UNIVERSI PARALLELI
Quando l'uomo si soffermò a contemplare il cielo, il suo mondo interiore di inquietudini, stupori
e paure per una vita aspra e incerta si arricchì di una dimensione nuova, quella della riflessione,
dell'esercizio della ragione nella consapevolezza di esistere al centro di qualcosa di arcano ma
enormemente bello: l’universo.
L'idea che questo fosse stato concepito in funzione delle sue esigenze speculative, conforme alla
sua razionalità e rispondente alle sue quotidiane necessità appare evidente dalle prime
rappresentazioni, che ci mostrano l'universo come un'armonia di sfere concentriche in cui confinare
le diverse manifestazioni del reale, dalle più basse alle più eccelse. Il naturale anelito dell'uomo
verso le sfere più alte, quelle di maggiore purezza e perfezione, è un esempio di come il suo modo
di vivere e pensare fosse condizionato dalla certezza, per lo più dogmatica, di essere alla mercé di
un mondo lontano. Per secoli la reale o presunta disposizione degli astri è stata, e lo è ancora,
presagio di eventi e oggetto di credenze di grande impatto psicologico, anche se scientificamente
infondate.
L'influenza dell'universo lontano, però non è solo di natura psicologica, ma anche una tangibile
realtà. Dopo Johann Kepler nel 1610 ed Edmund Halley nel 1720, Philippe L. de Chèsenaux nel
1744 e H. Matthias Olbers nel 1826 notarono che se l'universo fosse stato, come si pensava,
immobile ed eterno nella sua perfezione e con un numero infinito di stelle, le notti non sarebbero
state buie, ma al contrario luminose come un giorno infuocato, rendendo la vita stessa impossibile.
Si dovette attendere la scoperta fatta da Edwin P. Hubble nel 1929, che l'universo è in espansione e
che ogni sua parte si allontana da noi tanto più velocemente quanto più essa è lontana - e
combinarla con il fatto che ogni sorgente luminosa ha una vita limitata nel tempo - per capire che le
notti sono buie proprio per questo motivo.
L'universo lontano, quindi, ci condiziona ed è pertanto legittimo chiederci se il nostro essere
quotidiano non sia influenzato, in qualche modo, da altri mondi remoti o da universi paralleli.
L'evoluzione della scienza, e con essa la maggior consapevolezza che la realtà fisica è sempre
meno rappresentabile mediante schemi elementari e facili semplificazioni, anziché rimuoverla come
mera astrazione speculativa, ha visto l'idea di "universi paralleli" evolversi verso forme
concettualmente più elaborate e quindi più ricche di capacità interpretative. Chiaramente non è
possibile verificare l'esistenza di altri universi mediante la sperimentazione; perciò, prima di
adottare quest'ipotesi come base interpretativa del mondo osservato, occorre ancorarne le
suggestioni a uno schema logico consistente con le leggi fisiche, respingendo modelli astratti e
inutilmente fantasiosi.
L'idea più semplice di universi paralleli ci viene dalla cosmologia, e riflette il tentativo di
liberarci dalla necessità di credere ancora in un mondo fatto appositamente per noi. La vita sulla
Terra, e con essa il nostro modo di vedere e interpretare la realtà, è il risultato di circostanze così
specifiche e di condizioni così restrittive da rendere l'universo in cui viviamo un evento di per sé
altamente improbabile.
Si suppone allora che tanti universi, forse infiniti, appaiono continuamente come bolle in un
substrato cosmico primordiale in espansione e soggetto a sporadici cambiamenti di stato. Ognuna di
queste bolle, dopo essersi formata, si espande a sua volta secondo modalità dettate dalle condizioni
iniziali, innescando l'evoluzione di un mondo fisico a se. Noi vivremmo in uno di questi mondi in
cui si sono instaurate, tra le infinite condizioni possibili, quelle giuste per farci essere come siamo.
In questa visione di molti universi, il nostro non sarebbe il risultato di un singolo evento che
richiederebbe un disegno preordinato difficilmente giustificabile, ma solo uno dei tanti universi,
ciascuno retto da condizioni del tutto casuali.
La convivenza di mondi paralleli, per quanto suggestiva, è irrilevante dal punto di vista
osservativo, a meno che qualcuno di questi universi non interagisca in qualche modo con il nostro.
Come potremmo accertare se l'universo in cui ci troviamo non sia il risultato della coalescenza di
due mondi inizialmente diversi, oppure semplicemente che esso sia pericolosamente vicino a un
altro? Le osservazioni astronomiche sono oggi sufficientemente ricche e complesse da consentire
una ricerca atta a riconoscere o meno i segni della coalescenza di universi bolle o di una loro
interazione a distanza; tuttavia l'impatto interpretativo di queste ipotesi è ancora assai marginale
rispetto alle teorie correnti.
Dalle prime osservazione del moto delle galassie negli ammassi e quindi dai dati sulle curve di
rotazione delle stesse che, dal 1970 hanno polarizzato l'attenzione degli astronomi, si ha oggi la
certezza che il contenuto del nostro universo sia costituito per quasi il 90 per cento da materia
invisibile, la celebre "materia oscura", che rivela la sua presenza solo mediante effetti gravitazionali.
Le curve di rotazione delle galassie, cioè il valore della velocità di rotazione delle loro
componenti visibili in funzione della distanza dal centro, hanno in media un comportamento molto
diverso da quello atteso. Esse infatti non decrescono verso valori piccoli della velocità via via che ci
si allontana dal corpo luminoso della galassia, ma rimangono pressoché orizzontali, indicando un
valore grosso modo costante della velocità fino a distanze parecchie volte più grandi delle
dimensioni visibili delle galassie. Ciò dimostra che la sorgente di campo gravitazionale non può
essere solo la materia luminosa, perché questa risulta avere una massa molto minore di quanto non
si deduca dalla dinamica dei suoi elementi e, cosa assai più importante, di quanto sia necessario per
assicurare alle galassie la loro compattezza e stabilità. Le osservazioni astronomiche mostrano
quindi la presenza di un'entità indecifrabile, che accompagna e inviluppa la materia luminosa di un
alone la cui natura e origine sono tuttora fra i problemi irrisolti della cosmologia moderna.
Le proposte interpretative sono numerose ed in prevalenza intese ad attribuire alla materia oscura
una natura particellare. Ognuna di queste ipotesi porta con se implicazioni di tipo osservativo che
però finora appaiono verificate solo parzialmente, impedendo un'interpretazione univoca e
consistente del mondo fisico. Ipotesi di tipo non particellare hanno contemplato una modificazione
della legge newtoniana della gravitazione su scala galattica, e anche la collisione del nostro
universo con uno parallelo, retto da differenti leggi fisiche.
Il diagramma di Penrose fornisce una rappresentazione globale dello spazio-tempo di
Schwarzchild. Il moto fisico è consentito solo all'interno dei coni di luce. I due universi U1 e U2 si
sovrappongono solo nella regione del buco nero, compresa fra l'orizzonte degli eventi e la
singolarità di curvatura. Poiché è possibile muoversi solo rimanendo all'interno del cono di luce, un
astronauta che provenga da U1 e che cada nel buco nero può incontrare un suo collega preveniente
dall'universo parallelo U2 prima di finire sulla singolarità, da non consentire alla sua materia di
emetter e assorbire radiazione. Le osservazioni mostrano però che la materia oscura risponde alla
stessa legge universale della gravitazione che regola il nostro mondo in tutte le sue parti, per cui,
nell'ipotesi di collisione con universi differenti, occorre ritenere che questi ultimi obbediscano alle
stesse leggi fisiche del nostro universo. Ciò darebbe a esso una centralità troppo in contrasto con la
completa casualità nella formazione degli universi-bolle; pertanto la possibilità che il nostro
universo sia il risultato di una collisione è concettualmente remota.
Se il nostro universo, pur non contaminato dal contenuto di uno parallelo, è tanto vicino a esso
da sentirne l'effetto gravitazionale, di nuovo assumendo che esso generi un tale campo nel suo
insieme, allora dovremmo osservare un'anisotropia su grande scala derivante da deformazioni
dovute agli effettti di marea.
Al momento le osservazioni non consentono di giungere a tale conclusione, per cui anche
l'esistenza di altri universi oltre al nostro rimane solo un'ipotesi suggestiva. Ciononostante, l'idea
che esistano universi paralleli, di origine e natura differenti, a cui si possa accedere dal nostro o che
influenzino questo tramite connessioni permesse dalla fisica, pare non soccombere al vaglio della
ragione, ma anzi radicarsi tanto più nell'immaginario scientifico quanto più il panorama del mondo
fisico, dal macrocosmo all'infinitamente piccolo, appare complesso.
Tuttavia, quest'idea è resa plausibile dalle equazioni di Einstein. Queste formano un sistema di
dieci equazioni differenziali non lineari del second'ordine, le cui soluzioni vengono chiamate
genericamente "universi". A seconda delle ipotesi sui termini di sorgente e sulle condizioni di
contorno, le equazioni di Einstein ammettono diverse soluzioni: decidere quale di queste sia
fisicamente accettabile è compito difficile e non privo di ambiguità. Il criterio di selezione è quello
della compatibilità delle soluzioni con quell'assetto logico che è il costrutto delle leggi fisiche, le
quali per contro impongono rigidi vincoli, giustificati dall'esperienza, ma anche da convinzioni
preconcette. Infatti, gli universi che noi rigettiamo solo perché non hanno certi requisiti di
plausibilità possono trovare legittimazione non appena questi requisiti mutano a seguito di nuove
conoscenze.
Rappresentazione globale del collasso di una stella sferica in un buco nero di Swarzchild.
Se la singolarità di curvatura (r = 0) è attraversabile, allora è possibile che l'informazione contenuto nella
stella si propaghi in un universo parallelo o in una zona remota dell'universo di partenza
Un caso esemplare, in tal senso, è fornito del concetto di positività dell'energia.
A lungo si è ritenuto che qualunque campo fisico dovesse soddisfare la condizione che la
pressione non fosse maggiore di un terzo della densità di energia. Ma, nel 1961, Yaakov B.
Zel'dovich trovò un modello di configurazione quantistica in cui la pressione può essere uguale alla
densità di energia; ciò fece venir meno il vincolo in precedenza imposto alle soluzioni e assicurò un
ampio criterio di plausibilità.
Un'altra condizione fortemente radicata è che in un mondo fisico accettabile sia sempre
soddisfatta la non negatività della densità di flusso di energia e di momento lungo qualsivoglia
direzione spazio-temporale, sia esso di tipo tempo, cioè percorribile da particelle massicce, sia di
tipo luce, ossia percorribile da ogni forma di radiazione e da particelle senza massa. Più
recentemente si è imposta una nuova condizione, meno restrittiva delle precedenti, secondo la quale
è sufficiente che sia sempre positiva la media dell'energia di un dato sistema fisico, lungo tutto il
corso della sua evoluzione spazio-temporale. Tale criterio, introdotto da Frank J. Tipler, richiama
un concetto più generale secondo il quale lo stato di un sistema fisico è fissato dalla sua storia
passata. Gli universi che non soddisfano queste condizioni, pur esistendo come soluzioni delle
equazioni di Einstein, sono ritenuti fisicamente inaccettabili. Tuttavia anche questi criteri vengono
violati in numerose configurazioni quantistiche, per cui gli universi che contemplano tale violazione
possono essere realtà sperimentabili e in grado di condizionare la nostra visione del mondo.
La caratteristica più innovativa della teoria di Einstein è di ammettere soluzioni corrispondenti a
geometrie non elementari, come quelle che descrivono spazi-tempo dotati di cunicoli (in inglese
wormholes), cioè di strutture a geometria non semplicemente connessa che formano ponti fra
regioni diverse dello stesso universo o fra universi distinti. La più celebre di queste soluzioni è
quella di Swarzschild. Essa descrive due universi isometrici, asintoticamente piatti e vuoti eccetto
per la presenza della sorgente, che è in questo caso una stella sferica non rotante ed elettricamente
neutra. E' noto che se una stella ha una massa tanto grande da generare, nel corso della sua
evoluzione, un nucleo di massa superiore a circa 3,7 volte quella del Sole, allora è molto probabile
che esso collassi sotto il proprio peso, senza che alcuna forza possa opporvisi. Quando ciò accade, il
destino ultimo del nucleo è una concentrazione infinita di materia in un volume nullo, questo è uno
stato classicamente non descrivibile in termini fisici e che chiamiamo singolarità di curvatura.
Quando la stella è ridotta a un punto, i due universi appaiono connessi da un cunicolo (spaziale)
la cui massima restrizione è nota come "gola di Einstein-Rosen". Questa struttura topologica si
evidenzia studiando l'immersione di una qualunque sezione dello spazio-tempo di Swarzschild,
caratterizzata da un valore costante della coordinata tempo, in uno spazio euclideo. A dispetto della
suggestione della rappresentazione, il cunicolo non è attraversabile perché è ostruito dalla sorgente
puntiforme. Tuttavia, benché non siano direttamente connettibili, nel senso che un osservatore non
può passare da uno all'altro, i due universi sono assolutamente identici e scegliere di essere noi
stessi in uno o nell'altro è totalmente arbitrario. Nel caso in esame, la deformazione dello spaziotempo conseguente al collasso della stella, causa l'instaurarsi, sulla gola di Einstein-Rosen, di una
superficie di non ritorno, "l'orizzonte degli eventi", che impedisce a qualunque segnale di uscire dal
suo interno. Si ha cioè la formazione di un buco nero, che in già in quanto tale genera deformazioni
mareali tali da annichilire un corpo umano in una frazione infinitesimale di tempo - a meno che non
si considerino buchi neri di proporzioni enormi, da diecimila masse solari in su.
Pur ammettendo di riuscire a sopravvivere all'azione distruttrice di un buco nero, qualsiasi cosa
attraversi l'orizzonte degli eventi - un astronauta, una particella elementare o un raggio di luce –
cessa, comunque, di esistere sulla singolarità. Nondimeno, nel breve intervallo di tempo che
precede l'impatto con la singolarità, l'oggetto in esame può scambiare informazioni, e quindi
interagire casualmente con entità simili provenienti dall'universo parallelo che si cela al di là della
gola di Einstein-Rosen e costrette anch'esse a finire sulla singolarità. Questo esempio di interazione
fra universi paralleli, perfettamente plausibile dal punto di vista fisico, rimane non sperimentabile e
pertanto ininfluente sulla "vita" degli universi esterni, a meno che la singolarità di curvatura non sia
attraversabile e che da essa si possa tornare agli universi di partenza.
Le equazioni di Einstein forniscono soluzioni che prefigurano proprio questo tipo di raccordo fra
universi distinti o tra parti lontane di uno stesso universo, purché si superi l'ostacolo della
singolarità.
Un'appropriata descrizione di quest'ultima è relegata a una teoria quantistica della gravitazione e
quindi a una trattazione in tal senso della geometria.
Poiché la formazione di una singolarità di curvatura, come risultato del collasso gravitazionale, è
una conseguenza inevitabile delle condizioni di positività dell'energia già menzionate, potendo
queste ultime essere violate in un contesto quantistico, le singolarità classiche diventano strutture
quantistiche "non singolari" della geometria.
Perciò la violazione delle condizioni di positività dell'energia permetterebbe l'esistenza di
cunicoli spazio-temporali attraversabili e tali da connettere universi paralleli. Tale circostanza,
offrirebbe una soluzione del paradosso della perdita dell'informazione conseguente al fenomeno
dell'evaporazione dei buchi neri. Sulla base di un'idea di J.D. Bekenstein, Stephen Hawking ha
potuto dimostrare che un buco nero, a dispetto della sua stessa definizione, è sorgente di
un'emissione termica di particelle che con il tempo ne riduce la massa, e quindi le dimensioni, fino
alla sua scomparsa. Il carattere termico della radiazione fa si che l'informazione, inizialmente
codificata nelle proprietà geometriche del buco nero, alla fine si perda violando il principio
fondamentale della sua conservazione. Poiché la singolarità al centro del buco nero è, dal punto di
vista quantistico, un tunnel che, come già detto, può portare in punti diversi del nostro universo o in
un altro a esso parallelo, alla fine dell'evaporazione è lecito supporre che non vi sia stata una perdita
di informazioni, bensì solo una sua dispersione nell'altro universo - o nel nostro stesso ma altrove secondo modalità ancora non note.
Indubbiamente, questa visione della realtà microscopica è molto stimolante e ricca di
implicazioni. La più ovvia è che la geometria di base del nostro universo sia corrotta a scale molto
piccole, specificamente alla scala di Planck (10^-33 cm), in una struttura molteplicemente connessa
caratterizzata da un intrico di cunicoli che collegano, porzioni diverse dello stesso universo oppure
universi paralleli. Ciò è dovuto alla presenza di fluttuazioni quantistiche di materia-energia che a
questa scala sono di grandissima intensità e pertanto in grado di alterare la geometria secondo le
equazioni di Einstein, formando cunicoli attraversabili. Lo spazio-tempo, a queste scale, acquista
una struttura "spugnosa", in cui l'informazione, comunque definita, si diffonde nel nostro universo o
in altri - e viceversa - attraverso questi cunicoli, quasi fossero capillari nel tessuto strutturale del
mondo fisico.
Può dunque il collasso gravitazionale far si che la materia che una volta era una stella sia ridotta,
alla fine, a pura geometria e che il suo stato finale sia la dissoluzione del contenuto informativo
nell'intrico quantistico di cunicoli attraverso i quali esso si ridistribuisce altrove nel nostro universo,
o in qualche universo parallelo al nostro?
Può essere che, per lo stesso motivo, noi riceviamo da universi paralleli o da regioni distanti del
nostro universo informazioni e stimoli di cui ancora non abbiamo coscienza ?
[Testo tratto – e adattato - da: "Le Scienze" n. 348, agosto 1997]
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Sul New Scientist Magazine di fine settembre 2010, viene comunicato che sarebbero state
elaborate alcune nuove determinanti prove matematiche in merito all’ipotesi dell’esistenza di
molti universi o mondi paralleli, che abbatterebbero la ripugnanza che il senso comune prova
di fronte ad essa.
Il Dr. Deutch, dell’Università di Oxford, aveva già dimostrato matematicamente che la struttura
simile ad un cespuglio dagli innumerevoli rami creata dall'universo che si separa in altrettante
versioni parallele di se stesso può spiegare al meglio la natura probabilistica del risultato
quantistico. Questa dimostrazione finora attaccata ha trovato conferma rigorosa grazie a David
Wallace e Simon Saunders che hanno dichiarato: "Abbiamo chiarito gli ultimi punti oscuri e siamo
giunti ad un ben chiaro verdetto che ci porta ad affermare con autorevolezza che il lavoro di Everett
funziona". Secondo l'audace osservazione di Everett infatti l'Universo è in costante ed eterna
divisione, quindi non c'è nessun collasso d'onda (o di realtà) bensì ogni possibile risultato a seguito
di una misurazione sperimentale accade in un diverso universo parallelo.
Ogni volta che c'è un evento a livello quantistico - il decadimento di un atomo radioattivo - per
esempio, o una particella di luce che avvolge la retina - si suppone che l'Universo si divida in tanti
Universi o mondi differenti.
A questo proposito Scienza e Conoscenza n° 18 ha pubblicato, l'estate scorsa, un’intervista a
Lev Vaidman, una delle autorità mondiali del settore. Le ultime scoperte sembrerebbero sottrarre la
teoria dei "molti mondi" dalla sfera metafisica per farla entrare a tutti gli effetti tra i più importanti
sviluppi del mondo della scienza. Per il linguaggio, anche per il più poetico, è difficile spiegare un
paradosso. Per un'equazione matematica no.
Ricordate il film Sliding Doors? Provate ad immaginare: vi trovate di fronte a una scelta da
compiere e qualcosa, magari una telefonata o un ingorgo stradale, interviene a farvi intraprendere
una strada piuttosto che un'altra. Immaginate che in quel preciso momento il vostro mondo si divida
in due, uno stesso passato e due futuri, anche molto diversi. Immaginate che questo capiti molte e
molte volte e che una miriade di mondi popolino il nostro Universo. Ricorda molto la trama del film
citato, ma questa è anche la conseguenza di una rigorosa teoria matematica, la Teoria dei Molti
Mondi.
Si tratta di un'interpretazione della meccanica quantistica di cui il fisico israeliano Lev Vaidman
è uno dei più importanti sostenitori e che, in quest’intervista parla dell'origine e degli sviluppi, della
forza e delle debolezze di una teoria che riesce a conservare il formalismo originario della fisica dei
quanti eliminando il più problematico dei suoi postulati: il collasso d'onda.
SeC: La Teoria dei Molti Mondi non è nuova, il primo a introdurla fu Hugh Everett nel 1957. Ma la
sua popolarità tra i fisici sta crescendo solo di recente. Forse è bene ricordare ai lettori di cosa
parliamo. Cosa si intende con Many-Worlds Interpretation (MWI)?
Lev Vaidman: Si intende una teoria fisica, in grado di dare spiegazione della nostra esperienza con
un formalismo matematico molto "economico" ed elegante, che non cambia le leggi di base della
meccanica quantistica. L'idea che sta alla base è quella dell'esistenza di miriadi di mondi
nell'Universo in aggiunta al mondo che percepiamo. Questi mondi prendono inizio ogni volta che
avviene un esperimento quantistico, in un laboratorio di fisica come nella vita di tutti i giorni.
L'esperimento, ad esempio lo sfarfallio incerto di una luce al neon, ha diversi risultati possibili, la
cui probabilità si dice non-zero. Noi ci accorgiamo unicamente del verificarsi di uno dei risultati
possibili, quello che si avvera nel mondo che osserviamo (la luce si accende in un determinato
momento), ma secondo la MWI tutti i risultati possibili si realizzano, ognuno in un mondo
differente. In tal senso questa interpretazione della meccanica quantistica si può dividere in due
parti: una teoria matematica rigorosa e una spiegazione delle nostre esperienze alla luce di questa
teoria e in correlazione con il concetto di stato quantico dell'Universo, ossia della funzione d'onda
che lo descrive. Perciò è dalla teoria matematica che prende le mosse l'interpretazione dei Molti
Mondi.
SeC: Lei la definisce una teoria estremamente economica ed elegante. Da che cosa è nata l'esigenza
di un nuovo formalismo matematico?
Lev Vaidman: E' importante comprendere il fatto che il formalismo della meccanica quantistica, le
equazioni quantistiche, danno una rappresentazione della realtà che corrisponde a quella dei molti
mondi. Una realtà nella quale in un esperimento quantistico tutti i risultati possibili si avverano.
Questo è stato chiaro fin dagli inizi della fisica dei quanti, ma l'idea è sempre stata considerata tanto
assurda e in palese contraddizione con l'osservazione sperimentale da pretendere l'introduzione del
postulato del collasso: l'esito di un esperimento quantistico non è determinato dalle condizioni
iniziali dell'Universo prima dell'esperimento, ma solo le probabilità sono governate dallo stato
iniziale. Ecco "spiegato" il perché osserviamo l'avverarsi di uno solo dei risultati possibili.
Nel corso degli anni i fisici sono stati, però, molto scontenti di questo postulato e hanno provato a
risolvere il problema modificando oppure aggiungendo qualcosa alla meccanica quantistica
(definendo il collasso come un effetto casuale genuino, o introducendo l'ontologia delle traiettorie
della particella bohmiana). Dal mio punto di vista questi tentativi non hanno avuto molto successo.
Al contrario la teoria dei Molti Mondi si presenta come una proposta per rimanere fedeli alla
meccanica quantistica, così come è nata originariamente senza bisogno del postulato del collasso, e
quindi consente di ammettere le conseguenze filosofiche di questa teoria, ossia che ci siano mondi
paralleli in ognuno dei quali si avvera uno e uno solo dei possibili risultati di un esperimento
quantistico. Non ci sono evidenze sperimentali in favore della teoria del collasso e contro la teoria
dei Molti Mondi. La MWI è una teoria deterministica per un universo fisico e spiega perché il (o,
meglio, un) mondo appare non deterministico agli osservatori umani.
SeC: In base a che cosa si crea un nuovo mondo ? Ossia, qualsiasi possibilità si trasforma in un
mondo e quindi si realizza?
Lev Vaidman: Non tutti i mondi che si possono immaginare esistono. Quando si costruisce un
esperimento quantistico c'è una probabilità non-zero che ci sia un insieme di risultati. Quello che
sappiamo è che ci sarà una separazione in un numero di mondi pari al numero di possibili esiti che
vengono associati a questo esperimento. Per proseguire nell'esempio di prima, potrà accadere che io
sia condizionato da una luce al neon rotta che si accende e si spegne, e questo evento potrà
cambiare o ritardare una mia scelta. Questo è un evento quantistico e provocherà una separazione e
la nascita di mondi distinti. Perché avvenga questa separazione abbiamo bisogno di una situazione
fisica particolare che ne sia causa. La meccanica quantistica ci assicura che ci sono un certo numero
di esiti per un esperimento, ma non ci assicura del fatto che io sia sufficientemente forte o
sufficientemente convinto di dare atto a qualcosa, pur se nell'esperimento i diversi esiti sono
previsti. Se non sono sicuro di poter dividere il mio mondo in due strade distinte, probabilmente io
non darò seguito all'esistenza di entrambe queste strade. Quello che io non posso fare è fermare
questo dispositivo quantistico e gli esiti che può dare. Si tratta senz'altro di comprendere un nuovo
significato dei termini fondamentali utilizzati per descrivere l'Universo dal punto di vista della
MWI.
SeC: Cerchiamo di capire più a fondo: che cos'è Un Mondo e dove si collocano
i Molti Mondi?
Lev Vaidman: La fisica descritta dall'equazione di Schrödinger, che riassume il formalismo dei
Molti Mondi, dovrebbe mettere in connessione l'interpretazione matematica con la nostra
esperienza. Ma, in effetti, non esiste un linguaggio adeguato ed è perciò necessario aggiungere delle
spiegazioni. Per definire Un Mondo nella MWI si può far ricorso alla definizione basata sul comune
punto di vista condiviso dagli esseri umani: Un Mondo è la totalità degli oggetti macroscopici in
uno stato definito, descritto classicamente. Ciò, però, non implica che Un Mondo possa essere
descritto come "tutto ciò che esiste", perché "tutto ciò che esiste" è l'Universo tridimensionale, il
solo Universo fisico che esiste. L'ontologia di questo Universo in termini di meccanica quantistica è
uno stato quantistico. Viene frequentemente chiamato come funzione d'onda quantistica e questa
funzione d'onda quantistica è lo spazio delle configurazioni. Lo spazio delle configurazioni è la
moltiplicazione dello spazio usuale per molte variabili, molte particelle. Quindi c'è ancora un
significato per il nostro spazio normale tridimensionale, possiamo chiederci che cosa sta
succedendo in una particolare area, in un particolare spazio. Ma siccome ugualmente le particelle
che ci sono in questa zona possono essere intrecciate, entangled, con le particelle di un'altra zona,
dunque non ci potrà essere una descrizione di una particolare area in termini di stato puro
quantistico. Per la fisica la località è molto importante. Se tu fai qualcosa in un posto, niente potrà
cambiare in un altro. Questo è a livello dell'universo fisico. Questi mondi di fatto sono una
particolare decomposizione della funzione d'onda dell'Universo. Non sono locali perché sono
presenti dappertutto. Dove si collocano i Molti Mondi? Stanno tutti nel nostro spazio
tridimensionale e vivono in parallelo. Ogni parte della funzione d'onda sente tutto lo spazio. E ce ne
sono alcuni che tra loro sono davvero molto differenti.
SeC: Quanto differenti? In uno degli altri mondi io potrei essere completamente diverso da ciò che
sono in questo mondo?
Lev Vaidman: Ognuno di noi può esistere in un mondo e non esistere in un altro e quindi
presentarsi o meno come osservatore di questo mondo. Ci può essere un particolare evento
quantistico per il quale questo osservatore viene creato mentre in un altro mondo non lo sarà.
Potrebbe essere un evento quantistico che cambia il mio percorso da un punto a un altro. In uno di
questi mondi incontro una donna e metto al mondo dei figli, mentre in un altro non lo faccio o lo
faccio in un momento molto posteriore. Quando, un osservatore compie una qualsiasi misura
abbiamo una divisione in due storie diverse. Se possiamo inserire queste storie diverse nella
funzione d'onda più generale abbiamo, allora, più mondi diversi. Di fatto un mondo è una
particolare storia. Mondi differenti corrispondono a storie differenti. Tutti gli oggetti possono
trovarsi in posti differenti e se sono nello stesso posto appartengono anche alla stessa storia. Non
posso avere esperienza di questo, ma posso crederlo. Se ricordo di aver fatto un particolare
esperimento quantistico, con la convinzione di fare un esperimento con un certo esito ed un altro
con un esito diverso, io sono abbastanza sicuro che c'è un altro me in un mondo parallelo. Questo
mondo che osservo non è più reale di un altro.
SeC: Cosa vuole dire IO nell'ambito della MWI ? Come posso ancora parlare della mia identità?
Lev Vaidman: Nel linguaggio usuale io sono definito in maniera molto precisa: io sono un oggetto
macroscopico, definito in un particolare momento di tempo, attraverso una descrizione completa e
classica dello stato del mio corpo e del mio cervello. Ma nell'interpretazione dei Molti Mondi quello
che io sono ora, tra qualche minuto, quando farò l'esperimento quantistico, si dividerà in due IO,
che avranno in comune solo il ricordo di quel momento e del prima, non il futuro.
Ora che senso ha dire che ci sarà un altro IO o chiedersi quale dei due IO mi apparterrà di più ? Già
in questo momento ci sono molti Lev in molti mondi diversi e neppure la loro somma rappresenta il
concetto di IO, benché io corrisponda a tutti quei Lev. E' chiaro che in quest'ottica si deve
abbracciare la critica al concetto di identità personale.
SeC: Qual è in questa teoria il ruolo della dimensione temporale?
Lev Vaidman: Nella meccanica quantistica, il tempo è un parametro, e si comporta senza proprietà
particolari. E' lo stesso tempo per questo grande Universo fisico e per ciascuna parte di questo
Universo rappresentato dai Molti Mondi. Se voglio andare a una teoria fisica più generale che tenga
conto ad esempio della gravità quantistica e comunque voglia rispondere anche ad altre domande, in
questo caso dovrei cambiare il mio atteggiamento nei confronti del tempo. Ma nel quadro della
meccanica quantistica e dell'interpretazione dei Molti Mondi il tempo non è un problema.
Nella meccanica quantistica c'è un tempo che va da meno infinito a più infinito, ed è rilevante per la
funzione d'onda associata a tutto l'Universo. La funzione d'onda è decomposta, secondo un certo
criterio, in tanti rami che corrispondono ai diversi mondi. E quindi quello che succede col tempo è
che alcuni di questi rami si dividono ulteriormente. Ci saranno pertanto alcuni mondi che nascono
in un particolare momento e che non esistono in un altro momento. Il collasso è una separazione di
mondi. Nel momento del collasso ciascuno di questi mondi inizia la sua evoluzione a partire da quel
momento.
SeC: Risulta difficile capire il peso delle nostre scelte in un Universo in cui tutti i risultati possibili
(o quasi) accadono. Quale metro di valutazione resta per indirizzare i nostri comportamenti?
Lev Vaidman: In effetti ci si può domandare come dovrebbe agire chi crede nella teoria dei Molti
Mondi. Di fatto in questa teoria il concetto di probabilità non ha significato perché tutte le
possibilità avvengono: si tratta di una teoria deterministica, non c'è casualità né ignoranza (i due
elementi che definiscono la probabilità). Questo potrebbe portare ad un comportamento del tutto
irrazionale o all'incapacità di compiere delle scelte. A mio parere la questione va risolta
introducendo il concetto di misura di esistenza. In un qualsivoglia esperimento quantistico, pur nella
convinzione che tutti i risultati si verificheranno, si può definire l'incidenza di un risultato rispetto a
quella di un altro. Un risultato con una maggiore incidenza corrisponderà ad un mondo con una
maggiore misura di esistenza. Abbiamo già detto che io sono strettamente legato a tutti i miei
"successori" che si divideranno a seguito di un esperimento quantistico. Questo vuol dire che dovrò
preoccuparmi della sorte che toccherà a tutti i Lev dei mondi che si creeranno proporzionalmente
alla loro misura di esistenza. Cercherò di favorire il mondo con misura di esistenza più grande,
senza però dimenticarmi dei mondi meno importanti.
SeC: Non si torna così a reintrodurre di fatto il concetto di probabilità?
Lev Vaidman: C'è una seria difficoltà con il concetto di probabilità nel contesto della MWI. In una
teoria deterministica, quale è la MWI, il solo possibile significato di probabilità è una probabilità di
ignoranza, ma non ci sono informazioni rilevanti delle quali un osservatore che si sta accingendo a
fare un esperimento quantistico sia ignorante. Non ha senso domandare quale probabilità ci sia che
il risultato sia A o B, perché io corrisponderò ad entrambi i Lev: quello che osserva il risultato A e
quello che osserva il risultato B. Ho tentato di risolvere il problema costruendo una probabilità di
ignoranza nel quadro della MWI. I mondi che si creano a seguito di un esperimento quantistico, si
formano prima che l'osservatore si accorga del risultato. Ciò diventa più comprensibile nel caso in
cui all'osservatore venga dato un sonnifero immediatamente prima dell'esperimento. Quando si
sveglia certamente l'osservatore si troverà di fronte al risultato A o al risultato B, ma prima di
aprire gli occhi sarà ignorante riguardo a questo fatto nel momento in cui gli viene posta la
domanda. Ora la "probabilità" di un risultato di un esperimento quantistico è proporzionale al totale
delle misure di esistenza di tutti i mondi che si realizzano. Così posso definire la probabilità di un
risultato di un esperimento quantistico, che deve essere ancora fatto, come la probabilità di
ignoranza del successore di Lev riguardo all'essere in un mondo con un particolare risultato.
L'argomento del sonnifero non riduce la probabilità di un risultato di un esperimento quantistico al
concetto usuale di probabilità del contesto classico. La situazione quantistica è fondamentalmente
differente. L'argomento semplicemente spiega il principio di comportamento al quale uno
sperimentatore si deve affidare: agire come se ci fosse una certa probabilità per risultati diversi.
Dal momento che, come si è detto, lo sperimentatore è strettamente legato a tutti i suoi successori
e, tutti loro vivranno come rilevante ogni risultato della scelta dello sperimentatore.
SeC: Esiste la possibilità di un collegamento tra i Molti Mondi ? E qualora fosse possibile si
tratterebbe di una connessione locale o non-locale?
Lev Vaidman: Per le situazioni pratiche i mondi, dal punto di vista macroscopico, sono mondi
diversi e quindi evolveranno separatamente. Solo teoricamente è possibile costruire un esperimento
gedanken in cui riunire i mondi. Per farlo sarebbe necessario causare un'ulteriore divisione tra
questi mondi. Poniamo di avere i mondi A e B. Dovremmo dividere il mondo A in C e D e dividere
il mondo B in C e in un qualsiasi altro mondo. Almeno un mondo dovrebbe essere comune.
Allora i due mondi separati potrebbero fare interferenza. Il problema è che, però, nel caso degli
oggetti macroscopici separati è estremamente difficile, per non dire attualmente impossibile, farli
interferire. Se abbiamo avuto successo fino ad oggi a stabilire interferenza, ciò è stato possibile
solo con molecole che sono composte al massimo da 70 atomi. Un corpo macroscopico ha 1020
atomi. Comunque ipotizzando di poter fare interferire due oggetti macroscopici, bisogna ricordare
che il singolo mondo è un concetto non locale, mentre l'Universo è locale. Avremmo bisogno di
portare un oggetto macroscopico in un punto comune in ciascuno dei due mondi. Proprio qui
dovrebbe avvenire l'ulteriore separazione. Ciascun atomo, e molecola, dei due oggetti macroscopici
dei due mondi dovrebbe mantenere la stessa posizione. Questo processo avverrebbe in tutta la
zona in cui l'oggetto esiste e quindi anche localmente tutti i punti dovrebbero essere uguali. Quando
si dividono due mondi dal punto di vista dell'Universo c'è un forte effetto entanglement, perché
tutte le particelle che erano presenti nello stesso punto, sono ora separate. Tutte le particelle del
corpo sono "intrecciate" (entangled) alle loro corrispondenti e noi abbiamo bisogno di separarle
nuovamente. Questo entanglement deve essere distrutto almeno in un ramo per tornare allo stesso
mondo, per creare interferenza tra i mondi. Se voglio tornare ad un solo mondo devo ripercorrere il
processo al contrario, attuando una evoluzione che riporti i due mondi al punto iniziale.
SeC: Il suo approccio è senz'altro molto ortodosso e legato alla forza del formalismo matematico,
ma ugualmente si spinge in regioni in cui il limite tra scienza e filosofia è molto labile. Quale la
relazione tra fisica e metafisica?
Lev Vaidman: In effetti ci muoviamo lungo questo limite. La mia ricerca ha a che fare con la
metafisica, che non considero una brutta parola. Quando ragioniamo in termini di MWI, se pur
descrivendo una realtà apparentemente lontana dal nostro modo di vedere il mondo, riusciamo a
spiegare esperienze e paradossi che altrimenti restano inspiegabili. E riusciamo a farlo attraverso
un formalismo matematico, il più economico ed elegante possibile.