cavour, il cui programma
mirava a fare dello Stato sardo la guida del movimento nazionale
italiano, si accordò con l’imperatore Napoleone III, dando vita a
un’alleanza in funzione antiaustriaca. Con questo accordo
Napoleone III, atteggiandosi a paladino delle nazionalità oppresse,
sperava di attrarre la penisola nella sfera d’influenza francese. Fu
dunque prospettato un assetto politico che avrebbe visto la nascita
di una confederazione di Stati (regno dell’alta Italia, dell’Italia
centrale e Regno delle due Sicilie) sotto la presidenza onoraria del
Papa.
1859 Seconda guerra d’indipendenza italiana Con abilità
Cavour spinse l’Austria a dichiarare guerra al Regno di Sardegna
(solo così sarebbe scattata l’alleanza stipulata con la Francia). Dopo
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cruente battaglie le truppe sardo-francesi, rinforzate da volontari
accorsi da tutta Italia, ebbero la meglio. Quando tutto faceva
pensare che gli alleati avrebbero scatenato l’offensiva finale,
Napoleone III improvvisamente propose un armistizio all’Austria
(la nascita di un sentimento filopiemontese negli Stati italiani faceva
sfumare le pretese egemoniche di Napoleone III in Italia). L’Austria
cedette la Lombardia alla Francia, che a sua volta la consegnò al
regno sabaudo.
1860 Plebisciti nell’Italia centrale In Emilia Romagna e Toscana,
dove si erano insediati governi provvisori in seguito a sollevazioni
promosse da elementi filosabaudi, si tennero plebisciti favorevoli
all’annessione di quei territori al Regno di Sardegna.
Spedizione dei Mille Tentare di estendere il processo di
unificazione allo Stato pontificio e al Regno delle due Sicilie
avrebbe suscitato l’opposizione di Napoleone III, preoccupato dalla
nascita di un forte Stato unitario (di parere opposto era la Gran
Bretagna, convinta della necessità di opporre un grande Stato alla
Francia nel Mediterraneo). Quando tutto faceva credere che non
potessero aver luogo ulteriori sviluppi, ecco che l’iniziativa
mazziniana dava nuovo slancio. Con il tacito consenso di Vittorio
Emanuele II e sotto il vigile controllo di Cavour, Garibaldi salpò
per la Sicilia. Sbarcato nell’isola assunse i pieni poteri in nome del re
sabaudo, quindi riguadagnò la terra ferma e, piegando la resistenza
delle truppe borboniche, risalì fino a Napoli. Intanto l’esercito
sardo occupava le Marche e l’Umbria. La prospettiva di concludere
a Roma l’impresa iniziata in Sicilia attraeva sempre più Garibaldi e i
democratici, che tuttavia rinunciarono a compromettere l’opera di
unificazione del paese. Dei plebisciti sancirono poi l’annessione dei
nuovi territori conquistati al Regno di Sardegna.
1861 Proclamazione del Regno d’Italia In seguito alle annessioni
decretate dai plebisciti, Vittorio Emanuele II divenne re d’Italia,
realizzando il suo disegno di unificare la penisola sotto la monarchia
dei Savoia. La soluzione sabauda della questione italiana si era
imposta su quella democratico-repubblicana ; le forze sociali
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trainanti del movimento di unificazione erano state solo gli
intellettuali e la borghesia progressista del Centro-Nord. Mancavano
ancora al nuovo Stato nazionale il Veneto, Trento, Trieste e Roma
con il Lazio.
1861-1876 La Destra storica al potere in Italia La guida del
governo del nuovo Stato nazionale italiano fu assunto dalla Destra
“storica” (a indicare il ruolo decisivo svolto nella storia italiana),
cioè dai liberali moderati che avevano diretto il moto risorgimentale
; alla base dei loro programmi politici c’erano il centralismo
amministrativo e il liberismo economico (libero scambio &
infrastrutture). Le correnti democratiche formavano invece
l’opposizione di Sinistra (Depretis, Crispi), socialmente e
territorialmente meno omogenea della Destra e interessata
all’allargamento del diritto di voto, al decentramento amministrativo
e al completamento in tempi brevi dell’unità. La Destra, che rimase
al potere per circa 15 anni, dovette affrontare il difficile compito
dell’unificazione amministrativa e legislativa del paese : esso venne
risolto estendendo gli ordinamenti del Regno di Sardegna a tutte le
altre regioni (lo Statuto albertino divenne la carta costituzionale
dello Stato italiano). Fu adottato un assai ristretto suffragio a base
censitaria : ossessionati dal timore di una disgregazione dello Stato, i
governanti della Destra videro nelle masse popolari un pericolo per
le istituzioni. Con una severa politica finanziaria e fiscale il governo
riuscì inoltre a portare in pareggio il bilancio dello Stato, fortemente
gravato dalle spese sostenute dal Piemonte nelle guerre contro
l’Austria : esso fu raggiunto al prezzo di dolorosi sacrifici da parte
delle classi popolari (la “tassa sul macinato” del 1869 provocò un
aumento del prezzo del pane), sottoposte a un opprimente carico
fiscale ; in questo modo si acuì sempre più la frattura tra “paese
legale” e “paese reale”. Tra il 1861 e il 1865 si assistette nel
Mezzogiorno a una guerra civile che impegnò l’esercito regio contro
bande di briganti : il brigantaggio fu la manifestazione più virulenta
del distacco esistente tra le massi rurali del Sud e le istituzioni della
nuova Italia.
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1866 Guerra austro-prussiana Il dinamismo delle forze
economiche fu alla base del processo di unificazione tedesca :
l’ampliamento nel 1854 dello Zollverein (istituito nel 1818), il
potenziamento della siderurgia e della meccanica e lo sviluppo di
una rete ferroviaria su tutto il territorio tedesco avevano consentito
la formazione di un’economia nazionale integrata. Nel quadro di
questo processo evolutivo si faceva così sempre più manifesta
l’avversione della borghesia industriale tedesca nei confronti della
divisione del paese in tanti piccoli Stati con i loro particolari
ordinamenti giuridici e sistemi monetari. In questo senso il
programma di Bismarck, nominato cancelliere nel 1862, si
conciliava perfettamente con il processo di unificazione, poiché egli
considerava la potenza dell’industria un presupposto fondamentale
della potenza militare. La Gran Bretagna, da parte sua, guardava
con favore a una Germania unita, considerandola un contrappeso
alla potenza francese a ovest e a quella russa a est. In questo senso,
con l’obiettivo di estromettere l’Austria dalla Germania, primo
passo verso l’unificazione del paese sotto la Prussia, Bismarck
provocò una guerra nella quale la rivale venne sconfitta. La Prussia
annetté alcuni territori tedeschi e l’anno dopo diede vita alla
Confederazione della Germania del Nord (composta dagli Stati a
nord del Meno). Per completare l’unità tedesca (ad essa mancavano
gli Stati meridionali), era a questo punto necessario coinvolgere i
sovrani e il popolo della Germania in una guerra patriottica contro
un nemico comune esterno : la Francia.
Terza guerra di indipendenza italiana Lo scoppio della guerra
austro-prussiana indusse l’Italia a prendere le armi contro l’Austria
allo scopo di strapparle i territori italiani ancora in suo possesso. La
guerra ebbe, sul piano militare, un esito disastroso per l’Italia, che
tuttavia, grazie alla vittoria della Prussia sull’Austria, poté ottenere
da quest’ultima il Veneto (il dominio austriaco sul Trentino e la
Venezia Giulia continuerà fino alla Prima guerra mondiale).
1867 Compromesso austro-ungarico Nel tentativo di arginare la
crisi delle strutture istituzionali che travagliava l’Impero, Francesco
Giuseppe accolse le rivendicazioni autonomistiche ungheresi,
dividendo la monarchia asburgica nei due Stati di Austria e di
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Ungheria. Benché con un unico sovrano, i due Stati erano dotati di
governi e Parlamenti propri.
1870 Scoppio della guerra franco-prussiana Contrario
all’unificazione tedesca, Napoleone III dichiarò guerra alla Prussia,
cadendo nella trappola tesagli da Bismarck. In poco meno di due
mesi i prussiani, cui si erano uniti gli altri Stati tedeschi, penetrarono
in Francia e sbaragliarono l’esercito francese. Il disastroso
andamento della guerra contro la Prussia provocò la caduta di
Napoleone III : subito dopo fu proclamata la Repubblica e si
costituì un governo di difesa nazionale. I prussiani riuscirono però a
raggiungere Parigi e a cingerla d’assedio, costringendo il governo
francese a firmare l’armistizio.
Occupazione italiana di Roma Se ferma era la volontà del
governo italiano di giungere all’annessione di Roma, altrettanto
ferma era quella di papa Pio IX di conservare sulla città la propria
sovranità, che egli considerava condizione indispensabile per la
libertà della Chiesa (con il pontefice si era schierato Napoleone III,
che manteneva a Roma un presidio militare). Nonostante già
Cavour avesse auspicato, dopo il 1861, la netta separazione tra Stato
e Chiesa (“libera Chiesa in libero Stato”), la posizione papale contro
il liberalismo (Sillabo, 1864) precludeva ogni possibilità di dialogo tra
Stato e Chiesa. In questa situazione di stallo mazziniani e
garibaldini presero l’iniziativa puntando a un’azione di forza, ma
furono fermati. Approfittando ora del crollo dell’Impero di
Napoleone III, l’esercito italiano occupò la città ; un plebiscito
sanzionò l’annessione di Roma e del Lazio al Regno d’Italia. Circa
un anno dopo la sua occupazione Roma divenne la capitale d’Italia ;
dal canto suo Pio IX, dichiaratosi prigioniero in Vaticano,
scomunicò il re e i governanti italiani. Il rifiuto del Papa di
riconoscere il Regno d’Italia non lasciò allo Stato altra via che quella
di regolare unilateralmente i suoi rapporti con la Chiesa : nel 1871 il
Parlamento votò la “legge delle guarentigie”, così chiamata perché
intesa a garantire i diritti del pontefice secondo il principio
cavouriano della reciproca libertà di Stato e Chiesa. Essa non venne
però accettata dal Papa e la questione romana rimase perciò aperta
(per una sua risoluzione bisognerà attendere i Patti lateranensi del
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1929). Nel 1874 Pio IX esortò i cattolici a non partecipare alle
elezioni politiche.
1871 Unificazione della Germania Sconfitta la Francia con le
armi, Bismarck vide realizzato il suo piano di unificare la Germania,
di cui divenne imperatore Guglielmo I di Prussia.
La Comune di Parigi Deluso dall’armistizio con la Prussia, il
popolo parigino insorse contro il nuovo governo repubblicano e
diede vita alla Comune. Per il suo programma di ispirazione
socialista (diritto al lavoro, giornata lavorativa di 10 ore, esproprio
delle attività produttive abbandonate dai proprietari), questa
assemblea municipale divenne subito l’incubo della borghesia e,
dopo poche settimane, fu abbattuta in un bagno di sangue.
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