GLI SCOPI E LA STORIA DELLA PSICOLOGIA
COSA STUDIA LA PSICOLOGIA?
La psicologia è la scienza che studia il comportamento e la mente, intendendo per
comportamento l’insieme delle azioni osservabili compiute da una persona o da un
animale; per mente, l’insieme di sensazioni, percezioni, ricordi, pensieri, sogni,
motivazioni, emozioni e di tutte le altre esperienze soggettive che caratterizzano un
individuo.
Possiamo delineare tre criteri per definire meglio la psicologia:
LA PSICOLOGIA E’ UN INSIEME DI QUESITI
che riguardano il comportamento e la mente, cui poter dare risposta mediante
strumenti scientifici.
LA PSICOLOGIA E’ UN INSIEME DI PROCEDURE CON CUI DARE RISPOSTA A QUESITI
SPECIFICI
Si avvale di molti strumenti teorici, metodologici e tecnici
che facilitano il processo con cui questa disciplina cerca le risposte alle domande che si
pone.
LA PSICOLOGIA E’ UN PRODOTTO DELLA STORIA
E’ frutto di un’evoluzione storica trasmessa da una generazione all’altra e via via
modificata.
In quanto scienza la psicologia cerca di dare una risposta ai quesiti che ha
individuato, raccogliendo e sottoponendo ad esame razionale dati osservabili
oggettivamente.
SCIENZA E SENSO COMUNE
Immaginate un bambino che corre su e giù per la sua stanza perlustrando ogni
nascondiglio. Probabilmente sarete indotti a pensare che stia cercando qualcosa che
ha perso (un giocattolo preferito).
Sicuramente vi sarà capitato di associare un comportamento di questo tipo
(esplorazione) a una data situazione (perdita di un oggetto) e ad un particolare stato
mentale (ansia). Diciamo che avete sviluppato una teoria ingenua, non basata su
controlli specifici, bensì sulla vostra esperienza personale. Si può ora utilizzare tale
teoria per spiegare il comportamento del bambino in quella specifica situazione:
emergeranno ulteriori osservazioni volte a rinforzare o respingere la vostra
spiegazione.
TEORIE INGENUE E LA NASCITA DELLA PSICOLOGIA SCIENTIFICA
La psicologia esiste come un insieme di teorie ingenue, sin da quando l’uomo ha
iniziato a riflettere su se stesso.
Qual è la differenza tra una teoria ingenua ed una scientifica?
La differenza principale si può riscontrare nel metodo di controllo delle spiegazioni: lo
strumento principale per costruire una teoria scientifica è il metodo sperimentale.
Il metodo sperimentale è stato messo a punto per studiare il mondo fisico, la natura, e
solo poco più di un secolo fa è stato trasferito allo studio dell’uomo.
Con questo metodo si può giungere a conclusioni più precise e fondate rispetto a
quelle che discendono dalle teorie ingenue che caratterizzano la psicologia del senso
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comune.
In conclusione, una teoria ingenua non è sufficiente a spiegare i risultati che si
ottengono con il metodo sperimentale.
PRIMA DELLA PSICOLOGIA: LE CONQUISTE INTELLETTUALI CHE PREPARANO IL
TERRENO
Le radici filosofiche della psicologia si possono far risalire alla Grecia classica
(Ippocrate, Aristotele), ove i sensi, l’intelletto e le basi fisiche della mente umana
furono oggetto di speculazione, che spesso si rivela di una straordinaria modernità.
Solo durante l’Illuminismo (XVIII sec.) Cartesio sviluppò un pensiero fondamentale per
il passaggio dall’atteggiamento pre-scientifico a quello scientifico nella considerazione
dell’essere umano.
LA VERSIONE CARTESIANA DEL DUALISMO
Egli riprese dai suoi predecessori la teoria del dualismo, cioè il concetto che nell’uomo
esistono due entità distinte: il corpo e l’anima. Il primo è una macchina puramente
fisica, il cui funzionamento può essere conosciuto attraverso strumenti scientific i e che
opera secondo le leggi della natura. L’anima invece è un’entità spirituale, il cui operato
dipende dal libero arbitrio e che non può essere ricondotta alle leggi della natura.
L’aspetto più importante del dualismo cartesiano è il rilievo dato all’e ntità “corpo”: il
comportamento umano è in gran parte indipendente dall’influenza dell’anima e
comportamenti particolarmente complessi sono controllati da meccanismi automatici di
natura riflessa. Le capacità essenziali che distinguono l’essere umano dall’ animale sono
il pensiero e l’uso del pensiero come guida alle azioni. Cartesio ritenne che l’anima, pur
non essendo di natura fisica, avesse una sede fisica nel corpo, cioè in un piccolo
organo posto tra i due emisferi del cervello. L’insistenza sull’interazione fra corpo e
anima definì la versione cartesiana del dualismo come interazionismo.
Cartesio postula anche un terzo tipo di idee, quelle innate, esse possono essere quelle
di Dio, di sè, gli assiomi matematici. Queste idee non si presentano chiare e d istinte
alla coscienza dell’uomo che piuttosto le deve scoprire in se stesso.
IL MATERIALISMO E L’EMPIRISMO
Thomas Hobbes (1588-1679) si spinse molto più in avanti e affermò che lo spirito, o
anima, è un concetto privo di significato e che non esiste altro che la materia e
l’energia (materialismo).
Ogni comportamento umano, comprese le scelte apparentemente volontarie, può
essere interpretato come l’espressione di processi fisici che avvengono nel corpo, in
primo luogo nel cervello. Tale contributo facilitò la nascita dell’empirismo inglese che si
dedicò allo studio della mente umana ed ebbe tra i suoi esponenti alcuni grandi filosofi
(Locke, 1632-1704; Hume, 1711- 1776; Mill). Per Hume l’intelletto umano deriva
unicamente da fattori ambientali e la conoscenza del mondo sarà determinata da ciò
che questi fattori scriveranno nella sua mente.
Il termine empirismo indica la concezione filosofica secondo cui qualsiasi pensiero e
conoscenza derivano dall’esperienza sensoriale (vista, tatto, ecc.) e la mente uman a
consiste in unità fondamentali o idee elementari che traggono origine da esperienze
sensoriali.
LA PSICOLOGIA DEL XIX SECOLO: LE PRIME CONOSCENZE DELLA MACCHINA UMANA
Il XIX secolo fu un’epoca di grandi progressi nel campo della fisiologia, la scienza c he
studia i meccanismi fisici del corpo. Particolarmente rilevante fu l’approfondimento
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delle conoscenze relative ai riflessi. Nell’opinione di alcuni fisiologi, ogni
comportamento umano si attuava attraverso i riflessi e perfino le azioni volontarie non
erano che il risultato di riflessi più complessi che coinvolgevano anche le aree cerebrali
superiori.
L’esponente più noto della scuola neurofisiologica tedesca fu Herman von Helmholtz
(1821-1894) che studiò, tra l’altro, la velocità di conduzione delle fibre nervose sulla
base dei tempi di reazione, focalizzando l’attenzione sul meccanismo stimolo fisico organi di senso-reazione motoria. Pur restando all’interno della fisiologia del sistema
nervoso questo modello, chiamato dell’arco riflesso, descrive un comportamento molto
semplice. Infatti, tra l’azione di uno stimolo fisico provocato dallo sperimentatore e la
risposta corporea viene inserito il sistema percettivo umano; sulla base delle
osservazioni empiriche, si può dire qualcosa del funzionamento di que sto sistema.
Per descrivere un comportamento psicologico, dal punto di vista della storia della
psicologia, è importante introdurre dei metodi di misurazione oggettiva: ad esempio,
distanze, velocità, conducibilità elettrica,...
Il russo I.M. Sechenov fu uno dei più noti sostenitori di questa nuova corrente definita
riflessologia. Egli cercò di estendere lo schema dell’arco riflesso a comportamenti
umani più complessi: ogni azione umana prende avvio da uno stimolo ambientale il
quale, agendo sui recettori sensoriali, mette in moto all’interno del sistema nervoso
una catena di eventi, che poi culminerebbe nei movimenti muscolari costitutivi
dell’azione. L’esponente più famoso della scuola è stato Ivan Pavlov (1849 -1936).
Oggi alcuni punti di vista di tali scuole possono sembrare ingenui, ma si deve
riconoscere loro alcune importanti acquisizioni:
l’obiettivo di rendere oggettivi anche alcuni comportamenti umani non
osservabili direttamente;
il tentativo di introdurre un qualche sistema di misurazione che garantisca la
ripetibilità delle prove empiriche e quindi la possibilità di fare previsioni;
l’intuizione, a volte ancora implicita, di una continuità tra il comportamento
animale e quello umano;
la rinuncia a ogni contenuto di studio o metodo di natura spiritualista o
metafisica.
Altra conquista della psicologia del XIX secolo fu il concetto di localizzazione della
funzione nel cervello, ovvero la teoria secondo la quale aree specifiche del cervello
svolgono precise funzioni nel controllo delle esperienze mentali e del comportamento
(Muller, Flourens, Broca).
Nello stesso ambito di pensiero si può collocare anche la scuola psicofisica di Gustav
Fechner e Ernst Weber. La psicofisica è nata con l’obbiettivo esplicito di mettere in
relazione i dati oggettivi della realtà con i dati “immateriali” dell’esperienza umana. La
novità consiste nel mettere in relazione il mondo esterno (stimolo fisico) con il mondo
interno (la sensazione soggettiva dell’individuo) e nell’affermare la misurabilità degli
elementi di questa relazione attraverso una legge matematica.
DARWIN E L’EVOLUZIONE: UNA NUOVA UNITA’ TRA PERSONA E NATURA
Charles Darwin (1809-1882) riteneva che tutti gli esseri viventi avessero raggiunto le
forme attuali attraverso un processo di evoluzione molto lungo, mediato dalla
selezione naturale, e solo gli organismi che avevano ereditato le caratteristiche che più
si adattavano all’ambiente erano riusciti a sopravvivere e a riprodursi.
Era soprattutto interessato alla funzione di ciascun comportamento cioè al modo in cui
questo poteva favorire la sopravvivenza e la riproduzione dell’individuo che lo
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dimostrava.
Più di ogni altro pensatore Darwin contribuì fortemente a convincere gli intellettuali
che l’essere umano è parte della natura al pari di qualsiasi altra creatura, al di là di
qualsiasi sua pretesa, e può quindi essere conosciuto per mezzo della scienza.
In un suo libro intitolato L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali (1872)
illustrava come la concezione evoluzionista potesse essere applicata allo studio del
comportamento umano.
In questo libro egli sostiene che le forme fondamentali in cui vengono espresse le
emozioni umane, per esempio il riso e il pianto, sono ereditarie e che probabilmente si
sono evolute in quanto la capacità di comunicare le proprie emozioni ad un altro
individuo della stessa specie può conferire un vantaggio in termini di sopravvivenza. Il
mondo era ormai maturo per la nascita della psicologia.
L’EVOLUZIONE DELLA PSICOLOGIA: LE ORIGINI DELLA PSICOLOGIA SPERIMENTALE
La psicologia sperimentale nacque in Germania dove alcuni studiosi applicarono allo
studio della mente un approccio metodologico simile a quello applicato alla fisiologia
con la sperimentazione in laboratorio.
WUNDT E LA DISSEZIONE SPERIMENTALE DELLA MENTE
Tra questi pionieri si deve ricordare William Wundt (1832- 1920) che viene considerato
il fondatore della psicologia scientifica perché innanzitutto scrisse il primo testo di
psicologia, definendo questa disciplina come una scienza e riportando
sistematicamente le ricerche condotte fino ad allora in questo campo.
Secondariamente fondò presso l’Università di Lipsia, nel 1879, il primo laboratorio
sperimentale di psicologia. Egli aveva intuito che i processi mentali non sono istantanei
ma, essendo prodotti dal sistema nervoso, richiedono un certo tempo; uno degli scopi
delle sue ricerche fu quello di misurare la velocità dei processi mentali semplici
ritenendo che i processi più elementari (gli atomi della mente) fossero i più veloci. Una
volta individuati tali processi avrebbe potuto verificare le ipotesi sulla combinazione di
processi elementari nella formazione di processi mentali più complessi. La prima teoria
di Wundt che sostiene la possibilità di interpretare i processi mentali complessi in
termini di sequenze di processi più semplici e una seconda teoria secondo cui questi
possono essere misurati assumendo come stima il tempo di reazione, costituiscono i
fondamenti concettuali della psicologia cognitivista.
LO STRUTTURALISMO DI TITCHENER ED IL PROBLEMA DELL’INTROSPEZIONE
Edward Titchener (1867-1927) riteneva che la psicologia dovesse identificare gli
elementi della mente e determinarne le modalità combinatorie. La psicologia, come la
fisica, ha per oggetto l’esperienza; la differenza sta nel fatto che la prima studia
l’esperienza in quanto indipendente dal soggetto espediente, la seconda la studia in
quanto dipendente dal soggetto espediente (esempio: tempo e spazio hanno una
diversità di valore a seconda dell’indagine fisica o psicologica).
Il suo scopo scientifico era conoscere la struttura della mente attraverso lo studio delle
esperienze consce elementari, che egli riteneva le unità costitutive della mente stessa;
ogni unità elementare della mente doveva essere direttamente riconducibile
all’esperienza sensoriale e Titchener si propose di identificare le esperienze sensoriali
elementari. Il suo approccio metodologico si basava principalmente nell’introspezione
cioè nel guardare al proprio interno. Era convinto che la persona potesse essere
adeguatamente educata a condurre l’autoesame in modo obiettivo e scientifico;
sottopose perciò se stesso ed i suoi allievi a stimoli visivi o uditivi semplici per poi
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cercare di individuare i diversi elementi che formavano l’esperienza soggettiva visiva o
sonora.
Concluse così che ogni sensazione è caratterizzata da quattro dimensioni fondamentali
(qualità, intensità, durata e chiarezza) e che ciò gli permetteva di descrivere la
sensazione prodotta da un particolare stimolo (ad esempio un lampo di luce particolare
dava origine ad una sensazione blu, forte, breve e nitida).
Oggi gli psicologi sono unanimi nel ritenere che il metodo di Titchener si sia rivelato un
insuccesso.
IL FUNZIONALISMO DI JAMES
Un contemporaneo di Titchener fu William James (1842-1910), docente all’università
di Harvard: nel descrivere le ricerche tedesche affermò, un po’ per gioco e un po’ sul
serio, che “Questo metodo mette alla prova la pazienza dello sperimentatore fino
all’estremo limite, e difficilmente avrebbe potuto svilupparsi in un paese dov e le
persone possono sentire la noia”.
Mentre lo strutturalismo risentiva di influenze della fisiologia cercando di individuare i
meccanismi elementari del comportamento, il funzionalismo di James (conoscenza
delle funzioni della mente) era influenzato dalle teorie darwiniane secondo cui il
comportamento può essere interpretato alla luce dei suoi scopi, senza analizzare i
meccanismi elementari attraverso i quali si manifesta. I processi mentali sono quelli
che sono perché in qualche modo hanno aiutato l’organismo a sopravvivere,
interrogativo della psicologia diventa non tanto “cosa sono i processi mentali”, quanto
“a che cosa servono e come funzionano i processi mentali”.
Paragonò l’approccio dei due colleghi a quello di una persona che cerchi di capire la
struttura di un edificio analizzando il contenuto di ogni mattone; la sua opinione
consisteva invece nell’analizzarlo sia nel complesso che nella componenti più rilevanti.
James non pretese di dare rigorosità scientifica al suo metodo.
LA PSICOLOGIA DELLA GESTALT
Nel 1912 Wertheimer pubblicò un articolo su un fenomeno percettivo da lui chiamato
fenomeno phi evidenziando che esso contraddice la concezione atomistica della
percezione di Wundt e Titchener, poiché la particolare combinazione di due luci
produce nell’osservatore l’esperienza sensoriale del movimento che non esiste nella
realtà fisica né nell’esperienza sensoriale che si fa quando le luci sono percepite
singolarmente. La percezione del movimento deve allora essere il prodotto sensoriale
dell’intero stimolo complesso, ovvero dello stimolo inteso come combinazione di due
luci che lampeggiano alternativamente.
Egli fondò con altri studiosi la scuola della Gestalt (forma organizzata, totalità, forma
completa) il cui presupposto fondamentale era che la mente umana può essere
compresa solamente in termini di elementi globali e strutturati e non di componenti
elementari parcellizzate. L’idea non è la somma di concetti elementari così come la
sinfonia non è la semplice somma di singole note; di qui la teoria della Gestalt si può
racchiudere nella frase: “il tutto è più della somma delle parti”.
Gli psicologi della Gestalt riuscirono a dimostrare che l’esperienza conscia di un
oggetto o di una scena in quanto unità globale precede la percezione conscia dell e sue
componenti; ad esempio, guardando una sedia le persone percepiscono e riconoscono
le sedia in quanto tale, prima di notare i braccioli o le gambe o le varie altre parti.
Col tempo la Gestalt cessò di essere una scuola di pensiero a sé stante e si t rasformò
in un approccio integrato in numerosi ambiti della ricerca psicologica.
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SVILUPPO DELLA PSICOLOGIA COMPARATA (O ZOOLOGICA)
I ricercatori che studiavano gli animali diversi dall’uomo definirono la psicologia come
la scienza che studia il comportamento animale, umano e non umano, in un approccio
concettuale di derivazione darwiniana, che venne definito psicologia comparata.
Spesso esso implicava il raffronto tra specie animali differenti, uomo compreso; la
denominazione è però fuorviante perché non specifica i termini del confronto e perché
gli studi sul comportamento animale si limitano in genere ad una sola specie, non
generando alcuna comparazione. Questa branca della psicologia fu definita in modo
più appropriato come psicologia zoologica abbracciando tutte le ricerche fatte su
animali diversi dall’uomo.
WATSON E LO SVILUPPO DEL COMPORTAMENTISMO
John B. Watson (1878-1958) iniziò i suoi studi sugli animali all’inizio del ‘900
all’università di Chicago e condusse esperimenti su scimmie, cani, polli, gatti, rane e
pesci, utilizzando però più spesso il ratto. Egli fu colpito dalla quantità di informazioni
che si potevano acquisire sul comportamento degli animali senza tenere in
considerazione la mente. Infatti si potevano ricavare principi generali del
comportamento tali da porre quest’ultimo in diretta relazione con la variazioni
dell’ambiente a cui l’animale era esposto, senza fare riferimento a processi mentali o
pensieri dell’animale stesso.
Watson si convinse che qualsiasi riferimento ai processi mentali occultasse la
spiegazione dei fenomeni studiati, essendo impossibile l’osservazione diretta della
mente dell’animale: in realtà potevano essere osservate solamente le condizioni
ambientali esterne e le azioni compiute dall’animale. Nel ritenere che la scienza deve
limitarsi a ciò che può essere osservato da chiunque, Watson propugnò una nuova
concezione della psicologia che definì comportamentismo (behaviorism) e pubblicò nel
1913 il manifesto di questa scuola “La psicologia vista dal comportamentis ta” i cui
principali punti sono:
- oggetto di indagine della psicologia non à la mente ma il comportamento, definito
come l’insieme delle azioni osservabili dall’uomo e dagli altri animali;
- il fine appropriato della psicologia è individuare le condizioni ambientali che
provocano negli individui certi tipi di comportamento;
- per conseguire questo fine non occorre fare riferimento a eventi mentali o altri
processi non osservabili che avvengono all’interno dell’individuo. Per spiegare i
fenomeni è sufficiente descrivere quelle relazioni tra ambiente e comportamento
che sono tali da assumere il valore di legge;
- non esistono differenze sostanziali tra il comportamento dell’uomo e quello degli
animali, né tra i metodi da usare nello studio dell’uomo o degli altri ani mali.
Watson sostenne che tutto il comportamento è essenzialmente di natura riflessa, cioè
che ogni comportamento può essere interpretato in termini di reazioni
comportamentali (risposte) a eventi ambientali (stimoli).
SKINNER E LA NUOVA VERSIONE DEL COMPORTAMENTISMO
Il maggior successore di Watson fu Burrhus Skinner (1904-1990): egli concordava con
i quattro principi individuati da Watson ma non era convinto che tutti i comportamenti
non potessero essere interpretati come riflessi, ma neppure la maggioran za di essi.
Skinner si concentrava non tanto sugli stimoli che precedono le risposte quanto sugli
stimoli che sono conseguenza delle risposte. Coniò il termine risposta operante per
indicare qualsiasi azione comportamentale che agisce sull’ambiente in modo da
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produrre qualche conseguenza. La sua concezione comportamentista trova le radici nel
funzionalismo poiché pone al centro dell’indagine non tanto i meccanismi del
comportamento quanto piuttosto la relazione tra il comportamento e gli effetti,
benefici o dannosi, che ne derivano per l’animale che lo mette in atto.
L’ETOLOGIA
Konrad Lorenz (1903-1989) in Austria e Nikolaas Tinbergen (1907-1988) in Olanda
amavano gli animali e li studiavano all’unico scopo di conoscerli profondamente.
Lorenz diede a questa scienza il nome di etologia, definizione che indica lo studio del
comportamento degli animali nel loro ambiente naturale. Essa fu una branca della
zoologia, ma indagando sullo stesso oggetto, il comportamento animale, era inevitabile
che etologia e psicologia comportamentista interagissero tra loro.
All’inizio si trattò di dispute teoriche: i comportamentisti si interessavano quasi
esclusivamente all’apprendimento e, sul piano teorico, prendevano spunto dal
preconcetto filosofico, desunto dall’empirismo inglese, che il comportamento fosse un
riflesso delle esperienze precedenti e che la chiave per interpretarlo stesse nei
processi di apprendimento. Questi psicologi erano molto colpiti da ciò che
riscontravano in laboratorio.
Gli etologi risentivano soprattutto dell’influenza del pensiero darwiniano ed erano
particolarmente colpiti dai moduli di comportamento altamente sofisticati ed adattivi
che gli animali manifestano senza alcun apparente apprendimento, per lo meno non
inteso come lo intendono i comportamentisti.
Secondo la teoria di questi due studiosi, molti moduli di comportamento strettamente
connessi alla sopravvivenza sarebbero “preinseriti” nel sistema nervoso dell’animale e
verrebbero innescati al momento giusto dal verificarsi concomitante di uno s timolo
ambientale specifico edi specifici eventi interni al corpo.
Negli anni ’60 gli sviluppi delle due scienze avevano avvicinato molto le due scuole
portandole ad una collaborazione costruttiva.
FREUD E LA PSICOANALISI
Freud fu un grande innovatore perché le sue idee ed il suo lavoro lo collocarono
totalmente al di fuori della tradizione accademica del suo tempo, sia teorica che
sperimentale.
Egli osservò che molte persone che si rivolgevano a lui non manifestavano alcun
problema di ordine medico, ma sembravano soffrire a causa di ricordi, in particolari
quelli che avevano turbato i loro primi anni dell’infanzia.
In molti casi i pazienti non conservavano un ricordo conscio del fatto ma da indizi
desunti dal loro comportamento Freud si convinse che quei ricordi dolorosi erano
tuttora presenti, sepolti in quella parte della mente che definì inconscio. A partire da
questa intuizione, Freud sviluppò un metodo terapeutico che permetteva al paziente di
parlare liberamente di sé: egli poi interveniva per analizzare quello che era stato detto,
cercando di far riemergere i ricordi sepolti. Il fine che si prefiggeva era quello di
portare i ricordi all’attenzione consapevole del paziente perché questi li potesse
affrontare ed elaborare.
Freud utilizzò il termine psicoanalisi per definire sia il metodo terapeutico che la sua
teoria della mente umana; riteneva che i meccanismi mentali fossero per la maggior
parte inconsci, e l’inconscio non contiene soltanto i ricordi qui sepolti ma è anche la
fonte dei desideri istintivi, o pulsioni, in particolare sessuali ed aggressive.
Sebbene la mente conscia non abbia accesso diretto ai contenuti dell’inconscio tuttavia
risente fortemente della loro influenza. I pensieri e i desideri consci possono essere
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interpretati come prodotti della mente inconscia, modificati in modo da diventare
accettabili per la componente conscia.
Oggi molti psicologi sperimentali accettano uno degli assunti fondamentali della teoria
freudiana, cioè che i processi mentali inconsci influenzano le azioni e i pensieri consci
di una persona. L’opera di Freud, inoltre, indusse gli psicologi ad estendere il proprio
campo di indagine a problemi fin ad allora ignorati.
LA PSICOLOGIA UMANISTICA
Dopo Freud, altri psicologi operanti nel campo clinico avanzarono nuove teorie
radicalmente diverse: esse costituiscono il corpo della psicologia umanistica.
Essa fa capo a Carl Rogers e Abraham Maslow ed ebbe la massima diffusione negli
anni ’60: è fondata sul concetto che ogni persona è dotata di una tendenza
all’autorealizzazione, cioè di un insieme di pulsioni innate che trascendono la
soddisfazione dei bisogni primari dettati dalla natura animale, e che la portano ad
impegnarsi in attività creative, volte al raggiungimento sia della propria soddisfazione
personale sia del benessere della società in senso lato. Il pieno sviluppo di questa
tendenza può essere però bloccato dai genitori, dagli insegnanti e da tutti coloro che
criticano le attività liberamente intraprese dal bambino, ingenerando in lui la
convinzione di essere incapace o di non valere nulla.
La psicologia umanistica è rivolta alla mente conscia e non all’inconscio della persona;
uno degli scopi principali della terapia umanistica è aiutare i pazienti ad acquisire un
concetto positivo di sé stessi.
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