L`economia politica: oggetto e metodo

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DIRITTO COMMERCIALE
L’EVOLUZIONE STORICA DEL DIRITTO COMMERCIALE
L’attività commerciale ha sempre avuto nel corso dei secoli una disciplina
particolare nonostante non abbia mai costituito una branca del diritto
completamente autonoma rispetto al diritto civile.
La società romana non conobbe un sistema unitario del diritto commerciale e lo
“jus civile” non pose le regole riguardanti la produzione manifatturiera e gli
scambi commerciali, considerati attività inferiori persino presso le classi plebee. Il
commercio in senso stretto aveva infatti, in Roma, carattere tipicamente esterno.
Le origini del diritto commerciale vanno ricercate nell’età comunale grazie al
rigoglioso sviluppo del commercio e alla nascita delle corporazioni di arti e mestieri.
Successivamente l’affermarsi dei traffici marittimi sulle grandi tratte oceaniche
determinò la nascita dei titoli documentali di credito per agevolare i pagamenti su
piazze lontane. Con la Rivoluzione Francese del 1789 le corporazioni vennero
travolte perché contrarie ai principi liberali: il diritto commerciale perse il suo carattere
di specialità soggettiva e si passò a considerare commerciale ogni singolo atto che
interessasse da vicino il commercio. Si aprì così la strada alle grandi codificazioni
dove il diritto commerciale era ormai oggettivizzato: nel codice di commercio
napoleonico del 1808, l’atto di commercio, da chiunque compiuto, divenne l’unico
criterio di applicabilità della disciplina commercialistica1.
Il primo codice italiano di commercio venne pubblicato il 25 giugno 1865 e
ricalcava largamente i principi del codice francese, già introdotto in Italia con le
guerre napoleoniche. Il diritto commerciale si affermò come un sistema di norme
autonomo rispetto al diritto civile, prevalente su di esso per il criterio della
specialità e caratterizzato dall’esistenza di principi generali propri dei rapporti
commerciali.
Con il codice civile del 1942 venne deciso di unificare il codice civile e il codice di
commercio, per unificare il diritto delle obbligazioni, partendo da una
considerazione unitaria di ogni attività economica facente capo alla figura
generale dell’imprenditore commerciale.
LE FONTI DEL DIRITTO COMMERCIALE
Nell’ambito delle fonti legali, due sono, accanto alla Costituzione e accanto al
codice civile, le species cui occorre assegnare una posizione di preminenza:
a) la legislazione speciale, che in alcuni settori del diritto commerciale ha
profondamente innovato rispetto alla disciplina del codice civile,
provocando mutazioni radicali;
b) la legislazione comunitaria, la quale soprattutto nel settore societario ha
modernizzato la preesistente disciplina.
Una seconda categoria di fonti è quella degli usi, prevista al numero 4 dell’art. 1
delle disposizioni preliminari al codice civile. Gli usi di cui parliamo e che
possiamo continuare a chiamare commerciali, sono normalmente relativi ad
In questo periodo i codici di commercio sono separati da quelli civili per poter essere più
facilmente emendabili al fine di soddisfare le mutevoli esigenze dei traffici.
1
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aspetti contrattuali non disciplinati da norme scritte o fatti salvi da esse.
Comunque non sono da escludersi gli usi c.d. legali perché frutto di prassi
consuetudinarie, né le pratiche generali interpretative previste dall’art. 1368 c.c..
Uno degli argomenti principali per negare la specificità del diritto commerciale
dopo l’unificazione dei codici è stato sempre quello della scomparsa di una norma
come quella contenuta nel nell’art. 1 del codice di commercio del 1882, che
nell’ordine delle fonti anteponeva gli usi mercantili al diritto civile. Non v’è
dubbio che il netto ridimensionamento degli usi normativi (commerciali) nella
unificazione del 1942 è stato accompagnato da una sostanziale dilatazione della
portata e della rilevanza degli usi negoziali, tra i quali naturalmente occupano una
posizione dominante le clausole d’uso di natura commerciale2. Occorre inoltre
aggiungere che:
 sono frequenti casi in cui convenzioni internazionali o direttive comunitarie
indicano le norme usuarie come fonti primarie cui l’imprenditore deve far
capo;
 non va sottovalutata la funzione che gli usi svolgono verso la tipizzazione
di molti dei nuovi rapporti commerciali;
 per molti comparti ed in particolare per quello dei contratti che possono
considerarsi come contratti di impresa (leasing, factoring), esiste un corpus
codificato di usi (raccolte di usi, di cui al n. 9 dell’art. 1 delle disposizioni
preliminari).
Una terza categoria di fonti è costituita da quelli che denomineremo
riassuntivamente codici. Questi codici possono essere i più vari e possono, innanzi
tutto, essere collettivi e individuali3.
L’IMPRESA
L’IMPRENDITORE E L’IMPRESA
CONCETTI GENERALI
Nozione economica e giuridica di imprenditore commerciale
Sotto il profilo economico, l’imprenditore si presenta come colui che utilizza i fattori
della produzione organizzandoli, a proprio rischio, nel processo produttivo di beni o
servizi: egli è, dunque, l’intermediario tra quanti offrono capitale e lavoro e quanti
domandano beni o servizi.
Ex art. 1340, le clausole d’uso si intendono inserite nel contratto se non risulta che non sono state
volute dalle parti.
3 Possono ritenersi tali alcuni tipi di regolamenti come:
 i regolamenti di borsa o i regolamenti delle camere arbitrali;
 le condizioni generali di affari codificate da associazioni professionali al fine di predisporre
una disciplina unitaria e certa per le contrattazioni nel settore merceologico interessato;
 i contratti normativi, che predispongono il regolamento dei futuri comportamenti dei
soggetti e dei rapporti ancora da concludere;
 i codici di lealtà e di correttezza professionale elaborati anch’essi da associazioni di
operatori o da enti indipendenti senza fini di lucro.
2
3
Da un punto di vista giuridico, la nozione di imprenditore ha subito una profonda
evoluzione. Si è infatti passati da un imprenditore inteso come speculatore sul
lavoro, una figura particolare di commerciante, ad una visione completamente
opposta che considera imprenditore e commerciante in un rapporto da genere a
specie4: il commerciante è quell’imprenditore la cui attività consiste nello scambio
di beni.
Per l'art 2082 del cod. civ. è imprenditore "colui che esercita professionalmente
un'attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di
servizi". Da tale definizione si evincono i caratteri che qualificano l’attività
imprenditoriale:
 l’attività economica, in quanto per creare nuova ricchezza, espone al
rischio di perdere la ricchezza utilizzata5;
 l’organizzazione, che prescinde tuttavia dall’impiego o meno di
collaboratori o di un complesso di beni materialmente percepibile come
invece si pensava in passato6;
L’abrogato codice di commercio non conteneva una definizione di imprenditore, ma all’art. 3
elencava alcune attività che erano reputate atti di commercio ed all’art. 8 definiva “commercianti”
“coloro i quali esercitavano atti di commercio per professione abituale e le società commerciali”.
5 Il termine “attività economica” sta ad indicare una serie di atti finalizzati ad uno scopo, nel senso che
ogni atto che l’imprenditore compie serve all’esercizio dell’impresa e, più in particolare, a
realizzare la produzione o lo scambio di uno o più beni, di uno o più servizi determinati. Il
passaggio dal sistema degli atti di commercio, previsto nel codice di commercio del 1882, al
sistema dell’attività, previsto nel codice del 1942, non è esente da critiche: in primo luogo, occorre
ribadire che l’attività deve potersi far risalire alla volontà del soggetto. Non a caso la dottrina si è
domandata se l’attività dovesse considerarsi un fatto ovvero un atto. La seconda conseguenza
rende ancora più evidente la contrapposizione tra vecchio e nuovo sistema, dove si consideri che
nell’ambito di una attività perfettamente lecita l’imprenditore può compiere singoli atti illeciti e
che, nell’ambito di una attività illecita l’imprenditore possa compiere una serie di atti
perfettamente leciti. Il discorso sull’impresa illecita assume grande importanza. Nella disputa tra
coloro i quali respingono decisamente la plausibilità di un’impresa illecita e coloro i quali
l’ammettono preferendo porre l’accento sul profilo ontologico, si inseriscono quegli autori i quali
preliminarmente distinguono l’ipotesi in cui illecita è l’attività come tale dall’ipotesi in cui l’illiceità
riguarda solo le modalità di svolgimento di un’attività lecita. Nel primo caso la sanzione è quella
della non invocabilità della disciplina dell’impresa da chi è autore e partecipe dell’illecito; nel
secondo caso si tratterà di valutare di volta in volta se l’atto singolo debba o no essere colpito dalla
sanzione della nullità.
6 Il termine “organizzata” è richiamato più volte nel codice civile come ad esempio nell’articolo
2083. Ai fini dell’organizzazione occorrono quindi: capitale, proprio o altrui, e lavoro. Secondo
l’opinione prevalente, l’organizzazione serve a individuare il confine tra le attività produttive, che
in quanto organizzate, assumono il carattere di impresa e quelle attività che, pur essendo destinate
a produrre beni o servizi, non assumono carattere di impresa proprio perché non sono organizzate
(lavoro autonomo e professioni liberali). L’organizzazione deve rivolgersi al mondo esterno, si
parla a proposito di eterorganizzazione, e deve essere rivolta al mercato. Se queste sono le
conclusioni della dottrina prevalente, v’è da registrare l’opinione contraria di chi ritiene che la
presenza di una organizzazione intermediatrice fra quanti hanno lavoro e capitale da offrire, gli
imprenditori, e quanti domandano determinati beni o servizi, i consumatori, non costituisca più
carattere distintivo ed esclusivo dell’impresa. Concludendo, non potendosi ignorare una
distinzione che il legislatore comunque fa, quella cioè tra imprenditore e lavoratore autonomo, si
può scrivere che vi è “lavoro autonomo finché l’uso di mezzi o di strumenti materiali serve
all’esplicazione dell’attività di lavoro del soggetto e non configura una produttività che ecceda
quella del lavoro individuale; vi è impresa quando il livello è superato, appunto come risultato del
concorso determinante e qualificante di altri fattori, quale che sia poi il rapporto tra di essi e il
rapporto tra essi e l’attività di lavoro del soggetto”.
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4




la professionalità, risultante da un’attività costante e sistematica, non solo
occasionale7;
il fine della produzione o scambio di beni o servizi;
lo scopo di lucro8, che tuttavia la dottrina dominante ritiene solo requisito
naturale e non necessario;
la spendita del nome, requisito necessario in quanto determina l’assunzione del rischio imprenditoriale9;
Il termina “professionalità” sta a significare abitualità, ma non vuol dire permanenza, né
esclusività, né prevalenza nell’esercizio. E mentre alla stregua di tali precisazioni, non sono
imprese quelle occasionali, come ad esempio la costruzione di un edificio per abitazioni civili da
parte del libero professionista che dispone di eccedenze liquide, lo sono quelle stagionali, come ad
esempio gli stabilimenti balneari e, quando la lavorazione seguiva i ritmi naturali della
fruttificazione, le imprese di trasformazione dei prodotti agricoli. Altro problema è quello
dell’accertamento della professionalità relativamente al momento della nascita e della cessazione
dell’impresa, da un lato, e, dall’altro, in funzione dell’attività professionalmente esercitata da una
attività occasionalmente esercitata e quindi l’impresa occasionale. Occorre subito affermare che per
aversi impresa occasionale non è sufficiente il compimento di un singolo atto o di un singolo affare,
perché anche tale tipo di imprese necessità il più delle volte di una reiterazione di atti per un certo
periodo di tempo. Si può concludere affermando che la valutazione relativa all’esistenza del
requisito della professionalità non può andar mai disgiunta da una coeva valutazione dei dati
relativi alla organizzazione.
8 È discusso se costituisca requisito essenziale dell’attività di impresa lo scopo di lucro. Parte della
dottrina (Ascarelli) è orientata in senso affermativo sul rilievo che la realizzazione di un profitto è
insita nel concetto di attività economica e nel concetto di professionalità. Per altri autori (Ferrara)
non è necessario che in concreto il soggetto percepisca un lucro, ma occorre che l’attività da lui
esercitata sia astrattamente lucrativa, capace cioè di procurare un lucro indipendentemente dal
fatto che concretamente lo produca o meno. Altri autori, infine, e sono oggi la maggioranza
(Galgano), ritengono che lo scopo di lucro non sia un elemento essenziale dell’attività
imprenditoriale, ma solo un elemento naturale: se, infatti, nella maggior parte dei casi, l’impresa è
esercitata al fine di ricavare i mezzi necessari di sostentamento per l’imprenditore, non mancano
comunque ipotesi in cui il fine di lucro esula dagli scopi dell’impresa (imprese esercitate da enti
pubblici, cioè casse di risparmio, le imprese mutualistiche, cioè società cooperative e società di
mutua assicurazione). Più che lo scopo di lucro, quello che è essenziale all’impresa è la obiettiva
economicità della sua gestione, cioè la capacità di ricavare dall’attività svolta quanto occorre per
coprire con i ricavi i costi di produzione.
9 Nel caso di imprenditore occulto (quando cioè è un prestanome a figurare come titolare
dell’impresa), parte della dottrina ritiene che sia il prestanome a ricoprire la qualifica dell’imprenditore, salva la responsabilità in solido con l’imprenditore occulto verso i creditori.
Alla tematica dell’imputazione appartengono anche
 la figura dell’impresa senza imprenditore, figura creata dalla dottrina: vi rientrerebbero le
ipotesi dell’ente pubblico, delle fondazioni o delle associazioni che esercitino attività di
impresa ma non come oggetto istituzionale esclusivo o prevalente, dell’impresa esercitata
dall’incapace o dal rappresentante legale dell’incapace senza la prescritta autorizzazione,
delle entità prive della soggettività giuridica piena; ma secondo qualche autore un
fenomeno di spersonalizzazione si può cogliere anche considerando il mondo della grande
impresa, nel quale non solo vi è spesso scissione tra coloro che hanno investito nel capitale
sociale e chi governa l’impresa;
 il caso dell’imprenditore che eserciti più attività d’impresa o addirittura più imprese.
Occorre far riferimento al concetto stesso di impresa e agli elementi costitutivi di esso: per
cui si avranno imprese distinte, sia pur facenti capo allo stesso soggetto, quando potranno
riscontrarsi e pluralità di attività e pluralità di organizzazioni, mentre dovrà parlarsi di
impresa unica quando l’unica attività sia organizzata con articolazioni di stampo
autonomistico sul piano territoriale, amministrativo, contabile o addirittura aziendale, cui
sarà più consono attribuire la natura di settori o di rami d’impresa.
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5
Ai sensi dell’art. 2238, i liberi professionisti e gli artisti non sono mai – in quanto tali –
imprenditori: essi lo diventano solo se ed in quanto la professione intellettuale sia
esercitata nell’ambito di un’altra attività di per se qualificata come impresa 10. Il
motivo di tale esclusione è da ricercare nel fatto che tali soggetti non assumono,
nell’esercizio delle proprie attività, quel rischio del lavoro che caratterizza la
figura di imprenditore: si parla per essi di una “obbligazione di mezzi” e non di
una “obbligazione di risultati”. Quindi il professionista ha diritto al compenso per
il solo fatto di aver prestato la propria opera ed a prescindere dal risultato di essa,
il cui rischio, pertanto, grava sull’altra parte del rapporto obbligatorio.
Lo “status” di imprenditore e la nozione di impresa nel codice civile
La qualifica di imprenditore comporta per il soggetto uno speciale regime
giuridico (status di imprenditore). Questi infatti:
 ha la direzione dell’impresa;
 ha l’obbligo di tutelare le condizioni di lavoro dei propri dipendenti;
 è sottoposto ad un regime di particolare rigore pubblicistico.
Quanto all’impresa, poiché il codice si limita a definire la figura dell’imprenditore, è la dottrina ad estrapolarne la nozione: partendo dal presupposto che l’imprenditore è il titolare dell’impresa, questa può essere definita come l’attività
economica organizzata dall’imprenditore e da lui esercitata professionalmente al fine della
produzione o dello scambio di beni o di servizi.
Principi costituzionali
Tutto il Titolo della Costituzione dedicato ai “Rapporti economici” riguarda in
modo più o meno diretto l’impresa. Infatti:
 all’art. 41 si sancisce la libertà di iniziativa economica privata e pubblica: per cui
l’impresa pubblica e quella privata coesistono nel nostro sistema in condizioni
giuridicamente paritarie e di concorrenza. Se da un lato si stabilisce che
l’iniziativa economica è libera, dall’altro si proclama che essa non può
svolgersi in contrasto con l’utilità sociale e in modo da recare danno alla
sicurezza, alla libertà e alla dignità umana.
 all’art. 43 si sancisce l’intervento pubblico nell’economia in forme sia autoritative che
espropriative. Le imprese in questione debbono riferirsi a servizi pubblici
essenziali, a fonti di energia, a situazioni in monopolio ed avere un preminente
interesse generale. La normativa esaminata, sancendo l’intervento dello Stato
nell’economia, spezza il rapporto tradizionale fra pubblico e privato e porta,
come afferma Galgano, alla conversione del diritto privato in un diritto
comune a pubblici e privati operatori che, nell’esercizio delle attività
economiche, operano in posizione paritaria.
 all’art. 41 comma 3 si sancisce l’indirizzo e il coordinamento a fini sociali dell’attività economica pubblica e privata.
 Agli art. 45 e 46 si ha invece il riconoscimento della cooperazione mutualistica,
la tutela e lo sviluppo dell’artigianato e la collaborazione dei lavoratori alla
gestione dell’azienda.
A titolo di esempio si consideri il medico che gestisce una clinica privata nella quale egli stesso
opera.
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LE CATEGORIE IMPRENDITORIALI
L’imprenditore agricolo
Fino all’entrata in vigore del codice del 1942, l’attività di sfruttamento delle terre considerata attività di mero godimento – era regolata anziché dal codice di
commercio, dal codice civile. La normativa attuale, considerando imprenditore
chiunque svolga un’attività creativa di ricchezza, ha incluso nella categoria anche
l’agricoltore ma ha conservato per esso alcuni privilegi come l’esclusione
dall’obbligo della tenuta delle scritture contabili e la non assoggettabilità al
fallimento. Per l'art. 2135 è imprenditore agricolo “chi esercita un'attività
(professionale) diretta alla coltivazione del fondo11, alla silvicoltura12, all'allevamento del
bestiame13 e attività connesse”; il 2° comma dell'art. 2135 precisa che "si reputano
connesse le attività dirette alla trasformazione o all'alienazione dei prodotti agricoli,
quando rientrano nell'esercizio normale dell'agricoltura". La giurisprudenza e la
dottrina prevalenti ritengono che le imprese agricole per connessione non si
esauriscano nel novero di quelle elencate dalla norma considerando tale
elencazione meramente esplicativa. In quest’ottica si distinguono:
 attività connesse tipiche, cioè quelle dirette alla trasformazione o all’alienazione di prodotti agricoli, quando rientrano nell’esercizio normale dell’agricoltura;
 attività connesse atipiche, cioè tutte le altre attività esercitate in
connessione con la coltivazione del fondo, la silvicoltura e l’allevamento del
bestiame (es. agriturismo, trebbiatura per conto terzi ecc.).
Tali attività sono oggettivamente commerciali ma vengono considerate agricole
qualora siano connesse ad una delle tre attività agricole essenziali. Perché possano
essere considerate connesse, tali attività devono presentare:
 una connessione soggettiva, in quanto il soggetto che esercita l’attività
deve essere un imprenditore agricolo;
 una connessione oggettiva, in quanto l’attività connessa non deve
configurare un’autonoma speculazione commerciale o industriale e, tramite
la persona dell’agricoltore, deve essere sempre collegata oggettivamente
alla terra. Tale collegamento oggettivo viene individuato per le attività
connesse tipiche attraverso il criterio dell’esercizio normale dell’agricoltura;
per le attività connesse atipiche mediante il criterio dell’accessorietà.
Per coltivazione del fondo deve intendersi il complesso unico e inscindibile del ciclo dei lavori
svolti dall’agricoltore per conseguire i prodotti immediati e diretti dalla terra, dalla rottura del
suolo al raccolto. La giurisprudenza tende a far rientrare nella nozione di attività agricole anche la
floricoltura sempre che il fondo rappresenti realmente il fattore produttivo e non sia solo lo
strumento per la conservazione delle piante. La dottrina non ritiene verificate le condizioni minime
richieste dalla norma in relazione alle colture artificiali attuate fuori dal fondo (piante le cui radici
sono immerse in particolari soluzioni).
12 La silvicoltura sta ad indicare l’attività tecnica volta al fine di ottenere il più conveniente
prodotto del bosco entro cicli regolari di tempo. Non rientra nell’attività di silvicoltura l’attività
meramente estrattiva del legname, attività tipicamente industriale se disgiunta dalla coltivazione.
13 Al termine di numerosi dibattiti, alcuni dei quali sono ancora vivi in dottrina e giurisprudenza,
possiamo affermare che: deve considerarsi agricola la pastorizia anche se svolta in forma
transumante, poiché assume importanza il fondo e non la sua coltivazione; è dibattuto il senso e la
portata del termine bestiame, nel quale, se interpretato estensivamente, rientrerebbero gli animali
da pelliccia o da mero allevamento, le specie avicole e l’apicoltura.
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L’imprenditore commerciale
L’imprenditore commerciale può essere individuato per via residuale allorché la
sua attività non costituisca “attività agricola”. In particolare, ai sensi dell’art. 2195,
sono imprenditori commerciali coloro che esercitano:
 attività industriali dirette alla produzione di beni o servizi: sono tutte quelle che
si propongono, attraverso la trasformazione di materie prime, la creazione
di nuovi prodotti ovvero, attraverso la organizzazione di capitale e lavoro,
la predisposizione di servizi;
 attività intermediaria nella circolazione di beni, ovvero le attività commerciali;
 attività di trasporto per terra, per acque, per aria14;
 attività bancaria, che si concreta nella raccolta di risparmio tra il pubblico e
nell’esercizio del credito;
 attività assicurativa, cioè quelle attività che consistono nell’esercizio delle
assicurazioni private15;
 attività ausiliarie alla precedenti, cioè quelle attività che agevolano l’esercizio
delle attività specificamente indicate o comunque sono legate a queste
ultime da un rapporto di complementarità.
Occorre prestare attenzione ai casi particolari:
 dell’impresa civile, intesa come attività di produzione di servizi, non
definibile come attività industriale ai sensi del n. 1 dell’art. 2195: parte della
dottrina ritiene che l’imprenditore civile non sia assoggettabile alla
disciplina dell’imprenditore commerciale (quindi non fallirebbe); la
dottrina dominante ritiene invece che la dicotomia impresa agricola –
impresa commerciale esaurisca ogni possibile tipo di impresa e quindi non
esista una “impresa civile”;
 degli enti pubblici economici, ovvero quella particolare categoria di enti
pubblici che hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di una
attività commerciale: per essi, la normativa dettata per gli imprenditori
privati, si aggiunge o si sovrappone alla disciplina istituzionale16.
L’attività di trasporto, specialmente di cose, è attività ausiliaria delle attività industriali e
commerciali, ma per la sua essenzialità nella vita e nello sviluppo di una comunità essa è elevata a
categoria autonoma e differenziata.
15 Ragion per cui non sono imprese di assicurazione quegli enti che gestiscono le c.d. assicurazioni
sociali, le quali sono vere e proprie forme pubbliche di assistenza e previdenza.
16 È impresa pubblica quella esercitata dallo Stato o da altro ente pubblico, retta da uno statuto
approvato con provvedimento nel quale sono indicati gli scopi che essa si prefigge di raggiungere.
Oggi l’intervento pubblico nell’economia non ha più il ruolo di primo attore e sta abbandonando
lentamente la scena per tanti anni tenuta. Infatti, è in atto un processo generale di privatizzazione,
nel senso che lo Stato sta, attraverso procedure e modalità differenti, abbandonando
progressivamente la politica dell’intervento pubblico in economia .
È opinione quasi generale della dottrina privatistica e pubblicistica che l’impresa pubblica non
presenti rispetto all’impresa privata elementi di differenziazione. Una conferma in questo senso
viene dalle uniche due norme di carattere generale che, nel codice civile, sono dedicate all’impresa
pubblica:
 l’art. 2093 che stabilisce espressamente che le disposizioni di questo articolo si applicano
agli enti pubblici inquadrati nelle associazioni professionali;
 l’art. 2201 che obbliga gli enti pubblici che hanno per oggetto esclusivo o principale
un’attività commerciale all’iscrizione nel registro delle imprese.
Si deve inoltre ricordare che il fine dell’attività imprenditoriale è sempre quello della produzione o
dello scambio di beni e servizi e che la finalità di interesse generale perseguita dall’impresa
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Il piccolo imprenditore
L’art. 2083 definisce piccoli imprenditori il coltivatore diretto del fondo17,
l'artigiano18 e il piccolo commerciante19, e tutti coloro che esercitano un'attività
professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti
la famiglia. Tale definizione si scontra però con l'art. 1 della legge fallimentare
secondo la quale “sono piccoli imprenditori quegli imprenditori che siano titolari,
ai fini dell'imposta di ricchezza mobile, di un reddito inferiore al minimo
imponibile e, quando sia mancato l'accertamento, abbiano investito nella loro
azienda un capitale non superiore a L. 900.000”. La discrasia pare essersi risolta
con 4 pronunce della Corte Cost. La sentenza del 22 dicembre 1989 ha statuito che
la norma del secondo comma dell'art. 1 L. Fall. è cancellata dal nostro ordinamento
né è, fortunatamente, resuscitabile. La distinzione tra le categorie di piccolo, medio
e grande imprenditore, ed insolvente civile deve essere operata, pertanto, non più
in relazione ad un così esiguo capitale investito, bensì con ponderato riferimento
“all’attività svolta, all’organizzazione dei mezzi impiegati, all’entità dell’impresa
ed alle ripercussioni che il dissesto produce nell’economia generale”.
pubblica ha la stessa collocazione della finalità di profitto dell’imprenditore privato rispetto
all’impresa e al fine dell’impresa. Infine, ai sensi dell’art. 2221, l’impresa pubblica non è soggetta a
fallimento e al concordato preventivo, bensì, di norma, alla liquidazione coatta amministrativa.
17 Il coltivatore diretto del fondo è definito, sia pure indirettamente dall’art. 1647, come colui che
coltiva il fondo “col lavoro prevalentemente proprio o di persone della sua famiglia sempre che il fondo non
superi i limiti di estensione che, per le singole zone o colture, possono essere determinate”, rappresenta la
specie dalla quale è iniziato quel processo di progressiva divaricazione tra la figura codicistica di
piccolo imprenditore e l’interpre-tazione che di essa è stata data dalla legislazione speciale, la quale
si è preoccupata di quantificare l’avverbio “prevalentemente”. Così con un susseguirsi di leggi si è
giunti ad affermare che sia necessario che la complessiva forza lavorativa del nucleo familiare non
sia inferiore ad un terzo di quella occorrente per la normale necessità della coltivazione del fondo e
per l’allevamento e il governo del bestiame, e che ai fini del computo del fabbisogno di giornate
lavorative occorre tener conto anche dell’impiego delle macchine agricole.
18 Questa è la categoria che ha dato luogo a dibattiti più accesi e corposi, anche perché oggetto di
due leggi, la n. 860 del 1956 e la n. 443 del 1985 (legge – quadro dell’artigianato), le quali, a
differenza delle leggi speciali dettate per il coltivatore diretto che si sono limitate a dare una
valenza quantitativa dell’avverbio “prevalentemente”, hanno inciso profondamente sulla nozione
stessa di artigiano. Occorre ricordare che la Costituzione, all’articolo 45 comma 2, stabilisce che “la
legge provvede alla tutela e allo sviluppo dell’artigianato”, e all’articolo 117 che la materia è di
competenza delle regioni. Le linee principali della legge – quadro dell’artigianato possono così
riassumersi:
 l’impresa artigiana ha ad oggetto prevalente lo svolgimento di una attività di produzione
di beni, anche semilavorati, o di produzione di servizi, escluse le attività agricole e le
attività di prestazione di servizi commerciali, di intermediazione nella circolazione dei beni
e ausiliarie di queste ultime, di somministrazione al pubblico di alimenti o bevande;
 è imprenditore artigiano colui che esercita personalmente, professionalmente e in qualità
di titolare dell’impresa artigiana, assumendone la piena responsabilità con tutti gli oneri e
rischi inerenti alla sua gestione e direzione e svolgendo in misura prevalente il proprio
lavoro, anche manuale, nel processo produttivo;
 l’impresa artigiana può essere svolta anche con la prestazione di opera di personale
dipendente diretto personalmente dall’imprenditore artigiano o dai soci.
19 Piccolo commerciante è colui che, rispondendo ai caratteri di cui all’art. 2082, svolge un’attività
di intermediazione nella circolazione dei beni, vale a dire il piccolo imprenditore commerciante.
Questi non deve tenere le scritture contabili obbligatorie, non è soggetto alle procedure concorsuali
e solo recentemente è stato obbligato all’iscrizione in una sezione speciale del registro delle
imprese ai fini di certificazione e di pubblicità notizia.
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ACQUISTO DELLA QUALITÀ DI IMPRENDITORE COMMERCIALE
L’acquisto della qualità di imprenditore commerciale, per le persone fisiche, è
indipendente da ogni adempimento di carattere formale e si produce in
conseguenza dell’inizio effettivo della attività economica. Sul momento in cui
debba dirsi nata l’impresa, l’orientamento della dottrina si bipartisce in due teorie:
 teoria oggettiva: l’impresa nasce quando sono realizzate organizzazione e
attività produttiva. Alla stregua di tale criterio sembrerebbe risolto in senso
negativo il problema della ricomprensione nell’attività di impresa di quelli
che sono stati denominati gli atti di organizzazione, quegli atti, cioè,
preparatori al vero e proprio inizio dell’attività;
 teoria soggettiva: secondo i fautori di tale tesi, la distinzione tra atti di
organizzazione e atti dell’organizzazione non avrebbe rilievo decisivo nella
soluzione del problema, soprattutto, perché, a parte la difficoltà pratica di
inquadramento degli atti compiuti dal soggetto in una piuttosto che in
un’altra delle due categorie, anche gli atti preparatori dell’attività rientrano
nell’attività di impresa. L’importante è che non si tratti di atti isolati.
L’accettazione di una piuttosto che dell’altra tesi non è senza conseguenze
pratiche, proprio perché alla individuazione del momento dell’inizio dell’attività
di impresa, la legge ricollega nell’ordine:
 l’obbligo di iscrizione nel registro delle imprese;
 l’obbligo di tenuta delle scritture contabili per gli imprenditori commerciali;
 l’applicazione delle forme di tutela dei segni distintivi e contro la
concorrenza sleale;
 la soggezione alle procedure concorsuali.
È doveroso registrare l’opinione di una parte della giurisprudenza, la quale ritiene
che non sia di ostacolo all’acquisto della qualità di imprenditore l’esercizio da
parte dello stesso soggetto di altra attività non compatibile ovvero l’esistenza di
divieti espliciti contenuti in altri ordinamenti.
Conseguenze all’assunzione della qualifica
di “imprenditore commerciale”
Dalla qualità di imprenditore di una delle parti di un rapporto contrattuale,
conseguono determinati effetti, fra i quali occorre ricordare:
 la proposta o l’accettazione di un contratto, fatta dall’imprenditore
nell’esercizio della sua impresa, non perde efficace se l’imprenditore muore
o viene dichiarato incapace prima della conclusione del contratto, salvo che
si tratti di piccolo imprenditore o che risulti diversamente dalla circostanze
o dalla natura dell’affare;
 la norma dell’art. 1341 (condizioni generali del contratto), si riferisce alle
attività imprenditoriali per delineare la figura del c.d. contraente più forte;
 nell’interpretazione del contratto, se una delle parti è imprenditore, le
clausole ambigue si interpretano secondo gli usi del luogo in cui si trova la
sede dell’impresa.
Capacità di esercitare un’impresa commerciale
Si può dire che chi ha la capacità di agire è anche capace di esercitare un’impresa.
Sia l’incapace (minore o interdetto) che l’inabilitato possono essere autorizzati solo
10
a continuare, ma non ad iniziare, l’esercizio dell’attività commerciale. Fa eccezione
alla regola il minore emancipato, il quale, peraltro, dopo l’autorizzazione consegue
la piena capacità di agire anche per gli atti estranei all’impresa, con la sola
eccezione degli atti di donazione. In ogni caso, l’esercizio–continuazione o inizio
di una impresa commerciale, sia nel caso di incapacità assoluta, sia nel caso di
incapacità relativa, deve essere sempre autorizzato dal tribunale su parere del
giudice tutelare. Nel caso del minore e dell’interdetto, il giudice tutelare può
autorizzare l’esercizio provvisorio dell’impresa20.
Le deroghe alla disciplina comune riguardano esclusivamente le imprese
commerciali, e non pure le imprese agricole, per le quali valgono le norme generali
per il compimento degli atti giuridici da parte dell’incapace comune. Questa
disparità di trattamento trova la sua giustificazione nella maggiore sicurezza dei
risultati produttivi dell’impresa agricola e nell’essere, in tale tipo di impresa,
prevalenti gli atti di ordinaria amministrazione.
La pubblicità dell’imprenditore individuale
Di solito, la legge non impone l’adempimento pubblicitario ma fa discendere da
esso l’opponibilità ai terzi dell’atto pubblicizzato (trascrizione). Il registro delle
imprese nasce con il codice del 1942 e assolve una duplice esigenza:
 quella dell’impresa di rendere edotti della propria attività coloro che
entrano con essa in contatto;
 quella dei terzi di essere tutelati attraverso l’informazione relativa alle
vicende più importanti della vita di un’impresa a partire dalla sua nascita, e
cioè la sede e le eventuali sedi secondarie, l’oggetto dell’attività, la ditta, gli
ausiliari legittimati ad agire, le modificazioni di tali elementi e la
cessazione.
La disciplina era integrata dagli art. da 99 a 101 delle disposizioni di attuazione del
codice civile. La disciplina transitoria è stata per cinquant’anni la disciplina del
registro delle imprese sino a quando non è intervenuta la legge n. 580 del 1993. Le
innovazioni principali contenute e nell’art. 8 della legge n. 580 del 1993 e nel
regolamento di attuazione sono:
 individuazione nella Camera di Commercio del responsabile alla tenuta del
registro delle imprese deputato a curarne la tenuta sotto la vigilanza di un
giudice delegato dal presidente del tribunale del capoluogo di provincia e
sotto la direzione di un conservatore nominato dalla Giunta camerale;
 l’istituzione delle sezioni speciali del registro, nelle quali sono iscritte tutte
quelle categorie di imprenditori per le quali, nel regime previgente, non era
prevista alcuna forma di pubblicità, e cioè gli imprenditori agricoli, le
società semplici e le imprese artigiane21.
Tutti i provvedimenti di autorizzazione e di revoca di questa devono essere iscritti, ex art. 2198,
nel registro delle imprese.
21 Appare utile un riepilogo degli enti soggetti ad iscrizione, contenuto nell’art. 7 del regolamento.
Tali soggetti sono:
 gli imprenditori;
 le società;
 i consorzi;
 le società consortili;
 i gruppi europei di interesse economico;
20
11
Il BUSARL e il BUSC
Il DPR 1127/69 sanciva l’obbligo per le società di capitali di pubblicare una serie
di atti ad esse inerenti sul Bollettino Ufficiale delle Società per Azioni e a Responsabilità
Limitata quale ulteriore forma di pubblicità. Gli atti per i quali era richiesta tale
pubblicazione erano opponibili ai terzi soltanto dopo la pubblicazione stessa. Allo
stesso modo, il D.M. 23-4-77 aveva introdotto il Bollettino Ufficiale delle Società
Cooperative, in cui quest’ultime erano obbligate a pubblicare un’altra serie di atti
ma in questo caso ai soli fini di pubblicità notizia (priva quindi di effetti giuridici).
L’art. 29 della legge 266/97 ha stabilito che l’obbligo di registrazione degli atti o
dei fatti per i quali la legge prevede la pubblicazione sul Busarl o sul Busc, è
assolto con l’iscrizione o il deposito nel registro delle imprese, istituito presso ogni
Camera di Commercio.
Le scritture contabili
La tenuta della contabilità e la rivelazione periodica dello stato patrimoniale
hanno una triplice funzione:
 quella di consentire all’imprenditore di seguire costantemente l’andamento
della gestione per capire se l’impresa va bene o va male;
 quella di informare i terzi che entrano in contatto con l’imprenditore ed
hanno rapporti con essa;
 in caso di dissesto, quella di permettere la ricostruzione della situazione
debitoria dell’imprenditore.
Fra la tenuta delle scrittura contabili e la redazione del rendiconto o del bilancio
esiste un rapporto di propedeuticità, nel senso che solo sulla base delle risultanze
delle prime l’imprenditore può compilare il secondo. Soggetti obbligati alla tenuta
delle scritture contabili sono, oltre che l’imprenditore commerciale individuale,
anche le società, qualunque sia l’attività esercitata, e gli enti pubblici che svolgono
attività commerciale non in via principale. Il legislatore italiano ha adottato un
sistema misto, stabilendo che, accanto all’obbligo di tenuta di scritture
nominativamente individuate, e delle quali viene descritta normativamente anche
la funzione (libro giornale e libro degli inventari), l’imprenditore debba
necessariamente tenere le altre scritture contabili che siano richieste dalla natura e
dalle dimensioni dell’impresa. Il minimo indispensabile è dunque costituito dal
libro giornale, dal libro degli inventari e dalla conservazione della corrispondenza.
In particolare:
 nel libro giornale le operazioni relative all’esercizio dell’impresa devono
essere annotate secondo l’ordine cronologico in cui sono compiute, con
l’osservazione altresì del c.d. criterio dell’immediatezza (ogni “affare” deve
cioè essere annotato appena compiuto);





gli enti pubblici che hanno per oggetto principale o esclusivo attività commerciali;
le società soggette alla legge italiana;
gli imprenditori agricoli;
i piccoli imprenditori;
le società semplici.
12

nel libro degli inventari, devono essere indicate e valutate le attività e le
passività relative all’impresa, nonché le attività e le passività dell’imprenditore estranee alla medesima22;
 l’imprenditore deve conservare ordinatamente per ciascuna affare gli
originali delle lettere, dei telegrammi e delle fatture ricevute, nonché le copie delle
lettere, dei telegrammi e delle fatture spedite.
Per ciò che riguarda il “nucleo mobile” delle scritture contabili, la scienza
aziendalistica non ha mancato di individuare i libri resi necessari sia dalle
dimensioni dell’azienda sia dal ramo merceologico in cui l’impresa opera (libro
mastro, che segue l’ordine sistematico, il libro magazzino). Il sistema normativo è
completato dalle disposizioni relative alle modalità di tenuta delle scritture
contabili, la cui osservanza è indispensabile perché le scritture siano considerate
regolari. Regolarità che costituisce presupposto indispensabile sia perché
l’imprenditore possa invocare come prova a suo favore le registrazioni, sia per
essere ammessi, in caso di dissesto, al beneficio del concordato preventivo o
dell’amministrazione controllata. I principali punti sono:
 il libro giornale e il libro degli inventari devono essere progressivamente
numerati in ogni pagina e bollati in ogni foglio dall’ufficio del registro delle
imprese o da un notaio;
 tutte le scritture contabili devono essere tenute secondo le norme di
un’ordinata contabilità, senza spazi in bianco, senza interlinee e senza
abrasioni;
 la contabilità deve essere conservata per dieci anni.
Le scritture contabili possono essere utilizzate come mezzo di prova sia contro che
a favore dell’imprenditore23. I mezzi processuali di acquisizione delle scritture
sono:
 l’esibizione, che può avere ad oggetto solo determinate registrazioni e
viene ordinata dal giudice anche su istanza di parte;
Esso si chiude con il bilancio e con il conto dei profitti e delle perdite:
 il bilancio è un conto patrimoniale costituito dalla contrapposizione tra il complesso delle
attività ed il complesso delle passività: se il primo supera il secondo, il dato differenziale
rappresenta l’utile dell’impresa; se il secondo supera il primo, il dato differenziale
rappresenta la perdita dell’impresa.
 il conto dei profitti e delle perdite, invece, è un conto economico ed indica le fonti dei
ricavi e delle spese pertinenti ad ogni esercizio.
23 In particolare, le scritture contabili:
 fanno sempre prova contro l’imprenditore, cioè possono sempre essere utilizzate dai terzi
come mezzo processuale di prova contro l’imprenditore che le tiene. Chi vuole trarne
vantaggio, tuttavia, non può scinderne il contenuto ed avvalersi solo della parte a lui
favorivole. L’imprenditore, inoltre, potrà dimostrare con qualsiasi mezzo che le proprie
scritture non rispondono a verità.
 non costituiscono prova, a favore dell’imprenditore, nei rapporti con i non-imprenditori e
con gli utenti dell’impresa: ad esse può essere attribuito soltanto il carattere ed il valore di
elementi indizianti, idonei a dare vita, in concorso con altri elementi, ad una valida prova
per presunzioni ai sensi degli artt. 2727 e seguenti.
 possono costituire prova, a favore dell’imprenditore, soltanto nei rapporti fra imprenditori
inerenti all’esercizio dell’impresa e purché si tratti di libri bollati e numerati nelle forme di
legge e tenuti secondo le norme prescritte.
Il valore probatorio spetta, in ogni caso, al giudice.
22
13

la comunicazione, la quale concerne l’integrale contabilità dell’imprenditore, ed è ammessa, sempre su ordine del giudice, solo in caso di
controversie relative allo scioglimento della società, alla comunione dei beni
e alla successione per causa di morte.
L’IMPRENDITORE E I SUOI AUSILIARI
All’attività imprenditoriale partecipano diversi soggetti. Questa collaborazione si
attua mediante la prestazione di opera sia da parte di persone estranee all’organizzazione (ausiliari autonomi), sia da parte di persone che agiscono nell’ambito
dell’impresa e che si pongono, rispetto all’imprenditore, in posizione di
subordinazione (ausiliari subordinati).
L’institore
L’institore è la persona preposta dal titolare all’esercizio di un’impresa
commerciale, o di una sede secondaria o di un ramo particolare dell’impresa. La
rappresentanza institoria è per sua natura generale. La procura è la via maestra del
conferimento dei poteri institori, ma non è necessariamente l'unico mezzo.
L'orientamento consolidato della Cassazione è ormai nel senso che il fondamento
della rappresentanza sta nel fatto stesso della preposizione. Tra i poteri
dell'institore vi sono:
 la rappresentanza dell'imprenditore;
 la corresponsabilità con l'imprenditore per l'osservanza delle disposizioni
riguardanti l'iscrizione nel Registro delle imprese e la tenuta delle scritture
contabili;
 la c.d. contemplatio domini, in virtù della quale l'institore che omette di fare
conoscere che tratta per il proponente risponde personalmente.
Si noti infine che l’institore:
 non può nominare altri institori, in quanto i suoi poteri si estendono alla
sola gestione dell’attività cui è preposto;
 non può essere preposto ad una piccola impresa.
I procuratori
Sono procuratori coloro i quali, in base ad un rapporto continuativo, possono
compiere per l’imprenditore gli atti pertinenti all’esercizio dell’impresa, pur non
essendovi preposti. La materia dei procuratori è regolata dall'art. 2209. Egli – al
pari dell’institore – è un rappresentante generale dell’imprenditore a questi legato
da un rapporto di lavoro subordinato. Non gravano sul procuratore gli obblighi di
iscrizione nel registro delle imprese e di tenuta delle scritture contabili; né
compete ad esso la rappresentanza processuale dell’imprenditore, neppure per gli
atti da lui posti in essere, se non per effetto di un apposito conferimento di potere.
I commessi
I commessi sono coloro che esercitano attività subordinata di concetto o di ordine,
estranea però a funzioni direttive. Essi possono essere:
 preposti alla vendita nei locali dell’impresa (commessi di negozio);
 incaricati della vendita da piazza a piazza (commessi viaggiatori);
14
I loro poteri rappresentativi sono strettamente collegati alle mansioni svolte
potendo compiere solo gli atti che ordinariamente comporta la specie delle
operazioni di cui sono incaricati.
L’AZIENDA
Ai sensi dell’art. 2555 c.c., l’azienda è “il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa”. L’imprenditore non deve essere necessariamente
proprietario dei beni aziendali: è infatti sufficiente che egli disponga di un diritto
reale o personale che gli permetta di utilizzarli. Da questa considerazione si evince
che la titolarità dell’azienda non deve essere intesa nel senso di una proprietà sul
complesso bensì nel senso di una titolarità di diritti.
GLI ELEMENTI COSTITUTIVI E IL CONCETTO DI “AVVIAMENTO”
Per quanto attiene agli elementi costitutivi dell’azienda la dottrina è divisa:
 per alcuni possono ritenersi tali solo le cose in senso proprio di cui l’imprenditore si avvale per l’esercizio dell’impresa;
 per altri sono riconducibili ad essi tutti i rapporti contrattuali stipulati per
l’esercizio dell’impresa e pure i crediti verso i clienti e i debiti verso i fornitori.
Il fatto che l’azienda sia caratterizzata da un complesso di beni organizzati in
funzione di uno scopo produttivo ci induce a considerare che tali beni – così intesi
– abbiano un valore maggiore rispetto agli stessi individualmente considerati. Tale
maggior valore che i beni aziendali acquistano a causa della “organizzazione”,
prende il nome di avviamento dell’azienda24. Il nostro ordinamento giuridico
appresta all’avviamento una tutela:
 diretta: si pensi, ad esempio, alla tutela riconosciuta dagli artt. 34 e 35 della
L. 392/78 a favore dell’imprenditore locatario nei confronti del locatore
dell’immobile destinato all’impresa;
 indiretta: si pensi alla repressione della concorrenza sleale, alla tutela dei
segni distintivi ecc.
TRASFERIMENTO DELL’AZIENDA E SUCCESSIONE NELL’IMPRESA
Il trasferimento dell’azienda da un imprenditore ad un altro è un fenomeno assai
frequente. Questo può attuarsi mediante un atto inter vivos - come la vendita, la
concessione in usufrutto o l’affitto25 - oppure mortis causa.
La disciplina che regola la circolazione dell’azienda – talvolta mediante norme
inderogabili – ha il fine di mantenere la potenzialità produttiva di essa e di
assicurare la tutela dei creditori e dei contraenti dell’alienante, in ordine ai
rapporti contratti nell’esercizio o per l’esercizio dell’azienda. D’altro canto
l’imprenditore è libero di cedere singoli beni aziendali e in tal caso – come è logico
– non si applicherà la disciplina specifica.
Diversa dall’avviamento è la clientela: essa può essere definita come l’insieme dei destinatari dei
beni o servizi prodotti dall’imprenditore oppure – sotto un’ottica più economica – come flusso costante
della domanda dei beni o servizi che fanno capo all’azienda. La clientela è dunque un rapporto di fatto tra
consumatori ed impresa e non deve confondersi con l’avviamento.
25 Queste sono le ipotesi espressamente previste dal codice. Tuttavia l’azienda può essere ceduta
anche per donazione, permuta e conferimento in società.
24
15
Per le ipotesi di trasferimento mortis causa il codice non prevede disposizioni
particolari, dovendosi applicare le regole generali sulle successioni. In generale, se
l’erede continua l’esercizio dell’impresa, tutti i precedenti rapporti passano in
capo ad esso; se al contrario non vuole continuare l’esercizio dell’impresa e la
aliena a terzi, si applicano le norme relative ai trasferimenti per atto inter vivos. Il
succedere di più coeredi ad un unico imprenditore defunto dà luogo ad una
comunione incidentale di azienda per successione ereditaria (con il possibile costituirsi
di una società).
NEGOZI DI TRASFERIMENTO E DIVIETO DI CONCORRENZA
L’azienda non ha peculiari modalità di trasferimento ma circola nelle forme
proprie dei beni che la compongono: cedere o affittare l’azienda, cioè, equivale a
cedere o locare una serie di beni26. Nell’atto di cessione non è necessario indicare
tutti i beni dell’azienda che si trasferiscono, mentre occorre necessariamente
indicare i beni che non vengono trasferiti27.
Nell’ipotesi di alienazione di una azienda commerciale, l’alienante deve astenersi
– per un periodo di 5 anni dal trasferimento – dall’iniziare una nuova impresa che
sia idonea a sviare la clientela dall’azienda ceduta. L’obbligo in oggetto è soltanto
un effetto naturale del negozio di trasferimento: le parti possono escluderlo,
limitarlo o anche stabilire un divieto più ampio28. La durata del divieto non potrà
comunque eccedere i cinque anni ed a tale periodo di tempo si riduce la eventuale
maggiore durata pattuita.
SUCCESSIONE NEI CONTRATTI DELL’AZIENDA CEDUTA
In seguito al trasferimento dell’azienda, se non è pattuito diversamente, l’acquirente subentra nei contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda stessa che non
abbiano carattere personale (art. 2558 c.c.)29. La successione si verifica – a
differenza del principio generale sancito dall’art. 1406 c.c., indipendentemente dal
consenso del contraente ceduto: questi ha solo la facoltà, in presenza di una giusta
causa, di recedere dal contratto – con effetto ex nunc – entro tre mesi dalla notizia
del trasferimento (art. 2558 II° c.c.).
SUCCESSIONE NEI RAPPORTI DI LAVORO
In caso di trasferimento di azienda, il rapporto di lavoro continua con l’acquirente
ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano. Alienante e acquirente sono
obbligati in solido per tutti i crediti inerenti a rapporto di lavoro vantati dal
lavoratore al tempo del trasferimento. Il trasferimento di azienda non costituisce
di per se motivo di licenziamento, ma resta ferma la facoltà dell’alienante di
esercitare il diritto di recesso ai sensi della normativa in materia di licenziamenti.
Per le sole imprese soggette a registrazione è poi prevista la necessità della forma scritta ai fini
della prova (ad probationem).
27 Si ricordi che la ditta non può essere trasferita separatamente all’azienda e che essa non passa
all’acquirente senza il consenso dell’alienante.
28 Purché – in quest’ultimo caso – non ne resti impedita ogni attività professionale per l’alienante.
29 I contratti in cui succede il cessionario sono quelli stipulati per l’esercizio dell’azienda stessa (es.
contratti di locazione dell’immobile in cui opera l’azienda, contratti di somministrazione ecc.).
Sono invece esclusi quelli che abbiano carattere personale, cioè quei contratti che, pur se stipulati
per l’azienda, si fondano sostanzialmente ed esclusivamente sulla fiducia fra le parti.
26
16
CREDITI E DEBITI DELL’AZIENDA CEDUTA
Gli artt. 2559 e 2560 c.c. regolano la successione nei crediti e nei debiti dell’azienda
ceduta, cioè in quelle posizioni giuridiche costituite dal solo lato attivo o passivo
di un rapporto obbligatorio e non facenti parte di un rapporto sinallagmatico in
atto comprendente anche la controprestazione. Regola generale è quella che i
crediti ed i debiti relativi all’azienda ceduta passano, in linea di principio,
all’acquirente.
Per quanto riguarda i rapporti tra alienante e acquirente dell’azienda, mentre da
un lato la dottrina ritiene necessaria una pattuizione espressa, la giurisprudenza è
orientata nel senso della successione automatica.
USUFRUTTO E AFFITTO DELL’AZIENDA
L’azienda può essere costituita in usufrutto o concessa in affitto. L’usufruttuario e
l’affittuario hanno l’obbligo:
 di esercitare l’azienda sotto la ditta che la contraddistingue;
 di gestirla senza modificarne la destinazione;
 di ricostituire le normali dotazioni di scorte e sostituire gli impianti
deteriorati dall’uso.
Il divieto di concorrenza nei confronti del concedente o del nudo proprietario è
limitato alla durata dell’affitto o dell’usufrutto.
SEGNI DISTINTIVI DELL’IMPRENDITORE
L’impresa deve poter essere facilmente individuata e localizzata. Tale obiettivo
riguarda tre diversi aspetti:
 l’individuazione della impresa come tale;
 i prodotti della stessa;
 i locali nei quali si esplica l’attività produttiva.
Sussiste, pertanto, un sistema di segni distintivi quali la ditta, il marchio, l’insegna
che la legge tutela, riconoscendo all’imprenditore l’esclusività dell’uso30.
LA DITTA
La ditta è il segno che contraddistingue l’impresa nel suo complesso ed è
necessario nel senso che, in mancanza di diversa scelta, esso coincide con il nome
civile dell’imprenditore. Le funzioni della ditta sono l’identificazione del titolare
e l’individuazione dell’impresa. Oggi, tuttavia, la ditta tende a confondersi con il
marchio specialmente per le imprese di medie e grandi dimensioni.
La ditta può essere liberamente formata dall’imprenditore purché rispetti:
 il principio della verità, secondo il quale la ditta deve contenere almeno il
cognome o la sigla dell’imprenditore (salva l’ipotesi della ditta derivata);
 il principio della novità, secondo il quale la ditta non deve essere uguale
ad altra già usata da imprenditore concorrente;
 i principi di liceità e della capacità distintiva seppure siano previsti dalla
legge solo per i marchi.
Si tratta però di una esclusività in senso merceologico, limitata cioè a quei prodotti o servizi in
ordine ai quali il titolare del segno opera: solo in tale ambito, infatti, può crearsi rischio di
confusione.
30
17
Il titolare della ditta ha il diritto all’uso esclusivo del segno e acquista tale diritto in
virtù dell’uso stesso. Tuttavia, perché si abbia contraffazione di ditta non basta
l’identità o la confondibilità tra i segni; occorre anche che i due imprenditori siano
in rapporto di concorrenza fra di loro per l’oggetto dell’impresa o per il luogo in
cui questa è esercitata.
L’art. 2564 prevede a carico di chi violi l’altrui diritto alla ditta, un obbligo di
integrazione o modificazione della propria ditta “con indicazioni idonee a
differenziarla dalla ditta del concorrente”.
Infine, l’art. 2565 consente il trasferimento della ditta purché avvenga
congiuntamente a quello dell’azienda. Tale norma è comunque da considerarsi
implicitamente abrogata in seguito all’introduzione della regola di libera cedibilità
del marchio.
RAGIONE E DENOMINAZIONE SOCIALE
Ragione sociale e denominazione sociale sono per le società ciò che il nome civile è
per la persona fisica. Il codice civile chiama ragione sociale il nome delle società di
persone; chiama invece denominazione sociale il nome delle società di capitali.
Queste, per poter essere regolarmente formate devono:
 rispettare, nel contenuto, i vincoli posti dal legislatore per ciascun tipo di
società;
 contenere indicazioni non contrarie alla legge, all’ordine pubblico e al buon
costume, né ingannevoli;
 presentare il requisito della novità.
Il nome della società è oggetto di iscrizione nel registro delle imprese. Si ritiene,
tuttavia, che il diritto venga acquisito con l’uso e che la registrazione valga solo a
rendere il diritto opponibile ai terzi, risolvendo così il conflitto tra più società che
abbiano lo stesso nome.
L’INSEGNA
L’insegna è un segno distintivo facoltativo. Secondo alcuni contraddistingue i
locali in cui si svolge l’attività d’impresa; secondo altri contraddistingue l’intero
complesso aziendale. L’unico requisito espressamente richiesto è quello della
novità; la dottrina ritiene comunque che non si possa prescindere anche dagli altri
requisiti della liceità, verità e capacità distintiva. Anche per l’insegna vale oggi la
nuova regola di libera cedibilità.
IL MARCHIO
Requisiti del marchio
Il più importante segno distintivo è senza dubbio il marchio inteso come il segno
che si appone sul prodotto e ne costituisce la marca. Le funzioni da esso svolte sono
essenzialmente tre:
 la funzione distintiva;
 la funzione di indicazione di provenienza;
 la funzione attrattiva.
Come segno distintivo, il marchio deve consistere in un’entità esterna al prodotto
o al suo involucro, che si aggiunge al prodotto per indicare la provenienza, ma da
18
esso separabile senza snaturarlo. I marchi, che in quanto strumenti di
comunicazione devono essere rappresentabili graficamente31, possono essere:
 denominativi, se costituiti solo da parole;
 figurativi o emblematici, se costituiti solo da figure;
 misti.
Il marchio di forma
Il marchio può essere costituito anche dalla forma del prodotto o dalla confezione
dello stesso ad esclusione delle forme:
 necessarie, quelle cioè imposte dalla natura stessa del prodotto: sono
liberamente utilizzabili.
 funzionali, necessarie per ottenere un risultato tecnico: sono tutelabili
mediante il brevetto per invenzioni.
 ornamentali, che danno un valore sostanziali al prodotto: sono tutelabili
mediante il brevetto per modelli.
La registrazione delle forme funzionali e ornamentali come marchio
permetterebbe di godere di un diritto di esclusiva praticamente perpetuo (in
considerazione della sua rinnovabilità). Pertanto, per assicurare uno spazio reale
ai marchi di forma, è necessario restringere l’ambito di operatività delle forme
suscettibili di brevettazione come modello.
I requisiti di validità del marchio
Per poter costituire oggetto di tutela, il marchio deve presentare determinati
requisiti di validità. In particolare:
 la capacità distintiva, che consiste nell’idoneità a identificare i prodotti
contrassegnati tra tutti i prodotti dello stesso genere immessi sul mercato32;
 la novità, che ricorre quando il marchio non risultava già noto al mercato33;
Il limite della rappresentabilità grafica va però interpretato in modo elastico potendo costituire
marchio anche le combinazioni o tonalità cromatiche, i suoni, le forme del prodotto o della sua
confezione.
32 Non possono fungere da marchio:
 le denominazioni generiche;
 le indicazioni descrittive.
Tuttavia è frequente che l’imprenditore, per far presa sul pubblico, adotti come marchio una parola
che, pur non rientrando nelle categorie vietate, abbiano però la capacità di richiamare in qualche
modo il prodotto stesso o le sue capacità. La giurisprudenza, con notevole indulgenza, ha ammesso
la validità di questo tipo di marchio (c.d. marchio espressivo), purché, però, l’elemento descrittivo
in esso contenuto sia accompagnato da elementi di differenziazione costituiti da aggiunte di
suffissi o prefissi, distorsioni della parola, particolari combinazioni.
Dal punto di vista della tutela, il marchio espressivo è un marchio debole, in quanto lievi varianti
saranno sufficienti a escluderne la confondibilità.
33 L’art. 16 della legge sul marchio accenna a tale requisito allorché dice che “possono costituire
oggetto di registrazione come marchio d’impresa tutti i nuovi segni…” ma è il successivo art. 17 che
chiarisce in negativo cosa debba intendersi per nuovo. In particolare non sono nuovi:
 i segni divenuti di uso comune nel linguaggio corrente o negli usi costanti del commercio;
 i segni identici o simili a quelli già usati da altri in Italia come marchio per prodotti o
servizi identici o affini, qualora sussista un rischio di confusione per il pubblico che può
anche consistere in un rischio di associazione tra i due segni;
 i segni identici o simili ad un segno già noto come ditta, denominazione o ragione sociale e
insegna, adottato da altri nell’ambito di attività imprenditoriali identiche o affini;
31
19

la liceità, cioè il non essere contrario alla legge, all’ordine pubblico o al
buon costume, come il non essere già utilizzato o protetto da organismi
sovranazionali o nazionali;
 la verità, che definibile in negativo, consiste nel non dover essere idoneo ad
ingannare il pubblico sulla provenienza geografica, sulla natura o sulla
qualità dei prodotti.
L’assenza del requisito della novità del marchio è suscettibile di una sanatoria
definita convalida del marchio prevista dall’art. 48 L.ma. Tale norma prevede
l’incontestabilità del marchio da parte del titolare del diritto anteriore ove questi,
per cinque anni consecutivi, abbia tollerato, essendone a conoscenza, l’uso di un
marchio posteriore registrato uguale o simile. La convalida è comunque preclusa
ove si provi che il marchio posteriore sia stato domandato in malafede34. Resta da
aggiungere che la convalida non consente al titolare del marchio convalidato di
opporsi all’uso del marchio anteriore35.
Acquisto del diritto
In seguito alle modifiche apportate all’art. 22 L.ma. dal L.Lgs 480/92, qualunque
soggetto, anche non imprenditore, può ottenere una registrazione per marchio
d’impresa. Naturalmente, tale libertà incontra alcuni limiti. In particolare, per
quanto concerne l’uso come marchio:
 del ritratto altrui, subordinato al consenso del ritrattato e, dopo la sua
morte, al consenso dei congiunti fino al quarto grado;
 del nome altrui, consentito purché l’uso non sia tale da ledere la fama, il
credito o il decoro dell’interessato36;
 di segni notori, registrabili solo dall’avente diritto o dietro il consenso di
questi37;
 di segni il cui uso violerebbe l’altrui diritto di esclusiva, quali ad esempio
il diritto d’autore o di proprietà industriale.
Nel caso in cui la registrazione sia richiesta ed eventualmente ottenuta da un
soggetto non avente diritto in base alla normativa appena esaminata, l’art. 25
L.ma. detta un’articolata disciplina a seconda che il richiedente non legittimato
abbia già ottenuto la registrazione oppure sia in attesa perché la domanda risulti
ancora pendente. Nel primo caso (registrazione effettuata), l’avente diritto può:
 ottenere, con sentenza ad efficacia retroattiva, il trasferimento a proprio
nome della registrazione;
 far valere la nullità della registrazione.
Nel secondo caso (registrazione non ancora effettuata) può invece:


i segni identici o simili ad un marchio già da altri registrato in Italia;
i segni identici o simili ad un marchio che goda di rinomanza, anche se registrati per
prodotti o servizi non affini, qualora ritraggano dalla notorietà del marchio anteriore un
indebito vantaggio o arrechino allo stesso un pregiudizio.
34 Non è invece di ostacolo la malafede sopravvenuta.
35 E’ questo un caso ulteriore in cui l’ordinamento consente l’uso contemporaneo di marchi
confondibili da parte di imprenditori diversi.
36 Inoltre l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi può, anche in questo caso, subordinare la registrazione
al consenso dell’interessato.
37 In questo caso il legislatore tiene conto del valore di suggestione, traducibile in capacità di
vendita, che ritiene quindi degno di tutela.
20



assumere a proprio nome la domanda di registrazione depositata dal non
avente diritto;
ottenere il rigetto della domanda stessa;
depositare una nuova domanda con effetti risalenti alla data della domanda
del non avente diritto.
Il procedimento di registrazione
Il procedimento di registrazione, volto all’ottenimento dell’attestato di
registrazione emesso dall’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi, si articola nelle
seguenti fasi:
 deposito della domanda, che deve avere ad oggetto un solo marchio (di cui
un esemplare deve esserne allegato) e menzionare i prodotti o servizi che il
marchio è destinato a contraddistinguere;
 esame della domanda da parte dell’Ufficio, limitata alla forma e al requisito
della validità. Il controllo della novità è solo eventuale ed affidato alla
cognizione del giudice ordinario;
 fase della decisione, che può sfociare in un accoglimento o in un rigetto
ricorribile entro 30 giorni alla Commissione dei Ricorsi;
Gli effetti della decisione consistono nel diritto di esclusiva sul marchio per un
periodo di dieci anni rinnovabili alla scadenza anche più volte. Quanto infine
all’ambito territoriale, la registrazione si estende a tutto il territorio nazionale.
La tutela del diritto
Il diritto d’uso esclusivo del marchio si sostanzia nella possibilità, riconosciuta al
titolare, di vietare a terzi, salvo il proprio consenso, determinati comportamenti. Il
diritto di esclusiva ha natura reale, sicché la sua violazione va ravvisata in ogni
abusiva riproduzione, indipendentemente da qualsiasi connotazione soggettiva di
buona o mala fede e, quindi, dalla presenza della colpa o del dolo nella parte che
abbia dato luogo all’abuso.
Il rischio di confusione con l’associazione richiede, oltre alla confondibilità tra i
segni, anche l’identità o l’affinità tra i prodotti o i servizi contrassegnati38. Pur in
presenza di segni identici, infatti, tale rischio non può verificarsi quando i prodotti
ai quali sono applicati sono merceologicamente lontanissimi gli uni dagli altri. È
questo il principio della relatività o specialità della tutela del marchio39.
L’identità o somiglianza tra segni
Quando due marchi non sono identici ma soltanto simili, occorre valutare se tra
essi vi sia confondibilità sulla base di varie considerazioni:
 occorre anzitutto considerare il tipo di consumatore destinatario;
Sono considerati affini quei prodotti che possono ragionevolmente far pensare al consumatore di
provenire dalla medesima impresa. Quindi la tutela non è limitata alle ipotesi di confondibilità tra
prodotti ma è estesa anche al caso in cui, pur essendo i prodotti contrassegnati distinguibili tra loro
sotto il profilo merceologico, la situazione concreta è tale da indurre il pubblico a ritenerli
provenienti da un’unica fonte.
39 Tale principio non si applica ai marchi che godono di rinomanza. I titolari di tali marchi possono
vietare ai terzi di usare un marchio identico o simile al proprio, anche per prodotti o servizi non
affini, quando l’uso del segno senza giustificato motivo consenta di trarre indebitamente vantaggio
dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio o rechi pregiudizio agli stessi.
38
21

si deve poi considerare il fatto che il confronto è spesso fra un marchio e il
ricordo dell’altro marchio non essendo necessariamente entrambi
disponibili “uno accanto all’altro” al momento dell’acquisto;
 terzo momento dell’indagine, poi, è il confronto tra i due marchi nel loro
aspetto grafico, fonetico, ideologico.
Il confronto dei due marchi, secondo la giurisprudenza, deve avvenire non in via
analitica, ma sintetica ed unitaria. Di diverso avviso è la dottrina, secondo la quale
non si può prescindere da una attenta analisi preventiva in cui il giudice esamina
ogni elemento dei due marchi40.
Il contenuto del diritto di esclusiva
Il diritto di esclusiva derivante dalla registrazione del marchio, riguarda:
 l’immissione dei prodotti recanti il marchio;
 l’offerta in commercio o la detenzione a fini commerciali dei prodotti
contraddistinti dal segno;
 l’importazione o l’esportazione dei prodotti stessi;
 l’utilizzazione del segno nella pubblicità.
Da ciò si deduce che il legislatore vieta soltanto l’uso del marchio altrui in
funzione distintiva. Fra gli usi atipici più frequenti abbiamo quello della funzione
descrittiva così denominando le ipotesi previste dall’art. 1bis della L.ma.41.
L’azione di contraffazione
Legittimato attivo nell’azione di contraffazione è, ovviamente, colui che vede leso
da terzi il proprio diritto di esclusiva all’utilizzo di un marchio42.
L’onere di provare la contraffazione incombe sul titolare del marchio con le
agevolazioni dell’art. 58bis della L.ma..
L’azione di contraffazione può essere preceduta dalle misure cautelari tipiche:
 della descrizione, che ha la funzione di precostituire la prova della
contraffazione;
 del sequestro, che ha la funzione di impedire la circolazione dei prodotti
che costituiscono violazione del diritto del marchio;
L’ambito di tutela di un marchio contro la confondibilità può essere ampliato mediante i c.d.
marchi protettivi che sono marchi simili a quello principale registratati proprio al fine di
“proteggersi” nei confronti di marchi che si presume potrebbero essere introdotti senza
formalmente andare incontro ai divieti sopra visti.
Inoltre un marchio può essere depositato, pagando correlativamnte più tasse, non solo per il
prodotto servizio in relazione al quale si intende effettivamente usarlo, ma anche per prodotti o
servizi diversi. In analogia ai marchi protettivi, si parla, a tal proposito, di liste di difesa o di
protezione, in quanto si viene così ad ampliare la sfera di protezione del marchio stesso.
41 In particolare è lecito che un terzo, nelle proprie attività economiche, usi, anche a rischio di
ingenerare confusione:
 il proprio nome e indirizzo;
 le indicazioni descrittive concernenti il prodotto;
 il marchio d’impresa altrui, se ciò è reso necessario per indicare la destinazione di un
proprio prodotto o servizio.
42 L’azione di contraffazione può essere promossa anche in pendenza della sola domanda di
registrazione. Tuttavia la registrazione deve intervenire prima della sentenza perché la domanda di
contraffazione possa venire accolta.
40
22

dell’inibitoria, con la quale si intima al contraffattore la continuazione delle
attività illecite.
Con la sentenza che accerta la contraffazione, il giudice può disporre a carico del
soccombente le sanzioni dell’inibitoria, del risarcimento del danno, della
distruzione dei segni e della pubblicazione della sentenza.
La circolazione del marchio
La cessione del marchio
Si ha cessione del marchio quando il titolare del marchio si spoglia
definitivamente di tale titolarità a favore di un altro soggetto. Mutando
radicalmente la vecchia normativa, il D.Lgs. 480/92 ha affermato il principio della
libera cedibilità del marchio – non più connessa quindi ad altri elementi aziendali
– e riconosciuto la legittimità della cessione parziale – ovvero la cessione del
marchio solo per una parte dei prodotti per i quali è registrato43.
La licenza di marchio
Il marchio, oltre che ceduto, può essere concesso in licenza. Il contratto di licenza è
quello mediante il quale il titolare del marchio (licenziante), pur conservando tale
titolarità, ne attribuisce l’uso e il godimento a terzi (licenziatari)44.
Il divieto di inganno al pubblico
Dalla cessione o dalla licenza di marchio non deve derivare inganno in quei
caratteri dei prodotti o servizi che sono essenziali nell’apprezzamento del
pubblico. La continuità qualitativa imposta da tale norma non esige
necessariamente che il prodotto fornito dal licenziatario o dal cessionario sia della
stessa identica qualità di quello già contrassegnato, con il medesimo marchio, dal
loro dante causa. L’obiettivo del legislatore è di evitare l’inganno del pubblico: ciò
che la norma vieta, dunque, sono solo quei deterioramenti rilevanti del prodotto
di cui il pubblico non venga avvertito.
I contratti di merchandising
Sono denominati contratti di merchandising quei contratti con i quali il titolare di
un marchio notorio concede a terzi la facoltà di usare il marchio per prodotti
notevolmente diversi dai propri.
La trascrizione
L’art. 49 L.ma. sottopone le vicende attinenti al marchio registrato ad un regime di
trascrizione simile a quello che la legge prevede per i beni mobili registrati. La
trascrizione, che si effettua presso l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi, condiziona
non la validità dell’atto ma la sua opponibilità a terzi; costituisce, inoltre, un
criterio di preferenza tra due aventi causa del medesimo dante causa.
La cessione parziale del marchio è ammissibile anche quando sussista una affinità tra i prodotti
per i quali il diritto al marchio rimanga al cedente e quelli per i quali passi al cessionario.
44 La licenza può essere:
 con o senza esclusiva (nel secondo caso abbiamo l’ipotesi in cui due o più soggetti mettono
sul mercato prodotti con lo stesso marchio; i prodotti devono pertanto essere uguali);
 totale o parziale (relativa cioè a tutti o solo ad una parte dei prodotti per i quali il marchio è
stato registrato);
 riferita all’intero territorio dello Stato o soltanto a parte di esso.
43
23
L’estinzione del marchio
L’estinzione del marchio si realizza con:
 la scadenza del termina decennale di efficacia della registrazione;
 la rinuncia del titolare;
 la dichiarazione di nullità del marchio45;
 il verificarsi di determinate cause di decadenza.
La nullità del marchio
Il marchio registrato può essere dichiarato nullo dal giudice ordinario qualora
manchi dei suoi presupposti e dei requisiti di validità. In particolare il marchio è
nullo qualora:
 non corrisponda al tipo di segno indicato dall’art. 16 L.ma. (denominativo,
figurativo, misto);
 non sia nuovo ai sensi dell’art. 17 L.ma.;
 sia in contrasto con l’art. 18 L.ma. (contrarietà all’ordine pubblico,
denominazione generica);
 sia stato domandato in malafede;
 sia in contrasto con l’art. 21 L.ma. (ritratti di persona, nomi di persona, segni
notori);
 sia stato registrato a nome di chi non ne aveva diritto.
Va ricordato, infine, che la riforma del 1992 ha espressamente previsto, all’art.
47ter, la nullità parziale del marchio, che ricorre quando il motivo di nullità
colpisce solo una parte dei prodotti o servizi per i quali il marchio è stato
registrato.
La decadenza del marchio
La decadenza è la cessazione anticipata del diritto di marchio rispetto al termine di
scadenza previsto dalla legge. Ne sono ipotesi:
 la decadenza per non uso: il marchio decade ove non venga utilizzato46
entro cinque anni dalla registrazione ovvero se l’uso ne venga sospeso per
un periodo ininterrotto di cinque anni, senza una giustificazione legittima;
 la volgarizzazione, prevista quando il marchio sia divenuto nel commercio
– per fatto dell’attività o inattività del titolare – denominazione generica del
prodotto o del servizio;
 la decadenza per recettività, qualora il marchio diventi idoneo a indurre in
inganno il pubblico, in particolare circa la natura, qualità o provenienza dei
prodotti o sevizi, a causa del modo o del contesto in cui viene utilizzato dal
titolare o con il suo consenso, per i prodotti o servizi per i quali è registrato;
 sopravvenuto contrasto con la legge, l’ordine pubblico o il buon costume.
Le azioni di nullità e di decadenza
Legittimato attivo a tali azioni è chiunque vi abbia interesse47, legittimato passivo
è il titolare del marchio, litisconsorti necessari sono coloro che hanno diritto al
marchio così come risulta dall’attestato di registrazione. Autorità competente è il
In realtà, più che l’estinzione del diritto, la dichiarazione di nullità è l’accertamento del suo non
essere mai sorto.
46 L’utilizzo deve essere effettivo e non sporadico al solo fine di impedire la decadenza.
47 L’art. 59 L.ma. legittima anche il P.M.
45
24
giudice ordinario; la competenza per territorio è funzionale e inderogabile.
L’onere della prova incombe su chi impugna la validità del marchio registrato48.
Le sentenze che pronunciano la nullità o la decadenza di un marchio, una volta
passate in giudicato, hanno efficacia erga omnes e sono retroattive, le prime alla
data della registrazione, le seconde alla data del fatto che ha provocato la
decadenza.
L’invalidità del marchio, di regola, si traduce nell’impossibilità per il titolare di
pretenderne l’uso esclusivo. Quando però la causa di nullità comporti l’illiceità
dell’uso del marchio, l’art. 10 L.ma. vieta a chiunque di farne uso.
I marchi collettivi
I marchi collettivi sono destinati ad essere utilizzati da una pluralità di
imprenditori diversi dal titolare e non da quest’ultimo, il quale si limita a
concedere in uso il marchio in questione a produttori che si impegnino
all’osservanza di determinati regolamenti. Tali regolamenti riguardano particolari
aspetti della produzione come l’impiego di certi materiali o la provenienza
geografica del prodotto. Devono essere allegati alla domanda di registrazione del
marchio collettivo. I titolari dei marchi collettivi devono anche, pena la decadenza
stessa del marchio, monitorare l’attività dei produttori per verificarne il rispetto
dei regolamenti.
I marchi collettivi non devono essere confusi con le Denominazioni di Origine
Controllata che sono utilizzate per contraddistinguere prodotti le cui
caratteristiche qualitative sono legate ad una determinata zona geografica per
l’influsso di fattori ambientali o per la presenza di particolari tecniche produttive.
I SEGNI DISTINTIVI ATIPICI
Nell’esperienza giurisprudenziale, si individuano come segni atipici:
 l’emblema, che indica un segno puramente figurativo, usato in funzione di
ditta;
 lo slogan;
le particolari divise indossate dal personale di certe imprese.
I DIRITTI DI PRIVATIVA
LE CREAZIONI INTELLETTUALI E LE OPERE DELL’INGEGNO
Le creazioni intellettuali sono idee creative nel campo della cultura e della tecnica,
tutelate nel nostro ordinamento come espressione originale della personalità
umana. Non essendo cose corporali, sono definite dalla dottrina come beni
immateriali. Le creazioni intellettuali si distinguono in due grandi categorie:
 opere dell’ingegno: sono quelle idee di carattere creativo che appartengono
al campo delle scienze, della letteratura, della musica, delle arti figurative,
dell’architettura, del teatro e del cinema (art. 2575). Il diritto d’autore (sia
La prova del non uso può essere data con ogni mezzo ed anche con presunzioni semplici. La
ratio di tale temperamento va ravvisata nell’impossibilità per il terzo di dare piena prova del fatto
che il marchio da lui impugnato non sia mai stato usato in nessun tempo e in nessun luogo, e per
contro nella facilità per il titolare di dar prova dell’avvenuto uso.
48
25
morale che patrimoniale) nasce per il fatto stesso della creazione dell’opera,
a prescindere dal suo valore intrinseco, dalla sua utilità pratica e dalla sua
novità, purché ne sia originale la forma rappresentativa;
 invenzioni industriali: definibili come soluzioni concrete, nel campo della
produzione economica, di un problema tecnico, per effetto di una creazione
della mente umana, eccedente le normali conoscenze, in applicazione della
tecnica contemporanea49.
Sull’invenzione industriale, intesa quale bene immateriale, sono riconosciuti al suo
autore:
 diritti morali: il c.d. diritto di paternità che consiste nel diritto ad essere
riconosciuto autore dell’invenzione per il solo fatto di averla creata. E’ un
diritto imprescrittibile, irrinunciabile, intrasmissibile;
 diritti patrimoniali: consistenti nel diritto al brevetto – ovvero il diritto di
pretendere dall’autorità il rilascio del brevetto qualora ne ricorrano i
presupposti – e
il diritto di brevetto – ossia il diritto esclusivo
all’utilizzazione economica dell’oggetto brevettato nei limiti e alle
condizioni stabiliti dalla legge.
IL BREVETTO
Il brevetto può essere definito come l’attestato amministrativo con il quale si
attribuisce all’inventore il diritto esclusivo di godere, per un tempo determinato, dei
risultati di una nuova invenzione. In alternativa si può definire il brevetto come una
sorta di contratto fra l’inventore e la collettività: l’inventore fornisce un
insegnamento che la collettività non possiede ed in cambio riceve l’attribuzione di
un diritto esclusivo di uso, limitato nel tempo. Oggetto del brevetto sono soltanto
le invenzioni tecnologiche; restano scoperte – perciò – le innovazioni di tipo
commerciale.
Il sistema brevettuale italiano è regolato dal codice civile agli artt. 2584-2594 e
dalla legge speciale R.D. 1127/39 e successive modifiche50.
Quanto alla natura giuridica del brevetto la dottrina non è unanime:
 alcuni ravvisano in esso un diritto di proprietà su un bene immateriale;
 per altri configurerebbe un obbligo di non fare, posto a carico di terzi e, più
precisamente, come un divieto di concorrenza ai danni dell’inventore.
Al sistema brevettuale si riconosce la funzione fondamentale di incentivo al
progresso tecnico e alla diffusione delle innovazioni tecnologiche. A ben vedere,
infatti, alla base del brevetto c’è una logica di rivelazione, di trasparenza della
struttura dell’invenzione: la descrizione dettagliata dell’invenzione, allegata alla
domanda di rilascio del brevetto, consente, alla scadenza del termine fissato dalla
legge, la sua acquisizione stabile al patrimonio collettivo.
Al concetto di invenzione industriale, la legge riconduce anche i c.d. modelli di utilità e modelli e
disegni ornamentali.
50 Una riforma sostanziale di tale legge è stata effettuata con D.P.R. 338/79 di adeguamento alle
importanti convenzioni internazionali degli anni ’70. Recentemente è intervenuto il D.Lgs. 198/96
per adeguare la normativa italiana agli accordi internazionali di Marrakech (denominati Trip’s).
49
26
Le invenzioni brevettabili e i loro requisiti
La definizione tradizionale di invenzione brevettabile è quella di soluzione originale
di un problema tecnico: l’invenzione si colloca quindi nel mondo della tecnica, visto
in contrapposizione a quello della scienza51.
I requisiti di brevettabilità dell’invenzione sono tradizionalmente quattro:
 l’industrialità, cioè l’attitudine dell’invenzione ad avere un’applicazione
industriale;
 la novità (o novità estrinseca), che ricorre quando l’invenzione non è
compresa nello stato della tecnica;
 l’originalità (o novità intrinseca), che ha la funzione di selezionale, tra tutto
ciò che è nuovo, ciò che si differenzia in maniera qualificata dallo stato della
tecnica;
 la liceità, non potendo essere brevettata l’invenzione contraria all’ordine
pubblico e al buon costume.
Quanto alle varie tipologie di invenzioni possiamo distinguere fra:
 invenzioni di prodotto e invenzioni di procedimento;
 invenzioni derivate da altre precedenti invenzioni:
o invenzioni di perfezionamento;
o invenzioni di combinazione;
o invenzioni di traslazione52.
Il procedimento di brevettazione
Il diritto esclusivo di utilizzare l’invenzione nasce con il rilascio del brevetto che è
l’atto di accertamento costitutivo della P.A. con cui si conclude una procedura
che si articola in varie fasi:
1. il deposito della domanda di brevetto presso l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi
o presso l’UPICA;
2. l’esame della domanda53;
3. la decisione da parte dell’autorità.
Il giudizio di nullità
La concessione del brevetto non pregiudica l’esercizio delle azioni giudiziarie circa
la validità del brevetto; essa serve solo a spostare l’onere della prova della
mancanza dei requisiti per la brevettabilità dell’invenzione a carico di chi intende
impugnarne la validità54. Ai sensi dell’art. 59 della legge sul brevetto, quest’ultimo
è nullo:
Non sono infatti brevettabili, ad esempio, le scoperte, le teorie scientifiche, i metodi matematici, i
metodi per attività intellettuali.
52 Le invenzioni di traslazione sono quelle che si applicano ad un settore diverso rispetto ad
invenzioni note in altro settore, traendone un risultato nuovo ed originale.
53 Tuttavia l’autorità deve soltanto accertare la regolarità formale della domanda, la ricorrenza del
requisito della industrialità e della liceità. Il controllo degli altri requisiti è dunque devoluto, come
fatto puramente eventuale e successivo al rilascio del brevetto, alla cognizione del giudice
ordinario.
54 La possibilità di transigere sulla questione di nullità o di rimettere la cognizione ad un giudice
arbitrale è oggetto di dibattito: per alcuni ciò non sarebbe ammissibile in quanto l’oggetto è di
diritto pubblico; per la dottrina prevalente e per la giurisprudenza tale possibilità è invece
ammissibile e trova giustificazione nel fatto della conoscibilità della questione di nullità da parte
del giudice anche per via incidentale.
51
27


se l’invenzione manca del carattere della novità o industrialità;
se la descrizione allegata alla domanda non comprende tutte le indicazioni
necessarie a persona esperta per mettere in pratica l’invenzione;
 se l’oggetto del brevetto si estende oltre il contenuto della domanda;
 se il titolare del brevetto non aveva diritto di ottenerlo e l’inventore non
abbia fatto valere i suoi diritti.
La sentenza che accerta la nullità del brevetto è oggetto di pubblicità ed ha
efficacia retroattiva fermi restando gli atti già compiuti di esecuzione di sentenze
di contraffazione passate in giudicato e i contratti già eseguiti aventi ad oggetto
l’inven-zione (salvo eventuale rimborso stabilito dal giudice).
La titolarità dei diritti nascenti dall’invenzione
Il diritto di rilascio del brevetto spetta a chiunque abbia posto in essere l’attività
inventiva che ha dato luogo alla nuova invenzione. Le eventuali controversie circa
la titolarità del diritto sono di competenza dell’autorità giudiziaria ordinaria.
In particolare, nel caso in cui con sentenza passata in giudicato, si accerti che il
diritto al brevetto spetti ad una persona diversa da chi abbia depositato la
domanda, l’art. 27bis L.brev. prevede due ipotesi:
 quella in cui la procedura di brevettazione si sia già conclusa con il rilascio del
brevetto a favore del non avente diritto. In tal caso il vero titolare potrà:
o far valere la nullità del brevetto rilasciato al non avente diritto;
o rivendicare il brevetto;
 quella in cui la procedura di brevettazione sia ancora pendente. Il vero titolare ha
tre mesi di tempo per:
o assumere a proprio nome la procedura di brevetto;
o ottenere il rigetto della domanda di brevetto;
o depositare a proprio nome una nuova domanda di brevetto, il cui
contenuto non ecceda quello della prima domanda, con decorrenza
dalla data di deposito della domanda iniziale, che cessa così di avere
effetto.
Il contenuto del brevetto ed i suoi limiti
Il diritto di esclusiva sull’invenzione attributo dal brevetto ha una durata limitata
a venti anni (salvi i termini diversi previsti dalle normative brevettali speciali) a
decorrere dalla data di deposito della domanda di brevetto. Quanto al limite
spaziale ha efficacia solo nell’ambito dello Stato che lo ha rilasciato.
L’art. 4 L.brev. prevede che l’inventore possa utilizzare l’invenzione, e quindi
lanciare il prodotto sul mercato, già a partire dalla data di deposito della domanda
di brevetto55.
L’esclusività attribuita dal brevetto al suo titolare, così come risulta dall’art. 1bis
della L.brev. concerne:
 la realizzazione del prodotto o del procedimento;
Questo non è possibile per i brevetti farmaceutici. La legge infatti richiede un periodo di
accertamenti e sperimentazioni del farmaco prima della messa in commercio. Per evitare che la
durata della protezione brevettuale risulti in tal modo erosa, la L. 349/91 ha previsto un certificato
complementare che prolunga la protezione brevettuale oltre la sua scadenza naturale per una
durata pari al periodo intercorso fra la data di deposito della domanda e la data del decreto di
autorizzazione all’immissione in commercio del farmaco.
55
28



la sua utilizzazione;
la sua commerciabilità56;
il divieto di importare lo stesso prodotto o il prodotto frutto del
procedimento brevettato.
L’ambito dell’esclusiva, così definito, incontra tuttavia qualche limitazione. In
particolare sono leciti:
 gli atti compiuti in ambito privato e a fini non commerciali;
 gli atti compiuti in via sperimentale;
 la preparazione estemporanea e per unità, di medicinali nelle farmacie su
ricetta medica;
La contraffazione del brevetto
Salve le ipotesi sopra analizzate, ogni uso dell’invenzione altrui, non autorizzato
dal titolare del brevetto, costituisce contraffazione. Si distinguono vari casi di
contraffazione:
 contraffazione integrale, quando l’invenzione altrui è interamente imitata;
 contraffazione non integrale, quando l’imitazione non è integrale ma tocca
comunque l’ambito coperto dalla privativa altrui57;
 contraffazione per equivalenti, quando pur non essendo identici neanche
gli elementi essenziali delle due realizzazioni, tuttavia l’idea inventiva, che
è alla base dell’invenzione brevettata, è presente anche nella realizzazione
altrui;
 contraffazione evolutiva, quando la soluzione adottata dal terzo, pur
presentando la stessa idea inventiva di una precedente soluzione
brevettata, la modifichi, migliorandola, adattandola, perfezionandola;
 contraffazione indiretta, che si sostanzia principalmente in due ipotesi:
o produzioni e messa in vendita di parti staccate o di pezzi di ricambio;
o invenzioni di nuovo uso di un prodotto nuovo.
Quanto all’estensione del brevetto, occorre distinguere tra il brevetto di prodotto –
che ha estensione limitata all’uso descritto e rivendicato e agli usi ad esso
equivalenti58 - e il brevetto di procedimento – che conferisce al titolare una
posizione di esclusività in ordine a quel determinato metodo o processo oggetto di
brevetto.
Il giudizio di contraffazione
Il titolare del brevetto59 è legittimato ad agire in giudizio contro il terzo che – senza
autorizzazione – fa uso dell’invenzione brevettata, mediante l’azione di
contraffazione. Il giudizio di contraffazione è affidato all’autorità giudiziaria
ordinaria e si svolge davanti al giudice territorialmente competente ai sensi degli
L’esclusiva del commercio trova un limite nel principio dell’esaurimento, in base al quale il
diritto del titolare si esaurisce una volta che il prodotto sia stato posto in vendita.
57 L’estensione del brevetto è determinata dalle rivendicazioni, ma le rivendicazioni sono, a loro
volta, interpretate alla luce dell’intero fascicolo brevettuale.
58 Non risulta infatti accettabile – per varie incompatibilità – la teoria dell’estensione assoluta.
59 Sono legittimati all’azione anche il licenziatario e l’usufruttuario.
56
29
artt. 75 e 76 L.brev.60. L’onere di provare la contraffazione incombe sul titolare del
brevetto.
Per evitare che la possibile lunghezza del giudizio di contraffazione torni a danno
del titolare del brevetto, gli artt. 81, 82 e 83 L.brev. prevedono a favore di questi –
prima ancora dell’instaurazione del giudizio – alcune misure cautelari61:
 la descrizione, che ha la funzione di precostituire la prova della
contraffazione;
 il sequestro, che ha la funzione di evitare la circolazione del prodotto
contraffatto, affidandone la custodia ad un soggetto che non può disporne
senza ordine del giudice;
 l’inibitoria, che è l’ordine con cui il giudice proibisce al contraffattore la
prosecuzione o la ripresa dell’attività di fabbricazione, di
commercializzazione e di uso dei prodotti coperti dal brevetto altrui.
Descrizione e sequestro perdono efficacia qualora non siano seguiti dall’instaurazione del giudizio di merito entro trenta giorni. Quanto all’inibitoria, può essere
concessa sia ante causam, con domanda da proporre al giudice competente a
conoscere la causa nel merito, sia in corso di causa, con competenza del giudice
istruttore.
Con la sentenza che accerta la contraffazione, il giudice può disporre – a carico del
soccombente – le seguenti sanzioni:
 l’inibitoria, consiste nell’ordine al contraffattore di cessare e non riprendere
l’attività illecita;
 la rimozione, distruzione o assegnazione in proprietà dei prodotti
brevettati o dei mezzi usati per la contraffazione62;
 il risarcimento del danno63;
 la pubblicazione della sentenza;
 la condanna in futuro, che consiste nella liquidazione di una somma che il
contraffattore dovrà versare nell’ipotesi di mancata cessazione o successiva
ripresa dell’attività illecita.
La trasferibilità e l’estinzione del brevetto
Come abbiamo già avuto modo di vedere, i diritti patrimoniali nascenti dalle
invenzioni industriali sono trasferibili. In particolare, per quanto concerne i diritti
di brevetto, gli atti traslativi inter vivos sono riconducibili ai modelli della:
 cessione, quando il titolare del brevetto si spoglia della titolarità dell’attestato a favore di un altro soggetto mediante un qualsiasi contratto capace di
produrre effetti traslativi (vendita, permuta, donazione ecc.);
L’art. 76, in particolare, prevede la c.d. moltiplicazione dei fori alternativi: consente all’attore di
scegliere il foro del luogo in cui sono stati compiuti i fatti lesivi della sua privativa.
61 Tali misure sono oggi fruibili anche da parte del titolare della domanda di brevetto grazie al
D.P.R. 338/79.
62 Anche tali sanzioni prescindono dall’esistenza del dolo o della colpa del contraffattore.
63 Per ottenere la condanna del soccombente al risarcimento del danno è necessaria la ricorrenza
dei presupposti di cui all’art. 2043 c.c.: la colpa dell’autore dell’illecito e il danno. Per quanto
riguarda la colpa, la giurisprudenza ritiene che la pubblicità legale del sistema brevettuale crei una
presunzione di colpa in capo al contraffattore. Per quanto riguarda il danno, in linea di principio il
danno risarcibile coincide con il mancato utile netto che il titolare del brevetto ha subito per la
contraffazione.
60
30

licenza, che è il contratto con il quale il titolare del brevetto (licenziante), pur
conservando tale titolarità, concede ad un terzo (licenziatario), dietro
corrispettivo, il diritto di utilizzare l’invenzione brevettata;
La licenza è – in assenza di prescrizioni legislative – un contratto atipico il cui
contenuto è quindi rimesso all’autonomia delle parti64. A carico del licenziatario, il
contratto prevede l’obbligo di pagare il corrispettivo che può essere fissato in una
somma a forfait oppure in pagamenti periodici (royalties). La durata della licenza è
fissata dalle parti e coincide solitamente con la durata del brevetto. Infine, poiché i
contratti di licenza possono costituire intese restrittive della libertà di concorrenza,
devono essere valutati alla luce della normativa antitrust65.
La licenza obbligatoria e altri casi di circolazione coattiva
La legge contempla le ipotesi di licenza obbligatoria66 nei casi di:
 mancanza o insufficiente attuazione dell’invenzione: l’art. 54 L.brev.
legittima il rilascio della licenza obbligatoria qualora, per cause dipendenti
dalla volontà del titolare del brevetto, l’attuazione dell’invenzione, per oltre
un triennio, manchi o risulti insufficiente ai bisogni del paese67;
 invenzioni dipendenti: il diritto ad ottenere la licenza obbligatoria sussiste,
però, solo quando la seconda invenzione costituisce, rispetto alla
precedente, un importante progresso tecnico di rilevanza economica.
La legge prevede inoltre una generale possibilità di espropriazione del brevetto
nell’interesse della difesa militare del Paese o per altre ragioni di pubblica utilità.
L’estinzione del diritto di brevetto
I diritti patrimoniali nascenti dall’invenzione si estinguono:
 con la scadenza del termine stabilito dalla legge per le singole categorie di
invenzioni;
 con la dichiarazione di nullità del brevetto;
 con la rinuncia del titolare;
 con il verificarsi di determinate cause di decadenza:
o la mancata o insufficiente attuazione dell’invenzione protratta per un
biennio oltre la concessione della licenza obbligatoria;
o il mancato pagamento della tassa annuale di brevetto;
Una delle clausole più rilevanti in esso contenute, è la clausola di esclusiva con la quale il
licenziante si priva del potere di attuare egli stesso l’invenzione e di concedere altre licenze a terzi.
65 Una nota a parte merita la c.d. licenza di pieno diritto. L’art. 50 L.brev. concede infatti al
richiedente o al titolare del brevetto la possibilità di offrire al pubblico – con dichiarazione resa
nella stessa domanda oppure con comunicazione successiva all’ufficio dei brevetti – una licenza
per l’uso non esclusivo dell’invenzione. Tale offerta, che si perfeziona con la notifica al titolare
dell’accettazione di eventuali interessati, comporta la riduzione alla metà delle tasse annuali di
brevetto.
66 Con la licenza obbligatoria l’ordinamento impone al titolare del brevetto il rilascio della licenza a
terzi. La procedura amministrativa di rilascio si svolge quasi interamente presso l’Ufficio Italiano
Brevetti e si conclude con un decreto del Ministero dell’industria, il commercio e l’artigianato. La
licenza obbligatoria può essere concessa soltanto dietro corresponsione da parte del licenziatario, a
favore del titolare del brevetto, di equo compenso. Ha una durata massima pari alla durata del
brevetto e è sempre non esclusiva e a titolo oneroso.
67 E’ considerata attuazione dell’invenzione anche l’introduzione o la vendita di oggetti prodotti in
paesi membri della C.E. o della O.M.C.
64
31
o lo scavalcamento per priorità previsto dalla Convenzione di Unione
di Parigi68.
L’invenzione non brevettata e la sua tutela
Nell’ordinamento italiano, l’invenzione non brevettata è protetta mediante le
regole di tutela del segreto industriale. Il segreto delinea una protezione di mero
fatto e di tipo obbligatorio. Precisamente, la protezione dell’invenzione non
brevettata si sostanzia nella previsione di un obbligo legale di segretezza a carico
dei collaboratori dell’inventore69, e nel riconoscimento della validità dei contratti
di know-how70, accompagnati dall’obbligo di segretezza posto a carico
dell’acquirente.
Il diritto di preuso
L’art. 6 L.brev. crea – a favore di chi abbia utilizzato un’invenzione non brevettata
nel corso dell’anno anteriore al deposito di un’altrui domanda di brevetto – il
diritto di prosecuzione di tale utilizzazione (diritto di preuso). Deve comunque
trattarsi di effettiva attuazione e tale diritto di preuso non è comunque opponibile
a terzi. Il preutente, infatti, non vanta un diritto di esclusiva nei confronti del
successivo registrante, né può agire con l’azione di contraffazione, ma è
semplicemente immune dall’azione di contraffazione del titolare del brevetto.
I brevetti per i modelli
Accanto ai brevetti per invenzione, il nostro ordinamento prevede i brevetti per
modelli industriali, espressione quest’ultima che comprende due diversi gruppi di
creazioni:
 i modelli di utilità che proteggono una innovazione tecnologica, e vengono
perciò accostati ai brevetti per invenzione;
 i modelli e disegni ornamentali che proteggono, invece, un’innovazione
puramente estetica, avvicinandosi, così, al diritto d’autore.
Il modello di utilità
Il modello di utilità è la forma nuova di un prodotto industriale, idonea a conferire al
prodotto stesso una particolare efficacia o comodità di applicazione o di impiego. Non è
facile distinguere nettamente il modello di utilità dall’invenzione: dottrina e
giurisprudenza oscillano tra un criterio quantitativo, che vede il modello come
una invenzione minore, e un criterio qualitativo, per il quale nel modello manca
Secondo tale regola, il brevetto perde i suoi effetti a seguito del deposito in Italia di una domanda
di brevetto, per la stessa invenzione, da parte di chi ha depositato, nell’anno precedente, una
domanda di brevetto (per la stessa invenzione) in un altro Stato aderente alla Convenzione di
Unione.
69 Tale obbligo deriva dal generale obbligo di fedeltà posto dall’art. 2105 c.c. a carico dei
collaboratori subordinati. La regola è comunque applicabile, per analogia, anche ai collaboratori
autonomi. La sanzione è di tipo risarcitorio.
70 Tale contratto, atipico, è definito dalla dottrina come il contratto con cui un imprenditore
(concedente), dietro compenso, mette in condizione un altro imprenditore (concessionario) di
conoscere ed utilizzare, nel processo produttivo o distributivo, le proprie tecniche o i propri
ritrovati non brevettati (o non brevettabili) ma coperti da segreto.
68
32
la soluzione nuova di un problema tecnico, agendo qui l’innovazione solo su
aspetti marginali ed esecutivi di ciò che è già noto71.
Complessi sono i rapporti tra modello di utilità, marchio di forma e divieto di
imitazione servile. Il problema che si pone è se le forme utili possano anche essere
registrate come marchio o protette ex. art. 2598, n. 1 c.c.: se ciò fosse possibile, le
forme utili riceverebbero una tutela potenzialmente perpetua ed il limite
temporale del brevetto per modello risulterebbe così vanificato. E’ quindi
preferibile ritenere che le forme utili non possano accedere al brevetto per marchio
o alla tutela ex art. 2598 n. 1 neanche se dotate di valore distintivo, qualora
esprimano un nuovo concetto innovativo e siano, perciò, brevettabili come
modello.
Il modello ornamentale
Il modello ornamentale è il trovato che conferisce ad un oggetto noto uno speciale
ornamento, sia per la forma, sia per una particolare combinazione di linee e di colori. Il
brevetto per modello ornamentale ha efficacia per quindici anni.
Il modello ornamentale va distinto dall’opera d’arte applicata all’industria.
Rilevano, a tal proposito, il criterio della scindibilità tra valore artistico e carattere
industriale72 e il criterio della sufficienza del valore artistico della forma.
IMPRESA FAMILIARE E AZIENDA CONIUGALE
L’impresa familiare è stata introdotta con la riforma del diritto di famiglia del
1975, con l’inserimento nel codice civile dell’art. 230 bis, il quale la definisce come
l’impresa cui collaborano il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il
secondo. L’impresa familiare non è istituzionalmente impresa collettiva e la
titolarità di essa deve imputarsi secondo le regole generali, non competendo in
particolare ai familiari prestatori di lavoro, i quali non hanno, come tali, diritti o
poteri né responsabilità di coimprenditori o soci. L’art. 3 del D.L. 853/84 prevede
espressamente la possibilità di costituire l’impresa familiare in forma di società in
nome collettivo o in accomandita semplice.
Quanto ai diritti patrimoniali, il familiare che presta in modo continuativo la sua
attività di collaborazione:
 ha diritto al mantenimento, secondo la condizione patrimoniale della
famiglia;
 partecipa agli utili dell’impresa familiare, ai beni acquistati con essi, nonché
agli incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento.
Per quanto riguarda l’attività gestoria dell’impresa familiare, spettano al titolare le
decisioni concernenti l’ordinaria amministrazione; spettano invece alla
maggioranza le decisioni concernenti:
 l’impiego degli utili e degli incrementi;
 la gestione straordinaria;
L’art. 4 della L.mod. consente, peraltro, il c.d. deposito di domande alternative: chi deposita una
domanda di brevetto per invenzione può depositare anche una domanda di brevetto per modelli di
utilità che varrà solo nel caso che la prima non sia accolta o sia accolta solo in parte.
72 Si ha scindibilità quando l’opera può essere apprezzata esteticamente indipendentemente
dall’utilità del prodotto.
71
33
 gli indirizzi produttivi;
 la cessazione dell’impresa.
Secondo parte della dottrina, solo nelle decisioni circa l’impiego degli utili e degli
incrementi la maggioranza si impone alla minoranza. Negli altri casi, tenuto conto
che l’unico responsabile dell’impresa è il titolare, non sembra accettabile che la
maggioranza possa superare la contrarietà di costui. Tuttavia, in quest’ultimo
caso, le decisioni della maggioranza, qualora il titolare rifiuti di adottarle, si
pongono come giusta causa di immediato recesso dall’impresa familiare.
Tra i beni oggetto della comunione legale, l’art. 177 comprende anche le c.d.
aziende coniugali. In particolare:
 l’art. 177 lettera d) stabilisce che costituiscono oggetto della comunione le
aziende gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio;
 l’art. 177 comma 2 dispone che qualora si tratti di aziende appartenenti ad
uno dei coniugi anteriormente al matrimonio ma gestite da entrambi, la
comunione concerne solo gli utili e gli incrementi.
Tali articoli hanno rotto l’argine divisorio, come afferma un illustre autore, tra
comunione e impresa collettiva, nel senso che mentre prima si riteneva che l’unico
modello per la regolazione dei rapporti patrimoniali non fosse quello della
comunione ma quello associativo, ora invece si riconosce che l’esercizio
dell’azienda comune da parte dei coniugi non trasforma la comunione in società,
come del resto dimostrano le disposizioni degli art. 181 e 182 che inquadrano
l’esercizio comune nell’ambito della comunione.
CONCORRENZA E COOPERAZIONE TRA IMPRESE
LA DISCIPLINA CONCORRENZIALE
Fino all’entrata in vigore del codice civile del 1942, l’unica norma in materia era
costituita dall’art. 10bis introdotto con una revisione del 1925 alla Convenzione
Internazionale per la tutela della produzione industriale stipulata a Parigi nel
1883. Con l’introduzione del codice del 42 sono invece gli artt. 2598 e ss. ad
occuparsi della materia.
La disciplina della concorrenza sleale si applica solo quando ricorrano i
presupposti soggettivi che riguardano il rapporto in cui devono trovarsi il
soggetto attivo e quello passivo e la qualità professionale di entrambi i soggetti.
Quanto al rapporto fra i due soggetti, questo deve essere di concorrenza (anche
potenziale); la qualità professionale è quella di imprenditore73.
Inoltre, l’imprenditore è responsabile anche degli atti posti in essere dai suoi
collaboratori autonomi ed ausiliari, nonché, ovviamente, dai dipendenti
nell’esercizio delle loro mansioni74.
Illecito e danno concorrenziale
Gli atti di concorrenza sleale previsti dall’art. 2598 si distinguono in tre categorie:
 atti di confusione, di cui al n. 1 della norma;
Sono ricompresi nella disciplina anche la P.A., le attività non professionali ma occasionali e gli
esercizi di impresa senza licenza.
74 Si ritiene tuttavia che – eccetto il caso del dipendente – il terzo sia responsabile in solido con
l’imprenditore.
73
34


atti di appropriazione di pregi e di denigrazione, di cui al n. 2;
altri atti contrari alla correttezza professionale, di cui al n. 3, caratterizzati
oltre che dalla contrarietà ai principi della correttezza professionale75, dall’idoneità a danneggiare l’altrui azienda76.
Secondo un orientamento ormai consolidato in giurisprudenza, per integrare gli
estremi dell’illecito concorrenziale, non è necessario che il danno si sia
effettivamente realizzato, ma è sufficiente che esso sia potenziale.
Le singole fattispecie di concorrenza sleale
Gli atti di confusione
Le fattispecie in esame sono disciplinate dal n. 1 dell’art. 2598 ed hanno in comune
l’idoneità a produrre confusione con i prodotti e con l’attività di un concorrente, ossia
l’idoneità a convincere i consumatori che un prodotto o un’attività provengono da
un certo imprenditore mentre in realtà sono da ricondurre ad un imprenditore
diverso. Tale confondibilità è intesa come la riproduzione – più o meno puntuale – di
uno o più elementi77 atti ad individuare un prodotto o una attività.
Non esistendo, per i segni distintivi in esame, un sistema di registrazione e –
quindi – una presunzione di validità del segno, l’onere di provare la presenza in
esso dei requisiti di tutelabilità graverà, secondo i principi generali, su colui che ne
invoca la tutela. La sola dimostrazione della preesistenza di segni confondibili
graverà sulla parte che nega la tutelabilità. Infine la presenza della capacità
distintiva non è oggetto di prova ma piuttosto di una valutazione del giudice sulla
base del notorio, venendo qui in rilievo fatti appartenenti alla comune esperienza.
Analizzando più da vicino l’art. 2598, troviamo al n. 1 la fattispecie di chi “usa
nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o con i segni distintivi
legittimamente usati da altri”. Ci si chiede se tale norma riguardi – oltre ai segni
atipici cui specificatamente si rivolge – anche quelli tipici, cioè già tutelati altrove
dalla legge come la ditta, l’insegna e il marchio registrato. È la stessa norma a
rispondere positivamente (“ferme le disposizioni (…)”) ma resta il problema della
cumulabilità delle due tutele: la giurisprudenza opta per la soluzione negativa,
mentre la dottrina le ritiene applicabili entrambe78. Quanto ai segni atipici della
ditta irregolare e del marchio di fatto, la norma dell’art. 2598 n. 1 ne costituisce la
forma esclusiva di tutela.
L’art. 2598 n. 1 contempla, come seconda delle tre fattispecie, la c.d. imitazione
servile. Tale norma ha subito nel tempo progressive limitazioni applicative:
 un primo limite riguarda le parti del prodotto la cui imitazione può
definirsi illecita: tale imitazione deve infatti riguardare le parti appariscenti,
esterne, del prodotto;
Secondo la dottrina più recente, per giudizio di correttezza professionale dobbiamo intendere un
giudizio di natura morale ma non professionale, bensì di morale pubblica corrente quale è espressa
dalla collettività dei consociati di cui il giudice è interprete.
76 L’idoneità dannosa deve essere qualificata, deve cioè essere maggiore a quella normale di un atto
dello stesso tipo non scorretto.
77 Segni denominativi, emblematici, figurativi. Inoltre il segno distintivo imitato deve essere dotato
di capacità distintiva (originalità), di novità e deve essere concretamente utilizzato nel mercato.
78 In particolare, per quanto riguarda il marchio registrato, non si potrà agire in concorrenza sleale
quando il marchio non sia stato usato o quando il suo uso sia territorialmente limitato in modo da
non creare una sovrapposizione.
75
35

un secondo limite deriva dall’esigenza di coordinare il divieto di imitazione
con la disciplina brevettuale79: per risolvere la questione si è giunti ad una
interpretazione restrittiva dell’art. 2598 n. 1 sostenendo che le forme
suscettibili di costituire oggetto di brevettazione come modello ornamentale
o come modello di utilità sono liberamente imitabili ove non siano
brevettate o non lo siano più per la scadenza del relativo brevetto.
Quanto alle forme utili o funzionali si sostiene che queste – quando sarebbero potute
essere brevettate come modelli di utilità ma non lo siano state – non siano
tutelabili contro l’imitazione servile e siano quindi liberamente imitabili. Per
quanto riguarda invece le forme ornamentali, si sostiene che soltanto le forme dotate
di un ornamento speciale e cioè superiore ad un certo livello estetico siano
brevettabili come modello ornamentale, mentre le forme (distintive) che
presentino un ornamento non speciale non lo siano e possano, perciò, ricevere la
tutela contro l’imi-tazione servile.
Infine, la terza fattispecie dell’art. 2598 n. 1 – reprimendo gli altri mezzi con cui si
compiano atti confusori – rappresenta una norma di chiusura con la quale il
legislatore intende escludere la liceità di qualsiasi atto confusorio80.
Denigrazione e appropriazione di pregi
Il n. 2 dell’art. 2598 disciplina due diverse ipotesi di concorrenza sleale:
 la denigrazione, che consiste nella diffusione di notizie ed apprezzamenti
sui prodotti e sull’attività di un concorrente, idonei a determinarne il
discredito e a procurare, così, un danno concorrenziale81;
 l’appropriazione di pregi, dove per pregi si intendono non delle entità
materiali appartenenti all’impresa aggredita, ma delle qualità dell’impresa
stessa o dei suoi prodotti; più precisamente costituisce pregio qualsiasi
caratteristica dell’impresa o dei suoi prodotti considerata tale dal mercato82.
I casi più frequenti di denigrazione si legano al fenomeno della pubblicità
comparativa intesa come quella pubblicità basata sul raffronto fra il prodotto di
un soggetto e quello di un suo concorrente. La L. 25/99 (legge comunitaria per il
1998) delega il Governo ad emanare – entro un anno dalla sua approvazione – un
decreto legislativo che regolamenti nel nostro paese la pubblicità comparativa.
Prima della riforma la comparazione pubblicitaria era inclusa, pur senza alcun
riferimento esplicito, nelle ipotesi di denigrazione del prodotto altrui. La direttiva
I brevetti che qui interessa considerare sono quelli per modello ornamentale e quelli per modello
di utilità in quanto riguardano essenzialmente la forma del prodotto e cioè proprio l’oggetto della
tutela contro l’imitazione servile. Naturalmente il divieto di imitazione decade allo scadere della
validità del brevetto (15 anni per il modello ornamentale e 10 anni per il modello di utilità). Questa
considerazione però crea un conflitto applicativo con la norma dell’art. 2598 n. 1 in quanto
quest’ultima prevede una tutela potenzialmente perpetua contro l’imitazione servile.
80 Poiché però – per compiersi – gli atti confusori richiedono l’uso di segni distintivi confondibili,
l’applicazione della norma in esame risulta estremamente rara e concerne di solito ipotesi di
appropriazione di segni distintivi inusuali, quali ad esempio l’uso di furgoni dello stesso colori del
concorrente, l’uso di fotografie di prodotti altrui nel proprio materiale pubblicitario o la copiatura
di cataloghi.
81 Tale diffusione di notizie non deve essere necessariamente indirizzata ad una pluralità di
soggetti ma anche ad una cerchia ristretta o ad un singolo soggetto. Fa eccezione l’ipotesi in cui la
comunicazione sia fatta non su iniziativa del concorrente ma ad esempio su richiesta del cliente;
oppure che la comunicazione sia fatto al solo concorrente interessato.
82 Per esempio nel caso di chi si dichiari – falsamente – concessionario di una celebre marca.
79
36
97/55, invertendo l’orientamento interno, include la pubblicità comparativa fra i
sistemi di comunicazione commerciale ammessi nell’ambito dell’Unione Europea
(naturalmente a precise condizioni).
Anche per la concorrenza sleale, configurata come aspetto dell’illecito aquiliano, si
parla di legittima difesa e cioè si sostiene che l’illiceità del comportamento vietato
può essere esclusa se esso sia stato posto in essere per reagire al comportamento
illecito del concorrente83.
Quanto alla legittimazione ad agire per concorrenza sleale, questa riguarda il solo
imprenditore che risulti obiettivamente identificabile come soggetto passivo della
denigrazione. Nel caso in cui quest’ultima riguardi un intero genere di prodotti
facenti capo a più imprenditori, la legittimazione sarà estesa a tutti gli
imprenditori della categoria, nonché alle associazioni di categoria, ai sensi dell’art.
2601.
Nell’ambito invece dell’appropriazione di pregi, si parla di agganciamento alla
notorietà altrui, quando chi si propone al pubblico lo fa equiparandosi in modo
esplicito ad un concorrente noto o ai suoi prodotti, approfittando, così, del frutto
dell’altrui lavoro o investimento.
Atti contrari alla correttezza professionale
Il n. 3 dell’art. 2598 – in considerazione della rarità di fattispecie inedite da
classificare – funge da “contenitore” di fattispecie tipizzate, già individuate prima
dell’entrata in vigore del codice, che vengono ricondotte alla norma in esame per
trovare una loro collocazione.
Fra le fattispecie di concorrenza sleale qui riconducibili, il mendacio
concorrenziale (messaggi ingannevoli) è senza dubbio una delle più importanti.
Oltre all’ipotesi della pubblicità menzognera, l’illiceità si estende a qualsiasi
comunicazione rivolta ai potenziali consumatori o fruitori di determinati prodotti
o servizi, che non corrisponda a verità e che sia idonea ad ingannare i suoi
destinatari provocando, così, un danno concorrenziale.
Altra fattispecie rilevante è quella che riguarda le manovre sui prezzi. In generale
non si potrebbe negare la liceità dei ribassi di prezzo senza negare il concetto
stesso di libera concorrenza. Tuttavia certe vendite sottocosto possono essere
considerate illecite quando vengano poste in essere con fini monopolistici e con
continuità temporale.
La violazione di certe norme di diritto pubblico attinenti al mondo dell’impresa
possono integrare varie fattispecie di concorrenza sleale. Ad esempio la violazione
di norme che impongono limiti all’esercizio dell’attività, di norme che impongono
costi (se si collegano ad un atto di concorrenza), di norme che impongono oneri o
addirittura di quelle norme legate alla corruzione e reati analoghi.
Lo storno dei dipendenti, consistente nel sottrarre i dipendenti ad un concorrente
istigandoli a dimettersi per poi assumerli, è considerato illecito se attuato con
l’intento di disgregare o disorganizzare l’azienda del concorrente, se attuato, cioè
con animus nocendi. A questa ipotesi è anche spesso legata quella relativa alla
sottrazione di segreti aziendali.
L’agire in legittima difesa è subordinato a due condizioni: le notizie diffuse devono essere vere;
la difesa deve essere proporzionata all’esigenza di dare notizia dell’aggressione subita ai soggetti
interessati (in genere alla clientela). La difesa deve essere obiettiva, non tendenziosa e moderata.
83
37
Altre fattispecie riguardano infine la concorrenza dell’ex dipendente, la
concorrenza parassitaria, l’induzione all’inadempimento, il boicottaggio84 e la
concorrenza via internet.
Tutela cautelare e sanzioni
La lunga durata del giudizio di concorrenza sleale e la gravità dei danni, che nel
frattempo l’imprenditore può subire, legittimano il ricorso alle misure cautelari di
cui all’art. 700 c.p.c.. In forza di tale norma, il richiedente può ottenere:
 l’inibitoria provvisoria del comportamento scorretto altrui;
 il sequestro dei beni prodotti o commercializzati in modo illecito.
Per ottenere la tutela cautelare occorre fornire una prova sommaria della bontà
della pretesa e del pericolo che deriverebbe dalla non concessione della misura.
Con la sentenza che accerta il compimento di uno o più atti di concorrenza sleale,
il giudice può applicare, su richiesta di parte, le sanzioni previste dagli artt. 2599 e
2600 che sono:
 l’inibitoria, che consiste nel divieto di continuare l’attività o di ripetere l’atto
dichiarato illecito;
 l’emanazione di opportuni provvedimenti per la rimozione degli effetti dell’illecito,
come, ad esempio, l’ordine di ritiro dal commercio dei beni realizzati con
l’attività illecita;
 la pubblicazione della sentenza;
 il risarcimento del danno, sempre che ricorrano il dolo o la colpa del
convenuto e la prova del danno effettivamente sofferto.
LA LEGISLAZIONE ANTITRUST
Il diritto antitrust ha il preciso obiettivo di correggere eventuali squilibri del
mercato che tende sempre ad allontanarsi dal modello ideale di concorrenza
perfetta. Per fare ciò occorre sorvegliare costantemente sia il mercato – in modo da
poter intervenire prontamente sulle evoluzioni delle strutture e dei
comportamenti – sia l’andamento della normativa antitrust degli altri paesi.
Le norme antitrust sono solitamente divise in due categorie:
 per se rules: per le quali l’illiceità di un comportamento è determinato dalla
sua conformità o meno a quello astratto determinato dalla norma;
 rules of reason: per le quali è l’organo di controllo che stabilisce se un
comportamento – pur conforme alla fattispecie astratta – è o meno contrario
agli interessi che la normativa vuole tutelare.
La normativa antitrust trova un grave limite nella difficoltà dell’imporre una
sanzione realmente efficace ad un comportamento ritenuto illecito. E’ quindi
preferibile tentare di prevenire i comportamenti illeciti piuttosto che reprimerli.
Per boicottaggio si intende il comportamento di chi, attraverso il rifiuto proprio o di altri soggetti di
stipulare ed intrattenere rapporti con un determinato terzo, impedisca a quest’ultimo di accedere o di
permanere sul mercato. Si distingue fra:
 boicottaggio primario, quando uno o più soggetti decidono di non contrattare con il terzo:
con l’entrata in vigore della legge antitrust italiana, tale comportamento è illecito se lo è
sotto il profilo antitrust;
 boicottaggio secondario, quando uno o più soggetti (promotori), esercitando pressioni
economiche o di altro tipo, obbligano altri soggetti (esecutori) a non intrattenere rapporti
con un concorrente dei primi (boicottato).
84
38
L’antitrust nella Comunità Europea
L'articolo 3 lettera g) del trattato istitutivo della comunità europea indica tra i fini
della comunità la creazione di un regime inteso a garantire che la concorrenza non
sia falsata nel mercato comune. Nasce così l'esigenza di eliminare qualsiasi
impedimento e ostacolo alla concorrenza. I principi fondamentali della disciplina
della concorrenza, posti dal trattato di Roma, possono così sintetizzarsi:
 divieto di intese pregiudiziali al commercio tra gli stati membri e restrittive
della concorrenza all'interno del mercato comune;
 divieto, alle imprese che hanno una posizione dominante nel mercato
comune, di farne un esercizio abusivo;
 disciplina delle relazioni finanziarie tra i poteri pubblici e le imprese
pubbliche, nonché delle imprese alle quali gli Stati affidano la gestione di
servizi nell'interesse generale;
 regolamentazione degli interventi degli Stati membri nell'economia, per
impedire che gli aiuti economici alle imprese generino limitazioni e
modifiche al libero esplicarsi della concorrenza.
L'articolo 81, in particolare, dichiara che: "sono incompatibili con il mercato comune e
vietati tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese e tutte le
pratiche concordate che possono pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano
per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza
all'interno del mercato comune". La stessa norma, con elencazione non tassativa,
specifica che sono vietate le intese consistenti nel:
 fissare direttamente o indirettamente i prezzi di acquisto o di vendita
ovvero altre condizioni di transazioni;
 limitare o controllare la produzione, gli sbocchi, lo sviluppo tecnico o gli
investimenti;
 ripartire i mercati o le fonti di approvvigionamento;
 applicare, nei rapporti commerciali con gli altri contraenti, condizioni
dissimili per prestazioni equivalenti, così da determinare per questi ultimi
uno svantaggio nella concorrenza;
 subordinare la conclusione di contratti all'accettazione da parte degli altri
contraenti di prestazioni supplementari che, per la loro natura secondo gli
usi commerciali, non abbiano alcun nesso con l'oggetto dei contratti stessi.
Il sistema previsto obbliga le imprese a dichiarare preventivamente gli accordi che
possono rientrare nel campo delle regole di concorrenza per ottenere il placet degli
organi comunitari. In questo settore è la Commissione che prende le decisioni
sulla base del regolamento n. 17 emanato dal Consiglio nel 1962.
Essa in particolare può:
 vietare l'intesa, che in questo caso è nulla;
 concedere un esenzione dal divieto a favore delle intese che contribuiscono
a migliorare la produzione o la distribuzione ovvero a promuovere il
progresso tecnico o economico;
 constatare che non vi sia motivo di intervenire.
Le intese non dichiarate possono essere oggetto di inchiesta da parte della
commissione che, allorché constati una violazione delle regole di concorrenza, può
con apposita decisione infliggere ammenda e penalità di mora.
39
L'articolo 82 del trattato CE dispone che: “è incompatibile con il mercato comune e
vietato, nella misura in cui possa essere pregiudizievole al commercio tra gli stati membri,
lo sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante sul
mercato comune o su una parte sostanziale di questo”. Tale norma non vieta la
posizione dominante in sé, ma l'abuso di essa da parte di una o più imprese85.
A differenza di quanto previsto per le intese dall’art. 81 (ex 85), in caso di abuso di
posizione dominante non sussiste alcuna possibilità di esenzione dal rispetto della
disposizione dell’art. 82. Quanto alle norme di applicazione vale, anche per l’art.
82 il regolamento n. 17, con la precisazione che, trattandosi in tale ipotesi di vietare
dei comportamenti e non degli accordi formali, non è prevista la sanzione
giuridica della nullità. Sono invece applicabili, da parte della Commissione, le
sanzioni pecuniarie per le violazioni e le penalità di mora per i ritardi. Con il
passare degli anni sono stati emanati numerosi regolamenti che hanno introdotto
discipline dettagliate di varie ipotesi di intese. In genere essi distinguono due liste
di clausole contrattuali:
 la c.d. lista bianca elenca clausole considerate non restrittive della
concorrenza e la cui presenza non ostacola l’esenzione dal divieto;
 la c.d. lista nera elenca le clausole restrittive considerate non esentabili e
che quindi fanno qualificare un’intesa come illecita.
Nel trattato CE mancano, invece, esplicite previsioni normative volte a disciplinare
le concentrazioni fra imprese, ma la Corte di Giustizia ha riconosciuto che le
concentrazioni cui partecipano imprese aventi una posizione dominante possono,
in taluni casi, essere considerate sfruttamento abusivo di una posizione dominante
e quindi essere vietate86. Si ha dunque concentrazione quando due o più imprese si
fondono o quando una o più persone, già controllanti almeno un’impresa, acquisiscono
direttamente o indirettamente il controllo dell’insieme o di parti di imprese, sia
acquistando partecipazioni nel capitale sociale sia con qualsiasi altro mezzo. Tutte le
operazioni di concentrazione devono essere notificate alla Commissione, la quale
dovrà dichiarare (con una decisione) l’accertata compatibilità delle stesse con il
mercato comune, ovvero ordinare — in ipotesi di incompatibilità — la separazione
delle imprese o degli elementi patrimoniali acquistati o incorporati, la cessazione
del controllo comune, nonché ogni altra misura idonea a ripristinare condizioni di
concorrenza effettiva. L’incompatibilità, in particolare, riguarda quelle operazioni
Il 2° comma dell’art. 82 individua quattro fattispecie tipiche di abuso di posizione dominante,
che consistono:
 nell’imporre direttamente o indirettamente prezzi di acquisto, di vendita o altre condizioni
di transazione non eque;
 nel limitare la produzione, gli sbocchi o lo sviluppo tecnico, a danno dei consumatori;
 nell’ applicare ai rapporti commerciali con gli altri contraenti condizioni dissimili per
prestazioni equivalenti, determinando così per questi ultimi uno svantaggio;
 nel subordinare la conclusione di contratti all’accettazione da parte degli altri contraenti di
prestazioni supplementari, che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano
alcun nesso con l’oggetto dei contratti stessi.
86 Questa interpretazione giurisprudenziale ha improntato la formazione del Regolamento sul
controllo della concentrazione, entrato in vigore il 10 ottobre 1990 dopo una discussione durata 17
anni. Il Regolamento si è reso necessario perché la soppressione delle frontiere interne porterà a
numerose ristrutturazioni, soprattutto per concentrazioni, delle imprese nella Comunità. Questo
processo non deve però pregiudicare la concorrenza e la CE ha deciso di dotarsi di una disciplina
più precisa e più moderna di quella prevista dal Trattato.
85
40
che creano o rafforzano una posizione dominante, si da ostacolare in modo
significativo il mantenimento o lo sviluppo della concorrenza effettiva nel mercato
comune o in una parte sostanziale di questo87. A norma dell’art. 86 (ex 90) CE, le
regole di concorrenza comunitarie devono trovare applicazione anche nei
confronti delle imprese pubbliche e delle imprese alle quali gli Stati membri
«riconoscono diritti speciali o esclusivi».
L’esistenza di una posizione dominante può essere accertata solo dopo aver
individuato i confini geografici ed economici del mercato su cui tale impresa
domina.
In primo luogo il mercato deve essere delimitato in senso geografico: esso non è
altro che la zona, piccola o grande che sia, interna al mercato comune, in cui opera,
insieme ad altri operatori, l’impresa dominante. È ovvio che un’impresa è
sicuramente in posizione dominante quando incide in tutto il mercato CE; quando
invece si parla di «parte sostanziale» del mercato non si guarda all’ ampiezza
territoriale dell’area in cui si svolge l’attività esaminata quanto piuttosto al volume
di tale attività. Così anche il territorio di un solo Stato membro della CE e anche
solo una sua parte possono essere «parti sostanziali del mercato comune».
Per quanto riguarda invece il mercato dei prodotti, il problema è molto più
complesso in quanto consiste nel dover stabilire quali prodotti fanno parte del
mercato: si può dire che l’estensione del mercato rilevante corrisponde a quella
mappa di commercializzazione dei prodotti che in base alle loro specifiche caratteristiche
(aspetto, prezzo, qualità, adattabilità ed utilizzazione), unitamente alle scelte ed ai gusti dei
consumatori, consentano un sufficiente livello di sostituibilità fra di loro in una
determinata area geografica.
La Commissione, cioè l’esecutivo del sistema CE, si occupa dell’applicazione delle
regole di concorrenza. Le decisioni della Commissione possono essere impugnate
davanti ai Tribunale di primo grado delle Comunità Europee (in passato le
decisioni della Commissione si impugnavano davanti alla Corte di Giustizia delle
Comunità Europee, che decideva in unico grado). Il procedimento davanti alla
Commissione può essere diviso in due parti: una fase informale ed una vera e
propria procedura. Questa prevede una necessaria fase scritta ed un’eventuale
fase orale. In caso di intese e comportamenti illeciti, a carico dei loro autori è
previsto un generale obbligo di rimozione degli effetti, nonché il pagamento di
ammende.
L’antitrust in Italia
Il nostro Paese si è dotato di una normativa antitrust con notevole ritardo rispetto
agli altri Stati della Comunità Europea. La legislazione nazionale si era infatti
limitata a fornire una minuziosa disciplina del contratto di consorzio, senza
affrontare il problema di sancire la liceità dei multiformi accordi che perseguono
La procedura prevista dal suddetto regolamento è stata innovata dall’accordo raggiunto il 24
aprile 1997 dal Consiglio dei ministri dell’Industria dell’Unione Europea. La nuova soluzione ha
ampliato la competenza della Commissione, finora limitata ai casi più rilevanti, abbassando la
soglia del fatturato necessario per l’esame delle operazioni di fusione e concentrazione da parte del
Commissario europeo. Sono inoltre stati aboliti la notifica ed il relativo esame da parte di ogni
singola autorità nazionale previsti dal vecchio regime: in questo modo la procedura risulterà
semplificata e saranno ridotti quelle impasse burocratiche che impedivano spesso l’esame di
importanti operazioni di rilevanza comunitaria.
87
41
in fine diretto o indiretto della restrizione della concorrenza. Con la L. 287/90 tale
situazione è mutata e – largamente ispirata alla normativa comunitaria – è stata
introdotta anche nel nostro paese un’ampia disciplina antitrust affiancata
dall’istituzione dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato.
Ai sensi dell’art. 1 della L. 287/90, le disposizioni introdotte dalla stessa si
applicano soltanto alle intese, agli abusi di posizione dominante ed alle
concentrazioni di imprese “che non ricadano nell’ambito di applicazione degli
artt. 65 e 66 del trattato CECA e degli artt. 86 e 86 del Trattato CEE, nonché dei
regolamenti dei della CEE e di atti comunitari con efficacia normativa equiparata”.
L’applicabilità sussiste quindi allorché non ci sia pregiudizio per gli Stati
comunitari: in quest’ultimo caso troverà infatti applicazione il diritto comunitario.
Da un punto di vista soggettivo, la normativa antitrust si applica:
 alle imprese, intese qui in senso assai più ampio rispetto all’art. 2082 c.c.;
 alle imprese pubbliche e a partecipazione statale88.
Sono invece escluse le imprese che, per disposizione di legge, esercitano la
gestione di servizi di interesse economico generale e le imprese che operano in
regime di monopolio sul mercato. Regimi speciali sono previsti infine per le
imprese operanti nei settori della radiodiffusione e dell’editoria, le aziende ed
istituti di credito e le imprese assicurative.
Il divieto delle intese
L’art. 2 della L. 287/90 vieta, a pena di nullità, gli accordi e le pratiche concordate
tra imprese nonché le deliberazioni di consorzi, associazioni di imprese ed altri
organismi simili che abbiano il fine di:
 impedire, in maniera consistente, la concorrenza all’interno del mercato
nazionale o in una sua parte rilevante, nel senso di vietare del tutto
l’esercizio di una determinata attività o proibire la vendita di un
determinato prodotto;
 restringerla, nel senso di sottoporre l’esercizio a determinate condizioni;
 falsarla, ad esempio con atti di concorrenza sleale.
Oltre a tale clausola generale, vi sono cinque categorie di intese tipizzate che
ricalcano quelle previste dall’art. 81 del Trattato CE (v. pag. 32).
L’abuso di posizione dominante
Si ha posizione dominante quando una o più imprese possono influire in misura
sostanziale sulle decisioni di altri agenti economici mediante una strategia
indipendente, sottraendosi così ad una concorrenza effettiva.
La nostra legge antitrust vieta – in stretta analogia all’art. 82 del Trattato CE –
l’abuso di posizione dominante (v. nota n. 67).
La concentrazione di imprese
Secondo la nostra legge antitrust, l’operazione di concentrazione si realizza:
 quando due o più imprese procedono a fusione;
Deve considerarsi pubblica ogni impresa sottoposta direttamente o indirettamente all’influenza
preponderante dello Stato, di uno dei suoi organismi, o di un’altra entità di diritto pubblico, quale
che sia la forma giuridica di detta impresa.
88
42

quando uno o più soggetti in posizione di controllo di almeno una impresa
ovvero una o più imprese acquisiscono, direttamente o indirettamente, il
controllo dell’insieme o di parti di una o più imprese;
 quando due o più imprese procedono, attraverso la costituzione di una
nuova società, alla costituzione di un’impresa comune.
In ogni caso per aversi concentrazione deve prodursi una modificazione della
struttura interna delle imprese interessate. Le operazioni di concentrazione
appena specificate non sono vietate in assoluto, ma solo se comportino la
costituzione o il rafforzamento di una posizione dominante sul mercato nazionale,
in modo da eliminare o ridurre in modo sostanziale e durevole la concorrenza.
L’ASSOCIAZIONE IN PARTECIPAZIONE
L’associazione in partecipazione è il contratto con cui una parte (associante) attribuisce
ad un’altra (associato) una partecipazione agli utili della sua impresa, o di uno o più affari,
verso il corrispettivo di un determinato apporto89. Elementi essenziali del contratto –
posti in un rapporto sinallagmatico – sono dunque:
 l’apporto da parte dell’associato, che può consistere in una somma di
denaro ma anche nel conferimento di determinati beni o servizi;
 l’attribuzione di una partecipazione agli utili da parte dell’associante.
Salvo patto contrario, a norma dell’art. 2553, l’associato partecipa alle perdite nella
stessa misura in cui partecipa agli utili; sullo stesso, però, non possono gravare
perdite in misura superiore al suo apporto90. L’associato non diviene socio dell’associante ma resta un suo creditore: il rapporto tra loro, infatti, rimane puramente
interno. Quanto alla natura giuridica, il contratto in partecipazione è:
 consensuale, in quanto l’apporto dell’associato si sostanzia nell’obbligo di
conferimento e non nella materiale consegna del bene;
 necessariamente bilaterale, poiché l’art. 2550 subordina al consenso dell’associato la facoltà dell’associante di attribuire ad altre persone partecipazioni
alla stessa impresa o allo stesso affare che rimangono tuttavia rapporti
distinti l’uno dall’altro;
 non formale, salvo che questa sia richiesta dalla natura dei beni oggetto del
conferimento;
 oneroso;
 di durata non necessariamente limitata nel tempo, in quanto può anche
essere perpetuo.
L’associazione in partecipazione è un contratto destinato esclusivamente a
regolare i rapporti tra associante ed associato e con esso non si costituisce un ente
collettivo distinto dalle persone dei contraenti91. I punti fondamentali in cui possiamo
riassumere la disciplina sono i seguenti:
Anche le società, non solo le persone fisiche, possono assumere sia la figura di associante che
quella di associato.
90 La Corte di Cassazione considera la partecipazione alle perdite come un elemento meramente
eventuale ma non necessario del contratto di consorzio.
91 Infatti, a differenza di quanto avviene con le società, nell’associazione in partecipazione:
 non si ha formazione di un fondo comune;
 l’impresa resta impresa personale dell’associante;
89
43







l’iniziativa economica è rimessa alla determinazione esclusiva dell’associate
purché questi non modifichi l’oggetto dell’impresa o l’affare;
l’associante è il solo responsabile verso i terzi, salva la responsabilità in via
surrogatoria dell’associato qualora ne ricorrano i presupposti;
la gestione dell’impresa o dell’affare spetta all’associante;
l’associato dovrà prestare la sua opera sotto la direzione dell’associante;
l’associato ha il diritto di rendiconto;
la partecipazione dell’associato agli utili ed alle perdite è disciplinata dal
contratto;
lo scioglimento del contratto attribuisce all’associato unicamente il diritto
alla liquidazione della sua quota sulla base della situazione patrimoniale
esistente in quel momento.
I CONSORZI, LE SOCIETÀ CONSORTILI, LE ASSOCIAZIONI TEMPORANEE
DI IMPRESE
Il consorzio di imprese è costituito da un gruppo di imprese munito di una
organizzazione comune idonea a soddisfare determinate esigenze di
coordinamento della produzione e dello scambio. Il fine del consorzio è quindi far
conseguire ad ogni impresa associata una struttura più solida e maggiori possibilità di
affermazione e di espansione, attraverso la creazione di una organizzazione comune
unitaria92. Fonte dell’organizzazione consortile può essere un contratto, un atto
della pubblica autorità (nel caso di consorzi obbligatori) o la stessa legge (c.d.
consorzi coattivi).
Fondamentale è la distinzione tra:
 consorzi con attività meramente interna, destinati ad operare solo tra i
consorzianti;
 consorzi con attività esterna, operanti anche nei confronti dei terzi ed aventi
un fondo comune dotato di autonomia patrimoniale.
Il consorzio volontario
Il consorzio volontario è quello che trova il suo fondamento nel contratto
consortile, in quel contratto, cioè, con cui più imprenditori istituiscono una
organizzazione comune per la disciplina o per lo svolgimento di determinate fasi delle
rispettive imprese. Pertanto:
 i soggetti che possono stipulare il contratto di consorzio devono essere
imprenditori;
 gli imprenditori possono anche esercitare attività economiche diverse;
 il consorzio richiede una organizzazione comune per la disciplina o per lo
svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese;
 all’infuori di tali fasi determinate le singole imprese restano indipendenti e
autonome.

l’associato rimane un creditore dell’associante e, come tale, è soggetto al concorso degli
altri creditori di lui;
 allo scioglimento del contratto non consegue uno stadio di liquidazione.
92 A differenza dei patti di concorrenza, in cui le imprese assumono solo obblighi di non facere, con
il consorzio si crea una vera e propria organizzazione unitaria alla quale è rimesso il
coordinamento dell’azione dei singoli partecipanti.
44
Il contratto consortile è un contratto formale - in quanto è richiesta la forma scritta
ad substantiam – associativo plurilaterale, aperto all’adesione di altre parti. Deve
indicare:
 l’oggetto del consorzio;
 la durata;
 la sede;
 le attribuzioni ed i poteri degli organi consortili;
 i diritti, i doveri, le quote dei singoli soci e le condizioni per l’ammissibilità
di nuovi soci;
 le sanzioni per l’inadempimento degli obblighi dei consorziati.
Inoltre, per i consorzi con attività esterna, il codice detta una disciplina speciale,
che integra la disciplina generale fissata dagli artt. 2602-2611. In particolare:
 il contratto deve prevedere l’istituzione di un ufficio destinato a svolgere
attività con i terzi;
 un estratto del contratto medesimo deve essere depositato, per l’iscrizione,
presso l’ufficio del registro delle imprese del luogo ove tale ufficio ha sede;
 i contributi dei consorziati ed i beni con essi acquistati costituiscono il fondo
consortile, che rappresenta il patrimonio del consorzio: tale patrimonio è
autonomo;
 coloro cui è affidata la direzione del consorzio hanno l’obbligo di redigere
annualmente e depositare una situazione consortile patrimoniale;
 il consorzio può essere convenuto in giudizio nella persona di coloro ai
quali il contratto attribuisce la presidenza o la direzione.
Dal consorzio si esce per recesso o per esclusione: in tali casi la quota di
partecipazione del consorziato receduto od escluso si accresce proporzionalmente
a quella degli altri. Quanto all’organizzazione, il codice non prevede la necessaria
istituzione di una assemblea consortile né l’esistenza di un consiglio di
amministrazione o di un collegio sindacale; non può mancare, invece, un ufficio
comune, sia esso di gestione o di controllo.
Occorre infine accennare:
 alle società consortili, definite dell’art. 2615ter come le società che hanno
come oggetto sociale gli scopi indicati nell’art. 2602;
 alle associazioni temporanee d’imprese che costituiscono forme di
cooperazione temporanea ed occasionale fra più imprese alle quali si ricorre
per realizzare congiuntamente opere di rilevanti dimensioni o affari
complessi;
 al Gruppo Europeo di Interesse Economico, istituito con regolamento
comunitario n. 2137/85, quale organismo associativo comunitario
finalizzato a consentire agli imprenditori europei lo svolgimento di
iniziative economiche comuni, la realizzazione di proficui rapporti di
cooperazione interaziendale, nonché la partecipazione congiunta a gare di
appalto per la realizzazione di opere pubbliche o private. L’istituto non si
pone nell’area dei contratti di società, bensì nella categoria dei contratti di
collaborazione.
45
LE SOCIETÀ
LE SOCIETÀ IN GENERALE
Secondo l'art. 2247 "con il contratto di società due o più persone conferiscono beni o
servizi per l'esercizio in comune di una attività economica allo scopo di dividerne gli
utili". Tale definizione della società come contratto, tuttavia, non è più idonea a
ricomprendere l’intero fenomeno societario, giacché non tiene conto delle
fattispecie delle società costituite ad opera di un singolo soggetto93.
Da una prima analisi del testo dell’art. 2247 si può individuare un nucleo
essenziale di elementi, e cioè i soggetti e i conferimenti per la costituzione del fondo
sociale, l’oggetto sociale e la causa, e alcuni elementi peculiari a volte tra loro
combinati, che servono ad identificare e a connotare i vari tipi di società che
rappresentano:
 specificazioni–variabili degli elementi costanti (diverso regime del fondo
comune che nelle società per azioni assume il nome di capitale sociale con
una sua peculiare disciplina);
 o novità indotte dal tipo prescelto (la disciplina del bilancio nelle società per
azioni).
I soggetti
Come abbiamo già avuto modo di accennare, deve precisarsi che la pluralità di
soggetti non costituisce più la condicio sine qua non per la costituzione della società,
dal momento che è possibile la costituzione per atto unilaterale sia pure per la sola
società a responsabilità limitata. Deve notarsi che quando la società si costituisce
per atto scritto, occorre sempre che i contraenti siano individuati col nome e
cognome, il luogo e la data di nascita, il domicilio e la cittadinanza. In linea
generale possono sottoscrivere il contratto di società sia le persone fisiche, sia le
persone giuridiche, sia gli enti non riconosciuti. Particolari norme sono stabilite
per le società personali commerciali in relazione alla continuazione della società
da parte degli incapaci. Mentre nessuna limitazione di rilievo sussiste con
riguardo alla partecipazione dei soggetti appena menzionati alle società di capitali
e alle società mutualistiche, dottrina e giurisprudenza sono schierate su due fronti
opposti nel rispondere al quesito se possano divenire soci di società di persone le
società di capitali, mentre la partecipazione di società personali non suscita
contrasti94.
Infatti, il D.Lgs. n. 88/93 ha espressamente previsto la costituzione di società a responsabilità
limitata con unico socio.
94 È meglio analizzare più approfonditamente le ipotesi prospettabili:
Al quesito se possano divenire soci di società di persone, segnatamente di società in nome
collettivo e in accomandita semplice, altre società di capitali, risponde positivamente la dottrina
prevalente e una parte minoritaria della giurisprudenza di merito, mentre la soluzione negativa è
difesa dalla giurisprudenza della Cassazione e dalla maggioranza dei tribunali e delle corti di
appello. A chi fa leva essenzialmente sul fatto che la stipulazione del contratto di società personale
avviene sulla base del c.d. intuitus personae che sarebbe configurabile solo tra persone fisiche,
essendo fondato sulla conoscenza personale e sulla fiducia nell’onestà e nella capacità dei soci tra
di loro, si è obiettato, da un lato, che l’intuitus personae non è mai stato considerato un elemento
indefettibile delle società personali, riguardando in ogni caso l’interesse delle parti, e, dall’altro,
che, anche ammessa l’essenzialità di tale elemento, non si vede perché esso non possa sussistere
93
46
I conferimenti
La norma di cui all’art. 2247, oltre a presupporre i soggetti ha la funzione di
illustrare le peculiarità del contratto sociale. E la più importante va individuata nel
conferimento di beni e servizi, dal momento che non esiste società senza
conferimenti, né può darsi socio senza obbligo di conferimento. Con la stipulazione
del contratto di società ciascun contraente si obbliga a contribuire alla formazione di un
fondo sociale mediante una prestazione di dare o di fare, nel che appunto consiste il
conferimento. Esso costituisce, dal punto di vista più tecnico, l’unico obbligo
gravante su chi intenda divenire socio di una società, di qualunque tipo essa sia.
Importante è il discorso sulle specie dei conferimenti, in relazione alle quali tre
sembrano essere le distinzioni più importanti:
 con riguardo all’oggetto della prestazione, in conferimenti aventi ad
oggetto una prestazione di dare e conferimenti aventi ad oggetto una
prestazione di fare, possibili soltanto nelle società personali;
 con riguardo alla fonte, potremo distinguere i tipi di conferimenti
espressamente previsti dalla legge (denaro, beni in natura, di crediti, e di
anche tra persone fisiche e persone giuridiche; a chi fa leva sul diverso regime della responsabilità
fra società di capitali e società di persone con la conseguente incompatibilità con la posizione di
socio a responsabilità illimitata della società di capitali, si è obiettato, da un lato, che anche le
società personificate per effetto della partecipazione rispondono senza limiti e in solido con tutto il
patrimonio al pari delle persone fisiche e, dall’altro, che si è trascurato di considerare che anche per
la società semplice con effetto interno ed esterno e per le società in nome collettivo con effetto solo
interno, la legge consente ai soci di limitare la propria responsabilità.
Meno rilevante del problema precedente è quello della partecipazione di una società in nome
collettivo ad un’altra società in nome collettivo o in accomandita semplice. Al quesito si dà una
quasi unanime risposta positiva, argomentando dall’intuitus personae che in questo caso non
mancherebbe e dividendo l’ipotesi principale in due sotto–ipotesi: quella della costituzione di una
società personale cui partecipino accanto a soci e persone fisiche una o più società personali, in
ordine alla quale è possibile parlare di società partecipante e di società madre ed è quindi possibile
porsi gli interrogativi relativi alla sostanziale mancanza dell’intuitus personae per la mutevolezza
del corpo sociale della società partecipante; e quella della costituzione di una società personale tra
le società personali, in ordine alla quale i problemi appena esposti non sono neanche prospettabili,
perché i soci passano in secondo piano ed assumono un rilievo peculiare solo nel caso in cui, per
effetto del fallimento doppiamente riflesso delle società e delle società socie di questa, essi stessi
falliscono in estensione dell’art. 147 della legge fallimentare.
Nessun problema si è mai posto per la partecipazione di società di persone ad una società di
capitali, che è stata sempre considerata ammissibile.
Al quesito se sia ammissibile la partecipazione di società cooperative a società di capitali e a
società di persone ha risposto la legge n. 72 del 1983 (legge Visentini bis) la quale dispone che le
società cooperative e i loro consorzi possono costituire ed essere soci di società per azioni e a
responsabilità limitata.
Al problema della partecipazione di società di capitali a società cooperative si è risposto che se
alcune norme dettate in tema di cooperative prevedono la possibilità che soci siano anche le
persone giuridiche, è anche vero che consentire la partecipazione di società di capitali a società
cooperative significa esporre queste ultime a pericoli di tralignamenti dallo scopo mutualistico.
Prevalentemente dottrinaria è l’ipotesi della partecipazione della comunione legale dei beni ad
una società in nome collettivo. La soluzione positiva, per quanto prevalente, è comunque
condizionata alla preventiva sottrazione delle quote dal patrimonio coniugale attraverso una
modifica pattizia secondo la facoltà concessa dall’art. dal comma primo dell’art. 210 c.c.: l’adozione
di un tipo di società come quella collettiva comporta infatti l’applicazione di una normazione in
materia di amministrazione e di responsabilità verso terzi, incompatibile con quella inderogabile
prevista dal comma terzo dell’art. 210 c.c. per i beni facenti parte del patrimonio coniugale.
47
prestazioni d’opera), e quelli consistenti in entità che dottrina e
giurisprudenza ritengono passibili di essere conferite in società
(partecipazioni ad altre società, in aziende, nel consenso all’ammissione del
proprio nome nella ragione e nella denominazione sociale, nell’emissione di
cambiali all’ordine della società);
 la terza distinzione è quella tra conferimenti di capitale e conferimenti di
non capitale. I primi hanno ad oggetto entità iscrivibili in bilancio, sono
costituiti da beni idonei a garantire i creditori sociali, e quindi suscettibili di
esecuzione forzata. I conferimenti non di capitale, o di patrimonio che dir si
voglia, non hanno, invece, alcuna delle caratteristiche indicate, pur essendo
idonei al raggiungimento dello scopo sociale.
I conferimenti, oltre che strumento tecnico per l’acquisto della qualità di socio,
servono anche alla formazione del fondo sociale. E se diversa, a seconda dei tipi di
società, può essere la situazione giuridica di questo, la sua esistenza è in ogni caso
il presupposto necessario della disciplina legislativa dei vari tipi; e unica è,
comunque, la funzione che il fondo assolve: che è quella di permettere la
formazione di un patrimonio della società indispensabile per lo svolgimento
dell’attività comune. Appare ora opportuno compiere una esegesi dell’art. 2248 e
spiegare le differenze tra comunione e società, che si concretano soprattutto nella
diversità della condizione giuridica del fondo sociale e del patrimonio sociale
costituito con i conferimenti dei soci. L’art. 2248 stabilisce che “la comunione
costituita o mantenuta al solo scopo del godimento di una o più cose è regolata dalle norme
del titolo Settimo del libro terzo”. È da ribadire che c’è comunione, e quindi
comproprietà di beni, quando i soggetti costituiscono il rapporto e lo mantengono
solo per godere dei beni stessi e dei frutti che essi producono e i comunisti
possono ciascuno in modo autonomo dall’altro, esercitare tutte le facoltà spettanti
al proprietario; mentre si ha società quando i beni sociali vengono impiegati,
essendo loro impresso, per effetto della volontà dei soci, uno specifico vincolo di
destinazione che ne consente l’utilizzazione solo per l’esercizio in comune tra i
soci medesimi dell’attività d’impresa, essendone esclusa ogni diversa
destinazione. Il che trova solida base nella disciplina legislativa in tema di società
dalla quale derivano importanti conseguenze:
 nel divieto del socio di servirsi, senza il consenso degli altri soci, delle cose
appartenenti al patrimonio sociale;
 nelle norme contenute negli art. 2272, 2448 e 2539, che, fissando
tassativamente le cause di scioglimento e sottraendo in tal modo l’iniziativa
al singolo socio, rendono evidente la contrapposizione con il regime della
comunione, dove ciascun proprietario può, in qualsiasi momento, chiedere
lo scioglimento della comunione medesima e impediscono che i beni sociali
possano essere ripartiti tra i soci se non quando si siano verificati questi
eventi che la legge stessa predetermina;
 nelle norme contenute negli art. 2289 e 2437, che, disciplinano le modalità di
liquidazione della quota del socio il cui rapporto con la società che si
scioglie;
 nella destinazione esclusiva del patrimonio sociale alla soddisfazione dei
creditori sociali.
48
Nella comunione di godimento tutto questo manca. In ogni caso, quella del
patrimonio sociale è un’autonomia funzionale rispetto alla realizzazione degli
interessi che sono in definitiva quelli dei soci: si è, infatti, pur sempre in presenza
di una forma di utilizzazione, da parte di più persone, della propria ricchezza. La
lettura complessiva degli art. 2247 e 2248 esclude l’ammissibilità di una società di
solo godimento. E non possono considerarsi, di conseguenza, contratti di società
quei contratti che, dietro la declinazione di un oggetto formalmente concretante
l’esercizio di un’attività economica e quindi rispettoso del dettato normativo
dell’art. 2247, danno luogo alla nascita di soggetti, società di comodo, che in realtà
non esercitano alcuna attività economica.
Si è innanzi accennato al fatto che i conferimenti confluiscono nel fondo sociale,
che in alcune società assume la denominazione di capitale sociale, definibile come
il valore in danaro dei conferimenti dei soci, quale risulta dalle valutazioni
compiute nel contratto sociale. Ciò significa che i conferimenti diversi dal denaro
devono essere valutati all’atto del conferimento e convertiti in una espressione
numerica. Dal fondo sociale o dal capitale sociale, va tenuto distinto il patrimonio
sociale, il quale rappresenta il complesso dei rapporti giuridici attivi e passivi
facenti capo alla società ovvero, se si preferisce una definizione più tecnica, il
complesso dei beni effettivamente esistenti, calcolati al netto o al lordo, a seconda
che siano state o no dedotte le passività. Si può accennare fin da ora al problema
dell’autonomia patrimoniale delle società. Si parla di autonomia patrimoniale con
riferimento ai soggetti diversi dalle persone fisiche, per indicare le condizioni dei
rapporti giuridici facenti capo a tali soggetti. Si ha autonomia patrimoniale
perfetta solo nelle persone giuridiche e con riferimento alle società solo quelle di
capitali. Nelle società di persone, invece, si parla di autonomia patrimoniale
imperfetta, ciò desumendosi dalle disposizioni dettate nelle varie sedi: si passa da
un embrione di autonomia patrimoniale nella società semplice, dove i creditori
particolari dei soci possono addirittura chiedere la liquidazione della quota sociale
di pertinenza del socio debitore, a quella più accentuata della società in nome
collettivo, dove cioè non può avvenire e dove i creditori sociali non possono
aggredire il patrimonio dei singoli soci se non dopo avere infruttuosamente
esperito le azioni giudiziarie contro il patrimonio della società.
L’esercizio comune dell’attività economica
L’esercizio comune dell’attività economica rappresenta lo scopo – mezzo
attraverso il quale le parti si propongono di raggiungere la finalità ultima della
realizzazione dell’utilità. L’attività economica si concretizza di volta in volta nella
scelta di un particolare ramo merceologico di attività che costituisce l’oggetto
sociale: elemento la cui espressa indicazione nel contratto sociale il legislatore
impone per tutti i tipi di società e che, oltre a dover consistere necessariamente in
un’attività economica, deve possedere i requisiti richiesti dall’art. 1346 per ogni
tipo di contratto, e cioè la liceità, possibilità, determinatezza o determinabilità. Ed è con
riferimento a questo requisito che va ribadita la mancata rispondenza alle
prescrizioni normative di quei contratti di società che enunciano l’oggetto sociale
in modo tale da non consentire una effettiva individuazione, oggetto generico, o
contengono l’indicazione di più attività merceologicamente distinte e neanche
complementari tra di loro, oggetto plurimo. La concreta individuazione
dell’oggetto sociale è comunque importante da più punti di vista:
49

consistendo in una attività economica, consente di distinguere la società
dalla comunione di godimento;
 consistendo in un’attività economica professionalmente esercitata consente
di affermare che quella della società, se effettivamente esercitata, è sempre
una attività di impresa;
 infine, permette, soprattutto a terzi, di individuare i limiti ai poteri degli
amministratori.
Appare poi importante sottolineare che in alcuni casi la legge esige in modo
espresso e tassativo l’esclusività dell’oggetto sociale: nel senso che predetermina
normativamente l’oggetto stesso e vieta che la società possa svolgere altre attività
(si pensi alle società di intermediazione mobiliare, attività di intermediazione
finanziaria). Ed è forse il caso di includere in questa categoria anche quelle società
per le quali, pur non essendo prescritta espressamente l’esclusività dell’oggetto
sociale, questa si desume dalla circostanza che la normazione speciale che le
disciplina individua con puntualità e precisione l’oggetto stesso (società esercenti
l’attività bancaria o assicurativa, le società fiduciarie).
Il conseguimento dello scopo istituzionale
Il quarto elemento rilevante per l’analisi dell’art. 2247 è quello causale. Il
conseguimento di un utile per distribuirlo ai soci, scopo lucrativo, ovvero la
pratica della gestione di servizio e l’offerta ai soci di beni od occasioni di lavoro a
condizioni più vantaggiose di quelle che i soci incontrerebbero sul mercato, scopo
mutualistico, ovvero la istituzione di un’organizzazione comune per lo
svolgimento o per la disciplina di fasi delle imprese dei soci, scopo consortile,
possono caratterizzare, ovviamente in via alternativa, il contratto di società del
quale costituiscono la causa e quindi elemento marcante ed essenziale.
Il contratto di società è inoltre: oneroso, consensuale, sinallagmatico, plurilaterale e con
comunione di scopo in cui l’avvenimento che soddisfa l’interesse di tutti i contraenti
è unico e le prestazioni dei contraenti possono essere del più diverso valore e di
contenuto più vario possibile.
SOCIETÀ DI PERSONE E SOCIETÀ DI CAPITALI
La prima importante distinzione all’interno della generale categoria delle società,
riguarda le società di persone – cui vanno ricondotte le società semplici, le società in
accomandita semplice e le società in nome collettivo – e le società di capitali
comprendenti le società per azioni, le società in accomandita per azioni e le società a
responsabilità limitata. È bene cominciare col sottolineare che le società di persone
sono organizzate in funzione dell’uomo–socio, il quale viene preso in
considerazione per le sue qualità personali o professionali, o ancora per la sua
situazione patrimoniale; le società di capitali sono invece organizzate in funzione
dei capitali conferiti dal socio, nel senso che in esse il socio non viene in
considerazione solo in quanto persona, ma anche in ragione della quota di capitale
sottoscritta, anche se la realtà del mondo societario insegna quanto sia importante
oggi, anche in questi tipi di società, conoscere non solo l’entità del conferimento,
ma anche chi conferisce. Sulla base di questa differenza possono indicarsi quali
principali caratteri distintivi:
50




il diverso regime di responsabilità dei soci per le obbligazioni sociali
(responsabilità illimitata e limitata);
la diversa misura del potere del socio di incidere con la propria opera sulla
gestione della società95;
mentre nelle società di capitali esiste una organizzazione interna, nella società
di persone non esiste una vera e propria organizzazione interna, perché i
poteri di gestione e deliberazione risiedono entrambi nei soci – amministratori;
il diverso regime di circolazione delle partecipazioni sociali96.
LE SOCIETÀ DI PERSONE
SOCIETÀ SEMPLICE
Secondo la comune opinione è semplice, nel sistema del codice, la società che non
presenta elementi di identificazione ulteriori rispetto a quelli contenuti nella norma che
definisce la società come contratto, e cioè l’art. 2247. La caratteristica fondamentale
della società semplice è data dal fatto che essa può avere per oggetto
esclusivamente l’esercizio di attività economiche lucrative non commerciali. La
sfera di applicazione delle società semplici si estende pertanto alle:
 attività agricole: l’ambito di applicazione di tale tipo di società per l’esercizio di
attività agricola risulta marcatamente ridotto, ove si tenga conto, da un lato,
che, già prima della loro scomparsa, le due forme più importanti di contratti a
struttura associativa per l’esercizio dell’attività agricola erano, per espressa
previsione di legge, sottratti alla disciplina della società semplice e sottoposti o
agli usi o ad una apposita regolamentazione; e dall’altro che, non potendo la
società come tale avere ad oggetto il mero godimento di beni, ne risultano
escluse le fattispecie in pratica più ricorrenti, come quella dei condomini di un
fondo rustico che concedono in affitto i beni di cui sono proprietari. L’ipotesi
che più di frequente si verifica nella pratica è quella dei coeredi i quali
continuano l’esercizio dell’impresa agricola del loro dante causa97;
Infatti, mentre nelle società di persone il socio è naturale amministratore della società e ciò
avviene perché egli rischia nell’impresa anche il patrimonio personale, nelle società di capitali il
potere di amministrazione è svincolato dalla qualità di socio ed è esercitabile dal socio solo
indirettamente, nel senso che egli potrà contribuire, attraverso l’esercizio del diritto di voto, alla
scelta degli amministratori.
96 Mentre nelle società di capitali le regole che presiedono sia alla circolazione inter vivos dei beni
sia al trasferimento mortis causa non subiscono deroga alcuna, nel senso che i titoli documentali
della partecipazione sono liberamente trasferibili e si trasmettono agli eredi secondo le regole del
diritto successorio, nella società di persone, costituendo il trasferimento della quota una
modificazione dell’atto costitutivo, la regola generale dei contratti riprende vigore e viene
addirittura inserita una deroga al diritto successorio: ed infatti, il trasferimento della
partecipazione per atto tra vivi può avvenire solo con il consenso di tutti i soci, mentre per il
trasferimento a causa di morte, la regola è che, salvo patto contrario, la partecipazione non si
trasmette agli eredi, che hanno solo il diritto alla liquidazione della quota ( leggere art. 2284 ).
97 Più sinteticamente, le limitazioni all’esercizio di una attività agricola riguardano:
 l’impossibilità di avere ad oggetto il mero godimento di beni;
 le comunioni tacite familiari sono regolate dagli usi e non da contratto di società;
 i contratti a struttura associativa per l’esercizio delle imprese agricole (mezzadria, colonia)
sono regolati da norme particolari.
95
51

società di revisione: sono regolate, in maniera abbastanza sommaria, dalla legge
n. 1966 del 1939, la quale non detta una disciplina differenziata a seconda che
la società eserciti una vera e propria attività di revisione ovvero un’attività
fiduciaria. Solo nel 1975 il legislatore è tornato sull’argomento demandando
alle società di revisione il compito di sottoporre a controllo contabile e alla
certificazione del bilancio le società con azioni quotate in borsa, nonché le
società aventi particolari oggetti sociali. Ai sensi dell’art. 8 del decreto 136 del
1975, nell’Albo speciale delle società di revisione “possono essere iscritte le
società autorizzate ai sensi della legge 1966 del 1939 che rispondano a seguenti
requisiti: ( … ) per le società semplici devono osservarsi le modalità di
pubblicità previste nell’art. 2296 del codice civile”;
 attività professionali in forma associata: oggi sono ammissibili grazie alla
recentissima legge Bersani che ha abolito la legge 1815 del 1939;
Per quanto riguarda le attività che venivano considerate civili, è stato rilevato che il
genere delle imprese agrarie non si identifica integralmente con quello delle
imprese non commerciali: vi sono delle imprese che non sono agrarie, né
commerciali che una parte della dottrina ha voluto classificare civili e che possono
formare oggetto di società semplice (attività di vigilanza notturna). Deve
aggiungersi che uno dei punti più controversi è quello che concerne le società di
mero godimento che nel linguaggio comune vengono definite società per
l’acquisto e l’amminis-trazione di immobili. Non mancano ulteriori ipotesi
discusse come possibili attività delle società semplici, sia pure non omogenee
rispetto alle precedenti: così il sostenere che oggetto della società semplice può
essere una piccola impresa sempre che non sia costituita secondo uno dei tipi
consentiti per l’esercizio in comune di una impresa commerciale ovvero includere
tra le possibili attività oggetto della società semplice quella artigianale significa
confondere i piani, dimenticando che piccola impresa non è l’equivalente di
attività non commerciale e che anche il piccolo imprenditore può svolgere
un’attività commerciale. Ne deriva che una simile attività – attività commerciale –
non può essere esercitata dalla società semplice, che è il tipo sociale proprio delle
attività non commerciali.
Costituzione della società semplice
La costituzione della società semplice è caratterizzata dalla massima semplicità
formale e sostanziale, essendosi il legislatore limitato a stabilire nell’art. 2251 che
“il contratto non è soggetto a forme speciali, salve quelle richieste dalla natura dei beni
conferiti”. La forma scritta è indispensabile solo quando vengano conferiti dai soci
in proprietà o in godimento ultranovennale beni immobili o altri diritti reali
immobiliari, discutendosi, peraltro, se a rivestire la forma scritta debba essere
l’intero contratto di società (il quale, mancando questa sarebbe totalmente
invalido), ovvero solo il negozio di conferimento, di maniera che la sanzione per
l’inosservanza della prescrizione formale colpirebbe il solo vincolo del
conferente98. La semplicità sostanziale e l’assenza di prescrizioni analitiche in
ordine al contenuto dell’atto costitutivo inducono ad affermare la sufficienza dei
Sempre che la partecipazione di quest’ultimo alla società non debba considerarsi essenziale,
comunicandosi in questo caso l’invalidità all’intero contratto.
98
52
requisiti generalmente stabiliti per ogni tipo di contratto (soggetti, oggetto e causa)
con le seguenti specificazioni:
 i soggetti devono essere almeno due ed i problemi a questo proposito sono
essenzialmente:
o se sia applicabile anche alla società semplice la norma dell’art. 2294
che disciplina la partecipazione degli incapaci alle società in nome
collettivo99;
o se possano divenire socie di società semplici, e in genere di società
personali, altre società di capitali e di persone;
 l’oggetto deve presentare i requisiti richiesti dall’art. 1346 (possibilità,
liceità, determinatezza e determinabilità);
 la causa non presenta nessun problema particolare.
Completa l’elenco degli elementi essenziali il fondo sociale, che è lo strumento di
attivazione dell’oggetto sociale. Proprio in sede di disciplina della società semplice
si trova la norma dell’art. 2253, il cui secondo comma stabilisce che “se i
conferimenti non sono determinati, si presume che i soci siano obbligati a conferire, in
parti eguali tra di loro, quanto è necessario per il conseguimento dell’oggetto sociale”.
La pubblicità
All’art. 8 della legge n. 580 del 1993 si stabilisce che “sono iscritti in sezioni speciali
del registro delle imprese le società semplici” ed aggiunge, al quinto comma, che “l’iscrizione nelle sezioni speciali ha funzione di certificazione anagrafica e di pubblicità notizia,
oltre agli effetti previsti dalle leggi speciali”; e tale disposizione è confermata nell’art. 7
del d.p.r. del 1995 n. 581. Orbene, se è vero che nelle società personali la pubblicità
non incide sulla validità del contratto né sull’esistenza del soggetto e se è vero che
per la società semplice, atteso il tenore delle disposizioni ora richiamate, la
mancata iscrizione nel registro delle imprese non determina quella situazione di
irregolarità che invece provoca sia nelle società in nome collettivo che nelle società
in accomandita semplice, è anche vero che neanche si può continuare a ritenere
che le nuove disposizioni abbiano lasciato invariata la situazione precedente:
anche se la pubblicità notizia, pur costituendo un obbligo, ha una funzione
puramente informativa a differenza della pubblicità dichiarativa (rende
opponibile a terzi determinate situazioni), questo non significa che la pubblicità
che si attua mediante l’iscrizione nell’albo speciale del registro delle imprese non
possa costituire un mezzo di trasmissione di notizie, soprattutto quando è la legge
a disporre che queste debbano essere portate a conoscenza dei terzi. Ed infatti uno
dei problemi maggiori della società semplice è stato sempre quello di trovare gli
opportuni e più efficaci canali per consentire la veicolazione di tali informazioni. E
non c’è dubbio che tra i “mezzi idonei” richiamati dagli articoli 2266 e 2267, può
essere utilmente inclusa anche l’iscrizione nel registro delle imprese di tutte quelle
notizie che devono essere portate a conoscenza dei terzi: tanto più che, ex art. 19
del d.p.r. del 1995 n. 581, “gli amministratori della società semplice devono richiedere
Il dibattito si è svolto tra chi, ravvisando la ratio dell’art. 2294 nella esigenza di sottrarre
l’incapace ai rischi della responsabilità illimitata ritiene la norma applicabile anche all’incapace che
voglia diventare socio di una società semplice e chi, al contrario, esclude l’applicabilità di esse
all’imprenditore collettivo non commerciale che è la società semplice e quindi a chi voglia in questa
entrare come socio.
99
53
l’iscrizione della modificazione del contratto sociale entro trenta giorni dalle
modificazioni”.
L’organizzazione interna e la gestione
La disciplina positiva contiene a tal riguardo due sole norme: gli articoli 2257 e
2258, che regolano i sistemi di amministrazione adottabili nelle società personali.
Non esistono organi sociali in senso proprio, ai quali, come accade nelle società di
capitali, sia istituzionalmente attribuita dalla legge una sfera di competenze, ma
esistono solo i soci ai quali la legge stessa attribuisce naturalmente il potere di
decidere amministrando100. I modi di amministrare le società personali, previsti
dall’ordinamento sono due: l’amministrazione disgiuntiva e l’amministrazione
congiuntiva.
Amministrazione disgiuntiva
È regolata dall’art. 2257, il quale consta di tre commi e dispone che “salvo diversa
pattuizione, l’amministrazione della società spetta a ciascun socio disgiuntamente
dall’altro. – Se l’amministrazione spetta disgiuntamente a più soci, ciascun socio
amministratore ha diritto ad opporsi all’operazione che una altro voglia compiere, prima
che sia compiuta. – La maggioranza dei soci, determinata secondo la parte attribuita a
ciascun socio negli utili, decide sull’opposizione”. Il concreto esercizio del potere di
direzione spetta a ciascun socio, il quale è legittimato ad intraprendere da solo in
nome della società tutte le operazioni che ritenga utili all’interesse della società
senza necessità di informare preventivamente gli altri soci e di portarle a termine,
a meno che il compimento dell’operazione non sia paralizzato dall’esercizio del
diritto di opposizione. Il terzo comma demanda alla maggioranza dei soci,
computata per quote di interessi, il potere di decidere sull’opposizione avanzata
dal socio, sempre che permanga l’attualità del conflitto, nel senso che una
eventuale rinuncia all’opposizione impedisce alla maggioranza di pronunciarsi e
consente la ripresa dell’operazione interrotta.
Amministrazione congiuntiva
È regolata dall’art. 2258, il quale consta anch’esso di tre commi e dispone che “se
l’amministrazione spetta congiuntamente a più soci, è necessario il consenso di
tutti i soci amministratori per il compimento delle operazioni sociali. – Se è
convenuto che per l’amministrazione o per determinati atti sia necessario il
consenso della maggioranza, questa si determina a norma di quest’ultimo comma
dell’art. precedente. – Nei casi preveduti da questo articolo, i singoli
Questa conclusione viene contestata da una parte minoritaria della dottrina: e cioè sia da chi
postula una vera e propria scissione tra potere deliberativo e potere amministrativo e quindi
l’esistenza di una vera e propria assemblea di soci, sia da quegli autori, i quali, non sentendosela di
arrivare a questa conclusione, postulano la possibilità di una collegialità pattizia, nel senso che il
contratto potrebbe prevedere l’esistenza di un’assemblea e di un consiglio di amministrazione con
conseguente adozione del metodo maggioritario e dell’osservanza delle regole relative alla
convocazione dell’assemblea e all’ordine del giorno. Senza volere approfondire il discorso, basterà
osservare che, da un lato, non si rinvengono norme che suffraghino l’esistenza di
un’organizzazione interna articolata sulla falsariga di quella della società per azione e che, per
quanto più in particolare riguarda la collegialità pattizia, la tesi relativa è postulabile solo con
riguardo alle società costituite per atto scritto. In realtà, il legislatore ha fatto dei soci i naturali
amministratori della società anche per bilanciare la loro responsabilità illimitata nei confronti dei
terzi e ha dettato un’embrionale disciplina del funzionamento del sistema delineato.
100
54
amministratori non possono compiere da soli alcun atto, salvo che vi sia urgenza
di evitare un danno alla società”. L’introduzione di tale sistema deve essere
espressamente convenuta all’atto della stipulazione del contratto con il consenso
di tutti i soci. Anche nell’amministrazione congiuntiva è possibile prevedere che le
decisioni vengano adottate non secondo la regola dell’unanimità, ma secondo la
regola pattizia della maggioranza, la quale viene anche in questo caso calcolata per
quote di interessi.
Gli schemi adottabili per l’amministrazione
Qualunque dei due modi di amministrare si scelga, due sono gli schemi che
all’interno di ciascuno di essi possono darsi:
 Quello in cui tutti i soci, disgiuntamente o congiuntamente, siano amministratori. Per
avere questo tipo di amministrazione o non dovrà stabilirsi alcunché nel
contratto sociale – nel caso dell’amministrazione disgiuntiva affidata a tutti i
soci – o si dovrà compiere nel contratto un’opzione secca a favore del sistema
di amministrazione congiuntiva;
 Quello in cui, invece, l’amministrazione sia affidata solo ad alcuni soci, avendovi gli
altri espressamente rinunciato. In questo caso, occorrerà indicare nel caso di
amministrazione
disgiuntiva,
solo
i nomi
dei
soci
incaricati
dell’amministrazione e, in ipotesi di amministrazione congiuntiva, sia il
sistema di amministrazione scelto e sia i soci amministratori.
In alternativa a questi schemi, una parte della dottrina ritiene possibile, data
l’assenza di norme che espressamente lo vietino, l’affidamento dell’amministrazione a non soci (amministratori estranei). In realtà, la soluzione positiva o
negativa del problema è chiaramente influenzata dall’opinione che si ha in tema di
fonte del rapporto di amministrazione: per chi ritiene che la qualità di
amministratore non sia un connotato naturale della qualità di socio di società
personale e che la fonte del rapporto di amministrazione sia diversa da quella del
rapporto di società, essendo l’amministratore un mandatario, appare conseguente
sposare la soluzione dell’ammissibilità di amministratori estranei; così come è
naturale abbracciare la soluzione negativa per chi ritiene che il socio possa sì
rinunciare al suo diritto di amministrare, ma solo a favore di altri soci. Qualunque
soluzione si accetti devono essere mantenuti fermi alcuni punti: l’affidamento
dell’amministrazione ad estranei non fa venire meno la responsabilità illimitata
dei soci; una volta ammessi gli amministratori estranei, questi sono investiti del
potere di compiere, entro i limiti stabiliti dall’art. 2266, ogni operazione per la
società e i soci non potrebbero interferire né opporsi alle loro operazioni, se non
nella forma estrema della revoca.
Fonte del rapporto di amministrazione
Il rapporto di amministrazione non viene disciplinato allo stesso modo per tutti i
tipi di società, anche se, in primo luogo, identica è per l’investito la funzione
amministrativa e, in secondo luogo, chiara è la distinzione dell’amministrazione
dalla rappresentanza, attenendo l’amministrazione alla direzione degli affari
sociali nell’ambito della competenza risultante dalla legge o dal contratto e la
rappresentanza alla legittimazione sostanziale e processuale ad impegnare il nome
della società nei confronti dei terzi. Le fonti del rapporto di amministrazione
possono essere la legge e, quando a questa si deroghi, il contratto sociale ovvero
55
ancora un atto separato. In questi ultimi due casi è necessario il consenso unanime
di tutti i soci. In assenza di norma esplicita che contempli il caso, viene risolto
negativamente il problema dell’ammissibilità o meno della nomina di un
amministratore giudiziario che prenda il posto dell’amministratore revocato dalla
stessa autorità giudiziaria ai sensi dell’art. 2259 ovvero nelle ipotesi di discordia
tra i soci. La legge stabilisce all’art. 2260 che “i diritti e gli obblighi degli
amministratori sono regolati dalle norme sul mandato”.
I diritti
Fatto salvo il diritto di amministrare sancito all’art. 2257, l’unica questione resta
quella del diritto al compenso: ad una sostanziale concordia di opinioni esistenti
nella giurisprudenza, la quale ritiene che, in mancanza di regole contrattuali sulla
ripartizione degli utili, al socio amministratore spetta un compenso, in forza della
presunzione di onerosità del mandato contenuta nell’art. 1709, fa riscontro una
variegazione di orientamenti della dottrina divisa tra:
 chi nega il diritto dell’amministratore al compenso in mancanza di espressa
pattuizione in tal senso;
 chi fa dipendere la soluzione della questione da quella data al problema
della natura del rapporto di amministrazione101;
Gli obblighi
L’articolo 2260 comma due stabilisce che “gli amministratori sono solidalmente
responsabili verso la società per l’adempimento degli obblighi ad essi imposti dalla legge e
dal contratto sociale”. Altri obblighi sono:
 fornire il rendiconto ai soci non amministratori in forza dell’art. 2261;
 fornire ai soci non amministratori notizia dello svolgimento degli affari
sociali e di consentire la consultazione dei documenti relativi all’amministrazione, sempre ai soci non amministratori;
 ottemperare agli obblighi di iscrizione della società nell’Albo speciale del
registro delle imprese;
 tenere le scritture contabili imposte dalle dichiarazione di legge.
I poteri
L’art. 2266 comma primo, dispone che “la società acquista diritti e assume obbligazioni
per mezzo dei soci che ne hanno la rappresentanza e sta in giudizio nella persona dei
medesimi”. L’art. 2266 sta a significare che nei rapporti esterni, pur non avendo la
personalità giuridica, la società semplice, e in generale tutte le società di persone,
si presentano come un gruppo unitario, portatore di una propria volontà e titolare
di un proprio patrimonio, capace come tale di acquistare diritti, di assumere
obblighi e di stare in giudizio. Da questa norma si ricavano i punti di riferimento
sulla base dei quali i terzi possono determinare il loro orientamento e la loro
condotta verso la società:
 la distinzione tra rappresentanza sostanziale e processuale;
 la possibilità di indicare quali tra i soggetti amministratori abbiano la
rappresentanza;
nel senso che, ove si ritenga che l’amministratore presti la sua opera in forza dello stesso
rapporto sociale, la negazione del suo diritto al compenso appare la più naturale, mentre soluzione
opposta dovrebbe adottarsi nel caso in cui rapporto di società e rapporto di amministrazione siano
considerati distinti, trovando il secondo fonte in un mandato presunto oneroso.
101
56

l’individuazione dell’oggetto sociale come limite ai poteri degli
amministratori;
 la possibilità di determinare il contenuto dei poteri rappresentativi come
risulta dall’espressione di esordio (“in mancanza di diversa disposizione
del contratto”) dell’art. 2266, comma secondo.
In relazione a questo ultimo punto, appare opportuno distinguere le ipotesi
possibili:
 con riguardo ai soggetti investiti del potere rappresentativo (se il contratto nulla
dispone in ordine alla rappresentanza, questa spetta a ciascun socio
amministratore; se il contratto contiene disposizioni esplicite in ordine alla
rappresentanza, l’unico problema aperto riguarda la possibilità di attribuire
la rappresentanza ad estranei);
 con riguardo ai contenuti della rappresentanza (in mancanza di diversa
pattuizione il rappresentante può compiere tutti gli atti che rientrano
nell’oggetto sociale; se il contratto detta delle limitazioni queste non sono
opponibili se non sono state portate a conoscenza di terzi con mezzi idonei).
Per vincolare quindi la società, l’amministratore – rappresentante deve spendere
necessariamente il nome della società e deve aver compiuto un atto, lecito o illecito
che sia, che rientri nell’oggetto sociale. In linea di massima i principi esposti per la
rappresentanza negoziale, valgono anche per la rappresentanza processuale; e
prima di tutto il principio per cui se nel contratto sociale esistono specifiche
disposizioni in ordine alla rappresentanza negoziale, queste, e non la disposizione
dell’art. 2266, si estendono alla rappresentanza processuale.
La responsabilità degli amministratori e controllo degli altri soci
L’art. 2260 dispone che “gli amministratori sono solidalmente responsabili verso la
società per l’adempimento degli obblighi ad essi imposti dalla legge e dal contratto sociale.
Tuttavia, la responsabilità non si estende a quelli che dimostrino di essere esenti da colpa”.
I principi che da questa norma si ricavano sono tre:
 la responsabilità degli amministratori si atteggia nei confronti della società e
non dei singoli soci;
 la solidarietà fra gli amministratori opera oltre che in regime di
amministrazione congiuntiva, come sarebbe naturale, anche in regime di
amministrazione disgiuntiva;
 ciascun amministratore può esimersi da responsabilità dimostrando di essere
immune da colpa.
La responsabilità si estende anche agli amministratori di fatto: a quegli
amministratori che hanno in realtà svolto le relative funzioni. Problemi sorgono, in
conseguenza del silenzio dell’art. 2260, sul modo in cui far valere la responsabilità.
Si può dire che:
 la legittimazione ad esperire l’azione spetta alla società o al curatore
fallimentare e non ai singoli soci;
 l’azione tende ad ottenere la reintegrazione del patrimonio sociale
depauperato dal comportamento illegittimo degli amministratori attraverso
la condanna di questi ultimi al risarcimento del danno.
L’art. 2261 attribuisce ai soci che non partecipano all’amministrazione ed in
coerenza con la circostanza che anche i soci non amministratori continuano a
57
rispondere delle obbligazioni sociali, una serie di poteri di controllo sull’amministrazione della società, e precisamente:
 il diritto di ottenere dagli amministratori notizia dello svolgimento degli affari
sociali;
 il diritto di consultare i documenti relativi all’amministrazione;
 il diritto a ricevere il rendiconto quando gli affari per cui fu costituita la società
sono stati compiuti ovvero, se la durata della società è ultrannale, al termine di
ogni anno.
Estinzione del rapporto di amministrazione
Se si eccettua l’ipotesi della revoca (2259), l’estinzione del rapporto di
amministrazione non è regolata in modo organico, analogamente a quanto
avviene per la nomina. I casi di cessazione del rapporto di amministrazione sono:
 L’esclusione del socio amministratore dalla società. Questa è una soluzione
obbligata e coerente solo per chi ritiene la qualità di socio presupposto
naturale e indispensabile per l’esercizio delle funzioni amministrative; per chi
considera il rapporto sociale distinto da quello amministrativo, l’esclusione del
socio amministratore, se motivata da ragioni che riguardano il solo rapporto
sociale, potrebbe consentire al socio escluso il mantenimento della carica di
amministratore: sempre, ovviamente, che si ammettano gli amministratori
estranei.
 La revoca. È l’unica ipotesi di cessazione espressamente regolata dalla legge, e
precisamente dall’art. 2259, il quale stabilisce che “la revoca dell’amministratore
nominato con il contratto sociale non ha effetto se non ricorre una giusta causa. –
L’amministratore nominato con atto separato è revocabile secondo le norme sul
mandato. – La revoca per giusta causa può in ogni caso essere chiesta giudizialmente
da ciascun socio”102.
L’interpretazione plausibile della norma, la quale può essere suddivisa idealmente in due parti –
revoca ad opera della collettività dei soci (primi due commi) e revoca da parte dell’autorità giudiziaria –
consente queste deduzioni:
 per quanto attiene alla revoca da parte della collettività dei soci, essa è possibile solo nei
confronti degli amministratori che siano stati nominati con il contratto sociale o con atto
separato, e non pure nei confronti di quegli amministratori che ripetono il loro potere
unicamente dalla legge; mentre deve registrarsi il permanente divario di opinioni sul
perché del diverso trattamento tra amministratore nominato con il contratto sociale,
revocabile solo se ricorra giusta causa, e amministratore nominato con atto separato,
revocabile secondo le norme sul mandato, deve aggiungersi che per il secondo il rinvio
ricorrente è all’art. 1726, onde la necessità del consenso unanime dei soci, così come questo
è indispensabile per la nomina;
 più impegnativi i problemi sollevati dalla revoca giudiziaria: si ripropone anche in questo
caso il problema relativo all’ambito di applicazione di questo istituto all’amministratore
che non ripeta la propria nomina dal contratto sociale o da un atto separato ed eserciti la
sua funzione in forza dell’art. 2257 e, in secondo luogo, si dibatte sul concetto di giusta
causa. Questa consiste in ogni evento, anche non imputabile all’amministratore, che renda
impossibile il naturale svolgimento del rapporto di gestione. Da un punto di vista
procedimentale, occorre sottolineare che la revoca giudiziale per giusta causa può essere
domandata da ciascun socio solo ove l’azione sia stata deliberata dai soci; che i richiedenti
devono fornire la prova della sussistenza della giusta causa e che il giudizio instaura tra i
soggetti richiedenti e il destinatario della domanda di revoca, senza instaurazione di un
litisconsorzio necessario.
102
58
La qualità di socio
Della qualità di socio, intorno alla cui natura sempre vivace è stato il dibattito
soprattutto dottrinale, si assumerà l’accezione più lata possibile, e cioè come la
posizione di membro della società, produttiva di una serie di interessi, variamente tutelati
dall’ordinamento giuridico nei confronti della società stessa. L’acquisto della qualità di
socio può avvenire:
 per effetto dell’adesione originaria al contratto di società;
 per effetto dell’acquisto inter vivos di una quota di partecipazione103;
 per effetto della successione mortis causa, sempre che esista una clausola di
continuazione della società con gli eredi del socio defunto ovvero l’accoglimento da parte degli eredi medesimi della proposta di subentrare in
società in luogo del de cuius loro rivolta dai soci superstiti.
La soluzione dei problemi relativi all’ammissibilità della costituzione di usufrutto
e pegno sulle quote sociali è strettamente legata alla soluzione del problema del
trasferimento: evolutosi il pensiero di autori e giudici verso l’ammissibilità del
trasferimento, analogo atteggiamento si è avuto in ordine ai diritti reali minori;
ovviamente, anche in tal caso, l’ammissibilità della loro costituzione è subordinata
al consenso di tutti gli altri soci. Resta in ogni caso aperto il problema relativo alla
spettanza dei diritti afferenti alla quota. E se è scontata la permanenza in capo al
socio della qualità di socio nonché la possibilità dell’usufruttuario e del creditore
pignoratizio di opporre il loro diritto oltre che nei confronti del proprietario della
quota anche nei confronti della società, è possibile dividere le altre situazioni
soggettive in tre categorie:
 quelle il cui esercizio spetta sicuramente al socio, nelle quali va incluso il
diritto di recesso;
 quelle il cui esercizio spetta sicuramente all’usufruttuario o al creditore
pignoratizio, nelle quali vanno inclusi il diritto agli utili, il diritto di voto, il
diritto di amministrare;
 quelli che possono essere esercitati e dal socio e dall’usufruttuario, in cui si
fanno rientrare i diritti di controllo spettanti ai soci non amministratori e il
diritto alla quota di liquidazione.
Per quanto concerne gli obblighi, ed in particolare quelli del conferimento, si
adottano soluzioni differenti per il pegno e l’usufrutto: nel primo caso, esso grava
sul socio e nel secondo sull’usufruttuario. A quali misure cautelari la quota sia
assoggettabile è problema che trae origine dalla norma contenuta nell’art. 2270 a
tenore del quale “il creditore particolare del socio, finché dura la società può compiere atti
conservativi sulla quota spettante a quest’ultimo nella liquidazione”. Vi rientrano: il
sequestro conservativo, l’espropriazione e il pignoramento nelle forme del
pignoramento presso terzi.
Gli obblighi del socio vanno distinti in due categorie:
Anche se il principio ispiratore della materia è quello della non libera trasferibilità della quota,
la pratica insegna che la quota viene considerata cedibile, ma l’efficacia della cessione è
subordinata al consenso di tutti gli altri soci, e tale consenso può essere non solo tacito, ma prestato
anche dopo che sia intervenuto tra le parti il contratto di cessione. Così come sono ammissibili
clausole contrattuali in deroga con le quali si sancisca il principio della libera trasferibilità o la
sufficienza del consenso della maggioranza.
103
59

quelli sanciti con sicurezza da una norma e che pertanto non possono essere
posti in discussione (come l’obbligo del conferimento);
 quelli creati dalla dottrina e per ciò opinabili.
All’obbligo del passaggio dei beni nel patrimonio della società, è connessa
l’impossibilità per il socio stesso “di servirsi delle cose appartenenti al patrimonio
sociale per fini estranei a quelli della società”, come stabilisce l’art. 2256. Per quanto
concerne gli obblighi non sanciti da norme di legge, un posto di riguardo merita
l’obbligo di collaborazione, da ricollegarsi ai profili soggettivi dell’esercizio in
comune di una attività economica.
Accanto al diritto di amministrare il socio è titolare di altre situazioni giuridiche
attive che possono essere distinte in due grandi categorie:
 quelle amministrative o sociali o di amministrazione in senso lato, che
possono essere così individuate:
o il diritto di esprimere il proprio parere e il diritto di opporsi,
o il diritto di chiedere giudizialmente la revoca del socio o dei soci
amministratori quando ricorra una giusta causa,
o il diritto di recesso,
o il diritto di opporsi alla propria esclusione,
o i diritti di controllo;
 quelle di carattere patrimoniale o economico che spettano indistintamente a
tutti i soci, amministratori o no, e sono:
o il diritto agli utili,
o il diritto alla liquidazione della quota,
o il diritto alla quota di liquidazione (all’estinzione della società).
Gli utili
Appartenendo la società semplice al novero delle società lucrative, centrale
importanza assumono le regole relative al conseguimento e soprattutto alla
destinazione degli utili. Premesso che per utile deve intendersi quello derivante
dall’attività economica esercitata dalla società e che solo i guadagni effettivamente
così realizzati possono essere destinati alla ripartizione periodica ai soci, occorre
dire che alla materia in discorso sono dedicate quattro norme: gli art. 2262 – 2265.
Tra le quattro, preminente rilievo assume l’art. 2262, perché stabilisce il diritto del
socio di società personale alla divisione periodica degli utili. Se il socio ha diritto
alla ripartizione periodica integrale degli utili prodotti in esercizio è giocoforza
postulare la necessità che ogni “deviazione” da questo schema richieda il consenso
singolo del titolare del diritto e quindi di ogni socio. Si potrà dire che, a tal
proposito, non sono in alcun modo ammissibili perché nulli, sia patti che
stabiliscono devoluzioni dell’utile contrastanti con la causa del contratto sociale sia
patti, diretti o indiretti, con i quali uno o più soci vengono esclusi da ogni
partecipazione agli utili o alle perdite (c.d. divieto del patto leonino, art. 2265). Né
potranno ritenersi ammissibili rinunce preliminari del socio a percepire utili,
quand’anche per destinarli ad altri scopi previamente individuati: il socio potrà
solo rinunciare ad esigere il dividendo spettantegli dopo che sia stato approvato il
rendiconto. Gli art. 2263 e 2264 riguardano più da vicino i criteri per determinare
la partecipazione dei soci ad utili e perdite e da esse si ricavano le regole e i
principi seguenti:
60

come regola generale il principio per cui la disciplina legale ha carattere
suppletivo, in quanto l’applicazione di tale norma è condizionata all’assenza di
pattuizioni contrattuali in tema di ripartizione degli utili e delle perdite;
 come principio legale inderogabile, il divieto del patto leonino sancito all’art.
2265;
 come principio suppletivo, quello per cui solo quando manchino
pattuizioni contrattuali, intervengono le presunzioni poste dall’art. 2263, e
cioè:
o se il valore dei conferimenti è determinato nel contratto, vige il
principio della proporzionalità, nel senso che le parti spettanti ai soci
nei guadagni e nelle perdite si presumono proporzionali ai
conferimenti;
o se manca ogni determinazione contrattuale del valore dei
conferimenti, scatta il principio di eguaglianza;
o presunzione di eguaglianza tra partecipazione ai guadagni e
partecipazione alle perdite, ove il contratto determini solo la parte di
ciascuno nei guadagni;
 come regola in deroga al principio espresso sotto il precedente punto, che la
determinazione della parte di ciascun socio nei guadagni e nelle perdite
può essere rimessa ad un terzo, la cui decisione può essere impugnata ai
sensi dell’art. 1349, salvo che dal socio il quale abbia volontariamente
eseguito la decisione stessa (art. 2264).
Regola a parte è quella contenuta nell’art. 2263 comma due, che, in mancanza di
determinazione contrattuale delle parti, affida alla decisione del giudice secondo
equità la determinazione della parte di utili spettante al socio che ha conferito la
propria opera. E ciò costituisce occasione propizia per trattare della discussa
figura del socio d’opera. La norma non risolve affatto il problema che la figura del
socio d’opera ha suscitato, sempre in bilico tra la posizione di lavoratore
subordinato che trova nella prestazione della sua opera la fonte del su
sostentamento e la posizione di prestatore autonomo di lavoro in quanto
cointeressato alle sorti dell’impresa. È questa incertezza che si riflette nelle
posizioni della dottrina che si è occupata dei criteri che il giudice deve seguire,
dividendosi tra chi ritiene che occorre estendere al socio d’opera i principi propri
del lavoro subordinato prestato nella società rappresenti l’unica fonte di
sostentamento, e chi pensa che il giudice non possa ispirarsi, neppure in via
indicativa, alle retribuzioni stabilite dai contratti collettivi ma debba ricorrere ai
compensi correnti per i lavoratori autonomi. E forse sembra più giusto
l’orientamento di chi tenta una mediazione tra le due posizioni, indicando
parametri di valutazione endogeni. In ogni caso, qualunque delle soluzioni si
accolga, appare opportuno avvertire che in tanto il giudice potrà applicare la
norma in esame, solo in quanto il valore del conferimento del socio d’opera non
sia determinato e lo siano invece quelli dei soci capitalisti.
I rapporti della società con i terzi
La problematica relativa ai rapporti della società con i terzi può essere analizzata
sotto i due punti di vista della rappresentanza e della responsabilità per le
obbligazioni sociali.
61
Problematica relativa alla rappresentanza
L’ipotesi in esame riguarda i soggetti che hanno il potere di spendere il nome della
società e quindi di impegnarla nei confronti di terzi. Si tratta solo di ricordare la
norma dell’art. 2266, la quale dispone che “la società acquista diritti e assume le
obbligazioni per mezzo dei soci che ne hanno la rappresentanza e sta in giudizio nella
persona dei medesimi. – In mancanza di diversa disposizione del contratto, la
rappresentanza spetta a ciascun socio amministratore e si estende a tutti gli atti che
rientrano nell’oggetto sociale. – Le modificazioni e l’estinzione dei poteri di rappresentanza
sono regolate dall’art. 1396”. Efficacemente si è scritto che questa disposizione pone
le condizioni in presenza delle quali un diritto acquistato da un socio o
un’obbligazione da questo assunta può essere qualificato come diritto o come
obbligazione sociale, e quindi come diritto destinato a far parte del patrimonio
sociale. La condizione posta è che il diritto sia stato acquistato e l’obbligazione sia
stata assunta da un socio che abbia la rappresentanza della società. Le situazioni
che sulla base della norma possono in concreto verificarsi con stretto riguardo alla
persona dell’investito sono le seguenti:
 se il contratto sociale nulla dispone in ordine alla rappresentanza, questa spetterà
a ciascun socio amministratore;
 quando il contratto contiene disposizioni esplicite in ordine alla rappresentanza, si
tratterà di valutarne l’ammissibilità soprattutto con riguardo alla persona
dell’investito.
Le situazioni che, sempre in relazione all’art. 2266, possono verificarsi in concreto
con riguardo al contenuto e all’estinzione dei poteri di rappresentanza:
 se il contratto nulla dice, la rappresentanza si estende al compimento di tutti
gli atti che rientrano nell’oggetto sociale;
 se, invece, il contratto detta disposizioni limitatrici del contenuto si tratterà di
stabilirne l’ammissibilità.
Circa l’opponibilità delle modificazioni o dell’estinzione dei poteri rappresentativi,
il problema si pone solo nel caso in cui il contratto detti norme in ordine al potere
rappresentativo: le limitazioni originarie, saranno sempre opponibili ai terzi,
anche se questi non le conoscessero, ed incomberà perciò sui terzi medesimi
l’onere di accertare il potere e il contenuto dei poteri di colui che agisce in nome
della società; per le modificazioni o l’estinzione vige un diverso principio:
incomberà sulla società l’onere di portare a conoscenza dei terzi questi eventi con i
mezzi idonei o di provare che i terzi le conoscessero, pena l’inopponibilità degli
eventi stessi.
Problematica relativa alle obbligazioni sociali
Questa ipotesi coinvolge indirettamente anche il discorso sui rapporti con i
creditori sociali e i creditori particolari del socio. L’art. 2267 costituisce la norma
centrale, disponendo che “i creditori della società possono far valere i loro diritti sul
patrimonio sociale. Per le obbligazioni sociali rispondono inoltre personalmente e
illimitatamente i soci che hanno agito in nome e per conto della società e, salvo patto
contrario, gli altri soci”. I creditori sociali possono far valere le loro pretese innanzi
tutto sul patrimonio sociale, che è destinato principalmente se non esclusivamente
alla soddisfazione delle loro pretese, con esclusione di ogni pretesa dei creditori
particolari dei soci, i quali, oltre a poter far valere i loro diritti sugli utili spettanti
al socio e a poter compiere atti conservativi sulla quota che al socio medesimo
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spetterà nella liquidazione, possono chiedere la liquidazione della quota dei loro
debitori, solo a condizione che gli altri beni di costoro siano insufficienti a
soddisfare le obbligazioni. Gli stessi creditori sociali possono rivolgersi per la
soddisfazione dei loro crediti anche nei confronti dei soci, i quali rispondono
illimitatamente e solidalmente per le obbligazioni sociali (art. 2267). Per la verità,
la legge opera una distinzione tra soci che hanno agito in nome e per conto della
società, soci agenti, e gli altri soci, disponendo per i primi la inderogabilità della
responsabilità illimitata e solidale e per i secondi la derogabilità di tale
disposizione. La responsabilità del socio per le obbligazioni sociali è sussidiaria. Il
creditore sociale ben può aggredire il patrimonio del socio senza aver
preventivamente esperito alcuna azione contro il patrimonio sociale, ma il socio
può paralizzare tale azione, dimostrando che esistono beni sociali sui quali il
creditore può agevolmente soddisfarsi. Due cose sono indiscutibili:
 il patrimonio sociale costituisce la garanzia esclusiva per i creditori sociali e
non subisce, se non limitatissimamente, il concorso dei creditori particolari
dei soci;
 in nessun caso può restare esclusa la responsabilità personale di tutti i soci.
L’art. 2270 detta, a tutela dei creditori particolari, tre regole, concedendogli le
seguenti possibilità:
 far valere i suoi diritti sugli utili spettanti al debitore: questa regola è coerente
con il principio secondo cui, data l’autonomia patrimoniale della società, il
socio non ha diritto alcuno sui beni della società, ma solo sugli utili
realizzati e sulla quota di liquidazione all’atto della cessazione del rapporto
e dello scioglimento della società. Far valere i suoi diritti sugli utili significa
compiere atti conservativi ed esecutivi, ma non equivale a dire che il creditore
possa in qualche modo influire sulla distribuzione e più precisamente sulla
quantificazione degli utili da distribuire;
 compiere atti conservativi sulla quota spettante a quest’ultimo nella liquidazione;
 ottenere la liquidazione della quota del suo debitore “se gli altri beni di questi sono
insufficienti a soddisfare i suoi crediti”.
A salvaguardia del patrimonio sociale, stanno, perciò, nella società semplice, due
importanti regole:
 il creditore particolare, nel richiedere la liquidazione della quota, ha l’onere di
provare che gli altri beni del debitore sono insufficienti a soddisfare i suoi
crediti ed essendo tale disposizione eccezionale, fin quando vi è capienza
nel patrimonio personale del socio, la liquidazione della quota non può
essere chiesta;
 il creditore personale non potrà agire direttamente sui beni della società, ma
potrà ottenere una somma di denaro corrispondente al valore della quota.
Modificazioni soggettive del contratto di società
Per tali si intendono le modificazioni del contratto che riguardano le persone dei
soci. La manifestazione più significativa di tali modificazioni è, accanto al
trasferimento della quota sociale, lo scioglimento del rapporto sociale
limitatamente ad un socio. È opportuno ricordare che il socio può rimanere tale
fino all’estinzione della società, ma può cessare di essere tale anche prima di tale
momento, oltre che per la morte, anche per cause dipendenti dalla sua volontà
63
(recesso) o dipendenti dalla volontà della società (esclusione) ovvero ancora
indipendenti e dall’una e dall’altra (esclusione di diritto).
Morte
La disciplina di questo evento contiene una deroga al regime ordinario delle
successioni mortis causa: gli eredi, infatti, non subentrano di diritto nel rapporto
sociale, atteso che l’art. 2284 pone, come regola ordinaria, l’intrasmissibilità mortis
causa della posizione di socio, disponendo che in caso di morte di uno dei soci,
salvo contraria disposizione del contratto sociale, gli eredi hanno solo diritto a
ricevere la liquidazione della quota del loro dante causa. Dalla morte del socio
possono derivare le seguenti conseguenze:
 se nulla prevede il contratto sociale le strade alternativamente percorribili
sono tre:
o la liquidazione della quota agli eredi del defunto;
o scioglimento della società con deliberazione adottata da tutti i soci;
o invito degli eredi ad entrare nella società, subentrando nella stessa
posizione del socio defunto;
 in relazione alla possibilità che il contratto preveda patti in deroga alla
disciplina legale, si sono ipotizzati vari tipi di clausole limitative del potere
di scelta. Le clausole che hanno interessato maggiormente la dottrina e la
giurisprudenza sono quelle che prevedono la continuazione della società
con gli eredi del socio defunto, che sogliono raggrupparsi in tre categorie
distinte: le clausole di continuazione facoltativa, che obbligano i soci a
continuare la società con gli eredi, i quali hanno, a loro volta, il diritto ma
non l’obbligo di aderire al contratto sociale; le clausole di continuazione
obbligatoria, con le quali si prevede l’obbligo degli eredi di entrare in società;
le clausole di continuazione automatica, in forza delle quali il chiamato
all’eredità consegue, per il solo fatto dell’accettazione dell’eredità, la qualità
di socio.
Recesso
Il recesso è una dichiarazione unilaterale di volontà, con la quale il socio dichiara di voler
sciogliere il rapporto contrattuale che lo lega alla società. Regolato dall’art. 2285, tre
sono i casi in cui esso può essere esercitato:
 quando la società è stata contratta a tempo indeterminato ovvero è stata
commisurata alla vita di uno dei soci;
 quando sussiste una giusta causa;
 nei casi previsti dal contratto sociale.
Nei primi casi si parla di recesso legale, mentre nell’ultimo caso si parla di recesso
convenzionale. Può considerarsi una ipotesi di recesso legale anche il recesso per
giusta causa, in ordine al quale il punto di riferimento privilegiato deve
considerarsi la giurisprudenza, che ha individuato due criteri generali per poter
ritenere giustificato il recesso, e cioè quando esso costituisca la reazione ad un
illegittimo comportamento degli altri soci ovvero quando si ricolleghi all’altrui
violazione di obblighi contrattuali e di doveri di fedeltà. Occorre infine ricordare
che il recesso non è né limitabile né rinunciabile e deve essere esercitato
personalmente dal socio o dal suo legale rappresentante.
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La dichiarazione di recesso non è assoggettata a particolari forme. Essa può essere
espressa ovvero tacita e, nel primo caso, può essere scritta o orale. In ordine
all’efficacia, l’art. 2285 stabilisce che “nei casi previsti nel primo comma, il recesso deve
essere comunicato agli altri soci con un preavviso di almeno tre mesi”. Per poter opporre
la dichiarazione di recesso agli altri soci, occorre provare che il mezzo scelto per
“comunicare” abbia raggiunto lo scopo di far conoscere a costoro la dichiarazione
di recesso e per poterlo opporre a terzi, occorre portarlo a loro conoscenza con
mezzi idonei.
Esclusione
L’esclusione è vista come una sorta di risoluzione parziale del contratto di società
che produce i suoi effetti immediatamente nei confronti delle persone dei soci. In
linea di principio, i casi di esclusione trovano la loro fonte nella legge, laddove la
possibilità di prevedere, nel contratto, ipotesi aggiuntive rispetto a quelle legali è
circondata da riserve e da limiti. L’esclusione può essere facoltativa o di diritto.
L’esclusione detta facoltativa, che avviene per deliberazione della maggioranza
dei soci o nella società di due soci in seguito a pronuncia del tribunale, si chiama
così proprio perché l’adottare il provvedimento è una facoltà e non un obbligo.
Essa è regolata all’art. 2286 il quale prevede vari casi:
 il primo motivo è costituito dalle gravi inadempienze delle obbligazioni che
derivano al socio dalla legge o dal contratto sociale;
 il secondo motivo riguarda la persona del socio, nel senso che questo può
essere escluso ove sia colpito da provvedimento di interdizione, legale o
giudiziale, e di inabilitazione;
Una terza categoria di cause (art. 2286 commi due e tre) comprende cause che si
riconnettono alla impossibilità sopravvenuta della prestazione e precisamente:
 la sopravvenuta inidoneità del socio a svolgere l’opera conferita;
 il perimento della cosa conferita in godimento dovuto a cause non
imputabili agli amministratori;
 il perimento della cosa conferita in proprietà se questo è avvenuto prima
che la proprietà sia acquistata dalla società.
Un quesito particolare si pone per il socio amministratore: se cioè escluderlo dalla
società rilevi o no il tipo di violazione commessa e se la violazione debba
riguardare il socio in quanto tale o l’amministratore in quanto tale. L’orientamento
prevalente è nel senso che il tipo di violazione non rilevi.
Il procedimento di esclusione riguarda la sola esclusione facoltativa e si snoda
attraverso le seguenti fasi:
 Deliberazione della maggioranza dei soci. Occorre non computare nel numero di
questi il socio da escludere. È sufficiente il consenso della maggioranza anche
senza una deliberazione in senso tecnico.
 Comunicazione al socio escluso.
L’esclusione ha effetto decorsi trenta giorni dalla comunicazione e da tale
momento il socio perde tale qualità e decorrono altresì i sei mesi per la
liquidazione della quota da parte della società. A norma dell’art. 2287 entro trenta
giorni dalla data della comunicazione “il socio escluso può fare opposizione al
tribunale, il quale può sospendere l’esecuzione”. La legittimazione attiva spetta al
socio escluso e quella passiva è radicata in capo alla società. La legge prevede che
il provvedimento possa essere sospeso con conseguente inefficacia di esso fino al
65
momento della pronuncia della sentenza esecutiva che rigetta l’opposizione. Dalla
comunicazione del provvedimento di esclusione decorre il termine per proporre
opposizione dinanzi al tribunale, che può sospendere l’esecuzione; così come da
tale momento decorre il termine di sei mesi per la liquidazione della quota da
parte della società.
L’esclusione di diritto si caratterizza rispetto all’esclusione facoltativa perché
consegue quasi automaticamente al verificarsi del fatto che la legge indica come
generatore, indipendentemente da ogni valutazione discrezionale degli altri soci.
A norma dell’art. 2288 è escluso di diritto il socio che si sia dichiarato fallito e il
socio nei cui confronti il creditore particolare abbia ottenuto la liquidazione della
quota.
La liquidazione della quota al socio cessato
Dall’art. 2289 che regola la materia vanno separatamente esaminati i due primi
commi che riguardano le questioni più importanti. Al primo comma si legge: “nei
casi in cui il rapporto sociale si scioglie limitatamente a un socio, questi o i suoi eredi
hanno diritto soltanto ad una somma di denaro, che rappresenti il valore della quota”.
Dall’avverbio “soltanto”, si desume che il socio uscente non può pretendere la
restituzione dei beni che egli abbia eventualmente conferito in natura. Al secondo
comma si legge: “la liquidazione della quota è fatta in base alla situazione patrimoniale
della società nel giorno in cui si verifica lo scioglimento”, nel senso che il socio sopporta
le conseguenze delle operazioni in corso al momento dello scioglimento del
vincolo. Il quarto comma stabilisce che la quota deve essere liquidata entro sei
mesi dal giorno in cui si è verificato lo scioglimento del rapporto, con la
conseguenza che la mancata liquidazione entro tale termine comporta
l’applicazione del principio della rivalutazione del debito della società nei
confronti del socio cessato. L’articolo in esame non precisa se l’obbligo della
liquidazione della quota gravi sulla società o sui soci, e se è vero che il problema
resta dibattuto è anche vero che la maturazione e la sempre migliore delineazione
del concetto di soggettività e la stessa esigenza di chiarezza e coerenza fra
premesse concettuali e decisioni concrete fanno chiaramente pendere la bilancia a
favore della tesi che considera la società obbligata a liquidare.
La responsabilità del socio cessato
L’art. 2290 stabilisce che “nei casi in cui il rapporto sociale si scioglie limitatamente a un
socio, questi o i suoi eredi sono responsabili verso i terzi per le obbligazioni sociali fino al
giorno in cui si verifica lo scioglimento. – Lo scioglimento deve essere portato a conoscenza
dei terzi con mezzi idonei; in mancanza, non è opponibile ai terzi che lo hanno senza colpa
ignorato”.
La durata della società e la proroga tacita
La fissazione di un termine di durata della società non è, nella società semplice,
indispensabile. Nell’ipotesi in cui il contratto sociale contenga tale elemento, nulla
esclude che prima della scadenza i soci possano fissare un altro termine di durata,
prorogando espressamente la società. la disciplina prevede anche una proroga tacita,
la quale si ha “quando, decorso il tempo per cui fu contratta, i soci continuano a
compiere le operazioni sociali” ( art. 2273 ).
66
SOCIETÀ IN NOME COLLETTIVO
La disciplina della società in nome collettivo è contenuta negli articoli da 2291 a
2312. La società in nome collettivo può essere definita come la società in cui tutti i
soci rispondono illimitatamente e solidalmente delle obbligazioni sociali, senza che il
patto contrario abbia effetto nei confronti dei terzi. Caratteristiche peculiari di tale
tipo di società sono la possibilità di essere utilizzata per l’esercizio di ogni specie
di attività e la responsabilità illimitata e solidale dei soci. L’art. 2291 induce a un
triplice ordine di considerazioni:
 la norma assolve, innanzi tutto, ad una funzione di identificazione del tipo,
anche se la responsabilità illimitata e solidale per le obbligazioni sociali è
elemento necessario ma non sufficiente. Ne consegue che una specifica ed
espressa dichiarazione di voler adottare il tipo della società in nome
collettivo occorrerà soltanto se l’oggetto sociale consista nell’esercizio di
un’attività non commerciale, data la possibile confusione con il tipo della
società semplice;
 l’ambito di applicazione di tale norma va al di là dell’attualità del vincolo
sociale, nel senso che in forza dell’art. 2269 “chi entra a far parte di una società
già costituita risponde con gli altri soci per le obbligazioni sociali anteriori
all’acquisto della qualità di socio” , e in forza dell’art. 2290, i soci uscenti o i
loro eredi rispondono verso i terzi per le obbligazioni sociali fino al giorno
in cui si verifica lo scioglimento;
 il secondo comma sancendo l’inefficacia assoluta nei confronti dei terzi dei
patti limitativi della responsabilità sanziona una prima, non trascurabile
differenza di disciplina rispetto al regolamento dell’omologa materia nella
società semplice.
Le principali differenze della società in nome collettivo con la società semplice
sono:
 la presenza, nella disciplina delle società in nome collettivo, di una norma
che indica il contenuto dell’atto costitutivo, e cioè l’art. 2295;
 l’inesistenza di limiti relativi all’oggetto sociale, che può, nella società in
nome collettivo, consistere nell’esercizio di qualunque tipo di attività lecita
(commerciale, agricola, professionale);
 l’inefficacia esterna dei patti limitativi della responsabilità dei singoli soci;
 un più accentuato livello di autonomia patrimoniale, e quindi una
regolamentazione parzialmente diversa dei rapporti della società con i terzi;
 l’esistenza di un regime di pubblicità abbastanza articolato;
 l’esistenza di una serie di norme in tema di capitale sociale, che mancano
nella società semplice.
L’atto costitutivo
A differenza di quanto avviene per la società semplice, la legge disciplina in modo
compiuto l’atto costitutivo e le indicazioni che devono esservi contenute. La libertà
della forma resta la regola anche per la costituzione della società in nome
collettivo e l’atto scritto è richiesto solo a fini dell’iscrizione nel registro delle
imprese e, perciò, solo ai fini della regolarità della società, tant’è che come esiste la
società semplice di fatto così esiste anche la società in nome collettivo di fatto. In caso di
costituzione della società per atto scritto, non è indispensabile la contestuale
67
presenza di tutti i requisiti indicati nei numeri da 1 a 9 dell’art. 2295, dovendosi
distinguere dal contenuto del contratto sociale essenziale per l’esistenza della
società quel contenuto che serve solo ai fini dell’iscrizione nel registro delle
imprese.
I soggetti partecipanti
Il numero uno dell’art. 2295 prescrive che l’atto costitutivo deve indicare “il
cognome e il nome, il luogo di nascita, il domicilio e la cittadinanza dei soci”.
L’essenzialità dell’elemento è in re ipsa, dal momento che non esisterebbe un
contratto che non contenesse l’indicazione delle parti contraenti. I problemi che la
norma suscita riguardano la partecipazione degli incapaci e la partecipazione di
soggetti diversi dalle persone fisiche. Con riferimento al primo di essi, la disciplina
contiene una norma, l’art. 2294, a tenore della quale “la partecipazione di un incapace
alle società in nome collettivo è subordinata in ogni caso all’osservanza delle disposizioni
degli art. 320, 371, 397, 424 e 425”. Queste norme dispongono che il minore,
l’interdetto e l’inabilitato, per continuare l’esercizio di una impresa commerciale
devono ricevere l’autorizzazione del tribunale e che il minore emancipato può
esercitare un’impresa commerciale senza l’assistenza del curatore se è autorizzato
dal tribunale previo parere del giudice tutelare e sentito il curatore.
Per ciò che riguarda l’amministrazione basta tenere presente la trattazione
effettuata per le società di persone e quindi, ai sensi dell’art. 2295, nell’atto
costitutivo devono essere indicati i soci che hanno l’amministrazione e la
rappresentanza della società. Deve aggiungersi che per gli amministratori di
società in nome collettivo è prescritto l’obbligo di tenuta dei libri e delle scritture
contabili prescritti dall’art. 2214.
La ragione sociale
Il n. 2 dell’art. 2295 indica quale elemento da includere nell’atto costitutivo la
ragione sociale, autonomamente disciplinata nell’art. 2292, proprio per rimarcare
che anche la società in nome collettivo deve esercitare la sua attività adottando un
nome. Definibile come la ditta sotto il quale agiscono le società in nome collettivo e
le società in accomandita semplice, la ragione sociale assolve, in primo luogo, ad
una funzione di identificazione del soggetto. L’art. 2292 fissa due regole: il primo
comma, quando prescrive che accanto al nome dei soci venga indicato il rapporto
sociale, sembra confermare il principio di verità, già vigente per la formazione
della ditta dell’imprenditore individuale; il secondo comma, disponendo che “la
società può conservare nella ragione sociale il nome del socio receduto o defunto, se il socio
receduto o gli eredi del socio defunto vi consentono” (ragione sociale derivata). Occorre
ancora precisare tre punti: l’inosservanza della prescrizione contenuta nell’art.
2292 determina l’irregolarità della ragione sociale, che può dar luogo anche al
rifiuto di iscrizione dell’atto costitutivo nel registro delle imprese; la ragione
sociale è liberamente trasferibile; alla ragione sociale si applica il principio di
novità, grazie al rinvio diretto all’art. 2564 disposto dall’art. 2567.
La sede della società e l’oggetto sociale
Per sede della società si intende sul piano formale, quella risultante dall’atto
costitutivo e dallo statuto e nella quale – almeno di norma – si trovano stabilmente
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gli organi che hanno la rappresentanza dell’ente e la capacità di obbligarlo.
L’indicazione della sede è importante al fine di:
 stabilire il giudice territorialmente competente per le controversie
giudiziarie che interessano la società;
 l’individuazione del registro delle imprese in cui la società deve essere
iscritta;
 l’applicazione della disciplina fallimentare.
Può darsi il caso che la sede legale non coincida con la sede reale, che è quella
dove c’è il centro effettivo di direzione e di svolgimento dell’attività sociale, dove
risiedono gli amministratori e coloro che hanno il potere di rappresentare la
società, dove è convocata l’assemblea sociale. Quando non vi è corrispondenza tra
la sede legale e sede effettiva, giurisprudenza e dottrina, quasi unanimemente,
propendono per la prevalenza della seconda sulla prima, con la precisazione che
nel caso di società collettiva regolare, non potendosi vanificare del tutto gli effetti
della pubblicità, la società non potrà opporre ai terzi la mancata coincidenza della
sede dichiarata con quella effettiva. Alla sede secondaria è dedicata una norma
(2299), la quale si limita a stabilire prescrizioni formali relative all’obbligo di
iscrizione di tale sede presso l’ufficio del registro delle imprese del luogo in cui
essa è istituita. Per aversi sede secondaria occorrono:
 un rapporto di dipendenza economica ed organizzativa con la sede
principale;
 uno stabile apprestamento di mezzi destinati allo svolgimento dell’attività
sociale ed un rappresentante stabile della società;
 un autonomo ambito di affari, sulla base del quale viene determinata la
legittimazione sostanziale e processuale di colui che è ad essa preposto.
Per quanto riguarda questo punto basterà rivedere quanto scritto a proposito della
società semplice.
Conferimenti, capitale sociale e distribuzione degli utili
Il n. 6 dell’art. 2295 prescrive che l’atto costitutivo indichi i “conferimenti dei soci, il
valore ad essi attribuito e il modo di valutazione”. Per la società in nome collettivo
appare più opportuno parlare di capitale sociale dal momento che la legge
esplicitamente vi allude in due norme, gli art. 2303 e 2306, pur non menzionandolo
espressamente tra gli elementi da includere nell’atto costitutivo. Ripetuto che il
capitale sociale rappresenta il valore in denaro dei conferimenti dei soci, quale
risulta dalle valutazioni compiute nel contratto sociale, si dovrà aggiungere che
questo è il concetto di capitale nominale fissato da una cifra contrattuale.
Questione aperta è se nel capitale sociale possano essere compresi anche i
conferimenti d’opera, che, come si è scritto, da una parte della dottrina vengono
considerati conferimenti non di capitale in quanto suscettibili di valutazione in
denaro. Il patrimonio sociale rappresenta, invece, il complesso dei rapporti
giuridici facenti capo all’impren-ditore. Le funzioni attribuite al capitale sociale
sono quattro:
 strumento di attivazione dell’oggetto sociale;
 strumento di rivelazione della situazione patrimoniale della società;
 strumento di misura della partecipazione del socio;
 strumento di garanzia per i creditori sociali.
69
Anche per la società in nome collettivo è importante porre in evidenza la necessità
di un confronto costante tra capitale sociale e patrimonio sociale per capire se la
situazione patrimoniale della società si evolva in senso positivo o in senso
negativo. Anche nella società in nome collettivo si deve sottolineare l’esigenza che
la determinazione convenzionale non si risolva in danno dei soci dei terzi. Ed alla
soddisfazione di tale esigenza che complessivamente può considerarsi nella
formula della integrità del capitale sociale come moderatore legale e contabile
della vita della società, sono preordinati gli art. 2303 e 2306, rispettivamente
dedicati alla perdita e alla riduzione del capitale. La prima di queste norme, dopo
aver sancito al primo comma che possono essere distribuiti solo gli utili realmente
conseguiti, dispone al secondo comma che “se si verifica una perdita di capitale sociale
non si può fare luogo a ripartizione degli utili fino a che il capitale non sia reintegrato o
ridotto in misura corrispondente”. A norma dell’art. 2306, la delibera di riduzione del
capitale sociale può essere attuata:
 quando nessun creditore sociale abbia fatto opposizione;
 quando le opposizioni eventualmente proposte siano state successivamente
ritirate;
 quando il tribunale, su richiesta della società, abbia autorizzato l’esecuzione
della delibera, previa prestazione di garanzia idonea;
 quando i creditori sociali siano stati soddisfatti, dal momento che solo ad
essi è inopponibile l’esecuzione della delibera.
La prescrizione contenuta nell’art. 2295, n. 7 impone che nell’atto costitutivo siano
indicate le prestazioni dei soci d’opera. Socio d’opera è colui che si sia impegnato
a conferire la propria attività e il risultato di questa. Scontata la negazione
dell’assimilazione della prestazione del socio d’opera a quella del lavoratore
subordinato. L’indicazione dei soci d’opera è importante: in primo luogo, non
essendo ontologicamente possibile valutare in termini monetari, a differenza di
quanto avviene per la maggior parte delle altre specie di conferimento, l’apporto
di chi conferisce il proprio lavoro, il legislatore si è preoccupato di richiedere
innanzi tutto che venga consacrato contrattualmente l’obbligo del conferimento
della propria opera e, in secondo luogo, che sia precisato nel contratto in che cosa
l’apporto medesimo si concreti.
Per la ciò che concerne la distribuzione degli utili occorre analizzare l’art. 2295,
secondo cui nell’atto costitutivo devono essere indicate le norme secondo le quali
gli utili devono essere ripartiti e la quota di ciascun socio negli utili e nelle perdite.
Se è vero che, con riguardo agli utili, v’è assoluta identità di dettato fra le norme
disciplinanti questa materia, non altrettanto può dirsi con riguardo alle perdite: in
altri termini, identica la norma sugli utili, manca nella disciplina delle società di
capitali ogni disposizione relativa alle perdite di contenuto analogo a quello della
norma in commento.
La durata della società
Il n. 9 dell’art. 2295 impone che nell’atto costitutivo sia indicata la durata della
società, in tal modo avvicinando la disciplina della società in nome collettivo a
quella delle società di capitali e delle società cooperative. L’apparentamento con la
società di capitali è neutralizzato dalla presenza di una norma come l’art. 2307,
che, consentendo una proroga tacita, rende ammissibile una società in nome
collettivo di durata indeterminata e quindi, da un punto di vista sostanziale,
70
avvicina la società in nome collettivo alla società semplice. Occorre un accenno alla
proroga della durata della società. la proroga può essere:
 espressa, qualora i soci, di comune accordo, decidano di fissare, prima della
scadenza del termine originario, un nuovo termine di durata;
 tacita, allorché secondo il disposto dell’art. 2273, “decorso il tempo per cui
fui contratta, i soci continuano a compiere le operazioni sociali”.
Il regime della pubblicità
La disciplina della pubblicità della società in nome collettivo è contenuta
principalmente in due norme:
 l’art. 2296, che fa obbligo agli amministratori (e al notaio se la stipulazione è
avvenuta per atto pubblico) di depositare l’atto costitutivo, nel termine di
trenta giorni, per l’iscrizione presso l’ufficio del registro delle imprese nella
cui circoscrizione è stabilita la sede sociale;
 l’art. 2300, che impone agli amministratori di richiedere, sempre entro
trenta giorni, l’iscrizione delle modificazioni dell’atto costitutivo e degli
altri affari relativi alla società, dei quali è obbligatoria l’iscrizione.
Tre sono i punti da sottolineare:
 la società in nome collettivo è soggetta all’onere dell’iscrizione nel registro
delle imprese, indipendentemente dal fatto che l’attività sia o no esercitata ad
impresa e dal fatto che l’attività stessa sia o no di natura commerciale;
 l’iscrizione della società in nome collettivo nel registro delle imprese:
l’inosservanza di essa determina, da un lato, una situazione di irregolarità e,
dall’altro, una parziale modificazione della disciplina dettata per le società
collettive regolari;
 presupposto indefettibile per l’iscrizione è il deposito presso l’Ufficio del
registro della scrittura privata autenticata ovvero della copia autenticata
dell’atto pubblico.
La società in nome collettivo irregolare
È irregolare quella società in nome collettivo per la quale non siano state osservate
le prescrizioni relative agli adempimenti pubblicitari contenute nell’art. 2296: in
una parola, quella società in nome collettivo che non sia stata iscritta nel registro
delle imprese. Dal momento che la volontà di agire come soci può derivare da
accordi verbali o da manifestazioni tacite, si avrà in quest’ultimo caso la società
irregolare di fatto. Dalla norma di cui all’art. 2297 possono ricavarsi tre principi:
 la disciplina dei rapporti interni tra i soci è la medesima dettata per la
società collettiva regolare, della quale si applicheranno tutte le norme ad
eccezione di quelle che presuppongano o implichino adempimenti
pubblicitari;
 soluzione opposta il legislatore ha adottato per i rapporti tra società e terzi
creditori e contraenti, cui si attaglia la omologa disciplina della società
semplice, la quale prescinde da un sistema di pubblicità legale o meglio è
sottoposta ad un diverso regime di pubblicità;
 la regola in base alla quale ai rapporti società in nome collettivo irregolare –
terzi, si applicano le norme regolanti l’omologa materia nell’ambito della
società semplice subisce due importanti eccezioni:
71
o resta ferma ai sensi del primo comma dell’art. 2297 la responsabilità
illimitata e solidale dei soci nei confronti dei terzi per le obbligazioni
sociali;
o si presume che la rappresentanza sociale spetti a tutti i soci che
agiscono per la società, e non si applicherà quindi l’art. 2266 comma
due.
L’irregolarità può anche essere sopravvenuta, nel senso che una società
originariamente regolare divenga poi irregolare per aver continuato l’attività dopo
la cancellazione dal registro delle imprese. Di converso, una società irregolare può
sanare la sua posizione attraverso la regolarizzazione, la quale si attua con
l’iscrizione della società nel registro delle imprese a norma dell’art. 2296 e ha
effetto ex nunc provocando la sostituzione della disciplina della società irregolare
con quella collettiva regolare.
Rapporti della società e dei soci con i terzi
Il tema dei rapporti della società con i terzi coinvolge essenzialmente due
sottotemi:
 quello della rappresentanza della società e quello della responsabilità per le
obbligazioni sociali;
 in misura meno intensa i rapporti tra soci e loro creditori personali.
Rappresentanza della società
La norma dell’art. 2298 pur avendo una sua centralità, non ha una sua compiuta
autonomia, nel senso che, al fine di delineare integralmente il sistema della
rappresentanza nella società in nome collettivo, occorre necessariamente
richiamare i primi due commi dell’art. 2266, e cioè:
 nei rapporti esterni, pur non avendo la personalità giuridica, le società di
persone e quella in nome collettivo in particolare si presentano come un
gruppo unitario, portatore di una propria volontà e titolare di un proprio
patrimonio, capace come tale di assumere obbligazioni, acquistare diritti e
di stare in giudizio;
 il limite ai poteri degli amministratori è costituito dall’oggetto sociale, come
si ricava dall’espressione di esordio dell’art. 2298;
 è possibile determinare il contenuto dei poteri di rappresentanza (art. 2298);
 per essere opponibili ai terzi le limitazioni devono essere iscritte nel registro
delle imprese o, in mancanza, occorre provare che i terzi ne hanno avuto
conoscenza;
 gli amministratori–rappresentanti devono, entro quindici giorni dalla
nomina, depositare presso l’ufficio del registro delle imprese le loro firme
autografe.
La responsabilità per le obbligazioni sociali
L’art. 2304 difende il patrimonio personale dei soci, stabilendo che “i creditori
sociali, anche se la società è in liquidazione, non possono pretendere il pagamento dai
singoli soci, se non dopo l’escussione del patrimonio sociale”. La norma non si applica
alle società in nome collettivo irregolari e a quelle di fatto, mentre ne è discussa
l’applicabilità nel caso di fallimento della società.
72
I creditori particolari del socio
La materia è regolata dall’art. 2305, il quale costituisce una prosecuzione dell’art.
2270, regolante la posizione del socio di società semplice nei confronti del proprio
creditore particolare. Mentre il creditore particolare del socio di società semplice
potrà chiedere sempre la liquidazione della quota del socio suo debitore (qualora
gli altri beni di quest’ultimo siano insufficienti a soddisfare i suoi crediti), tale
potere è negato al creditore particolare del socio di collettiva, tranne che nelle
ipotesi di accoglimento dell’opposizione giudiziale alla proroga espressa da lui
stesso esperita e di proroga tacita. La norma di cui all’art. 2305 è infine
complementare anche all’art. 2304, nel senso che, unitamente a quest’ultimo,
integra il fondamento normativo dell’autonomia patrimoniale della società in
nome collettivo.
SOCIETÀ IN ACCOMANDITA SEMPLICE
La società in accomandita semplice è caratterizzata dalla esistenza di due categorie
di soci:
 i soci accomandatari, i quali sono responsabili illimitatamente e solidalmente
per le obbligazioni sociali ed hanno correlativamente il potere di
amministrare la società;
 e i soci accomandanti, i quali sono responsabili nei limiti della quota
conferita e sono correlativamente esclusi dall’amministrazione della società,
pur avendo poteri di controllo sulla gestione.
La disciplina consta di due gruppi di norme:
 norme dettate in sede materiale, le quali sono contenute negli art. 2313 –
2324;
 norme regolanti la società in nome collettivo, espressamente richiamate
dall’art. 2315, a condizione che siano compatibili con la disciplina materiale.
Occorre ricordare:
 che anche per la costituzione della società in accomandita semplice non è
imposta alcuna forma determinata, essendo la forma scritta funzionale
unicamente all’iscrizione nel registro delle imprese;
 che l’atto costitutivo deve contenere gli elementi indicati nell’art. 2295 con
due aggiunte: la ripartizione dei soci nelle due categorie di accomandanti e
accomandatari e la distinta indicazione dei conferimenti degli uni e degli
altri.
La società in accomandita semplice va distinta dall’associazione in partecipazione:
mentre nella società in accomandita semplice il conferimento del socio accomandante
confluisce in un fondo sociale comune ed autonomo rispetto ai patrimoni personali,
nell’associazione in partecipazione l’apporto dell’associato passa in proprietà
dell’associante che, per ciò, diventa debitore del primo. Tale figura si distingue inoltre
dalla società in accomandita per azioni, nella quale le partecipazioni sono
rappresentate necessariamente da azioni.
La disciplina
L’art. 2318 testualmente dispone che “i soci accomandatari hanno i diritti e gli obblighi
dei soci della società in nome collettivo”. L’art. 2314 è norma imposta dall’esistenza
delle due categorie di soci. Esso dispone, da un lato, che la ragione sociale deve
73
contenere, accanto all’indicazione del rapporto sociale, il nome di almeno uno dei
soci accomandatari e legittima, dall’altro, la ragione sociale derivata.
La nomina e la revoca degli amministratori
La materia è regolata essenzialmente da tre norme contenute negli art. 2318 – 2320:
il secondo comma dell’art. 2318 stabilisce che “l’amministrazione della società può
essere conferita soltanto ai soci accomandatari” e, di converso, l’art. 2320 che esordisce
stabilendo che “i soci accomandanti non possono compiere atti di amministrazione, né
trattare o concludere affari in nome della società, se non in forza di procura speciale per i
singoli affari”. Ne conseguono queste regole:
 se nulla dispone l’atto costitutivo, il potere di amministrazione spetta
disgiuntamente a ciascun socio accomandatario secondo le regole fissate nel
primo comma dell’art. 2257;
 se l’amministratore viene nominato con atto separato, la decisione, oltre a
dover ricevere il consenso di tutti i soci accomandatari, deve avere
l’approvazione della maggioranza dei soci accomandanti (analogamente
deve avvenire per la revoca dell’amministratore così nominato);
 i soci accomandanti non possono essere amministratori.
I divieti a carico degli accomandanti
Esistono due tipi di divieti che la legge pone in capo agli accomandanti:
 il primo è contenuto nell’art. 2314 comma due, il quale commina
all’accomandante che abbia consentito di far comparire il proprio nome
nella ragione sociale la perdita della responsabilità limitata nei confronti dei
terzi;
 agli accomandanti è, altresì, fatto divieto di amministrare.
Ed in questo caso all’accomandante che contravviene e compie anche un sol atto di
amministrazione non è solo comminata la perdita della responsabilità limitata: a
sottolineare la maggiore gravità della violazione, è prevista anche la possibilità
dell’esclusione della società a norma dell’art. 2286.
I problemi che il divieto di immistione fa sorgere sono essenzialmente due:
 il primo concerne l’opponibilità degli atti compiuti dall’accomandante ingeritosi
nell’amministrazione. In ordine a questo problema va detto che la società e
per essa i soci accomandatari non saranno vincolati, salvo ratifica o
accettazione, dagli atti posti in essere dall’accomandante ingeritosi e non
risponderanno quindi delle obbligazioni sorte in conseguenza di tali atti. La
legge prevede una limitata facoltà di deroga, ove l’accomandante abbia
ricevuto procura speciale relativa al compimento di singoli affari.
 il secondo problema riguarda l’atteggiarsi della responsabilità: in questo caso
si discute se l’accomandante ingeritosi divenga responsabile solo nei
confronti dei terzi ovvero se debba sopportare anche nei rapporti interni
una quota delle perdite subite dalla società.
I poteri dell’accomandante
Per ciò che concerne i poteri l’art. 2320 consente agli accomandanti di “prestare la
loro opera sotto la direzione degli amministratori”. Nel caso che vengano a mancare
tutti gli accomandatari, l’art. 2323 concede agli accomandanti il potere di nominare
per il semestre di grazia un amministratore provvisorio per il compimento degli atti
74
di ordinaria amministrazione. Gli accomandanti hanno altresì il diritto di “avere
comunicazione annuale del bilancio e del conto dei profitti e delle perdite e di controllarne
l’esattezza, consultando i libri e gli altri documenti della società”. Con riguardo ai poteri
aventi la loro fonte nell’atto costitutivo, oltre ad un possibile allargamento
generale di essi, vanno segnalati quello di dare autorizzazione e pareri per
determinate operazioni e quello di compiere atti di ispezione e sorveglianza (art.
2320).
Trasferimento della quota
La quota dell’accomandante è trasferibile sia inter vivos che mortis causa: nel primo
caso, è fatta salva la diversa disposizione dell’atto costitutivo ed in ogni caso
l’efficacia della cessione verso la società è subordinata all’approvazione da parte
della maggioranza dei soci della cessione stessa, mentre nel secondo caso la
deroga al regime normale dell’art. 2284 è prevista nel primo comma della norma
appena citata, statuente che “la quota di partecipazione del socio accomandante è
trasmissibile per causa di morte”.
Problematiche residue relative all’accomandante
Sono problemi riguardanti l’applicazione all’accomandante di alcune norme
dettate per il socio di società in nome collettivo, ed in particolare:
 dell’art. 2288 che prevede l’esclusione di diritto del socio fallito;
 dell’art. 2294, che subordina la partecipazione di incapaci legali, inabilitati e
emancipati alle disposizioni dettate in materia per l’imprenditore
individuale. La tesi della non applicabilità della norma viene giustificata
con la circostanza che, essendo la responsabilità dell’accomandante limitata
al conferimento, non ricorre l’esigenza di proteggere l’accomandante dalle
rovinose conseguenze cui la responsabilità illimitata può portare.
 l’art. 2301 non si ritiene applicabile all’accomandante. Tale articolo vieta al
socio di collettiva di esercitare un’attività concorrente con quella della
società e di partecipare come socio illimitatamente responsabile a quella di
altra società.
La società in accomandita semplice non registrata
Occorre ricordare che l’iscrizione della società in accomandita semplice ha
efficacia dichiarativa e la sua mancata iscrizione determina la irregolarità di essa.
La disciplina dell’accomandita semplice irregolare è contenuta nell’art. 2217, il
quale fissa due regole:
 rinvia per i rapporti tra società e terzi alle disposizioni contenute nell’art.
2297, che è la norma che disciplina la collettiva irregolare;
 esclude dalla responsabilità illimitata nei confronti dei terzi i soci
accomandanti, “salvo che abbiano partecipato alle operazioni sociali”.
Dalla combinazione delle due regole deriva che appare identica alla responsabilità
illimitata dei soci di collettiva irregolare la sola responsabilità dei soci
accomandatari, proprio perché resta ferma, ad onta della mancata registrazione, la
limitazione di responsabilità dei soci accomandanti per le obbligazioni sociali. Alle
società in accomandita semplice irregolare si applica la residua disciplina della
società in accomandita semplice regolare ad eccezione delle norme che
presuppongano adempimenti pubblicitari.
75
LE SOCIETÀ DI CAPITALI
LA SOCIETÀ PER AZIONI
La società per azioni rappresenta il principale tipo di società di capitali e, allo
stesso tempo, la forma più importante di società predisposta per le imprese di
grandi dimensioni, che richiedono l’apporto di ingenti capitali e importano
l’assunzione di notevoli rischi. Carattere fondamentale della società per azioni è il
vincolo tra società e socio che risulta impersonale e anonimo. Sotto il profilo
giuridico la S.p.A. può essere definita come la persona giuridica che esercita attività
economica con il patrimonio conferito dai soci e con gli utili eventualmente accumulati e
nella quale le quote di partecipazione dei soci sono rappresentate da azioni.
Caratteri della S.p.A.
Ai sensi dell’art. 2325, “nella società per azioni, per le obbligazioni sociali, risponde
soltanto la società con il suo patrimonio. – Le quote di partecipazione dei soci sono
rappresentate da azioni”. In considerazione, anche, dell’art. 2327, le prerogative della
S.p.A. risultano essere:
 la limitazione della responsabilità dei soci al conferimento, pertanto i creditori
sociali dovranno rivolgersi alla società, senza poter esperire azioni
individuali nei confronti dei singoli soci104;
 il fatto che le quote di partecipazione siano rappresentate da azioni, ovvero
frazioni di uguale misura in cui è diviso il capitale sociale;
 il fatto che il capitale sociale non possa essere inferiore a L. 200.000.000.
Le fonti normative della S.p.A.
La società per azioni è regolata dal codice civile e da numerosi provvedimenti
normativi emanati negli anni successivi. Questi ultimi si sono resi necessari per
sopperire alle notevoli limitazioni del nostro codice dovute al suo carattere
unitario e indifferenziato che mal si concilia alle realtà spesso diversissime delle
S.p.A.
Le nuove norme, in particolare per le società quotate, non solo hanno rafforzato i
diritti del piccolo azionista all’interno dell’ordinamento societario, ma hanno
anche integrato tale tutela con misure che riguardano più specificamente il campo
del diritto dei mercati mobiliari.
Occorre ricordare:
 il D.P.R. 1127/69 che ha modificato le disposizioni originarie in materia di
invalidità dell’atto costitutivo, di poteri degli amministratori e di pubblicità
degli atti sociali;
 la L. 216/74 e i tre DDPR 136,137,138/75 con i quali:
o si è affidato alla Consob il compito di controllare l’operato delle
società quotate;
o sono state create le azioni di risparmio;
Un discorso a parte merita la c.d. società con unico azionista. Qualora, per qualsiasi motivo,
tutte le azioni si concentrino nelle mani di una sola persona, l’art. 2362 – al fine di evitare che con la
costituzione di una S.p.A. una persona singola possa limitare la propria responsabilità
patrimoniale in danno dei creditori – ha sancito la responsabilità illimitata dell’unico azionista per le
obbligazioni sociali sorte nel periodo in cui le azioni risultino essere appartenute a lui soltanto (anche se
fittiziamente intestate ad altri).
104
76







o si è cercato di dare più evidenza ai collegamenti che possono
determinarsi fra società (partecipazioni incrociate, società collegate
ecc.);
la L. 904/77 (c.d. Legge Pandolfi) che ha apportato alcune modifiche
riguardanti il capitale sociale e la disciplina del collegio sindacale;
la L. 281/85 che ha eliminato le c.d. clausole di mero gradimento;
il D.P.R. 30/86 che ha introdotto una normativa di tutela del capitale
sociale;
il D.Lgs. 22/91 sulle fusioni e le scissioni;
il D.Lgs. 127/91 sul bilancio d’esercizio e i gruppi di società;
il D.Lgs. 88/92 sul collegio sindacale e la società di revisione contabile;
la L. 149/92 sulle OPV, OPS e OPA;
La costituzione della S.p.A.
La società per azioni si costituisce per atto pubblico che può essere stipulato
simultaneamente, cioè immediatamente, ovvero in più fasi con il procedimento di
pubblica sottoscrizione (art. 2333). Esso deve indicare:
 il cognome ed il nome dei soci, il luogo e la data di nascita, il domicilio, la
cittadinanza dei soci e degli eventuali promotori, nonché il numero delle azioni
sottoscritte da ognuno di essi. Il riferimento ai promotori riguarda la società
costituita per pubblica sottoscrizione.
 la denominazione, la sede della società e le eventuali sedi secondarie. La società ha
un nome che deve essere dichiarato con l’integrazione del tipo;
indispensabile è l’individuazione della sede, la principale, cioè, la legale e le
eventuali sedi secondarie.
 l’oggetto sociale. Si distingue tra oggetto sociale principale (ad es. la
costruzione di automobili) e quello secondario nel quale sono indicate le
operazioni strumentali al primo.
 l’ammontare del capitale sottoscritto e versato. La sottoscrizione segna il
momento nel quale il socio si obbliga a conferire. Il capitale sociale si
distingue in capitale sottoscritto e versato; il capitale minimo è attualmente
200 milioni di lire.
 il valore nominale e il numero delle azioni e se queste sono nominative o al
portatore. Il primo è espresso dal risultato della divisione tra l’ammontare
del capitale e il numero delle azioni.
 il valore dei crediti e dei beni conferiti in natura.
 le norme secondo le quali gli utili devono essere ripartiti. La previsione può
riguardare, tra l’altro, sia la misura dell’utile che si intende dividere, nel
rispetto della destinazione a riserva sia la destinazione da imprimergli per
finalità, comunque, compatibili con l’interesse della società, ma non a
beneficio dei soci.
 la partecipazione agli utili eventualmente accordata ai promotori o ai soci fondatori.
 il numero degli amministratori e i loro poteri, indicando tra questi quali hanno
la rappresentanza. Necessaria l’individuazione dei soggetti cui è affidata la
gestione, innanzitutto, in considerazione del fatto che nell’atto costitutivo
devono essere indicati i primi amministratori (art. 2383); per la rilevanza,
77



poi, del potere di rappresentanza legale che identifica chi agisce per la
società.
il numero dei componenti il collegio sindacale. Anche con riguardo ai sindaci, i
primi devono essere nominati nell’atto costitutivo ( art. 2400 ); il numero è
ricompreso tra un minimo di tre ed un massimo di cinque, da prescegliere
anche tra i soci.
la durata della società.
l’importo globale, almeno approssimativo, delle spese per la costituzione poste a
carico della società. indicazione che parrebbe finalizzata a consentire ai soci
costituenti tendenziale consapevolezza sui costi che saranno sopportati per
quella ragione.
Atto costitutivo e statuto
Il collegamento tra l’atto costitutivo e lo statuto ripropone la rilevanza delle regole
sul funzionamento della società, e dunque quelle della sua organizzazione; la
relativa disciplina dovrebbe trovare previsione nello statuto che dello statuto è
parte integrante. Lo statuto non è, tuttavia, indispensabile come l’atto costitutivo; i
principi sul funzionamento della società sono già fissati, con prevalente
imperatività della normativa di legge. In concreto viene redatto per
personalizzare, nei limiti del possibile, il funzionamento dell’organizzazione al
servizio di specifiche esigenze (operatività dell’organo amministrativo, modifica
dei quorum deliberativi delle assemblee, limiti alla circolazione delle azioni).
Anche lo statuto ha natura contrattuale e viene redatto nella forma dell’atto
pubblico. L’esaurimento della fase contrattuale già suscita l’interesse
dell’ordinamento: il procedimento di costituzione è stato avviato e si dovrebbe
concludere con la nascita della società. Devono ricorrere puntuali condizioni, in
mancanza delle quali il procedimento di costituzione si arresta. L’art. 2329 esige
che:
 sia sottoscritto per intero il capitale sociale;
 siano versati presso un istituto di credito almeno i tre decimi dei
conferimenti in denaro105;
 sussistano le autorizzazioni governative e le altre condizioni richieste dalle
leggi speciali per la costituzione della società.
Nel periodo tra la stipulazione dell’atto costitutivo e l’iscrizione, la società non è
nata e per le obbligazioni che sono state assunte nel suo nome, rispondono
illimitatamente e solidalmente, verso i terzi, coloro che hanno agito. A costituzione
avvenuta la società si fa carico delle spese sopportate e delle obbligazioni assunte,
se necessarie per avviare e completare il relativo procedimento. La stessa società,
tuttavia, potrebbe decidere di far proprie anche quelle non necessarie, al pari delle
obbligazioni contratte per altre ragioni. Il procedimento di costituzione si sviluppa
poi, con il deposito dell’atto costitutivo presso il registro delle imprese, entro
trenta giorni dalla stipulazione, per iniziativa del notaio ovvero di coloro che sono
designati quali amministratori. Opportuno è sottolineare che, qualora notaio ed
Tale versamento non costituisce un requisito dell’atto costitutivo in quanto il contratto di società
non è reale ma consensuale. Inoltre l’obbligo di versamento non può precedere la sottoscrizione delle
quote di capitale da parte degli stipulanti l’atto costitutivo, perché deriva proprio da quella
sottoscrizione.
105
78
amministratori (proprio in questo ordine) non provvedano, ciascun socio può
effettuare il deposito a spese della società o far condannare gli amministratori ad
eseguirlo. Una volta eseguito il deposito dell’atto costitutivo, il tribunale è posto
nella condizione di omologarlo. Deve, dunque, accertare se l’accordo dei soci è
conforme con le regole dell’ordinamento e se si siano avverate le condizioni fissate
dall’art. 2329. L’autorità giudiziaria non entra nel merito dell’atto per stabilire se
l’iniziativa è adeguata o meno; effettua un controllo di legalità teso ad accertare la coerenza
delle pattuizioni con il modello normativo prestabilito dalla legge e più puntualmente se la
struttura organizzativa del nuovo soggetto sia idonea ad operare legalmente. Non si
tratta, pertanto, di un controllo che investe la validità dell’atto, dal momento che
questo, ancorché essenziale, non è la sola componente del procedimento. L’omologa
può, essere negata per ragioni di validità se si riscontra ad esempio, che una
clausola è nulla ovvero annullabile. Il procedimento di omologazione si svolge in
camera di consiglio, sentito il pubblico ministero. Se il tribunale la concede il
relativo provvedimento è adottato nella forma del decreto come nell’eventualità di
rifiuto; è reclamabile davanti alla Corte di Appello nei trenta giorni successivi alla
comunicazione. Esaurita questa fase, si procede all’iscrizione dell’atto costitutivo
nel registro delle imprese che determina l’acquisto della personalità giuridica.
L’articolato sviluppo del procedimento di costituzione consiglia di non
condividere l’opinione secondo cui, anteriormente all’iscrizione, l’atto costitutivo
determinerebbe la nascita della società per azioni irregolare.
La costituzione della società per pubblica sottoscrizione
La costituzione per pubblica sottoscrizione è disciplinata dall’art. 2333 ed ha come
fasi essenziali:
 la predisposizione, da parte dei promotori, di un programma che indichi
l’oggetto e il capitale sociale e le principali disposizioni dell’atto costitutivo;
 le progressive sottoscrizioni delle azioni da parte degli interessati che devono
risultare da atto pubblico o da scrittura privata autenticata. Raccolte le
sottoscrizioni, i promotori assegnano, ai sottoscrittori, un termine non
superiore ad un mese per effettuare il versamento decorso inutilmente il
quale possono scegliere se agire nei confronti dei sottoscrittori morosi
ovvero sciogliersi dall’obbligazione. In quest’ultima eventualità si può
procedere alla costituzione della società soltanto dopo che siano state
collocate le azioni per le quali non è stato effettuato il versamento;
 i promotori convocano l’assemblea dei sottoscrittori che, accertata l’esistenza
delle condizioni richieste per la costituzione della società, delibera, tra
l’altro, sul contenuto dell’atto costitutivo e sulla nomina degli
amministratori e del collegio sindacale. L’assemblea è validamente
costituita con la presenza della metà dei sottoscrittori ognuno dei quali ha
diritto ad un voto a prescindere dal numero delle azioni sottoscritte. Le
deliberazioni, di cui si è fatto cenno, sono adottate a maggioranza, quelle
relative alla modificazione del programma richiedono tuttavia il consenso
unanime;
 esaurita l’assemblea, con l’assunzione delle necessarie decisioni, chi vi ha
preso parte, anche in rappresentanza degli assenti, stipula l’atto costitutivo.
La complessità di questo procedimento spiega le ragioni dell’insuccesso. I
promotori, che sottoscrivono il programma, sono solidalmente responsabili verso i
79
terzi per le obbligazioni assunte per costituire la società; se vi si perviene gli stessi
promotori sono rilevati dalla società: beneficiano del rimborso spese sostenute,
semprechè necessarie per la costituzione ovvero se approvate dall’assemblea dei
sottoscrittori. La responsabilità cui sono esposti i promotori è bilanciata
dall’oppor-tunità che gli è concessa di riservarsi, indipendentemente dalla loro
qualità di soci nella costituenda società, una partecipazione non superiore
complessivamente ad un decimo degli utili netti risultanti dal bilancio e per un
periodo massimo di cinque anni. Identico beneficio è accordato ai soci fondatori.
I contratti parasociali
I contratti parasociali sono quegli accordi, che in genere si accompagnano alla
stipulazione dell’atto costitutivo, i quali hanno lo scopo di regolare il
comportamento dei soci in seno alla società. Tali contratti hanno efficacia
obbligatoria solo tra le parti stipulanti, con esclusione dei successivi acquirenti
delle azioni. Non possono essere opposti ai terzi, né alla società (che non sia parte);
non invalidano gli atti compiuti in violazione di essi e, nei confronti del
trasgressore, gli altri soci partecipanti all’accordo violato possono esperire soltanto
l’azione di risarcimento dei danni qualora sia dimostrabile un pregiudizio
derivato dal suo comportamento.
I sindacati di voto
I sindacati di voto rappresentano dei gruppi di azionisti che si formano
nell’ambito delle S.p.A. con particolari funzioni di dominio o di difesa. Tali
sindacati possono assumere due configurazioni:
 quella dell’accordo intercorso tra più azionisti, i quali si obbligano a votare
nello stesso modo in assemblea;
 quella dell’accordo tra più azionisti, i quali rilasciano mandato con
rappresentanza ad una determinata persona, che voterà nelle assemblee:
o o secondo il suo parere;
o o secondo le direttive impartitegli dal sindacato.
I sindacati di blocco
I sindacati di blocco sono costituiti da quegli azionisti i quali, al fine di evitare che
le azioni di uno o più tra essi possano passare di mano ad altre persone, si
impegnano reciprocamente a limitare l’alienazione delle azioni stesse, in modo da
garantire una certa composizione del corpo sociale.
I sindacati di emissione o di collocamento
Si tratta di sindacati mediante i quali due o più soggetti si obbligano
reciprocamente (o anche nei confronti della società) a sottoscrivere azioni ed a
collocarle poi sul mercato, alle condizioni ed al momento opportuni, con
l’impegno di trattenere per sé i titoli non collocati. I sindacati di emissione
costituiscono una variante della costituzione per pubblica sottoscrizione: infatti la
società è costituita simultaneamente, ma parte del capitale sociale è sottoscritto da
banche, le quali si impegnano verso gli altri sottoscrittori a collocare le azioni
presso i propri clienti.
I patti parasociali nelle società quotate
Nelle società con azioni quotate in borsa e nelle società che le controllano, sono gli
artt. 122-124 del T.U. n. 58/98 a disciplinare i patti parasociali ricoprendo in tale
categorie i patti, in qualunque forma stipulati:
80


che hanno per oggetto l’esercizio del diritto di voto;
che istituiscono obblighi di preventiva consultazione per l’esercizio del
diritto di voto;
 che pongono limiti al trasferimento delle azioni o di strumenti finanziari
che attribuiscono diritti di acquisto o di sottoscrizione delle stesse;
 che prevedono l’acquisto concertato delle azioni o degli strumenti
finanziari anzidetti;
 che hanno per oggetto o per effetto l’esercizio anche congiunto di una
influenza dominante su tali società;
Patti siffatti devono essere:
 comunicati alla Consob entro 5 giorni dalla stipulazione;
 pubblicati per estratto sulla stampa quotidiana entro 10 giorni;
 depositati presso il registro delle imprese del luogo ove la società ha sede
entro 15 giorni dalla stipulazione.
Nel caso di inosservanza di tali obblighi i patti sono nulli.
Inoltre non può essere esercitato il diritto di voto inerente alle azioni che
costituiscono l’oggetto dell’accordo pena l’impugnabilità della deliberazione in tal
modo adottata.
I collegamenti fra società
La realtà socio-economica attuale è caratterizzata da numerose forme di
collegamento tra società di capitali, le quali – attraverso processi di espansione e di
coesione – mirano a rafforzare la loro capacità competitiva sul mercato. In
relazione a tali collegamenti, il legislatore interviene al fine di:
 evitare il c.d. “annacquamento patrimoniale” delle società coinvolte;
 garantire il regolare funzionamento delle rispettive assemblee, impedendo
uno svuotamento di contenuto dei titoli azionari.
I rapporti di partecipazione
I rapporti di partecipazione tra società incontrano alcuni limiti generali finalizzati
al perseguimento degli obiettivi di cui al paragrafo precedente. Anzitutto l’art.
2360 vieta alla S.p.A. di costituire un’altra società ovvero di aumentare il capitale
mediante sottoscrizione reciproca di azioni, anche per tramite di società fiduciaria o
per interposta persona106. Questo divieto, comunque, ha una portata limitata,
poiché è applicabile solo nelle ipotesi di operazioni di sottoscrizione
funzionalmente collegate con la relazione di reciprocità ed inoltre non si estende
all’acquisto di azioni nel mercato successivamente alla sottoscrizione delle stesse.
Altri limiti generali riguardano le partecipazioni azionarie:
 ai sensi dell’art. 2361, l’assunzione di partecipazioni in altre imprese da
parte della S.p.A. non è consentita se, per la misura e per l’oggetto della
partecipazione, ne risulta sostanzialmente modificato l’oggetto sociale
determinato dall’atto costitutivo107;
 ai sensi dell’art. 5 della L. 96/42, la S.p.A. non può possedere azioni di altre
società per un valore superiore a quello del proprio capitale.
Senza tale divieto, infatti, la stessa somma, nella misura della reciprocità, formerebbe il capitale
sociale di più società ed al capitale così formato non corrisponderebbe un patrimonio effettivo.
107 Ciò al fine di impedire modifiche di fatto dell’oggetto sociale, con elusione delle competenze
assembleari in materia di modificazioni dell’atto costitutivo.
106
81
Infine, una disciplina particolare è dettata dall’art. 120 del T.U. n. 58/98
relativamente alle partecipazioni a società con azioni quotate in borsa. La norma in
esame stabilisce che tutti coloro che partecipano in una società con azioni quotate in
misura superiore al 2% del capitale di questa, ed ogni società quotata che partecipi ad altra
non quotata o a una s.r.l. in misura superiore al 10% del capitale di questa, sono tenuti a
darne comuinicazione scritta alla società partecipata e alla Consob. In caso di mancata
comunicazione, viene sospeso il diritto di voto inerente alle azioni o quote per le
quali questa sia stata omessa108.
Nelle ipotesi anzidette, nel caso di partecipazioni reciproche eccedenti da entrambi
i lati i limiti percentuali dianzi specificati, se non trovano applicazione le
disposizioni di cui all’art. 2359 bis, non è previsto soltanto l’obbligo della
comunicazione, ma deve cessare la reciprocità dell’eccedenza: pertanto, la società
che esegue la comunicazione dopo aver ricevuto quella dell’altra società non può
esercitare il diritto di voto inerente alle azioni o quote eccedenti e deve alienarle
entro 12 mesi dalla data in cui ha superato il limite 109. In caso di mancata
alienazione, la sospensione dal diritto di voto e l’obbligo di alienazione si
applicano ad entrambe, salvo diverso accordo che deve essere immediatamente
comunicato alla Consob.
Società controllate
Il controllo costituisce una particolare situazione per effetto della quale una società
è potenzialmente in grado di improntare con la propria volontà l’attività economica di
un’altra società. La dottrina distingue due tipi di controllo:
 interno o azionario, attuato tramite la partecipazione sociale e può essere di
diritto o di fatto;
 esterno o contrattuale, derivante da particolari vincoli contrattuali le cui
prestazioni siano essenziali per lo svolgimento dell’attività.
A norma dell’art. 2359, una società esercita il controllo su un’altra quando:
 possiede un numero di azioni o quote tali da assicurare la maggioranza dei
voti richiesti per le assemblee ordinarie tenute dalla società controllata
(controllo azionario di diritto);
 per l’entità della partecipazione posseduta, dispone di voti sufficienti per
esercitare un’influenza dominante nelle assemblee ordinarie tenute dalla
società controllata (controllo azionario di fatto);
 in virtù di particolari vincoli contrattuali, può esercitare un’influenza
dominante nella vita sociale della società controllata (controllo
contrattuale).
Infine, occorre tener presente che una società può essere controllata indirettamente
quando è sotto il controllo di altra società controllata direttamente (società a
catena). Quindi, ai fini della individuazione di una situazione di controllo, deve
Le azioni per le quali non può essere esercitato il diritto di voto sono comunque computate ai
fini della regolare costituzione dell’assemblea.
109 La soglia del 2% può essere elevata al 5% solo se il superamento del primo limite da parte di
entrambe le società è avvenuto a seguito di un accordo autorizzato preventivamente
dall’assemblea ordinaria delle due società. Inoltre, la disciplina delle partecipazioni incrociate non
si applica nel caso in cui il superamento dei limiti del 2% e del 10% sia avvenuto per effetto di
un’OPA diretta ad acquistare il 60% delle azioni ordinarie. Tale previsione serve ad evitare che si
possano creare ostacoli al trasferimento del controllo a seguito di un’acquisizione derivante da
un’OPA.
108
82
tenersi conto anche dei voti spettanti a società direttamente controllate o a società
fiduciarie o ad interposta persona e non devono altresì trascurarsi le conseguenze
connesse ad eventuali partecipazioni a sindacati di voto.
La normativa che regola la materia – come si è già detto – si prefigge gli scopi di:
 garantire l’integrità del capitale e della riserva legale dall’annacquamento
che si determinerebbe se fosse consentito alla società controllata di investire
il proprio capitale e le proprie riserve nel capitale della controllante (la
fattispecie realizza indirettamente un acquisto di proprie azioni, vietato,
come operazione diretta, dall’art. 2357);
 impedire che la società controllata eserciti il voto nelle assemblee della
controllante secondo le direttive di quest’ultima (operazione che
indirettamente realizza lo stesso risultato che l’art. 2357 ha inteso evitare).
Per il conseguimento di tali finalità, l’art. 2359 bis prescrive quanto segue:
 la società controllata non può acquistare azioni o quote della società
controllante se non nei limiti degli utili distribuibili e delle riserve
disponibili risultanti dall’ultimo bilancio regolarmente approvato;
 possono essere acquistate soltanto azioni interamente liberate;
 il valore delle azioni o quote acquistate non può mai eccedere la decima
parte del capitale della società controllante;
 l’acquisto deve essere autorizzato dall’assemblea, a norma dell’art. 2357;
 è inoltre imposto l’obbligo di costituire una riserva indisponibile pari
all’importo delle azioni acquistate iscritto all’attivo del bilancio; tale riserva
dovrà essere mantenuta finché le azioni non saranno trasferite.
Le azioni o quote acquistate in violazione dell’art. 2359 bis devono essere alienate
entro un anno dall’acquisto, secondo le modalità determinate dall’assemblea, e, in
mancanza, la società controllante deve procedere senza indugio al loro
annullamento ed alla corrispondente diminuzione del capitale.
Le disposizioni anzidette non si applicano (ex. art 2359 quater), quando le azioni
della controllante sono acquistate:
 a titolo gratuito;
 in conseguenza di fusione o successione universale;
 in occasione di esecuzione forzata per il soddisfacimento di un credito della
società;
Va però ugualmente rispettato il limite della decima parte del capitale della
controllante: in violazione, le azioni dovranno essere alienate entro 3 anni pena il
loro annullamento da parte della controllante stessa.
Società collegate
Sono società collegate quelle sulle quali un’altra società esercita un’influenza
notevole. A norma dell’art. 2359, 3° comma, tale influenza si presume quando
nell’assemblea ordinaria può essere esercitato almeno un quinto dei voti, ovvero
un decimo se la società ha azioni quotate in borsa. Nelle ipotesi di collegamento il
legislatore tutela il diritto all’informazione degli azionisti e dei terzi attraverso
un’articolata previsione di prescrizioni da osservare nella formazione del bilancio
di esercizio.
I gruppi di società e la Holding
La scienza economica comunemente configura il gruppo come un’aggregazione di
unità produttive, giuridicamente autonome, ma collegate sul piano organizzativo al fine di
83
una migliore attuazione degli obiettivi perseguiti dal complesso. Il fenomeno è quindi
caratterizzato:
 da una direzione economica unitaria, improntata dalla società capogruppo
(detta holding);
 dall’autonomia formale delle imprese partecipanti.
La holding può essere:
 pura, qualora mediante il possesso di più pacchetti azionari e l’esercizio dei
poteri inerenti, assolva una funzione meramente strumentale, limitandosi
ad esplicare l’attività di direzione e di controllo del gruppo;
 operativa, qualora esplichi l’attività direttiva anche mediante l’esercizio di
funzioni economiche e finanziarie nei confronti delle società di cui possiede
i pacchetti azionari di maggioranza.
Infine, occorre ricordare che:
 la holding deve esercitare in via diretta ed in nome proprio l’attività di
direzione e di coordinamento;
 ciascuna società assume la responsabilità patrimoniale connessa alle
obbligazioni direttamente assunte, nonché alle attività negoziali
direttamente ed in nome proprio esplicate;
 potrebbero individuarsi eventuali responsabilità della holding per le
obbligazioni assunte dalle società operative qualora essa assuma, in modo
effettivo ed apparente, la veste di socio unico delle società controllate;
Le società con partecipazione pubblica
Nel nostro ordinamento anche lo Stato, direttamente o attraverso enti pubblici,
interviene a partecipare al capitale di alcune società per azioni. Alle società
partecipate, in considerazione dei fini pubblici cui tendono, è riservata una
particolare disciplina legislativa:
 in caso di liquidazione sono sottoposte ad uno speciale Ufficio costituito
presso il Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione
economica;
 sono obbligate a comunicare i proprio programmi di investimento al
Ministro;
 non possono finanziare partiti o gruppi parlamentari;
 devono sottoporre a revisione i propri bilanci di esercizio;
 lo Stato e gli enti pubblici possono nominare uno o più amministratori o
sindaci.
La nullità della società
La disciplina dei vizi che possono inficiare il procedimento di costituzione della
società per azioni è influenzata dal fatto che di esso sono elementi essenziali un
contratto ed un assetto organizzativo. Prima dell’iscrizione assume rilevanza l’atto
costitutivo al quale si applicano le regole generali sull’invalidità, cioè quelle
relative ai contratti associativi. Successivamente all’iscrizione, nata la persona
giuridica, la società è operativa sul mercato. Se, pertanto, anche dopo l’iscrizione,
trovassero applicazione i principi generali sull’invalidità, segnatamente quelli
relativi alla nullità, si potrebbero determinare rilevanti controindicazioni. La
dichiarazione di nullità travolgerebbe gli atti posti in essere dalla società, con
possibilità di sanatoria pressoché ingestibili (la conversione) e consistenti
84
pregiudizi per i terzi e per i soci. Nel tentativo di ovviare a questi pericoli è stata
adottata la prima direttiva CEE sulla disciplina delle società, introdotta nel nostro
ordinamento con il d.p.r. n. 1127 del 1969. La nullità è stata disciplinata in
funzione delle esigenze dell’apparato organizzativo della persona giuridica. Non
più, dunque, nullità dell’atto costitutivo, bensì nullità della società (art. 2332). Questa
disposizione, testualmente prevede che, avvenuta l’iscrizione nel registro delle
imprese, la nullità della società può essere pronunciata soltanto nei seguenti casi:
 mancanza dell’atto costitutivo (art. 2332): riguarda il difetto del consenso
dei contraenti;
 mancata stipulazione dell’atto costitutivo nella forma dell’atto pubblico:
riguarda la situazione nella quale il consenso è stato prestato;
 inosservanza delle prescrizioni di cui all’art. 2330 relative al controllo
preventivo: interessano l’omologa che potrebbe non essere stata rilasciata;
 illiceità o contrarietà all’ordine pubblico dell’oggetto sociale: sono relative
all’illiceità dell’attività;
 mancanza nell’atto costitutivo o nello statuto di ogni indicazione
riguardante la denominazione della società, o i conferimenti, o l’ammontare
del capitale sottoscritto o l’oggetto sociale;
 inosservanza delle disposizioni di cui all’art. 2329 n. 2;
 incapacità di tutti i soci fondatori, la quale è stata circoscritta a carenze della
capacità di agire che inciderebbero sull’efficienza dell’organizzazione;
 mancanza della pluralità dei fondatori, segnala un vizio nell’atto costitutivo
per non essere stato stipulato da almeno due persone.
La dichiarazione di nullità non pregiudica l’efficacia degli atti compiuti in nome
della società dopo l’iscrizione nel registro delle imprese. I soci non sono liberati
dall’obbligo dei conferimenti fino a quando non sono soddisfatti i creditori sociali.
Occorre individuare i punti fermi dell’art. 2332 e le finalità perseguite:
 innanzitutto, la rigorosa tassatività degli otto casi di nullità, insuscettibili di
estensione;
 la nullità fa salva l’efficacia degli atti posti in essere dalla società
successivamente all’iscrizione;
 la sentenza che dichiara la nullità nomina i liquidatori della società;
 la nullità non può essere dichiarata quando la causa che l’ha determinata è
stata eliminata per effetto di una modificazione dell’atto costitutivo iscritta
nel registro delle imprese.
L’elemento personale
La qualità di socio
Socio di una S.p.A. si diventa per effetto dell’acquisto della proprietà di titoli
azionari della società stessa. Nel titolo azionario sono documentati la qualità di
socio e la quota di partecipazione; tuttavia, qualora la società abbia deliberato di
non distribuire i titoli azionari, la qualità di socio è provata dall’iscrizione nel libro
dei soci.
Diritti dei soci
I diritti dei soci si dividono in due grandi categorie:
 diritti di amministrazione :
85

o diritto di intervento alle assemblee;
o diritto di voto (con le eventuali limitazioni che vedremo in seguito);
diritti patrimoniali:
o diritto al dividendo;
o diritto alla ripartizione del residuo attivo;
o diritto di opzione, per l’eventuale sottoscrizione di nuove azioni;
I conferimenti
Il conferimento deve farsi in denaro, se nell’atto costitutivo non è stabilito
diversamente (art. 2342). Non possono, invece, formare oggetto di conferimento le
prestazioni d’opera o di servizi; sfuggirebbero ad ogni puntuale valutazione,
risultando, comunque, incerte nella durata. Se il conferimento riguarda beni in
natura ovvero crediti è necessario valutarli attraverso un articolato procedimento
(art. 2343). Il conferimento è l’obbligo che il socio assume di apportare beni in società, il
versamento ne costituisce l’esecuzione. Quale corrispettivo l’azionista riceve, in
proporzione, le azioni, le quote cioè, nelle quali è diviso il capitale. Il capitale sociale
nominale è la componente del patrimonio netto insuscettibile di distribuzione tra i soci.
Con l’esercizio dell’attività, infatti, il patrimonio si modifica, incrementandosi o
riducendosi, ma tra gli azionisti se ne può ripartire soltanto la parte che eccede
l’ammontare del capitale sociale nominale. Il bilancio che rende conto dei risultati
dell’esercizio è in utile se si registra un’eccedenza delle attività rispetto alle
passività maggiorate del capitale sociale nominale; l’eccedenza può, allora, essere
divisa tra i soci. Per converso il bilancio segnala una perdita se le passività, al pari
maggiorate del capitale sociale nominale, sopravanzano le attività. Effettuando
l’integrale versamento, le azione sono liberate e devono essere emesse nominative
per somma non inferiore al loro valore nominale. È consentita l’emissione del
soprapprezzo, per un valore, dunque, superiore al nominale. Anteriormente alla
stessa emissione possono essere rilasciati certificati provvisori ( art. 2344 ); gli
amministratori possono far vendere le azioni a rischio e per conto del socio
moroso avvalendosi di un agente di cambio o di un istituto di credito. Se la
vendita non può avere luogo, il socio è dichiarato decaduto e quanto ha
eventualmente versato è trattenuto dalla società. le azioni non vendute, se non
sono rimesse in circolazione nell’esercizio del quale è stata dichiarata la
decadenza, devono essere estinte con la riduzione corrispondente del capitale. Il
socio che vende le azioni anteriormente al completamento dei versamenti rimane
obbligato, in solido, con l’acquirente, per tre anni (la sua obbligazione assume il
carattere della sussidiarietà rispetto all’obbligazione dell’acquirente).
I conferimenti in natura
Se il socio non conferisce denaro, ma beni in natura o crediti, se ne rende
necessaria la stima, in conformità del procedimento disciplinato dall’art. 2343. Vi
provvede un esperto nominato dal presidente nominato dal tribunale competente,
quello nella cui circoscrizione ha sede la società; non quello nella cui circoscrizione
si trova il bene conferito o nella quale il credito deve essere incassato. Ciò che
rileva, in realtà, è l’effettiva consistenza di questi conferimenti. L’esperto giura la
propria relazione nella quale descrive i beni o i crediti, i criteri per la loro
valutazione e l’attestazione che il valore attribuito non è inferiore a quello
nominale aumentato dell’eventuale soprapprezzo. Gli amministratori e i sindaci
devono controllare, poi, la relazione nei sei mesi dal conferimento. Fino a quando
86
questa verifica non è esaurita, le azioni corrispondenti ai conferimenti in natura
non possono essere alienate e devono restare depositate presso la società. Se il
controllo degli amministratori e dei sindaci conferma la stima del perito, i titoli
azionari possono circolare. Se, viceversa, sussistono fondati motivi, amministratori
e sindaci devono procedere alla revisione della relazione, stimando nuovamente i
beni in natura e i crediti. Se all’esito di quest’ulteriore accertamento il loro valore
risulta inferiore di oltre un quinto a quello per il quale era stato effettuato il
conferimento, è necessaria la proporzionale riduzione del capitale con
l’annullamento delle azioni scoperte; il socio che ha conferito può versare la
differenza tra il valore iniziale del conferimento e quello accertato dagli
amministratori e dai sindaci; non avvalendosi di tale facoltà deve recedere; con la
conseguenza che la misura della sua partecipazione viene determinata
esclusivamente in funzione della parte coperta dal versamento.
L’acquisto da promotori, fondatori, amministratori
La protezione dell’integrità del capitale è stata ulteriormente soddisfatta
assicurando la trasparenza ad alcune operazioni poste in essere dai promotori, dai
fondatori e dagli amministratori nei due anni dall’iscrizione della società nel
registro delle imprese: se infatti vendono, proprio alla società, beni o crediti,
l’acquisto deve essere autorizzato dall’assemblea ordinaria. È prescritto un
procedimento di stima identico, per la parte che riguarda la relazione giurata
dell’esperto, a quello ora illustrato; lo integra il deposito di questo documento,
presso la sede della società nei quindici giorni che precedono l’assemblea; non è,
invece, prevista la verifica della relazione da parte degli amministratori e sindaci.
Il verbale della seduta deve essere depositato presso il registro delle imprese. Sono
sottratti a questa procedura gli acquisti se effettuati a condizioni normali
nell’ambito delle operazioni correnti della società ovvero in borsa e, infine, sotto il
controllo dell’autorità giudiziaria o amministrativa. L’assunzione dell’obbligo di
conferimento cui segue il versamento, con completa liberazione delle azioni,
realizza, anche nella società per azioni, la fase nella quale si apprestano i mezzi per
l’esercizio dell’attività; la prima indicata nel contratto di società. Non è escluso che
accanto all’obbligo principale, quello di conferimento, sia previsto l’impegno dei
soci di rendere prestazioni accessorie, non in denaro e delle quali è necessaria la
determinazione del contenuto, della durata, delle modalità, del compenso; delle
sanzioni, infine, nel caso di inadempimento (art. 2345).
Le prestazioni accessorie
Le prestazioni accessorie non riguardano, necessariamente, tutti i soci. In
considerazione delle caratteristiche della società per azioni parrebbe preferibile
che le prestazioni accessorie non vanifichino la funzione del capitale assumendo
rilevanza preminente. Diversamente si rischierebbe l’alterazione della fisionomia
della società, indotta dalla prevalenza della personalizzazione della prestazione
che nella società per azioni è e rimane “anonima”. Proprio in considerazione di
tale peculiarietà (la personalizzazione), le azioni alle quali è connesso l’obbligo
della prestazione accessoria devono essere nominative e non sono trasferibili
senza il consenso degli amministratori (art. 2345). Gli amministratori sono tenuti a
valutare se autorizzare o meno il trasferimento. In mancanza di previsione
dell’atto costitutivo, gli obblighi oggetto delle prestazioni accessorie non possono
essere modificati senza il consenso di tutti i soci (art. 2345). La prestazione
87
accessoria, invece, non è disciplinata dal contratto di società, è di regola da un
altro accordo che si collega con quello di società, pur mantenendo la propria
autonomia. Chi somministra o chi esegue l’appalto opera, cioè, quale
somministrante ovvero quale appaltatore, non nella qualità di socio. La società
beneficia dell’adempimento pagando il corrispettivo tipico della prestazione
accessoria, cioè il prezzo. I limiti alla circolazione delle azioni cui si connettono le
prestazioni accessorie provano che esse assumono importanza per la società pur
traendo origine da un rapporto contrattuale soltanto parallelo all’atto costitutivo.
Cessazione della qualità di socio
La cessazione della qualità di socio può avvenire:
 per volontà della società, in caso di trasferimento coattivo delle azioni del
socio moroso con dichiarazione di decadenza dello stesso;
 per volontà del socio, che può esercitare:
o il diritto di recesso, in determinate circostanze;
o il trasferimento delle azioni;
 per volontà di terzi, in caso di espropriazione mobiliare delle azioni, su
istanza dei creditori particolari del socio forniti di titolo esecutivo.
I titoli azionari
Le quote di partecipazione alla società sono rappresentate da azioni: documenti
sottoscritti da uno degli amministratori, che costituiscono frazioni del capitale sociale. Le
azioni non possono essere emesse per una somma inferiore al loro valore
nominale, al fine di evitare che il capitale sociale sia soltanto apparente, e devono
indicare:
 la denominazione, la sede e la durata della società;
 la data dell’atto costitutivo e della sua iscrizione;
 il loro valore nominale e l’ammontare del capitale sociale;
 i diritti e gli obblighi particolari ad esse inerenti;
 la sottoscrizione di uno degli amministratori.
L’azione attesta la qualità di socio e pertanto ha:
 una funzione di legittimazione, in quanto chi la possiede può esercitare i diritti
di socio;
 una funzione di trasferimento, in quanto chi trasmette il documento trasferisce
la qualità di socio110.
Quanto al valore dell’azione, possiamo distinguere:
 un valore nominale, corrispondente alla parte di capitale sociale che essa
rappresenta;
 un valore effettivo (o valore di borsa, per le azioni quotate), che consiste
invece nel valore di mercato dell’azione.
Categorie di azioni
Considerando che le azioni devono essere di uguale valore e conferiscono uguali
diritti, la posizione dei soci dovrebbe variare soltanto in funzione della maggiore o
minore ampiezza del numero che ne è stato sottoscritto (art. 2348). Sennonché
questa disposizione, al secondo comma, permette di creare categorie di azioni fornite
L’azione è liberamente trasferibile con le forme dei titoli di credito ma non è un titolo di credito
poiché non attribuisce al possessore un diritto letterale, autonomo e astratto.
110
88
di diritti diversi. Se i soci intendono giovarsi di tale opportunità sono tenuti ad
inserire la relativa previsione nell’atto costitutivo ovvero a modificarlo
successivamente. L’art. 2350 stabilisce che ogni azione attribuisce il diritto ad una
parte proporzionale degli utili netti e del patrimonio netto risultante dalla
liquidazione, salvi i diritti stabiliti a favore di speciali categorie di azioni. La regola
è, dunque, nel senso che le azioni attribuiscono uguali diritti; l’eccezione è che è
possibile diversificarli. La conseguenza di tale ultima ipotesi è che se i soci se ne
avvalgono la società risulta articolata in diverse categorie di azionisti e la
diversificazione può, addirittura, interessare il diritto di voto. L’art. 2351 prescrive
che esso è attribuito ad ogni azione. L’atto costitutivo può, tuttavia, stabilire che le
azioni privilegiate nella ripartizione degli utili e nel rimborso del capitale allo
scioglimento della società abbiano diritto di voto soltanto nelle assemblee
straordinarie. La posizione degli azionisti privilegiati, affermata dall’art. 2351, è
segnata proprio da questi tratti: a fronte del rafforzamento dell’interesse
patrimoniale subiscono la parziale limitazione del diritto di voto, il cui esercizio è
circoscritto alle assemblee straordinarie con esclusione di quelle ordinarie. Gli
azionisti di risparmio non dispongono, in nessun caso del voto, né nell’assemblea
ordinaria né in quella straordinaria; a fronte di questo sacrificio è stato,
significativamente ed innanzitutto, protetto il diritto all’utile e quello alla quota di
liquidazione. Gli utili netti, infatti, risultanti dal bilancio regolarmente approvato,
dedotta la quota di riserva legale, devono essere distribuiti alle azioni di risparmio
fino alla concorrenza del 5 per cento del loro valore nominale; non solo, poiché
questi azionisti concorrono, con gli altri, nella ripartizione dell’utile residuo; in
definitiva gli è assicurato un dividendo complessivo maggiorato, rispetto a quello
delle azioni ordinarie in misura pari al 2 per cento del valore nominale dell’azione.
Da condividere l’opinione secondo cui l’attribuzione dell’utile, fino alla
concorrenza del 5 per cento del valore non esige una deliberazione di ripartizione
dello stesso utile; è, cioè, sufficiente che esso risulti dal bilancio; automaticamente
l’azionista di risparmio ha diritto al relativo dividendo. Necessaria, viceversa, la
deliberazione per assegnare la parte dell’ulteriore utile, quella che permette di
sopravanzare gli azionisti ordinari. La tutela di questi soci non si esaurisce qui: se,
in effetti, non avessero ottenuto in un esercizio, il dividendo nella prescritta
misura complessiva, hanno diritto a conseguirlo nei due esercizi successivi. Le
azioni di risparmio non possono essere emesse per un ammontare che ecceda la
metà dell’intero capitale sociale; se la società ha emesso sia le une sia le altre, tale
soglia deve essere, comunque, rispettata. Questi i benefici fissati dalla normativa
di legge che possono essere ampliati dall’atto costitutivo ovvero da una successiva
modifica. I tratti che qualificano le azioni di risparmio accreditano il
convincimento che ai soci che ne sono titolari non competa il diritto di
impugnativa delle deliberazioni assembleari, attribuito al loro rappresentante
comune, cui è affidata la tutela della categoria, unitamente alla speciale assemblea
della quale questi azionisti fanno parte; a tali azioni sono attribuiti gli altri diritti.
Alle categorie dei soci di risparmio e privilegiati si può affiancare quella formata
dai dipendenti della società. L’art. 2349 prevede l’emissione di azioni a loro favore
per favorirne l’interessamento alle sorti della società. E’ possibile convertire a
capitale gli utili straordinari che la società intende destinare ai dipendenti, con
l’emissione di azioni che gli vengano assegnate. Un’altra categoria è quella dei
89
titolari delle azioni di godimento (art. 2353) riservate ai soci i cui titolari azionari
siano stati sorteggiati per ridurre il capitale sociale esuberante (art. 2445). In effetti,
gli azionisti le cui azioni siano state estratte e che, pertanto, escono dalla società,
compete la quota di liquidazione calcolata sul valore nominale e non su quello
reale; potrebbero, dunque, subire un pregiudizio se il valore reale risultasse
superiore. Vi si può allora ovviare con l’assegnazione di azioni di godimento che
permettono di partecipare alla distribuzione degli utili futuri, ancorché con
posterogazione rispetto ad altre categorie di soci.
Ricapitolando, possiamo quindi distinguere:
 azioni ordinarie, con normali diritti di partecipazione;
 azioni privilegiate, con priorità nella distribuzione degli utili o nella
restituzione del capitale;
 azioni di godimento, assegnabili in sostituzione delle azioni ordinarie
quando – in occasione di riduzione del capitale sociale – ne sia stato
rimborsato il valore nominale, sul presupposto che il valore dell’azione
ordinaria sia superiore, al momento del rimborso, al valore nominale, a
causa delle riserve esistenti;
 azioni assegnate ai prestatori di lavoro;
 azioni con prestazioni accessorie, che impongono al socio, oltre all’obbligo
del conferimento, prestazioni non consistenti in denaro;
 azioni di risparmio, istituite per tutelari i piccoli risparmiatori;
Categorie di azioni e rischio di impresa
La possibile articolazione delle società per azioni in categorie di soci, diversificate
dall’eterogeneità dei diritti, rende conto del fatto che la collocazione degli azionisti
nell’organizzazione è influenzata dalla diversa incidenza del rischio di impresa.
Questo è il fondamento dell’eccezione alla regola generale secondo cui l’azione
conferisce diritti uguali (art. 2348). Ogni categoria deve giovarsi di una protezione
adeguata e coerente con le proprie, particolari caratteristiche. Questo è il
fondamento dell’art. 2376 che prevede per ognuna di esse un’assemblea speciale di
cui è, appunto, speciale la competenza in contrapposizione a quella generale
dell’assemblea, ordinaria e straordinaria della società. Se queste ultime adottano
decisioni suscettibili di pregiudicare i diritti della speciale categoria, gli azionisti
che ne sono componenti devono approvare la decisione; in mancanza del loro
consenso, espresso nell’assemblea speciale, la deliberazione che li danneggia non è
efficace. Il pregiudizio deve colpire un diritto della categoria sia direttamente sia
indirettamente. Questa seconda eventualità è stata ricondotta all’esigenza di tutela
del c.d. diritto di rango teso a garantire l’equilibrio nel rapporto con le altre
categorie di soci; sufficientemente agevole la sua individuazione concettuale,
meno quella dei margini della concreta azionabilità.
La circolazione delle azioni
La circolazione delle azioni si attua secondo le norme prescritte per i titoli di
credito. Il trasferimento si effettua con al consegna del titolo e, per avere piena
efficacia, richiede la duplice formalità dell’annotazione del nome dell’acquirente
sul titolo e sul libro dei soci111.
Tali formalità, tuttavia, non devono essere necessariamente contestuali e possono compiersi
separatamente.
111
90
La legge pone alcuni limiti alla circolazione delle azioni e precisamente:
 no sono alienabili le azioni prima dell’iscrizione della società nel registro
delle imprese;
 non sono alienabili le azioni, corrispondenti ai conferimenti in natura,
prima della revisione della stima;
 non sono alienabili, senza il consenso degli amministratori, le azioni
connesse a prestazioni accessorie;
 non sono alienabili, senza il consenso degli amministratori, le azioni delle
società fiduciarie e di revisione.
Inoltre, la legge prevede che altre limitazioni possano essere imposte dall’atto
costitutivo e dai patti parasociali. In particolare, ai sensi dell’art. 2355, l’atto
costitutivo può sottoporre a particolari condizioni l’alienazione delle azioni
nominative. Le clausole limitative statutarie più frequentemente adottate sono:
 le clausole di gradimento, ovvero112:
o clausole che subordinano l’alienazione delle azioni al possesso, da
parte dell’acquirente, di determinati requisiti soggettivi o oggettivi;
o clausole che subordinano genericamente l’alienazione delle azioni al
benestare di un organo sociale;
o clausole che subrodinano l’alienazione delle azioni ad un placet
dell’assemblea, dei sindaci o degli amministratori (spesso
insindacabile e inappellabile);
 le clausole di prelazione, per le quali il socio che intenda liberarsi in tutto o
in parte delle sua azioni, debba preferire, a parità di prezzo, uno o tutti i
soci. Secondo la giurisprudenza prevalente, la violazione della clausola di
prelazione determinerebbe la nullità del trasferimento.
Tali clausole, se non previste dall’atto costitutivo, possono essere introdotte solo
all’unanimità, comportando la perdita di un diritto soggettivo del socio. Per
sopprimerle è sufficiente, invece, un’ordinaria delibera a maggioranza dato che il
risultato è il ripristino del regime legale di circolazione delle azioni.
Per quanto rigurda i patti parasociali, già di è detto dei sindacati di blocco,
stipulati da due o più soci, che limitano o impediscono la circolazione delle azioni
da essi possedute. Tali accordi sono legittimi, ma il divieto di alienazione non è
valido se non è contenuto entro convenienti limiti temporali e se non risponde au
un apprezzabile interesse di una delle parti (art. 1379). La violazione dei patti,
avendo questi efficacia meramente obbligatoria ed esterna alla società, non
invalidano il trasferimento ma fanno sorgere soltanto l’obligo del risarcimento del
danno.
Sindacati di collocamento e offerte pubbliche
Dei sindacati di collocamento ne abbiamo già parlato a proposito dei patti
parasociali. Sarà quindi sufficiente ricordare che in virtù degli stessi, due o più
soggetti si obbligano reciprocamente a sottoscrivere azioni da collocare
successivamente sul mercato, alle condizioni ed al momento opportuni,
assumendo l’impegno di trattenere per sé i titoli non collocati.
L’art. 22 della L. 281/85 ha testualmente stabilito che “sono inefficaci le clausole degli atti costitutivi
di società per azioni, le quali subordinano gli effetti del trasferimento delle azioni al mero gradimento di
organi sociali”.
112
91
Le offerte pubbliche, invece, si correlano ad operazioni di trasferimento di titoli
attraverso le quali possono anche realizzarsi cambi di maggioranze o di controlli
societari.
Offerte pubbliche di vendita e di sottoscrizione
L’abrogata disciplina, contenuta nel capo I della L. 149/92, riguardava le offerte al
pubblico aventi per oggetto azioni, obbligazioni convertibili o altri titoli o diritti
che comunque consentono di acquistare diritti di voto: già emessi (offerta di
vendita), ovvero di nuova emissione (offerta di sottoscrizione). Attualmente il
fenomeno viene ricondotto dal T.U. n. 58/98 nell’ambito dell’appello al pubblico
risparmio e la relativa disciplina deve essere fissata dalla Consob nel rispetto dei
principi generali fissati dall’art. 94 in tema di sollecitazione all’investimento113.
Offerte pubbliche di acquisto e di scambio
L’offerta pubblica di acquisto o di scambio si sostanzia in ogni offerta, invito ad
offrire o messaggio promozionale, in qualsiasi forma effettuati, finalizzati
all’acquisto o allo scambio di prodotti finanziari, rivolti ad un numero di soggetti e
per un ammontare complessivo superiori a determinate soglie fissate dalla Consob
con proprio regolamento. Chi intende lanciare l’OPA ha l’obbligo di presentare
preventivamente alla Consob un documento, destinato alla pubblicazione,
contenente le informazioni necessarie per consentire ai destinatari di pervenire ad
un fondato giudizio sull’offerta. L’offerta pubblica di acquisto o di scambio:
 è irrevocabile (tuttavia può essere condizionata al raggiungimento di un
quantitativo minimo);
 deve essere rivolta, a parità di condizioni, a tutti gli azionisti di una stessa
categoria o a tutti i titolari di azioni convertibili della medesima società;
 deve avere una durata, concordata con la Consob, non inferiore a 15 e non
superiore a 35 giorni.
L’OPA, solitamente volontaria, risulta invece obbligatoria in due casi:
 offerta successiva: chiunque, a seguito di acquisti a titolo oneroso, venga a
detenere una partecipazione superiore alla soglia del 30% del capitale di
una società quotata in Italia deve promuovere un’offerta pubblica di
acquisto sulla totalità delle azioni ordinarie di quella società. L’offerta deve
essere promossa, entro 30 giorni, ad un prezzo non inferiore alla media
aritmetica fra il prezzo medio ponderato di mercato degli ultimi 12 mesi e
quello più elevato pattuito nello stesso periodo dall’offerente per acquisti di
azioni ordinarie;
 offerta residuale: chiunque, a seguito di acquisti a titolo oneroso o per
qualsiasi causa, detenga più del 90% del capitale votante in una società
quotata deve promuovere un’offerta pubblica di acquisto sulla totalità dei
titoli ancora in circolazione ed il prezzo deve essere determinato dalla
Consob.
In caso di violazione delle norme sull’OPA obbligatoria, l’art. 110 prevede la
sospensione del diritto di voto per l’intera partecipazione detenuta, nonché
l’obbligo di alienazione, entro 12 mesi, della partecipazione detenuta in eccedenza.
113
Per una trattazione dell’argomento si rimanda alla sezione sui mercati mobiliari.
92
Pegno, usufrutto e sequestro di azioni
Le azioni possono essere oggetto di diritti reali limitati, nonché di sequestro e di
esecuzione forzata, indipendentemente dalla circostanza che siano stati emessi, o
meno, i relativi certificati. Nei casi di pegno e di usufrutto:
 spettano all’usufruttuario ed al creditore pignoratizio il diritto di voto e
tutti i diritti funzionali, dipendenti o connessi al diritto di voto;
 spettano al creditore pignoratizio ed all’usufruttuario gli utili;
 spettano al socio il diritto di recesso e di opzione.
Quanto al sequestro ed al pignoramento:
 secondo parte della dottrina, l’esercizio dei diritti sociali compete al
soggetto cui è affidata la custodia dei titoli;
 altri autori distinguono fra sequestro giudiziario e sequestro conservativo
ed affermano che nel primo caso il diritto di voto spetta al sequestratario,
nel secondo al socio.
L’elemento patrimoniale nella S.p.A.
Capitale e patrimonio sociale
Il capitale sociale è il valore in denaro dei conferimenti degli azionisti, quale
risulta dalla valutazione fatta nell’atto costitutivo. Esso, per legge, non può essere
inferiore a 200 milioni di lire e può essere variato solo mediante apposite delibere.
Il patrimonio sociale è il complesso di attività e passività della società in un dato
momento e varia – quindi – secondo le vicende della società.
Capitale e patrimonio sociale coincidono soltanto all’atto della costituzione della
società, quando, cioè, non è ancora stata intrapresa alcuna attività. In seguito, può
accadere che il valore effettivo del patrimonio netto:
 sia superiore alla cifra capitale, in conseguenza di incrementi patrimoniali
(utili) non distribuiti ai soci, oppure in conseguenza dell’aumento di valore
dei cespiti già esistenti;
 si riduca al di sotto della cifra capitale, in conseguenza di perdite. In tal caso, se
la riduzione supera un terzo del capitale, il rapporto tra patrimonio netto e
capitale sociale deve essere ripristinato attraverso la riduzione del capitale
medesimo in proporzione delle perdite accertate.
Il capitale sociale è tutelato nella sua integrità dalla legge attraverso:
 la determinazione di criteri peculiari per la redazione e la valutazione delle
poste di bilancio;
 la specificazione delle norme sugli ammortamenti e sugli accantonamenti;
 la previsione dell’obbligo di formazione della riserva legale;
 varie norme dettate per impedire che il capitale sottoscritto subisca
compromissioni attraverso operazioni di c.d. annacquamento114.
114
Trattasi delle norme contenute negli artt.:
 2443 bis: disposizioni limitative degli acquisti, da parte della società di beni o di crediti dei
promotori, fondatori, soci e amministratori;
 2346 e 2420 bis: divieto di emissione di azioni o obbligazioni convertibili in azioni al di sotto
del valore nominale;
 da 2357 a 2357 quater: divieto per la società di acquistare e sottoscrivere proprie azioni, se
l’acquisto non è fatto con utili regolarmente accertati e se le azioni non sono integralmente
liberate;
93
I fondi di riserva
Le riserve sono immobilizzazioni di utili, imposte dalla legge o dallo statuto della
società oppure create volontariamente dall’assemblea al fine di assicurare la
stabilità del capitale sociale di fronte alla oscillazione dei valori e di fronte a
perdite che possono verificarsi in singoli esercizi e per dotare la società di nuovi
mezzi finanziari in funzione dei suoi prevedibili sviluppi. Possiamo individuare
varie tipologie di riserve, in particolare:
 la riserva legale ordinaria: l’art. 2430 stabilisce che dagli utili netti annuali
della S.p.A. deve essere dedotta ed accantonata una quota, in misura
corrispondente almento alla ventesima parte di essi, fino a raggiungere il
quinto del capitale sociale. La riserva legale, dunque, è un vincolo di
indisponibilità che colpisce una parte degli utili conseguiti, allo scopo di
rafforzare la garanzia dei creditori e di consentire alla società di superare
eventuali crisi senza intaccare il capitale sociale;
 le riserve facoltative o straordinarie: le società, per una prudente
amministrazione, possono liberamente costituire riserve ulteriori a quella
legale. A tali riserve può attingersi specialmente per aumenti gratuiti di
capitale;
 la riserva statutaria: tale riserva può essere eventualmente imposta dall’atto
costitutivo, in aggiunta a quella legale, al solo fine di rafforzare la posizione
economica della società;
 la riserva occulta: deriva dall’espediente contabile di stiamare talune
attività sociali ad un valore inferiore a quello effettivo (sottovalutazione
dell’attivo) ovvero di iscrivere al passivo poste correttive sproporzionate
all’effettivo deperimento o agli effettivi rischi (sopravalutazione del
passivo), al fine di dissimulare utili effettivamente conseguiti per evitare la
loro distribuzione agli azionisti o per sottrarli alla tassazione fiscale 115.
Il bilancio di esercizio
Ai sensi dell’art. 2423 del cod. civ. si ricava che il bilancio di esercizio è il documento
contabile da redigersi al termine di ogni esercizio annuale, che deve rappresentare – con
chiarezza ed in modo veritiero e corretto – la situazione patrimoniale e finanziaria della
società e il risultato economico dell’esercizio. Il bilancio di esercizio è uno strumento di
informazione i cui diretti destinatari sono i soci da una parte, i creditori e i tezi in
generale dall’altra. Esso è costituito:
 dallo stato patrimoniale, che contiene la descrizione e la valutazione del
patrimonio della società;


2358: divieto di anticipazioni sulle proprie azioni e di prestiti per l’acquisto delle stesse;
2359 bis: divieto di investimento, da parte di una società controllata, del proprio capitale in
azioni delle società controllante o di altra società da questa controllate;
 2360: divieto di sottoscrizione reciproca di azioni;
 2433: divieto di pagare utili non realmente conseguiti;
 2446: obbligo di riduzione del capitale nel caso in cui il patrimonio risulti diminuito di
oltre 1/3 in conseguenza di perdite.
115 Secondo la Cassazione le riserve occulte debbono considerarsi illecite allorquando la
sottovalutazione dell’attivo o la sopravvalutazione del passivo superino “il limite di ogni
ragionevolezza”, così da non potere apparire in alcun modo giustificate da principi di prudenza.
94

dal conto economico, che descrive tutte le variazioni intervenute nel
patrimonio durante l’esercizio;
 dalla nota integrativa, il cui contenuto è rivolto sostanzialmente a dare
ragione dei dati esposti nello stato patrimoniale e nel conto economico.
Ad esso vanno poi allegate:
 la relazione degli amministratori sulla gestione sociale;
 la relazione dei sindaci (per le società dotate di collegio sindacale);
 la relazione della società di revisione (per le società quotate).
Quanto alle funzioni del bilancio, esso deve:
 illustrare, al termine di ogni esercizio, il valore del patrimonio sociale;
 rappresentare la situazione finanziaria della società;
 indicare il risultato economico dell’esercizio, specificando gli utili
conseguiti o le perdite sofferte116;
La formazione del bilancio
Il bilancio di esercizio deve essere approvato dall’assemblea ordinaria della società
e questa – a tale scopo – deve essere convocata entro quattro mesi dalla chiusura
dell’esercizio sociale. La formazione del bilancio si articola nei seguenti punti:
 gli amministratori redigono il progetto di bilancio; indi lo comunicano al
collegio sindacale insieme ad una relazione sull’andamento della gestione
sociale e con i documenti giustificativi, almeno trenta giorni prima del
giorno in cui si terrà l’assemblea cui va sottoposto;
 il collegio sindacale formula proposte ed osservazioni sul progetto di
bilancio e riferisce all’assemblea sull’esercizio sociale e sulla tenuta della
contabilità, facendo proposte circa l’approvazione;
 copia del progetto di bilancio, insieme con le relazioni degli amministratori
e dei sindaci, deve rimanere depositata nella sede sociale durante i quindici
giorni che precedono l’assemblea, e fino all’approvazione, affinché i soci
possano prenderne visione;
 l’assemblea ordinaria delibera sul progetto di bilancio e, se lo approva,
delibera anche sulla distribuzione degli eventuali utili ai soci;
Opportunamente si è suggerito di qualificare il bilancio, per la funzione che svolge, atto di
organizzazione dell’impresa. Le sue rappresentazioni e le sue rilevazioni indicano le decisioni da
adottare che si riflettono sull’azionariato e sui terzi qualunque sia la misura del loro
coinvolgimento (per i primi in considerazione del fatto che si accerta se l’esercizio si è chiuso in
utile o in perdita). L’approvazione del bilancio costituisce, infatti, presupposto della deliberazione
di distribuzione dell’utile e, sulla base del risultato maturato, anche della ripartizione di acconti di
dividendo nell’esercizio successivo. Il bilancio dà ancora modo di verificare l’integrità del capitale
orientando per le necessarie iniziative. Si spiega, così, il progressivo e crescente interesse che la
normativa di legge ha riservato a questo rilevantissimo documento contabile. Già quella del codice
del 1942 risultava più specifica rispetto alle previsioni di quello di commercio del 1882, ancorché il
complesso delle disposizioni si sia rivelato assolutamente inidoneo per la realizzazione delle
rinnovate esigenze del mercato. Numerosi i successivi interventi il più rilevante dei quali è
rappresentato dall’attuazione della quarta e della settima direttiva comunitarie emanate con il Dlgs
n. 127 del 1991 che hanno apportato modifiche decisive che hanno mutato sia il contenuto del
bilancio sia i criteri per la redazione. Sono sottratte all’applicazione della nuova normativa le
banche e le società finanziarie che svolgono in via esclusiva o prevalente, anche indirettamente,
attività di raccolta e di collocamento del pubblico risparmio, le imprese di assicurazione e, con
alcune perplessità, quelli editoriali. Per converso, per ragioni di pratica semplificazione, alle società
di più ridotta dimensione è accordata la facoltà della redazione del bilancio in forma abbreviata.
116
95

una copia del bilancio approvato, corredata dalla relazione sulla gestione,
dalla relazione del consiglio sindacale e dal verbale di approvazione
dell’assemblea, deve essere depositata, a cura degli amministratori ed entro
30 giorni dall’approvazione, presso l’Ufficio del registro delle imprese,
ovvero inoltrata a mezzo di lettera raccomandata117;
Principi fondamentali del bilancio
L’art. 2423, 2° comma, individua i principi fondamentali del bilancio:
 il principio della chiarezza della redazione, in quanto il bilancio deve
risultare comprensibile da parte dei destinatari;
 il principio della verità e correttezza delle rappresentazioni, che si
sostanzia nel comportamento di buona fede del redattore del bilancio
rivolto a fornire ai destinatari una informazione adeguata alla
comprensione del valore rappresentato, scevra da qualsiasi intento di
strumentalizzazione118.
Altre due importanti regole sono poste dall’art. 2423:
 il redattore del bilancio deve fornire le informazioni complemetari
necessarie a dare una rappresentazione veritieria e corretta qualora la
quantità di informazioni prescritte non fosse sufficiente;
 il redattore è altresì obbligato a derogare ad uno qualsiasi dei precetti sul
bilancio nei casi eccezionali in cui la loro osservanza fosse incompatibile
con la rappresentazione veritiera e corretta che il bilancio deve offrire ai
suoi lettori.
Criteri di redazione
L’art. 2423 bis enuncia le regole giuridiche da seguire nella redazione del bilancio:
 al n. 1 specifica che la “valutazione delle voci deve essere fatta secondo
prudenza”, intendendosi per tale la subordinazione della stima positiva alla
certezza dei dati valutati e di quella negativa alla semplice probabilità dei
dati119;
 sempre al n. 1 viene enunciato il principio della continuità della gestione: la
valutazione delle voci deve essere fatta, cioè, nella prospettiva della
continuazione dell’attività120;
 al n. 3 specifica che “si deve tener conto dei proventi e degli oneri di competenza
dell’esercizio, indipendentemente dalla data dell’incasso o del pagamento”, ovvero
occorre rilevare proventi ed oneri nell’esercizio in cui si sono verificati e
non in quello in cui sono effettuati i relativi incassi e pagamenti (principio di
competenza);
Nello stesso termine le società non quotate in mercato regolamentato devono altresì depositare,
per l’iscrizione nel registro delle imprese, l’elenco dei soci riferito alla data di approvazione del
bilancio, con l’indicazione del numero di azioni posseduto da ciascuno, nonché dei soggetti diversi
dai soci che sono titolari di diritti o beneficiari di vincoli sulle azioni medesime.
118 Chiarezza, correttezza e rappresentazione veritiera costituiscono qualità essenziali del bilancio, i
principi base che ne segnano la redazione e che, opportunamente, sono definite clausole generali
sulle quali si modellano le molteplici regole particolari. Le clausole generali fissano gli obbiettivi di
fondo alla cui realizzazione contribuiscono le norme specifiche.
119 In altre parole nel bilancio si possono indicare esclusivamente gli utili realmente conseguiti e
debbono essere presi in considerazione rischi e perdite non certi ma probabili.
120 Il patrimonio deve essere valutato a valori di uso, in relazione all’efficienza produttiva dei beni –
e non di scambio – in un quadro dinamico dell’impresa.
117
96


al n. 5 rileva il principio di valutazione separata degli elementi patrimoniali: “gli
elementi eterogeneri – cioè – ricompresi nelle singole voci devono essere valutati
separatamente”. Ciò in quanto la valutazione complessiva di tali elementi
renderebbe possibile la compensazione degli utili separati su alcune
categorie di beni con le presunte perdite che dovrebbero essere rilevate su
altre categorie di beni e che in questo modo non risulterebbero dal bilancio;
al n. 6, infine, viene indicato il principio di continuità sostanziale dei bilanci
secondo il quale, “ i criteri di valutazione non possono essere modificati da un
esercizio all’altro”.
Contenuto dello stato patrimoniale
Si è sottolineato che il bilancio è formato dallo stato patrimoniale, dal conto
economico e dalla nota integrativa; il rigore che disciplina la redazione di questi
documenti è confermato dalla previsione secondo la quale nello stato patrimoniale
e nel conto economico non solo le voci devono essere iscritte separatamente, ma
anche nell’ordine indicato dagli art. 2424 e 2425. Tali voci sono articolate per
categorie che, contrassegnate da lettere maiuscole (A, B, C, D) sono ulteriormente
suddivise in sottocategorie, distinte con numeri romani, ancora suddivise in voci
contraddistinte da numeri arabi; talvolta un’ulteriore ripartizione è distinta da
lettere minuscole. Per ogni voce dello stato patrimoniale e del conto economico
deve essere indicato l’importo della voce corrispondente dell’esercizio precedente
per agevolare la comparazione e la valutazione dell’eventuale evoluzione. Si è
osservato che lo stato patrimoniale rappresenta la consistenza e la composizione
delle attività e delle passività e quelle dei mezzi finanziari. Lo stato patrimoniale è
articolato a colonne contrapposte, con iscrizione a sinistra delle attività e a destra
delle passività e del patrimonio netto. L’attivo è articolato per categorie (art. 2424):
A) crediti verso soci per versamenti ancora dovuti, con separata indicazione
della parte già richiamata;
B) immobilizzazioni, ripartite in immobilizzazioni immateriali, materiali e
finanziarie121;
C) attivo circolante che individua i beni acquistati grazie allo sviluppo
dell’attività e che sono destinati ad essere scambiati con altri beni122;
D) ratei e risconti, con separata indicazione del disaggio123 sui prestiti124.
Il passivo dello stato patrimoniale è articolato per categorie, segnatamente:
Le immobilizzazioni individuano i beni destinati ad impiego durevole nello svolgimento
dell’attività. Le immobilizzazioni immateriali sono ulteriormente ripartite nei costi di impianto e
ampliamento, in quelle di ricerca e di sviluppo, diritti di brevetto e utilizzazione delle opere
dell’ingegno ecc.. Le immobilizzazioni materiali sono suddivise nei terreni e fabbricati, negli
impianti e macchinario, nelle attrezzature industriali e commerciali. Le immobilizzazioni
finanziarie sono distinte tra quelle relative a partecipazioni, a crediti, ad altri titoli e ad azioni
proprie.
122 Tale voce è articolata: nelle rimanenze; nei crediti verso i clienti od altri; attività finanziarie che
non costituiscono immobilizzazioni; disponibilità liquide.
123 Il disaggio di emissione del prestito obbligazionario, è il saldo tra quanto riscosso presso
l’obbligazionista e il maggior importo che gli sarà dovuto alla scadenza del rapporto.
124 I ratei attivi individuano i proventi di competenza dell’esercizio che la società incasserà in quelli
successivi; i risconti attivi identificano i costi sopportati durante l’esercizio, ancorché di
competenza di quelli di successivi.
121
97
A)
il patrimonio netto, formato dal capitale sociale e dalle diverse riserve. E’
integrato dagli utili dei precedenti esercizi, ovviamente non distribuiti e da
quelli dell’esercizio che si è chiuso; è diminuito delle perdite pregresse,
portate a nuovo e di quelle maturate nel corso dell’esercizio. Lo somma di
queste voci, integrata degli utili, ovvero diminuita delle perdite, determina il
patrimonio netto. Tali voci formano il passivo ideale, diverso da quello
effettivo; individuano ciò che residua dell’attivo dopo aver detratto, gli
accantonamenti, i debiti ed i risconti passivi.
B) fondi per rischi ed oneri, suddiviso in quelli per trattamento di quiescenza ed
obblighi simili, per imposte ecc.
C) trattamento di fine rapporto di lavoro subordinato; nella relativa voce deve
essere indicato l’importo calcolato a norma dell’art. 2120;
D) debiti, suddivisi in obbligazioni, convertibili, verso banche, verso altri
finanziatori, acconti, fornitori, rappresentati da titoli di credito, debiti verso lo
imprese controllate, collegate, controllanti ecc.;
E) ratei e risconti; i costi, cioè, di competenza dell’esercizio chiuso, ma esigibili
in quelli successivi.
In calce allo stato patrimoniale devono essere indicati le garanzie prestate con
distinzione tra i fideiussori, avalli, altre personali e reali nonché, tra l’altro, i beni
di terzi ricevuti, ad esempio, in deposito (art. 2424).
Il conto economico
Mentre lo stato patrimoniale contiene una rappresentazione statica del patrimonio
alla fine dell’esercizio, il conto economico contiene una rappresentazione dinamica
dei movimenti del patrimonio nel corso dell’esercizio e fornisce spiegazioni circa il
saldo figurante nello stato patrimoniale. L’art. 2425 delinea lo schema di redazione
del conto economico, secondo le seguenti voci:
 valore della produzione (ricavi delle vendite e delle prestazioni ecc.);
 costi di produzione (per materie prime, beni di godimento, salari ecc.);
 proventi ed oneri finanziari;
 rettifiche di valore di attività finanziarie;
 proventi ed oneri straordinari.
Criteri di valutazione
L’esigenza che il bilancio soddisfi un’informazione oggettiva ed imparziale, a
beneficio dei soci, dei creditori ed in genere del mercato, giustifica il rigore
prescritto per le valutazioni che non riguardano i valori certi, ma quelli stimati. In
considerazione dell’importanza e della delicatezza del relativo compito degli
amministratori e con l’obbiettivo di impedire violazioni, la normativa di legge ha
fissato ulteriori criteri di cui l’organo amministrativo è obbligato ad avvalersi,
qualunque sia il cespite da valutare. Per circoscrivere, pertanto, i margini
dell’opinabilità, l’art. 2426 fissa rigorosi criteri di valutazione soltanto
eccezionalmente derogabili. Le immobilizzazioni devono essere iscritte al costo di
acquisto o di produzione (che comprende tutti i costi direttamente imputabili al
prodotto). Il criterio è privo di alternativa per le immobilizzazioni materiali ed
immateriali, non per quelle finanziarie che, se relative a partecipazioni in imprese
collegate o controllate, possono essere stimate anche nel rispetto di una regola
alternativa, quella del patrimonio netto; è consentito, cioè, iscriverle per un
importo pari alla corrispondente frazione del patrimonio netto risultante
98
dall’ultimo bilancio delle imprese controllate o delle collegate, con detrazione dei
dividendi ed operate le rettifiche richieste dai principi di redazione del bilancio
consolidato (art. 2426). I costi di impianto e di ampliamento, quelli di ricerca di
sviluppo e di pubblicità possono essere iscritti nell’attivo, con il consenso del
collegio sindacale, se hanno utilità pluriennale. L’avviamento, sempre con il
consenso del collegio sindacale, può essere iscritto nell’attivo se acquisito a titolo
oneroso e, comunque, nei limiti del costo per esso sostenuto che deve essere
ammortizzato entro un periodo di cinque anni. Il disaggio su prestiti deve essere
iscritto nell’attivo ed ammortizzato in ogni esercizio per il periodo di durata del
prestito. I crediti devono essere iscritti secondo il valore di presumibile
realizzazione. Le rimanenze, i titoli e le attività finanziarie che non costituiscono
immobilizzazioni, devono essere iscritti al costo di acquisto o produzione ovvero
al valore di realizzo; tale minore valore non può essere mantenuto nei successivi
bilanci se ne sono venuti meno i motivi. Il costo dei beni fungibili può essere
calcolato col metodo della media ponderata o con quelli “primo entrato, primo
uscito” o “ultimo entrato, primo uscito”. I lavori in corso su ordinazione possono
essere iscritti sulla base di corrispettivi contrattuali maturati con ragionevole
certezza. Le attrezzature industriali e commerciali, le materie prime sussidiarie e
di consumo possono essere iscritte nell’attivo ad un valore costante qualora siano
costantemente rinnovate e complessivamente di scarsa importanza in rapporto
all’attivo di bilancio. A questi criteri che intendono orientare rigidamente le
valutazioni degli amministratori è possibile derogare soltanto in casi eccezionali,
se cioè, la loro applicazione è incompatibile con l’obbiettivo della
rappresentazione veritiera e corretta. In questa eventualità l’organo
amministrativo può attribuire al cespite un valore superiore, ma nella nota
integrativa non solo deve motivare la deroga, ma è tenuto ad indicare anche la sua
influenza sulla rappresentazione della situazione patrimoniale, finanziaria e del
risultato economico.
La nota integrativa
Il contenuto della nota integrativa è specificato dall’art. 2427 ed è rivolto
sostanzialmente a dare ragione dei dati esposti nei conti patrimoniale ed
economico. La nota deve infatti evidenziare:
 i criteri applicati nella valutazione delle voci del bilancio e nelle rettifiche di
valore;
 i movimenti delle immobilizzazioni;
 le variazioni intervenute nelle varie poste dell’attivo e del passivo;
 l’elenco descrittivo delle partecipazioni possedute in imprese controllate e
collegate;
 i debiti assistiti di garanzie reali su beni sociali, con specifica indicazione
della natura delle garanzie;
 gli impgni non risultanti dallo stato patrimoniale;
 se significativa, la ripartizione dei ricavi delle vendite e delle prestazioni
secondo categorie di attività e secondo aree geografiche;
 il mumero medio dei dipendenti, ripartito per categoria;
 l’ammontare dei compensi spettanti agli amministratori ed ai sindaci;
 il numero ed il valore nominale di ciascuna categoria di azioni della società.
99
La relazione degli amministratori
La relazione degli amministratori, che deve accompagnare il bilancio di esercizio,
serve ad illustrare la situazione della società e l’andamento della gestione, nel suo
complesso e nei vari settori in cui essa ha operato, anche attraverso imprese
controllate, con particolare riguardo ai costi, ai ricavi e agli investimenti. In
particolare, dalla relazione devono risultare:
 le attività di ricerca e di sviluppo;
 i rapporti con imprese controllate, collegate, controllanti e imprese
sottoposte al controllo di queste ultime;
 il numero e il valore nominale sia delle azioni proprie sia delle azioni o
quote di società controllanti possedute dalla società, anche per tramite di
società fiduciaria o per interposta persona, con l’indicazione della quota di
capitale corrispondente;
 il numero ed il valore nominale sia delle azioni proprie sia delle azioni o
quote di società controllanti acquistate o alienate dalla società nel corso
dell’esercizio, anche per tramite di società fiduciaria o per interposta
persona, con l’indicazione della quota di capitale corrispondente, dei
corrispettivi riscossi o pagati e dei motivi degli acquisti e delle alienazioni;
 i fatti di rilievo avvenuti dopo la chiusura dell’esercizio;
 l’evoluzione prevedibile della gestione.
Entro tre mesi dalla fine del primo semestre dell’esercizio gli amministratori della
società con azioni quotate in borsa devono trasmettere al collegio sindacale una
relazione sull’andamento della gestione, redatta secondo i criteri stabiliti dalla
Consob con apposito regolamento.
Il bilancio in forma abbreviata
L’art. 2435 bis stabilisce che le società possono redigere il bilancio in forma
abbreviata quando, nel primo esercizio e successivamente per due esercizi
consecutivi, non abbiano superato due dei seguenti limiti:
 totale dell’attivo dello stato patrimoniale ammontante a L. 4.700 milioni;
 ricavi delle vendite e delle prestazioni ammontanti a L. 9.500 milioni;
 n. 50 dipendenti occupati in media durante l’esercizio.
Nel bilancio in forma abbreviata sono semplificati e ridotti gli schemi dello stato
patrimoniale e della nota integrativa. La redazione di gestione può essere omessa
a condizione che, nella nota integrativa, vengano fornite le notizie richieste ai
punti 3 e 4 dell’art. 2428. Le società che per due esercizi consecutivi superino due
dei limiti dianzi specificati dovranno tornare alla forma ordinaria di bilancio.
La revisione contabile
Nelle società con azioni quotate le funzioni di controllo della regolare tenuta della
contabilità sociale sono attribuite ad un società di revisione. La società di revisione
verifica:
 nel corso dell'esercizio, la regolare tenuta della contabilità sociale e la
corretta rilevazione dei fatti di gestione nelle scritture contabili;
 che i bilanci di esercizio e il bilancio consolidato corrispondano alle
risultanze delle scritture contabili e degli accertamenti eseguiti e che siano
conformi alle norme che li disciplinano.
100
La società medesima esprime, con apposite relazioni, un giudizio sul bilancio di
esercizio e consolidato, che può essere senza rilievi, con rilievi o negativo; ovvero
rilascia una dichiarazione di impossibilità di esprimere un giudizio: negli ultimi
due casi essa deve informare immediatamente la Consob.
Il bilancio consolidato
Nei casi in cui esistono situazioni di controllo tra due o più imprese, la legge
prevede la redazione di un bilancio consolidato che attraverso l'eliminazione dei
valori rappresentanti operazioni interne e l'aggregazione dei dati riferiti alle
relazioni con i terzi è finalizzato a descrivere l'andamento composito della
gestione. Sono obbligati a redigere il bilancio consolidato:
 le società per azioni, in accomandita per azioni ed a responsabilità limitata
che controllano un'impresa;
 le società cooperative e mutue assicuratrici che controllano società per
azioni, in accomandita per azioni o a responsabilità limitata;
 gli enti pubblici che hanno per oggetto esclusivo o principale un'attività
commerciale.
Struttura e contenuto del bilancio consolidato
Il bilancio consolidato viene predisposto dagli amministratori dell'impresa
controllante ed è costituito dallo stato patrimoniale, dal conto economico e dalla
nota integrativa. Le modalità di redazione dello stato patrimoniale e del conto
economico consolidati, la struttura ed il contenuto degli stessi, nonché i criteri di
valutazione possono essere modificati da un esercizio all'altro soltanto in casi
eccezionali e la deroga deve trovare specifica motivazione nella nota integrativa.
La data di riferimento del bilancio consolidato deve coincidere, di regola, con la
data di chiusura del bilancio dell'esercizio dell'impresa controllante, ma può
tuttavia coincidere con la data di chiusura dell'esercizio della maggior parte delle
imprese incluse nel consolidamento o delle più importanti di esse. Dev'essere
allegata al bilancio consolidato una relazione degli amministratori sulla situazione
complessiva delle imprese in esso incluse e sull'andamento della gestione nel suo
insieme e nei vari settori, con particolare riguardo ai costi, ai ricavi e dagli
investimenti. Il bilancio consolidato la relazione sulla gestione sono assoggettati al
controllo nelle forme previste per il bilancio d'esercizio dell'impresa controllante.
Una copia deve essere depositata nell'ufficio del registro delle imprese, insieme al
bilancio d'esercizio.
L’invalidità della deliberazione di approvazione del bilancio
È opportuno riprendere il discorso sull’invalidità delle deliberazioni assembleari:
sono viziate di nullità quelle il cui oggetto è illecito o impossibile, da annullabilità quelle
inficiate da carenze del procedimento attraverso il quale si perviene alla loro formazione.
Questi cenni agevolano l’introduzione di un profilo delicato che ha impegnato
dottrina e giurisprudenza: quello dell’invalidità della deliberazione assembleare di
approvazione del bilancio. Opportune appaiono alcune preliminari osservazioni
sulla rilevanza degli specifici interessi in gioco. Per un verso, quello che è tutelato
dall’informazione oggettiva ed imparziale del bilancio; per l’altro quello della
stabilità delle deliberazioni assembleari. L’indirizzo della giurisprudenza è
orientato per la linea del rigore: se la deliberazione approva un bilancio che
manchi di chiarezza e renda rappresentazioni non veritiere, il suo oggetto è
101
illecito, con la conseguenza che, ai sensi dell’art. 2379, l’atto è viziato da nullità;
chiunque ha interesse può impugnarlo senza limiti di tempo. Chi se ne avvale
deve aver concretamente ricevuto informazioni fuorvianti incompatibili con le
finalità di chiarezza e della rappresentazione veritiera; in difetto l’azione di nullità
non può essere proposta. La deliberazione di approvazione del bilancio potrebbe
risultare inficiata non soltanto da vizi relativi al suo contenuto, al suo oggetto, ma
anche da carenze del procedimento che ne consente l’adozione se non conforme
alla legge e all’atto costitutivo (art. 2377). L’irregolarità di ognuna delle fasi
attraverso le quali si sviluppa determinerebbe l’annullabilità dell’atto.
La distribuzione degli utili ai soci
La deliberazione di approvazione del bilancio acquista rilevanza decisiva poiché la
stessa assemblea decide anche sulla distribuzione dell’utile ai soci. A differenza
delle società di persone, in cui l’approvazione del bilancio comporta l’automatica
attribuzione degli utili ai soci, nelle società per azioni è indispensabile uno
specifico atto di destinazione, in mancanza del quale l’utile rimane nell’esclusiva
titolarità della società. Questa regola subisce una eccezione per le azioni di
risparmio che beneficiano di parte dell’utile di loro pertinenza per effetto diretto
della deliberazione di approvazione del bilancio. L’adunanza deve, quindi,
operare una scelta: se sia più conveniente ripartirlo, con immediato vantaggio per
gli azionisti ovvero impiegarlo per altre finalità. La decisione dell’assemblea è
condizionata dal bilancio dal quale deve risultare l’utile e che deve, altresì, essere
approvato; al pari è soluzione che propone all’adunanza che può condividerla o
respingerla. Necessario che la deliberazione che, per la soddisfazione dell’interesse
sociale, sacrifica quello del socio per la remunerazione, sia conforme ai principi di
correttezza buona fede e non persegua, invece, obbiettivi diversi, quello ad
esempio di indurre la minoranza, delusa dalla mancata distribuzione, ad
abbandonarne la comune impresa.
Dividendi sulle azioni possono essere corrisposti soltanto per utili realmente
conseguiti e risultanti dal bilancio regolarmente approvato. Se si verificano perdite
del capitale sociale, non può farsi luogo a ripartizione di utili fino a che il capitale
non sia integrato o ridotto in misura corrispondente. Gli utili netti non possono
essere integralmente distribuiti ai soci. Si deve procedere preventivamente, invero:
 all'accantonamento della quota di riserva legale;
 all'erogazione delle partecipazioni concesse ai promotori, ai soci fondatori
ed agli amministratori;
 all'eventuale accantonamento per far fronte a riserve statutarie.
I dividendi erogati in violazione delle prescrizioni di legge non sono ripetibili solo
allorquando i soci li abbiano riscossi in buona fede ed in base ad un bilancio
regolarmente approvato dal quale risultino utili corrispondenti ai dividendi di cui
è stata deliberata la distribuzione.
Acconti sui dividendi
Una vivace disputa divideva la dottrina sul problema della liceità della
distribuzione di acconti sui dividendi futuri. L'articolo 19 del DPR n. 30/86 ha
fornito una soluzione normativa la disputa, attraverso l'introduzione dell'articolo
2433 bis che ha fissato i seguenti principi:
102

la distribuzione di acconti sui dividendi è consentita solo alle società il cui
bilancio è assoggettato per legge alla revisione da parte di società iscritte
all'albo speciale;
 la distribuzione di acconti sui dividendi dev'essere prevista dallo statuto ed
è deliberata dagli amministratori dopo la certificazione e l'approvazione del
bilancio dell'esercizio precedente;
 non è consentita la distribuzione di acconti sui dividendi quando
dall'ultimo bilancio approvato risultino perdite relative all'esercizio o a
esercizi precedenti;
 l'ammontare degli acconti sui dividendi non può superare la minor somma
tra l'importo degli utili conseguiti dalla chiusura dell'esercizio precedente,
diminuito delle quote che dovranno essere destinate a riserva per obbligo
legale o statutario, e quello delle riserve disponibili;
 gli amministratori deliberano la distribuzione di acconti sui dividendi sulla
base di un prospetto contabile e di una relazione, dai quali risulti che la
situazione patrimoniale, economica e finanziaria della società consente la
distribuzione stessa. Su tali documenti deve essere acquisito il parere del
collegio sindacale;
 il prospetto contabile, la relazione degli amministratori e il parere del
collegio sindacale devono restare depositati in copia nella sede della società
fino all'approvazione del bilancio dell'esercizio in corso e i soci possono
prenderne visione.
Qualora sia successivamente accertata l'inesistenza degli utili risultanti dal
prospetto, gli acconti sui dividendi erogati in conformità con le disposizioni
anzidette non sono ripetibili se i soci li hanno riscossi in buona fede.
La tutela dell’integrità del capitale sociale e della riserva legale
A tutela dell’integrità del capitale sociale e della riserva legale, la legge pone
alcuni divieti ed alcuni obblighi a carico della società:
 divieto di emettere azioni per somme inferiori al loro valore nominale, onde
evitare che il capitale non sia effettivo per la parte corrispondente alla
differenza tra il valore delle azioni e il minor valore dei beni conferiti;
 divieto di emettere nuove azioni (e quindi aumentare il capitale) finché
quelle già emesse non siano interamente liberate;
 divieto agli amministratori di restituire i conferimenti agli azionisti o di
liberarli dall’obbligo di eseguirli;
 divietto alle società di acquistare azioni proprie utilizzando il patrimonio
sociale per un ammontare corrispondente al capitale sociale;
 limiti alle società nell’acquisto di azioni proprie;
 divieto alle società di sottoscrivere azioni proprie;
 divieto alle società di costituire o aumentare il capitale sociale mediante
sottoscrizione reciproca, contemporanea e connessa di azioni;
 divieto alle società di concedere anticipazioni su pegno di azioni proprie;
 divieto alle società di concedere mutui a terzi per l’acquisto di azioni
proprie;
 divieto alle società di accettare azioni proprie in garanzia, anche per
interposta persona o per tramite di società fiduciaria;
103





divieto alla società di distribuire ai soci le somme percepite per l’emissione
di azioni ad un prezzo superiore al loro valore nominale, fino a che la
riserva legale non abbia raggiunto il quinto del capitale sociale;
obbligo di reintegrare la riserva legale, in caso di diminuzione della stessa
per perdite, nella misura di 1/5 del capitale sociale, prelevando almeno la
ventesima parte degli utili netti annuali successivi;
obbligo per gli amministratori di convocare l’assemblea a cui sottoporre un
bilancio straordinario in caso di diminuzione del capitale di oltre 1/3 per
perdite;
obbligo dell’assemblea di deliberare la trasformazione della società o la
reintegrazione del capitale in caso di diminuzione del capitale al di sotto
del minimo legale;
l’art. 2343 bis prescrive, infine, che l’acquisto da parte della società – per un
corrispettivo pari o superiore al decimo del capitale sociale – di beni o di
crediti dei promotori, dei fondatori, dei soci, o degli amministratori deve
essere autorizzato dall’assemblea ordinaria qualora avvenga nei due anni
dalla iscrizione della società nel registro delle imprese.
Acquisto e sottoscrizione delle proprie azioni
L’art. 2357 fa espresso divieto alle società di acquistare azioni proprie, se non nei
limiti degli utili distribuibili e delle riserve disponibili risultanti dall’ultimo
bilancio regolarmente approvato. Nei limiti anzidetti, inoltre, possono essere
acquistate soltanto azioni interamente liberate.
L’acquisto deve essere autorizzato dall’assemblea, la quale ne fissa le modalità,
indicando in particolare il numero massimo di azioni da acquistare, la durata, non
superiore a diciotto mesi, per la quale l’autorizzazione è accordata, il corrispettivo
minimo ed il corrispettivo massimo. In nessun caso il valore nominale delle azioni
acquistate può eccedere la decima parte del capitale sociale tenuto conto anche
delle azioni possedute dalle società controllate.
Le azioni acquistate in violazione delle prescrizioni anzidette debbono essere
alienate secondo modalità da determinarsi dall’assemblea, entro un anno dal loro
acquisto. In mancanza, deve procedersi senza indugio al loro annullamento e alla
corrispondente riduzione del capitale. Qualora l’assemblea non provveda, gli
amministratori e i sindaci devono chiedere che la riduzione sia disposta dal
Tribunale secondo il procedimento previsto dall’art. 2446, secondo comma.
Tale disciplina non si applica, tuttavia, nei seguenti casi:
 in esecuzione di una deliberazione dell’assemblea di riduzione del capitale,
da attuarsi mediante riscatto e annullamento di azioni;
 a titolo gratuito, sempre che si tratti di azioni interamente liberate;
 per effetto di successione universale o di fusione;
 in occasione di esecuzione forzata per il soddisfacimento di un credito della
società, sempre che si tratti di azioni interamente liberate.
Gli amministratori possono disporre delle azioni proprie acquisite alle condizioni
di legge appena viste soltanto previa autorizzazione dell’assemblea, che deve
stabilire le relative modalità. Per tali azioni inoltre:
 il diritto agli utili e il diritto di opzione sono attribuiti proporzionalmente
alle altre azioni;
104

il diritto di voto è sospeso, ma le azioni medesime sono egualmente
computate ai fini del calcolo delle quote richieste per la costituzione e per le
deliberazioni dell’assemblea;
 deve essere costituita e mantenuta una riserva indisponibile, pari
all’importo delle azioni proprie iscritto all’attivo del bilancio;
Per quanto riguarda la sottoscrizione di azioni proprie, l’art. 2357 quater vieta
tassativamente tale possibilità. Chiunque abbia sottoscritto in nome proprio, ma
per conto della società, azioni di quest’ultima è considerato a tutti gli effetti
sottoscrittore per conto proprio. Della liberazione delle azioni rispondono
solidalmente, salvo che non dimostrino di essere esenti da colpa, i promotori, i soci
fondatori e, nel caso di aumento del capitale sociale, gli amministratori.
L’acquisto e la sottoscrizione delle azioni nel fenomeno del controllo
Il sistema normativo – relativamente alla sottoscrizione e all’acquisto di azioni
proprie – tutela l’integrità del capitale ed interessa tali operazioni anche se
effettuate tra la società controllante e le sue controllate. È innegabile, in effetti, che
in queste situazioni i pericoli risultino accentuati: in primo luogo in
considerazione del rapporto di controllo che potrebbe agevolare le manovre della
società controllante che indirizza l’attività della controllata; in considerazione,
altresì, della possibile fittizia movimentazione dei capitali. Anche con riferimento
a queste situazioni è opportuno distinguere le operazioni di acquisto da quelle di
sottoscrizione. Il Dlgs n. 315/1994 ha introdotto gli art. 2359 bis, ter e quater.
Identici i divieti già illustrati:
 l’acquisto da parte della controllata è consentito soltanto nei limiti degli
utili distribuibili e delle riserve disponibili risultanti dall’ultimo bilancio
approvato;
 può riguardare esclusivamente azioni interamente liberate;
 l’acquisto deve essere deliberato dall’assemblea alle condizioni e alle
modalità di cui all’art. 2357.
In nessun caso il valore nominale delle azioni può eccedere la decima parte del
capitale della società controllante e si deve tener conto delle azioni possedute dalla
medesima società controllante e dalle società da essa controllate. Deve essere
costituita una riserva indisponibile pari all’importo delle azioni della società
controllante, iscritta all’attivo del bilancio e deve essere mantenuta fin quando le
azioni non siano trasferite. La società controllata non può esercitare il voto
nell’assemblea della controllante. È, ovviamente, sanzionato l’acquisto effettuato
per il tramite di società fiduciaria o per interposta persona. Ai sensi dell’art. 2359
ter la trasgressione di questi limiti impone l’alienazione delle azioni entro un anno
dall’acquisto nel rispetto delle modalità decise dall’assemblea della società
controllata. In difetto, la controllante, deve procedere all’annullamento delle
azioni e alla corrispondente riduzione del capitale sociale con rimborso del socio
recedente; se non vi provvede la riduzione è decretata all’autorità giudiziaria su
iniziativa degli amministratori e dei sindaci. Identico rigore e identico divieto
assoluto riguarda la sottoscrizione di azioni o quote della controllante da parte
della controllata. Anche in questo caso le azioni sottoscritte in violazione della
preclusione si intendo sottoscritte dagli amministratori della controllante che
devono liberarle. È applicata anche la regola che colpisce le acquisizioni effettuate
da chi agisce in nome proprio, ma per conto della controllata. Il quadro dei
105
riferimenti normativi è completato dall’art. 5 della legge n. 216/1974, modificato
dal Dlgs n. 90 del 1992, che regola le situazioni di incrocio tra due società quotate
in borsa o delle quali anche una soltanto sia quotata.
Variazione del capitale sociale
Le variazioni del capitale sociale possono essere in aumento o in diminuzione e si
attuano mediante modificazioni dell’atto costitutivo, deliberate dall’assemblea
straordinaria, omologate dal Tribunale ed iscritte nel registro delle imprese.
Aumento di capitale
La deliberazione assembleare di aumento del capitale stabilisce lo stesso in una
cifra superiore a quella esistente. L’atto costitutivo può attribuire anche agli
amministratori la facoltà di aumentare il capitale, fino ad un ammontare
determinato e per il periodo massimo di 5 anni dalla data di iscrizione delle
società nel registro delle imprese. L’aumento di capitale può essere deliberato solo
se le azioni precedentemente sottoscritte siano state interamente liberate.
Per attuare l’aumento di capitale si possono seguire tre vie:
 conferimento di nuove attività da parte di soci o terzi;
 trasferimento in conto capitale di riserve o fondi disponibili125;
 imputazione a capitale dei c.d. “saldi attivi risultanti da rivalutazione per
conguaglio monetario”.
Il diritto di opzione
Il diritto di opzione consiste nel diritto spettante a ciascun socio di sottoscrivere le
azioni di nuova emissione in proporzione delle azioni da lui possedute, a
preferenza di altri soggetti al fine di:
 evitare un’alterazione delle partecipazioni sociali esistenti;
 offrire ai vecchi soci la possibilità di ulteriori investimenti per i loro capitali.
L’opzione si riconnette normalmente all’aumento di capitale, anche se la relativa
deliberazione non ne fa menzione. L’esclusione di tale diritto, infatti, può aversi
soltanto nei seguenti casi, tassativamente previsti dalla legge:
 per le azioni di nuova emissione che, secondo la deliberazione di aumento
del capitale, debbono essere liberate mediante conferimenti in natura;
 per deliberazioni dell’assemblea quando l’interesse della società lo esige,
cioè quando sussista un concreto interesse sociale che giustifichi il sacrificio;
 per deliberazione dell’assemblea, con la maggioranza richiesta per
l’assemblea straordinaria, quando le azioni di nuova emissione debbano
essere offerte in sottoscrizione ai dipendenti della società.
Riduzione di capitale
La riduzione del capitale sociale consiste nel portare lo stesso ad una cifra
inferiore, osservando il limite legale. Può dipendere da:
 perdite, in tal caso la riduzione è obbligatoria in alcune ipotesi e facoltativa
in caso di perdite inferiori;
 morosità di azionisti, se le loro azioni rimangono invendute o si annullano;
 recesso di azionisti;
125
Questo aumento di capitale può attuarsi:
 mediante aumento del valore nominale delle azioni in circolazione;
 mediante proporzionale assegnazione gratuita ai soci di nuove azioni;
 mediante assegnazione gratuita di azioni ai dipendenti della società.
106

inferiorità del valore dei beni conferiti in natura di oltre 1/5 rispetto al
valore per cui avvenne il conferimento;
 esuberanza dell’attivo patrimoniale sociale in relazione all’oggetto sociale
perseguito. In questo caso la deliberazione di riduzione del capitale può
eseguirsi solo dopo tre mesi dalla data della sua iscrizione, purché nessun
creditore abbia fatto opposizione.
La riduzione può ottenersi:
 rimborsando parte dei conferimenti ai soci, o liberandoli dall’obbligo di
eseguirli;
 acquistando azioni proprie ed annullandole;
 mediante sorteggio di azioni (per l’ammontare della riduzione) e rimborso
alla pari ai portatori.
La riduzione deve comunque effettuarsi con modalità tali che, in seguito ad essa,
le azioni proprie eventualmente possedute dalla società non eccedano la decima
parte del capitale sociale. Infine, allorquando siano state emesse delle obbligazioni,
il capitale non può essere ridotto ad una cifra inferiore all’importo delle
obbligazioni in circolazione.
Le obbligazioni
La società per azioni per ottenere finanziamenti può attingere al mercato non solo
offrendo azioni, ma anche particolari documenti definiti obbligazioni. Ricorrendo
all’emissione di azioni riceve capitale qualificato di rischio; chi le sottoscrive è
esposto all’alea di perdere ciò che ha destinato in società anche se il beneficio della
limitazione della responsabilità patrimoniale lo sottrae ad ulteriori sacrifici.
Diversa è la posizione dell’obbligazionista che non mette a disposizione capitale di
rischio, bensì un prestito di cui esige la restituzione con gli interessi, quindi
capitale di credito. L’emissione di obbligazioni è un’operazione con la quale la
società chiede al mercato mezzi finanziari che si obbliga a restituire. Peculiarità
essenziale dell’emissione di obbligazioni è la sua unitarietà; la società, in sostanza,
con un’unica operazione si rivolge ai risparmiatori per essere finanziata. La
provvista che richiede si pone come un’entità unitaria, frazionata in una
molteplicità di titoli della stessa natura e qualità, spesso assistiti dalle stesse
garanzie e sottoposti alla stessa disciplina; anche le obbligazioni sono,
conseguentemente, frazioni standardizzate di un unitario capitale (di credito). Le
obbligazioni sono ricomprese tra i titoli di credito e soggette alla relativa
disciplina:
 con riguardo all’incorporazione della posizione dell’obbligazionista nel
documento e la cui acquisizione in buona fede consente l’acquisto della
proprietà, sottraendo il possessore a rivendicazioni (art. 1994);
 con riguardo alla funzione di legittimazione che permette l’esercizio dei
diritti connessi con il titolo a prescindere dalla prova sulla proprietà,
sempreché il titolo obbligazionario sia stato trasferito nel rispetto della
legge di circolazione.
Le obbligazioni, che possono essere al portatore o nominative, devono indicare:
 la denominazione, l’oggetto e la sede della società con indicazione dell’ufficio
del registro delle imprese presso il quale la società è iscritta;
 il capitale sociale versato ed esistente al momento dell’emissione;
 la data della deliberazione dell’assemblea e la sua iscrizione nel registro;
107

l’ammontare complessivo delle obbligazioni emesse, il valore nominale di
ciascuna, il saggio di interesse e il modo di pagamento del rimborso;
 le garanzie da cui sono assistite (art. 2413).
I titoli obbligazionari appartengono ai titoli di massa, hanno eguale valore
nominale e attribuiscono uguali diritti.
Quanto alle varie tipologie di obbligazioni reperibili sul mercato, se ne vanno
diffondendo, anche in Italia, di nuove, con particolari caratteristiche tese ad
attenuare l’alea della svalutazione monetaria tipica dei titoli a reddito fisso e a
collegare i diritti dell’obbligazionista alle vicende economiche favorevoli
dell’impresa. Possiamo ricordare:
 obbligazioni di partecipazione, per le quali la misura dell’interesse degli
obbligazionisti è integrata da una certa partecipazione agli utili distribuiti
agli azionisti;
 obbligazioni parametrate, che assicurano agli obbligazionisti un interesse ed
un rimborso commisurato al prezzo di eventuali merci prodotte dall’attività
economica esercitata dalla società;
 obbligazioni convertibili in azioni126;
 obbligazioni con diritto di opzione su azioni;
La disciplina del prestito obligazionario
L’ampiezza dell’impegno che la società contrae spiega il limite posto all’emissione
delle obbligazioni, la cui somma complessiva non può eccedere il capitale versato
ed esistente secondo l’ultimo bilancio approvato (art. 2410); il parametro assunto
non è, dunque, il capitale sottoscritto, ma quello effettivamente versato. Il divieto
non solo tutela gli obbligazionisti ma assicura razionalità alla gestione delle
operazioni di finanziamento delle società per azioni, impedendo squilibri tra i
mezzi propri e quelli apprestati da terzi. Il limite fissato dall’art. 2410 può essere
superato quando:
 le obbligazioni sono garantite da ipoteca su immobili di proprietà della società
sino a due terzi del loro valore;
 l’eccedenza dell’importo delle obbligazioni rispetto al capitale versato è
garantito da titoli nominativi o garantiti dallo Stato, con scadenza non
anteriore a quella delle obbligazioni, ovvero da equivalente credito di
annualità o sovvenzioni a carico dello stato o enti pubblici;
 ricorrendo particolari ragioni che interessano l’economia nazionale la società
può essere autorizzata con provvedimento dell’autorità governativa, a
superare il limite.
Le obbligazioni convertibili in azioni possono considerarsi come figure intermedie fra le
obbligazioni e le azioni. Si rivolgono a quei soggetti che non sono allettati da una semplice forma di
investimento obbligazionario, né vogliono esporsi totalmente ai rischi di un investimento
azionario. Le obbligazioni convertibili, infatti, conferiscono in via alternativa il diritto al rimborso del
capitale prestato alla società (con i relativi interessi) e il diritto di sottoscrivere azioni. L’emissione di tali
tipi di obbligazione richiede due deliberazioni:
 la deliberazione di emissione, la quale deve determinare, fra l’altro, il rapporto di cambio
con le azioni e le modalità di conversione;
 la deliberazione contestuale di aumento del capitale sociale, per un ammontare
corrispondente al valore nominale delle obbligazioni convertibili.
Non si possono emettere obbligazioni convertibili se il capitale sociale non sia stato interamente
versato, né per somma inferiore al loro valore nominale.
126
108
La società non può ridurre il capitale se non in proporzione delle obbligazioni
rimborsate; se a causa di perdite, la riduzione è obbligatoria, sempre in protezione
degli interessi dei sottoscrittori, la misura della riserva legale deve continuare a
calcolarsi sulla base del capitale esistente al tempo dell’emissione, fino a che
l’ammontare dello stesso capitale e della riserva legale non eguaglino quello delle
obbligazioni in circolazione. Anche il rapporto tra la società emittente ed i
sottoscrittori dei titoli è segnato da unitarietà poiché ognuno di essi, in funzione
della propria convenienza, aderendo all’offerta, accetta di prestare una quota del
complessivo finanziamento; si instaura un rapporto contrattuale tra la società e il
singolo obbligazionista che è frazione dell’operazione globale. Tale rapporto si
riconduce al mutuo: la massa dei sottoscrittori assume l’unitaria posizione di
mutuanti, la società quella di mutuatario, debitore (una molteplicità di creditori
davanti all’unico debitore). La configurazione del rapporto tra società emittente e
sottoscrittori secondo lo schema del mutuo si riflette sulla disciplina del titolo
obbligazionario, come titolo di credito da annoverare tra quelli causali, influenzati
in misura significativa dal rapporto sottostante, nella specie, il contratto di mutuo.
L’organizzazione degli obbligazionisti
L’organizzazione degli obbligazionisti si articola in due organi:
 assemblea degli obbligazionisti, che delibera:
o sulla nomina e sulla revoca del rappresentante comune;
o sulle modificazioni delle condizioni del prestito;
o sulla proposta di amministrazione controllata e di concordato;
o sulla costituzione di un fondo per le spese necessarie alla tutela degli
interessi comuni e sul relativo rendiconto;
o sugli altri oggetti di interesse comune degli obbligazionisti;
 rappresentante comune degli obbligazionisti, al quale spetta:
o dare esecuzione alle deliberazioni dell’assemblea;
o rappresentare gli obbligazionisti nelle procedure concorsuali della
società;
o assistere alle operazioni di sorteggio delle obbligazioni ed all’assemblea dei soci;
o tutelare gli interessi comuni degli obbligazionisti nei rapporti con la
società.
Gli organi sociali nella S.p.A.
L’assemblea dei soci
Nella società per azioni l’attività è esercitata attraverso l’apparato organizzativo le
cui competenze sono fissate dalla legge, con alcuni margini concessi all’autonomia
contrattuale delle parti. È stata sottolineata la singolarità del legame tra la
componente negoziale e quella strutturale organizzativa propria delle imprese a
base capitalistica che rileva anche nella fase di svolgimento dell’attività.
L’esercizio dell’impresa richiede decisioni tempestive e consapevoli cui
contribuiscono gli organi della società in conformità dei rispettivi compiti
istituzionali: deliberativo rimesso all’assemblea, amministrativo al consiglio di
amministrazione o all’ammin-istratore unico, di controllo affidato al collegio
sindacale. I soci possono incidere in parte, con opportune previsioni dell’atto
costitutivo o dello statuto, sul funzionamento di questi organi, ma non possono
109
sopprimerli. L’assemblea pone le basi per lo svolgimento dell’attività nominando e
revocando gli amministratori e i sindaci e approvando il bilancio (2364). In sede
straordinaria delibera sulle modificazioni dell’atto costitutivo, sull’emissione di
obbligazioni, sulla nomina, sui poteri e sulla revoca dei liquidatori (art. 2365). La
distinzione tra la seduta ordinaria e straordinaria è indotta dalla diversità degli
argomenti, e, di riflesso, dalla diversità dei quorum costitutivi e deliberativi;
l’ordinaria deve riunirsi almeno una volta all’anno, entro quattro mesi dalla
chiusura dell’esercizio, salva l’eventualità in cui l’atto costitutivo preveda un
termine maggiore non superiore in ogni caso a sei mesi, quando particolari
esigenze lo richiedono. Questa riunione, almeno annuale, è imposta dalla necessità
dell’approvazione del bilancio che rende conto della situazione patrimoniale e dei
risultati dell’attività. Lo schema legale non assegna all’assemblea una competenza
diretta in tal senso; le riserva, invece, quella mediata, relativa alla nomina degli
amministratori e all’approvazione del bilancio. Questo disegno può, tuttavia,
subire degli adattamenti in funzione delle concrete necessità sia per iniziativa dei
soci sia per quella degli stessi amministratori. L’art. 2364 n. 4 stabilisce, infatti, che
l’assemblea ordinaria delibera sugli altri oggetti attinenti alla gestione della società
riservati alla sua competenza dall’atto costitutivo o sottoposti al suo esame dagli
amministratori. Occorre, dunque, definire l’oggetto e i limiti dell’estensione dei
compiti dell’organo deliberativo. Se, in effetti, le decisioni di natura gestionale
competessero, monopolisticamente ovvero soltanto in misura rilevante,
all’assemblea, verrebbe meno la responsabilità illimitata degli amministratori
verso i creditori, il singolo socio ed il singolo terzo: gli amministratori agendo, in
effetti, in conformità delle deliberazioni assembleari opererebbero in esecuzione di
atti altrui che si limiterebbero ad attuare; con un ulteriore, negativo riflesso per i
creditori ai quali sarebbe precluso agire nei confronti dell’assemblea.
Notoriamente irresponsabile. Accertato che l’ampliamento delle sue competenze
incontra il limite dell’esautoramento dell’organo amministrativo; accertato che la
gestione esige permanente continuità con il compimento di atti quotidiani,
coordinati e unitariamente finalizzati, l’esercizio, cioè, di una attività; accertata
l’ampiezza del potere di legale rappresentanza degli amministratori che non è
limitabile nei confronti dei terzi si delinea l’estensione della competenza gestionale
dell’assemblea che integra quella relativa alla nomina delle cariche sociali e
dell’approvazione del bilancio: l’assemblea può deliberare sui singoli atti di
amministrazione, ma non sull’intera attività, unitariamente coordinata e
finalizzata, quindi, soltanto su episodi, anche se rilevanti. I soci con l’atto
costitutivo o con una successiva modifica, possono attribuire all’assemblea
competenze mirate, contingenti, non quelle sull’intero svolgimento dell’impresa,
inderogabilmente rimesse all’organo amministrativo. Del resto, nella pratica, è
frequente che gli azionisti si riservino specifiche decisioni (costituzione delle
garanzie, dismissione di immobili). Ma il rapporto non si sviluppa con il solo
trasferimento di competenze agli amministratori all’assemblea, poiché è consentito
anche il processo inverso: l’assemblea può, in effetti, demandare proprie
competenze agli amministratori delegandoli al compimento di particolari
operazioni, quali l’aumento del capitale sociale ovvero l’emissione di obbligazioni
che, di regola, investendo modifiche dell’atto costitutivo o l’assunzione di rilevanti
impegni finanziari, spettano all’adunanza degli azionisti. La delicatezza del
110
profilo che investe la responsabilità degli amministratori e, in primo luogo, quella
verso i creditori sociali, suggerisce di distinguere due diverse situazioni. Quella
nella quale la decisione di carattere gestionale compete all’assemblea, in
conformità dell’atto costitutivo e in ordine alla quale è, senz’altro, più corretto
riconoscere che il potere di sindacato degli amministratori non viene meno e che,
pertanto, sono tenuti a valutare la convenienza, per la società, della deliberazione
degli azionisti. Per converso, se la deliberazione fosse stata adottata su
sollecitazione degli amministratori, i margini della sua valutazione,
inevitabilmente, si ridurrebbero. La linearità e la correttezza del rapporto tra
assemblea e amministratori contribuisce ad assicurare la legalità dell’attività che è,
comunque, garantita da molteplici regole.
La convocazione
I soci riuniti in assemblea formano, votando, la volontà della società. Intangibili
permangono le competenze dell’assemblea sulle nomine alle cariche sociali e
sull’approvazione del bilancio, nonché quelle sulle modifiche dell’atto costitutivo
e sull’emissione di obbligazioni, queste ultime delegabili agli amministratori; ma
l’impresa è svolta al di fuori dell’assemblea; i suoi tempi e le modalità attraverso le
quali si adottano le decisioni non sono con essa compatibili. Il lungo periodo che
intercorre tra il momento della sua convocazione e quello della riunione urta con
le esigenze del mercato, segnatamente con i ritmi della concorrenza. L’adunanza
in quelle di grandi dimensioni, normalmente, si risolve in un cerimoniale vuoto,
scandito dal rigoroso rispetto di molteplici fasi ed il cui esito è scontato. Nelle
società di medie, piccole dimensioni il fenomeno non segnala tali esasperazioni
poiché la ridotta base azionaria permette, ancora, il parziale, ma diretto
coinvolgimento degli azionisti. L’assemblea è organo collegiale che decide nel rispetto
della regola maggioritaria. Le sue deliberazioni esauriscono un unitario ed articolato
complesso di fasi che prendono il via dalla convocazione; si sviluppano con la
costituzione e discussione degli argomenti in esame, ed infine, appunto, con le
deliberazioni; lo svolgimento dei lavori viene progressivamente verbalizzato. La
convocazione dell’assemblea compete, innanzitutto, all’organo amministrativo. Se la
società è organizzata con un consiglio di amministrazione la decisione di riunire
gli azionisti deve essere assunta con una deliberazione dello stesso consiglio. Gli
amministratori sono tenuti a convocare l’assemblea per l’approvazione del
bilancio quattro mesi dopo la chiusura dell’esercizio ovvero, se particolari
esigenze lo giustifichino, non oltre i due mesi successivi. Possono sollecitare la
convocazione gli azionisti che rappresentano il venti per cento del capitale (2367).
Si discute se i soci richiedenti possano indicare, senza limitazione, gli argomenti
che intendono discutere. Il solo limite, oggettivamente insuperabile, parrebbe
quello della liceità e della possibilità delle materie proposte. L’art. 2367 tutela i
diritti delle minoranze consentendogli un ruolo attivo e di proposizione che li
sottrae al pericolo della passiva soggezione alle scelte, ancorché legittime, del
gruppo di comando. Da non condividere, allora, è l’opinione secondo cui la
richiesta di convocazione dovrebbe essere valutata alla stregua del rigoroso
rispetto delle competenze assembleari: l’estraneità dell’argomento giustificherebbe
il rifiuto degli amministratori di riunire gli azionisti. Questa impostazione svilisce
il significato del rapporto tra la maggioranza e la minoranza e tralascia di
considerare che altro è la richiesta di convocazione, altro è la deliberazione che
111
può seguirne. Nell’eventualità che si dichiari incompetente, i soci richiedenti
potrebbero impugnare la decisione. Se si precludesse, in radice, l’opportunità di
sollecitare la riunione si rischierebbe di frustrare ulteriormente l’interesse della
minoranza costretta ad avvalersi dell’azione di responsabilità nei confronti degli
amministratori anche, e forse, ai sensi dell’art. 2395. L’assemblea deve essere
convocata anche quando specifiche circostanze lo esigano ( deliberare l’acquisto di
azioni proprie, ammissione a concordato preventivo ). Se gli amministratori non
provvedono, la necessaria convocazione compete ai sindaci che la curano, altresì,
quando vengono a mancare tutti gli amministratori o l’amministratore unico.
Competenze e quorum
In funzione degli argomenti da trattare l’assemblea si articola in:
 ordinaria (2364), le cui competenze sono:
o l’approvazione del bilancio;
o la nomina degli amministratori, dei sindaci e del presidente del
collegio sindacale;
o la determinazione del compenso degli amministratori e dei sindaci
se non è stabilito nell’atto costitutivo;
 straordinaria (2365), le cui competenze sono:
o delibera sulle modificazioni dell’atto costitutivo;
o delibera sulle modificazioni sull’emissione delle obbligazioni;
o delibera sulle modificazioni sulla nomina e sui poteri dei liquidatori.
Diversi anche i quorum deliberativi dell’ordinaria rispetto a quelli della
straordinaria; ma non per questo viene meno l’unitarietà dell’organo deliberativo.
Nella pratica, normalmente, assemblea ordinaria e straordinaria si svolgono senza
soluzione di continuità; si inizia con la prima cui segue la seconda; e al limite non
risulterebbe viziata la convocazione che non distinguesse tra assemblea ordinaria e
straordinaria, sempreché siano inequivocabilmente scanditi gli argomenti dell’una
e dell’altra. Quando l’assemblea viene convocata, i soci ne devono essere
informati; l’esigenza è soddisfatta dall’avviso con l’indicazione del giorno, dell’ora
e del luogo dell’adunanza e l’elenco delle materie da trattare. L’avviso deve essere
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale almeno quindici giorni prima di quello della
riunione. L’avviso di convocazione può indicare la data dell’assemblea in seconda
convocazione ma in questo caso l’adunanza non può tenersi nello stesso giorno
fissato per la prima. Se, invece, la data della seconda convocazione è omessa,
l’assemblea deve essere riconvocata nei trenta giorni successivi a quella stabilita
per la prima convocazione e il termine di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale
non è più di quindici giorni bensì di otto. Per le società quotate in borsa è prevista
anche una terza convocazione dell’assemblea straordinaria qualora i soci intervenuti
in seconda convocazione non rappresentino il capitale sociale necessario per
deliberare. Con la seconda convocazione si intende mettere a disposizione degli
azionisti un’ulteriore occasione per deliberare. L’assemblea ordinaria, in effetti, è
regolarmente costituita con la presenza di tanti soci che rappresentino almeno la
metà del capitale sociale, escluse dal computo le azioni a voto limitato; delibera a
maggioranza assoluta, salvo che l’atto costitutivo richieda una maggioranza più
elevata. Per l’assemblea straordinaria non è previsto un quorum costitutivo che,
pure, si trae indirettamente, ma è prescritto quello deliberativo: le delibere devono
essere adottate con voto favorevole di tanti soci che rappresentino più della metà
112
del capitale sociale, se l’atto costitutivo non richiede una maggioranza più elevata
(2368). In seconda convocazione l’assemblea ordinaria, per la quale in questo caso
non è richiesto un quorum costitutivo, delibera qualunque sia la parte di capitale
rappresentata dai soci intervenuti; quella straordinaria, sempre in seconda seduta,
decide con il voto favorevole di tanti soci che rappresentino più di un terzo del
capitale sociale a meno che l’atto costitutivo richieda una maggioranza più elevata.
È unanime convincimento che questa previsione non possa subire modificazioni,
nell’atto costitutivo o nello statuto, che rigidamente, predetermino i quorum
costitutivi e deliberativi dell’assemblea ordinaria in seconda convocazione. Ai soci
è permesso, invece, di maggiorare il quorum costitutivo e quello deliberativo della
prima convocazione dell’assemblea ordinaria. Agli azionisti è consentito di
maggiorare il quorum deliberativo sia della prima che della seconda convocazione
dell’assemblea straordinaria; ma le decisioni, in seconda convocazione, se relative
a specifici oggetti richiedono il voto favorevole di tanti soci che rappresentino più
della metà del capitale (modificazione dell’oggetto sociale, trasformazione della
società, anticipazione dello scioglimento). Al pari protette le deliberazioni
dell’assemblea straordinaria delle società quotate in borsa per le quali, in prima,
seconda e terza convocazione è richiesto il voto favorevole di almeno due terzi del
capitale rappresentato nella riunione; rimessa all’atto costitutivo è l’opportunità di
maggiorare questo quorum. Le formalità della convocazione dell’assemblea non
sono necessarie se tutti i soci, tutti gli amministratori e tutti i sindaci si riuniscono.
In questa eventualità l’adunanza, ancorché non convocata, e per la quale manca,
quindi, il relativo avviso, si può regolarmente tenere. La fisica presenza di tutti gli
interessati induce a ritenere che essi possano decidere; se, peraltro, non
dispongono della sufficiente consapevolezza ognuno degli intervenuti può
opporsi alla discussione. Tale assemblea è definita totalitaria proprio per la
presenza di tutte le componenti interessate.
Il diritto di intervento
L’assemblea è presieduta dalla persona indicata nell’atto costitutivo o in mancanza
da quella designata dagli intervenuti. Il presidente è assistito da un segretario la cui
presenza non è necessaria quando il verbale dell’assemblea è redatto da un notaio.
Questi soggetti formano l’ufficio di presidenza cui compete la verifica della
regolarità della convocazione e quelle degli interventi, per accertare il
raggiungimento del quorum costitutivo; al presidente spetta, altresì, la conduzione
dei lavori assembleari; tali competenze non sono trasferibili ai soci. Hanno diritti
di intervenire all’assemblea i soci iscritti nel libro soci e quelli giratari delle azioni,
ma sia gli uni sia gli altri devono depositare i titoli azionari, almeno cinque giorni
prima dell’adunanza. Normalmente il deposito viene effettuato presso la sede
sociale ovvero presso gli istituti di credito indicati nell’avviso di convocazione
(2370). Per agevolare l’ingresso in assemblea, prevalentemente le società quotate in
borsa, rilasciano i c.d. biglietti di ammissione la cui presentazione legittima la
partecipazione alla riunione. Si è accennato al collegamento tra il diritto di
intervento e quello di voto e si è sottolineata la scarsa rilevanza del primo se
l’azionista non dispone del secondo; di qui il convincimento che, innanzitutto, ai
soci ai quali è negato il voto in alcune assemblee è, al pari, precluso l’intervento.
Analogamente per il socio moroso cui è inibito di votare, ai titolari, ancora, delle
azioni di godimento. Orientamento, senz’altro prevalente, riconosce, viceversa, a
113
questi soci il diritto di intervento al quale assegna, così, funzione autonoma dal
voto. Si ricorderà che per gli azionisti di risparmio non si pone questione dal
momento che il diritto di intervento non gli è riconosciuto. La separazione
dell’intervento dal voto suscita perplessità non solo per l’incertezza della
normativa che parrebbe negarla, bensì essenzialmente per le sottolineate esigenze
di tutela dell’azionariato che dispone del voto soltanto in misura parziale. In ogni
caso, pur ritenendo che il diritto di intervento competa anche in mancanza del
voto, si dovrebbe, comunque, impedire a questi azionisti di partecipare alla
discussione; diversamente i soci, titolari del voto, potrebbero subire il
condizionamento di chi non contribuisce all’adozione della deliberazione. Si
conferma, così, l’articolazione della società per azioni tra più assemblee: la generale
cui intervengono i soci titolari di azioni ordinarie e quelle speciali alle quali
partecipano i titolari, appunto, di particolari categorie di azioni (privilegiate, di
risparmio, di godimento). Il dibattito assembleare è regolato dal presidente e con
la discussione si persegue il consapevole esercizio del voto.
Rappresentanza, diritto di voto e conflitto di interessi
L’azionista può farsi rappresentare in assemblea. La disciplina della rappresentanza
persegue una duplice finalità: agevolare la partecipazione dei soci anche se per il
tramite del rappresentante, impedire la raccolta delle deleghe a tutto beneficio del
gruppo di comando della società. In passato, infatti, le deleghe erano conferite in
bianco, per lo più da parte di istituti di credito che, di regola, esercitavano il voto
secondo le aspirazioni dello stesso gruppo di comando. Si è quindi avvertita la
necessità di limitarne il rilascio. In primo luogo, la rappresentanza deve essere
conferita per iscritto e i documenti relativi devono essere conservati dalla società
(art. 2372); deve essere attribuita per singole assemblee; la delega, mai in bianco,
non può essere concessa agli amministratori, ai sindaci e ai dipendenti della
società; né alle società da essa controllate, ai loro amministratori, sindaci e ai
dipendenti, né ad aziende o istituti di credito. Lo stesso rappresentante non può
rappresentare più di dieci soci, se la società è quotata in borsa; più di cinquanta se
ha un capitale non superiore a dieci miliardi; più di cento se superiore a dieci
miliardi e non superiore a cinquanta; più di duecento se la società ha un capitale
superiore a cinquanta miliardi. La normativa di legge non regola le modalità di
votazione disciplinate, invece, con previsioni dell’atto costitutivo o statutarie; i
sistemi più seguiti sono quello dell’alzata di mano, dell’alzata e seduta, per
acclamazione, per schede. Suscita fondate perplessità lo scrutinio segreto che
impedisce l’individuazione di chi vota con negativi riflessi, pertanto, sull’esercizio
dell’impugnativa delle deliberazioni assembleari e del recesso consentito ai soci
dissenzienti e assenti127. La normativa di legge regola le situazioni nelle quali
l’interesse del socio è antagonista di quello della società. E’ affermata, dunque, la
Il socio assente o dissenziente può recedere dalla società se la deliberazione approvata in sua
assenza o con il suo dissenso ha avuto per oggetto:
 il cambiamento dell’oggetto sociale;
 la trasformazione della società;
 il trasferimento della sede sociale all’estero.
La dichiarazione di recesso deve essere comunicata agli amministratori con raccomandata che deve
loro pervenire entro tre giorni dalla chiusura dell’assemblea, per i soci intervenuti; entro 15 giorni
della data dell’iscrizione della deliberazione nel registro delle imprese, per i soci non intervenuti.
127
114
libertà di voto alla condizione che il socio non sia portatore di interessi in conflitto
con quelli della società. Anche con riguardo a questa particolare situazione
trovano conferma i principi che preservano la stabilità della deliberazione
sottraendola alla prospettiva della caducazione; si tende, in sostanza, a limitare i
casi in cui, adottata la decisione, ne possano venire meno gli effetti. Il primo
comma dell’art. 2373 stabilisce che il diritto di voto non può essere esercitato dal
socio nelle deliberazioni nelle quali ha un interesse in conflitto con quello della
società. Il secondo comma modifica la portata del primo perché non impone al
socio in conflitto di interessi di astenersi, bensì di esercitare il voto in modo da non
recare danno alla società; il diritto di voto non è, pertanto, sospeso, ma limitato
dall’esigenza di non arrecare pregiudizio. Nell’eventualità in cui si contravvenga a
tale limitazione, la deliberazione, assunta anche con il socio in conflitto di
interessi, non è necessariamente viziata. Occorre accertare se la trasgressione
assuma o meno effettiva rilevanza: l’annullamento della deliberazione è
proponibile alla duplice condizione che i voti espressi dal socio in conflitto di
interessi siano risultati decisivi e che la decisione possa arrecare danno alla società
( è sufficiente la idoneità a recare pregiudizio ). L’art. 2373 preclude agli
amministratori, che siano anche soci, di votare nelle deliberazioni riguardanti la
loro responsabilità. Il divieto non è temperato, dal momento che l’amministratore
è, in ogni caso, obbligato all’astensione.
Il verbale dell’assemblea
Lo svolgimento dei lavori dell’assemblea, in ogni fase, da quella della costituzione
fino a quella conclusiva, deve risultare dal verbale; nelle assemblee nelle quali non
interviene il notaio il verbale è redatto dal segretario dell’adunanza che forma il
c.d. ufficio di presidenza; in quelle straordinarie lo predispone il notaio. Si discute se
il verbale assolva anche al funzione di strumento di controllo dell’attività
assembleare ovvero documenti soltanto lo svolgimento dei lavori. Se si considera
la rilevanza dell’unitario procedimento attraverso il quale si sviluppa la riunione,
parrebbe preferibile la prima soluzione. La normativa di legge non riserva al
verbale specifico interesse poiché richiede soltanto la sua sottoscrizione da parte
del presidente e del segretario o del notaio ( art. 2375 ). Le modalità della sua
redazione hanno costituito, soprattutto in passato, oggetto di specifica attenzione
con riferimento all’esigenza di identificare, nominativamente, i soci intervenuti,
legittimati, se dissenzienti, all’impugnativa delle deliberazioni annullabili ecc.. La
giurisprudenza si è, inizialmente, orientata per l’obbligatoria, nominativa
individuazione; si è, poi, indirizzata per decisioni più permissive che sembravano
definitivamente consolidate. Di recente, peraltro, essenzialmente per le
sollecitazioni rivolte dalla Consob alle società soggette al suo controllo, l’analiticità
della verbalizzazione è stata riaccreditata.
Nullità e annullabilità delle deliberazioni
Le deliberazioni assembleari, prese in conformità della legge e dell’atto costitutivo,
vincolano tutti i soci, ancorché non intervenuti o dissenzienti (art. 2377). Questa è
la regola generale che afferma il principio di maggioranza e, prima ancora,
l’aderenza della decisione con lo schema legale e con l’atto costitutivo che su di
esso si modella. Anche la validità degli atti assembleari ha costituito oggetto di
perseverante interesse sia della dottrina sia della giurisprudenza. Opportuno
fissare i punti fermi. L’art. 2377 deve essere analizzato unitamente all’art. 2379. La
115
prima disposizione esige la conformità della deliberazione alla legge o all’atto
costitutivo; l’altra ne afferma la nullità se il suo oggetto è illecito ovvero
impossibile. Viziata da nullità la deliberazione con oggetto lecito, ma contenuto
illecito; si richiama, in proposito, quella di approvazione del bilancio falso, lecita
nell’oggetto, ma illecita nel contenuto. Eventualità, queste della nullità, nelle quali
trovano, comunque, applicazione gli art. 1421, 1422 e 1423; la nullità può essere
fatta valere da chiunque vi abbia interesse e può essere rilevata d’ufficio, la
relativa azione non si prescrive ed è preclusa la convalida. La deliberazione
potrebbe risultare invalida non solo per vizi relativi al suo contenuto, ma anche
per carenze del procedimento attraverso le quali si perviene alla sua adozione e
che ne impediscono la conformità alla legge e all’atto costitutivo. Quest’ulteriore
categoria di vizi ne determina l’annullabilità in considerazione del fatto che il
procedimento è difforme dalle previsioni del modello legale e da quelle dell’atto
costitutivo o dello statuto. Secondo le regole consuete dell’annullabilità, la
deliberazione produce i propri effetti, ma l’accoglimento dell’azione di
annullamento, proposta con l’impugnativa, ne determina, ex tunc, la caducazione,
fatti salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi (art. 2377). Si è, pertanto,
correttamente affermato che, rispetto alle situazioni generali, nel sistema
dell’invalidità delle deliberazioni assembleari, l’annullabilità esprime la regola, la
nullità l’eccezione, con l’inversione, quindi, della tradizionale configurazione dei
vizi. Significativo che il termine per impugnarli sia, a pena di decadenza, di tre
mesi dall’adozione ovvero dall’iscrizione nel registro delle imprese. Altrettanto
significativo che siano legittimati all’esercizio della relativa azione tra i soci,
soltanto gli assenti e i dissenzienti, con esclusione, pertanto, di quelli che hanno
votato a favore nonché, in funzione del loro rispettivo ufficio, gli amministratori e
i sindaci. Rilevante, inoltre, che l’effetto dell’annullamento operi per tutti gli
azionisti ed obblighi gli amministratori a prendere i conseguenti provvedimenti
sotto la propria responsabilità. Ne può tralasciarsi la considerazione sulla
possibilità, concessa alla società, di sostituire la deliberazione di cui si chiede
l’annullamento, con altra, con preclusione dello sviluppo dell’impugnativa (art.
2377).
L’inesistenza
Peccano di linearità le soluzioni che pongono a fondamento dell’applicazione delle
regole generali sulla nullità situazioni affatto eccezionali (ricondotte all’incerta
categoria dell’inesistenza) come quella, addirittura, della mancanza della riunione
dei soci o quella della partecipazione di estranei alla deliberazione; e sulle quali si
costruisce, giustificandolo, il ricorso ai principi generali. Appare utile ricordare
che questi principi operano su un piano diverso da quelli propri e peculiari del
sistema societario. Il presidio che l’apparato organizzativo pone al servizio della
legalità dell’attività sociale riservando le sottolineate competenze agli
amministratori e ai sindaci, e che consente l’incisivo sviluppo dei controlli esterni
è, oggettivamente, idoneo a porre rimedio ad ogni possibile disfunzione, anche
quelle eccezionali sulle quali si fondano strumenti di reazione non solo fragili, ma
ancor prima incoerenti con le regole della società per azioni. Non a caso la stessa
giurisprudenza ha avvertito l’opportunità di circoscrivere le situazioni di nullità
quelle, cioè, da ascrivere ad illiceità ed impossibilità dell’oggetto se è vero che con
specifico riguardo a queste ultime, ha affermato che rileva soltanto la violazione di
116
norme imperative poste a tutela sia di interessi generali e non del singolo socio sia
delle concrete finalità perseguite con la costituzione della società.
Il procedimento di impugnativa
Anche il procedimento di impugnativa delle deliberazioni annullabili, che è
regolato dall’art. 2378, conferma la protezione riservata all’organizzazione. Il socio
la propone davanti al tribunale del luogo dove la società ha sede ed è tenuto a
depositare in cancelleria un’azione che attesti la sua qualità di azionista; il titolo
deve rimanere depositato nel corso dell’intero giudizio. Il presidente del tribunale
può imporre al socio di prestare un’idonea garanzia per l’eventuale risarcimento
dei danni. Tutte le impugnazioni relative alla medesima deliberazione devono
essere istruite congiuntamente e decise con un’unica sentenza, per evitare
giudicati difformi. L’impugnativa non determina la sospensione della
deliberazione e, se richiesta, ricorrendo gravi motivi, può essere concessa sia dal
presidente del tribunale, anteriormente all’assegnazione al giudice istruttore,
ovvero da quest’ultimo, sempreché siano stati, preventivamente, sentiti gli
amministratori ed i sindaci. Il decreto di sospensione si riconduce tra i
provvedimenti di natura cautelare che precedono la conclusione del giudizio di
merito (deve essere iscritto nel registro delle imprese per essere poi opponibile ai
terzi). Anche il procedimento di impugnativa delle deliberazioni assembleari,
nulle per illiceità o impossibilità dell’oggetto, ancorché non regolamentato, è
modellato sostanzialmente su quello disciplinato dall’art. 2378. Questa
impugnativa, ovviamente, può essere proposta anche dai creditori sociali ovvero
da qualsiasi terzo sempreché titolari dell’interesse ad agire.
Gli amministratori
Gli amministratori gestiscono l’attività di impresa, fatte salve le attribuzioni che
la legge conferisce all’assemblea ovvero quelle che i soci si sono riservati ovvero,
infine, quelle che alla stessa assemblea sono state demandate dagli amministratori.
L’organo amministrativo può assumere struttura unipersonale ( amministratore
unico ) o pluripersonale ( consiglio di amministrazione ). La carica di
amministratore può essere assunta da azionisti e/o da estranei alla società; l’atto
costitutivo ne stabilisce il numero; se, tuttavia, è indicato soltanto quello minimo e
massimo, la determinazione spetta all’assemblea. L’atto costitutivo può prevedere
norme particolari per la nomina alle cariche sociali: è, allora, consentito di
modificare i quorum deliberativi, elevandoli o riducendoli, fissare peculiari sistemi
di votazione che assicurino alla minoranza la designazione di uno o più
componenti dell’organo amministrativo. La recente normativa sulle
privatizzazioni prevede il voto di lista per assicurare, alla minoranza, propri
designati nel consiglio di amministrazione e nel collegio sindacale della società,
appunto, privatizzate, la relativa clausola deve essere inserita nello statuto. Gli
amministratori sono nominati per un periodo non superiore a tre anni e sono
rieleggibili, salva diversa disposizione dell’atto costitutivo; sono revocabili,
dall’assemblea, in qualunque tempo anche se nominati nello stesso atto
costitutivo. Se la revoca non è indotta da giusta causa, hanno diritto al
risarcimento del danno. Nei quindici giorni successivi alla notizia della nomina,
gli amministratori devono chiedere, per la conoscenza dei terzi, l’iscrizione nel
registro delle imprese. Non possono essere nominati amministratori, e se nominati
decadono, l’interdetto, l’inabilitato, il fallito o chi è stato condannato ad una pena
117
che importa l’interdizione, anche temporanea, dai pubblici uffici o l’incapacità ad
esercitare uffici direttivi. La cessazione del rapporto di amministrazione non è
determinata soltanto dalla revoca; la può indurre la rinuncia, la morte, la
sopravvenienza di una causa di decadenza. La rinuncia, che deve essere
comunicata al consiglio di amministrazione e al presidente del collegio sindacale,
produce effetto immediato se rimane in carica la maggioranza degli
amministratori, diversamente opera momento della sua ricostruzione con
l’accettazione dei nuovi ( prorogatio; art. 2385 ). Qualunque sia la causa di
estinzione del rapporto, questa deve essere iscritta entro quindici giorni nel
registro delle imprese. Finalizzata alla tutela dell’interesse della funzionalità è la
regola per la quale la cessazione di uno o più amministratori, nel corso
dell’esercizio, impone agli altri di nominare i sostituti; la relativa delibera del
consiglio di amministrazione deve essere approvata dal collegio sindacale. Gli
amministratori, nominati con tale modalità, definita cooptazione, restano in carica
fino alla prossima assemblea per consentire ai soci che del potere di scelta dei
componenti dell’organo amministrativo sono titolari, di assumere la decisione che
gli compete: confermando il cooptato o eleggendone un altro ( art. 2386 ). La
composizione del consiglio di amministrazione è garantita dal modello legale; agli
azionisti è consentito avvalersi, peraltro, di clausole da inserire nell’atto costitutivo
o nello statuto, tese a preservarne anche l’omogeneità, quali ad es. simul stabunt
simul cadent, ampiamente diffusa: sa alcuni amministratori rinunciano alla carica o
decadono, cessano anche gli altri e l’assemblea provvede a nominare i nuovi.
Competenze e poteri
Gli amministratori sono investiti di poteri che, in primo luogo, gli sono attribuiti
dalla normativa di legge: questi amministrano e quelli investiti della rappresentanza
legale della società possono compiere tutti gli atti che rientrano nell’oggetto sociale, salvo
le limitazioni della stessa legge o dell’atto costitutivo ( art. 2384 ). Gli
amministratori adempiono, dunque, ad un obbligo generale, quello di gestire tale
attività, con diligenza, evitando conflitti di interessi; ad esso si connette quello di
vigilare sul generale andamento della società; adempiono poi obblighi specifici (
convocano l’assemblea, ne eseguono le deliberazioni, impugnano quelle non
conformi alla legge e all’atto costitutivo ). Se l’organo è pluripersonale l’esercizio
dei poteri è collegiale, fatta salva l’eventualità di specifiche attribuzioni ( deleghe )
ad alcuni suoi componenti. Essi dispongono di una autonomia decisionale
incompatibile con le caratteristiche di questo contratto; ciò non equivale negare la
natura concettuale del legame che, indotto da una proposta e da una accettazione,
è stato qualificato di amministrazione. Alla sua esecuzione gli amministratori,
adempiendo ai doveri imposti dalla legge o dall’atto costitutivo, devono attendere
con la diligenza del mandatario pur non essendo mandatari. Gli amministratori
hanno diritto al compenso che può anche essere rappresentato dalla
partecipazione agli utili, fermo restando il cumulo tra l’uno e l’altra e la cui misura
è determinata dall’atto costitutivo o dallo statuto ovvero dall’assemblea; per quelli
investiti di particolari cariche la remunerazione è stabilita dallo stesso consiglio
sentito il parere del collegio sindacale.
Il funzionamento dell’organo amministrativo; la delega
La normativa di legge si limita a disciplinare la validità delle deliberazioni del
consiglio di amministrazione per le quali è necessaria la presenza della
118
maggioranza di quelli in carica, quando l’atto costitutivo non richieda un maggior
numero di presenti ( art. 2388 ); è stabilito che le decisioni sono prese a
maggioranza assoluta, salvo diversa disposizione dell’atto costitutivo. I riferimenti
legislativi sono completati dal divieto, per l’amministratore, di esercitare il voto, in
consiglio, per rappresentanza. Ai soci è consentita l’integrazione dell’essenziale,
scarna disciplina legale con opportune clausole dell’atto costitutivo e dello statuto
suggerite dalle circostanze concrete. Il consiglio di amministrazione viene
convocato dal suo presidente o quando ne è fatta richiesta da parte dei suoi
componenti, con l’invio agli amministratori ed ai sindaci dell’avviso di
convocazione, cioè, dell’ordine del giorno che indica gli argomenti da trattare. Le
esigenze dello svolgimento dell’attività potrebbero imporre di organizzare
l’esercizio dei poteri di cui il consiglio di amministrazione è investito
collegialmente in modo tale da assicurarne l’uso più efficace e tempestivo. Se l’atto
costitutivo o lo statuto ovvero l’assemblea lo consentono, il consiglio può delegare
le proprie attribuzioni ad un comitato esecutivo composto alcuni suoi membri o
anche ad uno o più di essi (anche non organizzati in comitato) determinando i
limiti, più o meno ampi, della delega (art. 2381). Il consiglio non si priva dei propri
poteri di cui rimane titolare, ne conferisce l’esercizio, per ragioni di funzionalità.
Al consiglio è consentito, in qualsiasi momento, di revocare l’investitura; si può
porre tutt’al più questione se la delega venga attribuita a termine e, in questa
eventualità, si ritiene, talvolta, che la revoca sia consentita ricorrendo una giusta
causa.
Gestione e rappresentanza; la tutale dei terzi
Con le decisioni gestionali gli amministratori esercitano il potere di iniziativa, che
rileva, esclusivamente, all’interno della società. Il potere di impegnare la società
con i terzi, con l’assunzione di obblighi e l’acquisto di diritti che è esercitato
all’esterno, è qualificato di rappresentanza; gli amministratori che ne sono investiti
rappresentano, infatti, legalmente la società, anche processualmente. Esso per
ragioni di funzionalità non è conferito a tutti gli amministratori, ma soltanto ad
alcuni: il presidente del consiglio di amministrazione e i delegati, questi ultimi in
coerenza con le prerogative che gli sono state attribuite con la delega. Gli
amministratori possono impegnare la società compiendo tutti gli atti che rientrano
nell’oggetto sociale salve le limitazioni di legge o dell’atto costitutivo.
Orientamento assolutamente prevalente ritiene che il potere di gestione ed il
potere di legale rappresentanza competano inscindibilmente all’organo
amministrativo sia se a struttura collegiale sia se a struttura unipersonale. Il
funzionale collegamento tra il potere di gestione e quello di legale rappresentanza
non impedisce ai soci di disciplinare l’uno e l’altro in modo diverso. Nulla ne vieta
la separazione ovvero la ripartizione dell’esercizio, ed infine, la limitazione
dell’oggetto dell’uno e dell’altro. Ai soci è, soltanto, precluso di privare l’organo
amministrativo della prerogativa gestoria. Anche con riguardo al potere di
rappresentanza trovano applicazione le regole al servizio della pubblicità legale;
gli amministratori che ne sono investiti devono depositare, nel termine di quindici
giorni dalla notizia del conferimento, le proprie firme autografe presso l’ufficio del
registro delle imprese. La tutela dei terzi è preservata ulteriormente: le cause di
nullità o di annullabilità della nomina degli amministratori che hanno la legale
rappresentanza non gli sono opponibili; le limitazioni poste dall’atto costitutivo o
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dallo statuto al potere di rappresentanza, analogamente, non gli sono opponibili
salvo che questi abbiano intenzionalmente agito a danno della società (art. 2383 e
2384).
Il conflitto di interessi
L’amministratore, che per conto proprio o di terzi, è portatore di un interesse
antagonista di quello della società, deve darne notizia agli altri amministratori ed
al collegio sindacale; deve, inoltre, astenersi dal partecipare alla deliberazione
riguardante l’operazione. Se non si attiene a tale prescrizione risponde delle
perdite subite dalla società per il compimento dell’operazione stessa. Questa è
l’ennesima conferma della rilevanza della componente fiduciaria propria del
rapporto tra amministratore e società. La deliberazione può essere impugnata dai
soci assenti o dissenzienti, ovvero dai sindaci alla duplice condizione che possa
recare danno alla società e che il voto dell’amministratore in conflitto di interessi
sia risultato determinante per la decisione; l’impugnativa deve essere proposta nel
termine di decadenza di tre mesi che decorrono dalla data della sua adozione. Nel
tentativo di impedire che l’eccezionalità di questa disciplina ( non sono previsti
altri casi di invalidità ) incida negativamente, sugli interessi dei soci e dei creditori,
consistente parte della giurisprudenza la configura, invece, quale modello per
affermare ulteriori situazioni di invalidità. Si ritiene che l’art. 2391 non riguardi
quale norma eccezionale, ma che affermi un principio di portata generale che
individua il rimedio di cui avvalersi quando ricorrono i presupposti per la
caducazione della deliberazione degli amministratori. Questo indirizzo, che non è
condiviso dalla prevalente dottrina, suscita perplessità analoghe a quelle che
hanno investito l’applicazione, al sistema delle società per azioni, dei tradizionali
canoni sull’invalidità dei negozi. La limitazione dell’invalidità delle deliberazioni
consiliari al solo conflitto di interessi dell’amministratore, non rende conto di una
lacuna del sistema; si è coerentemente protetto l’apparato organizzativo della
società, sottraendolo a strumentalizzazioni e ad ostruzionismi tanto più pericolosi
se destinati ad interferire sul diretto svolgimento dell’impresa. La severità delle
sanzioni per l’amministratore in conflitto di interessi dà ragione del divieto, per gli
stessi amministratori, di assumere posizioni competitive con quelle della società;
gli è preclusa, infatti, la qualità di soci illimitatamente responsabili in società
concorrenti, nonché l’esercizio di attività concorrente, per conto proprio o di terzi.
L’amministratore che contravviene si espone alla sanzione della revoca e risponde
dei danni subiti dalla società ( art. 2390 ).
La responsabilità verso la società
La responsabilità degli amministratori può essere indotta dal mancato rispetto di
obblighi specifici; l’inadempimento potrebbe riguardare, inoltre, l’obbligo
generale di esercitare l’attività con professionale diligenza non incorrendo in
conflitto di interessi. Mentre è agevole l’individuazione della violazione specifica e
delle conseguenze che provoca, più difficoltosa la precisazione della trasgressione
dell’obbligo di portata generale. Soltanto in parte soccorre la normativa di legge
che prescrive il livello della diligenza del comportamento. Opportuno chiarire
preliminarmente che gli amministratori rendono prestazioni di mezzi e non di
risultato (rispondono se violano la valutazione professionale dell’iniziativa,
superando il limite del rischio consapevolmente accettabile). L’azione tesa al
risarcimento del danno deve essere promossa a seguito della deliberazione
120
dell’assemblea ordinaria che deve essere convocata con il relativo ordine del
giorno. Se gli amministratori, che dell’iniziativa sono i destinatari, non
provvedono, la convocazione deve essere curata dai sindaci; in difetto degli uni e
degli altri, se sollecitati dai soci titolari del quinto del capitale sociale, dal
presidente del tribunale che vi provvede con decreto. In una sola occasione non è
necessario l’inserimento, nell’ordine del giorno dell’assemblea, dell’argomento
relativo all’azione di responsabilità, e cioè quando gli azionisti sono convocati in
adunanza per l’esame del bilancio (art. 2393). La deliberazione dell’azione di
responsabilità non comporta la revoca degli amministratori salvo che non sia
adottata con il voto favorevole di un quinto del capitale sociale; in questa
eventualità la stessa assemblea provvede alla sostituzione (art. 2393). Deliberata
l’azione di responsabilità la società chiama in giudizio gli amministratori per
ottenere il risarcimento del danno. La sentenza che lo conclude non investe la
convenienza della scelta, ma riguarda il comportamento ovvero l’omissione
valutata alla stregua del criterio della diligenza. La società può sia rinunciare
all’azione sia transigere la controversia, ma in entrambi i casi le relative decisioni
devono essere approvate dall’assemblea sempreché una minoranza di soci che
rappresenti il quinto del capitale sociale non li disapprovi.
Unanime è il convincimento che la responsabilità degli amministratori (solidale)
nei confronti della società abbia natura contrattuale; la società è tenuta, pertanto, a
provare l’inadempimento e il danno risarcibile; l’amministratore, chiamato a
rispondere, deve, viceversa, dimostrare la propria incolpevolezza indicando i fatti
che escludono ovvero attenuino la sua responsabilità.
La responsabilità verso i creditori
Si è osservato che l’inadempimento degli amministratori può danneggiare anche i
creditori sociali. Indispensabile è accertare l’interesse di cui sono portatori per
stabilire quando risulti offeso. Indiscutibile che essi perseguano la sola finalità
della realizzazione del credito, di riflesso gli amministratori rispondono verso i
creditori sociali per l’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione
dell’intero patrimonio sociale (art. 2394). Mentre è unanime il convincimento sulla
natura contrattuale della responsabilità degli amministratori verso la società,
affiorano dubbi su quella nei confronti dei creditori che pare, comunque,
preferibile qualificare allo stesso modo. Se la società rinuncia a proporre l’azione
di responsabilità non è impedito ai creditori di esperire la propria. L’eventuale
transazione tra società ed amministratori può essere impugnata dai creditori
soltanto con l’azione revocatoria quando ne ricorrano gli estremi. Si discute sul
collegamento tra le due azioni, segnatamente se quella dei creditori sia autonoma
dall’altra, ovvero ne risulti condizionata, qualificandosi, in questo caso,
surrogatoria. Il fondamento delle due azioni, e cioè la reintegrazione del
patrimonio sociale, è identico, ma si atteggia in modo diverso per la società e per i
creditori. Si assegna precedenza all’iniziativa risarcitoria della società che assicura
la ricostruzione del patrimonio che non garantisce, tuttavia e soltanto, i creditori
sociali, ma che è, innanzitutto, strumento per lo svolgimento dell’impresa. Del
resto il ricorso ai rimedi per fronteggiare l’alterazione delle modalità attraverso le
quali si dispiega l’attività sociale deve essere, ancora una volta, valutato alla
stregua dei principi della società per azioni. Mentre la società può agire a fronte di
121
qualsiasi violazione che induca pregiudizio, i creditori possono esercitare l’azione
di responsabilità soltanto quando in concreto sia attentato il recupero del credito.
La responsabilità verso il singolo socio e il singolo terzo
Gli amministratori rispondono anche dei danni direttamente arrecati,
nell’esercizio o in occasione del loro ufficio, al patrimonio del singolo socio o del
singolo terzo (art. 2395). Per il danno sofferto dalla società, soltanto la stessa è in
grado di reagire per il risarcimento del danno il cui ottenimento soddisfa,
simmetricamente, anche il singolo socio. Questi, viceversa, può esercitare
individualmente l’azione di responsabilità quando la condotta o l’omissione degli
amministratori, colposa o dolosa, si proietti, senza mediazione della società, sul
suo patrimonio. Normalmente si richiama la situazione nella quale gli
amministratori abbiano rappresentato, in modo infedele, nel bilancio di esercizio,
lo stato della società, determinando il socio o il terzo a sottoscrivere azioni di
nuova emissione per un prezzo ingiustificato; si richiama, altresì, quella nella
quale un terzo abbia finanziato la società confidando nei lusinghieri risultati
rappresentato in un bilancio, invece falso. Prevale il convincimento che la
responsabilità degli amministratori nei confronti del singolo terzo e del singolo
socio abbia natura extra contrattuale. È opportuno muovere dalla premessa che la
lesione deve essere ascritta ad atti od omissioni posti in essere o perpetrate dagli
amministratori nell’esercizio ovvero in occasione del loro ufficio. Inoltre l’art. 2395
esige che la condotta degli amministratori danneggi direttamente il socio. La
categoria dei terzi non si esaurisce in quella dei creditori: gli amministratori
potrebbero aver danneggiato estranei alla società, non titolari di crediti. Anche in
questa eventualità l’iniziativa risarcitoria non incontra limiti, il singolo terzo può,
quindi, agire in piena autonomia, individualmente, in considerazione del fatto che
non opera il presupposto dell’insufficienza del patrimonio sociale: il
comportamento degli amministratori lesivo degli interessi del singolo terzo ha
prodotto effetti mirati, non riguarda, indistintamente, la categoria dei terzi; investe
una specifica posizione al cui titolare è concesso l’immediato esercizio del rimedio
per ottenere il risarcimento del danno. Per tali ragioni l’organico sistema
normativo che disciplina la responsabilità degli amministratori ( 2393 – 2394 –
2395 ) suggerisce di qualificare come contrattuale anche la responsabilità nei
confronti del singolo socio o del singolo terzo.
Il direttore generale
L’articolazione attraverso la quale vengono ripartiti i poteri per l’esercizio
dell’attività comporta il conferimento di specifici compiti a soggetti che nella
gerarchia dell’impresa assumono la qualifica di direttori generali. Questi, con
assoluta frequenza, sono dipendenti della società, mentre il contratto che lega gli
amministratori non è segnato da subordinazione. Gli vengono conferiti poteri
esercitati nell’ambito dell’organizzazione societaria, raramente all’esterno; la
proiezione esterna può trovare fondamento nell’attribuzione dei compiti di
gestione e coordinamento del personale dipendente, tra i quali quello della sua
assunzione o del suo licenziamento. L’art. 2396 disciplina le conseguenze della
nomina del direttore generale da parte dei soci, sia nell’atto costitutivo sia in
assemblea: in queste eventualità trovano applicazione le regole sulla
responsabilità degli amministratori in relazione ai compiti che gli sono affidati. In
ogni caso il direttore generale collabora con l’organo amministrativo al cui
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controllo è, di regola, assoggettato. Se il direttore generale è investito di poteri
esercitabili con proiezione esterna, si ritiene che operi come institore della società.
Il collegio sindacale
Nell’organizzazione della società per azioni il collegio sindacale svolge molteplici
compiti controllando l’esercizio dell’attività e l’osservanza della legalità. I sindaci
esercitano poteri di verifica e di accertamento al servizio della correttezza
dell’azione sociale. Il loro controllo investe la condotta degli amministratori, ai
quali peraltro competono autonomi poteri per garantire la legalità dell’attività.
Non si determinano peraltro sovrapposizioni e interferenze: il ruolo dei sindaci è
sovraordinato a quello dell’organo amministrativo poiché essi sono tenuti a
controllare l’amministrazione della società; anche l’obbligo di vigilanza sull’osservanza della legge e dell’atto costitutivo non equivale a quello degli amministratori
di vigilare sul generale andamento della gestione. Il collegio sindacale deve, poi,
accertare la regolare tenuta della contabilità e la corrispondenza del bilancio alle
risultanze dei libri e delle scritture contabili e l’osservanza delle norme per la
valutazione del patrimonio sociale ( art. 2403 ). Si conferma la sua posizione
sovraordinata agli amministratori nell’assicurare la legalità poiché i sindaci
controllano se l’organo amministrativo ha rispettato quelle esigenze di regolarità,
di corrispondenza e di valutazione. Il collegio sindacale può essere composto di tre
o cinque membri effettivi, soci o non soci; devono altresì essere nominati sindaci supplenti
(art. 2397). I primi sindaci sono nominati con l’atto costitutivo, il presidente del
collegio sindacale è nominato dall’assemblea. Anche per la loro nomina l’atto
costitutivo può prevedere clausole particolari, simili a quelle esaminate a
proposito degli amministratori. I sindaci rimangono in carica per tre anni e non
possono essere revocati se non per giusta causa; la deliberazione di revoca deve
essere approvata con decreto dal tribunale, sentito l’interessato (art. 2400). I
sindaci sono ineleggibili per le stesse ragioni previste per gli amministratori,
l’interdizione, il fallimento o la condanna ad una pena che importa l’interdizione,
anche temporanea, dai pubblici uffici o l’incapacità a esercitare uffici direttivi.
L’importanza dei compiti del collegio sindacale ha indotto l’adozione di
provvedimenti volti a valorizzare specifiche qualità professionali dei suoi
componenti. Il Dlgs n. 88/1992 ha modificato a tal fine la precedente disciplina
fissata dall’art. 2397. In passato le società per azioni con capitale inferiore a
cinquecento milioni di lire dovevano scegliere tra gli iscritti nel ruolo dei revisori
dei conti almeno uno dei sindaci effettivi se questi fossero stati nel numero di tre e
non meno di due, se i sindaci effettivi fossero stati nel numero di cinque; in
entrambi i casi uno dei sindaci supplenti; le altre società per azioni dovevano
scegliere almeno uno dei sindaci effettivi e uno dei supplenti negli albi
professionali determinati dalla legge. In conformità della novella legislativa, che
sarà applicata con le progressive cessazioni dei sindaci in carica dalla data del 21
aprile 1995, i sindaci devono essere scelti tra gli iscritti nel registro dei revisori
contabili istituito presso il Ministero di Grazia e Giustizia. Per evitare soluzioni di
continuità che potrebbero compromettere il funzionamento del collegio sindacale,
in caso di morte, di rinuncia o di decadenza di un sindaco, subentrano i supplenti
in ordine di età. Anche i sindaci, che cessano dall’ufficio per scadenza del termine,
rimangono in carica fino alla nomina dei sostituti, sebbene questa specifica
prorogatio non sia espressamente prevista come lo è per gli amministratori; induce
123
per questo convincimento l’esigenza di garantire l’ininterrotto funzionamento
dell’organo di controllo.
Le funzioni
Le funzioni curate dai sindaci hanno costituito oggetto di ripetute indagini della
dottrina ed hanno suscitato pari interesse della giurisprudenza; si va sempre più
accreditando il convincimento che gli competa più incisivo controllo sul merito
della gestione, verificando ed accertando se l’attività degli amministratori non
trasgredisca la diligenza; necessario sottolineare che si deve trattare di compiti di
controllo con la conseguenza che ai sindaci non spetta, in alcun modo, contribuire
all’adozione di scelte operative, di monopolistica competenza degli
amministratori; sono, comunque, tenuti a paralizzarle se eccedono il limite della
tolleranza, se, in definitiva, espongono la società a rischi giudicati inaccettabili.
Questo orientamento, stimolato anche dalla giurisprudenza, muove dal contenuto
dei compiti riservati al collegio sindacale e di cui si è fatto cenno in precedenza: il
controllo dell’amministrazione, la vigilanza sull’osservanza della legge e dell’atto
costitutivo, l’accertamento della regolare tenuta della contabilità sociale, la
corrispondenza del bilancio alle risultanze dei libri e delle scritture contabili,
l’osservanza delle norme per la valutazione del patrimonio sociale (art. 2403). I
compiti del collegio sindacale si completano con lo svolgimento di un’attività
definita consultiva.
Esprimono pareri:
 sul bilancio di esercizio, predisponendo una apposita relazione nella quale
esprimono le proprie osservazioni in vista della sua approvazione da parte
dell’assemblea;
 sul prospetto contabile e sulla situazione patrimoniale economica e
finanziaria della società che giustifichino la distribuzione degli acconti
dividendo (art. 2433);
 sulla congruità del prezzo di emissione delle azioni nel caso di esclusione o
limitazione del diritto di opzione;
 sulla remunerazione degli amministratori investiti di particolari cariche.
La responsabilità
I sindaci devono compiere i loro doveri con la diligenza del mandatario e sono
responsabili della verità delle loro attestazioni e devono conservare il segreto sui
fatti e sui documenti di cui hanno conoscenza per ragione del loro ufficio (art.
2407). Anche i sindaci sono soggetti all’azione di responsabilità promossa
dall’assemblea e dai creditori sociali, per questi ultimi sempreché il patrimonio
sociale sia insufficiente. Tenuto conto che il collegio cura i propri compiti anche
controllando l’attività degli amministratori, i sindaci rispondono solidalmente con
essi; e ciò per i fatti e le omissioni di questi ultimi quando il danno non si sarebbe
prodotto se avessero vigilato. Priva di disciplina la responsabilità dei sindaci nei
confronti del singolo socio o del singolo terzo, prevista, invece, per gli
amministratori. Non si ravvisano, per la verità, ragioni per escludere che i sindaci
possano risultare destinatari dell’azione del singolo socio o del singolo terzo
all’insuperabile condizione, tuttavia, che siano stati direttamente danneggiati dal
loro inadempimento.
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Controlli esterni sulle S.p.A.
L’intervento dell’autorità giudiziaria
La legalità dell’attività non è garantita soltanto dall’esercizio di specifici poteri
degli amministratori e dei sindaci che li esercitano all’interno della società; ancora
più efficaci quelli a rilevanza esterna poiché determinano l’intervento
dell’autorità giudiziaria. I soci che rappresentano il decimo del capitale sociale, se
vi è fondato sospetto di gravi irregolarità nell’adempimento dei doveri degli
amministratori e dei sindaci, possono denunziare i fatti al tribunale; delle gravi
irregolarità si può rendere, autonomamente, responsabile l’organo amministrativo
e quello di controllo, non è, cioè, necessaria la congiunta trasgressione. Il
procedimento regolato dall’art. 2409 può essere sollecitato dai soci, che titolari del
prescritto quorum propongano il relativo ricorso al tribunale, l’azione spetta agli
azionisti di minoranza. Opportuno è chiarire che il procedimento non compete,
esclusivamente, alla minoranza. Né può escludersi che il ricorso sia proposto dai
titolari dell’intero capitale sociale, quindi da tutti i soci, proprio in considerazione
del fatto che la legalità dell’azione li riguarda indistintamente.
La denuncia del pubblico ministero
La denuncia al tribunale può essere presentata anche dal pubblico ministero al
quale compete la tutela degli interessi generali, dunque pubblici (art. 2409). Il
procedimento in esame non tutela soltanto interessi privati, ma anche e
contestualmente, quelli pubblici identificati, specie in passato, nelle esigenze
dell’economia nazionale. Per identificare le finalità perseguite dal ricorso
promosso dal pubblico ministero, giova richiamare le considerazioni svolte in
occasione dell’esame dell’omologa al momento della costituzione della società,
segnatamente quelle relative alla sua funzione. Si ricorderà che in questa fase il
controllo dell’autorità giudiziaria si accerta se la struttura organizzativa della
società è idonea per operare legalmente. L’avallo prova la “diffidenza”
dell’ordinamento per un’iniziativa caratterizzata dalla movimentazione di
ricchezza in un regime di irresponsabilità dei soci che rischiano soltanto il
conferimento. In sostanza la verifica permette di stabilire se l’organizzazione della
quale gli azionisti si avvalgono, possa disattendere le regole. Questo richiamo
agevola l’individuazione delle finalità dell’azione del pubblico ministero. Il
momento in cui agisce è affatto diverso da quello della costituzione, la società,
infatti, opera. Le esigenze della permanente conformità della sua azione al
modello legale, impongono che un qualificato controllo assicuri, prevedendole
ovvero reprimendole, le disfunzioni, specie se indotte da gravi irregolarità
nell’adempimento di amministratori e sindaci, i garanti della legalità. L’iniziativa
del pubblico ministero soddisfa questo obbiettivo.
Il procedimento
Il procedimento non può essere arrestato dalla rinuncia dei soci che lo hanno
promosso anche nell’eventualità nella quale abbiano maturato un’intesa con la
società, o meglio con gli amministratori ed i sindaci; in effetti è, comunque,
indispensabile che l’autorità giudiziaria verifichi se le gravi irregolarità sussistono;
l’interesse, meritevole di tutela, non è soltanto quello dell’azionariato, è più ampio,
si identifica in quello del mercato in generale. Il procedimento ex art. 2409
permette all’autorità giudiziaria di confermare o di negare i sospetti oggetto di
denuncia; è fatto obbligo di sentire in camera di consiglio gli amministratori e i
125
sindaci; al termine dell’audizione il tribunale può ordinare l’ispezione
dell’amministrazione della società. L’ispezione persegue l’obbiettivo di stabilire se
le irregolarità denunciate sussistano. Il tribunale dispone (sia nella immediata
conferma delle irregolarità, sia al termine dell’ispezione) gli opportuni
provvedimenti cautelari e convoca l’assemblea per le conseguenti deliberazione.
L’adunanza dei soci potrebbe non aderire ed il tribunale ne trarrebbe le sue
conclusioni; se, viceversa, l’assemblea si uniforma, le gravi irregolarità vengono
eliminate con la riaffermazione della legalità dell’attività che può riprendere
regolarmente. L’amministratore giudiziario opera in stretto contatto con il
tribunale di cui è ausiliario ed è munito della legale rappresentanza della società;
con l’autorizzazione del presidente dello stesso tribunale compie anche atti di
straordinaria amministrazione, in autonomia quelli di natura ordinaria.
Anteriormente alla scadenza dell’incarico, l’amministratore giudiziario convoca e
presiede l’assemblea per la nomina degli amministratori e dei sindaci o per
proporre, se del caso, la messa in liquidazione della società. In effetti delle due
l’una: o sono state nuovamente poste le premesse per la legale operatività affidata
agli amministratori ed ai sindaci che hanno sostituito quelli precedenti, ovvero
non vi è ragione per la prosecuzione dell’attività, ed è, di riflesso, coerente la
messa in liquidazione.
Autorità giudiziaria e disfunzioni dell’organizzazione
Il controllo esercitato dall’autorità giudiziaria, in conformità con l’art. 2409,
consente l’organica puntualizzazione del ruolo che essa esercita sull’intera vicenda
societaria, fin dal momento della costituzione. In effetti quando si tratta di
accertare la coerenza delle scelte iniziali degli azionisti con il modello legale, il
notaio o gli amministratori sottopongono l’atto al tribunale; e ciò per ottenere
l’omologazione che lo stesso tribunale, ricorrendone gli estremi, concede, sentito il
parere del pubblico ministero (art. 2330). Identico il procedimento in occasione
della modificazione dell’atto costitutivo, naturalmente, nel corso di svolgimento
dell’attività sociale, con esclusione, peraltro, del potere del singolo azionista (art.
2411). L’autorità, in queste situazioni, quando si tratta di verificare la conformità,
allo schema legale, delle scelte dei soci, non agisce di propria iniziativa.
Controlli esterni sulle società quotate
Il T.U. n. 58/98, al fine di assicurare un’ampia tutela degli azionisti e del risparmio
investito nelle società quotate, nonché allo scopo di garantire ai soci ed al pubblico
una informazione compiuta e veritiera circa la situazione patrimoniale e le vicende
interne di tali società e dei gruppi di esse, ha disciplinato con regole innovative il
sistema dei controlli esterni sulle stesse, incentrato sulle funzioni attribuite:
 alla Consob: Commissione Nazionale per le Società e la Borsa;
 a società di revisione contabile, in possesso di determinati requisiti.
La Consob
La Consob è un organo collegiale composto da un Presidente e quattro membri di
comprovata esperienza, indipendenza e moralità. E’ nominata dal Presidente della
Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio, previa delibera del
Consiglio stesso. I componenti durano in carica 5 anni, sono rieleggibili una sola
volta e non possono esercitare alcun’altra attività. Questo organismo:
 determina l’ammissione dei titoli alla quotazione in borsa;
126
 dispone la soppressione e la revoca delle quotazioni;
 disciplina il funzionamento del mercato ristretto.
Per garantire l’informazione a beneficio della trasparenza:
 prescrivere la redazione del bilancio consolidato;
 richiedere la pubblicazione, nei modi e nei termini da essa stabiliti, di dati e
notizie necessari per l’informazione del pubblico;
 richiedere la comunicazione anche periodica di dati e notizie e la
trasmissione di atti e documenti ad integrazione di quelli relativi al bilancio
di esercizio, alle modificazioni dell’atto costitutivo e ad operazioni di
fusione e di scissione;
 eseguire ispezioni ed assumere notizie e chiarimenti dagli amministratori,
dai sindaci e dai direttori generali al fine di accertare l’esattezza e la
completezza dei dati;
 richiedere l’indicazione nominativa dei soci secondo le risultanze del
relativo libro nonché altri dati ad esso relativi.
Successivamente all’entrata in vigore del Dlgs n. 58, la Consob:
 svolge ulteriori funzioni con riguardo agli assetti proprietari delle società
quotate in borsa;
 può impugnare le deliberazioni assembleari viziate dall’esercizio del diritto
di voto vietato per la violazione degli obblighi di comunicazione di cui al
precedente punto;
 stabilisce le modalità di esercizio del voto per corrispondenza e le modalità
di svolgimento della relativa assemblea;
 vigila sull’attività delle società di revisione, assumendo i necessari
provvedimenti, anche sanzionatori.
I provvedimenti della Consob sono definitivi: contro di essi non è ammesso alcun
ricorso gerarchico, ma il ricorso giurisdizionale al T.A.R.
Tutte le notizie, le informazioni e i dati in possesso della Consob, in ragione delle
sua attività di vigilanza, sono coperti da segreto d’ufficio anche nei confronti delle
P.A. ad esclusione del Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione
economica.
Le società di revisione
Si è accennato al rinnovato rapporto tra il collegio sindacale e la società di
revisione e al diverso ruolo che esercitano, rispetto al passato, con riguardo al
bilancio: le originarie competenze dei sindaci sono state, infatti, attribuite ai
revisori. Il conferimento di questo compito alle società di revisione costituisce
proiezione dell’atro, anch’esso di verifica e anch’esso sottratto al collegio
sindacale, relativo alla regolare tenuta della contabilità sociale e alla corretta
rilevazione dei fatti di gestione nelle scritture contabili. Le società di revisione
devono essere iscritte in un albo speciale alla cui tenuta provvede la Consob che,
al pari, cura l’iscrizione stessa, previo accertamento degli indispensabili requisiti.
La Consob vigila sull’operato dei revisori per controllare, proprio ed innanzitutto,
l’indipendenza e l’idoneità tecnica. Compete all’assemblea delle società quotate in
borsa conferire l’incarico a quelle di revisione, finalizzato alla revisione del
bilancio di esercizio e quello consolidato, previo parere del collegio sindacale. Se
l’assemblea non provvede, l’incarico è conferito d’ufficio dalla Consob; in ogni
caso è di durata triennale e può essere rinnovato per non più di due volte. La
127
società di revisione esprime con apposita relazione il giudizio sul bilancio di
esercizio e su quello consolidato. Se il giudizio è negativo la deliberazione di
approvazione del bilancio può essere impugnata da tanti soci che rappresentino
almeno il 5% del capitale nonché dalla Consob. La delicatezza e l’importanza
dell’attività delle società di revisione è confermata dal parere che esprimono sulla
congruità del prezzo di emissione dei titoli azionari quando è escluso o limitato il
diritto di opzione e sulla valutazione dei conferimenti in natura; dalla relazione
sulla congruità del rapporto di cambio nelle operazioni di fusione e di scissione e
sulla distribuzione degli acconti dividendo. Le società di revisione rispondono
della propria attività, ai sensi dell’art. 2407, quindi in solido con gli amministratori
dell’impresa soggetta a revisione.
LE SOCIETÀ IN ACCOMANDITA PER AZIONI
Società per azioni e in accomandita per azioni sono accomunate da dalla
suddivisione del capitale in azioni, ma diversificate dalla dall’esistenza di due
categorie di soci: gli accomandatari, amministratori di diritto che rispondono
solidalmente ed illimitatamente (in via sussidiaria) delle obbligazioni sociali; e gli
accomandanti, i quali rispondono nei limiti del conferimento e non possono
amministrare la società. Rilevanti sono le diversità tra gli accomandatari
dell’accomandita per azioni per azioni e quelli dell’accomandita semplice. Il socio
accomandatario di quest’ultima società non è, infatti, necessariamente
amministratore; risponde solidalmente ed illimitatamente con gli accomandatari,
ma non è di diritto amministratore. La sua responsabilità non si riconduce, ancora
una volta necessariamente, all’attribuzione del potere di amministrazione che
potrebbe mancare; non a caso risponde per le obbligazioni contratte dalla società
anteriormente all’acquisto della qualità di socio e di quelle sorte successivamente
alla dismissione della carica. Nettamente diversa la responsabilità del socio
accomandatario dell’accomandita per azioni che risponde per il periodo in cui
mantiene l’ufficio di amministratore (art. 2467). L’indiscutibile connessione tra la
qualità di socio accomandatario e quella di amministratore rappresenta il pregio
ed il limite di questa società: il pregio, in considerazione del fatto che è preservata
la stabilità della gestione della società, perché salva la revoca il socio
accomandatario può mantenere la carica di amministratore permanente; e il limite,
poiché la prospettiva della responsabilità solidale ed illimitata ha notevolmente
condizionato il gradimento di questo tipo di società. Nella società in accomandita
per azioni risulta attenuata l’irrilevanza della partecipazione, ancorché
rappresentata da azioni: la persona di chi appresta i mezzi assumendo la qualità di
socio accomandatario, amministratore di diritto, assume importanza non
trascurabile, anzi decisiva. Questa essenziale peculiarità della società in
accomandita per azioni influenza, in primo luogo, la sua denominazione nella
quale deve essere riprodotto almeno il nome di uno dei soci accomandatari, con
l’indicazione, comunque, di società in accomandita per azioni; se ne giovano i terzi
che identificano uno degli amministratori sulla cui consistenza patrimoniale
possono confidare, ad integrazione di quella del patrimonio sociale (art. 2463).
L’atto costitutivo deve indicare i soci accomandatari che amministratori di diritto
sono soggetti agli obblighi di quelli della società per azioni (art. 2465). Si è già
osservato che la revoca degli amministratori deve essere deliberata con le
128
maggioranza prescritte per le deliberazioni dell’assemblea straordinaria delle
società per azioni. Al pari con lo stesso quorum viene decisa la sostituzione
dell’amministratore; se gli amministratori sono più di uno, la nomina del sostituto
o dei sostituti deve essere approvata da quelli rimasti in carica, per assicurare
omogeneità alla gestione dell’impresa. Il nuovo amministratore assume la qualità
di socio accomandatario dal momento dell’accettazione della nomina, con gli
effetti sul regime della sua responsabilità, solidale e illimitata, che sono stati
richiamati. Al servizio della stessa finalità – la protezione del ruolo dei soci
accomandatari, amministratori – la prescrizione che impone l’approvazione delle
modificazioni dell’atto costitutivo con le stesse maggioranze fissate per
l’assemblea straordinaria della società per azioni nonché con l’approvazione di
tutti i soci accomandatari (art. 2740). L’accomandita per azioni, in effetti, si può
sciogliere se cessano dall’ufficio tutti gli amministratori e se nel termine di sei mesi
non si è provveduto alla loro sostituzione ed i sostituti non hanno accettato la
carica (art. 2468). Nel periodo necessario per tentare la ricomposizione dell’organo
amministrativo il collegio sindacale nomina un amministratore provvisorio per il
compimento degli atti di ordinaria amministrazione che non assume la qualità di
socio accomandatario (art. 2468). La tutela accordata ai soci accomandatari
incontra il solo limite, indicato dall’art. 2469: non hanno diritto di voto, per le
azioni di cui sono titolari, nelle deliberazioni dell’assemblea relative alla nomina
ed alla revoca dei sindaci e all’esercizio dell’azione di responsabilità nei loro
confronti. Indiscutibile la finalità di garantire l’indipendenza dell’organo di
controllo.
SOCIETÀ A RESPONSABILITÀ LIMITATA
La società a responsabilità limitata è una società di capitali preordinata al fine di
fornire, alle imprese sociali di ridotte dimensioni, uno schema societario che per
metta di fruire del beneficio della responsabilità limitata.
Società per azioni e società a responsabilità limitata beneficiano, entrambe, della
piena autonomia patrimoniale ed i rispettivi soci rispondono esclusivamente nei
limiti del conferimento. Le distingue, tuttavia, la tecnica di ripartizione del capitale
sociale: quello della società per azioni articolato in azioni, quello della società a
responsabilità limitata in quote. Queste ultime possono essere di diverso
ammontare, ma in nessun caso inferiori a mille lire. Se il conferimento è superiore
a questo minimo la quota deve essere costituita da un ammontare multiplo di
mille lire. Il capitale è suddiviso in funzione delle persone dei soci che possono
sottoscrivere frazioni di ammontare diverso che non attribuiscono uguali diritti
(come le azioni). Queste parti del capitale formano unitariamente la quota del
socio sulla quale si commisura l’ampiezza della sua partecipazione. Mentre
l’azionista è titolare di una o più azioni, il socio di una società a responsabilità
limitata lo è di una sola quota. La quota non si “cartolarizza” in un documento e
non è, quindi, trasferibile con l’efficace semplicità e sicurezza dell’azione; priva,
cioè, di consistenza fisica, ricompresa tra i beni immateriali, si trasferisce in
conformità di un procedimento introdotto da recente normativa di legge. I soci
della società a responsabilità limitata che svolgono la comune attività confidando,
innanzitutto e fiduciariamente nella reciproca identità personale, destinano, di
solito, al servizio dell’impresa risorse limitate: il capitale minimo è fissato in venti
129
milioni. Viene, di regola costituita per la realizzazione di obbiettivi più circoscritti
rispetto a quelli della società per azioni e dell’accomandita per azioni; nulla vieta,
tuttavia, che la società a responsabilità limitata sia utilizzata per iniziative di
ampia prospettiva per la quale si apprestino i mezzi idonei incrementando,
pertanto, il capitale minimo.
L’autonomia privata ed i limiti ai principi capitalistici
La società a responsabilità limitata è ricompresa in quelle a base capitalistica:
beneficia della limitazione della responsabilità e la sua struttura organizzativa
segnala la sostanziale identità con quella della società per azioni e in accomandita
per azioni; ai suoi soci è concesso, con ampiezza, di adeguare tale struttura
“personalizzandola”, senza che ciò induca identificazione tra le persone dei soci e
l’organizzazione. È necessario, infatti, ribadire l’intangibilità degli aspetti
qualificanti dell’organizzazione che l’autonomia contrattuale non può, in ogni
caso, attentare (ad esempio, non può essere soppressa l’assemblea). La singolarità
dell’assetto organizzativo della società a responsabilità limitata trae origine dalla
particolare articolazione del complesso delle disposizioni di legge che la
governano, che valorizza l’autonomia contrattuale. La verosimile spiegazione di
questa articolata disciplina è da individuare proprio nella funzione riconosciuta
all’autonomia contrattuale dei soci. Mentre nell’accomandita per azioni, per la
rigidità del modello legale essa è circoscritta e ne sono consentite manifestazioni
assolutamente contenute, nella società a responsabilità limitata le è riservata
un’importante funzione. Si giustifica, così, che siano indicate le regole della società
per azioni applicabili a quella a responsabilità limitata e che, non a caso,
riguardano, innanzi tutto, i profili intangibili dell’organizzazione; all’autonomia
contrattuale dei soci è radicalmente precluso modificarli. Trovano, altresì,
applicazione le regole specifiche proprie di questo tipo di società; per il resto opera
l’autonomia negoziale.
Riflessi sull’organizzazione: costituzione e conferimenti
L’atto costitutivo, atto pubblico, modellato pedissequamente su quello della
società per azioni, deve contenere l’indicazione di società a responsabilità
limitata. È vietata la costituzione per pubblica sottoscrizione in coerenza con la
tendenziale peculiarietà di questa società per la selezione dei partecipanti per
favorire le convergenze personali (art. 2475). Il capitale minimo è fissato in venti
milioni (art. 2474). In ordine al conferimento trovano applicazione le regole della
società per azioni sia se in denaro sia se in natura; al pari richiamati i limiti relativi
agli acquisti di beni o di crediti dai fondatori, dai soci e dagli amministratori (art.
2476); modellate sulle società per azioni le prestazioni accessorie (art. 2478).
Diversa, anche se in maniera non significativa, la disciplina dell’inadempimento
del socio all’obbligo del conferimento. Innanzitutto gli amministratori possono
diffidarlo affinché lo esegua nel termine di trenta giorni e non in quello di
quindici. La diffida non è pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, ma gli è inviata
direttamente; il più consistente profilo distintivo: gli amministratori sono tenuti a
vendere la quota del socio moroso per il valore risultante dall’ultimo bilancio
approvato; è accordato agli altri soci il diritto di preferenza nell’acquisto (art.
2477).
130
Socio unico
A seguito dell’attuazione della dodicesima direttiva CEE, introdotta dal Dlgs n. 88
del 1993, la costituzione della società a responsabilità limitata è consentita per atto
unilaterale; nasce, cioè, in mancanza di un contratto e il socio unico che le dà vita
beneficia della limitazione della responsabilità diversamente dall’azionista unico
che risponde se la società per azioni è insolvente (art. 2362). La tutela dei terzi è
garantita dal regime di pubblicità che impone agli amministratori, quando le
quote appartengono ad un socio, o quando muta la sua persona, di depositare per
l’iscrizione nel registro delle imprese una dichiarazione che lo identifichi
anagraficamente (art. 2475 bis). Quando si costituisce o ricostituisce la pluralità dei
soci, gli amministratori devono depositare la relativa dichiarazione (art. 2475 bis).
Al pari sanzionata la violazione di questi obblighi nel riflesso sui terzi: il socio
unico perde il beneficio della limitazione della responsabilità fino a quando non
sia stata attuata la prescritta pubblicità (art. 2479). Rigorosa anche la disciplina del
socio unico con la società: i contratti o le operazioni a suo favore, anche quando
non fossero stati eseguiti gli adempimenti pubblicitari ora richiamati, devono
essere trascritti nel libro delle adunanze e delle delibere del consiglio di
amministrazione ovvero risultare da atto scritto. I crediti del socio unico nei
confronti della società non sono assistiti da cause legittime di prelazione per
evitare di pregiudicare gli altri creditori nel caso di fallimento della stessa società
(art. 2490 bis).
Assemblea, organo amministrativo e collegio sindacale
La rilevanza delle persone dei soci nella società a responsabilità limitata non
elimina, ovviamente, l’organizzazione, ma ne semplifica il funzionamento. Il
procedimento di convocazione dell’assemblea è, in effetti, snello e rapido. Non è
necessaria la pubblicazione dell’avviso di convocazione nella Gazzetta Ufficiale
poiché è inviato ai soci, dagli amministratori, con raccomandata almeno otto
giorni prima dell’adunanza; la comunicazione deve indicare il giorno, l’ora e il
luogo della riunione e l’elenco delle materie da trattare (art. 2484). Nell’atto
costitutivo possono essere previsti altre modalità come ad esempio il fax. Non è
prevista la seconda convocazione; nulla sconsiglia l’inserimento della relativa
regola nell’atto costitutivo. Hanno diritto di intervenire nell’assemblea i soci
iscritti nel libro soci che, diversamente dagli azionisti, non possono depositare
alcunché per legittimarsi alla partecipazione: la quota di cui sono titolari non si
cartolarizza, in effetti, in un documento. Non sono fissati quorum costitutivi, ma
soltanto quelli deliberativi. Ogni socio ha diritto ad almeno un voto; se la quota è
multipla di mille lire ha diritto ad un voto per ogni mille lire (art. 2485). La
rilevanza delle persone dei soci e l’opportunità di agevolare il loro contributo per
l’adozione delle deliberazioni assembleari giustifica quorum deliberativi più elevati
di quelli della società per azioni. L’assemblea ordinaria delibera con il voto
favorevole di tanti soci che rappresentano la maggioranza del capitale, la
straordinaria con quella di due terzi. Da non condividere il convincimento di parte
della giurisprudenza che nega la riduzione del quorum dell’assemblea
straordinaria, giustificandone soltanto l’aumento. Manca, in realtà, una previsione,
nella normativa di legge, sulla quale poggiare tale limitazione incompatibile con
l’ampia autonomia concessa ai soci nella determinazione dell’atto costitutivo.
Suscita discussione il mancato richiamo dell’art. 2380 che riguarda la società per
131
azioni; con la conseguenza che la presenza di più amministratori non
determinerebbe la costituzione dell’organo collegiale, cioè, del consiglio di
amministrazione. Tale omesso richiamo non impedisce l’applicazione, in via
analogica, di quell’articolo. In definitiva se siano, ovviamente più di uno non
parrebbe vietato affidare i relativi poteri ad ognuno di essi disgiuntamente. La
soluzione parrebbe possibile proprio per il mancato richiamo dell’art. 2380; il
vuoto normativo autorizza l’autonomia contrattuale a manifestarsi con ampiezza.
La semplificazione dell’apparato organizzativo investe anche l’attività di controllo.
Se il capitale sociale è inferiore a duecento milioni, la nomina del collegio
sindacale non è obbligatoria (art. 2488); al pari non è obbligatoria se ricorrono le
condizioni poste dall’art. 2435 bis per la redazione del bilancio in forma abbreviata
(art. 2488); venendo meno o l’una o l’altra circostanza, i sindaci devono essere,
invece, nominati. In ogni caso, anche in mancanza del collegio sindacale, è
consentito il ricorso all’autorità giudiziaria, ai sensi dell’art. 2409, quando la
denuncia sia proposta dai soci che rappresentino il decimo del capitale (art. 2488).
L’assenza del collego sindacale è bilanciata dall’attribuzione di una specifica
autotutela ad ogni socio cui è consentito di ottenere notizie sullo svolgimento degli
affari sociali e di consultare i libri sociali. I soci che rappresentino almeno un terzo
del capitale hanno, inoltre, il diritto di fare eseguire annualmente a proprie spese
la revisione della gestione.
Le modificazioni dell’atto costitutivo
Le modificazioni dell’atto costitutivo segnalano alcune peculiarità rispetto alle
società per azioni. Non sono richiamate né la delega agli amministratori per
l’aumento del capitale, né la soppressione del diritto di opzione che spetta ai
vecchi azionisti sulle azioni di nuova emissione, quando l’interesse sociale lo esige
(art. 2441). Da non condividere l’opinione secondo la quale della delega non sia
consentito avvalersi poiché il conferimento del relativo potere si rivelerebbe
incompatibile con i caratteri qualificanti della società. In linea con le precedenti
osservazioni sembra corretto distinguere la situazione nella quale
l’amministrazione sia affidata a soci da quella nella quale sia affidata ad estranei.
Nel primo caso gli amministratori provengono dalla compagine sociale e non si
delineano controindicazioni per il conferimento della delega; sono nella
condizione, cioè, di valutare sia l’esigenza di capitalizzazione della società sia la
disponibilità dei soci ad assecondare l’operazione di aumento. Per le ulteriori
modificazioni dello stesso atto costitutivo trovano applicazione le prescrizioni che
riguardano la società per azioni, fermo restando che nell’eventualità di riduzione
del capitale per perdite i soci conservano i diritti sociali secondo il valore
originario delle rispettive quote (art. 2496).
Il trasferimento delle quote
Si è accennato che le quote sono liberamente trasferibili, salvo diversa previsione
dell’atto costitutivo. Per colpire illecite operazioni di riciclaggio del denaro sono
state introdotte regole particolari per il trasferimento delle quote della società a
responsabilità limitata (l. 1993 n. 310). Il trasferimento deve risultare da scrittura
privata con sottoscrizione autenticata dal notaio che è tenuto a depositare l’atto di
trasferimento per l’iscrizione nel registro delle imprese, nei trenta giorni
successivi. Negli ulteriori successivi trenta giorni si deve provvedere all’iscrizione
del trasferimento nel libro soci, su richiesta dell’alienante o dell’acquirente, a
132
fronte dell’esibizione del titolo da cui risulti il trasferimento stesso e l’avvenuto
deposito (art. 2479). Nel caso di cessione della quota, il socio che l’aliena è
obbligato solidalmente con l’acquirente per i versamenti ancora dovuti, per un
periodo di tre anni (art. 2481).
LE SOCIETÀ MUTUALISTICHE
Le prime società mutualistiche vennero costituite in Europa, con caratteristiche
analoghe a quelle odierne, ai primi dell’ottocento, per iniziativa delle classi sociali
meno abbienti oppresse dalle ingiustizie e disumane regole di vita imposte dalla
rivoluzione industriale. Successivamente, però, il movimento perse la sua
originaria impronta rigorosamente sociologica e classista, e le cooperative
finirono per essere considerate, nei vari ordinamenti europei, come comuni
formule organizzative della iniziativa economica privata. Il codice attuale
richiama per le cooperative una parte della disciplina dettata per le società per
azioni. L’art. 2516 infatti stabilisce che “alle società cooperative si applicano in ogni
caso le disposizioni riguardanti i conferimenti e le prestazioni accessorie, le assemblee, gli
amministratori, i sindaci, i libri contabili, il bilancio e la liquidazione della società per
azioni, in quanto compatibili con le disposizioni seguenti con quelle delle leggi speciali”.
Al codice si affianca una copiosa e complementare legislazione speciale che ha una
portata preminente e che spesso introduce regole particolari, non del tutto coerenti
con i principi generali. Al vertice del sistema delle fonti si colloca l’art. 45 Cost.,
che sancisce che “la Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a
carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata. La legge ne promuove e
favorisce l’incremento con i mezzi più idonei e ne assicura con gli opportuni controlli, le
finalità”. Recentemente, la legge Bersani del 1997 n. 266 ha istituito la piccola società
cooperativa. Si tratta di una società a struttura semplificata, nella quale la gestione
dell’impresa può essere affidata all’assemblea.
Lo scopo mutualistico
Nell’ordinamento giuridico vigente le cooperative possono definirsi come società
caratterizzate dallo scopo mutualistico e da un particolare tipo di organizzazione, che, per
la loro funzione sociale, godono di agevolazioni di varia natura e sono assoggettate a
specifici controlli. L’elemento fondamentale, tra i molti che compongono questa
definizione, sta però nello scopo mutualistico. Questo caratterizza oggi un tipo
particolare di società e giustifica il particolare tipo di organizzazione interna delle
cooperative. Lo scopo mutualistico attribuisce inoltre alle cooperative particolare
meritevolezza, e quindi funzione sociale giustificando le agevolazioni, che non
riguardano le imprese che perseguono scopi diversi da quello mutualistico. Lo
scopo mutualistico delle cooperative consisterebbe in una reciprocità di
prestazioni tra soci e società (gestione di servizio) che sarebbe assente dallo scopo
delle società ordinarie. Le cooperative debbono svolgere la loro attività
direttamente per i propri soci, e a condizioni di favore rispetto a quelle praticate
sul mercato. Pertanto, lo scopo mutualistico delle cooperative si traduce in una serie di
obblighi della società fornire beni, servizi e occasioni di lavoro ai propri membri a
condizioni più favorevoli di quelle del mercato. Il rapporto mutualistico si realizza in
ogni settore, in base a rapporti distinti e successivi al rapporto sociale. In tal senso,
nelle cooperative si sottolinea la esigenza di una duplicità di rapporti: contratto di
società e successivi rapporti contrattuali di scambio, caratterizzati da una
133
particolare vantaggiosità economica della prestazione alla quale il socio ha diritto.
Una eccezione è data dalle mutue assicuratrici. In questo particolare tipo di
impresa mutualistica, in base all’art. 2546, non si può acquistare la qualità di socio,
se non assicurandosi presso la società, e si perde la qualità di socio con
l’estinguersi dell’assicurazione, salvo quanto disposto dall’art. 2548. Il vantaggio
mutualistico può essere realizzato con due tecniche distinte: quella del vantaggio
immediato, e quella del vantaggio differito o ristorno. Si ha la prima ipotesi
quando la società pratichi immediatamente prezzi inferiori o retribuzioni superiori
a quelle di mercato. Nella seconda ipotesi il vantaggio mutualistico viene
attribuito ai soci attraverso i ristorni che sono somme di denaro che la società
distribuisce, o meglio restituisce, ai soci periodicamente, quasi sempre in
occasione dell’approvazione del bilancio di esercizio, in proporzione ai rapporti
intercorsi con la cooperativa. Si ritiene, ma non tutti sono d’accordo su questa
interpretazione, che le leggi recenti abbiano introdotto nel nostro ordinamento
anche una mutualità di sistema, consistente nell’obbligo delle singole imprese di
contribuire con le proprie risorse al rafforzamento del movimento cooperativo, e
fondata sulla istituzione dei Fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo
della cooperazione, ai quali tutte le cooperative devono devolvere una quota, pari
al 3%, degli utili di esercizio e i patrimoni residui di liquidazione.
Scopo mutualistico e attività lucrativa
Il legislatore italiano non ha mai imposto alle cooperative, tranne in casi
eccezionali, un divieto generale di rapporti con i terzi non soci (mutualità pura).
Anzi, il nostro legislatore, ha predisposto un sistema complessivo di norme che
confermano l’assunto che le società cooperative possono normalmente offrire le
proprie prestazioni anche ai terzi non soci (mutualità spuria). Né può ritenersi
esistente un obbligo legale per le cooperative di agire prevalentemente con i propri
soci. Questo sistema è previsto espressamente per le banche di credito
cooperativo, è adombrato da altre disposizioni, ma non è il modello di gestione
che possa essere generalizzato e imposto a tutte le imprese mutualistiche. Non
esistendo ostacoli sostanziali a che le cooperative operino, anche in maniera
sistematica e prevalente, con il mercato, queste imprese possono anche trovarsi a
perseguire uno scopo di lucro. Però il legislatore, a questo proposito, detta una
serie di regole che divergono tra quelle stabilite per le società lucrative. In
particolare:
 la legge stabilisce un limite massimo ai conferimenti in denaro dei soci;
 la legge stabilisce poi un sistema particolare di distribuzione degli utili di
esercizio128;
 non è consentita la ripartizione delle riserve tra i soci in caso di
scioglimento del singolo rapporto sociale;
 in caso di scioglimento della società, se la cooperativa aspira a godere di
agevolazioni tributarie, lo statuto deve prevedere la devoluzione dell’intero
patrimonio sociale, dedotti il capitale versato e rivalutato e i dividendi
L’art. 2536 stabilisce due destinazioni obbligatorie e prioritarie degli utili di esercizio: a riserva
legale e ai Fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione. La distribuzione
di dividendi ai soci è assoggettata a limitazioni quantitative. La remunerazione del capitale sociale
delle cooperative e dei consorzi non può in alcun caso superare la remunerazione dei prestiti
sociali.
128
134
eventualmente maturati, ai Fondi mutualistici per la promozione e lo
sviluppo della cooperazione;
 non esiste un mercato dei titoli di partecipazione a società cooperative. La
cessione della partecipazione in cooperativa è soggetta alla autorizzazione
degli amministratori può addirittura vietare la cessione delle quote e delle
azioni con effetto verso la società;
 le cooperative possono costituire consorzi di cooperative che sono di tre
tipi:
o consorzi di cooperative ammissibili ai pubblici appalti;
o consorzi di cooperative in forma cooperativa, e cioè cooperative tra
cooperative;
o consorzi di cooperative per il coordinamento della produzione e
degli scambi;
 una posizione particolare è riservata ai soci sovventori e gli azionisti di
partecipazione cooperativa ai quali è riconosciuto un privilegio nella
distribuzione degli utili e nel rimborso del capitale.
Tutti queste disposizioni hanno introdotto elementi sempre più marcatamente
lucrativi, ed hanno posto la dottrina di fronte alla scelta tra la conciliazione della
mutualità e lucratività o la ammissione della odierna irrilevanza dello scopo
mutualistico. Nella prima direzione le norme che hanno elevato il livello di
lucratività delle cooperative potrebbero essere interpretate nel senso che la legge
per salvaguardare il carattere mutualistico delle cooperative, non impone ad esse
limiti alla produzione ma solamente vincoli alla distribuzione e devoluzione
dell’utile di esercizio.
La costituzione della società
Alla costituzione della società sono dedicate tre norme nel codice civile, e cioè gli
articoli 2518, 2519 e 2520, e due norme nella legge Basevi, e cioè gli art. 22 e 23. Si
applicano altresì per rinvio espresso dell’art. 2519, gli art. 2330 e 2331, dettati per le
società per azioni e rispettivamente disciplinanti l’iscrizione della società nel
registro delle imprese e gli effetti dell’iscrizione. Analogamente a quanto avviene
per le società per azioni, la costituzione della società cooperativa si configura come
una fattispecie a formazione successiva, composta di tre fasi:
 la stipulazione dell’atto costitutivo;
 l’omologazione dell’atto costitutivo da parte del tribunale;
 l’iscrizione della società nel registro delle imprese.
Questo significa che la società sorge solo al compimento della fattispecie appena
delineata. Non rientra nella fattispecie costitutiva l’iscrizione, temporalmente
successiva, della società cooperativa negli uffici prefettizi delle cooperative e nello
schedario generale della cooperazione prescritta dagli art. 13 e 15 della legge
Basevi. A differenza di quanto è previsto per le società in generale, per procedere
alla legale costituzione di una società cooperativa è necessario che i soci siano
almeno nove.
I requisiti dei soci
Il codice civile, tranne i labili riferimenti che possono cogliersi dagli art. 2518, 2523,
2525 e 2531, non contiene alcuna disposizione espressa relativa ai requisiti
personali dei soci. A ciò provvedono le leggi speciali, che però lasciano molti
135
settori dell’attività mutualistica privi di regole specifiche. Così, per le cooperative
di lavoro si prevede che i “soci di cooperativa di lavoro devono essere lavoratori ed
esercitare l’arte o il mestiere corrispondente alla specialità delle cooperative di cui fanno
parte o affini”. Per alcune forme di cooperative agricole si stabilisce che non
possono essere ammesse come soci “persone che esercitano attività diversa dalla
coltivazione della terra”. Per le cooperative di consumo si prevede che in esse non
possono essere ammessi come soci “intermediari e persone che conducano in proprio
esercizi commerciali della stessa natura non cooperativa”. Per le cooperative edilizie, la
situazione è molto più complessa perché il testo unico per l’edilizia popolare ed
economica stabilisce quali sono i requisiti dei soci delle cooperative fruenti di
contributi pubblici, mentre successivamente varie leggi speciali hanno individuato
i vari requisiti dei soci con riferimento alle agevolazioni tributarie. Per le
cooperative di credito si è invece stabilito che “per essere soci di una banca di credito
cooperativo è necessario risiedere, avere sede ovvero operare con carattere di continuità nel
territorio di competenza della banca stessa”.
Responsabilità dei soci
Anche la disciplina della responsabilità dei soci per le obbligazioni sociali
distingue le cooperative dagli altri tipi di società. Innanzitutto esistono
cooperative a responsabilità limitata in senso vero e proprio (art. 2514), nelle quali
per le obbligazioni sociali risponde esclusivamente la società con il suo
patrimonio. Vi sono cooperative poi a responsabilità sussidiaria o multipla, nelle
quali, in aggiunta alla responsabilità del patrimonio sociale, ciascun socio risponde
per le obbligazioni sociali per una somma multipla della propria quota.
Nell’ambito di tale categoria il codice e la legge fallimentare pongono un’ulteriore
suddivisione, precisando che tale responsabilità sussidiaria multipla può essere
limitata o illimitata. La responsabilità sussidiaria è limitata quando la percentuale
massima entro la quale ogni socio può essere chiamato a rispondere delle
obbligazioni sociali in caso di fallimento o di liquidazione coatta amministrativa è
determinata nell’atto costitutivo. Essa è invece definita illimitata quando la misura
della partecipazione dei soci alle perdite sociali non è predeterminata dall’atto
costitutivo, ma viene stabilita di volta in volta dagli organi del fallimento o della
liquidazione coatta amministrativa della società. Ulteriore caratteristica del regime
adottato per le cooperative è che la responsabilità sussidiaria multipla, limitata o
illimitata, può essere fatta valere solamente in caso di liquidazione coatta
amministrativa e di fallimento della società. La odierna disciplina, sommariamente
descritta, è il frutto di stratificazioni legislative verificatesi in periodi successivi e
questo rilievo ne spiega la evidente macchinosità. Ed infatti, la tendenza del
legislatore è quella di imporre a tutte le cooperative il regime della responsabilità
limitata vero e proprio.
La pubblicità
Dal primo ottobre 1997 per effetto della legge n. 266 del 1997 (la c.d. legge
Bersani), l’obbligo di pubblicazione degli atti sul Bollettino ufficiale delle società
cooperative (B.u.s.c.) è assolto con l’iscrizione e il deposito nel registro delle
imprese. Funzione diversa ha la iscrizione nei registri prefettizi e nello schedario
generale della cooperazione. Nel registro prefettizio delle cooperative oltre alle
cooperative ammissibili ai pubblici appalti devono essere iscritte tutte le
cooperative legalmente costituite, qualunque sia il loro oggetto. Il registro è tenuto
136
distintamente per sezioni: cooperazioni al consumo, di produzione e lavoro,
cooperazione agricola, cooperazione edilizia, cooperazione di trasporto,
cooperazione della pesca e cooperazione mista. L’art. 15 della legge Basevi ha poi
istituto lo schedario generale della cooperazione, che è tenuto presso il Ministero
del Lavoro e della previdenza sociale. Nello schedario sono iscritte tutte le
cooperative che figurano già nei registri prefettizi. In più sono in esso iscritte:
 le cooperative di credito e di assicurazione;
 i consorzi di cooperative ammissibili ai pubblici appalti;
 le cooperative aventi sede nelle regioni Sicilia, Trentino Alto Adige, Friuli
Venezia Giulia.
L’iscrizione nei registri e nello schedario generale costituisce il presupposto
essenziale ma non sempre sufficiente per la concessione alle cooperative di
agevolazioni tributarie e di altra natura. È stato presso la Direzione generale della
cooperazione del Ministero del lavoro l’albo nazionale delle società cooperative
edilizie di abitazione e loro consorzi al quale debbono iscriversi le cooperative
edilizie e i consorzi che intendono ottenere contributi pubblici.
La partecipazione
L’art. 2525 del codice civile stabilisce che “l’ammissione di un nuovo socio è fatta con
deliberazione degli amministratori su domanda dell’interessato”. Assieme all’art. 2520,
che prevede la c.d. “variabilità del capitale” la norma viene ritenuta espressione
legislativa del principio della porta aperta, che è un aspetto organizzativo
qualificante e indefettibile delle imprese mutualistiche. La dottrina più recente ha
però dovuto ridimensionare la rilevanza giuridica di questa regola. Infatti, per
quanto riguarda l’entrata nella società, l’espressione “porta aperta” può risultare
ingannevole, in quanto il sistema vigente dimostra che l’ingresso di nuovi soci
nelle cooperative, essendo subordinato al possesso di determinati requisiti
personali e all’autorizzazione degli amministratori, non è affatto più agevole di
quello previsto per la partecipazione a società di capitali. Limiti alla libertà di
ingresso sono imposti anche dal fatto che nelle cooperative si instaura sempre una
comunione di interessi tra i soci che spinge taluno a intravedere in esse imprese
“di tendenza” ovvero ideologicamente orientate: si tratti o meno di rapporto retto
da intuitus personae, quello che è certo è che l’ingresso di nuovi soci non può essere
assolutamente libero ed indiscriminato, come la formulazione letterale del
principio lascerebbe pensare. Il principio della porta aperta non può che intendersi
come sinonimo della regola della variabilità del capitale. Anche da questo
raffronto il principio esce notevolmente ridimensionato, in quanto la variabilità
del capitale, correttamente intesa, non significa libertà di investimento e di
disinvestimento. Essa indica invece una semplificazione di forme per l’ingresso di
nuovi soci, che può verificarsi anche senza ricorrere al procedimento di modifica dell’atto
costitutivo, e una maggiore libertà di scioglimento del singolo rapporto sociale.
Recentemente, il legislatore è ritornato su questo delicato argomento,
introducendo due disposizioni espressamente dedicate alla ammissione di nuovi
soci nelle cooperative di credito, che concedono maggiore protezione a colui che
aspiri ad essere ammesso nella società. per quanto riguarda le banche popolari,
l’art. 30 del Dlgs n. 385 del 1993 ha stabilito che:
137

le deliberazioni del consiglio di amministrazione devono essere motivate
avuto riguardo all’interesse della società, alle prescrizioni statutarie e allo
spirito della forma operativa;
 l’interessato, in caso di rigetto della domanda, può presentare istanza di
revisione al collegio dei probiviri;
 il consiglio di amministrazione è tenuto a riesaminare la domanda quando
il collegio dei probiviri ne faccia richiesta.
Inoltre si stabilisce che coloro ai quali il consiglio di amministrazione abbia
rifiutato l’ammissione a socio possono esercitare i diritti aventi contenuto
patrimoniale relativi alle azioni possedute. L’art. 34 inoltre stabilisce per le banche
di credito cooperativo che è in facoltà della Banca d’Italia obbligare la banca stessa
a motivare e comunicare agli interessati le deliberazioni di rigetto. L’art. 2525
stabilisce che il nuovo socio deve versare, oltre l’importo della quota o dell’azione,
una somma da determinarsi dagli amministratori per ciascun esercizio sociale,
tenuto conto delle riserve patrimoniali risultanti dall’ultimo bilancio approvato.
Il trasferimento della partecipazione sociale
L’art. 2523 del codice stabilisce che “le quote e le azioni non possono essere cedute con
effetto verso la società, salvo in questo caso il diritto del socio di recedere dalla società”. La
formulazione letterale del primo e del secondo comma sembrerebbe ammettere
l’efficacia inter partes del trasferimento. L’articolo in esame insiste sulla inefficacia
verso la società della cessione non autorizzata, con formula che richiama l’art. 2023
e l’art. 2479. Per questa ragione, una parte della dottrina e la giurisprudenza
prevalente ammettono la possibilità di trasferimenti con efficacia limitata alle sole
parti contraenti, il che implicherebbe che il cedente, legittimato all’esercizio dei
diritti sociali, resti obbligato a ritrasferire al cessionario i benefici economici
conseguenti attraverso la partecipazione in società, senza che quest’ultimo possa
però avanzare pretese nei confronti della società. altri negano invece ogni
possibilità di effetti, anche inter partes, della cessione non autorizzata: ciò in
quanto la partecipazione a società cooperative è collegata a requisiti personali
imposti direttamente o indirettamente dalla legge e i benefici mutualistici, alla
produzione dei quali lo Stato concorre con incentivi di vario genere, sono riservati
ai soci, se ed in quanto posseggano determinati requisiti.
Informazione dei soci
I soci delle società cooperative, quando almeno un terzo del numero complessivo
di essi lo richieda, hanno diritto, oltre a quanto stabilito dall’art. 2422, di esaminare
il libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio di amministrazione e il
libro delle adunanze e delle deliberazioni del comitato esecutivo, se questo esiste.
I soci sovventori
L’art. 4 della legge n. 59 del 1992, intitolato “soci sovventori”, prevede la
applicabilità dell’art. 2548, dettato in tema di mutue assicuratrici, alle società
cooperative e loro consorzi. Non tutte le cooperative, però, possono prevedere soci
sovventori. Sono innanzitutto escluse le società e i consorzi operanti nel settore
dell’edilizia abitativa. Non possono, poi, prevedere soci sovventori le banche
popolari e le cooperative di assicurazione. Si discute se i sovventori siano soci veri
e propri o solo finanziatori della società. si osserva infatti, nel senso della natura
non societaria del rapporto di sovvenzione che gli apporti dei sovventori non
138
confluiscono nel capitale sociale, ma in fondi per lo sviluppo tecnologico e per la
ristrutturazione o il potenziamento aziendale. Se questa osservazione fosse esatta
il sovventore avrebbe diritto non a utili, ma ad un interesse, e non ad una
liquidazione di quota ma ad un rimborso dell’apporto. Le azioni dei sovventori
sono necessariamente, senza che sia necessario il consenso del consiglio di
amministrazione previsto dall’art. 2525. Tuttavia si prevede che l’atto costitutivo
possa stabilire particolari condizioni per l’alienazione di tali azioni. Il sovventore
effettua un apporto la cui entità è determinata liberamente, indipendentemente
dai limiti massimi stabiliti per i conferimenti dei soci ordinari. Tuttavia i voti
attribuiti ai sovventori non devono in ogni caso superare un terzo dei voti
spettanti a tutti i soci. Analogamente, i soci sovventori possono essere nominati
amministratori, come accade nelle mutue assicuratrici ( art. 2548 ).
Gli azionisti di partecipazione cooperativa
L’art. 5 della legge n. 59 del 1992, intitolato “finanziamento dei soci e dei terzi” ha
previsto la possibilità per le cooperative di emettere “azioni di partecipazione
cooperativa”. Tale emissione è concessa alle cooperative “che abbiano adottato nei
modi e nei termini stabiliti dallo statuto precedente di programmazione pluriennali
finalizzate allo sviluppo e all’ammodernamento aziendale”. Le azioni di partecipazione
possono essere emesse per un ammontare non superiore al valore contabile delle
riserve indivisibili o del patrimonio netto risultante dall’ultimo bilancio, che deve
essere certificato e depositato presso il Ministro del Lavoro e della previdenza
sociale. L’alternativa offerta dalla legge è forse frutto di una svista, perché il
patrimonio netto dovrebbe comprendere in ogni caso le riserve, a meno che il
legislatore non abbia inteso far riferimento, quando ha menzionato le riserve,
anche a fondi che non compongono il patrimonio netto. Il bilancio di riferimento
deve essere certificato e depositato presso il Ministero del Lavoro. Le azioni di
partecipazione cooperative devono essere offerte in opzione ai soci e lavoratori
dipendenti della società, i quali possono sottoscriverle anche superando i limiti
quantitativi indicati dall’art. 3 della stessa legge. È dubbio se gli azionisti di
partecipazione cooperativa possano essere nominati amministratori; e ciò
soprattutto se si mette in discussione la natura societaria del rapporto che li lega
alla cooperativa. I possessori di azioni di partecipazione sono organizzati in
assemblea speciale, la quale delibera sulla nomina e sulla revoca del
rappresentante comune, sull’approvazione delle deliberazioni dell’assemblea della
cooperativa che pregiudichino i diritti della categoria, sulla costituzione di un
fondo per le spese necessarie alla tutela dei comuni interessati, e sugli altri oggetti
di interesse comune.
Scioglimento del rapporto sociale limitatamente ad un solo socio
Recesso
L’art. 2526 stabilisce che “la dichiarazione di recesso, nei casi in cui questo è ammesso
dalla legge o dall’atto costitutivo, deve essere comunicata con raccomandata alla società e
deve essere annotata nel libro dei soci a cura degli amministratori. Essa ha effetto con la
chiusura dell’esercizio in corso, se comunicata tre mesi prima e, in caso contrario, con la
chiusura dell’esercizio successivo”. L’unica ipotesi di recesso ammessa direttamente
dal codice civile è quella di cui all’art. 2523, per il caso di divieto statutario di
cessione delle quote o delle azioni. Perciò ci si interroga se alle cooperative siano
applicabili le ipotesi di recesso stabilite dalla legge per la società per azioni
139
nell’art. 2437, con riferimento alle deliberazioni di cambiamento dell’oggetto
sociale, del tipo della società o di trasferimento della sede sociale all’estero; e, in
caso di risposta affermativa, se la disciplina stabilita nell’art. 2437 prevalga o meno
su quella stabilita nell’art. 2526. Alla prima domanda la dottrina e la
giurisprudenza prevalenti danno risposta positiva. Altro problema sollevato
dall’art. 2526 è quello dei limiti alla introduzione di ipotesi di recesso statutario. A
tale proposito l’opinione preferibile è che, data la vigenza della regola della
variabilità del capitale, e di quella contenuta nell’art. 2523 lo statuto della
cooperativa può prevedere liberamente i casi di recesso, sino ad ammettere la
possibilità di un recesso ad nutum, anche se la società è a tempo determinato.
Esclusione
L’esclusione è ammessa nelle cooperative qualunque sia il tipo della società.
nonostante l’improprietà del linguaggio, il codice intende avvertire che
l’esclusione è possibile anche nell’ambito delle cooperative a responsabilità
limitata, nelle quali la possibilità di scioglimento del singolo rapporto sociale
potrebbe pregiudicare gli interessi dei creditori sociali. L’art. 2527, richiamando gli
art. 2286 e 2288, ammette testualmente i seguenti casi di esclusione:
 per mancato pagamento delle quote o delle azioni;
 per gravi inadempimenti delle obbligazioni che derivano dalla legge o dal
contratto;
 per l’interdizione o per l’inabilitazione del socio;
 per la condanna del socio ad una pena che importa l’interdizione anche
temporanea dai pubblici uffici;
 in caso di conferimento del godimento di una cosa, il socio può essere
escluso per il perimento della cosa o per causa non imputabile agli
amministratori;
 può essere escluso il socio che si è obbligato con il conferimento a trasferire
la proprietà di una cosa, se questa è perita prima che la proprietà sia
acquistata dalla società;
 infine, il socio può essere escluso nei casi stabiliti dall’atto costitutivo.
In tutti questi casi si parla di esclusione facoltativa o volontaria. Vi sono però anche
ipotesi di esclusione di diritto, che può aversi, ex 2288:
 nel caso di dichiarazione di fallimento del socio;
 in caso di liquidazione della quota del socio, ottenuta dal creditore
particolare a seguito di opposizione alla proroga della società.
Il rimedio dell’esclusione colpisce anche l’ipotesi di invalidità del rapporto sociale
derivante dalla mancanza, originaria o sopravvenuta, di requisiti personali. Le
principali ipotesi di esclusione del socio di cooperativa sono previste negli statuti,
con riferimento a vicende che riguardano lo svolgimento del rapporto
mutualistico, e, in particolare, con riferimento all’inadempimento o alla
impossibilità sopravvenuta delle prestazioni dovute dal socio alla società o ai terzi.
Come prevede espressamente l’art. 2527, il socio può essere escluso anche nei casi
stabiliti dall’atto costitutivo. L’art. 2527 stabilisce che quando l’esclusione non ha
luogo di diritto, essa deve essere deliberata dalla assemblea dei soci o, se l’atto
costitutivo lo consente, dagli amministratori, e deve essere comunicata al socio. La
deliberazione di esclusione deve essere motivata. Il socio può, nel termine di
140
trenta giorni, proporre opposizione innanzi al tribunale, che, in via cautelare e di
urgenza, può sospendere l’esecuzione della deliberazione impugnata.
Morte del socio
L’art. 2528 del codice stabilisce che “in caso di morte del socio, salvo che l’atto
costitutivo disponga la continuazione della società con gli eredi, questi hanno diritto alla
liquidazione della quota o al rimborso delle azioni, secondo le disposizioni dell’art.
seguente”. La continuazione della società è possibile con l’erede o con gli eredi che
siano in possesso dei requisiti, e si trovino nelle condizioni necessarie per essere
ammessi nella società. La clausola statutaria che ammette la trasferibilità mortis
causa della partecipazione sociale assume quindi un valore ben preciso: se infatti
compare nel contratto sociale, essa vincola innanzitutto la società, come se si
trattasse di una opzione ex art. 1331. Il vincolo per la società si risolve nella
circostanza che è preclusa agli amministratori ogni valutazione circa la
opportunità della ammissione degli eredi, essendo già stata fatta questa
valutazione a priori da tutti i soci fondatori, o dalla maggioranza dei soci in
occasione di apposita modifica statutaria.
La liquidazione della quota
L’art. 2529 stabilisce che “nel caso di recesso, esclusione o morte del socio, la liquidazione
della quota o il rimborso delle azioni ha luogo sulla base del bilancio dell’esercizio in cui il
rapporto sociale si scioglie limitatamente al socio. Il pagamento deve essere effettuato entro
sei mesi dall’approvazione del bilancio stesso”.
Capitale e patrimonio
Le prime società cooperative anziché essere fondate sull’autonomia patrimoniale,
poggiavano interamente sulla garanzia illimitata e sui contributi periodici, saltuari
e facoltativi, dei soci. D’altro canto, per consentire alle classi meno abbienti la
partecipazione a tali sodalizi, il legislatore ha consentito la costituzione di
cooperative munite di capitale sociale irrisorio, la cui congruità non può essere
sindacata nemmeno dal tribunale al momento della iscrizione della società nel
registro delle imprese. Questo principio non vale però per quelle cooperative alle
quali la legge impone un capitale minimo obbligatorio: tali sono soprattutto le
cooperative di credito, le cooperative di assicurazione e le mutue assicuratrici. Le
cooperative vengono comunemente definite società a capitale “variabile”, mentre
tutte le altre società sarebbero a capitale fisso. Questa definizione potrebbe però
indurre in errore: in tutte le società il capitale è variabile, come variabili sono quasi
tutti gli elementi del contratto e dell’organizzazione. La distinzione tra società a
capitale variabile e società a capitale fisso consiste nel fatto che nelle prime è
possibile un ingresso continuo di nuovi soci che, pur determinando un aumento di
capitale per effetto dei nuovi conferimenti, non deve accompagnarsi ad una
deliberazione dell’assemblea straordinaria. L’art. 2520 stabilisce così che “la
variazione del numero e delle persone dei soci non importa modificazione
dell’atto costitutivo”. La variabilità riguarda anche l’uscita dei soci dalla società.
Infatti, considerando le ipotesi di scioglimento del singolo rapporto sociale, nelle
cooperative emerge una maggiore libertà di scioglimento del rapporto sociale,
tanto è vero che il codice stesso ammette l’esclusione dei soci e, forse, la possibilità
di recesso, ad nutum oltre che nei casi previsti nello statuto. Le cooperative sono,
quindi, sottoposte a questa disciplina:
141



il capitale della società, anche se questa è a responsabilità limitata, non è
determinato in un ammontare prestabilito;
negli atti e nella corrispondenza della società non deve essere indicato il
capitale sociale;
la regola della variabilità del capitale dovrebbe esonerare le cooperative dal
rispetto degli art. 2446 – 2447, che disciplina, nell’ambito della società per
azioni, l’ipotesi della riduzione del capitale per perdite di oltre un terzo che
riducono il capitale al di sotto del minimo.
Quote ed azioni
La partecipazione sociale nelle cooperative può essere rappresentata da quote o da
azioni. Le azioni debbono necessariamente essere nominative. Le azioni dei
sovventori sono nominative e liberamente trasferibili, a meno che l’atto costitutivo
non preveda particolari condizioni per la loro alienazione; mentre le azioni di
partecipazione cooperativa possono essere anche al portatore. L’art. 3 della legge
n. 59 del 1992, modificando l’art. 2521 e le leggi speciali successive che si occupano
di questo problema, hanno stabilito che nelle società cooperative e nei loro
consorzi il valore nominale di ciascuna quota o azione non può essere inferiore a lire
cinquanta mila, e il valore nominale di ciascuna azione non può essere superiore a
lire un milione, salvo quanto disposto per particolari categorie di enti cooperativi.
L’art. 29 del Dlgs 385/1993 stabilisce che il valore nominale delle azioni delle
banche popolari non può essere inferiore a lire cinquanta mila. L’art. 33 dello
stesso decreto ha stabilito che il valore nominale di ciascuna azione di banca
cooperativa non può essere inferiore a lire cinquanta mila, ne superiore a lire un
milione. L’art. 7 della legge n. 59 del 1992, ha previsto che le cooperative e i loro
consorzi possano destinare una quota di utili ad aumento gratuito del capitale sociale
sottoscritto e versato. Questo aumento del capitale non richiede una deliberazione
dell’assemblea straordinaria, ma può attuarsi attraverso le deliberazioni
dell’assemblea ordinaria che approvano il bilancio di esercizio.
I prestiti dei soci e le obbligazioni
Le cooperative e i consorzi di cooperative, in quanto imprese presenti anche nei
mercati internazionali, hanno necessità di ingenti risorse finanziarie. In questa
situazione, uno sviluppo particolare hanno avuto i prestiti dei soci, e cioè i
finanziamenti che la cooperativa riceve direttamente dai propri aderenti.
L’esistenza di una disciplina di favore fiscale, pur testimoniando la liceità del
fenomeno, lascia però aperta la questione dei limiti che eventualmente debbano
assegnarsi a tale operazione sul piano sostanziale. In particolare, è vivamente
controverso se ai prestiti dei soci debba applicarsi la disciplina pubblicistica che
riguardava la attività di raccolta del risparmio tra il pubblico; e se l’operazione
possa attuarsi anche attraverso l’emissione di valori mobiliari. Si è sempre
discusso, poi, se le cooperative possano fare ricorso al prestito obbligazionario; e la
soluzione prevalente in dottrina è stata quasi sempre di segno negativo. Solo alle
banche cooperative la legge ha consentito recentemente la possibilità di emettere
obbligazioni, anche convertibili, nominative e al portatore.
L’acquisto di azioni e quote proprie
L’argomento è toccato dall’art. 2522 e da alcune disposizioni di leggi speciali: l’art.
34 del Dlgs n. 385 del 1993 stabilisce che le banche di credito cooperativo non
142
possono acquistare le proprie azioni, né fare partecipazioni su di esse, né
compensarle con le obbligazioni dei soci. Nelle cooperative l’operazione di
acquisto di azioni e quote proprie ha una portata più ristretta di quella che essa
riveste nella società per azioni. L’art. 2522 contribuisce ad attuare il principio della
variabilità del capitale, consentendo un rapido smobilizzo della partecipazione di
quei soci che non possano, o non vogliano, invocare le norme più rigide in materia
di recesso. In tale senso può anche parlarsi di “favoritismo” verso i soci. L’art. 2522
consente alle cooperative l’acquisto e il rimborso delle azioni o quote proprie,
purché siano previsti nell’atto costitutivo, e nei limiti degli utili distribuibili e delle
riserve disponibili risultanti dall’ultimo bilancio approvato.
Gli organi sociali
La disciplina di assemblee, amministratori e sindaci di cooperativa è data da
poche regole particolari, contenute nel codice e nelle leggi speciali, e da un nucleo
di regole fondamentali, mutuate dalla società per azioni.
L’Assemblea
Per quanto riguarda l’assemblea, le regole particolari del codice e delle leggi
speciali riguardano i seguenti punti:
 le forme di convocazione: l’art. 2518 consente all’atto costitutivo di
prevedere forme di convocazione in deroga alle disposizioni di legge
(raccomandata, affissione dell’avviso di convocazione nella sede sociale);
 il diritto di intervento e il diritto di voto: l’art. 2532 stabilisce che nelle
assemblee hanno diritto di voto coloro che risultano iscritti da almeno tre
mesi nel libro dei soci. Stabilisce inoltre che ogni socio ha un voto,
qualunque sia il valore della quota o del numero delle azioni possedute;
 le maggioranze: la seconda parte dell’art. 2532 stabilisce che l’atto
costitutivo può determinare le maggioranze necessarie in deroga agli art.
2368 e 2369.
 il voto per corrispondenza: qualora l’atto costitutivo lo consenta, il voto
può essere dato per corrispondenza. In tal caso, l’avviso di convocazione
dell’assemblea deve essere particolarmente analitico e contenere per esteso
la deliberazione proposta;
 la rappresentanza: l’art. 2372 richiede, ai fini dell’ammissibilità della
rappresentanza in assemblea, una espressa previsione dell’atto costitutivo,
in mancanza della quale la rappresentanza non è consentita. Nelle
cooperative inoltre la rappresentanza può essere conferita solo ad altro
socio.
Le assemblee separate
L’art. 2533 ha espressamente previsto la possibilità di svolgimento di assemblee
separate. La disposizione più frequentemente citata a questo proposito è quella
contenuta nell’art. 15 del Dlgs n. 1235 del 1948 in tema di consorzi agrari. Possono
prevedere assemblee separate:
 le cooperative con non meno di cinquecento soci che svolgano la propria
attività in più comuni;
 le cooperative costituite da appartenenti a categorie diverse, in numero non
inferiore a trecento, anche se svolgono la propria attività in più comuni.
143
Il codice impone che l’atto costitutivo preveda le modalità per la convocazione
delle stesse, per la nomina dei delegati all’assemblea generale e per le
deliberazioni dell’assemblea generale. Una fondamentale e irrisolta questione è
quella della sfera di competenza deliberativa delle assemblee separate. Il codice
ammette implicitamente che le assemblee separate debbano deliberare nel merito
degli argomenti ad esse sottoposti (i medesimi dell’assemblea generale). La
deliberazione dell’assemblea generale si forma in modo successivo. Si ritiene, ma
la tesi non è pacifica, che lo statuto debba prevedere anche la nomina di delegati di
minoranza, e che il mandato conferito ai delegati sia da ritenersi imperativo e
vincolante.
Gli amministratori
L’art. 2535 contiene alcune disposizioni specifiche relative agli amministratori di
cooperative. Sostanzialmente il codice, per quanto concerne la disciplina del
consiglio di amministrazione, richiama gli articoli 2380 e seg. limitandosi a fissare
alcune disposizioni specifiche in ragione delle peculiarità del fenomeno
mutualistico. La regola fondamentale stabilita dall’art. 2535 è che gli
amministratori di cooperativa devono essere soci o mandatari di persone
giuridiche socie. Il sistema di riservare tale carica ai soci non è però privo di
inconvenienti pratici. Il primo è quello della possibile arretratezza culturale e
professionale dei soci, che ostacola il corretto svolgimento di una qualsiasi attività
amministrativa degna di questo nome. Di tali inconvenienti si sono fatte carico
alcune leggi speciali, che hanno ammesso varie possibilità di deroga al principio
enunciato dal codice. In senso diametralmente opposto, può ritenersi orientata la
più recente normativa relativa alle aziende di credito, anche in forma cooperativa,
che richiede, in capo ai soggetti che svolgono funzioni di amministrazione,
direzione e controllo, requisiti di professionalità e di onorabilità. In secondo luogo,
la formulazione letterale dell’art. 2535 implica che non può essere nominata
amministratore una persona giuridica, ancorché socia. Per mandatari di persone
giuridiche socie, infatti, devono intendersi i soggetti ai quali la persona giuridica
socia conferisca il proprio diritto all’elettorato passivo alla carica di
amministratore.
Il collegio sindacale
Anche per i sindaci vige una disciplina basata sul rinvio alla società per azioni.
L’ultima parte dell’art. 2535 stabilisce però che non si applicano alle cooperative le
disposizioni dell’art. 2397, i quali, dopo l’entrata in vigore del Dlgs n. 88 del 1992,
impongono che i sindaci di società per azioni debbano essere scelti tra gli iscritti
nel registro dei revisori contabili istituto presso il Ministero di Grazia e Giustizia.
Amministratori e sindaci nominati dallo Stato o da Enti Pubblici - I probiviri
Il caso di nomina di amministratori e sindaci da parte dello Stato o enti pubblici si
presenta, nelle cooperative, con una frequenza maggiore rispetto alle società per
azioni. Ma la disciplina dettata con riguardo al fenomeno mutualistico è molto
meno ampia di quella dettata in tema di società di capitali. Nelle cooperative è
consentita la nomina extra assembleare della sola minoranza di tali organi e la
facoltà di nomina di amministratori e sindaci dipende esclusivamente da
previsioni statutarie. Nelle cooperative la facoltà di nomina extra assembleare
prescinde dalla circostanza che lo Stato o gli enti pubblici siano soci della società,
mentre invece gli art. 2458 e 2459 distinguono tra l’ipotesi in cui vi sia o non vi sia
144
una partecipazione pubblica. Non vi può essere nomina extra assembleare di
amministratori e sindaci nelle banche popolari e nelle banche di credito
cooperativo. Accanto ad amministratori e sindaci, nelle cooperative spesso capita
di imbattersi in un organo atipico che è il collegio dei probiviri, al quale le leggi
speciali, o clausole statutarie attribuiscono funzioni arbitrali per la soluzione di
controversie interne alla società.
Il controllo giudiziario (art. 2409)
L’ammissibilità del controllo giudiziario ex art. 2409 potrebbe essere sostenuta con
maggiore attendibilità per le cooperative con azioni quotate in borsa. Tuttavia,
poiché di fatto le uniche cooperative quotate in borsa sono le banche popolari,
l’applicazione dell’art. 2409 è esclusa espressamente dall’art. 70 del testo unico
bancario del 1993, che prevede, in caso di gravi irregolarità, la possibilità di un
ricorso e di una denunzia alla Banca d’Italia.
Le modificazioni dell’atto costitutivo
La trasformazione
La trasformazione di società cooperativa in società lucrativa comporta non solo il
mutamento dell’organizzazione, ma anche un mutamento della causa
(trasformazione eterogenea). Prima che entrasse in vigore la legge n. 127 del 1971, la
quale ha stabilito che le società cooperative non possono essere trasformate in
società ordinarie, anche se la trasformazione sia deliberata all’unanimità, si
contendevano il campo tre orientamenti principali:
 una prima tesi sosteneva la trasformabilità delle cooperative in società
ordinarie, secondo le normali regole delle modificazioni dell’atto
costitutivo, e quindi a maggioranza;
 una seconda tesi ammetteva la trasformabilità solo se deliberata
all’unanimità;
 una terza tesi propugnava l’assoluta inammissibilità della trasformazione.
Le leggi speciali possono prevedere eccezioni al divieto. La più nota è costituita
dalle banche popolari: per le particolari esigenze del sistema creditizio si stabilisce
che la trasformazione di banca popolare in società per azioni può essere
autorizzata dalla Banca d’Italia, ma solo in tre casi:
 nell’interesse dei creditori;
 per esigenze di rafforzamento patrimoniale;
 a fini di razionalizzazione del sistema.
Non è consentita la trasformazione delle banche di credito cooperativo in società
per azioni mentre resta vivamente controverso se le stesse possano trasformarsi in
banche popolari.
La fusione e la scissione
La fusione è lo strumento più comunemente usato per realizzare processi di
concentrazione, ed è espressamente ammessa per le cooperative dal codice e da
leggi speciali. Il codice, all’art. 2538, stabilisce che la fusione di società cooperative
è regolata dagli art. 2501 – 2504. La fusione di cooperative, come quella di società
in genere, può attuarsi nelle due forme previste dall’art. 2501:
 mediante la costituzione di una società nuova;
 mediante la incorporazione in una società di una o più altre.
145
Ciò premesso, la fusione può riguardare due o più società, tutte caratterizzate
dallo scopo mutualistico; e può riguardare società mutualistiche e società
lucrative. In questo ultimo tipo di fusione, il divieto legislativo di trasformazione
delle società mutualistiche in società lucrative comporta la inammissibilità di una
fusione tra cooperative che sbocchi nella costituzione di una società lucrativa, e la
inammissibilità della incorporazione di una società cooperativa in una lucrativa.
L’art. 2358 prevede la scissione, che può essere attuata nelle forme previste per la
società per azioni, ma che, in campo cooperativo potrebbe determinare, oltre che la
lesione degli interessi dei creditori, anche la lesione degli interessi dei soci al
perseguimento dello scopo mutualistico, o il mutamento della causa mutualistica
in causa lucrativa.
I controlli
Le società cooperative, per l’interesse pubblico ad esse collegato, sono soggette a
rigorosi controlli dell’autorità governativa. Al vertice del sistema si colloca il
Ministero del Lavoro e della previdenza sociale. Per la esecuzione delle ispezioni
ordinarie esso si avvale delle Associazioni nazionali di rappresentanza, assistenza e
tutela del movimento cooperativo debitamente riconosciute, relativamente alle
cooperative ad esse iscritte. Abbiamo poi le Commissioni provinciali di vigilanza.
Costituite presso la prefettura e composte da membri elettivi che rappresentano
adeguatamente le varie categorie di cooperative della provincia, le commissioni
hanno funzione ispettiva, e di varia altra natura.
La vigilanza sulle cooperative si attua mediante ispezioni ordinarie e
straordinarie. Le ordinarie sono effettuate dalle Associazioni nazionali
riconosciute e dal Ministero del Lavoro per quelle che non aderiscono ad alcuna
associazione. La legge n. 59 del 1992 ha assoggettato ad ispezione ordinaria
annuale le cooperative che abbiano un fatturato superiore a trenta miliardi, ovvero
che detengano partecipazioni di controllo in società a responsabilità limitata,
nonché le società cooperative edilizie di abitazione ed i loro consorzi iscritti
all’albo. Le ispezioni straordinarie sono invece disposte dal Ministero del Lavoro
ogni volta che se ne presenti l’opportunità.
La certificazione del bilancio
La riforma introdotta dalla legge n. 59 del 1992 ha previsto l’obbligo di
certificazione annuale del bilancio di esercizio per le cooperative e i loro
consorzi che:
 abbiano un fatturato superiore a ottanta miliardi;
 detengano partecipazioni di controllo in società per azioni;
 posseggano riserve indivisibili superiori a lire tre miliardi;
 raccolgano prestiti o conferimenti di soci finanziatori superiori a tre miliardi.
Sono, altresì, soggetti a certificazione del bilancio le società e associazioni che
gestiscono i Fondi mutualistici.
La gestione commissariale
L’art. 2543 stabilisce che in caso di irregolare funzionamento delle società
cooperative, l’autorità governativa può revocare gli amministratori e i sindaci, e
affidare la gestione della società ad un commissario governativo, determinandone
i poteri e la durata. Ove l’importanza della società cooperativa lo richieda,
l’autorità governativa può nominare un vice commissario che collabora con il
146
commissario e lo sostituisce in caso di inadempimento. Al commissario
governativo possono essere conferiti per determinati atti anche poteri
dell’assemblea, ma le relative deliberazioni non sono valide senza l’approvazione
dell’autorità governativa.
Lo scioglimento per atto dell’autorità
L’art. 2544 stabiliva, nella sua versione originaria, che le società cooperative che, a
giudizio dell’autorità governativa, non sono in condizione di raggiungere gli scopi
per cui sono state costituite, o che per due anni consecutivi non hanno compiuto
atti di gestione, possono essere sciolte con provvedimento dell’autorità
governativa, da pubblicarsi nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica e da
iscriversi nel registro delle imprese. Se vi è luogo a liquidazione, con lo stesso
provvedimento sono nominati uno o più commissari liquidatori. La riforma del
1992 ha introdotto nell’articolo una nuova disposizione molto complessa che
riguarda le cooperative edilizie e i loro consorzi. Le une e gli altri se non anno
depositato in tribunale nei termini prescritti i bilanci relativi agli ultimi due anni
sono sciolte di diritto e perdono la personalità giuridica.
La sostituzione dei liquidatori
In caso di irregolarità o di eccessivo ritardo nello svolgimento della liquidazione
ordinaria di una società cooperative, l’autorità governativa può sostituire i
liquidatori e se questi sono stati nominati dall’autorità giudiziaria può chiederne
al tribunale la sostituzione.
La crisi economica
L’art. 2540 stabilisce che le cooperative che hanno per oggetto una attività
commerciale sono soggette a fallimento, salve le disposizioni delle leggi speciali.
Le cooperative sono dunque soggette a liquidazione coatta amministrativa. Il
concorso tra le due procedure, una volta fissati questi principi, è regolato dal
criterio della prevenzione indicato dall’art. 196 della legge fallimentare: la
dichiarazione di fallimento preclude la liquidazione coatta amministrativa e il
provvedimento di liquidazione coatta amministrativa preclude il fallimento. L’art.
2540 esclude dal fallimento:
 le cooperative che non hanno per oggetto una attività commerciale;
 quelle che, pur avendo oggetto commerciale, siano espressamente sottratte,
da leggi speciali, al fallimento.
Cooperative non commerciali, ai fini dell’esonero del fallimento, sono innanzitutto
le cooperative agricole. E’ opportuno ricordare che in base all’art. 147 della legge
fallimentare, il fallimento di cooperativa con soci illimitatamente responsabili non
si estende a questi ultimi.
LE MUTUE ASSICURATRICI.
Il codice civile dedica tre articoli alle mutue assicuratrici o società di mutua
assicurazione. La mutualità in campo assicurativo può dunque attuarsi in due
forme: attraverso cooperative di assicurazione e attraverso mutue assicuratrici.
Queste ultime hanno una caratteristica particolare che ne sottolinea il carattere più
marcatamente mutualistico, almeno dal punto di vista formale: nelle mutue non si
può acquistare la qualità di socio se non assicurandosi presso la società, e si perde la qualità
di socio con l’estinzione dell’assicurazione. Nella sostanza le mutue assicuratrici
tendono allo stesso scopo economico di tutte le cooperative: quello di consentire ai
147
soci un risparmio, attraverso la eliminazione dell’intermediario speculatore. Il codice
stabilisce un nucleo essenziale di norme, l’art. 2546 (le mutue assicuratrici sono
caratterizzate dalla responsabilità limitata), l’art. 2456 comma due (i soci sono
tenuti al pagamento di contributi fissi o variabili, entro il limite massimo
determinato nell’atto costitutivo), l’art. 2458 (l’atto costitutivo può prevedere soci
sovventori). Richiama poi la disciplina generale delle cooperative a società
limitata. Incombe sulle mutue assicuratrici la legislazione speciale sull’esercizio
delle assicurazioni private. Meritano di essere segnalate alcune caratteristiche
peculiari dell’ordinamento patrimoniale delle mutue assicuratrici, rispetto a quelle
delle cooperative. Nelle mutue la legge impone la formazione la formazione di un
fondo di garanzia e di riserve tecniche, e non viceversa la creazione di un capitale
sociale e di riserve legali. La costituzione dei fondi di garanzia avviene
normalmente attraverso i contributi dei soci assicurati; può però avvenire anche
mediante speciali conferimenti da parte di assicurati o terzi (soci sovventori). I
soci sovventori possono disporre di più voti ma non più di cinque e i soci
sovventori, pur potendo essere nominati amministratori, non possono essere, nel
consiglio di amministrazione, essere in maggioranza rispetto ai soci assicurati.
LE MODIFICAZIONI DELL’IMPRESA SOCIETARIA
La trasformazione
La trasformazione è disciplinata dagli articoli 2498 – 2500 e può essere definita
come il cambiamento del tipo sociale, o più precisamente come il mutamento da
un tipo ad un altro di società da parte di una determinata società. Il soggetto
società resta il medesimo e muta soltanto il profilo organizzativo dell’impresa
società. Non esiste nessun limite alla trasformabilità tra società causalmente
omogenee: e cioè dall’uno all’altro tipo di società lucrativa commerciale e dall’uno
all’altro tipo di società mutualistica. È vietata per legge la trasformazione di
società cooperative in società ordinarie, anche se adottate all’unanimità; mentre
sembra ormai pacifica la trasformabilità delle società ordinarie in società
cooperative. Costituendo la trasformazione una modifica dell’atto costitutivo, essa
va deliberata secondo il regime normativo che vige per ciascun tipo sociale in
ordine alle modificazioni dell’atto costitutivo. Se si volessero riassumere gli effetti
che alla trasformazione conseguono, si potrebbe comporre il seguente quadro
sinottico:
 i capitale sociale resta immutato;
 ai soci di società di capitali o di società mutualistica assenti o dissenzienti
dalla delibera di trasformazione è consentito il diritto di recedere dalla
società, che è estendibile ai soci di società di persone quando, come
consente l’art. 2252, la decisione sia stata adottata a maggioranza;
 la trasformazione di una società nella quale i soci rispondano solidalmente
e illimitatamente in una società a responsabilità limitata non libera i soci
della società trasformata dalla responsabilità personale per le obbligazioni
sociali contratte prima della trasformazione, salvo che non risulti il
consenso dei creditori (art. 2499).
148
La fusione
La fusione è da considerarsi come la vicenda giuridica per la quale ad una
pluralità di società se ne sostituisce una sola: se questa è una delle società
preesistenti si parla di fusione per incorporazione, mentre se dalla fusione nasce
una società nuova si parla di fusione in senso stretto. Più che discutere sulla
natura della fusione è più utile sottolineare che la fusione è certamente un
fenomeno di integrazione tra imprese. L’attuale procedimento di fusione
comprende le seguenti fasi:
 redazione del progetto di fusione;
 redazione della situazione patrimoniale delle società partecipanti alla
fusione;
 redazione della relazione degli amministratori sul progetto di fusione e sul
rapporto di cambio;
 deliberazione di fusione da parte delle società partecipanti;
 stipulazione dell’atto di fusione.
L’art. 2501 bis impone agli amministratori delle società che si fondono la redazione
di un progetto di fusione. Il progetto in questione deve essere il frutto del comune
lavoro degli amministratori di tutte le società che partecipano alla fusione e
costituisce quindi la spiegazione in chiaro degli obbiettivi che con la fusione si
vogliono raggiungere. Il progetto deve specificare:
 l’atto costitutivo della nuova società risultante dalla fusione o di quella
incorporante, con le eventuali modificazioni risultanti dalla fusione;
 in chiaro: nel progetto deve essere contenuto per intero l’assetto
regolamentare della società che nascerà dalla fusione;
 il rapporto di cambio delle azioni o quote, nonché l’eventuale conguaglio in
denaro. Il rapporto di cambio è il rapporto in base al quale vanno attribuite
le partecipazioni della società incorporante ai soci della società incorporata
o, in caso di fusione in senso stretto, della società che risulterà dalla fusione
ai soci delle società che si fondono.
L’art. 2501 bis stabilisce che il conguaglio in denaro non piò essere superiore al
dieci per cento del valore nominale delle quote e delle azioni. Il progetto di fusione
deve essere depositato per l’iscrizione nel registro delle imprese del luogo ove
hanno sede le società partecipanti alla fusione e se alla fusione partecipano le
società di capitali deve essere pubblicato per estratto nella Gazzetta Ufficiale.
L’art. 2502 stabilisce che “la fusione deve essere deliberata da ciascuna delle
società che vi partecipano mediante l’approvazione del relativo progetto”. Se la
deliberazione di fusione è adottata dall’assemblea straordinaria di società per
azioni, in accomandita per azioni o a responsabilità limitata, la deliberazione deve
essere omologata e iscritta nel registro delle imprese. Se invece la decisione è presa
da una società di persone, essa deve ricevere il consenso di tutti i soci, ai sensi
dell’art. 2252, e deve essere depositata per l’iscrizione nel registro delle imprese.
La fusione non può essere attuata se non siano trascorsi due mesi dall’iscrizione
nel registro delle imprese senza che sia fatta opposizione dai creditori; e se è vero
che l’opposizione sospende l’esecuzione della fusione, è anche vero che il tribunale
può disporre che, nonostante l’opposizione, la fusione abbia luogo previa
prestazione di idonea garanzia da parte della società. Il procedimento di fusione si
149
chiude con la stipulazione dell’atto di fusione. L’atto di fusione, cui si riconosce
dai più natura contrattuale deve:
 rivestire la forma dell’atto pubblico;
 essere depositato per l’iscrizione entro trenta giorni presso l’ufficio del
registro delle imprese dei luoghi ove è posta la sede delle società
partecipanti alla fusione, di quella che ne risulta o della società
incorporante;
 se una delle società partecipanti ovvero la società risultante ovvero quella
incorporante è una società di capitali, deve essere pubblicato per estratto
nella Gazzetta Ufficiale.
L’effetto principale della fusione è che nella fusione in senso stretto la società
nuova e nella fusione per incorporazione la società incorporante assumono i diritti
e gli obblighi delle società estinte. La fusione ha effetto quando è stata eseguita
l’iscrizione nel registro delle imprese dell’atto di fusione, anche se nella fusione
per incorporazione può essere stata stabilita una data diversa.
Per ciò che concerne i limiti occorre distinguere tra limiti legali e limiti scaturenti dal
sistema e ipotizzati da dottrina e giurisprudenza. L’unico limite legale risulta dall’art.
2501, il quale stabilisce che la “partecipazione alla fusione non è consentita alle società
sottoposte a procedure concorsuali né a quelle in liquidazione che abbiano iniziato la
distribuzione dell’attivo”. I limiti scaturenti dalla elaborazione dottrinale e
giurisprudenziale riguardano la fusione di fra società causalmente eterogenee. Ad
esempio la fusione tra le società mutualistiche e società ordinarie è impedita da
esplicito divieto normativo (legge n. 127/1971).
La scissione
Secondo quanto dispone l’art. 2504 septies, la scissione di una società può eseguirsi
in due forme:
 mediante il trasferimento dell’intero suo patrimonio a più società,
preesistenti o di nuova costituzione, e assegnazione delle loro azioni o
quote ai soci della prima;
 mediante il trasferimento di parte del suo patrimonio a una o più società,
preesistente o di nuova costituzione, e assegnazione delle loro azioni o
quote ai soci della prima.
L’unico limite ex lege è quello dell’art. 2504 septies il quale impedisce la
partecipazione alla scissione delle società sottoposte a procedure concorsuali e
delle società in liquidazione che abbiano iniziato la distribuzione dell’attivo. La
disciplina del procedimento è in gran parte modellata su quella della fusione,
tant’è che c’è una norma – l’art. 2504 nonies – che contiene rinvio a molte norme
dettate per la fusione. Le tappe del procedimento sono:
 la redazione di un progetto di scissione, il quale deve contenere l’esatta
descrizione degli elementi patrimoniali da trasferire a ciascuna delle società
beneficiarie;
 la redazione della situazione patrimoniale, della relazione degli
amministratori sul progetto di scissione e delle relazione degli esperti;
 redazione dell’atto di scissione, con successivo deposito dell’atto stesso
presso il registro delle imprese e pubblicazione.
150
Per ciò che concerne gli effetti l’art. 2504 decies afferma che ciascuna società è
solidalmente responsabile, nei limiti del valore effettivo del patrimonio netto ad
essa trasferito e rimasto, dei debiti della società scissa non soddisfatti dalla società
a cui essi fanno carico.
LA FINE DELL’IMPRESA SOCIETARIA
L’estinzione dell’impresa societaria non è mai conseguenza immediata del solo
verificarsi di una causa di scioglimento, occorrendo altresì che ad esso segua un
procedimento di liquidazione (fattispecie a formazione successiva). La disciplina delle
cause di scioglimento prende avvio da due disposizioni normative: relative l’una
alle società di persone (art. 2272), l’altra alle società di capitali (art. 2448). Sono,
infatti, cause di scioglimento comuni a tutte le società:
 Il decorso del termine. La durata della società – indicata nel contratto – può
essere prorogata prima della scadenza. Ma proprio perché la proroga
implica una modificazione del contratto, essa, nelle società di persone,
richiede il consenso di tutti i soci, salvo che nel contratto sia convenuto
diversamente; nelle società di capitali, invece, rientra nella competenza
dell’assemblea straordinaria e quindi esige il ricorrere delle maggioranza
per questa previste. Nelle società di persone è ammessa altresì la proroga
tacita, che si ha quando, decorso il tempo per cui la società fu contratta, i
soci continuano a compiere le operazioni sociali. In tal caso la società è
prorogata a tempo indeterminato (art. 2273). Anche qui occorre il consenso
implicito di tutti i soci, desumile da atti o fatti che facciano supporre
l’esistenza di una volontà unanime tesa alla prosecuzione, senza soluzione
di continuità, dell’attività sociale. Va inoltre detto che nella società semplice
il termine di durata non costituisce elemento essenziale del contratto. La
proroga tacita è esclusa per tutte le società di capitali; e anche per le società
cooperative.
 Il conseguimento dell’oggetto sociale o la sopravvenuta impossibilità di
conseguimento. Per ciò che riguarda la sopravvenuta impossibilità di
conseguire l’oggetto sociale, punto fermo è che l’impossibilità deve essere
oggettiva e assoluta; ma codesta impossibilità può collegarsi a diversi
eventi (impossibilità dell’unica attività economica in vista della quale la
società fu costituita; l’impossibilità di funzionamento della società per
insanabile dissidio tra i soci; il venir meno dell’apporto di un considerato
essenziale).
 La società si scioglie per volontà di tutti i soci. Questa è la regola posta
dall’art. 2272 in tema di società di persone. Il tenore dell’art. 2272 si
giustifica in virtù del principio normale dell’unanimità dei consensi, che
però non esclude l’applicazione del principio maggioritario, ove ciò sia
convenuto. Una lettura restrittiva dell’articolo non trova adeguati
argomenti a sostegno. Più semplice il discorso per le società di capitali. La
deliberazione di anticipato scioglimento è di competenza dell’assemblea
straordinaria e quindi richiede le maggioranze rafforzate indicate dalla
legge; e nella società in accomandita per azioni altresì richiede
l’approvazione di tutti i soci accomandatari.
151
A queste cause di scioglimento si possono aggiungere quelle altre eventualmente
previste dall’atto costitutivo. Una di queste, ad esempio, è indicata implicitamente
dall’art. 2284, allorché il contratto elevi a causa di scioglimento dell’intera società il
decesso di uno dei soci.
Sono tipiche cause di scioglimento delle società di persone:
 la sopravvenuta mancanza della pluralità dei soci, se nel termine di sei mesi
questa non è ricostituita;
 la sopravvenuta mancanza di tutti i soci accomandatari o accomandanti, se
nel termine di sei mesi non è ricostituita la categoria dei soci venuta a
mancare (art. 2323).
Prevalente è la tesi che la causa di scioglimento operi trascorsi i sei mesi, tempo
durante il quale il potere di amministrare da parte del socio superstite non soffre
le limitazioni previste dall’art. 2274. Soluzione analoga ha il caso dell’art. 2323,
dove però l’amministratore provvisorio ha poteri limitati agli atti di ordinaria
amministrazione e non assume la qualità di socio accomandatario e, per tesi
pacifica, può essere sia un socio accomandante, sia un terzo estraneo alla società.
Costituiscono cause di scioglimento di tutte le società di forma commerciale (art.
2249):
 il provvedimento dell’autorità governativa nei casi stabiliti dalla legge;
 la dichiarazione di fallimento, salvo che abbiano per oggetto un’attività non
commerciale.
Più articolato è il panorama delle cause di scioglimento tipiche delle società di
capitali e delle società mutualistiche. Comuni alle une e alle altre sono:
 l’impossibilità di funzionamento o la continuata inattività dell’assemblea;
 la dichiarazione di nullità della società, nei casi previsti dall’art. 2332.
È invece causa di scioglimento propria alle sole società di capitali, la riduzione
del capitale al di sotto del minimo legale. La riduzione del capitale al di sotto del
limite legale produrrebbe automaticamente e immediatamente lo scioglimento
della società, salvo il verificarsi della condizione risolutiva costituita dalla
reintegrazione del capitale o dalla trasformazione della società ai sensi dell’art.
2447 che farebbe venir meno ex tunc lo scioglimento. Anche nella società in
accomandita per azioni, costituisce ulteriore causa di scioglimento la cessazione
dall’ufficio di tutti i soci amministratori se nel termine di sei mesi non si è
provveduto allo loro sostituzione e i sostituti non abbiano accettato. Del tutto
peculiare alle società per azioni con azioni quotate in borsa è lo scioglimento che
si produce nel caso che la riduzione del capitale per perdite abbia alterato il
rapporto tra azioni ordinarie e azioni senza voto o con voto limitato oltre le soglie
stabilite dalla legge. Infine nelle società cooperative sono elevate a causa di
scioglimento le seguenti ulteriori circostanze:
 la perdita dell’intero capitale sociale;
 in ipotesi di mutualità protetta, l’atto dell’autorità governativa conseguente
ad un giudizio sfavorevole sul raggiungimento degli scopi della società, al
mancato deposito per due anni consecutivi del bilancio di esercizio o al
mancato compimento per lo stesso periodo di tempo di atti di gestione;
 la riduzione dei soci a un numero inferiore al minimo di nove, se tale
numero non è reintegrato nel termine massimo di un anno.
152
Tutte le cause di scioglimento sono soggette a più o meno intenso regime di
pubblicità: essendo interesse dei terzi apprendere il verificarsi di un evento che
incide così profondamente sullo scopo e sulle modalità di funzionamento della
società. E’ in questa prospettiva che si giustifica la regola generale dettata dall’art.
2250 secondo cui dopo lo scioglimento della società in forma commerciale deve
essere espressamente indicato negli atti e nella corrispondenza che la società è in
liquidazione: adempimento al quale si può attribuire il valore di pubblicità notizia.
Ma a questa limitata forma di pubblicità, si aggiunge nelle società di capitali
qualcosa di più: infatti ex art. 2449 deve essere omologata dal tribunale, iscritta nel
registro delle imprese e pubblicata nel B.u.s.a.r.l. la deliberazione dell’assemblea di
anticipato scioglimento.
L’avverarsi di una causa di scioglimento non produce l’estinzione della società:
produce soltanto una serie di effetti preliminari e funzionali al momento estintivo.
Si tratta di effetti che seguono in modo diretto e immediato al verificarsi di una
qualsiasi causa di scioglimento e che pertanto operano di diritto, nel senso che
operano senza che sia necessario un accertamento a valore costitutivo. Gli
adempimenti pubblicitari imposti – in ipotesi di scioglimento – a tutte le società di
capitali mantengono il loro carattere di pubblicità dichiarativa: con la conseguenza
che in difetto lo scioglimento della società non può essere opposto ai terzi, a meno
che la società provi che ne erano a conoscenza. Si è sostenuto che a queste regole
farebbe eccezione il caso di scioglimento per scadenza del termine, in quanto –
risultando la durata della società dall’atto costitutivo, di per sé soggetto a
pubblicità – non occorrerebbero, ai fini della opponibilità, gli ulteriori
adempimenti indicati dall’art. 2449. L’avverarsi di una causa di scioglimento
implica il mutamento dello scopo della società. Allo scopo di lucro subentra
quello di liquidazione. Un’opinione autorevole ravvisa nella causa di scioglimento
un fatto che determinerebbe anche lo scioglimento del contratto. Il permanere
della organizzazione sociale si giustificherebbe in vista dell’esigenza di definire i
rapporti preesistenti. Ai sensi dell’art. 2274, avvenuto lo scioglimento, i soci
amministratori conservano il diritto di amministrare, limitatamente ad affari
urgenti; a tenore, invece, dell’art. 2449 gli amministratori, quando si è verificato un
fatto che determina lo scioglimento della società, non possono intraprendere
nuove operazioni. Si può allora dire che nelle società di persone, sia nelle società
di capitali il potere degli amministratori è limitato al compimento degli atti di
conservazione del patrimonio sociale: facendo loro divieto di intraprendere nuovi
affari. L’inosservanza di tale divieto è sanzionata – nelle società di capitali e nelle
società cooperative – con la responsabilità illimitata e solidale degli amministratori
per i nuovi affari intrapresi. Dubbio è se discorso simile sia proponibile per le
società di persone. Gli amministratori che non si limitano a compiere atti urgenti
incorrono in responsabilità verso la società, ma anche verso i terzi? È preferibile
ritenere che l’atto non urgente dell’amministratore deve intendersi come atto
posto in essere da falsus procurator, e come tale opponibile ai terzi: beninteso,
sempre che la causa di scioglimento della società sia stata portata a conoscenza di
costoro con mezzi idonei. In tal caso l’atto non sarà imputabile alla società ( salvo
che non lo ratifichi ); e l’amministratore risponderà nei limiti dell’interesse
negativo. Gli amministratori sono responsabili della conservazione dei beni sociali
fin quando non ne abbiano fatto consegna ai liquidatori; e inoltre, nelle società di
153
capitali e mutualistiche, entro trenta giorni dallo scioglimento devono convocare
l’assemblea per le deliberazioni relative alla liquidazione ( art. 2449 ).
All’avverarsi di una causa di scioglimento la società entra in stato di liquidazione:
una nuova situazione giuridica che tra l’altro si caratterizza per il fatto che cessa
l’attività sociale volta al conseguimento di uno scopo di lucro o mutualistico;
sorgono i diritti dei soci alla liquidazione della quota. Il procedimento di
liquidazione implica il dissolversi di un patrimonio autonomo; e ciò è possibile in
quanto, con l’avverarsi di una causa di scioglimento, viene meno quel vincolo di
destinazione che in ogni tipo di società colpisce i beni sociali e ne impedisce la
divisione tra i soci. Nessuno dubita che nelle società di capitali non può mai
mancare un procedimento di liquidazione. Ma la stessa cosa non si può dire per le
società di persone. Infatti per quanto riguarda la società semplice, l’art. 2275
assegna alla disciplina codicistica un ruolo meramente suppletivo poiché su di
essa si fa prevalere il modo di liquidare il patrimonio sociale previsto nel contratto
sociale o d’accordo determinato dai soci. Evidentemente ha qui fatto premio la
preoccupazione di non imporre un procedimento che in molti casi sarebbe
sproporzionato. Le opinioni si articolano e si dividono proprio intorno al ruolo che
questa norma svolge nelle società di persone soggette all’obbligo di registrazione.
Secondo i più, anche nelle società in nome collettivo irregolare e in accomandita
semplice irregolare varrebbe la regola dell’art. 2275, fermo restando l’obbligo del
previo pagamento dei debiti sociali. Per contro, esisterebbe una sorta di binomio
tra pubblicità e obbligo di procedimento legale di liquidazione, argomentando da
tutta una disciplina che sembra supporre, per le società registrate, la necessaria
presenza di uno o più liquidatori. Il procedimento di liquidazione prende avvio
con la nomina dei liquidatori. In tutte le società il contratto o l’atto costitutivo
possono prevedere particolari modalità di nomina. In mancanza di disposizioni
del genere la nomina nelle società di persone, richiede il consenso unanime di tutti
i soci, nelle altre società, spetta all’assemblea straordinaria, ma la relativa
deliberazione non è soggetta ad omologazione. In mancanza di volontà unanime si
ha l’intervento del tribunale che nomina, su istanza di un o più soci, i liquidatori.
Nonostante il silenzio di legge, dovrebbero valere anche per i liquidatori le cause
di ineleggibilità e di decadenza previste per gli amministratori dall’art. 2382. I
liquidatori comunque nominati possono essere sempre revocati per volontà dei
soci con le stesse modalità previste per la nomina. Parimenti, le stesse regole
previste per la nomina si applicano alla sostituzione dei liquidatori per qualsiasi
causa venuti a mancare. Con la differenza che legittimati all’istanza di nomina
sono uno o più soci, i liquidatori o i sindaci. Il rapporto che si instaura tra società e
liquidatori presenta evidenti analogie con col rapporto di amministrazione; è un
rapporto contrattuale per cui alla proposta deve seguire l’accettazione, manifestata
anche per fatti concludenti. Sono doveri dei liquidatori:
 compiere gli atti necessari per la liquidazione;
 rappresentare la società anche in giudizio;
se i fondi disponibili risultano insufficienti per il pagamento dei debiti sociali,
possono chiedere ai soci:
 nelle società con soci illimitatamente responsabili, le ulteriori somme
eventualmente necessarie;
 nelle altre società, proporzionalmente, i versamenti ancora dovuti.
154
Questi poteri spettano:
 nelle società di persone, disgiuntamente a ciascun liquidatore;
 nelle società di capitali e mutualistiche, collegialmente ai liquidatori, nel
rispetto delle regole di funzionamento del consiglio di amministrazione.
Devono inoltre:
 depositare le loro firme autografe presso l’ufficio del registro delle imprese;
 devono prendere in consegna i beni e i documenti sociali e redigere,
insieme con gli amministratori, l’inventario;
 non possono ripartire tra i soci i beni sociali, finché non sono stati pagati i
creditori della società o accantonate le somme per pagarli;
 contemporaneamente all’estinzione delle passività sociali, devono restituire
ai soci i beni conferiti in godimento.
L’inventario è atto strumentale al passaggio delle consegne tra amministratori e
liquidatori, tende ad accertare il valore di realizzo dei singoli beni e quindi la
consistenza del patrimonio sociale. Il divieto di nuove operazioni evoca gran parte
delle considerazioni svolte a margine dell’art. 2449.
Con la consegna dei beni sociali ai liquidatori cessa il rapporto di
amministrazione. Non più di questo si può dire per ciò che riguarda le società di
persone. Per quanto riguarda invece le altre società l’art. 2451 dispone che le
disposizioni sulle assemblee e sul collegio sindacale si applicano anche durante la
liquidazione, in quanto compatibili con questa. Il punto sul quale continua a
regnare il più vivace dissenso riguarda l’ammissibilità o meno della c.d. revoca
della liquidazione. In sintesi, sono state prospettate le seguenti tesi:
 in nessun caso è consentita la eliminazione della causa di scioglimento, e
quindi la revoca della liquidazione: una volontà unanime in tal senso
potrebbe al massimo apprezzarsi come ricostituzione della società;
 la revoca della liquidazione è consentita in tutte le società, purché esista il
consenso unanime dei soci;
 la revoca della liquidazione è possibile, nelle società di capitali e
mutualistiche, anche se deliberata a maggioranza.
I maggiori suffragi raccoglie la seconda tesi. Elevandosi a requisito della
fattispecie l’unanimità dei consensi, vengono superate le principali obiezioni
solitamente opposte alla revoca.
Estinti i debiti sociali, deve farsi luogo alla ripartizione dell’attivo residuo tra i
soci. È l’unica regola che vale per tutte le società. Poi i percorsi normativi
divergono. Nella società semplice, i liquidatori devono prima restituire gli
apporti, quindi ripartire l’eventuale eccedenza fra i soci in proporzione della parte
di ciascuno nei guadagni (2282). Non è necessario che i beni sociali siano convertiti
in denaro. La ripartizione può avvenire anche in natura. L’approvazione del
rendiconto finale libera i liquidatori di fronte ai soci e segna la fine della
liquidazione. Nelle società di forma commerciale i liquidatori devono redigere il
bilancio finale e proporre ai soci un piano di riparto. Bilancio e piano di riparto,
sottoscritti dai liquidatori, devono essere nelle società di persone comunicati ai
soci mediante raccomandata; nelle altre società depositati per l’iscrizione presso
l’ufficio del registro delle imprese. L’impugnativa del bilancio finale è un’azione di
annullamento volta ad accertare qualsiasi vizio che incide sulla regolarità formale
e sostanziale del bilancio stesso. Legittimato all’azione è ciascun socio. Si instaura
155
così un giudizio che può decidere un diverso riparto, con obblighi di restituzione
di quanto eventualmente percepito.
Nelle società non registrate il momento estintivo coincide con la regolare chiusura
del procedimento di liquidazione. Nelle società registrate occorre un ulteriore
adempimento: la cancellazione della società dal registro delle imprese. Questa
efficacia costitutiva presuppone un regolare procedimento di liquidazione. Ma
non basta. In caso di sopravvivenze passive, la società esiste e può essere
dichiarata fallita, fin quando non sia stato pagato l’ultimo creditore sociale, estinto
l’ultimo rapporto giuridico. Il regime delle sopravvivenze attive solleva problemi
assai minori: dopo la cancellazione, esse dovrebbero ricadere in comunione e
spettare pro – quota ai soci. Compiuta la liquidazione, a cura dei liquidatori i libri
e le scritture contabili della società devono essere depositati, per le società di
forma commerciale, presso la persona designata dalla maggioranza e per quelle di
capitali e mutualistiche, presso il registro delle imprese. E quivi devono essere
conservati per dieci anni. Chiunque può esaminarli, anticipando le spese.
I TITOLI DI CREDITO
PROFILI GENERALI
La disciplina generale dei titoli di credito è una novità del legislatore del 1942;
sotto il vigore del vecchio codice di commercio, infatti, erano disciplinate soltanto
alcune figure particolari di titoli di credito. Nonostante questo, il legislatore non
ha fornito del titolo di credito una definizione espressa: quindi, sulla base del dato
normativo, titolo di credito può definirsi “un documento contentente la promessa
unilaterale di effettuare una data prestazione a favore di chi lo presenterà al debitore”. La
funzione pricipale del titolo di credito è quella della “mobilizzazione della ricchezza”:
di favorire, cioè, la circolazione dei beni, rendendola più semplice e più sicura, sia
nello spazio che nel tempo.
Prima di intraprendere la trattazione particolare dei titoli di credito, merita un
accenno la problematica relativa all’inclusione dell’azione di società fra i titoli di
credito stessi. Parte della dottrina ritiene infatti che l’azione sia liberamente
trasferibile con le forme dei titoli di credito ma non sia un titolo di credito, poiché non
attribuirebbe al possessore un diritto letterale, autonomo e astratto:
 non attribuirebbe un diritto letterale perché i diritti del socio non si
determinano in base alla lettera del documento ma in base al rapporto
quale effettivamente sussiste con la società;
 non attribuirebbe un diritto autonomo perché se l’azione è stata dichiarata
estinta nei confronti del precedente titolare chi l’acquista non viene ad
avere alcun diritto;
 non attribuirebbe un diritto astratto perché la causa dei diritti attribuiti al
socio sta nei conferimenti.
Al contratio, secondo l’orientamento prevalente – anche della giurisprudenza – le
azioni sono ricomprese nella categoria dei titoli di credito. Innegabile è, pertanto,
l’applicazione degli art. 1994 e 1992, con la conseguenza che l’acquirente delle
azioni, se in buona fede e sempreché sia stata rispettata la legge di circolazione, ne
diviene proprietario anche se il venditore non lo era; non è, cioè, esperibile
156
l’azione di rivendicazione (art. 1994). Il titolo azionario incorpora la posizione
del socio nella società e il suo possesso conferisce la legittimazione ad esercitare
i relativi diritti a prescindere dalla prova, da parte del socio così legittimato, di
esserne o meno il proprietario129.
CARATTERI DEI TITOLI DI CREDITO
Incorporazione
Il titolo di credito è un documento costitutivo: si dice, infatti, che il diritto è
incorporato nel titolo. Il diritto sul titolo porta con se il diritto al titolo. Quindi:
 per provare l’esistenza del diritto è necessario il documento;
 per ottenere la prestazione è necessaria la presentazione del documento;
 la distruzione del documento può importare, salvo quanto diremo a
proposito dell’ammortamento, la perdita del diritto;
 qualsiasi vincolo sul diritto non ha effetto sul credito incorporato se non
colpisce anche il titolo;
 con il trasferimento del documento di trasferisce anche il diritto.
La scelta concessa al socio tra azioni nominative, a meno che non siano imposte dall’atto
costitutivo, e al portatore è rimasta virtuale fino all’entrata in vigore del codice civile; anche
attualmente i titoli della società per azioni e dell’accomandita per azioni sono soltanto nominativi,
con l’eccezione delle azioni di risparmio. L’obbligatoria nominativa è stata affermata dal r.d.l. n.
1148 del 1941 dal successivo regolamento; sostanziale l’identità tra questa normativa e quella del
codice civile nella parte relativa ai titoli di nominativi. L’intestazione dell’azionista deve risultare
sia dal titolo sia dal registro della società emittente, cioè il libro dei soci. Il trasferimento delle
azioni che comporta, dunque, la modifica del nominativo del socio sia sul titolo sia su questo
registro può essere realizzato in due modi, mediante transfert e mediante girata. Se il socio
alienante e l’acquirente si avvalgono della prima soluzione, la relativa operazione è gestita dalla
società su richiesta, indifferentemente, dell’alienante o dell’acquirente. Il procedimento è
complesso e segnala il solo pregio della contestuale annotazione sul titolo e sul libro dei soci con
immediata efficacia anche per la società stessa. Spesso, pertanto, si ricorre alla modalità alternativa,
quella del trasferimento mediante girata: il venditore gira il titolo all’acquirente, producendo, così,
l’effetto traslativo che non è ancora opponibile alla società; soltanto quando l’acquirente chiede, ed
ottiene, l’iscrizione nel libro soci è tale a tutti gli effetti. Anteriormente, l’acquirente, nella qualità di
giratario dell’azione, può, a sua volta, sempre mediante girata, trasferire il titolo, ma non può
esercitare i diritti sociali. Con l’entrata in vigore della legge 1745 del 1962, indotta da finalità fiscali
è venuta meno la limitazione ad avvalersi di tali diritti. Al giratario, infatti, non solo è consentito di
girare l’azione, ma anche di intervenire all’assemblea e di riscuotere l’utile; la società che provvede
all’iscrizione nel libro soci entro novanta giorni dall’esercizio di uno di questi due diritti soddisfa,
inoltre, l’istanza fiscale comunicando alla competente amministrazione i nominativi dei soci
intervenuti in assemblea e/o che hanno riscosso il dividendo. Questa soluzione ha alimentato il
dubbio che le azioni avessero perso le caratteristiche proprie dei titoli nominativi, convertite in
titoli all’ordine. Tale regime normativo è vigente ad eccezione dell’ipotesi in cui i titoli azionari
siano immessi nel sistema di gestione accentrata, oggi disciplinato dal decreto Draghi e, per le
azioni quotate sui mercati regolamentati, dal Dlgs. 213/1998 che ne prevede l’immissione
obbligatoria e in regime di integrale dematerializzazione: entrambi i decreti sono integrati dai
regolamenti attuativi della Consob. Il sistema è teso, per un verso, ad eliminare gli inconvenienti
del materiale movimento delle azioni e, per l’altro, ad agevolare le negoziazioni, poiché la
circolazione è attuata con registrazioni contabili.
129
157
Letteralità della promessa
Il diritto è determinato dal tenore letterale del titolo: il contenuto e la portata della
promessa, infatti, sono quelli, e soltanto quelli, che risultano documentati dal
contesto letterale del titolo. Da tale carattere consegue che:
 il titolare non può pretendere una prestazione diversa o più ampia da
quella risultante dal documento, né il debitore può eseguire una
prestazione diversa o più ristretta;
 il debitore non può disconoscere le obbligazioni inserite nel titolo.
Possiamo avere due ipotesi di letteralità:
 diretta: nel caso in cui il titolo di credito è completo in tutti i suoi elementi
(es. cambiale);
 indiretta: nel caso di titolo incompleto (es. azione di società).
Autonomia del titolo incorporato
Colui che risulta, in base alla legge di circolazione del titolo, titolare di esso,
esercita un diritto proprio, autonomo ed indipendente dai precedenti rapporti
intercorsi tra altri titolari ed il debitore. Il debitore, di regola, non può opporre
all’ultimo possessore del titolo le eccezioni personali riguardanti i rapporti con i
precedenti possessori.
Cartolarità
Il credito cartolare si contrappone al credito chirografaro, in cui il documento ha
solo efficacia probatoria ed il diritto è del tutto indipendente dal titolo stesso.
CREAZIONE E CIRCOLAZIONE DEL TITOLO DI CREDITO
La nascita del titolo di credito si sostanzia in due fasi:
 la creazione, cioè la materiale redazione del documento, che culmina con la
sua sottoscrizione;
 l’emissione, cioè l’effettiva consegna del titolo, già redatto, al creditore.
Da ciò sorge il problema di stabilire in quale di queste due fasi il titolo di credito
venga ad esistenza e si perfezioni il rapporto incorporato nel titolo. La dotrina è
divisa tra la teoria dell’emissione e la teoria della creazione.
Teoria dell’emissione
In base a questa teoria la creazione del titolo ha un mero valore interno: è soltanto
con la fase successiva della emissione, e cioè con la consegna al creditore, che il
documento diventa titolo di credito vincolante. Il contratto con cui si trasferisce il
titolo assume, in tal modo, carattere reale. Pertanto, se il titolo, invece che per
rilascio, sia uscito dalla disponibilità del sottoscrittore senza la di lui volontà (es.
per furto o smarrimento), ovvero per volontà viziata (da errore, violenza, dolo),
esso, sebbene creato, non può considerarsi emesso e la sua circolazione deve
ritenersi irregolare.
Teoria della creazione
In base a questa teoria, per l’esistenza del titolo di credito è necessaria e sufficiente
la semplice creazione e non occorre anche l’emissione in quanto il contratto
traslativo avrebbe natura consensuale. A sostegno di questa tesi si richiamano:
158



l’art. 1994 c.c. : “chi ha acquistato in buona fede il possesso di un titolo di credito,
in conformità alle regole che ne disciplinano la circolazione, non è soggetto a
rivendicazione”;
l’art. 20, 2° comma della legge cambiaria: “se una persona ha perduto per
qualsiasi ragione il possesso di una cambiale, chi l’acquista in buona fede non è
tenuto a consegnarla a chi l’ha perduta”;
l’art. 1993 c.c., l’art. 65 L. cambiaria e art. 57 L. sugli assegni che non
considerano, tra le eccezioni opponibili al debitore, la non volontaria
entrata in circolazione del titolo.
Conclusioni e concetto di rapporto fondamentale
Dal complesso di queste disposizioni si deduce che, per il nostro ordinamento, il
titolo di credito viene ad esistenza con la semplice creazione. Una volta creato il titolo,
esso viene emesso, mediante un atto giuridico di consegna a persona determinata,
compiuto “intuitu personae” e sorretto dalla specifica volontà di eseguire un
contratto o di adempiere ad un obbligo legale mediante tale rilascio. In altre parole
si emette un titolo di credito sempre in considerazione di un negozio o di un
rapporto patrimoniale da regolare – che si chiama fondamentale o sottostante –
intercorrente fra il creatore emittente del titolo ed il primo prenditore. Il rilascio
del titolo costituisce mezzo di rafforzamento della situazione della controparte,
oltre che agevole e pronto mezzo di soddisfacimento dell’obbligazione della quale
l’emittente è soggetto passivo: in tale nesso di strumentalità fra la creazione del
titolo ed il rapporto sottostante si ravvisa la causa del titolo di credito.
CLASSIFICAZIONE DEI TITOLI DI CREDITO
Classificazione in base al rapporto fondamentale
In base al rapporto fondamentale (o sottostante), si distingue tra:
 titolo causale: nel quale, insieme alla promessa, è pure indicato il rapporto
sottostante, alla cui sorte viene legato l’adempimento del titolo, anche di
fronte ai terzi130;
 titolo astratto: in cui, invece, il rapporto fondamentale non è enunciato ed è,
perciò, irrilevante nei confronti dei terzi possessori in buona fede del titolo,
i quali avranno diritto alla presentazione anche se il rapporto fondamentale
più non sussiste, ovvero è viziato. Il titolo di credito astratto, dunque, opera
indipendentemente dal negozio che ha portato alla sua esistenza, per cui
nessuna eccezione derivante da tal negozio sarà opponibile al possessore di
buona fede131.
Classificazione in base al regime di circolazione
Possiamo distinguere fra:
Sono, in particolare, titoli causali:
 l’azione e l’obbligazione di società;
 l’obbligazione di un ente pubblico;
 la fede di credito;
 i titoli rappresentativi di merci.
131 Sono titoli di credito astratti la cambiale e l’assegno circolare.
130
159

titoli nominativi, intestati ad una determinata persona132: il trasferimento
avviene mediante l’annotazione del nome dell’acquirente sul titolo e nel
registro dell’emittente o con il rilascio di un nuovo titolo intestato al nuovo
titolare;
 titoli all’ordine, intestati anch’essi ad un nome133: il trasferimento avviene
mediante consegna del titolo accompagnato da girata134
 titoli al portatore, non intestati ad alcun nome: per il trasferimento è
sufficiente la semplice consegna del titolo.
Da quanto detto si deduce che la legittimazione all’esercizio del diritto incorporato
nel titolo deriva:
 nei titoli nominativi: dal possesso accompagnato dall’intestazione del titolo,
contenuta sul documento e sul registro dell’emittente, a proprio favore;
 nei titoli all’ordine: dal possesso del titolo derivante da una serie continua di
girate135;
 nei titoli al portatore: dal semplice possesso del titolo.
Classificazione in base ai diritti enunciati nel titolo
Possiamo avere:
 titoli di pagamento, che danno diritto ad una determinata prestazione di
carattere pecuniario (es. cambiale e assegno);
 titoli rappresentativi, che attribuiscono un diritto reale (es. fede di
deposito, nota di pegno, lettera di vettura);
 titoli di partecipazione, che attribuiscono al possessore un determinato
status giuridico con i relativi diritti da esso derivanti.
Altre classificazioni
In relazione alla natura dell’emittente si distinguono titoli di credito pubblici
(emessi da un ente pubblico come ad es. i buoni del tesoro) dai titoli di credito
privati. In relazione al modo in cui sono creati ed emessi si distinguono i titoli
individuali dai titoli di massa (detti anche di seria, creati in un’unica operazione
come ad es. le azioni e le obbligazioni sociali)136.
Figure non rientranti tra i titoli di credito
Alcune figure giuridiche, pur se indicate comunemente come “titoli”, debbono
essere tenute distinte dai titoli di credito perché prive delle relative caratteristiche.
Possiamo ricordare:
 i titoli impropri, che consentono il solo trasferimento di un diritto senza
l’osservanza delle normali forme della cessione, ma non attribuiscono al
cessionario alcun diritto letterale e autonomo. Trattasi in sostanza di
scritture in cui, oltre ad essere enunciate le condizioni del contratto, è
Tale intestazione risulta sia dal titolo che dal registro dell’emittente.
L’intestazione, tutavia, risulta unicamente dal titolo e l’emittente non è tenuto a registrarla.
134 La girata è l’ordine di pagare ad una determinata persona rivolto dal creditore al debitore.
135 I titoli all’ordine possono circolare anche come titoli al portatore, quando la girata, anziché
piena (cioè con l’indicazione del nome del soggetto a cui favore è fatta), è in bianco (consiste, cioè,
nella sola firma del girante): in tal caso il titolo si trasferisce con la semplice consegna, senza
necessità di ulteriori girate.
136 I titoli di massa sono tutti causali.
132
133
160

inserita la clausola all’ordine, sì da consentire la cessione del contratto stesso
con lo strumento della girata;
i titoli di legittimazione, che servono solo ad identificare l’avente diritto ad
una determinata prestazione (es. biglietti ferroviare o del cinema).
Titoli atipici
Titoli atipici sono quelli non previsti da alcuna disposizione normativa ma
emergenti dalla pratica commerciale. Il codice ne esclude la libertà di emissione
nel solo caso di titoli al portatore aventi per oggetto l’obbligazione di pagare una
somma di denaro; nessun divieto pone per i titoli all’ordine e nominativi.
Tra i titoli atipici più importanti possiamo ricordare i warrants, speciali buoni di
sottoscrizione che danno diritto al detentore di acquistare, ad un prezzo prefissato
ed entro un lasso di tempo stabilito, un certo numero di azioni (c.d. azioni di
compendio). Altri titoli atipici sono:
 i certificati di partecipazione ad un fondo comune di investimento mobiliare;
 i certificati di deposito d’oro;
 i certificati rappresentativi di quote di associazione in partecipazione.
ECCEZIONI OPPONIBILI DAL DEBITORE CARTOLARE
Chi è debitore in base ad un titolo di credito non può esimersi dal pagarlo
invocando eccezioni che derivino da rapporti intercorrenti con i precedenti
portatori del titolo stesso. Tali rapporti, in particolare, non influenzano in alcun
modo il diritto del portatore. Al portatore del titolo saranno opponibili solo le
eccezioni a lui personali e quelle reali o assolute.
Eccezioni personali
L’individuazione delle eccezioni personali non ha precisione assoluta. Possiamo
distinguere fra:
 eccezioni personali in senso stretto, attinenti, cioè, allo stesso rapporto
cartolare. Tale è quella di difetto di titolarità, per cui il debitore che sappia
che il titolo è stato sottratto o falsificato da chi glielo presenta per il
pagamento può eccepire al portatore che egli non ha diritto di esigere il
pagamento stesso. Il pagamento al non titolare del diritto è liberatorio solo
qualora il debitore adempiente sia senza dolo o colpa grave;
 eccezioni fondate sui rapporti personali, cioè su rapporti diversi da quello
cartolare. Esempio tipico sono le eccezioni derivanti dal rapporto
fondamentale sottostante. In un solo caso il debitore può opporre al
possessore del titolo le eccezioni fondate sui rapporti personali con i
precedenti possessori: cioè quando, acquistando il titolo, il possessore ha agito
intenzionalmente a danno del debitore.
Eccezioni reali o assolute
Le eccezioni reali o assolute, in particolare, sono:
 le eccezioni relative alla forma del titolo, quando la legge richiede una forma
particolare (es. per la cambiale);
 le eccezioni rivolte ad escludere la provenienza del titolo dalla persona del debitore
(es. falsità della firma, omonimia);
161



le eccezioni che tendono ad escludere la validità dell’obbligazione cartolare per
incapacità di agire del sottoscrittore al momento dell’emissione del titoolo o per
difetto di rappresentanza in chi ha sottoscritto il titolo a nome del debitore;
le eccezioni che risultano dal contesto letterale del titolo e, nei titoli causali, quelle
relative al rapporto tipico causale richiamato dal titolo;
le eccezioni relative alla mancanza delle condizioni necessarie per l’esercizio
dell’azione (es. il titolo non è ancora scaduto; è intervenuta la prescrizione;
l’azione di regresso cambiaria non è stata preceduta dal protesto).
AMMORTAMENTO DEL TITOLO DI CREDITO
Qualora un titolo di credito venga sottratto, smarrito o distrutto, la legge tende a
far conseguire, a colui che ha perduto il possesso del titolo, un documento che ne
faccia le veci; occorre però tener conto che il titolo originario potrebbe continuare a
circolare ingenerando confusione fra i terzi circa la sua validità.
Per conciliare le opposte esigenze è predisposto un particolare procedimento c.d.
di ammortamento, rivolto ad eliminare l’efficiacia del titolo smarrito, sottratto o
distrutto ed a concedere al possessore un duplicato, stabilendo che il pagamento
sia ugualmente eseguito in suo favore.
Il procedimento si compone di due fasi:
 una prima fase, necessaria, che si conclude con il decreto di ammortamento
pronunciato dal Presidente del Tribunale;
 una seconda fase, meramente eventuale, inizia qualora vi sia opposizione al
detentore del titolo ed importa l’accertamento – in contraddittorio tra
ricorrente e debitore – circa la spettanza del diritto sul titolo. L’opposizione
deve essere proposta, con atto di citazione, nel termine di 30 giorni dalla
pubblicazione del decreto di ammortamento nella G.U.; in caso contrario il
decreto acquista efficacia di cosa giudicata.
L’ammortamento è ammesso per i soli titoli all’ordine e nominativi, non anche per
i titoli al portatore. Il legittimo possessore di questi ultimi, qualora li abbia perduti
per smarrimento o sottrazione, può denunciare detti eventi all’emittente del titolo,
dandone prova, ed avrà diritto alla prestazione solo dopo che sia decorso il
termine di prescrizione del titolo stesso. Nel contempo il titolo continua ad
incorporare il diritto per tutto il periodo di prescrizione e questo può venire
legittimamente acquistato da un possessore di buona fede.
PROFILI DEI TIPI DI TITOLI DI CREDITO PIÙ RILEVANTI
LA CAMBIALE
La disciplina di quel particolare titolo di credito che va sotto il nome di “cambiale”
è contenuta nel D.Lgs. 1669/33 che ha tradotto in norme giuridiche interne la legge
uniforme sulle cambiali e sui vaglia cambiari, cioè la prima delle tre Convenzioni
approvate a Ginevra nel 1930, ed è stato emanato in forza della delegazione
legislativa per la riforma dei codici.
162
Nozione e caratteristiche
La cambiale può definirsi “un titolo all’ordine, formale ed astratto, che attribuisce al
possessore legittimo il diritto incondizionato di farsi pagare una somma determinata alla
scadenza indicata”. In base alla definizione si evince che la cambiale:
 è titolo all’ordine: pertanto requisito naturale di essa è la possibilità di
circolare mediante girata;
 è titolo formale: infatti, la forma per essa prescritta è, nella cambiale, un
elemento essenziale per l’esistenza del titolo stesso;
 è titolo completo: deve contenere in sé tutti i requisiti richiesti sul foglietto
cambiario, essi non possono essere desunti, cioè, da altri documenti;
 è titolo astratto: infatti, nella cambiale, manca qualsiasi menzione del
rapporto fondamentale sottostante;
 è titolo esecutivo: a condizione che siano state osservate le disposizioni di
carattere fiscale della legge;
 ammette il confluire in essa di più obbligazioni aventi il medesimo oggetto: infatti,
all’obbligazione originaria si aggiungono quelle di ogni successivo girante e
dell’avvallante: obbligazioni tutte autonome e valide indipendentemente
dalle altre, ma tutte legate dal vincolo della solidarietà;
 è assistita da un particolare rigore processuale: infatti, nei giudizi cambiari, se le
eccezioni proposte sono di lunga indagine, il giudice deve emettere
sentenza di condanna con riserva, rinviando ad un secondo momento la
cognizione delle eccezioni.
Figure particolari
La tratta o cambiale in senso stretto
Contiene l’ordine che un soggetto, detto traente, dà ad un altro, detto trattario, di
pagare ad un terzo, il prenditore, una somma di denaro.
Il vaglia cambiario o pagherò cambiario
Contiene la promessa, fatta da un soggetto, emittente, di pagare una somma di denaro ad
una determinata scadenza a favore di un altro soggetto, prenditore. Tale struttura porta
a distinguere fra:
 rapporto di valuta, fra traente e prenditore: dà causa all’emissione o
negoziazione del titolo;
 rapporto di provvista, fra traente e trattario: in virtù del quale il traente
ordina al trattario di pagare la somma portata dal titolo al prenditore o ad
un suo giratario.
Requisiti della cambiale
La dichiarazione cambiaria deve essere redatta in forma scritta e deve avere
carattere autonomo: non può ritenersi valida, pertanto, una scrittura cambiaria
inserita nel contesto di un altro documento.
Per la redazione delle cambiali si fa uso di appositi moduli messi in vendita
dall’Amministrazione finanziaria dello Stato per un importo corrispondente alla
tassa graduale di bollo. La cambiale non bollata sin dall’origine non ha efficacia di
titolo esecutivo (né tale efficacia può ottenerla a seguito di successiva
regolarizzazione), ma è valida soltanto come “promessa di pagamento”.
163
Requisiti essenziali della cambiale, in difetto dei quali si può parlare solo di
attestazione di credito, sono:
 la denominazione di cambiale inserita nel contesto del titolo ed espressa
nella lingua in cui esso è redatto;
 l’ordine incondizionato o la promessa incondizionata di pagare una
determinata somma;
 il nome del trattario, nel caso di cambiale-tratta;
 il nome del primo prenditore;
 la data di emissione;
 la sottoscrizione dell’emittente o del traente.
Elementi accidentali sono:
 il luogo di pagamento;
 la data di scadenza, in difetto della quale si considera a vista, che può essere:
o a giorno fisso;
o a vista, se pagabile al momento della presentazione del titolo;
o a certo tempo vista, se scade dopo un certo tempo in seguito alla
presentazione;
o a certo tempo data, se scade dopo un certo tempo in seguito
all’emissione del titolo.
Cambiale incompleta e in bianco
I requisiti cambiari di cui al precedente paragrafo devono sussistere nel momento
in cui la cambiale è presentata per il pagamento: nel momento dell’emissione è
sufficiente che vi sia la firma dell’emittente e la denominazione cambiaria.
La cambiale che circola sprovvista di uno dei requisiti essenziali viene definita:
 incompleta: quando il rilascio del titolo avviene senza un accordo circa il
suo successivo riempimento;
 in bianco: quando sussiste un contratto di riempimento successivo. Se gli
accordi non vengono rispettati, l’eventuale eccezione di abusivo
riempimento non può essere opposta al terzo portatore, salvo che questi
abbia acquistato la cambiale in mala fede o con colpa grave. La facoltà di
riempimento è sottoposta ad un termine di decadenza di tre anni
dall’emissione del titolo.
Categorie di obbligati e autonomia delle obbligazioni cambiarie
Gli obbligati al pagamento della cambiale si distinguono in due categorie:
 obbligati principali: che sono l’emittente nel pagherò e l’accettante nella tratta;
 obbligati in via di regresso: che sono il traente e i giranti.
L’avallante assume la posizione di obbligato principale se dà avallo per un
obbligato principale; altrimenti, quella di obbligato in via di regresso.
Alla data di scadenza della cambiale, se l’obbligato principale rifiuta il pagamento,
l’attuale portatore legittimo del titolo può rivolgersi ad uno qualunque tra gli altri
obbligati; l’obbligato di regresso, poi, può pretendere il rimborso di quanto ha
pagato dai giranti che lo precedono, dal traente e dai loro avallanti.
Le varie obbligazioni cambiarie sono autonome: l’incapacità di uno degli obbligati, la
falsità di una firma, l’invalidità in genere di una di tali obbligazioni, non hanno
alcuna influenza sulle obbligazioni degli altri firmatari, che restano valide.
164
Se, invece, è l’obbligazione del traente o dell’emittente ad essere nulla per vizio di
forma o di contenuto, tale nullità travolge anche le dichiarazioni cambiarie degli
altri obbligati (di per sé regolari)137.
Capacità
Tutte le persone giuridicamente capaci possono assumere obbligazioni cambiarie
ad eccezione dell’interdetto e del minore sotto tutela o soggetto a potestà
parentale. Il genitore ed il tutore possono obbligarsi cambiariamente in nome del
minore o dell’interdetto solo a condizione che il primo vi sia autorizzato dal
giudice tutelare e l’altro dal Tribunale, su parere del giudice tutelare.
Il minore emancipato e l’inabilitato, qualora non siano autorizzati all’esercizio del
commercio, possono obbligarsi cambiariamente soltanto se la loro firma sia
accompagnata da quella del curatore con la clausola “per assistenza”.
Rappresentanza cambiaria
Le dichiarazioni cambiarie possono essere compiute anche per mezzo di
rappresentante: in tali ipotesi dalla dichiarazione o dalla sottoscrizione deve
apparire che il dichiarante si obbliga in nome del rappresentato, affinché gli effetti
dell’atto compiuto si riflettano direttamente sul rappresentato stesso. La procura
generale, qualora il rappresentato non sia imprenditore commerciale, non si
considera comprensiva della procura cambiaria. Colui che appone la propria firma
su una cambiale quale rappresentante ma senza il potere per farlo, si obbliga in
proprio.
Accettazione della tratta
Abbiamo visto che nella cambiale-tratta un soggetto, il traente, dà ad un altro
soggetto, il trattario, l’ordine di pagare una certa somma ad un terzo. L’accettazione
della tratta è l’atto negoziale con cui il trattario entra nel rapporto cambiario e si obbliga a
pagare la somma indicata nel titolo. Fino a che non interviene l’accettazione, non
sorge un’obbligazione cambiaria né vi è un debitore principale cambiario. Il
traente, gli eventuali giranti ed i loro avallanti sono soltanto obbligati di regresso;
il portatore della cambiale non vanta alcun diritto, né può esperire alcuna azione
nei confronti del trattario.
Ad accettazione avvenuta138, invece, entra nel rapporto cambiario anche il trattario
che assume l’obbligazione di pagare alla scadenza la somma portata dal titolo
come obbligato principale.
La girata
La girata può essere definita come un negozio giuridico cartolare, unilaterale ed
astratto, contenente un ordine di pagamento139. Deve essere incondizionata ed
ogni eventuale condizione si ha per non apposta. La girata può essere apposta
Nell’ipotesi di alterazione del testo della cambiale, chi ha firmato dopo l’alterazione risponde
nei termini del testo alterato.
138 L’accettazione può essere chiesta presso la residenza del trattario – dal portatore legittimo o
anche da un semplice detentore del titolo – fino al giorno della scadenza. La presentazione della
cambiale è solitamente facoltativa ma diventa obbligatoria allorché sia espressamente prescritta dal
traente o da un girante, così come nelle ipotesi di tratta “a certo tempo vista”, ovvero pagabile presso
un terzo o in un luogo diverso dal domicilio del trattario.
139 La formula tipica è “per me pagate a … “.
137
165
anche dopo il protesto del titolo: in tal caso, come precisa l’art. 25 della legge
cambiaria, si trasferiscono i soli diritti cambiari del cedente esposti a tutte le
eccezioni che sarebbero state opponibili al girante. La girata può essere:
 piena o in bianco: quest’ultima non contiene l’indicazione del giratario ed è
costituita dalla sola firma del girante.
 per procura o per incasso: con questa clausola il giratario assume la figura di
un mandatario del girante, mero detentore del titolo; solo come tale egli
potrà esercitare, per conto del girante, tutti i diritti inerenti alla cambiale e
non potrà girarla ulteriormente a terzi se non per procura;
 in garanzia: con essa il girante costituisce a favore del giratario, che è anche
suo creditore, per garantirgli maggiormente la solvibilità del proprio
debito, un pegno sul credito rappresentato dal titolo. Il giratario acquista la
cambiale per garantirsi di un credito: egli dunque, assume la posizione di
un creditore pignoratizio e non potrà ulteriormente girare la cambiale se
non per procura;
 fiduciaria: quando sul titolo non viene posta alcuna clausola, ma la
limitazione del diritto del giratario risulta da un negozio extracambiario;
 simulata: quando le parti simulano la traslazione della cambiale senza
volerne gli effetti.
La legittimazione del portatore della cambiale
La legittimazione del portatore avviene in base a due elementi:
 il possesso della cambiale;
 la girata140;
Il possesso di buona fede vale ad attribuire la titolarità del diritto: infatti, chi
detiene la cambiale è tenuto a verificarne la continuità delle girate, ma no la loro
autenticità (tranne che, acquistando la cambiale, non agì in mala fede o con colpa
grave). Il portatore deve presentare la cambiale al debitore per il pagamento nel
giorno della scadenza o in uno dei due giorni feriali successivi. In deroga ai
principi generali, il portatore non può rifiutare un pagamento parziale, perché tale
pagamento libera, sia pure parzialmente, gli obbligati in via di regresso.
L’avallo
L’avallo è una dichiarazione con la quale taluno garantisce cambiariamente il pagamento
della cambiale per uno degli obbligati cambiari (il traente, l’emittente, un girante). Si
tratta di una obbligazione cambiaria autonoma di garanzia, diversa dalla
fideiussione. Infatti, la fideiussione ha come caratteristica l’accessorietà: accede ad
una obbligazione principale e ne segue le sorti; l’avallo, invece, è indipendente
dalla obbligazione cambiaria per cui è dato. Inoltre l’avallante, per il principio
dell’autonomia, non può opporre le eccezioni personali opponibili dall’avvallato
al creditore cambiario.
Ogni successivo portatore della cambiale ha, verso l’avallante, il diritto al
pagamento della somma cambiaria alle stesse condizioni a cui lo ha verso
l’avallato ed è legittimato ad esercitare in modo autonomo, nei confronti
dell’avallante, il diritto portato dal titolo, quali che siano stati i rapporti intercorsi
tra avallante e avallato e tra avallante ed i precedenti possessori del titolo.
140
Se le girate sono più di una, occorre che la serie sia continua.
166
Il diritto del portatore attuale, in quanto autonomo, non può essere pregiudicato
dalle eccezioni opponibili dall’avallante ai precedenti portatori, né da quelle che
allo stesso portatore attuale avrebbe potuto opporre l’avallato, ma solo dalle
eccezioni che spettano all’avallante per un suo rapporto personale con il portatore.
L’avallante, inoltre, non può pretendere che il portatore escuta preventivamente
l’avallato; si ritiene – invece – che egli possa opporre al portatore eventuali fatti
estintivi dell’obbligazione cambiaria (pagamento, compensazione, remissione del
debito, novazione, ecc.).
L’avallante che effettui il pagamento della somma cambiaria acquista in modo
autonomo i diritti inerenti alla cambiale, accresciuti degli interessi e delle spese,
nei confronti dell’avallato e di coloro che sono obbligati cambiariamente verso
quest’ultimo. L’obbligazione di avallo deve essere scritta sulla cambiale.
La cambiali garantite
Il credito cambiario, oltre che dall’avallo, può essere rafforzato anche da garanzie
extracambiarie. Tali ipotesi si hanno nella:
 cambiale ipotecaria, in cui la garanzia del credito cambiario è costituita da
un’ipoteca iscritta su immobili o su beni mobili registrati;
 cambiale agraria, in cui la banca mutuante e prima prenditrice della
cambiale ha privilegio sui frutti raccolti dal mutuatario ed emittente della
cambiale stessa nell’annata agraria di scadenza del prestito;
 cambiale-tratta con cessione della provvista, in cui il credito cambiario è
garantito dalla cessione “pro solvendo” del credito derivante da forniture di
merci che il traente he nei confronti del trattario. La garanzia consiste
essenzialmente nell’attribuire al portatore della cambiale il diritto di agire
nei confronti del trattario sulla base del rapporto di fornitura di merci; essa,
comunque, è destinata a funzionare nell’eventualità che la cambiale non
venga accettata. In vero, una volta intervenuta l’accettazione del trattario,
ogni funzione della garanzia è esaurita, poiché, per effetto dell’accettazione,
sorge l’obbligazione cambiaria diretta del trattario stesso.
Le azioni cambiarie ed il protesto
Il portatore di una cambiale, qualora il pagamento venga rifiutato dal trattario (per
la tratta) o dall’emittente (per il pagherò), può pretendere lo stesso da tutti gli
obbligati cambiari, ed a tal fine può:
 iniziare l’esecuzione forzata sul patrimonio del debitore, servendosi della
cambiale come titolo esecutivo;
 promuovere un ordinario giudizio di cognizione;
 avvalersi del procedimento ingiuntivo (poiché esso consente di iscrivere
sollecitamente ipoteca giudiziale).
In ciascuno di tali casi, l’azione cambiaria può essere:
 diretta: contro gli obbligati principali (l’accettante e i suoi avallanti nella
“tratta”, l’emittente e i suoi avallanti nel “pagherò”);
 di regresso: contro gli obbligati di regresso (traente, girante e loro avallanti
nella “tratta”; giranti e loro avallanti nel “pagherò”).
L’azione diretta viene esercitata dal portatore nei confronti degli obbligati
principali senza formalità particolari o termini di decadenza. L’azione di regresso,
invece, può essere esercitata:
167
 qualora il pagamento non abbia avuto luogo alla scadenza esercitata;
 se l’accettazione della tratta sia stata rifiutata tutta o in parte;
 in caso di fallimento del trattario;
 in caso di fallimento del traente di una cambiale non accettabile.
L’esercizio dell’azione di regresso è subordinato ad un particolare onere: il
protesto. Questo è un atto pubblico, redatto da un notaio o da un ufficiale
giudiziario, nel quale si accerta in forma solenne l’avvenuta presentazione della
cambiale ed il conseguente rifiuto ad accettare o pagare141.
Azioni extra-cambiarie
Azione causale
Poiché l’emissione della cambiale non estingue il rapporto fondamentale
sottostante, l’azione da questo nascente (detta appunto causale) permane
nonostante l’emissione o la trasmissione della cambiale, salvo che si provi che vi
fu novazione. L’esercizio dell’azione causale è subordinato al mancato buon fine
della cambiale.
Per impedire che, nonostante l’esperimento dell’azione causale, la cambiale
continui a circolare ed il debitore possa trovarsi esposto al rischio di un duplice
pagamento e per mettere il debitore medesimo in condizioni di esercitare a sua
volta l’azione di regresso, la legge cambiaria pone a carico del portatore, che
voglia agire con l’azione causale, l’onere di offire la restituzione della cambiale e di
depositarla in Cancelleria.
Azione di arricchimento
Per impedire che il portatore resti danneggiato dal gioco delle decadenze e delle
prescrizioni cambiarie, la legge offre – come ultimo rimedio – l’azione di
ingiustificato arricchimento. L’esercizio di tale azione ha carattere residuale ed è
subordinato alla impossibilità di esperire l’azione cambiaria contro tutti gli
obbligati ed al fatto che non spetti, all’interessato, l’azione causale.
Con tale azioni il portatore può agire per il pagamento non della somma indicata
nella cambiale, ma eventualmente di quella minore di cui il traente, o l’accettante,
o il girante si siano arricchiti ingiustamente a suo danno. Trattasi di un’azione a
carattere sussidiario, appunto perché esercitabile quando il danneggiato sia privo
di ogni altra azione specifica verso il convenuto.
Prescrizione
Ai sensi dell’art. 94 della legge cambiaria:
 le azioni cambiarie contro accettante o emittente si prescrivono in 3 anni
dalla data della scadenza della cambiale;
 le azioni del portatore contro i giranti e contro il traente si prescrivono in un
1 anno dalla data del protesto;
 le azioni dei giranti gli uni contro gli altri o contro il traente si prescrivono
in 6 mesi dal giorno in cui il girante ha pagato la cambiale o è stata proposta
azione di regresso contro di lui;
Il protesto non è necessario se la cambiale contiene la clausola “senza spese”, “senza protesto”, o
altra equivalente.
141
168


l’azione causale ha lo stesso termine di prescrizione dei diritti nascenti dal
rapporto fondamentale;
l’azione di arricchimento si prescrive in 1 anno dal giorno della perdita
dell’azione cambiaria.
Cambiali finanziarie
Le cambiali finanziarie sono titoli di credito all’ordine emessi in serie (L. 43/94).
Hanno una durata compresa fra i 3 e i 12 mesi e sono dirette alla raccolta di
risparmio tra il pubblico da parte delle imprese che necessitano di un
finanziamento a breve termine senza dover ricorrere all’indebitamento bancario.
Trattasi di titoli di credito causali, dato che l’obbligatoria inserzione in essi della
dizione “cambiale finanziaria” fa si che il rapporto fondamentale sottostante
all’emissione della cambiale emerga dalla lettera del titolo stesso. E’ inoltre
prescritto che le cambiali finanziarie siano emesse nella forma della cambiale
propria.
L’ASSEGNO BANCARIO
L'assegno bancario è un titolo di credito, all'ordine o al portatore, contenente l'ordine,
rivolto ad un banchiere (trattario), di pagare a vista una somma determinata e
comportante, in via sussidiaria, la responsabilità cambiaria dell'emittente (traente) e di
tutti i successivi firmatari verso il possessore legittimato. La qualifica di banchiere, per
colui il quale l'ordine di pagamento è diretto, è considerata generalmente requisito
di validità del titolo. Il diritto del traente di ordinare il pagamento al legittimo
presentatore presuppone:
 che il traente abbia somme disponibili presso il trattario (rapporto di provvista);
 che il traente possa disporre di tali somme a mezzo di assegno, in conformità
di una convenzione espressa o tacita.
La banca trattaria, tuttavia, rimane del tutto estranea al rapporto di valuta e non si
obbliga in alcun modo nei confronti del prenditore, né dei successivi legittimati,
ad eseguire il pagamento.
La disciplina giuridica dell'assegno bancario è dettata dal R.D. 21/12/1933,
numero 1736, comunemente indicato come “legge sugli assegni”, emanato in forza
della delega legislativa per la riforma dei codici, sulla base della prima di tre
Convenzioni relative alla normativa dello check, approvata nella conferenza di
Ginevra il 19/3/1931. Per quanto riguarda la natura giuridica dell'assegno, è stata
ravvisata l'esistenza di due distinti negozi tra loro collegati: la delegazione di
pagamento e l'assunzione dell'obbligo di garantire lo stesso.
L'articolo 35 della legge numero 1736/33 riconosce al traente la possibilità di
revocare l'ordine di pagamento, ma pone dei limiti a tale potere, allo scopo di
tutelare la funzione economica dell'assegno bancario, nonché l'interesse del
portatore a conseguire quanto dovutogli. La banca trattaria, pertanto:
 ha l'obbligo di uniformarsi alla revoca soltanto dopo la scadenza del
termine di presentazione del titolo;
 fino alla scadenza di tale termine, invece, è lasciata arbitra di decidere se
pagare o meno, restando esonerata da ogni responsabilità nei confronti sia
del traente, sia del possessore dell'assegno.
169
A regime della revoca si connettono le figure dell'assegno vistato e dell'assegno
limitato. L'assegno vistato (o annotato, o certificato) è caratterizzato da una
certificazione del banchiere trattario in ordine all'esistenza della provvista, con
assunzione dell'obbligo, nei confronti del legittimo possessore del titolo, di non
consentirne il ritiro, da parte del traente, prima della scadenza del termine di
presentazione. L'assegno limitato reca impresse, sul relativo modulo, la dicitura a
copertura garantita, nonché la cifra massima per cui può essere emesso.
Requisiti formali e sostanziali dell'assegno
L'assegno bancario deve contenere i seguenti requisiti di forma, che sono
essenziali per la sua validità:
 la denominazione di “assegno bancario”;
 l'ordine incondizionato di pagare una somma determinata;
 l’indicazione del trattario;
 l’indicazione del luogo di pagamento;
 la data e il luogo di emissione;
 la sottoscrizione autografa del traente.
Per quanto attiene ai requisiti sostanziali delle dichiarazioni contenute
nell'assegno si rinvia a quanto enunciato con riferimento alla cambiale. Pare
opportuno ricordare soltanto che:
 l'emissione di assegno bancario deve considerarsi atto eccedente l'ordinaria
amministrazione per il minore e l'interdetto;
 mentre, per la cambiale, la procura generale comprende anche la facoltà di
obbligarsi cambiariamente solo se rilasciata da un imprenditore
commerciale (salvo esclusione espressa), per l'emissione e la girata di
assegni non è richiesto, invece, che il potere di rappresentanza sia
specificamente conferito: l'articolo 15 della legge assegni dispone, infatti, che la
facoltà generale di obbligarsi in nome e per conto altrui comprende quella di
obbligarsi per assegno.
La circolazione dell'assegno
L'assegno bancario può essere emesso all'ordine o al portatore e, per la
circolazione di tali titoli, trovano applicazione i principi già enunciati nei capitoli
riguardanti titoli di credito in generale e la cambiale:
 assegno all'ordine: il trasferimento si attua mediante girata cui deve
accompagnarsi la consegna del titolo;
 assegno al portatore: il trasferimento si attua mediante la semplice consegna
del titolo.
L'assegno, comunque può anche circolare secondo le forme del diritto comune
quali la cessione ordinaria o la successione mortis causa.
Il pagamento
L'esercizio dei diritti cambiari incorporati nel titolo è subordinato all'inderogabile
onere, per il portatore, di presentare l'assegno al trattario per richiederne il
pagamento. La legge stabilisce tassativamente dei termini massimi per la
presentazione decorrenti dalla data di emissione:
 8 giorni, se coincidano il comune di emissione e quello di pagamento;
 15 giorni, se si tratta di comuni diversi.
170
Alla scadenza di tali termini non consegue l'automatico e necessario rifiuto di
pagamento da parte del trattario, ma soltanto la possibilità che l'ordine di
pagamento venga revocato dal traente. Se l'assegno non è interamente coperto, il
trattario potrà pagarlo sino a concorrenza della provvista ed il presentatore non
potrà rifiutare il pagamento parziale. Nelle ipotesi di pagamento rifiutato dal
trattario, il portatore è tenuto a dare avviso al proprio girante, al traente ed ai loro
eventuali avallanti, nel termine di quattro giorni successivi a quello in cui è stato
elevato il protesto. Ogni girante è, a sua volta, tenuto a comunicare l'avviso al
precedente girante nel termine di due giorni da quello in cui lo ha ricevuto.
Le azioni
Nell'ipotesi di rifiuto opposto dal trattario, il portatore ha diritto di ottenere il
pagamento da tutti i firmatari dell'assegno (traente, giranti, avallanti)
congiuntamente o individualmente, senza essere tenuto ad osservare l'ordine nel
quale essi si obbligarono. Lo stesso diritto spetta all'obbligato che abbia eseguito il
pagamento dell'assegno, nei confronti dei firmatari che lo precedono. Gli anzidetti
diritti possono esercitarsi attraverso:
 il procedimento esecutivo;
 il procedimento ordinario di cognizione;
 il procedimento di ingiunzione.
Figure particolare di assegni
Per diminuire il pericolo che l'assegno bancario, soggetto a furti e smarrimenti, sia
pagato ad un portatore di mala fede o da lui negoziato, la legge predispone
particolari cautele limitative della circolazione e della legittimazione, che rendono
difficile al ladro o al ritrovatore l'utilizzazione della somma cambiaria.
Clausola non all'ordine
L'assegno bancario emesso con tale clausola può essere ceduto soltanto con le
forme e con gli effetti della cessione ordinaria. Se la clausola è apposta da un
girante, essa non impedisce ulteriori girate del titolo, ma esclude la responsabilità
cambiaria di regresso del girante che ha apposto la clausola verso coloro i quali
l'assegno sia successivamente girato.
Clausola non trasferibile
Tale clausola blocca la circolazione del titolo sia nelle forme cambiarie sia in quelle
del diritto comune. L’assegno non trasferibile può essere pagato solo al prenditore
che non può girare il titolo, se non per l'incasso, ad un banchiere. La clausola di
non trasferibilità è obbligatoria per gli assegni bancari di importo superiore a venti
milioni.
Assegno sbarrato
La clausola di sbarramento limita la circolazione del titolo nella sola fase finale,
poiché l'ultimo giratario deve essere necessariamente un banchiere, oppure un
cliente del banchiere trattario: quest'ultimo, cioè, può pagare l'assegno soltanto ad
un suo cliente o ad un altro banchiere.
Assegno da accreditare
Tale assegno non può essere pagato in contanti, ma chi intende incassare l'importo
può solo versarlo alla banca trattaria, se ne è cliente, affinché venga accreditato sul
proprio conto.
171
Assegno turistico
Il pagamento di tale assegno è subordinato all'esistenza sul titolo di una doppia
firma conforme del prenditore, il quale deve ripetere la firma all'atto della
presentazione. Tale procedura mette al sicuro il prenditore da eventuali
smarrimenti, in quanto l’illegittimo possessore, per incassare l'assegno, dovrebbe
riuscire da porre sul titolo una firma identica a quella già posta dal prenditore.
L’ASSEGNO CIRCOLARE
L'assegno circolare è un titolo di credito all'ordine, contenente una promessa diretta di
pagamento e dotato di particolari requisiti di forma, emesso da un istituto bancario a ciò
preposto dall'autorità competente, per somme che siano disponibili presso di esso al
momento dell'emissione, e pagabile a vista presso tutti recapiti comunque indicati
dall'emittente. L'assegno circolare è simile per struttura al pagherò cambiario a
vista ma si differenzia nettamente da questo sotto il profilo della funzione che è
quella di consentire l'effettuazione di pagamenti senza il rischio dello spostamento
materiale della moneta, alla quale l'assegno circolare si equipara poiché incorpora
un credito di sicura esigibilità. L'utilità, per la banca emittente, deriva dall'incasso
della provvista al momento dell'emissione dell'assegno ed al pagamento differito
al momento della presentazione ed estinzione del titolo, con conseguente lucro dei
relativi interessi. Non è possibile l'emissione di assegno circolare al portatore,
onde impedire una sostanziale parificazione del titolo al biglietto di banca. La
promessa di pagamento integra una obbligazione cambiaria, diretta e principale,
della banca emittente e tale caratteristica distingue l’assegno circolare dall'assegno
bancario.
Presupposti dell’emissione
L’istituto emittente è tenuto a costituire, a garanzia del pagamento degli assegni
circolari, presso la Banca d'Italia, una riserva speciale in misura percentuale
all'ammontare degli assegni in circolazione.
L'emissione di assegno circolare dev'essere correlata all'esistenza di somme
disponibili è presso l'istituto emittente (provvista).
Disciplina
All'assegno circolare si applicano, in genere, le norme sul vaglia cambiario relative
alle girata, al pagamento, al protesto, al regresso, alle azioni extra cambiarie, alla
prescrizione, in quanto non siano incompatibili. Norme peculiari sono, invece, le
seguenti:
 la girata a favore dell'emittente (cosiddetta girata quietanza) estingue
l'assegno;
 l'azione contro l'emittente si prescrive entro tre anni dall'emissione;
 il possessore dell'assegno circolare decade dall'azione di regresso se non
presenti per il pagamento il titolo, all'emittente, entro 30 giorni
dall'emissione.
I TITOLI RAPPRESENTATIVI
I titoli rappresentativi di merci sono titoli di credito causali, ma caratterizzati dai
requisiti della letteralità e della autonomia, emessi da un terzo detentore della
merce, in essi esattamente individuata per genere, stato, qualità, ubicazione, e
172
della quale l'emittente si obbliga ad effettuare la riconsegna o restituzione
esclusivamente al legittimo possessore del titolo. La funzione tipica del
documento è quella di procurare il possesso e non quella di trasferire il diritto di
proprietà o altri diritti reali sulla merce.
Trasporti terrestri
Il mittente, se il vettore lo richiede, deve rilasciare un documento denominato
lettera di vettura. Il vettore, se l’emittente lo richiede, deve rilasciare un duplicato
della lettera di vettura ovvero, se non è stata data lettera di vettura, una ricevuta di
carico. Tali documenti solo se vengono emessi con la clausola all'ordine
costituiscono titoli di credito, ed in questo caso soltanto chi è legittimato dal titolo
può esercitare i diritti nascenti dal contratto di trasporto. Il trasferimento di tali
diritti, dunque, avviene mediante girata.
Trasporti marittimi
Polizza ricevuto per l'imbarco
Nella pratica marittima, il vettore o il raccomandatario, una volta assunto il
trasporto, sono tenuti a rilasciare al caricatore un ordinativo di imbarco delle
merci da trasportare, oppure una polizza ricevuto per l'imbarco, che fa prova
dell'avvenuta consegna della merce al vettore ma non ancora dell'avvenuto
imbarco di questa sulla nave. Dopo l'imbarco il comandante è tenuto a rilasciare al
caricatore una ricevuta di bordo per le merci imbarcate a meno che non rilasci
direttamente, in nome del vettore, la polizza di carico.
Polizza di carico marittima per merci a bordo
Il vettore, inoltre, qualora non vi abbia provveduto il comandante è tenuto a
rilasciare la polizza di carico, la quale fa prova dell'avvenuta caricazione delle
merci sulla nave. Il vettore, prima di emettere la polizza, deve assicurarsi che le
merci indicate siano conformi a quelle effettivamente imbarcate.
Gli ordini di consegna propri (delivery orders)
I delivery orders sono titoli di credito rappresentativi, con cui il vettore ordina al
comandante della nave o all'impresa di sbarco di consegnare al possessore del
titolo le singole partite o frazioni di merci in essi specificate; ciò rende più facili i
commerci, facilitando la divisione e la distribuzione del carico.
Gli ordini di consegna impropri
Tali ordini, invece che dal vettore, sono emessi dal possessore della polizza di
carico. Essi non sono titoli di credito, ma semplici titoli di legittimazione, poiché si
limitano ad indicare una persona alla quale il vettore può validamente consegnare
la partita di merce specificata. Questa indicazione è, tuttavia, sempre revocabile e
il possessore della polizza non perde mai la disponibilità delle merci.
Trasporti aerei
La lettera di trasporto aereo
Anche per il trasporto aereo è previsto un particolare documento probatorio del
ricevimento delle merci da trasportare, che costituisce, al tempo stesso, titolo di
credito rappresentativo di questo. Il mittente, infatti, può chiedere al vettore
l'emissione di una lettera di trasporto aereo o di tante lettere per quanti sono in
colli da trasportare.
173
Titoli emessi dal depositario
Nei contratti di deposito, i titoli eventualmente emessi dal depositario hanno, di
regola, funzione probatoria: soltanto la fede di deposito e la nota di pegno emesse dai
magazzini generali hanno efficacia rappresentativa e di titolo di credito.
La fede di deposito è titolo all'ordine, emesso dal magazzino generale su richiesta
del depositante, in cui sono indicate le merci depositate con tutti gli estremi atti ad
individuarle, il luogo del deposito, il nome del depositante, ed è specificato se per
la merce siano stati pagati i diritti doganali e se essa sia stata assicurata.
La nota di pegno è un documento allegato alla fede di deposito che consente di
costituire pegno sulle merci depositate e serve ad ottenere, per il possessore,
eventuali anticipazioni sulle merci.
La fede di deposito e nota di pegno possono circolare sia congiuntamente che
separatamente: vengono, infatti, separate quando sulle merci depositate si
costituisce un diritto di pegno.
ALTRI TITOLI DI CREDITO
I titoli speciali dell’istituto di emissione
Vaglia cambiario
Il vaglia cambiario è un titolo esclusivamente all'ordine, pagabile a vista ed in qualsiasi
filiale dell'istituto di emissione, contenente la promessa incondizionata della somma in essa
indicata. Esso si distingue dal pagherò cambiario, poiché non è uno strumento di
credito, ma è emesso dietro versamento, nelle casse dell'istituto di emissione, del
corrispondente importo in biglietti di banca o in valuta legale.
Assegno bancario libero
L'assegno bancario libero è un titolo all'ordine, emesso per conto della banca
d'Italia e dietro versamento del relativo importo, a mezzo di corrispondenti a ciò
autorizzati a seguito di prestazione di idonea cauzione. Esso è diretto a consentire
l'emissione di titoli della banca d'Italia in quelle località dove la banca stessa non
ha filiali, per mezzo dell'organizzazione bancaria altrui.
Assegno bancario piazzato
L'assegno bancario piazzato è un titolo all'ordine, emesso per conto della banca
d'Italia, da corrispondenti a ciò autorizzati, in doppia matrice, e pagabile presso
una sola filiale dell'istituto di emissione. A differenza dell'assegno bancario libero,
non è richiesto il versamento preventivo del controvalore; una delle due matrici,
però, deve essere inviata dal corrispondente alla filiale della banca d'Italia cui esso
è aggregato affinché questa, constatata la sufficienza della cauzione versata dal
corrispondente stesso, la munisca di visto e la faccia pervenire alla filiale sulla
quale l'assegno tratto.
Fede di credito o polizzino
La fede di credito è un titolo di credito all'ordine, contenente la promessa del
banco emittente di pagare una somma determinata, presso una qualunque filiale
di esso.
L'assegno I.C.C.R.I.
È l'assegno dell'istituto di credito delle casse di risparmio italiane. Esso contiene
una promessa di pagamento dell'istituto medesimo ma è emesso, in nome proprio
174
ed in qualità di traente, dalle singole casse di risparmio, autorizzate in base alla
prestazione di adeguata cauzione in titoli pubblici.
IL MERCATO MOBILIARE E
L’INTERMEDIAZIONE FINANZIARIA
IL MERCATO MOBILIARE E I SERVIZI DI INVESTIMENTO
IL MERCATO MOBILIARE
La nozione di mercato mobiliare, a partire dalla L. 216/74, è stata incentrata su
quella di valore mobiliare, che precedentemente era riferita soltanto ai titoli di
credito di massa. Trattasi di una nozione piuttosto ampia, che non trova nella
legge una definizione generale, bensì una descrizione di tipo casistico, correlata
all’operatività di discipline specifiche.
Una rilevante riforma del mercato mobiliare si è avuta con il D.Lgs. 415/96:
 la nozione di valori mobiliari è stata sostituita con quella di strumenti
finanziari; la nozione di attività di intermediazione mobiliare con quella di
servizi di investimento;
 è stato soppresso il monopolio delle S.I.M. nazionali sulla gestione dei
servizi di investimento a favore degli istituti bancari;
 è stata realizzata la privatizzazione dei mercati finanziari.
Infine, con il D.Lgs. 58/1998, sono state dettate le norme sull’organizzazione dei
mercati mobiliari, la cui gestione è stata liberalizzata, e una nuova disciplina
relativa alla tutela delle minoranze nelle società quotate.
VALORI MOBILIARI E STRUMENTI FINANZIARI
Come abbiamo detto nel paragrafo precedente, il D.Lgs. 415/96 ha sostituito alla
categoria dei valori mobiliari, la più ampia nozione di strumenti finanziari. A norma
dell’art. 1 secondo comma del citato decreto, per strumenti finanziari si intendono:
 le azioni è gli altri titoli rappresentativi di capitale di rischio negoziabili sul
mercato dei capitali;
 le obbligazioni, i titoli di Stato e gli altri titoli di debito negoziabili sul
mercato dei capitali;
 le quote di fondi comuni di investimento;
 i titoli normalmente negoziati sul mercato monetario;
 qualsiasi altro titolo normalmente negoziato che permetta di acquisire gli
strumenti indicati nei precedenti punti, e i relativi indici;
 i contratti futures su strumenti finanziari, su tassi di interesse, su valute, su
merci e sui relativi indici, anche quando l’esecuzione avvenga attraverso il
pagamento di differenziali in contanti;
 i contratti di scambio a pronti e termine (swaps) su tassi di interesse, su
valute, su merci nonché su indici azionari (equity swaps), anche quando
l’esecuzione avvenga attraverso il pagamento di differenziali in contanti;
 i contratti a termine collegati a strumenti finanziari, a tassi di interesse, a
valute, a merci e relativi indici, anche quando l’esecuzione avvenga
attraverso il pagamento di differenziali in contanti;
175


i contratti di opzione per acquistare o vendere gli strumenti indicati nei
precedenti punti e i relativi indici, nonché i contratti di opzione su valute,
su tassi di interesse, su merci e sui relativi indici, anche quando
l’esecuzione avvenga attraverso il pagamento di differenziali in contanti;
le combinazioni di contratti o di titoli indicati nei punti precedenti.
I SERVIZI DI INVESTIMENTO ED IL LORO ESERCIZIO
Ai sensi dell’art. 1 del T.U. 58/98, sono servizi di investimento, quando hanno ad
oggetto strumenti finanziari, le seguenti attività:
 negoziazione per conto proprio;
 negoziazione per conto terzi;
 collocamento, con o senza preventiva sottoscrizione o acquisto, a fermo,
ovvero assunzione di garanzia nei confronti dell’emittente;
 gestione su base individuale di portafogli di investimento per conto terzi;
 ricezione e trasmissione di ordini noncé mediazione;
Sono invece servizi accessori:
 la custodia e l’amministrazione di strumenti finanziari;
 la locazione di cassette di sicurezza;
 la concessione di finanziamenti agli investitori per consentire loro di
effettuare un’operazione relativa a strumenti finanziari, nella quale
interviene il soggetto che concede il finanziamento;
 la consulenza alle imprese in materia si struttura finanziaria, di strategia
industriale e di questioni connesse, nonché la consulenza e i servizi
concernenti la concentrazione e l’acquisto di imprese;
 i servizi connessi all’emissione o al collocamento di strumenti finanziari, ivi
compresa l’organizzazione e la costituzione di consorzi di garanzia e
collocamento;
 la consulenza in materia di investimenti in strumenti finanziari;
 l’intermediazione in cambi, quando collegata alla prestazione di servizi
d’investimento.
L’esercizio professionale, nei confronti del pubblico, dei servizi di investimento è
riservato:
 alle S.I.M.;
 alle imprese di investimento;
 alle banche;
 agli intermediari finanziari iscritti nell’elenco speciale di cui all’art. 107 T.U.
bancario, limitatamente alla negoziazione per conto proprio degli strumenti
finanziari derivati ed al collocamento;
 alle società di gestione del risparmio, limitatamente alla gestione su base
individuale di portafogli di investimento per conto terzi;
Gli intermediari autorizzati all’esercizio dei servizi di investimento e delle attività
negoziali possono offrire servizi di:
 gestione collettiva, che si realizzano attraverso:
o la promozione, istituzione e organizzazione di fondi comuni di
investimento e l’amministrazione dei rapporti con i partecipanti;
o la gestione patrimoniale dei fondi anzidetti, di propria o altrui
istituzione, ovvero del patrimonio delle S.I.C.A.V., mediante l’inves-
176

timento avente ad oggetto strumenti finanziari, crediti, o altri beni
mobili o immobili;
gestione individuale, che si realizzano attraverso l’affidamento al gestore
di un singolo patrimonio.
IL CONTRATTO DI GESTIONE DI PATRIMONI MOBILIARI INDIVIDUALI
Il contratto di gestione di patrimoni mobiliari individuali ha la finalità di
valorizzare un determinato patrimonio mediante il compimento di una serie di atti
unitariamente rivolti al conseguimento di un risultato utile dell’attività di
investimento e disinvestimento in valori mobiliari.
Il contratto deve essere redatto in forma scritta e la relativa disciplina è data
dall’art. 24 del T.U. 58/1998. L’impresa di investimento ha i seguenti obblighi:
 comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza nell’interesse dei
clienti e per l’integrità del mercato;
 investire al meglio il patrimonio del cliente;
 dare esecuzione alle eventuali istruzioni specifiche, per essa vincolanti,
impartite dal cliente142;
 non contrarre, salvo specifica istruzione scritta, obbligazioni per conto del
cliente che lo impegnino oltre il patrimonio gestito.
Il gestito, in deroga alle norme civilistiche in tema di mandato, ha diritto di
recedere dal contratto in ogni momento, anche senza giusta causa o preavviso, e
non è tenuto a risarcire il gestore da eventuali danni, ferma restando l’inefficacia
del recesso per le operazioni già eseguite o in corso di esecuzione.
LA SOLLECITAZIONE ALL’INVESTIMENTO
La sollecitazione all’investimento, attraverso l’appello al pubblico risparmio, si
ricollega ad ogni operazione di massa, gestita dal promotore o da un terzo, che
viene offerta al pubblico degli investitori con la prospettazione di un profitto e che
ha caratteristiche tali da escludere che gli investitori medesimi possano gestirla o
controllarla in modo determinante, limitandosi la loro funzione a quella di
finanziatori. Sollecitazione all’investimento può aversi:
 mediante offerta al pubblico;
 con attività svolta direttamente nel domicilio degli investitori, o comunque
in luogo diverso dalla sede dell’emittente143.
Coloro che intendono effettuare una sollecitazione all’investimento devono darne
preventiva comunicazione alla Consob, allegando un prospetto informativo
contenente le informazioni necessarie affinchè gli investitori possano pervenire ad
un fondato giudizio sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria
dell’emittente e sulle prospettive di rendimento.
Il gestore ha la possibilità di recedere dal contratto qualora ritenga che le medesime istruzioni
siano contrarie all’interesse dell’affidante.
143 In tal caso, l’efficacia dei contratti di collocamento di strumenti finanziari è sospesa per 7 giorni.
Entro detto termine l’investitore può comunicare il proprio recesso senza spese né corrispettivo al
promotore finanziario o al soggetto abilitato.
142
177
IL PROMOTORE DI SERVIZI FINANZIARI
Un intermediario abilitato non può operare fuori della propria sede sociale e delle
sedi secondarie se non per mezzo di promotori finanziari.Ai sensi dell’art. 31 del
T.U. 58/98, è promotore finanziario la persona fisica che, in qualità di dipendente, agente
o mandatario, esercita professionalmente l’offerta fuori sede. Il promotore deve
esercitare la sua attività per conto e nell’interesse di un solo intermediario abilitato.
LA VIGILANZA SUGLI INTERMEDIARI ABILITATI
Il T.U. 58/98 prevede un articolato sistema di vigilanza sulle attività degli
intermediari abilitati allo scopo di garantire la trasparenza e la correttezza dei
comportamenti e la sana e prudente gestione, avendo riguardo alla tutela degli
investitori e alla stabilità, alla competitività e al buon funzionamento del sistema
finanziario. I poteri di vigilanza sono attribuiti:
 alla Banca d’Italia, per quanto riguarda il contenimento del rischio e la
stabilità patrimoniale;
 alla Consob, per quanto riguarda la trasparenza e la correttezza dei
comportamenti.
Il Testo Unico distingue tre tipologie di vigilanza:
 regolamentare, con cui la Banca d’Italia e la Consob disciplinano tramite
regolamento vari aspetti dell’attività operativa degli intermediari abilitati;
 informativa, con cui la Banca d’Italia e la Consob richiedono agli stessi
soggetti comunicazioni di dati e notizie o la trasmissione di atti e
documenti;
 ispettiva, con cui la Banca d’Italia e la Consob possono effettuare ispezioni
o richiedere l’esibizione di documenti.
LE SOCIETÀ DI INTERMEDIAZIONE MOBILIARE
LE S.I.M.
Le Società di Intermediazione Mobiliare svolgono l’esercizio professionale, nei
confronti del pubblico, dei servizi di investimento, dei servizi accessori, e altre
attività finanziarie, nonché attività connesse o strumentali. Le SIM debbono essere
costituite come società per azioni, devono ricomprendere nella denominazione
sociale le parole “società di intermediazione mobiliare” ed avere sede sociale nel
territorio della Repubblica. Tutte le SIM devono inoltre essere iscritte in un
apposito albo tenuto presso la Consob.
LA SEPARAZIONE PATRIMONIALE
L’art. 22 del TU 58/98 detta norme specifiche volte a mantenere separati i beni dei
clienti da quelli dell’intermediario e degli altri clienti, ai fini di salvaguardia dei
diritti degli investitori. Infatti, nella prestazione dei servizi di investimenti e
accessori, gli strumenti finanziari e le somme di denaro dei singoli clienti, a
qualunque titolo detenuti dalla SIM, costituiscono patrimonio distinto a tutti gli
effetti da quello dell’intermediario e da quello degli altri clienti. Su tale patrimonio
non sono ammesse le azioni dei creditori dell’intermediario o nell’interesse degli
stessi, né quelle dei creditori dell’eventuale depositario o sub-depositario. Le
178
azioni dei creditori dei singoli clienti sono ammesse nei limiti del patrimonio di
proprietà di questi.
I CONTRATTI RELATIVI ALLA PRESTAZIONE DEI SERVIZI
In via generale, i contratti relativi alla prestazione dei servizi di investimento e
accessori devono essere redatti per iscritto ed una copia deve essere consegnata ai
clienti. La Consob può tuttavia prevedere, con regolamento, anche altre forme.
L’ATTIVITÀ DI NEGOZIAZIONE NEI MERCATI REGOLAMENTATI
L’art. 25 secondo comma del T.U. 58/98 riconosce alla Consob la facoltà di
disciplinare con regolamento le ipotesi in cui la negoziazione degli strumenti
finanziari trattati nei mercati regolamentati italiani deve essere eseguita nei
mercati regolamentati stessi e, in tale eventualità, di stabilire le condizioni in
presenza delle quali l’obbligo non sussiste.
I FONDI COMUNI DI INVESTIMENTO
GENERALITÀ
I fondi comuni di investimento consentono la raccolta del risparmio per l’impiego
dello stesso in beni, strumenti finanziari o altri valori. Possiamo distinguere:
 fondi comuni di investimento mobiliare;
 fondi comuni di investimento immobiliare;
 fondi aperti, nei quali non sono posti limiti all’ingresso di nuovi
partecipanti o all’uscita degli investitori;
 fondi chiusi, caratterizzati da un importo fisso della sottoscrizione e
destinati a finanziare investimenti ben definiti per dimensione e qualità.
LA SOCIETÀ DI GESTIONE DEL RISPARMIO
La società di gestione del risparmio promuove la raccolta sul mercato delle
disponibilità finanziarie che daranno vita al patrimonio del fondo e può gestire sia
fondi di propria istituzione sia fondi istituiti da altre società. Essa deve essere
autorizzata dalla Banca d’Italia e iscritta in un apposito albo.
La società di gestione del risparmio provvede, nell’interesse dei partecipanti,
all’esercizio dei diritti di voto inerenti agli strumenti finanziari di pertinenza dei
fondi gestiti, salvo diversa disposizione di legge.
LA BANCA DEPOSITARIA
La banca depositaria ha anzitutto in custodia il patrimonio del fondo. Inoltre,
nell’esercizio delle proprie funzioni:
 accerta la legittimità delle operazioni di emissione e rimborso delle quote
del fondo, il calcolo del loro valore e la destinazione dei redditi del fondo;
 accerta che nelle operazioni relative al fondo la controprestazione le sia
rimessa nei termini d’uso;
 esegue le istruzioni della società di gestione del risparmio se non sono
contrarie alla legge, al regolamento o alle prescrizioni degli organi di
vigilanza.
179
STRUTTURA E CARATTERISTICHE DEI FONDI
L’art. 37 del T.U. 58/98 demanda al Ministro del Tesoro, del Bilancio e della
programmazione economica, con regolamento adottato sentite la Banca d’Italia e
la Consob, la determinazione dei criteri generali cui devono uniformarsi i fondi
comuni di investimento relativamente all’oggetto dell’investimento, alle categorie
di investitori, alle modalità di partecipazione, all’eventuale durata.
Ciascun fondo comune di investimento, o ciascun comparto di uno stesso fondo,
costituisce patrimonio autonomo, distinto a tutti gli effetti dal patrimonio della
società di gestione del risparmio e da quello di ciascun partecipante, nonché da
ogni altro patrimonio gestito dalla medesima società. Su tale patrimonio non sono
ammesse azioni dei creditori della società di gestione del risparmio o nell’interesse
della stessa, né quelle dei creditori del depositario o del sub depositario o
nell’interesse degli stessi. Le azioni dei creditori dei singoli investitori sono
ammesse soltanto sulle quote di partecipazione dei medesimi.
IL REGOLAMENTO DEL FONDO
Il rapporto di partecipazione al fondo comune di investimento è disciplinato dal
regolamento del fondo. La Banca d’Italia, sentita la Consob, determina i criteri
generali di redazione di tale regolamento e il suo contenuto minimo. Il
regolamento del fondo definisce le caratteristiche del fondo, ne disciplina il
funzionamento, indica la società promotrice, il gestore, se diverso dalla società
promotrice, e la banca depositaria; definisce la ripartizione dei compiti tra tali
soggetti, regola i rapporti intercorrenti tra tali soggetti e i partecipanti al fondo.
LE SOCIETÀ DI INVESTIMENTO A CAPITALE VARIABILE
(S.I.C.A.V.)
NOZIONE
La Società di Investimento a Capitale Variabile, disciplinata dal D.Lgs. 84/92, può
essere definita come la società per azioni che ha per oggetto esclusivo l’investimento
collettivo del patrimonio raccolto mediante l’offerta al pubblico di proprie azioni. La
differenza sostanziale rispetto ai fondi comuni di investimento consiste nel fatto
che, mentre nei fondi l’investitore è mero titolare di una quota di partecipazione
ad un fondo ammministrato da una società di gestione, nelle S.I.C.A.V. l’investitore
è socio della società ed il fondo patrimoniale è lo stesso patrimonio della società.
COSTITUZIONE
La S.I.C.A.V. può essere costituita solo previa autorizzazione della Banca d’Italia,
sentita la Consob, qualora presenti i seguenti requisiti:
 sia costituita come società per azioni;
 abbia la sede legale nel territorio della Repubblica;
 abbia il capitale sociale non inferiore a quello stabilito dalla Banca d’Italia;
 sia amministrata e diretta da soggetti di riconosciuta professionalità;
 abbia come oggetto esclusivo l’investimento collettivo del patrimonio
raccolto mediante offerta al pubblico delle proprie azioni.
180
CAPITALE SOCIALE
La S.I.C.A.V. è caratterizzata dalla variabilità del capitale sociale in quanto
quest’ultimo muta direttamente in relazione ad eventi che concernono la
compagine sociale come l’ingresso di nuovi soci o il recesso di vecchi, profitti e
perdite di gestione. Tale variabilità porta il capitale sociale a coincidere sempre
con il patrimonio netto della società, valutato secondo i criteri della Banca d’Italia.
Ciò determina la pressoché totale disapplicazione della disciplina di diritto
comune concernente le riserve, nonché la riduzione e l’aumento del capitale.
LE AZIONI
Le azioni devono essere interamente liberate al momento della loro emissione. La
legge prevede nelle S.I.C.A.V. due categorie di azioni:
 le azioni nominative, che attribuiscono il voto in riferimento alla porzione
di patrimonio corrispondente;
 le azioni al portatore, che attribuiscono al socio un solo voto
indipendentemente dal numero di azioni possedute.
In nessun caso la S.I.C.A.V. può acquistare o detenere azioni proprie, né può
emettere obbligazioni.
LE ASSEMBLEE SOCIALI
L’assemblea ordinaria e l’assemblea straordinaria in seconda convocazione,
possono validamente deliberare qualunque sia la parte di capitale sociale
intervenuta. Se lo consente lo statuto, il voto può essere dato per corrispondenza.
Le deliberazioni comportanti modifiche allo statuto devono essere approvate dalla
Banca d’Italia, alla quale esse devono essere inviate entro 15 giorni dalla data di
svolgimento dell’assemblea.
LA GESTIONE
La S.I.C.A.V. può delegare poteri di gestione del proprio patrimonio ma delegata
può essere esclusivamente una società di gestione del risparmio. Il rapporto tra
S.I.C.A.V. e società delegata si configura, secondo la dottrina, come rapporto di
rappresentanza organica, con la conseguente applicabilità dell’art. 2384, il quale
dispone l’inopponibilità al terzo contraente di buona fede del superamento della
delega da parte del delegato.
FUSIONE
E SCISSIONE;
SCIOGLIMENTO E LIQUIDAZIONE
La S.I.C.A.V. non può trasformarsi in organismo diverso. Gli eventuali progetti di
fusione e scissione debbono ricevere il nulla osta della Banca d’Italia.
La S.I.C.A.V. si scioglie per il verificarsi della diminuzione del patrimonio al
disotto dei minimi previsti, se non si provvede a reintegrarlo entro 60 giorni144, o
per una delle altre cause previste dall’art. 2448 (decorso del termine,
conseguimento dell’oggetto sociale, impossibilità di funzionamento, deliberazione
dell’assem-blea, altre cause previste dall’atto costitutivo).
144
Il termine è sospeso qualora sia iniziata una procedura di fusione con altra S.I.C.A.V.
181
In seguito allo scioglimento la società non può più procedere all’emissione ed al
rimborso delle azioni. La nomina, la revoca e la sostituzione dei liquidatori
compete all’assemblea straordinaria e si applica l’art. 2450.
Deve ricordarsi, infine, che la S.I.C.A.V. non può fallire ed è assoggettabile, invece,
alle procedure concorsuali dell’amministrazione straordinaria e della liquidazione
coatta amministrativa.
I MERCATI REGOLAMENTATI
GENERALITÀ
L’istituzione dei mercati finanziari regolamentati si ricollega tradizionalmente
all’esigenza di organizzare mercati efficienti per lo scambio dei titoli e che offrano
opportune misure di garanzia a tutela degli emittenti e dei risparmiatori. Nel
sistema del mercato mobiliare italiano, sono mercati regolamentati:
 la Borsa Valori;
 il mercato ristretto;
 il mercato per la negoziazione dei derivati (Idem);
 il mercato secondario dei titoli di Stato o garantiti dallo Stato, sia quotati
che non quotati nella Borsa (Mts);
 il mercato dei contratti uniformi a termine sui titoli di Stato (Mif, Mto).
LE SOCIETÀ DI GESTIONE DEI MERCATI REGOLAMENTATI
L’attività di gestione dei mercati è considerata attività imprenditoriale a tutti gli
effetti. Le società di gestione debbono essere costituite come S.p.A., dotate di
ampia autonomia nella scelta della propria compagine azionaria. La
partecipazione al capitale sociale, infatti, non è riservata ai soli intermediari
autorizzati ma lasciata aperta a tutti i soggetti previsti dai relativi statuti.
All’assemblea ordinaria dei soci spetta l’adozione del regolamento di disciplina
dell’organizzazione e gestione del mercato.
LA BORSA VALORI
Prima dell’intervento del D.Lgs. 415/96, la Borsa Valori era, nel nostro paese, un
mercato organizzato di diritto pubblico che offriva un servizio pubblico di
monopolio e come tale gestito e vigilato dalla pubblica autorità. Il citato decreto
l’ha invece inquadrata come impresa operante in regime privatistico sia pure sotto
il controllo e la vigilanza di autorità istituzionali. Il Consiglio di Borsa, già
operante dal 1993, fu incaricato alla costituzione delle varie società di gestione. Il 7
Febbraio 1997 fu così istituita la Borsa Italiana S.p.A. per la gestione della Borsa
valori, del mercato ristretto e del mercato dei derivati.
Il funzionamento della Borsa
Le modalità operative della Borsa sono state innovate radicalmente a partire dal 25
Novembre 1991 quando si è passati dal sistema di contrattazione “alle grida” al
sistema telematico.
La contrattazione continua si svolge tutti i giorni di apertura della Borsa ed è
suddivisa essenzialmente da due sessioni: l’MTA, il mercato diurno, dalle 9:30 alle
17:30 e dall’TAH, il mercato serale, operativo dal 15 maggio 2000.
182
Compensazione e liquidazione delle operazioni di Borsa, sistemi di
garanzia
Mentre secondo la disciplina anteriore al T.U. 58/98, la liquidazione delle
operazioni su valori mobiliari doveva avvenire attraverso appositi organismi
pubblici denominati stanze di compensazione, attualmente i servizi di
compensazione e liquidazione possono essere affidati ad una apposita società
autorizzata dalla Banca d’Italia e dalla Consob e sottoposta a vigilanza esercitata
dai medesimi organi. Inoltre, sono state introdotte significative novità anche in
relazione al sistema finalizzato a garantire il buon fine dei contratti.
IL MERCATO RISTRETTO
Accanto al listino ufficiale ne esiste un secondo, chiamato Mercato Ristretto, nel
quale è iscritto un numero limitato di titoli ma che per tutto il resto ricalca
esattamente il fratello maggiore. Le differenze sostanziali fra listino ufficiale e
mercato ristretto sono essenzialmente due:
 la minore consistenza del flottante in circolazione;
 la mancanza, in molti casi, di tutti i requisiti per essere ammessi alla
quotazione ufficiale.
Il Mercato Ristretto svolge inoltre una funzione preparatoria, di “acclimatazione”,
all'iscrizione al listino. E’ il caso di ricordare che il Mercato Ristretto italiano
autorizzato ufficialmente soltanto dal maggio del 1978. Prima di allora era un
qualcosa di spontaneo, non regolamentato se non dagli usi ed alle consuetudini.
ALTRI MERCATI TELEMATICI
In borsa possono essere trattati soltanto lotti minimi di titoli. Questo vincolo crea
non pochi problemi ai possessori di un quantitativo di titoli inferiore al lotto
minimo di contrattazione. Per questo motivo è stato creato un mercato di supporto
a quello principale, il Mercato telematico delle spezzature, dove è possibile
liquidare tali quantitativi “anomali” di titoli. Il mercato si articola in due diverse
sessioni:
 la prima va dalle 8:15 alle 12:45: in questo arco di tempo è consentito
procedere alla contrattazione di spezzature di valori mobiliari inseriti nel
gruppo A del mercato principale, vale a dire i titoli più importanti e a più
largo flottante;
 la seconda ha inizio alle 12:45 e termina alle 18: in questa fase si proceda
all'abbinamento dei residui titoli del gruppo A che non hanno segnato un
prezzo di apertura sul mercato principale e dei titoli del gruppo B a minor
flottante.
LA VIGILANZA SUI MERCATI REGOLAMENTATI
La Consob è l'organo centrale e fondamentale di controllo dei mercati
regolamentati. Essa ha il compito istituzionale di vigilare sui mercati medesimi al
fine di assicurare la trasparenza, l'ordinato svolgimento delle negoziazioni e la
tutela degli investitori. È data facoltà alla Consob di stabilire le modalità e i
termini con i quali può chiedere alle società di gestione la comunicazione anche
periodica di dati, e in genere di tutte le informazioni utili, nonché eseguire
ispezioni presso le stesse e richiedere l'esibizione di documenti e il compimento
183
degli atti ritenuti necessari. Nel caso in cui si verifichino situazioni di necessità ed
urgenza, la Consob può, inoltre, per perseguire la finalità di tutela degli
investitori, sostituirsi alla società di gestione o adottare direttamente i
provvedimenti ritenuti necessari. La vigilanza sui sistemi di compensazione, di
liquidazione e di garanzia, invece, è esercitata sia dalla Consob che dalla banca
d'Italia. A tal fine la banca d'Italia e la Consob possono richiedere, ai gestori dei
sistemi, alla società autorizzata a gestire il sistema di compensazione e
liquidazione e agli operatori, dati e notizie in ordine alla compensazione e
liquidazione della operazioni ed effettuare ispezioni. In caso di necessità e
urgenza, la banca d'Italia adotta i provvedimenti idonei a consentire la tempestiva
chiusura della liquidazione, anche sostituendosi ai gestori dei sistemi e dei servizi.
I CONTRATTI DI BORSA: GENERALITÀ
Poiché il codice civile non contiene una disciplina specifica dei contratti di borsa,
per definire questi ultimi occorre riferirsi ad alcuni contratti nati attraverso la
pratica delle borse ed originariamente regolati solo dagli usi di borsa.
Tali contratti si definiscono:
 a mercato fermo, allorquando i contraenti si obbligano ad eseguirli secondo il
contenuto stabilito al momento della conclusione;
 a mercato libero, allorquando un contraente versa all'altro una somma ed
acquista il diritto di variare il contenuto del contratto o di sciogliersi da
esso.
Essi poi, possono essere:
 a contante: vanno eseguiti entro il termine massimo di dieci giorni dalla
stipulazione;
 a termine: con esecuzione differita rispetto al momento della stipulazione
del contratto.
I contratti a premio
I contratti a premio sono quelli in cui uno dei contraenti, mediante il pagamento di
un compenso (premio) si riserva la facoltà di recedere dal contratto o di variarne il
contenuto scegliendo tra acquisto e vendita dei titoli, oppure raddoppiando o
triplicando il quantitativo di titoli contrattati.
Nel giorno di risposta premi il compratore del premio deve precisare se intende o
meno eseguire il contratto e, in caso affermativo, deve precisare la quantità di titoli
che intende ritirare o consegnare, secondo il tipo di contratto a premio stipulato. I
contratti a premio rappresentano, insieme alle opzioni su azioni, le uniche
modalità attualmente ammesse di negoziazione a termine. Ciò si è verificato in
seguito all'estensione per tutti gli altri tipi di contratti della liquidazione a
contanti, facendo scomparire la categoria dei contratti a termine fisso.
Altri contratti
I Financial Futures
Il termine financial futures è usato per definire quella parte, sempre più
consistente, di contratti a termine standardizzati su grandezze finanziarie, in cui
una parte si impegna a vendere all'altra, in una data predefinita, una determinata
quantità di uno strumento finanziario. L'altra parte a sua volta si impegna ad
184
acquistare. Ciò che differenzia i contratti futures da quelli a termine è la specifica
determinazione del tipo di strumento oggetto della negoziazione, nonché della sua
quantità, delle date di scadenza dei contratti e in genere di tutte le modalità di
negoziazione. Ma la distinzione più rilevante fra questi due tipi di contratti è
rappresentata dalla clearing house, che nei futures si sostituisce alle controparti
appena concluso il contratto. Ciò determina una scissione dell'obbligazione in due
vendite distinte: la prima dalla controparte alla clearing house e la seconda dalla
clearing house all'altro soggetto del contratto. In tal modo la clearing house,
divenendo controparte diretta di tutti i partecipanti al mercato, assume l'onere di
adempimento di tutti i contratti conclusi, incrementando, in maniera
determinante, l'affidabilità del mercato.
Le options
L'opzione è un contratto che attribuisce all'acquirente il diritto e non l'obbligo di
comprare (opzione call) e di vendere (opzione put) uno specifico strumento
finanziario (titoli, valuta, tassi di interesse) al un determinato prezzo (prezzo di
esercizio) entro oppure a una data futura determinata. Il diritto è conferito dal
venditore al compratore previa corresponsione di un premio detto prezzo
dell'opzione.
IL RIPORTO DI BORSA
Il riporto di borsa si caratterizza rispetto al riporto di banca per la sua
specializzazione causale e la disciplina codicistica trova attualmente specificazione
nella delibera Consob 27/2/96, numero 9821, ove si distingue tra:
 riporto titoli: il riportatore ha necessità di ottenere un finanziamento in titoli.
Il riportato glieli trasferisce in proprietà per un determinato prezzo ed il
riportatore assume l'obbligo di ritrasferirgli altrettanti titoli della stessa
specie per un prezzo decurtato in misura pari al corrispettivo pattuito per il
finanziamento (deporto).
 riporto lire: il riportato ha necessità di ottenere un finanziamento in lire.
Trasferisce titoli in proprietà al riportatore per un determinato prezzo e
questi assume l'obbligo di ritrasferirgli altrettanti titoli della stessa specie
per un prezzo incrementato in misura pari al corrispettivo pattuito per il
finanziamento (riporto).
In entrambi i casi possono formare oggetto del contratto le azioni, le obbligazioni
convertibili e di warrants quotati in borsa o negoziati a contante.
185
SOMMARIO
DIRITTO COMMERCIALE ............................................................................................. 1
L’EVOLUZIONE STORICA DEL DIRITTO COMMERCIALE......................................................... 1
LE FONTI DEL DIRITTO COMMERCIALE ................................................................................ 1
L’IMPRESA ......................................................................................................................... 2
L’IMPRENDITORE E L’IMPRESA............................................................................................ 2
Concetti generali............................................................................................................ 2
Nozione economica e giuridica di imprenditore commerciale .................................. 2
Lo “status” di imprenditore e la nozione di impresa nel codice civile ...................... 5
Principi costituzionali ................................................................................................ 5
Le categorie imprenditoriali .......................................................................................... 6
L’imprenditore agricolo ............................................................................................. 6
L’imprenditore commerciale ..................................................................................... 7
Il piccolo imprenditore............................................................................................... 8
Acquisto della qualità di imprenditore commerciale .................................................... 9
Conseguenze all’assunzione della qualifica di “imprenditore commerciale” ........... 9
Capacità di esercitare un’impresa commerciale ........................................................ 9
La pubblicità dell’imprenditore individuale ............................................................ 10
Il BUSARL e il BUSC ............................................................................................. 11
Le scritture contabili ................................................................................................ 11
l’imprenditore e i suoi ausiliari ................................................................................... 13
L’institore................................................................................................................. 13
I procuratori ............................................................................................................. 13
I commessi ............................................................................................................... 13
L’AZIENDA........................................................................................................................ 14
Gli elementi costitutivi e il concetto di “avviamento” ................................................ 14
Trasferimento dell’azienda e successione nell’impresa .............................................. 14
Negozi di trasferimento e divieto di concorrenza ........................................................ 15
Successione nei contratti dell’azienda ceduta ............................................................. 15
Successione nei rapporti di lavoro .............................................................................. 15
Crediti e debiti dell’azienda ceduta ............................................................................. 16
Usufrutto e affitto dell’azienda .................................................................................... 16
SEGNI DISTINTIVI DELL’IMPRENDITORE ............................................................................ 16
La ditta ......................................................................................................................... 16
Ragione e denominazione sociale ................................................................................ 17
L’insegna ..................................................................................................................... 17
Il marchio ..................................................................................................................... 17
Requisiti del marchio ............................................................................................... 17
Il marchio di forma .................................................................................................. 18
I requisiti di validità del marchio ............................................................................. 18
Acquisto del diritto .................................................................................................. 19
Il procedimento di registrazione .............................................................................. 20
La tutela del diritto ................................................................................................... 20
L’identità o somiglianza tra segni ............................................................................ 20
Il contenuto del diritto di esclusiva .......................................................................... 21
L’azione di contraffazione ....................................................................................... 21
La circolazione del marchio ..................................................................................... 22
La cessione del marchio ....................................................................................... 22
La licenza di marchio ........................................................................................... 22
186
Il divieto di inganno al pubblico .......................................................................... 22
I contratti di merchandising ................................................................................. 22
La trascrizione ...................................................................................................... 22
L’estinzione del marchio .......................................................................................... 23
La nullità del marchio .......................................................................................... 23
La decadenza del marchio .................................................................................... 23
Le azioni di nullità e di decadenza ....................................................................... 23
I marchi collettivi ..................................................................................................... 24
I segni distintivi atipici................................................................................................. 24
I DIRITTI DI PRIVATIVA ...................................................................................................... 24
Le creazioni intellettuali e le opere dell’ingegno ........................................................ 24
IL brevetto .................................................................................................................... 25
Le invenzioni brevettabili e i loro requisiti .............................................................. 26
Il procedimento di brevettazione.............................................................................. 26
Il giudizio di nullità .................................................................................................. 26
La titolarità dei diritti nascenti dall’invenzione ....................................................... 27
Il contenuto del brevetto ed i suoi limiti .................................................................. 27
La contraffazione del brevetto ................................................................................. 28
Il giudizio di contraffazione ................................................................................. 28
La trasferibilità e l’estinzione del brevetto .............................................................. 29
La licenza obbligatoria e altri casi di circolazione coattiva ................................. 30
L’estinzione del diritto di brevetto ....................................................................... 30
L’invenzione non brevettata e la sua tutela .............................................................. 31
Il diritto di preuso ..................................................................................................... 31
I brevetti per i modelli .............................................................................................. 31
Il modello di utilità ............................................................................................... 31
Il modello ornamentale ........................................................................................ 32
IMPRESA FAMILIARE E AZIENDA CONIUGALE ..................................................................... 32
CONCORRENZA E COOPERAZIONE TRA IMPRESE ................................................................ 33
La disciplina concorrenziale........................................................................................ 33
Illecito e danno concorrenziale ................................................................................ 33
Le singole fattispecie di concorrenza sleale ............................................................. 34
Gli atti di confusione ............................................................................................ 34
Denigrazione e appropriazione di pregi ............................................................... 35
Atti contrari alla correttezza professionale .......................................................... 36
Tutela cautelare e sanzioni ................................................................................... 37
La legislazione antitrust ............................................................................................... 37
L’antitrust nella Comunità Europea ......................................................................... 38
L’antitrust in Italia ................................................................................................... 40
Il divieto delle intese ............................................................................................ 41
L’abuso di posizione dominante .......................................................................... 41
La concentrazione di imprese .............................................................................. 41
L’associazione in partecipazione ................................................................................. 42
I consorzi, le società consortili, le associazioni temporanee di imprese ..................... 43
Il consorzio volontario ............................................................................................. 43
LE SOCIETÀ ..................................................................................................................... 45
Le società in generale .................................................................................................. 45
I soggetti ................................................................................................................... 45
I conferimenti ........................................................................................................... 46
L’esercizio comune dell’attività economica ............................................................ 48
187
Il conseguimento dello scopo istituzionale .............................................................. 49
Società di persone e società di capitali ....................................................................... 49
LE SOCIETÀ DI PERSONE .................................................................................................... 50
Società semplice ........................................................................................................... 50
Costituzione della società semplice ......................................................................... 51
La pubblicità ............................................................................................................ 52
L’organizzazione interna e la gestione .................................................................... 53
Amministrazione disgiuntiva ............................................................................... 53
Amministrazione congiuntiva .............................................................................. 53
Gli schemi adottabili per l’amministrazione ........................................................ 54
Fonte del rapporto di amministrazione .................................................................... 54
I diritti .................................................................................................................. 55
Gli obblighi .......................................................................................................... 55
I poteri .................................................................................................................. 55
La responsabilità degli amministratori e controllo degli altri soci ...................... 56
Estinzione del rapporto di amministrazione ........................................................ 57
La qualità di socio .................................................................................................... 58
Gli utili ..................................................................................................................... 59
I rapporti della società con i terzi............................................................................. 60
Problematica relativa alla rappresentanza............................................................ 61
Problematica relativa alle obbligazioni sociali .................................................... 61
Modificazioni soggettive del contratto di società .................................................... 62
Morte .................................................................................................................... 63
Recesso ................................................................................................................ 63
Esclusione ............................................................................................................ 64
La liquidazione della quota al socio cessato ........................................................ 65
La responsabilità del socio cessato ...................................................................... 65
La durata della società e la proroga tacita................................................................ 65
Società in nome collettivo ............................................................................................ 66
L’atto costitutivo ...................................................................................................... 66
I soggetti partecipanti............................................................................................... 67
La ragione sociale .................................................................................................... 67
La sede della società e l’oggetto sociale .................................................................. 67
Conferimenti, capitale sociale e distribuzione degli utili ........................................ 68
La durata della società ............................................................................................. 69
Il regime della pubblicità ......................................................................................... 70
La società in nome collettivo irregolare .................................................................. 70
Rapporti della società e dei soci con i terzi ............................................................. 71
Rappresentanza della società ............................................................................... 71
La responsabilità per le obbligazioni sociali........................................................ 71
I creditori particolari del socio ............................................................................. 72
Società in accomandita semplice ................................................................................. 72
La disciplina ............................................................................................................. 72
La nomina e la revoca degli amministratori ............................................................ 73
I divieti a carico degli accomandanti ....................................................................... 73
I poteri dell’accomandante....................................................................................... 73
Trasferimento della quota ........................................................................................ 74
Problematiche residue relative all’accomandante.................................................... 74
La società in accomandita semplice non registrata .................................................. 74
LE SOCIETÀ DI CAPITALI.................................................................................................... 75
La società per azioni .................................................................................................... 75
188
Caratteri della S.p.A. ............................................................................................ 75
Le fonti normative della S.p.A. ............................................................................ 75
La costituzione della S.p.A. ................................................................................. 76
Atto costitutivo e statuto ...................................................................................... 77
La costituzione della società per pubblica sottoscrizione .................................... 78
I contratti parasociali ............................................................................................ 79
I sindacati di voto ............................................................................................. 79
I sindacati di blocco ......................................................................................... 79
I sindacati di emissione o di collocamento ...................................................... 79
I patti parasociali nelle società quotate ............................................................ 79
I collegamenti fra società ..................................................................................... 80
I rapporti di partecipazione .............................................................................. 80
Società controllate ............................................................................................ 81
Società collegate .............................................................................................. 82
I gruppi di società e la Holding ........................................................................ 82
Le società con partecipazione pubblica ........................................................... 83
La nullità della società ......................................................................................... 83
L’elemento personale ............................................................................................... 84
La qualità di socio ................................................................................................ 84
Diritti dei soci....................................................................................................... 84
I conferimenti ....................................................................................................... 85
I conferimenti in natura .................................................................................... 85
L’acquisto da promotori, fondatori, amministratori......................................... 86
Le prestazioni accessorie ..................................................................................... 86
Cessazione della qualità di socio ......................................................................... 87
I titoli azionari .......................................................................................................... 87
Categorie di azioni ............................................................................................... 87
Categorie di azioni e rischio di impresa ............................................................... 89
La circolazione delle azioni ................................................................................. 89
Sindacati di collocamento e offerte pubbliche ..................................................... 90
Offerte pubbliche di vendita e di sottoscrizione .............................................. 91
Offerte pubbliche di acquisto e di scambio ...................................................... 91
Pegno, usufrutto e sequestro di azioni ................................................................. 92
L’elemento patrimoniale nella S.p.A. ...................................................................... 92
Capitale e patrimonio sociale ............................................................................... 92
I fondi di riserva ................................................................................................... 93
Il bilancio di esercizio .......................................................................................... 93
La formazione del bilancio .............................................................................. 94
Principi fondamentali del bilancio ................................................................... 95
Criteri di redazione........................................................................................... 95
Contenuto dello stato patrimoniale .................................................................. 96
Il conto economico ........................................................................................... 97
Criteri di valutazione ........................................................................................ 97
La nota integrativa ........................................................................................... 98
La relazione degli amministratori .................................................................... 99
Il bilancio in forma abbreviata ............................................................................. 99
La revisione contabile .......................................................................................... 99
Il bilancio consolidato ........................................................................................ 100
Struttura e contenuto del bilancio consolidato ............................................... 100
L’invalidità della deliberazione di approvazione del bilancio ........................... 100
La distribuzione degli utili ai soci ...................................................................... 101
189
Acconti sui dividendi ..................................................................................... 101
La tutela dell’integrità del capitale sociale e della riserva legale ...................... 102
Acquisto e sottoscrizione delle proprie azioni ................................................... 103
L’acquisto e la sottoscrizione delle azioni nel fenomeno del controllo ......... 104
Variazione del capitale sociale .......................................................................... 105
Aumento di capitale ....................................................................................... 105
Il diritto di opzione ........................................................................................ 105
Riduzione di capitale ..................................................................................... 105
Le obbligazioni .................................................................................................. 106
La disciplina del prestito obligazionario ........................................................ 107
L’organizzazione degli obbligazionisti .......................................................... 108
Gli organi sociali nella S.p.A. ................................................................................ 108
L’assemblea dei soci .......................................................................................... 108
La convocazione ............................................................................................ 110
Competenze e quorum ................................................................................... 111
Il diritto di intervento ..................................................................................... 112
Rappresentanza, diritto di voto e conflitto di interessi .................................. 113
Il verbale dell’assemblea ............................................................................... 114
Nullità e annullabilità delle deliberazioni ...................................................... 114
L’inesistenza .................................................................................................. 115
Il procedimento di impugnativa ..................................................................... 116
Gli amministratori .............................................................................................. 116
Competenze e poteri ...................................................................................... 117
Il funzionamento dell’organo amministrativo; la delega ............................... 117
Gestione e rappresentanza; la tutale dei terzi ................................................. 118
Il conflitto di interessi .................................................................................... 119
La responsabilità verso la società .................................................................. 119
La responsabilità verso i creditori .................................................................. 120
La responsabilità verso il singolo socio e il singolo terzo ............................. 121
Il direttore generale ........................................................................................ 121
Il collegio sindacale ........................................................................................... 122
Le funzioni ..................................................................................................... 123
La responsabilità ............................................................................................ 123
Controlli esterni sulle S.p.A. .................................................................................. 124
L’intervento dell’autorità giudiziaria ................................................................. 124
La denuncia del pubblico ministero ............................................................... 124
Il procedimento .............................................................................................. 124
Autorità giudiziaria e disfunzioni dell’organizzazione .................................. 125
Controlli esterni sulle società quotate ................................................................ 125
La Consob ...................................................................................................... 125
Le società di revisione ................................................................................... 126
Le società in accomandita per azioni ........................................................................ 127
Società a responsabilità limitata ............................................................................... 128
L’autonomia privata ed i limiti ai principi capitalistici ..................................... 129
Riflessi sull’organizzazione: costituzione e conferimenti ................................. 129
Socio unico ........................................................................................................ 130
Assemblea, organo amministrativo e collegio sindacale ................................... 130
Le modificazioni dell’atto costitutivo ................................................................ 131
Il trasferimento delle quote ................................................................................ 131
Le società mutualistiche............................................................................................. 132
Lo scopo mutualistico ........................................................................................ 132
190
Scopo mutualistico e attività lucrativa ............................................................... 133
La costituzione della società .............................................................................. 134
I requisiti dei soci ............................................................................................... 134
Responsabilità dei soci ....................................................................................... 135
La pubblicità ...................................................................................................... 135
La partecipazione ............................................................................................... 136
Il trasferimento della partecipazione sociale ...................................................... 137
Informazione dei soci ......................................................................................... 137
I soci sovventori ................................................................................................. 137
Gli azionisti di partecipazione cooperativa ........................................................ 138
Scioglimento del rapporto sociale limitatamente ad un solo socio .................... 138
Recesso........................................................................................................... 138
Esclusione ...................................................................................................... 139
Morte del socio............................................................................................... 140
La liquidazione della quota ................................................................................ 140
Capitale e patrimonio ......................................................................................... 140
Quote ed azioni .............................................................................................. 141
I prestiti dei soci e le obbligazioni ..................................................................... 141
L’acquisto di azioni e quote proprie .................................................................. 141
Gli organi sociali ................................................................................................ 142
L’Assemblea .................................................................................................. 142
Le assemblee separate .................................................................................... 142
Gli amministratori .......................................................................................... 143
Il collegio sindacale ....................................................................................... 143
Amministratori e sindaci nominati dallo Stato o da Enti Pubblici - I probiviri
........................................................................................................................ 143
Il controllo giudiziario (art. 2409)...................................................................... 144
Le modificazioni dell’atto costitutivo ................................................................ 144
La trasformazione .......................................................................................... 144
La fusione e la scissione................................................................................. 144
I controlli ............................................................................................................ 145
La certificazione del bilancio ......................................................................... 145
La gestione commissariale ............................................................................. 145
Lo scioglimento per atto dell’autorità ............................................................ 146
La sostituzione dei liquidatori ........................................................................ 146
La crisi economica ......................................................................................... 146
LE MUTUE ASSICURATRICI. ........................................................................... 146
Le modificazioni dell’impresa societaria ................................................................... 147
La trasformazione .................................................................................................. 147
La fusione ............................................................................................................... 148
La scissione ............................................................................................................ 149
La fine dell’impresa societaria .................................................................................. 150
I TITOLI DI CREDITO .................................................................................................. 155
PROFILI GENERALI........................................................................................................... 155
CARATTERI DEI TITOLI DI CREDITO.................................................................................. 156
Incorporazione ....................................................................................................... 156
Letteralità della promessa ...................................................................................... 157
Autonomia del titolo incorporato ........................................................................... 157
Cartolarità............................................................................................................... 157
CREAZIONE E CIRCOLAZIONE DEL TITOLO DI CREDITO .................................................... 157
191
Teoria dell’emissione ......................................................................................... 157
Teoria della creazione ........................................................................................ 157
Conclusioni e concetto di rapporto fondamentale ............................................. 158
CLASSIFICAZIONE DEI TITOLI DI CREDITO........................................................................ 158
Classificazione in base al rapporto fondamentale.................................................. 158
Classificazione in base al regime di circolazione .................................................. 158
Classificazione in base ai diritti enunciati nel titolo .............................................. 159
Altre classificazioni ............................................................................................... 159
Figure non rientranti tra i titoli di credito .............................................................. 159
Titoli atipici............................................................................................................ 160
Eccezioni opponibili dal debitore cartolare .............................................................. 160
Eccezioni personali ............................................................................................ 160
Eccezioni reali o assolute ................................................................................... 160
Ammortamento del titolo di credito ........................................................................... 161
PROFILI DEI TIPI DI TITOLI DI CREDITO PIÙ RILEVANTI ..................................................... 161
La cambiale................................................................................................................ 161
Nozione e caratteristiche ........................................................................................ 162
Figure particolari.................................................................................................... 162
La tratta o cambiale in senso stretto................................................................... 162
Il vaglia cambiario o pagherò cambiario ........................................................... 162
Requisiti della cambiale ......................................................................................... 162
Cambiale incompleta e in bianco ........................................................................... 163
Categorie di obbligati e autonomia delle obbligazioni cambiarie ......................... 163
Capacità ................................................................................................................. 164
Rappresentanza cambiaria ..................................................................................... 164
Accettazione della tratta......................................................................................... 164
La girata ................................................................................................................. 164
La legittimazione del portatore della cambiale ...................................................... 165
L’avallo .................................................................................................................. 165
La cambiali garantite ............................................................................................. 166
Le azioni cambiarie ed il protesto .......................................................................... 166
Azioni extra-cambiarie .......................................................................................... 167
Azione causale ................................................................................................... 167
Azione di arricchimento..................................................................................... 167
Prescrizione ............................................................................................................ 167
Cambiali finanziarie ............................................................................................... 168
L’assegno bancario.................................................................................................... 168
Requisiti formali e sostanziali dell'assegno ....................................................... 169
La circolazione dell'assegno .............................................................................. 169
Il pagamento ...................................................................................................... 169
Le azioni ............................................................................................................ 170
Figure particolare di assegni .............................................................................. 170
Clausola non all'ordine................................................................................... 170
Clausola non trasferibile ................................................................................ 170
Assegno sbarrato ............................................................................................ 170
Assegno da accreditare .................................................................................. 170
Assegno turistico............................................................................................ 171
L’assegno circolare ................................................................................................... 171
Presupposti dell’emissione ................................................................................ 171
Disciplina ........................................................................................................... 171
I titoli rappresentativi ................................................................................................ 171
192
Trasporti terrestri................................................................................................ 172
Trasporti marittimi ............................................................................................. 172
Polizza ricevuto per l'imbarco ........................................................................ 172
Polizza di carico marittima per merci a bordo ............................................... 172
Gli ordini di consegna propri (delivery orders) ............................................. 172
Gli ordini di consegna impropri ..................................................................... 172
Trasporti aerei .................................................................................................... 172
La lettera di trasporto aereo ........................................................................... 172
Titoli emessi dal depositario .............................................................................. 173
Altri titoli di credito ................................................................................................... 173
I titoli speciali dell’istituto di emissione ................................................................ 173
Vaglia cambiario ................................................................................................ 173
Assegno bancario libero ..................................................................................... 173
Assegno bancario piazzato ................................................................................. 173
Fede di credito o polizzino ................................................................................. 173
L'assegno I.C.C.R.I. ........................................................................................... 173
IL MERCATO MOBILIARE E L’INTERMEDIAZIONE FINANZIARIA............. 174
IL MERCATO MOBILIARE E I SERVIZI DI INVESTIMENTO .................................................... 174
Il mercato mobiliare................................................................................................... 174
Valori mobiliari e strumenti finanziari ...................................................................... 174
I servizi di investimento ed il loro esercizio ............................................................... 175
Il contratto di gestione di patrimoni mobiliari individuali ........................................ 176
La sollecitazione all’investimento .............................................................................. 176
Il promotore di servizi finanziari ............................................................................... 177
La vigilanza sugli intermediari abilitati .................................................................... 177
LE SOCIETÀ DI INTERMEDIAZIONE MOBILIARE ................................................................. 177
Le S.i.m. ...................................................................................................................... 177
La separazione patrimoniale ..................................................................................... 177
I contratti relativi alla prestazione dei servizi ........................................................... 178
L’attività di negoziazione nei mercati regolamentati ................................................ 178
I FONDI COMUNI DI INVESTIMENTO .................................................................................. 178
Generalità .................................................................................................................. 178
La società di gestione del risparmio .......................................................................... 178
La banca depositaria ................................................................................................. 178
Struttura e caratteristiche dei fondi ........................................................................... 179
Il regolamento del fondo ............................................................................................ 179
LE SOCIETÀ DI INVESTIMENTO A CAPITALE VARIABILE (S.I.C.A.V.) ................................. 179
Nozione....................................................................................................................... 179
Costituzione................................................................................................................ 179
Capitale sociale.......................................................................................................... 180
Le azioni ..................................................................................................................... 180
Le assemblee sociali................................................................................................... 180
La gestione ................................................................................................................. 180
Fusione e scissione; Scioglimento e liquidazione ..................................................... 180
I MERCATI REGOLAMENTATI ........................................................................................... 181
Generalità .................................................................................................................. 181
Le società di gestione dei mercati regolamentati ...................................................... 181
La borsa valori ........................................................................................................... 181
Il funzionamento della Borsa ................................................................................. 181
Compensazione e liquidazione delle operazioni di Borsa, sistemi di garanzia ..... 182
193
Il mercato ristretto ..................................................................................................... 182
Altri mercati telematici .............................................................................................. 182
La vigilanza sui mercati regolamentati ..................................................................... 182
I contratti di borsa: generalità .................................................................................. 183
I contratti a premio ................................................................................................. 183
Altri contratti.......................................................................................................... 183
I Financial Futures ............................................................................................. 183
Le options .......................................................................................................... 184
Il riporto di borsa ...................................................................................................... 184
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