2.
Nel Nuovo Testamento
2.1. Sguardo d’insieme
I Vangeli ci offrono due dichiarazioni fondamentali di Cristo riguardo al matrimonio:
a) Gesù conferma l’istituzione matrimoniale già chiaramente approvata nel racconto della
Genesi (Mc 10,2-12);
b) Gesù fa un’affermazione specificatamente escatologica, in cui la ricerca del regno di Dio
ha la precedenza sul matrimonio, sicchè il celibato diviene, accanto al matrimonio, una
funzione tipicamente cristiana del regno di Dio. (Mt 19,12).
Queste due affermazioni fondamentali sono quindi un prolungamento diretto delle due
fedi vetero-testamentarie e cioè quella della creazione e quella dell’alleanza. La figura
dell’unione sponsale usata per simboleggiare l’alleanza divina compare anche nel NT, dove
viene applicata a Cristo e quindi all’alleanza definitiva. Nel NT la figura delle nozze viene
usata soprattutto per rivelare la glorificazione escatologica, con cui i cristiani celebreranno
insieme con Cristo l’eterno convito nuziale con Dio. Questa affermazione è talmente
importante che notiamo nelle parabole raccontate da Gesù che il regno dei cieli è
rappresentato come un convito nuziale. La parola greca gamos, che vuol dire matrimonio,
viene usata per indicare le nozze tra Cristo e i redenti. Di questo rapporto nuziale ne
godranno tutti i battezzati. L’idea di diventare una cosa sola pervade tutto il NT. Così in
Giovanni si parla di una sola carne. L’origine e la fine dei tempi si fondono in una sola cosa.
L’immagine del paradiso si fonda con l’immagine della città santa (vedi Agostino).
Così la festa nuziale di Cana (Gv 2,1-10) viene considerata come un’immagine, qui sulla
terra, dell’inizio del convitto nuziale messianico. Sotto questo aspetto è bene tenere presente
che, come nell’AT, anche in questo caso l’unione nuziale è stata adoperata solo come
immagine per esprimere nel linguaggio umano l’intima unione esistente tra Cristo ed il
popolo di Dio. Paolo stesso afferma che il mistero che Egli ha chiamato grande non è il
matrimonio in sè, ma l’unione tra Cristo e la sua chiesa. Nel testo di Paolo troviamo altre
importanti considerazioni. Egli non parla solo della relazione sponsale di Cristo con la sua
Chiesa, ma dice anche a riguardo della vita coniugale stessa “Amate le vostre mogli come
Cristo amò la Chiesa” (Ef 5,25). Dall’esempio dell’amore coniugale egli si innalza al grande
amore che Cristo nutre per la chiesa. Qui riprende il cap. 16 di Ezechiele in cui viene
descritto l’amore di Dio per Israele. L’apostolo narra tutto ciò che Cristo ha fatto per la sua
sposa, la Chiesa. Egli ha sacrificato se stesso per lei. La redenzione di Cristo ha fatto
dell’umanità una ecclesìa. Paolo mette in evidenza l’importanza del battesimo, mediante il
quale ogni uomo ed ogni donna vengono incorporati nella chiesa. Successivamente viene
presentato come importante il tema del matrimonio. Insieme nel cammino per raggiungere la
salvezza.
Paolo si sofferma molto sulla tematica del matrimonio. Egli parla di esso in vari modi:
l’espressione “una sola carne” è tratta dalla Genesi e intorno a questa concezione ruotano
varie espressioni: amare la propria moglie è amare la propria carne. Per Paolo una sola
carne ha un senso più profondo: è l’unità di vita tra Cristo e la sua Chiesa. Infatti l’alleanza
tra Cristo e la sua chiesa è un’unione sponsale che viene rappresentata da Paolo secondo le
varie fasi del matrimonio: come dono affettuoso di se stesso, come purificazione, come
cerimonia nuziale e infine unione amorosa della vita coniugale.
1
A Paolo interessa soprattutto esortare i cristiani riguardo la vita coniugale. Egli nelle
lettere ai Colossesi e in quella agli Efesini esorta sia i mariti che le mogli ad amarsi
reciprocamente.
Il primato dell’unione sponsale con Cristo deve essere vissuto nel matrimonio stesso.
Il matrimonio non ha solo una valenza terrena e ciò abbiamo potuto constatarlo già nell’AT.
Il matrimonio deve essere vissuto anche in senso trascedentale, ovvero in società con Dio e
con la chiesa di Cristo. Due sono allora i modi di vivere questa dimensione: il celibato
consacrato a Dio oppure il matrimonio in comunione con Cristo.
Matteo nel suo Vangelo cita il problema di coloro che danno poca importanza alla vita
coniugale e massima importanza alla realizzazione del regno di Dio. Ciò secondo la teologia
non è un fattore positivo. Noi non dobbiamo rinunciare a tutta la vita terrena per poter
dedicarci solo alla trascendenza. Dio stesso ha improntato la vita umana in modo tale da
poterne far parte con qualsiasi atteggiamento, o come singole persone o come sposi. Matteo
prosegue poi con il concetto dell’indissolubilità del matrimonio. È un concetto molto forte,
ma Dio stesso quando ha creato l’uomo e la donna, ovvero la coppia, li ha creati perché
rimangano fedeli l’uno all’altra in eterno, come Cristo rimane fedele alla propria Chiesa. Non
per questo il celibato ha meno importanza. Infatti alcune persone scelgono liberamente di
servire Dio con il celibato. Questa scelta a volte riserva maggiori difficoltà.
Anche nel NT ci si incontra con una morale coniugale, dove viene ribadito il fatto che
il matrimonio creato da Dio stesso presuppone l’indissolubilità. Ciò viene sottolineato in
particolar modo proprio nel NT. Secondo i Padri della chiesa il matrimonio visto come un
sacramento non doveva essere mai sciolto. L’indissolubilità era un compito che bisognava
realizzare personalmente. Gesù stesso dichiara in maniera assoluta l’importanza
dell’indissolubilità (cfr. Mt 19,1-8).
D’altra parte Paolo offre una palese eccezione all’indissolubilità del matrimonio, da
cui appare evidente che l’assoluta indissolubilità vale solo per il matrimonio cristiano (cfr. l
Cor 7,12-16). Egli si riferisce agli sposi separati che provenivano dalle sfere giudaiche.
Sotto l’aspetto storico-culturale il matrimonio nel NT aveva delle proprie regole.
Queste norme sono state modellate sui codici familiari del mondo ellenistico. Esse
comprendevano tutti i tipi di rapporti sociali. Il NT riprende a grandi linee questi codici
lasciando da parte il culto divino in quanto per esso il rapporto con Dio trascendeva gli altri
doveri. Cosi la religione si distingueva dal resto, anche dalla morale.
Concludendo potremmo dire che il matrimonio nel NT è una realtà terrena con un
senso umano, il quale deve essere vissuto nel Signore. Non è un semplice fatto di creazione,
ma qualche cosa che è entrato nell’ordine della salvezza, poiché il battesimo gli ha conferito
un significato particolare. In più c’è la presenza di un doppio significato: da una parte c’è
l’affermazione della bontà della vita sessuale condotta nel matrimonio, dall’altra parte c’è un
riferimento all’eschaton, ovvero al fine ultimo. Il matrimonio deve esser vissuto come un
impegno definitivo in prospettiva del Regno di Dio.
2.2. Tematiche specifiche
2.2.1 La prospettiva sponsale in Gesù il Cristo
Gesù stesso si inserisce nell’annuncio dei profeti, quando parla di se stesso come
“sposo”: “Possono forse digiunare gli invitati a nozze quando lo sposo è con loro?” (Mc 2,19)
Non compare ancora espressamente il paragone tra “sposo” e “sposa”, poco adeguato prima
del mistero pasquale, ma tale sviluppo è iscritto nella dinamica dell’immagine. La
2
testimonianza dell’evangelista Giovanni appare qui come preludio: Giovanni Battista si
presenta come amico dello sposo (Gv 3,28-29).
Il CCC ricorda anche l’importanza delle nozze di Cana: “Alle soglie della sua vita
pubblica, Gesù compie il suo primo segno — su richiesta di sua Madre — durante una festa
nuziale (cfr. Gv 2,1-1 1). La Chiesa attribuisce una grande importanza alla presenza di Gesù
alle nozze di Cana. Vi riconosce la conferma della bontà del matrimonio e l’annuncio che
ormai esso sarà un segno efficace della presenza di Cristo” 1.
Quello che nel vangelo di Giovanni è soltanto accennato, viene esplicitato
nell’Apocalisse. L’agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo, appare allora come lo
sposo della Chiesa (Ap 21,2.9.17; cf. 19,7.9; 12,17; 14,1; 7,14, opposta alla “prostituta
Babilonia”: 14,8; 17,l s; 18,2 s). “La Sacra Scrittura si apre con la creazione dell’uomo e della
donna ad immagine e somiglianza di Dio e si chiude con la visione delle nozze dell’Agnello
(Ap 19,7.9)” 2.
Il Cristo è lo sposo nei confronti dell’umanità redenta e salvata, che in quanto tale
provvede a riscattare e tutelare la famiglia umana da una dimensione implosa nei confronti di
Dio e la orienta verso una libertà e comunione che vanno oltre la realtà viatoria.
La stessa obbedienzialità del Getsemani (Lc 22,42), che lo porta a compiere
fedelmente sino alla Croce la volontà del Padre, è l’atteggiamento dello sposo e del “pater
familias” che dà la vita per i suoi. Progetto previsto e realizzato (Fil 2,6-8) in ragione della
coerenza con la scelta sponsale per il riscatto dell’umanità.
Le espressioni più chiare del simbolismo nuziale si presentano nelle lettere paoline. Il
testo principale è il quinto capitolo della lettera agli Efesini su cui torneremo (Ef 5,21-33).
Ma è importante già un riferimento della seconda lettera ai Corinzi: “Io provo ... per voi una
specie di gelosia divina, avendovi promessi a un unico sposo, per presentarvi quale vergine
casta a Cristo” (2 Cor 11,2).
L’amore sponsale di Gesù per la Chiesa non è soltanto il fondamento per il
matrimonio cristiano, ma anche per il celibato e per la verginità consacrata. La missione di
Gesù non si spiega interamente senza il suo celibato, espressione di donazione radicale al
Padre in favore della Chiesa nascente3. Sia il matrimonio cristiano sia la verginità si
presentano, pur in maniera diversa, come riferimenti allo stesso mistero dell’Alleanza tra Dio
e il suo popolo.
2.2.2 Gesù di fronte al divorzio
2.2.2.1 Le testimonianze di Marco, Luca e Paolo
Abbiamo già accennato alla prassi divorzista dell’AT: il marito poteva licenziare la
moglie, quando trovava in lei “qualcosa di vergognoso” (Dt 24,1). Si discuteva soltanto su
come interpretare quella realtà “vergognosa”. Secondo la scuola di Shammai l’unico motivo
legittimo del ripudio erano dei peccati di fornicazione. La scuola di Hillel invece si mostrava
più liberale: il marito poteva respingere la moglie già quando era compromesso il menage
familiare. Secondo alcuni (come Rabbi Akiba) bastava come motivo il trovare un’altra donna
più affascinante della moglie. Questo contesto bisogna conoscere per capire la posizione di
1
CCC 1613
CCC 1602
3
Il tema cristologico, di solito dimenticato nelle cristologie correnti, è sviluppato tra l’altro in A. AMATO,
Gesù il Signore, Bologna 1999, 498-504.
2
3
Gesù di fronte alla domanda a lui rivolta da parte dei farisei: “E lecito ad un marito ripudiare
la propria moglie?” Richiamando il permesso di Mosè, Gesù sottolinea: “Per la durezza del
vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma all’inizio della creazione Dio li creò
maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e i due saranno una
carne sola. Sicché non sono più due, ma una sola carne. L’uomo dunque non separi ciò che
Dio ha congiunto”. Siccome i discepoli, sconvolti, continuano ad interrogare Gesù, egli dice
loro: “Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio contro di lei; se
la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio” (Mc 10,1-1 2).
L’ultima formulazione è completata dalla redazione di Marco: solo fuori del contesto
ebraico, come nella legislazione romana, era possibile il divorzio anche da parte della donna.
Perciò viene menzionato questo caso specifico dalla comunità alla quale è rivolto il Vangelo
di Marco.
Si noti per l’interpretazione che Gesù corregge persino la legge di Mosè, rinnovando
il progetto originale di Dio riguardante l’indissolubilità del matrimonio. Il peccato
dell’adulterio non viene ancora stabilito tramite il ripudio (che potrebbe avere dei motivi
legittimi), ma tramite il ripudio e un nuovo matrimonio. La stessa osservazione vale per il
vangelo di Luca: “Chiunque ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette
adulterio; chi sposa una donna ripudiata dal marito, commette adulterio” (Lc 16,18).
Le parole del Signore, riportate da Marco e Luca, sono di riprovazione del ripudio in
linea di principio, ma vi traspare con maggior forza il divieto assoluto delle nozze successive
al ripudio. Nella prima lettera ai Corinzi questi due precetti emergono ben distinti e
l’Apostolo li attribuisce al Signore.
“Agli sposati poi ordino, non io, ma il Signore: la moglie non si separi dal marito —
e qualora si separi, rimanga senza sposarsi o si riconcili con il marito — e il marito non
ripudi la moglie” (1 Cor 7,10-11).
Paolo chiama quindi chiaramente “comando del Signore” (cf. 1 Cor 7,25)il divieto di
sposarsi dopo la separazione del coniuge (ancora vivente). L’ammonimento di non separarsi
invece ha più il carattere di una linea di massima che non obbliga in tutti i casi.
2.2.2.2 Le clausole di Matteo
Che l’eventuale ripudio potesse essere legittimo in qualche caso è insinuato nei
precetti riportati da 1 Cor, esso tuttavia appare esplicito nei due passi del Vangelo di Matteo.
Il primo brano è parallelo al detto già citato di Luca (16,18) e compare nel sermone della
montagna in mezzo alle antitesi di fronte alla legge mosaica:
“Fu pure detto: Chi ripudia la propria moglie, le dia l’atto di ripudio; ma io vi dico:
chiunque ripudia sua moglie, eccetto il caso di fornicazione (parektòs Iògou porneìas), la
espone all’adulterio e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio” (Mt 5,31 -32).
Il secondo brano si trova nel racconto parallelo a quello di Marco, solo che le parole
rivolte in Marco ai discepoli compaiono indirizzate qui ai farisei:
“Chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso di fornicazione (me epi porneìa),
e ne sposa un’altra commette adulterio” (Mt 19,9).
Se facciamo il confronto del testo di Matteo con gli altri testimoni (Mc 10,115; Lc
16,18; 1 Cor 7,l0s), è poco probabile che tutti e tre abbiano tralasciato una clausola restrittiva
di Gesù. La forma delle clausole risale quindi, a quanto pare, all’evangelista, benché esso
colga in questa maniera un contenuto implicito nelle parole del Signore.
4
Per la spiegazione delle clausole di Matteo sono state proposte quattro soluzioni:
a) Secondo molti autori protestanti e ortodossi le clausole permettono il divorzio (che
scioglie il matrimonio) nel caso di fornicazione (adulterio) da parte della donna. Questa
spiegazione è in fin dei conti nient’altro che l’interpretazione di Dt 24,1 da parte della
scuola rabbinica di Shammai, chiaramente rifiutata secondo la testimonianza di Marco.
Proprio nelle antitesi di Matteo, già da un punto di vista puramente letterale, un cadere
indietro in una prospettiva veterotestamentaria sembra poco probabile.
b) A livello linguistico le clausole di Matteo possono essere interpretate non soltanto in senso
esclusivo (come eccezione dalla regola generale di non ripudiare), ma anche in senso
inclusivo: “fuori (parektòs, me) (persino) il caso dell’adulterio”! Vale a dire: il divorzio
non è permesso neanche nel caso di fornicazione da parte della donna. D’altra parte
sembra anormale inserire una clausola del genere in un contesto dove potrebbe apparire
come eccezione concessa.
c) La parola greca porneia non può significare soltanto l’adulterio (per il quale esiste il
termine più specifico di moicheia), ma anche dei matrimoni illegittimi secondo la legge di
Mosè (Lev 18,6-18). Siccome nell’ambito pagano le unioni matrimoniali tra parenti erano
frequenti, la conversione di persone in questa situazione al cristianesimo poneva il
problema della validità del loro matrimonio. Anche il diritto canonico odierno stabilisce
delle norme ben precise, escludendo la validità di un matrimonio, ad esempio, tra cugini 4.
La “fornicazione” (porneia) è quindi un’unione illegittima, un “concubinato”, come
traduce il testo della CEI. A favore di questa soluzione si può anche rinviare alle clausole
decretate dal sinodo degli apostoli per facilitare una convivenza tra cristiani provenienti
dall’ebraismo e dal paganesimo: bisogna astenersi “dalle carni offerte agli idoli, dal
sangue, dagli animali soffocati e dalla impudicizia (porneia)” (At 15,29). Probabilmente il
riferimento a porneia nel decreto apostolico riguarda i matrimoni illegittimi secondo la
legge di Mosè; a favore di questa spiegazione vanno i rinvii all’astensione dal sangue e
dagli animali soffocati (vedi anche l’argomentazione di Giacomo: At 15,21 s). Anche
Paolo parla di “fornicazione” nel senso indicato (1 Cor 5). Se la parola porneia è
interpretata come concubinato (o meglio: matrimonio illegittimo), la clausola non formula
una eccezione dal rigore delle antitesi del sermone della montagna, ma semplicemente
stabilisce la norma del ripudio per unioni non valide. L’interpretazione della
“fornicazione” come matrimoni proibiti dalla legge mosaica deve confrontarsi, però, con
la difficoltà che il vangelo di Matteo è scritto per un contesto ebraico: che senso avrebbe
menzionare delle restrizioni troppo scontate?
d) Mentre la terza proposta che gode del favore di molti esegeti e della Tradizione è quella
che interpreta porneia come fornicazione, dove appunto l’infedeltà del coniuge permette la
separazione degli sposi, ma non un nuovo matrimonio. Si obietta a volte che l’ambiente
ebraico non avrebbe distinto il divorzio dalla separazione, ma una tale distinzione è
presente in quanto Paolo afferma nella prima lettera ai Corinzi (1 Cor 7,lOs). Le clausole
matteane, se riferite solo al ripudio e non alla successiva unione, non contraddicono le
affermazioni generali di Mc e Lc, ma specificano un caso di ripudio legittimo, in accordo
con quanto detto in 1Cor, mantenendo fermo l’assoluto divieto di passare a una nuova
unione ... è proprio questa l’interpretazione della Chiesa antica. La quarta proposta, quella
in continuità più diretta con la tradizione evangelica, sembra quella più probabile, benché
sia possibile anche la terza strada (che di per sé non è logicamente contraria alla soluzione
“d”, perché anche un matrimonio illegittimo è “fornicazione”). E’ meno probabile il senso
4
Vedi CIC, can. 1091.
5
inclusivo (soluzione “b”) ed inaccettabile la tesi “a” che permette il divorzio e il nuovo
matrimonio.
2.2.3 L’alleanza sponsale nella lettera agli Efesini
2.2.3.1 Il brano nel contesto dei “codici domestici”
Il testo biblico più denso sul matrimonio si trova nella lettera agli Efesini (5,21 -33). Il
brano appare nella parte parenetica della lettera e viene seguito da ammonimenti sul rapporto
tra genitori e figli oltre che tra padroni e schiavi (Ef 6,1-9). Una composizione simile si
presenta già nella lettera ai Colossesi (Col 3,18-4,1). Il genere letterario viene chiamato oggi
“codice domestico”. Troviamo delle vicinanze con l’etica filosofica in cui il discorso si
rivolge normalmente al lettore maschio, adulto e libero. L’ebraismo ellenistico, però,
ribadisce la reciprocità degli obblighi di entrambe le parti, sottolineando più fortemente (in
linea con il quarto comandamento del decalogo) la subordinazione della parte più “debole”,
posta all’inizio. La prospettiva cristiana lega il comportamento etico con la fede in Cristo,
prendendo come esempio l’amore del Salvatore. Lo si vede già nella lettera ai Colossesi,
dove si dice a proposito degli sposi: “Voi, mogli, state sottomesse ai mariti, come si conviene
nel Signore. Voi, mariti, amate le vostre mogli e non inaspritevi con esse” (Col 3,18s).
La collocazione cristiana del codice domestico è ancora più evidente nella lettera agli
Efesini :
“ Siate sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo. Le mogli siano sottomesse ai
mariti come al Signore; il marito infatti è capo della moglie, come anche Cristo è capo della
Chiesa, lui che è il salvatore del suo corpo. E come la Chiesa sta sottomessa a Cristo, così
anche le mogli siano soggette ai loro mariti in tutto. E voi, mariti, amate le vostre mogli,
come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola
per mezzo del lavacro dell’acqua accompagnato dalla parola, al fine di farsi comparire
davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e
immacolata. Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo,
perché chi ama la propria moglie ama se stesso. Nessuno mai infatti ha preso in odio la
propria carne; al contrario la nutre e la cura, come fa Cristo con la Chiesa, poiché siamo
membra del suo corpo. Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua
donna e i due formeranno una carne sola (Gen 2,24). Questo mistero è grande; lo dico in
riferimento a Cristo e alla Chiesa! Quindi anche voi, ciascuno da parte sua, ami la propria
moglie come se stesso, e la donna sia rispettosa verso il marito” (Ef 5,21-33).
2.2.3.2 Una parenesi superata?
La provocazione principale, almeno per una sensibilità occidentale contemporanea, è
l’insistenza sulla sottomissione della moglie e sul ruolo del marito come capo. Gli esegeti
recenti, nella maggior parte, offrono volentieri l’interpretazione che tale rapporto sarebbe da
vedere alla pari con la schiavitù, legata alla cultura antica ma ormai sorpassata. Qualcuno
affianca a questa lettura del testo anche l’interpretazione di Giovanni Paolo Il nella “Mulieris
dignitatem” (1988): avendo attribuito il “dominio” del marito in Gen 3,16 all’influsso del
peccato5, il Papa ribadisce che la cornice dell’intero brano è la sottomissione vicendevole:
“Siate sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo”. In questo fatto consiste la novità del
vangelo. Gli scritti apostolici esprimono più volte quella novità, “anche se in essi si manifesti
5
Giovanni Paolo II, enc. Mulieris Dignitatem n.10
6
ancora il ‘vecchio’, quello radicato anche nella tradizione religiosa d’Israele, nella sua
maniera di comprendere e di spiegare i testi sacri, ad esempio quello di Gn 2”. In seguito il
Papa dice che la novità del vangelo ha trasformato molte cose soltanto in un processo lungo:
quante generazioni ci volevano fino all’abolizione della schiavitù! 6.
Le parole del Papa, proposte nella forma inconsueta di una “meditazione”, si sono
tirate addosso da alcuni il commento del “femminismo papale” . Infatti il Papa (qualche
volta) ha parlato in termini positivi di un “femminismo cristiano”, benché evidentemente
questo termine non assuma il senso consueto legato al “femminismo”7. Giovanni Paolo II ha
quindi bocciato l’apostolo Paolo?
Una lettura della “Mulieris dignitatem” non conferma una tale interpretazione. Il
compito specifico dell’uomo come “capo” non viene identificato con il “dominio” di Gen
3,16 e con la schiavitù, Il radicamento della struttura matrimoniale risale invece
all’interpretazione di Gen 2, cioè al racconto sulla creazione e sul paradiso. La realtà
“vecchia” della creazione non viene annichilata dalla novità del vangelo, ma integrata in una
prospettiva nuova. Altrimenti arriveremmo all’approccio di Marcione che opponeva il Dio
Creatore al Dio Redentore8.
Il Papa vede la capitalità di Cristo nei confronti della Chiesa come lo fa la lettera agli
Efesini, quindi come servizio di amore, come sacrificio di se stesso da parte dello sposo,
come Cristo ha dato la vita per la Chiesa. Il Papa sottolinea la proprietà maschile di Cristo
sposo, mentre la sposa, e quindi la donna, appare come simbolo della persona umana davanti
a Dio9. Il Sommo Pontefice ribadisce la complementarità dei sessi (suscitando la critica di
molti femministi e femministe), parlando di tratti tipici della donna: una sensibilità
particolare per i bisogni umani quale “genio” femminile 10 e quale “proprietà essenziale” 11;
la capacità femminile di stare attenta alla persona concreta 12; la maternità e la verginità come
dimensioni particolari nello sviluppo della personalità femminile 13. Nella “Lettera alle
donne”, del 1995, il Papa spiega il fatto che Gesù Cristo “ha affidato soltanto agli uomini il
compito di essere ‘icona’ del suo volto di “pastore” e di “sposo” della Chiesa attraverso
l’esercizio del sacerdozio ministeriale” 14. Se il sacerdozio ministeriale è legato al sesso
maschile, rappresentando Cristo “capo della Chiesa” (oppure Cristo “pastore” e “sposo”), non
si vede che si possa escludere da questo simbolismo e dalle sue conseguenze antropologiche
il matrimonio15.
6
Giovanni Paolo II, enc. Mulieris Dignitatem n.24
Cfr tra l’altro Evangelium vitae 99: “Nella svolta culturale a favore della vita le donne hanno uno spazio di
pensiero e di azione singolare e forse determinante: tocca a loro di farsi promotrici di un ,nuovo femminismo’
che, senza cadere nella tentazione di rincorrere modelli “maschilisti”, sappia riconoscere ed esprimere il vero
genio femminile in tutte le manifestazioni della convivenza civile, operando per il superamento di ogni forma di
discriminazione, di violenza e di sfruttamento”. Condivido pienamente quanto vuole il papa. A mio modesto
parere, però, è meglio non proporre degli “ismi”. Altrimenti dovremmo parlare anche di un “socialismo
cristiano” (un termine espressamente rifiutato da Pio XI nell’enciclica Quadragesimo Anno), di un
“nazionalismo cattolico”, di un “capitalismo pontificio” ecc.
8
A questo eretico del sec. II dispiaceva quanto detto dall’apostolo Paolo sulla subordinazione della moglie
9
Giovanni Paolo II, enc. Mulieris Dignitatem nn. 25-27
10
Giovanni Paolo II, enc. Mulieris Dignitatem n.30
11
Giovanni Paolo II, enc. Mulieris Dignitatem n.16
12
Giovanni Paolo II, enc. Mulieris Dignitatem n.18
13
Giovanni Paolo II, enc. Mulieris Dignitatem n.17
14
Giovanni Paolo II, Lettera alle donne n 11
15
Questa antropologia di Paolo che chiama 1’uomo capo della donna, in continuità con quella dei libri dell’AT,
non è all’origine della convinzione di Paolo e della Tradizione della Chiesa che le donne non possano ricevere il
ministero? Ora qui ricorre un punto di vista che la società moderna rifiuta categoricamente, e che molti teologi
dei nostri giorni esiterebbero ad adottare senza sfumature.
7
7
Non c’è dubbio che la descrizione dei compiti degli sposi dipenda anche dalla
situazione culturale del tempo. Ma non pare che il fatto solamente culturale cambi la struttura
stessa del matrimonio, istituito da Dio in vista dell’alleanza tra Cristo e la Chiesa. La
riflessione sul dato culturale si trova già nell’enciclica “Casti Connubii” di Pio XI (del 1931)
che è anche l’ultima enciclica (!) che tratta sistematicamente l’intero tema del matrimonio e
che viene presupposto anche dal Vaticano Il (il quale lo cita più volte nella “Gaudium et
Spes” 47-52): “Se l’uomo infatti è il capo, la donna è il cuore; e come l’uno tiene il primato
del governo, così l’altra può e deve attribuirsi come suo proprio il primato dell’amore.
Quanto poi al grado e al modo di questa soggezione della moglie al marito, essa può essere
varia secondo la varietà delle persone, dei luoghi e dei tempi; anzi, se l’uomo viene meno al
suo dovere, appartiene alla moglie supplirvi nella direzione della famiglia. Ma in nessun
tempo e luogo è lecito sovvertire o ledere la struttura essenziale della famiglia stessa e la sua
legge da Dio fermamente stabilita”.
Per l’interpretazione ecclesiale di Ef 5 della struttura “gerarchica” del matrimonio
bisogna, insomma, sottolineare alcune realtà fondamentali:
-
il compito del marito come capo non è tanto un privilegio quanto un servizio all’unità
della comunità familiare, un servizio da misurare sul sacrificio di Cristo che si è donato
totalmente per la Chiesa. Non per caso nel nostro brano “l’attenzione maggiore (vale a
dire l’ammonimento) è dedicata ai mariti e non alle mogli, con una proporzione che
sfiora il quattro a uno”16.
-
La subordinazione della moglie è da vedere nel contesto globale di una subordinazione
reciproca di marito e moglie (Ef 5,21), senza togliere la responsabilità specifica del
marito.
-
La distinzione dei compiti tra uomo e donna non deve essere inasprita. Non si tratta di
negare alla donna la capacità di assumere delle funzioni di guida e di impegnarsi nella
vita pubblica. Neanche deve essere messa in dubbio la responsabilità comune di marito e
moglie per il benessere della comunità familiare. Si notino anche le osservazioni di Pio
XI secondo cui, in casi particolari, vi sarà piuttosto la moglie ad assumersi la
responsabilità di guidare la famiglia. La struttura matrimoniale descritta è una linea di
massima dove sono possibili delle eccezioni17.
2.2.3.3 Il “grande mistero” (Ef 5,32)
Un tema più “tranquillo” è l’interpretazione del rinvio paolino al “grande mistero” (Ef
5,32). Il “mistero” non è soltanto il rapporto Cristo — Chiesa, neanche il rapporto uomo —
donna visto in modo isolato, ma proprio l’intreccio tra l’alleanza Cristo — Chiesa con il patto
matrimoniale. L’accento cade sul rapporto della coppia umana: il contesto è un discorso
parenetico sul matrimonio cristiano, in cui vengono inserite riflessioni cristologicoecclesiologiche, e non un discorso cristologico con riflessioni ricorrenti sul matrimonio
Il termine greco “mysterion” viene riportato con la parola latina “sacramentum”.
Evidentemente “sacramento” non significa ancora uno dei sette sacramenti, ma il linguaggio
E’ necessario però ricordare che Paolo non si pone su un piano filosofico, ma sul piano della storia biblica; e
quando egli descrive, a proposito del matrimonio, il simbolismo dell’amore, egli non vede la superiorità
dell’uomo come un dominio, ma come un dono che esige il sacrificio, ad immagine di Cristo”.
16
R.Penna, Lettera agli Efesini, Bologna 1988, p.232
Per questo la struttura gerarchica del matrimonio non fa parte in senso stretto delle “proprietà essenziali” del
matrimonio alla pari dell’unità e dell’indissolubilità che non sopportano eccezioni
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favorisce l’assunzione del matrimonio nel settenario. Più del linguaggio è importante la
realtà: l’amore della coppia è trasparente al patto sponsale tra Cristo e la Chiesa, attingendo la
sua forza da questa unione.
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