BOLLETTINO U.C.F.I. (UNIONE CATTOLICA FARMACISTI ITALIANI) – SEZIONE DI VERONA
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N. 2/01
A proposito del morbo della “mucca pazza”
ECONOMIA ED ETICA
Il bollettino dell’epidemia dell’encefalopatia
spongiforme bovina (Bse), qualificato come
morbo della “mucca pazza”, si allarga di
giorno in giorno, anche in Paesi che finora
sembravano esserne immuni, occupando le
prime pagine dei giornali e creando
nell’opinione pubblica un crescente allarme.
Non ne mancano i motivi. In Inghilterra le
persone colpite dal morbo di CreutzfeldtJacob sono 87. Negli altri Paesi, grazie a Dio,
il numero si riduce a 2-3 casi e in Italia, al
momento, non ne sono segnalati. Il danno
rimane ad ogni modo gravissimo. In
Germania
stanno
provvedendo
all’abbattimento di non meno di 400.000
bovini. Cifre più o meno simili negli altri
Paesi della Comunità Europea. I sindacati
tedeschi temono la perdita di 10.000 posti di
lavoro, mentre in Francia le industrie del
settore hanno già cominciato a licenziare. In
Italia, nonostante l’esiguità del fenomeno, i
consumi di carne bovina sono calati del 40%,
come stanno denunciando la Coldiretti e le
altre organizzazioni agricole. Come valutare
questo fenomeno? Che cosa vi sta dietro? Da
che derivano queste situazioni? I giornali si
limitano in genere alla descrizione dei fatti e
ad una loro denuncia più o meno emotiva. Il
dibattito degli specialisti, politici e scienziati,
sembra soffermarsi quasi solo sulle questioni
tecniche o di risoluzione immediata del
problema. Non basta. Bisogna andare più a
fondo, ricercandone le cause per rimuoverle
in radice e imparare dagli errori fatti a non
ripeterli o non riproporli in altre forme. E le
cause, al di là delle ragioni immediate, sono
essenzialmente due: la violenza perpetrata da
decenni nei confronti della natura fino a
provocarne la ribellione e il prevalere di un
concetto di economia basato esclusivamente
sull’interesse economico, sul guadagno, e non
sul primato della persona, del bene comune e
la salubrità dei prodotti alimentari. Su
entrambi i nodi il Santo Padre ha usato parole
forti lungo tutto il suo Pontificato e in
particolare in occasione del recente Giubileo
del mondo agricolo.
“La natura prima o poi si ribella”
Il primo principio che Giovanni Paolo II ha
proclamato è sinteticamente espresso nelle
parole con le quali ha concluso la sua omelia
agli agricoltori in Piazza San Pietro: “Operate
in modo da resistere alle tentazioni di una
produttività e di un guadagno che vadano a
discapito del rispetto della natura. Da Dio la
terra è stata affidata all’uomo ‘perché la
coltivasse e la custodisse’ (Gen. 2,15).
Quando si dimentica questo principio,
facendosi tiranni e non custodi della natura,
questa prima o poi si ribellerà”. Giovanni
Paolo II riprende qui un antico principio della
saggezza cristiana: “Dio perdona, la natura
non perdona”. Fin dagli anni ’90 era stato
detto che l’origine del morbo doveva essere
attribuita all’alimentazione a base di farina di
carni e di ossa che da anni veniva
somministrata dai coltivatori inglesi alle loro
mucche, farina ottenuta perfino da resti di
capi ammalati, facendo diventare carnivori
degli animali per loro natura erbivori. Se ciò
corrisponde a verità non si è più dinanzi a
situazioni imprevedibili come ne sono
avvenute nella storia, ma di fronte ad una
scelta che, per scopi di interessi come
l’aumento della produzione di carne e di latte,
viola imprudentemente l’ordine naturale delle
cose, provocando danni gravissimi nei
confronti dell’umanità e dello stesso mondo
agricolo. La cosa grave, in tutto questo, è che
i fatti erano noti da anni, eppure si è
continuato ad operare come se niente fosse
successo. Da un rapporto della Commissione
Agricoltura del Parlamento di Strasburgo,
messo a punto tra il ’91 e il ’93, si parlava di
situazioni già conosciute fin dagli anni ’80.
Secondo quel rapporto dal 1985 al 1988
sarebbero stati scoperti 2.185 casi di “mucche
pazze” in Gran Bretagna, saliti a 7.136 nel
1989, a 14.179 nel 1990 e a 24.597 nel 1991.
In quel rapporto era già chiaro il danno
neurologico che le proteine infette di questi
animali
avrebbero
potuto
provocare
nell’uomo e c’erano già stati dei casi di
infezione umana fraudolentemente nascosti.
Perché non si è fermata in tempo quella
situazione? E perché quattro anni fa quando la
situazione è venuta drammaticamente alla
luce non si è provveduto a mettere al bando le
farine animali? Evidentemente hanno
prevalso
logiche
di
profitto
sulla
preoccupazione della salute pubblica di
milioni e milioni di cittadini. Ma non si può
sfidare impunemente la natura. Quanto non è
stato fatto ha condotto all’attuale riesplosione
del morbo in forme sempre più estese e
difficili da controllare. I danni a livello
sanitario, ambientale e commerciale saranno
enormi. Proprio quelle prospettive di
guadagno ad ogni costo che erano alla base di
una scelta produttiva giudicata più
conveniente saranno penalizzate, ancor più se
si continuerà la politica dello struzzo finora
seguita, chiudendo gli occhi e aggiungendo
danno a danno.
Un’economia per l’uomo e non contro
l’uomo
E’ da qui che deriva il secondo principio al
quale il Santo Padre ha richiamato tutti in
occasione del giubileo della terra: operare per
un’economia che sia per l’uomo, e non contro
l’uomo. L’economia deve guardarsi - ha detto
il Papa – da una “irresponsabile cultura del
dominio, con le conseguenze ecologiche
devastanti” che ne conseguono e deve
rendersi capace di coniugare in unità il
legittimo profitto con il rispetto della natura,
l’apprezzamento del giusto progresso
tecnologico con i valori perenni che
contraddistinguono la migliore tradizione del
mondo agricolo. Siamo di fronte ad un
concetto di economia che mette radicalmente
in discussione il modo in cui essa viene
concepita quando è unicamente centrata
sull’interesse materiale. E’ urgente un grande
ripensamento, ridefinendo la natura stessa
dell’agire economico. Il termine “economia”
rimanda, come è noto, a regole che
consentano una saggia amministrazione della
casa per il bene di tutti e di ciascuno: i
soggetti dell’economia sono persone chiamate
a fare buon uso dei beni per il bene di altre
persone. I protagonisti dell’economia sono
persone, i destinatari sono persone. Solo così
si è di fronte ad un’economia pienamente
umana. Sotto questo profilo, il profilo
personalistico, due significati dell’economia
meritano di essere rilevati: l’economia come
un “far bene le cose”, l’economia come un
“far le cose buone”.
Economia: “far bene le cose”
Il primo significato implica una distribuzione
corretta dei beni prodotti, in grado di fare il
bene delle persone, e non di metterlo in crisi.
Il primato non dev’essere dato alle cose, ma
alle persone e al valore della loro vita, alla
crescita di tutti e di ciascuno. Un'economia
comincia a decadere quando perde questa
finalità, riducendosi solo ad una questione di
interessi e di profitti. Non che il giusto
guadagno non sia importante; ma è un mezzo,
non il fine di tutto. Un’economia comincia a
decadere quando non si guarda più al bene
delle persone, quando questi valori diventano
marginali e i rapporti umani sono ridotti ad
una situazione di dipendenza tra un donatore e
un beneficiario. L’economia non è anzitutto il
luogo del fare, ma dell’essere, né è il luogo
dell’elemosina o del dominio, ma del mettere
in comune il proprio lavoro e i propri beni in
un ambito di rispetto e di reciprocità. In
quanto tale, essa implica sempre una
dimensione etica: nella misura stessa, infatti,
in cui suppone un agire umano, un agire delle
persone per altre persone, si qualifica come
un agire che può essere finalizzato al loro
bene oppure al loro male e riveste quindi
inevitabilmente una referenza morale
valoriale. Di qui la possibilità che vi sia
un’economia che mette al primo posto il
proprio tornaconto, criteri di solo interesse o
di
profitto
individuale,
un’economia
contrassegnata dalla sola legge dell’egoismo,
oppure un’economia che rispetta l’altro da sé
e fa bene ciò che deve fare, che cerca di
essere competitiva, ma nella lealtà e nel
rispetto del bene di tutti e di ciascuno. Solo
allora l’economia è un’economia per l’uomo,
e non contro l’uomo: si struttura come un
rapporto di dare e ricevere, in una giusta
attenzione alle persone coinvolte e al loro
bene. Va in questa direzione il richiamo che il
Santo Padre ha rivolto agli operatori del
mondo agricolo l’11 novembre 2000 a
riguardo delle stesse agrobiotecnologie: “E’
un principio da ricordare nella stessa
produzione agricola quando si tratta di
promuoverla
con
l’applicazione
di
biotecnologie, che non possono essere
valutate solo sulla base di immediati interessi
economici.
E’
necessario
sottoporle
previamente ad un rigoroso controllo
scientifico ed etico, per evitare che si
risolvano in disastri per la salute dell’uomo e
per l’avvenire della terra”.
delle persone e dell’ambiente. Se infatti, come
si è detto, l’economia è uno scambio di beni
tra persone per il loro bene, solo se ciò che si
produce è buono, si ha un’economia a
servizio delle persone e della loro vita, e non
contro. La stessa competizione di mercato
dev’essere finalizzata a fare le cose più buone
degli altri o, meglio, a fare le stesse cose, ma
in un modo corretto e qualitativamente
migliore. Le leggi di mercato sono a servizio
della persona, non la persona a servizio delle
leggi di mercato. E’ questo un aspetto
essenziale dell’economia che non può essere
dato per scontato. L’efficienza economica non
è semplicemente produrre molto, ma produrre
bene, nel rispetto della natura e delle persone
a cui ciò che si produce è destinato. Ciò vale
in ogni campo, e vale in particolare
nell’ambito della produzione agricola.
Sviluppare al meglio la nostra agricoltura
regionale e di qualità significa produrre
ricchezza, salute delle persone, evitando le
disastrose conseguenze – anche sotto il
profilo puramente economico – della “mucca
pazza”; e significa mettere in atto un modello
sostenibile di sviluppo che contribuisce al
bene della cittadinanza e dell’ambiente.
Esattamente il contrario di quanto sta
avvenendo. Ci si può chiedere se non risieda
in questo elemento l’essenza di un’economia
che sia insieme creativa di futuro e produttrice
di benessere (bene-esse), e perciò realmente
umanistica. Far bene le cose, con correttezza,
e fare le cose buone, per il bene delle persone
e nel rispetto della natura: è questo il concetto
di economia a cui bisognerà guardare con
sempre
maggiore
convinzione.
Solo
rispettando questo indirizzo si realizza
un’efficienza produttiva reale. Di qui la
necessità che l’economia ritrovi le sue radici
etiche; essa ha bisogno dell’etica come il
fiume si alimenta alla sua sorgente. Senza
etica non si vive e non si fa vivere!
Economia come “fare le cose buone”
Non è questo il richiamo che deriva dalla
situazione di emergenza creata dal morbo
della “mucca pazza”? E non va in questa
direzione l’invito costante che il Santo Padre
sta rivolgendo a tutto il mondo? Dio ha dato
Un secondo significato merita di essere
rilevato: l’economia è “fare le cose buone”, le
cose di qualità, buone per la vita e la salute
Verso un’etica dell’economia
all’umanità il compito di “coltivare e
custodire” la terra, non di distruggerla. La
qualità della vita, la salute fisica e mentale e
lo sviluppo – talvolta perfino la stessa
sopravvivenza – dipendono dal rispetto
dell’ordine naturale e dei suoi ritmi biologici,
dalla sanità dell’ambiente messa in pericolo
dalle tante forme di inquinamento che
avvelenano le stesse fonti della vita, come
l’aria, l’acqua e la terra. E’ tempo di passare
dalla cultura della conquista economica e
della competitività più spietata alla cultura
della persona e della cooperazione. In un
mondo sempre più globalizzato, l’egemonia
assoluta dell’economia non è una soluzione;
anzi, può diventare – come sta già avvenendo
– fonte di pericoli immani. Da sempre la
Chiesa insegna – e l’enciclica Centesimus
Annus lo ha ribadito con forza – che non può
esistere un’economia disgiunta dalla persona
e dalla sua coscienza morale, perché ogni
azione economica è frutto della decisione
umana e sottostà a incancellabili criteri etici
di giudizio. E’ su questi grandi temi che si
dovrà svolgere il dibattito sul problema della
BSE nei prossimi giorni, come su altri temi, e
non su questioni marginali o addirittura
ideologiche o di parte.
CARLO ROCCHETTA
(tratto da L’Osservatore Romano di venerdì 19 gennaio
2001)