La fusione nucleare() - Istituto Nazionale di Fisica Nucleare

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SCUOLA INTERATENEO DI SPECIALIZZAZIONE
PER LA FORMAZIONE DEGLI INSEGNANTI DELLA SCUOLA SECONDARIA
SIS
INDIRIZZO MATEMATICO – FISICO – INFORMATICO
A.S. 2004/05
LABORATORIO DI FISICA NUCLEARE
LA FUSIONE NUCLEARE
Prof.
MAINA
Prof.ssa SURIA
Specializzandi: Cartia Sandro
Garsia Francesco
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1- LA SITUAZIONE ENERGETICA NEL MONDO
Quale sarà l’utilità della fusione?
Il contributo che essa potrà dare al problema dell’energia sarà tale da giustificare il notevole sforzo
effettuato ora nelle ricerche?
Per evitare all’umanità una gravissima crisi, che assumerà carattere catastrofico per una frazione
consistente della popolazione mondiale, quella cioè dei paesi sottosviluppati, è necessario che su scala
mondiale vi sia un rapido e continuo incremento netto della produzione di energia. Questa energia
potrà permettere il raggiungimento di un livello di vita accettabile per tutta l’umanità.
Raggiunte tali condizioni, il consumo potrà stabilizzarsi e seguire la variazione lenta della
popolazione mondiale, che avrà superato, si spera, la fase di aumento esplosivo.
Attualmente ci sono notevoli differenze di consumo energetico pro capite per i diversi paesi. Il reddito
pro capite risulta essere legato al consumo energetico.
Per i paesi sottosviluppati, entrambe queste quantità hanno valori molto minori di quelli relativi ai
paesi industrializzati. In essi il tenore di vita è minore del livello accettabile.
Nei paesi ad alto reddito tale soglia può essere superato all’eccesso con conseguente spreco di
energia. Ad esempio, il consumo energetico pro capite negli USA è più del doppio di quello rilevato
in Svizzera, Francia e Giappone mentre i tenori di vita sono pressoché simili.
Un risparmio energetico sarebbe possibile per questi paesi, ma tuttavia la ridistribuzione di energia
non sarebbe sufficiente a far fronte allo sviluppo dei paesi più poveri fino al raggiungimento di livelli
accettabili del tenore di vita.
E’ necessario quindi che la produzione di energia venga progressivamente aumentata.
Attualmente la produzione mondiale di energia proviene da combustibili fossili (petrolio, gas naturale,
carbone) per il 92% e da altre fonti (nucleare, idrica, geotermica, solare) per il rimanente 8%.
Le riserve di combustibili fossili sono evidentemente limitate e lo sfruttamento delle fonti di energia
rinnovabile ha uno sviluppo molto lento e potrà contribuire soltanto in minima parte alla domanda di
energia per la fine del secolo.
La soluzione energetica non può che venire dalla fonte di energia nucleare.
Analizziamo pro e contro della fissione nucleare
pro
 Fonte inesauribile di energia, con la messa a
punto dei reattori autofertilizzanti:
1) Fissione del Plutonio 239
2) Arricchimento dell’Uranio 238 mediante
bombardamento di neutroni veloci emessi dalla
reazioni di fissione
3) Produzione di altro Plutonio, in quantità
maggiore di quello che si consuma nel reattore.


contro
Radioattività delle scorie prodotte.
Pericolo di proliferazione di armi
nucleari
Analizziamo pro e contro della fusione nucleare


pro
Nessuna produzione di scorie
Fonte inesauribile di energia

contro
Tecnologia non ancora abbastanza
sviluppata per un utilizzo
economico dell’energia prodotta
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2- LE FORZE NUCLEARI
2.1- Forza nucleare forte
Il nucleo degli atomi è costituito da protoni e neutroni. I protoni sono carichi di elettricità positiva ed i
neutroni sono elettricamente neutri. Il nucleo atomico è estremamente concentrato ed i nucleoni
(protoni e neutroni) sono posti a distanze infinitesime.
Il numero dei neutroni in un nucleo è indicato con la lettera N; il numero dei protoni, detto numero
atomico, con la lettera Z; infine il numero dei protoni più quello dei neutroni, il numero cioè dei
nucleoni detto numero di massa, è indicato con la lettera A.
E' facile vedere che in un nucleo vale la seguente relazione:
N = A - Z.
Con le notazioni introdotte, un qualsiasi elemento X della tavola periodica potrà essere indicato con il
simbolo che gli compete (in questo caso, appunto, X) preceduto in basso e seguito in alto da due
numeri, rispettivamente Z ed A:
A
ZX .
Occorre osservare che, tra gli atomi di uno stesso elemento ve ne sono alcuni che hanno, nel nucleo,
stesso numero di protoni ma differente numero di neutroni. A questi elementi, costituiti da atomi con
diverso numero di neutroni nel nucleo, si dà il nome di isotopi.
Come esempio consideriamo l'atomo di idrogeno (H) che generalmente ha un elettrone orbitante
intorno ad un nucleo costituito da un solo protone. L'idrogeno ha due isotopi chiamati deuterio e
trizio i quali sono caratterizzati dal fatto di avere, rispettivamente, uno o due neutroni in più nel
nucleo. In accordo con il simbolismo appena introdotto, il nostro idrogeno ed i suoi due isotopi
saranno indicati nel modo seguente:
idrogeno 1H 1 ; deuterio 1H 2 (oppure 1D 2 ); trizio 1H 3 (oppure 1T 3 ).
Un’altra convenzione, molto usata è quella di riportare il solo numero di massa A scritto come apice
premesso al simbolo atomico, ad esempio 1H ; 2H ; 3H ; 4He.
Occorre ancora aggiungere che le proprietà chimiche di un elemento dipendono esclusivamente dal
numero degli elettroni e quindi dei protoni dell'atomo. Di conseguenza, aumentare il numero dei
neutroni di un nucleo, non cambia in alcun modo le proprietà chimiche del rispettivo atomo.
La grandezza e la forma di un nucleo si possono determinare bombardandolo con particelle ad alta
energia e osservando la loro diffusione (scatterig), o in alcuni casi misurando la loro radioattività. I
risultati dipendono alquanto dal tipo di esperienza, ma un ampia varietà di queste indica che la
maggior parte dei nuclei sono all’incirca sferici , con raggi dati approssimativamente da
R  R0 A1/ 3
dove R0 è circa 1 fm = 10-15 m. Il fatto che il raggio del nucleo è proporzionale a A1/3 implica che il
volume del nucleo è direttamente proporzionale ad A. Poiché anche la massa del nucleo è all’incirca
direttamente proporzionale a A, la massa volumica di ciascun nucleo è circa la stessa. Per dare
qualche numero più preciso possiamo dire che il nucleo ha un raggio R, variabile tra i valori:
1,4 1015 m  R  8,7 1015 m .
Per vedere quanto dovrebbero valere le forze elettriche repulsive all’interno di un nucleo atomico,
proviamo a farci un conticino.
Supponiamo che un nucleo atomico sia costituito da due protoni alla distanza di 10-15 m . Ricordando
che la carica del protone (opposta a quella dell’elettrone) vale e = 1,6.10-19 coulomb ed applicando la
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legge di Coulomb, si trova che la forza repulsiva tra i due protoni vale:
Per capire l’ordine di grandezza di questa forza, confrontiamola con quella attrattiva che tiene legato,
ad esempio, un elettrone ad un protone in un atomo di idrogeno (ad una distanza r » 5.10-11 m):
Facendo il rapporto tra Fn ed Fe , otteniamo:
Risulta quindi che la forza Fn repulsiva tra i due protoni dovrebbe essere più intensa di circa 2 miliardi
di volte quella Fe che tiene un elettrone legato in un atomo di idrogeno: i due protoni dovrebbero
schizzare via come due proiettili supersonici!!!
La domanda è allora evidente: come fanno a coesistere in uno spazio così piccolo, il nucleo, due o più
protoni ?
I fatti sperimentali mostrano che i nucleoni sono fortemente legati tra di loro nel nucleo, come è
possibile ?
Si deve allora ammettere che, accanto alla forza elettrica repulsiva, fra le particelle del nucleo agisca
una seconda forza di tipo attrattivo e di intensità superiore a quella elettrostatica.
Questa forza prende il nome di forza nucleare ed ha due principali caratteristiche:
• non distingue protoni e neutroni;
• è una forza a “breve raggio”, dato che il suo effetto si fa sentire solo a distanze dell’ordine di
10-15 m.
Perché i protoni possano stare assieme dentro un nucleo occorre quindi che esista un'altra forza tale da
neutralizzare le forze elettriche repulsive. Questa forza deve essere estremamente intensa e deve
essere a corto raggio d'azione, cioè deve esercitarsi solo quando i protoni sono a distanze minime fra
loro. A distanze maggiori questa forza deve essere trascurabile.
La forza che tiene assieme i nucleoni nel nucleo atomico è la forza nucleare forte.
La forza nucleare forte è estremamente intensa e, se liberata, essa sprigiona immense energie.
L'energia che le stelle producono è dovuta alle reazioni nucleari che avvengono nel loro interno. Qui
sulla terra, l'uomo sta utilizzando questa energia per tentare di risolvere per sempre i propri bisogni
energetici ma tuttora i problemi relativi alla produzione di questa energia sono enormi sia in termini di
impatto ambientale (scorie radioattive) che in termini di controllo della medesima (problema del
confinamento della fusione).
Le forze nucleari devono essere intensissime, per poter tenere insieme, a distanza molto piccola, molti
protoni con la stessa carica. Per di più esse devono essere praticamente inefficienti al di fuori del
nucleo atomico stesso, altrimenti della loro esistenza ci saremmo accorti ben prima, così come
accadde con le forze gravitazionali ed elettromagnetiche. Esse quindi saranno attive a distanze
inferiori al miliardesimo di millimetro, ma inefficaci a distanze maggiori
Le forze nucleari devono compiere un certo lavoro per mettere assieme il nucleo, partendo con
protoni e neutroni isolati e avvicinandoli via via fino alle distanze alle quali essi si trovano all'interno
del nucleo. Durante questa operazione le forze elettriche lavorano "contro", nel senso che esse
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tenderebbero a tenere i protoni, di carica uguale, il più possibile lontani gli uni dagli altri. Quindi per
mettere insieme il nucleo dovremmo spendere una certa quantità di energia, esattamente eguale al
lavoro che dobbiamo compiere. Questa energia rimarrà poi immagazzinata nel nucleo fino a quando
qualcuno non lo rompa. Per ogni protone che avviciniamo ad una certa distanza ad un altro
spenderemmo quindi una certa quantità di energia, energia che rimane poi imprigionata nella struttura
che abbiamo creato.
Non tutti i nuclei sono fatti allo stesso modo, nel senso che le posizioni reciproche dei protoni in
diversi nuclei sono diverse. Di conseguenza le energie spese nella costruzione dei diversi tipi di
nucleo saranno diverse. Ogni tipo di nucleo avrà immagazzinata dentro di sé, quindi, una diversa
quantità di energia, caratteristica del tipo di nucleo in questione. Tutto ciò è vero sia per i nuclei
"naturali ", quelli cioè che si trovano in natura, sia per quelli artificiali, cioè costruiti in laboratorio.
Un primo fatto sperimentale riguardante l'energia nucleare è che la massa del nucleo risulta essere
minore della somma delle masse dei nucleoni componenti, presi isolatamente. Si consideri ad esempio
il più semplice dei nuclei composti: il deutone costituito dall'insieme di un protone e un neutrone.
Metodi appropriati permettono di misurare con buona precisione le masse del protone, del neutrone e
del deuterio. I risultati sperimentali sono i seguenti:
massa del protone : 1,00759 u.m.a
massa del neutrone : 1,00898 u.m.a.
massa del deuterio : 2,01419 u.m.a.
U.m.a,'unità di massa atomica, è una unità scelta arbitrariamente e corrispondente ad un dodicesimo
della massa dell'atomo dell'isotopo 12 (quello con 12 nucleoni) del carbonio (12C ):
1 u.m.a = 1,66.10-27 Kg.
Il peso atomico, relativo ad una unità di massa atomica, ci dice quante volte un atomo di un elemento
pesa più di questa unità di massa. Dire, ad esempio, che il peso atomico del fluoro è 19 vuol dire che
l'atomo di fluoro pesa 19 volte di più di un dodicesimo dell'atomo di carbonio 12 (oppure, che è lo
stesso, ha una massa pari a 19 u.m.a).
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Come si vede la massa dei due nucleoni costituenti il deuterio risulta pari a 2,01657 u.m.a. e quindi
superiore a quella del nucleo da loro composto, il deuterio. La differenza è di 0,00238 u.m.a. Il fatto
osservato è una caratteristica generale di tutti i nuclei atomici stabili. La differenza di massa fra i
costituenti nucleari e il nucleo è detta difetto di massa. Essa può essere interpretata alla luce della
legge di equivalenza fra massa e energia, conseguente della teoria della relatività di Einstein. Secondo
tale legge, a ogni particella di massa a riposo m è associata una energia di massa a mc2, ove c è la
velocità della luce nel vuoto. In un sistema isolato di particelle possono avvenire reazioni in cui
variano sia le energie delle particelle, sia le loro masse a riposo.
L'energia globale del sistema, comprendente l'energia di massa deve rimanere costante. Vale la
relazione i( Ei  mi c 2 )  costante , ove la somma è estesa a tutte le particelle i del sistema, con massa
a riposo mi ed energia Ei. l'energia di radiazione elettromagnetica deve essere attribuita ai fotoni, che
possono essere considerati particelle con massa a riposo nulla. Se la massa a riposo di un sistema
diminuisce della quantità m si ha un aumento di energia della quantità
E=mc2.
(1)
Se, a reazione avvenuta, le particelle risultanti non sono più in interazione, E corrisponde a una
effettiva liberazione di energia in forma di radiazione e di energia cinetica delle particelle.
Similmente per fare avvenire reazioni che comportino un aumento di massa del sistema è necessario
fornire una quantità di energia data dalla reazione (1).
Supponiamo di formare un nucleo a partire dai nucleoni che lo compongono: in corrispondenza alla
diminuzione di massa che si ha nel nucleo composto, si avrà la liberazione di una equivalente quantità
di energia eguale, per quanto si è detto, alla energia necessaria per spezzare i legami che tengono
assieme i nucleoni nel nucleo. Questa energia, detta energia di legame, è pertanto correlata al difetto
di massa dalla relazione (1). Se si vuole scindere il nucleo in protoni è neutroni è necessario fornire a
esso una quantità di energia eguale all'energia di legame. Nella figura è rappresentata l'energia di
legame per nucleone, cioè il rapporto tra l'energia di legame e il numero di nucleoni A, per i diversi
nuclei stabili, al variare di A.
Come si può osservare dall'andamento del diagramma, per i nuclei leggeri l'energia di legame per
nucleone aumenta all'aumentare di A, e raggiunge un valore massimo intorno ad A60; ha una zona
piatta, a variazioni poco apprezzabile, per valori di A compresi tra 60 e 80, corrispondenti ai nuclei
più pesanti.
Se due nuclei leggeri, con A<10, si fondono dando origine a un nucleo più pesante, si avrà liberazione
di energia, poiché il difetto di massa del nucleo risultante è maggiore del difetto di massa complessivo
dei nuclei di partenza cioè della somma dei loro difetti di massa (fusione nucleare). Un
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comportamento analogo si ha se un nucleo pesante, con A>200, si spezza in due nuclei più leggeri
(reazione di fusione): in questo caso cioè il difetto di massa del nucleo di partenza è minore del difetto
di massa complessivo dei frammenti risultanti dalla fissione.
Quando compiamo un processo di fissione o di fusione, in entrambi i casi partiamo con più energia
immagazzinata di quanta ce ne sia alla fine nei cosiddetti prodotti di reazione. Dove finisce l'energia
mancante? Essa viene liberata ed è immediatamente disponibile per qualsiasi altro uso. Come viene
liberata energia? Essenzialmente in due modi: o sotto forma di calore, quando il combustibile si
riscalda insieme a tutto quello che lo circonda, o sotto forma di particelle veloci che si allontanano. Il
primo meccanismo è molto familiare: è lo stesso che usiamo per far bollire una pentola d'acqua
liberando energia con la fiamma del gas. Il secondo meccanismo è, invece, possibile perché non è
detto che tutti i protoni, i neutroni e gli elettroni inizialmente a disposizione finiscano poi nei nuclei
residui. Quelli che avanzano si allontanano velocemente dalla zona di reazione portando con sé parte
dell'energia liberata proprio come fa un proiettile in moto che, grazie alla sua energia, riesce a
penetrare un materiale o a rompere un vetro.
Per trattare i problemi riguardanti l'urto fra due particelle, come, ad esempio, le reazioni nucleari, è
opportuno introdurre una grandezza direttamente collegata alla probabilità di verificarsi dell'evento: la
sezione d'urto . Consideriamo, per fissare le idee, la reazione di fusione tra un nucleo a ed un nucleo
b. Supponendo che il nucleo a sia fermo, immaginiamo di indirizzare il nucleo b, dotato di una certa
energia cinetica, verso il nucleo a, in modo da provocare la reazione di fusione. La sezione d'urto
rappresenta la superficie vitale, associata al nucleo a che, ai fini della reazione, deve essere colpita dal
nucleo b: cioè, l'area intorno al centro del bersaglio (nucleo a) che deve essere colpita perché la
reazione abbia luogo. E' chiaro che, se la velocità del nucleo proiettile b rispetto al nucleo bersaglio è
estremamente piccola, la particella b avrà una probabilità piccolissima di superare la barriera di
potenziale coulombiano: la sezione d'urto sarà allora estremamente piccola, annullandosi quando la
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velocità di b diventa nulla. Allo stesso modo, se la velocità di b è estremamente elevata, i due nuclei
non avranno tempo per interagire, e sarà molto improbabile che diano luogo alla reazione di fusione:
di nuovo la sezione d'urto sarà estremamente piccola. Quindi la sezione d'urto dipenderà dalla velocità
relativa delle particelle o se si vuole, dell'energia cinetica associata al moto relativo. Quando questa
energia cinetica tende a zero oppure verso valori elevatissimi, la sezione d'urto tenderà ad annullarsi.
Pertanto la sezione d'urto presenterà un valore massimo al variare dell'energia cinetica. Poiché i raggi
dei nuclei sono dell'ordine di 10-14 m, l'ordine di grandezza delle sezioni d'urto sarà di 10-28 m2. Questo
valore, denominato barn, è usato in fisica nucleare, come unità di misura delle sezioni d'urto.
Un altro modo di esprimere la sezione d'urto è il seguente: se I è il numero di particelle incidenti
riferito all'unità di tempo e all'unità di area della superficie (l'intensità incidente) ed R è il numero di
reazioni riferito all'unità di tempo e a ogni nucleo, la sezione d'urto è
 
R
I
Le reazioni nucleari che presentano interesse per la fusione sono quelle che coinvolgono i nuclei più
leggeri, per i quali la barriera coulombiana è più bassa. Le reazioni coinvolgenti il nucleo di idrogeno
1
H, vale a dire il protone sono:
1
H + 1H  2H + e+ + 
1
H + 2H  3He + 
1
H + 3H  4He + 
dove i simboli , e+, , indicano rispettivamente il neutrino, l'elettrone positivo (positrone) e l'energia
emessa sotto forma di radiazione elettromagnetica.
Si trova però che queste reazioni presentano sezioni d'urto molte piccole in corrispondenza delle
energie ordinarie raggiungibili in laboratorio. Le reazioni di interesse effettivo per la fusione
termonucleare controllata sono le seguenti:
(a)
2
H + 2H → 3H (1.01 MeV) + 1H (3.02 MeV)
(b)
2
H + 2H → 3He (0.82 MeV) + n (2.45 MeV)
(c)
2
H + 3H → 4He (3.5 MeV) + n (14.1 MeV)
(d)
2
H + 3He → 4He (3.6 MeV) + 1H (14.7 MeV)
Ricordiamo che il deuterio è abbondante nell' acqua di mare (30 g /m3) mentre il trizio, materiale
radioattivo con un tempo di dimezzamento di 12.36 anni, non esiste in quantità apprezzabili in natura
e deve quindi essere generato. Le reazioni (c) e (d) sono particolarmente importanti a causa
dell'elevata produzione di energia che le accompagna, cioè, come si suol dire, della loro elevata
esoenergeticità.
Le reazioni (b) e (c) richiedono, per lo sfruttamento in un reattore, il rallentamento dei neutroni con un
opportuno moderatore che permetta la conversione dell'energia cinetica dei neutroni in energia
termica associata al moto degli atomi del moderatore stesso. Con riferimento alla reazione (c), usando
come moderatore il litio, si può risolvere contemporaneamente il problema della rigenerazione del
trizio, in modo che possa essere usato come combustibile senza la necessità di un continuo suo
rifornimento dall'esterno. Si può ricorrere infatti, per questo processo, alle seguenti reazioni:
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(e)
6
Li + n (lento) → 3H + 4He + 4,8 MeV
(f)
7
Li + n (veloce) → 3H + 4He (lento) – 2,5 MeV
La reazione (d) ha il vantaggio di non produrre neutroni, di essere cioè "pulita", dato che proprio i
neutroni sono causa di inquinamento radioattivo nelle strutture del reattore. In realtà la presenza del
Deuterio fa si che avvenga comunque una certa percentuale di reazioni (a) e (b), e quindi
necessariamente di reazioni (c) con produzione di neutroni veloci: il problema quindi, anche se ridotto
di dimensioni, non è del tutto eliminato.
In figura sono rappresentate, in funzione dell'energia del deutone, le sezioni d'urto moltiplicate per la
velocità, delle reazioni (a) (b) (c) e (d).
Il diagramma è stato tracciato sulla base di dati sperimentali che si ottengono in laboratorio
bombardando bersagli contenenti deuterio, trizio ed elio con fasci di deutoni di energia note.
Come si vede, la reazione che presenta sezione d'urto maggiore, per energie al di sotto dei 100 keV, è
la D-T.
Nella figura
"probabilita' di
reazione" significa che il
suo valore (per ciascuna
delle reazioni di fusione
indicate) moltiplicato
per le densita' dei nuclei
interagenti da' il numero
di reazioni di fusione
per unita' di tempo e
unita' di volume
2.2 Esempio di fusione: la fusione nelle stelle
La fusione è un fenomeno molto frequente in natura. Tutte le stelle sono composte in larghissima
percentuale di idrogeno ed elio. La materia stellare si trova in condizioni estremamente diverse da
quelle a noi abituali, con valori elevatissimi di pressione e temperatura. Queste altissime temperature
e pressioni sono in grado di realizzare ciò che alle nostre condizioni è difficilissimo: comprimere i
nuclei l'uno così vicino all'altro, lavorando contro le forze di repulsione elettrica, tanto da permetterne
la fusione. Ricordiamo infatti che tutti i nuclei sono carichi positivamente. Quando cerchiamo di
avvicinare due nuclei per fonderli, essi tendono a respingersi.
Come si è già detto, la massima distanza alla quale le forze nucleari sono attive corrisponde all'incirca
alle dimensioni stesse del nucleo. Pertanto fino a quando i due nuclei sono separati essi sono soggetti
alla sola forza elettrica repulsiva. Solo quando riusciremo a portarli così vicini da "toccarsi" allora le
forze nucleari potranno entrare in gioco permettendone la fusione. E' come se ci fosse in cima ad una
collina un profondo buco che termina più in basso dell'altezza stessa della collina. Se vogliamo far
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cadere un masso in quel buco, guadagnando così una grossa quantità di energia, dovremmo prima
farlo salire spendendo una certa quantità di energia. La situazione per la fusione nucleare è simile.
Fino a quando i due nuclei sono separati, per avvicinarli dobbiamo compiere un lavoro contro le forze
elettriche repulsive, come per portare il masso in cima alla collina. Quando i due nuclei arrivano a
contatto, allora le forze nucleari possono liberare una grande quantità di energia, come quando,
arrivati finalmente in vetta alla collina, lasciamo cadere il masso dentro al buco. Il grande lavoro
svolto contro le forze elettriche per avvicinare i due nuclei fino a toccarsi viene molto più che ripagato
dall'energia nucleare liberata dalla fusione.
Ma quale è la catena di reazioni nucleari che permette al sole di funzionare? Il nucleo più
semplice che si possa immaginare è quello costituito da un solo protone. Esso corrisponde all'atomo di
idrogeno, e viene indicato con il simbolo 1H. Il numero dei neutroni è ovviamente 1 - 1 = 0. La
fusione di due nuclei di idrogeno, cioè di due protoni, non genera un nucleo stabile. Infatti perfino le
intensissime forze nucleari non sono in grado di tenere insieme due protoni solamente, per via della
enorme forza repulsiva tra di essi. Fortunatamente esiste una seconda forza nucleare. E' molto meno
intensa e perciò viene chiamata forza nucleare debole. Essa rende possibili processi altrimenti vietati.
La prima indicazione circa l'esistenza di una seconda forza nucleare venne dall'osservazione che un
neutrone isolato non è stabile. Dopo circa 15 minuti esso spontaneamente si trasforma in un protone
più un elettrone, più un'altra particella molto elusiva chiamata antineutrino elettronico. Verifichiamo
adesso che nella reazione non si perda nulla. All'inizio la carica del neutrone era zero. Alla fine
abbiamo ottenuto un protone ed un elettrone, di cariche eguali ed opposte, in modo che la loro somma
sia esattamente eguale a zero. Ma abbiamo anche un antineutrino elettronico, la cui carica elettrica
dovrà essere quindi nulla. All'inizio il neutrone era fermo. Alla fine abbiamo un protone, un elettrone
ed un antineutrino che si allontanano velocemente dalla zona di reazione.
Da dove viene l'energia per questo processo? Come si è detto la massa di un neutrone è quella
di un protone più qualche millesimo. Avremo quindi un eccesso di massa, perché il protone non si
porta via tutta la massa originaria del neutrone. L'elettrone pesa 1/2000 di un neutrone, quindi si porta
via un po' della massa in eccesso, ma non tutta. L'antineutrino ha massa nulla(o perlomeno
vicinissima allo zero). Dove è finita la massa in eccesso? E da dove è venuta l'energia che il protone,
l'elettrone e l'antineutrino si portano via? Nell'ambito della teoria della relatività, dovuta ad Albert
Einstein, si è mostrata l'equivalenza dei concetti di massa ed energia. E' la ben nota formula E = Mc2,
che oramai compare ovunque. Essa ci assicura che una certa quantità di energia può essere convertita
in una massa, o viceversa, in opportune condizioni. Cioè, se abbiamo a disposizione, come in questo
caso, una certa massa in eccesso, possiamo trasformare questa massa in energia. Questa energia è
quella che permetterà al protone, all'elettrone ed all'antineutrino di allontanarsi velocemente. Il
processo di decadimento, come spesso viene chiamato, di un neutrone non può essere dovuto alla
stessa forza nucleare che tiene assieme i nuclei, o che permette la fissione di quelli più pesanti e la
fusione di quelli più leggeri. Infatti il tempo di decadimento del neutrone è, come abbiamo detto di
circa 15 minuti, un tempo spaventosamente più lungo di quelli tipici per le reazioni nucleari. Sarà
quindi una forza di tipo nucleare a indurlo, ma estremamente meno intensa, per cui prende il nome di
forza debole. Abbiamo quindi due forze nucleari, quella forte responsabile dell'esistenza dei nuclei,
della fissione e della fusione, e quella debole responsabile del decadimento del neutrone e di altri
fenomeni che discuteremo tra breve. Come mai i neutroni che sono dentro ai nuclei non decadono? Se
lo facessero ci accorgeremmo che le proprietà chimiche dei materiali cambierebbero ogni quarto
d'ora. Dovremmo accorgerci, ad esempio, che il 56Fe, costituito da 26 protoni e 30 neutroni, si
trasforma in 56Co, costituito da 27 protoni e 29 neutroni. Questo avverrebbe ogni volta che ciascuno
dei 30 neutroni originari del ferro dovesse trasformarsi in un protone, più un elettrone, più un
antineutrino elettronico. Questo non avviene perché è impedito dalla mancanza di energia. Si dà il
caso che la quantità totale di energia immagazzinata nel nucleo di 56Fe sia minore di quella totale
immagazzinata nel nucleo di 56Co. Per realizzare un decadimento di neutrone in protone, come nel
vuoto, avremmo bisogno di energia, che non abbiamo. Il processo, a priori possibile, risulta vietato
per mancanza di energia. Si fa necessaria ora una ricapitolazione, per non confondersi: il decadimento
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di un neutrone del ferro in protone consentirebbe un piccolo guadagno di energia. Energia che, nel
vuoto, viene dispersa sotto forma di velocità delle particelle uscenti dalla reazione. Il problema è che
questo piccolo guadagno di energia, realizzato tramite le forze nucleari deboli, non è sufficiente a
colmare il divario energetico tra il ferro ed il cobalto, creato dalle forze nucleari forti. La stabilità o
meno di un certo nucleo atomico dipende quindi da un delicato bilancio tra le forze elettriche che
tenderebbero a disintegrarlo, quelle nucleari forti, che cercano di tenerlo insieme, e quelle nucleari
deboli, che cercano di cambiare neutroni in protoni, quando ciò sia possibile. Sarebbe possibile,
usando le forza nucleari deboli, trasformare, invece di un neutrone in un protone, un protone in un
neutrone, più eventualmente qualcosa d'altro? Si, se non fosse che, come si è detto, il protone pesa un
po' meno di un neutrone. Quindi, anche se la cosa sarebbe possibile, un protone isolato rimane sempre
tale, perché non abbiamo abbastanza massa o energia per trasformarlo in qualcosa d'altro. All'interno
di un nucleo, però, questo processo proibito per mancanza di energia, è talvolta possibile, a spese
dell'energia che tiene insieme il nucleo. Così risulta che il 56Fe non riesce a trasformarsi in 56Co
spontaneamente, per quanto detto prima, ma che nel 56Co le forze nucleari deboli riescono in ciò che
gli è impossibile fuori dal nucleo, cioè a trasformare un protone in neutrone. Il nucleo di 56Co è così
anch'esso radioattivo, ma di una radioattività diversa da quella discussa in precedenza: non più
generata dalle forze nucleari forti, ma da quelle deboli. Queste due radioattività hanno anche nomi
diversi: la prima viene detta radioattività-(alfa), la seconda radioattività-(beta). Ritorniamo al
funzionamento di una stella. La fusione(forte) di due nuclei di idrogeno risulta impossibile a causa
delle tremende forze repulsive elettriche. Con l'aiuto delle forze nucleari deboli, uno dei protoni può
pero, come detto, trasformarsi in un neutrone emettendo anche, contemporaneamente, un antielettrone
ed un neutrino elettronico: è tutto all'opposto che per il decadimento di un neutrone. L'antielettrone, o
positrone, è identico ad un elettrone, ma con carica positiva. Si forma così un nucleo composto da 1
protone ed 1 neutrone, l'isotopo 2H dell'idrogeno, chiamato anche deuterio. Indicando con una freccia
il verso delle reazioni che avvengono si indicherà allora
p + p  p + n + e+ + ve
e
p + n  2H
dove con e- ed e+ si è indicato l'elettrone e l'antielettrone(o positrone), mentre con ve si è indicato il
neutrino. Nelle stelle, molto calde, si forma quindi deuterio. Già a questo stadio un po' di energia
viene liberata, e portata via sotto forma di calore, di positroni e di neutrini. Un nucleo di deuterio può
a sua volta fondere con uno dei protoni rimasti isolati, formando il nucleo 3He(elio 3) composto,
appunto, da 2 protoni ed un neutrone, liberando così ancora un po' di energia sotto forma di onde
elettromagnetiche e di calore. A loro volta due nuclei di 3He possono fondersi in un nucleo di 4He(2
protoni + 2 neutroni), lasciando liberi i restanti 2 protoni, che possono ricominciare il ciclo. Ogni
volta che il ciclo viene compiuto, 4 protoni vengono convertiti nel nucleo di elio, attraverso la catena
descritta, ed una grande quantità di energia viene liberata.
11
Una stella produce quindi energia trasformando idrogeno in elio. Una bomba a fusione si basa
esattamente sugli stessi principi. Il problema, non piccolo, è quello di riuscire a portare l'idrogeno a
temperature e pressioni elevatissime, simili a quelle all'interno di una stella. Il vantaggio, però,
sarebbe enorme: l'idrogeno è facilmente reperibile e, per di più, la quantità di energia liberata in
questo tipo di processi è maggiore di quella liberata per fissione. Ciò significa che a parità di peso una
bomba a fusione sarebbe enormemente più potente e meno costosa. Il problema di raggiungere le
temperature e pressioni necessarie era, però, già stato praticamente risolto. Se mettessimo una bomba
a fissione attorno ad una certa quantità di idrogeno molto condensato, questa, esplodendo,
provocherebbe le temperature e le pressioni necessarie. Una bomba a fissione può essere quindi
l'innesco adatto ad una a fusione, così come una bomba normale(a innesco chimico) era l'innesco di
una bomba a fissione. Può sembrare utile, a questo punto, costruire una bomba termonucleare perché
comunque si deve costruire una bomba a fissione. Il punto è che per raddoppiare la potenza esplosiva
di una bomba a fissione bisognerebbe raddoppiare le quantità di uranio o plutonio impiegata, con
problemi finanziari e tecnici. Ma usando sempre la stessa quantità di 235U o di plutonio, quella minima
necessaria per innescare la fusione, possiamo aumentare a dismisura la potenza semplicemente
aggiungendo idrogeno. Queste bombe vengono chiamate "bombe H"(H sta per idrogeno) o "bombe
termonucleari", per ricordare che esse necessitano di una grande quantità di calore per iniziare
l'esplosione. Le bombe a fissione venivano talvolta indicate come "bombe A"(dove A sta per
atomiche). Attualmente gli arsenali militari di tutte le potenze nucleari sono forniti solo di bombe
termonucleari.
12
3- REQUISITI PERCHÉ LA FUSIONE ABBIA LUOGO
Nella fusione nucleare, due nuclei leggeri, come il deuterio (2H) ed il trizio (3H), si fondono insieme
per formare un nucleo più pesante. Una tipica reazione di fusione è
2
H + 3H → 4He + n + 17,6 MeV
L’energia liberata nella fusione dipende dalla particolare reazione. Per la reazione 2H + 3H, è 17,6 eV.
Questa energia, pur essendo minore di quella liberata in una reazione di fissione, rappresenta una
maggiore quantità di energia riferita all’unità di massa. L’energia liberata in questa reazione di
fusione è (17,6 MeV) / (5 [nucleoni]) = 3,52 MeV / [nucleone]: è pari a circa 3,5 volte l’energia di un
MeV / [nucleone] liberata nella fissione.
La produzione di energia dalla fusione di nuclei leggeri promette bene grazie all’abbondanza relativa
del combustibile e all’assenza di alcuni dei pericoli insiti nei reattori a fissione. Purtroppo non è stata
ancora sviluppata la tecnologia necessaria per fare della fusione una fonte di energia di impiego
pratico. Considereremo la reazione 2H + 3H; le altre reazioni presentano problemi analoghi.
A causa della repulsione coulombiana tra i nuclei 2H e 3H, sono necessarie energie cinetiche molto
grandi, dell’ordine di 1 MeV, per fare avvicinare i nuclei tanto quanto basta per fare diventare efficaci
le forze nucleari attrattive, provocando la fusione. Energie così grandi si possono ottenere in un
acceleratore, ma, poiché la diffusione di uno dei due nuclei da parte dell’altro è molto più probabile
della fusione, il bombardamento di un nucleo per mezzo di un altro in un acceleratore richiede che si
fornisca più energia di quanta se ne ottenga. Per ottenere energia dalla fusione, si devono riscaldare le
particelle fino a una temperatura tanto alta quanto basta affinché avvenga la reazione di fusione in
conseguenza di urti termici casuali. Poiché un numero notevole di particelle hanno energie cinetiche
3
maggiori dell’energia cinetica media kT e poiché alcune particelle riescono ad attraversare la
2
barriera coulombiana per effetto tunnel, una temperatura T corrispondente a kT  10 keV è sufficiente
per assicurare che avvenga un numero ragionevole di reazioni di fusione se la densità numerica delle
particelle è abbastanza alta. La temperatura corrispondente a kT = 10 keV è dell’ordine di 108 K.
Temperature così alte si osservano all’interno delle stelle, dove tali reazioni sono comuni. A queste
temperature, un gas è costituito da ioni positivi e elettroni negativi, e prende il nome di plasma. Uno
dei problemi che si devono affrontare quando si tenta di produrre reazioni di fusioni controllate è
quello del confinamento del plasma per un tempo sufficiente affinché avvenga la reazione.
All’interno del sole, il plasma è confinato dall’enorme campo gravitazionale del sole. In un
laboratorio sulla Terra, il confinamento di un plasma è un problema di difficile risoluzione.
L’energia necessaria per riscaldare un plasma è direttamente proporzionale alla densità numerica dei
suoi ioni n, mentre la frequenza degli urti è direttamente proporzionale a n2, il quadrato della densità
numerica. Se  è il tempo di confinamento, l’energia prodotta è direttamente proporzionale a n2.
Affinché l’energia prodotta sia maggiore dell’energia fornita, deve essere
C1n 2  C2 n
dove C1 e C2 sono costanti. Nel 1957, il fisico britannico J. D. Lawson valutò queste costanti in
base a stime dei rendimenti di diversi ipotetici reattori a fusione e dedusse la seguente relazione tra
densità numerica e tempo di confinamento, nota come criterio di Lawson:
n > 1020 s [particelle]/m3
Se il criterio di Lawson è soddisfatto e l’energia termica degli ioni è abbastanza grande (kT  10 keV),
l’energia liberata da un reattore a fusione sarà esattamente uguale all’energia fornita; cioè, il reattore
13
raggiungerà il pareggio energetico (break-even). Il reattore a fusione, per essere di impiego pratico,
deve produrre una quantità molto maggiore di energia.



il breakeven, in cui l' energia
generata dalla fusione
eguaglia quella immessa dall'
esterno per mantenere il
plasma a temperatura
termonucleare. Il breakeven
dimostra la fattibilità
scientifica del reattore a
fusione;
l' ignizione in cui si ha l'
autosostentamento della
reazione di fusione, ad opera
dei nuclei di elio prodotti;
la fattibilità tecnologica
quando, il rendimento netto di
tutto l' impianto è positivo.
Attualmente sono oggetto di studio due schemi per soddisfare il criterio di Lawson. In uno schema, il
confinamento magnetico, si usa un campo magnetico per confinare il plasma, che è confinato in un
grande toro o ciambella (Tokamak). Il campo magnetico è una combinazione del campo magnetico a
forma di ciambella generato dagli avvolgimenti del toro e del campo proprio generato dalla corrente
del plasma circolante. Il punto di pareggio energetico è stato raggiunto recentemente usando il
confinamento magnetico, ma resta da percorrere un lungo cammino per giungere a costruire un
reattore a fusione di impiego pratico.
In un secondo schema, detto confinamento inerziale, una pastiglia (pellet) di deuterio e trizio solidi
viene bombardata da tutti i lati mediante intensi fasci laser impulsati, di energia dell’ordine di 104 J,
della durata di circa 10-8 s. (Si usano anche fasci intensi di ioni). L' energia elettromagnetica dei fasci
laser di alta potenza (o l' energia cinetica delle particelle accelerate) è trasferita uniformemente alla
superficie della sferetta . La superficie della sferetta evapora e, secondo il principio di azione e
reazione, il combustibile viene compresso e riscaldato. Si realizza così la condizione di altissima
densità del plasma anche se per tempi di confinamento molto brevi. Studi di simulazione
all’elaboratore indicano che la pastiglia dovrebbe venire compressa fino a circa 104 volte la sua massa
volumica normale e riscaldata fino a una temperatura maggiore di 108 K. Ciò dovrebbe produrre 106 J
di energia da fusione in 10-11 s, un intervallo di tempo così breve che il confinamento viene assicurato
dalla sola inerzia.
Altri esperimenti sono allo studio al fine di ottenere reazioni di fusione. Ad esempio: la fusione di
deuterio-trizio catalizzata da fasci di "muoni" (particelle nucleari negative, instabili, di massa uguale a
207 volte quella dell' elettrone e di vita media di 2,2 microsecondi), che avrebbero la proprietà di
ridurre le distanze internucleari e quindi di favorire la reazione. La fusione catalizzata da muoni non è,
per ora, conveniente ai fini di un bilancio energetico positivo, sia per la necessità di produrre queste
particelle mediante acceleratori che consumano molta energia, sia perché il muone tende a legarsi al
nucleo di elio prima di aver ottenuto un numero di reazioni sufficiente a rendere redditizio il processo.
14
4- GLI IMPIANTI DI PRODUZIONE
La prima macchina che ha studiato e tentato di realizzare la fusione in scala che sarebbe potuta
diventare commerciale è ex sovietica e prende il nome di TOKAMAK, acronimo russo delle parole
che la descrivono: TOroidalnaya KAmera MAgnitnaya Katushka, ovvero macchina a camera
toroidale e avvolgimento magnetico. Fu sviluppata all'Istituto dell'Energia Atomica di Mosca alla fine
degli anni '60. Il toro è una figura geometrica che deriva il suo nome dal latino torus = cintura,
cordone (da non confondere con taurus, da cui il più familiare toro del mondo animale). La figura
geometrica toro (Figura 0) ha quindi l'aspetto di un tubo chiuso
Figura 0
ad anello che è proprio la forma che generalmente ha la camera centrale delle macchine che lavorano
intorno alla fusione nucleare (il contenitore dell'anello verde di Figura 1 che rappresenta molto
schematicamente un Tokamak).
Figura 1
Il principio del Tokamak si basa su tre gruppi di elettromagneti. Un primo gruppo produce un campo
toroidale, che funge da "manicotto" e confina il plasma. I magneti centrali del trasformatore servono
15
per indurre una corrente elettrica nel plasma, la quale fluisce toroidalmente e riscalda il plasma. I
magneti del campo verticale agiscono in modo da stabilizzare il plasma e mantenerlo al centro del
toro.
Dentro la camera toroidale vi è inizialmente un gas che deve essere portato a temperature gigantesche.
Un gas, che ha la proprietà di ionizzarsi a temperature ordinarie, si ionizza completamente (i suoi
atomi perdono tutti gli elettroni) alle temperature a cui si lavora. Un gas in condizioni di totale
ionizzazione si chiama plasma. Per far crescere la temperatura di quel gas si usa un sistema che
ricorre a giganteschi campi magnetici. Sottoponendo un plasma a tali campi, si restringe in un toro a
sezione sempre più piccola con due effetti: da una parte ci si allontana dalle pareti del contenitore
evitando il contatto con alte temperature, dall'altra si portano sempre più vicini tra loro i nuclei del gas
da fondere. Naturalmente quanto dico è assolutamente banalizzato. I plasmi possono essere le miscele
di nuclei più favorevoli alla fusione, ad esempio deuterio e trizio. In questo caso abbiamo a che fare
con la coppia di elementi che ha bisogno della più bassa temperatura di innesco, circa 50 milioni di
gradi centigradi. Il contenitore di tale elevata temperatura sarà, come accennato, il campo magnetico.
Ma vi è un altro criterio cui bisogna rispondere per ottenere la produzione di energia da fusione, si
tratta del criterio detto di Lawson. Durante il tempo di contenimento mediante campo magnetico del
plasma scelto, l'energia liberata dalla fusione, ad una temperatura più alta di quella d'innesco,
dovrebbe almeno essere uguale alla somma dell'energia persa attraverso processi radiativi più
l'energia necessaria ad elevare l'energia termica del plasma alla temperatura considerata. In definitiva i
parametri importanti per ottenere la fusione sono tre: la temperatura caratteristica di fusione
(temperatura di ignizione) per un dato plasma (che si ottiene dall'equazione del bilancio energetico tra
la potenza prodotta dalla fusione e le perdite di potenza dovute a vari fattori); la densità del plasma ed
il tempo di confinamento. In pratica, disponendo di un plasma ad una data densità, esso dovrà essere
compresso magneticamente per un tempo minimo necessario a raggiungere la temperatura in cui
iniziano a fondere i nuclei del plasma medesimo. A questo punto sarà la macchina a dare energia
attraverso le reazioni di fissione nucleare.
Per raggiungere la temperatura di ignizione si deve scaldare convenientemente il plasma per differenti
vie:
1 - riscaldamento ohmico che consiste nello ionizzare la miscela (ad esempio) di deuterio e trizio
ottenendo un plasma e quindi agendo sui campi magnetici rapidamente variabili che inducono un
campo elettrico il quale, a sua volta, origina una corrente nel plasma che lo riscalda;
2 - riscaldamento per compressione magnetica (o adiabatica) che si ha aumentando bruscamente il
campo magnetico toroidale, fatto che fa aumentare l'energia cinetica e quindi la temperatura del
plasma; un campo elettrico toroidale mantiene una corrente elettrica, pure toroidale, che fluisce nel
plasma e questa corrente, a sua volta, genera una componente del campo magnetico che è poloidale
(per questo tipo di riscaldamento si veda Figura 3);
3 - riscaldamento per pompaggio magnetico che si origina facendo variare periodicamente il campo
magnetico;
4 - riscaldamento attraverso microonde che devono avere la stessa frequenza con cui vibrano le
particelle del plasma;
5 - riscaldamento per iniezione di fasci di atomi neutri (che possono penetrare nel plasma senza subire
disturbo dalle cariche elettriche che lo costituiscono. Nel penetrare nel plasma questi fasci neutri si
ionizzano e trasferiscono parte della loro energia cinetica al plasma per urto. Tale procedimento può
essere applicato in combinazione con altri;
6 - riscaldamento per onde d'urto è quello che si ottiene attraverso raggi laser di elevata potenza che
vanno ad incidere sul plasma (si può anche operare attraverso elettroni accelerati o ioni pesanti).
Alcuni di questi metodi di riscaldamento sono illustrati nella Figura 2:
16
Figura 2
Questa temperatura elevata, tendenzialmente, lavora per separare i nuclei degli atomi del plasma,
essendo questi carichi tutti positivamente. Occorre quindi restringere lo spazio a disposizione del
plasma mediante un suo confinamento che, nel caso in discussione, è magnetico (vi è poi da
considerare un altro tipo di confinamento, quello inerziale).
C'è da osservare che, mentre fino ad ancora poco tempo fa (anni '80) si lavorava in modo
semiempirico per modificare la geometria della macchina (o delle macchine), nei suoi infiniti
parametri; proprio da allora iniziano delle teorie elaborate che ci fanno sperare sempre più nell'entrata
in funzione commerciale di tali macchine. In Figura 3 vi è uno schema ancora più dettagliato di quello
di Figura 1 di un tokamak. Nella Figura 4 vi è invece il dettaglio dei campi elettrici e magnetici dentro
il plasma.
Figura 3
17
Un tipico apparato Tokamak è illustrato nel disegno schematico di figura 3. Il plasma caldo, costituito
da un gas di particelle cariche elettricamente (in colore), viene confinato da un sistema intrecciato di
superfici magnetiche, composte da linee magnetiche elicoidali, delle quali una sola è indicata in figura
(frecce nere). Il campo magnetico elicoidale è il risultante di due campi componenti (non evidenziati
in figura), che sono tra di loro ortogonali. La componente toroidale viene generata dalla batteria
circolare di avvolgimenti a forma di cuneo che circondano la camera toroidale del plasma. La
componente poloidale è generata dalla corrente toroidale (freccia colorata), che fluisce all'interno del
plasma; questa corrente toroidale viene a sua volta generata da un campo elettrico toroidale prodotta
da un trasformatore, costituito da un insieme di avvolgimenti primari attorno ad un nucleo di ferro. (Il
plasma stesso costituisce il circuito secondario). Una configurazione del plasma di questo tipo, nella
quale un plasma a forma di salvagente (toroide) è soggetto ad una forza costrittiva generata dalla
corrente stessa che la percorre, viene detta strizione toroidale; se la corrente che circola nel plasma è
distribuita uniformemente sulla sua sezione, si ha allora una strizione toroidale uniforme. L'involucro
conduttore impedisce all'anello di plasma di dilatarsi nella direzione del raggio maggiore. L'apertura
d'ispezione rende possibile l'accesso all'anello di plasma per rilevarne le diverse caratteristiche.
Figura 4
Per rendere conto delle dimensioni delle macchine che si stanno costruendo e con le quali si
sperimenta (si tenga conto che il volume del plasma con cui si opera oscilla intorno ai 150 metri cubi),
è utile la Figura 5, in cui è rappresentato l'interno del Tokamak JET. Si noti che in questa macchina la
figura toroidale ha già subito modificazioni importanti nella geometria. E' anche interessante vedere
l'immagine della macchina precedente con il plasma riscaldato al suo interno (Figura 6).
18
Figura 5
Figura 6
La Figura 7 mostra invece la stessa macchina vista dall'esterno e collegata ad una montagna di
apparecchiature.
19
Figura 7
Con il progredire degli studi e con il variare delle tecniche e delle geometrie le camere toroidali si
sono suddivise in almeno tre differenti tipi, a seconda del procedimento utilizzato per generare lo
sviluppo ad elica del campo magnetico intorno al plasma:



i tokamak veri e propri (Figura 8);
gli stellatori (Figura 9);
macchine per costrizioni di campo inverso (reversed field pinch - Figura 10).
Nelle figure seguenti sono mostrate schematicamente le linee di forza del campo magnetico agenti sul
plasma nei tre casi:
20
Figura 8
La struttura dei campi magnetici in un tokamak, già visti (Figure 3 e 4).
Figura 9
In uno stellatore la forma ad elica delle linee del campo magnetico si ottiene mediante una serie di
avvolgimenti che, a loro volta ed in alcuni casi, possono avere forma elicoidale. Poiché lo stellatore
non richiede il passaggio di una corrente attraverso il plasma per generare il campo magnetico, non
ha trasformatore e può quindi funzionare a regime con continuità.
Figura 10
Le macchine a costrizione mediante campo inverso sono dei tokamak in cui circola una corrente
molto elevata che provoca una riorganizzazione interna al plasma dei campi magnetici tale da
invertire la direzione del campo toroidale nella parte centrale del plasma. Le componenti toroidali e
poloidali del campo hanno intensità dello stesso ordine di grandezza.
21
Fin qui abbiamo parlato del solo confinamento magnetico. Resta ora solo da accennare al
confinamento inerziale.
In questo caso si tratta di far interagire fasci laser (con energia vicina ai 5 MJ) o elettroni accelerati
contro una piccola pastiglia (circa 1,5 millimetri di raggio) di plutonio (circa 0, 200 grammi)
circondata da una cappa sferica (di meno di 2 millimetri di spessore) di un composto del deuterio
contenente impurità di trizio (ricordo che la reazione di fusione Deuterio - Trizio è la più facile da
realizzare ed è anche la più efficiente al fine della produzione di energia). L'urto tra il fascio laser e la
pastiglia origina la compressione del plutonio portandolo ad una densità di circa 250 volte quella
iniziale e della buccia sovrapposta portandola a densità di oltre 4000 volte la iniziale. In linea di
principio il plutonio nelle condizioni accennate origina una microesplosione nucleare (fissione) che
eleva le temperature al punto da innescare la fusione nella cappa che lo ricopre. La superficie della
sferetta evapora e, secondo il principio di azione e reazione, il combustibile viene compresso e
riscaldato. Si realizza così la condizione di altissima densità del plasma anche se per tempi di
confinamento molto brevi. Le figura 11 e 12 mostrano, rispettivamente, l'esterno e l'interno di una
camera in cui si realizza il confinamento inerziale.
Figura 11
Camera di combustione dell'istallazione laser-fissione-fusione Nova. Lawrence Livermore
Laboratory, USA.
22
Figura 12
Interno della camera di combustione dell'istallazione laser-fissione-fusione Nova. Lawrence
Livermore Laboratory, USA.
Questo processo è interessante ma abbisogna ancora di laser di energia sufficientemente elevata. In
ogni caso la Figura 13 mostra un possibile arrangiamento che permetterebbe lo sfruttamento della
fusione prodotta in questo modo.
Figura 13
Il modo, invece, di estrazione del calore, e quindi dell'energia prodotta dalla fusione, con un sistema
di confinamento magnetico è mostrato nelle figure 14 e 15.
23
Figura 14
Nel disegno schematico di figura 14 sono rappresentati gli aspetti ingegneristici comuni a tutti i
reattori a fusione a confinamento magnetico. Un campo magnetico confina il plasma di fusione; un
sistema di riscaldamento ausiliario contribuisce ad elevarne la temperatura e un sistema di riciclo del
combustibile provvede al mantenimento della purezza del plasma ed alla sua alimentazione con
combustibile termo nucleare. La prima parete del reattore deve resistere al calore emesso dal plasma. I
neutroni emessi dal plasma devono penetrare nel mantello e l'energia che vi depositano viene
trasmessa (sotto forma di calore) ad un termovettore. A sua volta il termovettore genera vapore, che
aziona le turbine per la generazione di energia elettrica. Attraverso reazioni nucleari, nel mantello
avviene la fertilizzazione del trizio.
24
Figura 15
Per concludere, nelle figure 16 e 17 sono riportate le foto delle principali macchine per la fusione in
studio nel mondo.
25
Figura 16
26
Figura 17
27
5- STORIA DEI LABORATORI DELLA FUSIONE
TERMONUCLEARE A FRASCATI
I Laboratori di Fisica del Plasma, detti anche Laboratori dei Gas Ionizzati, sono nati negli anni '60
presso i Laboratori Nazionali di Frascati, in cui fin dal 1956, si erano svolte ricerche nel campo della
fisica fondamentale o fisica delle alte energie, ricerche che proseguono ancora oggi sotto l'egida
dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare.
Dal 1976 le attività di ricerca sulla fusione termonucleare controllata, sempre realizzate in
collaborazione con l'EURATOM e con il CNR, e le ricerche riguardanti le collaborazioni con le
industrie, sono proseguite a Frascati nell'ambito dei programmi dell'ENEA.
La fisica del plasma a Frascati: i primi esperimenti
Per un ventennio, i laboratori di fisica del plasma hanno svolto una intensa attività di studio e ricerca
sulla produzione e sulle proprietà fisiche di plasmi densi e di breve durata, con l'obiettivo di stabilirne
la possibile applicabilità alla fusione nucleare controllata quale sorgente di energia pulita. Questa
attività ha portato negli anni '70 alla realizzazione della macchina prototipo FT (FrascatiTokamak) e
quindi alla macchina FTU (Frascati Tokamak Upgrade).
Quattro furono gli esperimenti di fisica del plasma del primo periodo:
 Mirapi, che produceva l'implosione di una corteccia cilindrica di plasma verso l'asse di
simmetria (Z pinch cavo), mediante la scarica di un banco di condensatori.
Questo esperimento si trasformò in un " Plasma Focus ", in cui operando con deuterio si
producevano per reazioni di fusione 1011 neutroni per impulso, una sorgente di neutroni molto
potente. Mediante il Plasma Focus era possibile studiare le leggi di scala per la produzione di
neutroni in funzione della tensione e della capacità del banco di induttori.

Mirapino, in cui si studiava l'efficienza di compressione di un campo magnetico sulla
corteccia di plasma.

Hot Ice, in cui venivano studiate le proprietà di un plasma denso, irraggiando un cilindretto di
deuterio solido mediante intensi fasci di luce laser.

Mafin, in cui gli alti campi magnetici, dell'ordine dei megagauss, necessari per ottenere la
fusione venivano realizzati mediante implosioni sollecitate da esplosivi convenzionali.
Ulteriori esperimenti furono:
 Cariddi (un Theta pinch), che permetteva lo studio delle onde d'urto idromagnetiche mettendo
in evidenza le onde d'urto oblique e la struttura del fronte d'onda.

Macchina Q, che studiava la dinamica delle onde d'urto in un plasma alcalino.

TTF (detto "torello"), un piccolo tokamak utilizzato per lo studio del riscaldamento turbolento
del plasma in una configurazione toroidale.
A questo insieme di esperimenti si aggiungevano gli studi sulla conversione diretta di energia
nucleare in energia elettrica. Il metodo magnetoidrodinamico prevedeva l'uso di un gas nobile e un
metallo alcalino a temperatura elevata (2000 Kelvin) e quindi la necessità di acquisire conoscenza del
comportamento dei materiali ad altissime temperature. Obiettivo finale era prevedere realisticamente
le prestazioni di convertitori di grandi dimensioni.
Nel 1977 entrò in funzione la macchina FT, Frascati Tokamak, un apparato sperimentale di forma
toroidale per lo studio della fusione termonucleare controllata caratterizzato dalla compattezza,
28
dall'alto valore del campo magnetico (10 Tesla), da corrente elevata e dal particolare metodo di
riscaldamento supplementare del plasma mediante onde elettromagnetiche a radiofrequenza.
Parametri del Tokamak FT ( Frascati Tokamak ):
campo magnetico
corrente di plasma
raggio maggiore
10 Tesla
1 MA
0.83 m
Modello di FT.
FTU e' entrato in operazione nel 1989. FTU si basa sulle stesse caratteristiche di FT, cioe' macchina
compatta ad alto campo magnetico, ma offre una superficie di accesso al plasma molto maggiore di
quella su FT, per permettere un sostanziale riscaldamento del plasma, con sistemi di iniezione di
potenza a radiofrequenza. Tre sistemi diversi caratterizzati dalla loro frequenza (433 MHz, 8 GHz e
140 Ghz) possono accoppiare al plasma fina a 5 MW di potenza addizionale. In questo modo si pensa
di poter aumentare la temperatura del plasma ad alta densita' fino a valori di 50-100 milioni di gradi.
Parametri del Tokamak
FTU
( Frascati Tokamak
Upgrade):
campo
magnetico
8 Tesla
corrente di
plasma
1.6 MA
raggio maggiore
0.92 m
Vista dall'alto del Tokamak
FTU
29
6- CRONOLOGIA
Gli avvenimenti importanti sulla strada della fusione sono cronologicamente elencati di seguito:













fine anni '20: Atkinson e Houtermans avanzano l'idea che il Sole possa brillare a seguito di
reazioni termonucleari; dieci anni dopo fu postulato il ciclo di produzione energetica mediante
fusione nucleare nel Sole;
nel 1923 Rutherford, Walton e Cockcroft osservarono la cattura di un protone da parte di un
atomo di Litio 7, e la disintegrazione di quest'ultimo in due particelle alfa con liberazione di
energia;
nel 1925 Rutherford, Oliphant ed Harteck ottennero la fusione di due deutoni che si
trasformarono in un Elio 3 ed un neutrone o in un Trizio ed un protone, liberandosi in
ambedue i casi, grande energia;
nel 1951 una bufala di Juan Perón, che aveva affermato di avere una centrale a fusione
nucleare in funzione, spinse l'astrofisico Lyman Spitzer di Princeton a studiare il problema;
nel 1951 i fisici sovietici Andrej Sacharov ed Igor Tamm disegnarono quell'oggetto che più
tardi si chiamerà tokamak;
da questo momento (ma anche prima) cade il silenzio su queste ricerche. Si lavora su di esse a
fini militari ... la bomba H ha già debuttato e suoi perfezionamenti bussano alla porta. Siamo
in piena guerra fredda!
1958, Ginevra. Vi è la Conferenza Atomi per la Pace. Si capì che era necessario studiare più a
fondo i plasmi e si dette il via a studi di base che occuparono gli anni successivi;
nel 1968 il tokamak sovietico riuscì a mostrare una possibile strada del confinamento
magnetico ed avviò il mondo su macchine dello stesso tipo;
negli anni '70 la fusione entrò nella big science per la mole dei finanziamenti che richiedeva.
Si capì che per andare avanti occorrevano piani di collaborazione internazionale;
nel 1978 quella che allora si chiamava Comunità Europea mise in piedi uno dei progetti di
studio di fusione più ambiziosi, il JET (Joint European Torus ovvero Toro europeo insieme)
che si iniziò a costruire a Abingdon in Gran Bretagna. Nel giugno 1983 il JET produsse i primi
plasmi e dette mostra di funzionare fino agli esperimenti del 1991 che con successo fusero
deuterio e trizio;
nel 1978 il PLT (Princeton Large Torus) statunitense ha prodotto plasmi a doltre 60 milioni di
gradi. Verso la metà degli anni '80 iniziarono gli esperimenti con il TFTR (Tokamak Fusion
Test Reactor ovvero: reattore per provare la fusione di tipo tokamak) particolarmente con
mescole di deuterio e trizio (1993).
dal 1988 in Giappone si sono fatti esperimenti avanzati con il JT-60, tokamak di grandi
dimensioni.
dal 1989 è entrato in funzione il tokamak FTU (Frascati Tokamak Upgrade) nei Laboratori
Nazionali di Frascati. Questa macchina è il risultato di ricerche iniziate nel 1976.
30
7- BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA
Corso di fisica vol. 3 (Fisica moderna) - Tipler - Ed. Zanichelli
Il fuoco della fusione termonucleare controllata – Caldirola, Pozzoli, Sindoni – Ed.
Mondadori
www.fusione.enea.it
www.fisicamente.net
http://it.wikipedia.org/wiki/fusione_nucleare
www.geocities.com/scannapuerci/dove_si_scoprono_le_forze_nucleari.htm
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