BOLLETTINO U.C.F.I. (UNIONE CATTOLICA FARMACISTI ITALIANI) – SEZIONE DI VERONA LUNGADIGE SAMMICHELI, 3 C.A.P. 37129 VERONA TEL. 045/8034396 E-MAIL: ethical@brembenet .it N. 2/01 A proposito del morbo della “mucca pazza” ECONOMIA ED ETICA Il bollettino dell’epidemia dell’encefalopatia spongiforme bovina (Bse), qualificato come morbo della “mucca pazza”, si allarga di giorno in giorno, anche in Paesi che finora sembravano esserne immuni, occupando le prime pagine dei giornali e creando nell’opinione pubblica un crescente allarme. Non ne mancano i motivi. In Inghilterra le persone colpite dal morbo di CreutzfeldtJacob sono 87. Negli altri Paesi, grazie a Dio, il numero si riduce a 2-3 casi e in Italia, al momento, non ne sono segnalati. Il danno rimane ad ogni modo gravissimo. In Germania stanno provvedendo all’abbattimento di non meno di 400.000 bovini. Cifre più o meno simili negli altri Paesi della Comunità Europea. I sindacati tedeschi temono la perdita di 10.000 posti di lavoro, mentre in Francia le industrie del settore hanno già cominciato a licenziare. In Italia, nonostante l’esiguità del fenomeno, i consumi di carne bovina sono calati del 40%, come stanno denunciando la Coldiretti e le altre organizzazioni agricole. Come valutare questo fenomeno? Che cosa vi sta dietro? Da che derivano queste situazioni? I giornali si limitano in genere alla descrizione dei fatti e ad una loro denuncia più o meno emotiva. Il dibattito degli specialisti, politici e scienziati, sembra soffermarsi quasi solo sulle questioni tecniche o di risoluzione immediata del problema. Non basta. Bisogna andare più a fondo, ricercandone le cause per rimuoverle in radice e imparare dagli errori fatti a non ripeterli o non riproporli in altre forme. E le cause, al di là delle ragioni immediate, sono essenzialmente due: la violenza perpetrata da decenni nei confronti della natura fino a provocarne la ribellione e il prevalere di un concetto di economia basato esclusivamente sull’interesse economico, sul guadagno, e non sul primato della persona, del bene comune e la salubrità dei prodotti alimentari. Su entrambi i nodi il Santo Padre ha usato parole forti lungo tutto il suo Pontificato e in particolare in occasione del recente Giubileo del mondo agricolo. “La natura prima o poi si ribella” Il primo principio che Giovanni Paolo II ha proclamato è sinteticamente espresso nelle parole con le quali ha concluso la sua omelia agli agricoltori in Piazza San Pietro: “Operate in modo da resistere alle tentazioni di una produttività e di un guadagno che vadano a discapito del rispetto della natura. Da Dio la terra è stata affidata all’uomo ‘perché la coltivasse e la custodisse’ (Gen. 2,15). Quando si dimentica questo principio, facendosi tiranni e non custodi della natura, questa prima o poi si ribellerà”. Giovanni Paolo II riprende qui un antico principio della saggezza cristiana: “Dio perdona, la natura non perdona”. Fin dagli anni ’90 era stato detto che l’origine del morbo doveva essere attribuita all’alimentazione a base di farina di carni e di ossa che da anni veniva somministrata dai coltivatori inglesi alle loro mucche, farina ottenuta perfino da resti di capi ammalati, facendo diventare carnivori degli animali per loro natura erbivori. Se ciò corrisponde a verità non si è più dinanzi a situazioni imprevedibili come ne sono avvenute nella storia, ma di fronte ad una scelta che, per scopi di interessi come l’aumento della produzione di carne e di latte, viola imprudentemente l’ordine naturale delle cose, provocando danni gravissimi nei confronti dell’umanità e dello stesso mondo agricolo. La cosa grave, in tutto questo, è che i fatti erano noti da anni, eppure si è continuato ad operare come se niente fosse successo. Da un rapporto della Commissione Agricoltura del Parlamento di Strasburgo, messo a punto tra il ’91 e il ’93, si parlava di situazioni già conosciute fin dagli anni ’80. Secondo quel rapporto dal 1985 al 1988 sarebbero stati scoperti 2.185 casi di “mucche pazze” in Gran Bretagna, saliti a 7.136 nel 1989, a 14.179 nel 1990 e a 24.597 nel 1991. In quel rapporto era già chiaro il danno neurologico che le proteine infette di questi animali avrebbero potuto provocare nell’uomo e c’erano già stati dei casi di infezione umana fraudolentemente nascosti. Perché non si è fermata in tempo quella situazione? E perché quattro anni fa quando la situazione è venuta drammaticamente alla luce non si è provveduto a mettere al bando le farine animali? Evidentemente hanno prevalso logiche di profitto sulla preoccupazione della salute pubblica di milioni e milioni di cittadini. Ma non si può sfidare impunemente la natura. Quanto non è stato fatto ha condotto all’attuale riesplosione del morbo in forme sempre più estese e difficili da controllare. I danni a livello sanitario, ambientale e commerciale saranno enormi. Proprio quelle prospettive di guadagno ad ogni costo che erano alla base di una scelta produttiva giudicata più conveniente saranno penalizzate, ancor più se si continuerà la politica dello struzzo finora seguita, chiudendo gli occhi e aggiungendo danno a danno. Un’economia per l’uomo e non contro l’uomo E’ da qui che deriva il secondo principio al quale il Santo Padre ha richiamato tutti in occasione del giubileo della terra: operare per un’economia che sia per l’uomo, e non contro l’uomo. L’economia deve guardarsi - ha detto il Papa – da una “irresponsabile cultura del dominio, con le conseguenze ecologiche devastanti” che ne conseguono e deve rendersi capace di coniugare in unità il legittimo profitto con il rispetto della natura, l’apprezzamento del giusto progresso tecnologico con i valori perenni che contraddistinguono la migliore tradizione del mondo agricolo. Siamo di fronte ad un concetto di economia che mette radicalmente in discussione il modo in cui essa viene concepita quando è unicamente centrata sull’interesse materiale. E’ urgente un grande ripensamento, ridefinendo la natura stessa dell’agire economico. Il termine “economia” rimanda, come è noto, a regole che consentano una saggia amministrazione della casa per il bene di tutti e di ciascuno: i soggetti dell’economia sono persone chiamate a fare buon uso dei beni per il bene di altre persone. I protagonisti dell’economia sono persone, i destinatari sono persone. Solo così si è di fronte ad un’economia pienamente umana. Sotto questo profilo, il profilo personalistico, due significati dell’economia meritano di essere rilevati: l’economia come un “far bene le cose”, l’economia come un “far le cose buone”. Economia: “far bene le cose” Il primo significato implica una distribuzione corretta dei beni prodotti, in grado di fare il bene delle persone, e non di metterlo in crisi. Il primato non dev’essere dato alle cose, ma alle persone e al valore della loro vita, alla crescita di tutti e di ciascuno. Un'economia comincia a decadere quando perde questa finalità, riducendosi solo ad una questione di interessi e di profitti. Non che il giusto guadagno non sia importante; ma è un mezzo, non il fine di tutto. Un’economia comincia a decadere quando non si guarda più al bene delle persone, quando questi valori diventano marginali e i rapporti umani sono ridotti ad una situazione di dipendenza tra un donatore e un beneficiario. L’economia non è anzitutto il luogo del fare, ma dell’essere, né è il luogo dell’elemosina o del dominio, ma del mettere in comune il proprio lavoro e i propri beni in un ambito di rispetto e di reciprocità. In quanto tale, essa implica sempre una dimensione etica: nella misura stessa, infatti, in cui suppone un agire umano, un agire delle persone per altre persone, si qualifica come un agire che può essere finalizzato al loro bene oppure al loro male e riveste quindi inevitabilmente una referenza morale valoriale. Di qui la possibilità che vi sia un’economia che mette al primo posto il proprio tornaconto, criteri di solo interesse o di profitto individuale, un’economia contrassegnata dalla sola legge dell’egoismo, oppure un’economia che rispetta l’altro da sé e fa bene ciò che deve fare, che cerca di essere competitiva, ma nella lealtà e nel rispetto del bene di tutti e di ciascuno. Solo allora l’economia è un’economia per l’uomo, e non contro l’uomo: si struttura come un rapporto di dare e ricevere, in una giusta attenzione alle persone coinvolte e al loro bene. Va in questa direzione il richiamo che il Santo Padre ha rivolto agli operatori del mondo agricolo l’11 novembre 2000 a riguardo delle stesse agrobiotecnologie: “E’ un principio da ricordare nella stessa produzione agricola quando si tratta di promuoverla con l’applicazione di biotecnologie, che non possono essere valutate solo sulla base di immediati interessi economici. E’ necessario sottoporle previamente ad un rigoroso controllo scientifico ed etico, per evitare che si risolvano in disastri per la salute dell’uomo e per l’avvenire della terra”. delle persone e dell’ambiente. Se infatti, come si è detto, l’economia è uno scambio di beni tra persone per il loro bene, solo se ciò che si produce è buono, si ha un’economia a servizio delle persone e della loro vita, e non contro. La stessa competizione di mercato dev’essere finalizzata a fare le cose più buone degli altri o, meglio, a fare le stesse cose, ma in un modo corretto e qualitativamente migliore. Le leggi di mercato sono a servizio della persona, non la persona a servizio delle leggi di mercato. E’ questo un aspetto essenziale dell’economia che non può essere dato per scontato. L’efficienza economica non è semplicemente produrre molto, ma produrre bene, nel rispetto della natura e delle persone a cui ciò che si produce è destinato. Ciò vale in ogni campo, e vale in particolare nell’ambito della produzione agricola. Sviluppare al meglio la nostra agricoltura regionale e di qualità significa produrre ricchezza, salute delle persone, evitando le disastrose conseguenze – anche sotto il profilo puramente economico – della “mucca pazza”; e significa mettere in atto un modello sostenibile di sviluppo che contribuisce al bene della cittadinanza e dell’ambiente. Esattamente il contrario di quanto sta avvenendo. Ci si può chiedere se non risieda in questo elemento l’essenza di un’economia che sia insieme creativa di futuro e produttrice di benessere (bene-esse), e perciò realmente umanistica. Far bene le cose, con correttezza, e fare le cose buone, per il bene delle persone e nel rispetto della natura: è questo il concetto di economia a cui bisognerà guardare con sempre maggiore convinzione. Solo rispettando questo indirizzo si realizza un’efficienza produttiva reale. Di qui la necessità che l’economia ritrovi le sue radici etiche; essa ha bisogno dell’etica come il fiume si alimenta alla sua sorgente. Senza etica non si vive e non si fa vivere! Economia come “fare le cose buone” Non è questo il richiamo che deriva dalla situazione di emergenza creata dal morbo della “mucca pazza”? E non va in questa direzione l’invito costante che il Santo Padre sta rivolgendo a tutto il mondo? Dio ha dato Un secondo significato merita di essere rilevato: l’economia è “fare le cose buone”, le cose di qualità, buone per la vita e la salute Verso un’etica dell’economia all’umanità il compito di “coltivare e custodire” la terra, non di distruggerla. La qualità della vita, la salute fisica e mentale e lo sviluppo – talvolta perfino la stessa sopravvivenza – dipendono dal rispetto dell’ordine naturale e dei suoi ritmi biologici, dalla sanità dell’ambiente messa in pericolo dalle tante forme di inquinamento che avvelenano le stesse fonti della vita, come l’aria, l’acqua e la terra. E’ tempo di passare dalla cultura della conquista economica e della competitività più spietata alla cultura della persona e della cooperazione. In un mondo sempre più globalizzato, l’egemonia assoluta dell’economia non è una soluzione; anzi, può diventare – come sta già avvenendo – fonte di pericoli immani. Da sempre la Chiesa insegna – e l’enciclica Centesimus Annus lo ha ribadito con forza – che non può esistere un’economia disgiunta dalla persona e dalla sua coscienza morale, perché ogni azione economica è frutto della decisione umana e sottostà a incancellabili criteri etici di giudizio. E’ su questi grandi temi che si dovrà svolgere il dibattito sul problema della BSE nei prossimi giorni, come su altri temi, e non su questioni marginali o addirittura ideologiche o di parte. CARLO ROCCHETTA (tratto da L’Osservatore Romano di venerdì 19 gennaio 2001)