LETTERA DEL BEATO DON EDOARDO POPPE AI SACERDOTI
PRESENTAZIONE DI SAN GIOVANNI CALABRIA
PRESENTAZIONE
Ho letto con viva commozione la lettera del Servo di Dio Don Edoardo Poppe, che mi pare proprio ispirata dal
Signore; certo vi confesso che a me ha fatto tanto bene e credo che possa ugualmente farne a quanti la
vorranno leggere e meditare.
In quest'ora decisiva, nella quale Gesù continuamente ci chiama tutti, ma specialmente noi Sacerdoti e Religiosi,
dobbiamo sentire il bisogno di uscire dalla mediocrità ed impegnarci a fondo per la nostra santificazione, unico
mezzo per salvare un mondo che va alla deriva. E' una missione divina la nostra, ma insieme quale
responsabilità se non viviamo all'altezza del compito dalla Provvidenza assegnatoci!
Per questo io vorrei che la voce del Poppe, che ci richiama al pensiero i grandi doveri inerenti alla nostra
sublime vocazione, arrivasse «usque ad finem terrae», per scuo tere e animare tutti al santo fervore nel divino
servizio; poiché oggi gli uomini non credono più alle parole, vogliono vedere i fatti, e noi Sacerdoti e Religiosi
dobbiamo essere Vangeli viventi, per essere veramente, come Gesù ci vuole, «sale della terra e luce del
mondo». Solamente così si potrà far trionfare nei cuori la nostra santa Religione; guai se la vita pratica fosse
una smentita a quello che predichiamo!
Nella mia povertà prego lo Spirito Santo ad infondere in queste brevi pagine tanta gra zia, che tutti quelli che
vorranno leggere e meditare ne riportino preziosi frutti di luce, di forza e di celeste unzione, per rinnovarci in
Cristo.
Chiediamo carità di preghiera, in C. J. sac. GIOVANNI CALABRIA
CENNI BIOGRAFICI
Nato a Temsche (Belgio) il 18 dicembre 1890, dopo una gioventù esemplare, entrò nel Seminario di Gent e fu
ordinato Sacerdote il 10 maggio 1916. Da allora, come Viceparroco a Gent (1916-'18), come Direttore della
Suore di S. Vincenzo a Moarzeke (1918-'22), come Direttore spirituale a Leopoldsburg (1922-'24), irradiò,
come la fiaccola sul candelabro, il dolce splendore di una vita santamente sacerdotale. Si di stinse per un
grande spirito di povertà, una umiltà profonda, un'obbedienza perfetta, una fede semplice come quella di un fan
ciullo, una carità ardentissima.
Nella sua consacrazione sacerdotale, aveva domandato a Dio di poter essere lui stesso l'offerta e la vittima del
suo apostolato. Dio gli diede una salute debole e malferma. Gli otto anni che visse come Sacerdote li passò fra
penose alternative di una malattia, che sempre si ripeteva con nuove crisi, seguite da convalescenze lunghe e
difficili. Emanava da lui un influsso potente di gra zia, e la sua parola dolce e benefica suscitò in migliaia di
anime un rinnovamento di fede attiva e di vita interiore. Fu il grande apostolo di Maria Mediatrice e del Regno
Eucaristico di Gesù, e legò indissolubilmente il suo nome alla pratica della "Vera Devozione" e al movimento
della "Crociata Eucaristica".
Negli ultimi anni, consumato da uno zelo ardente per la santificazione dei suoi con fratelli nel Sacerdozio, si
studiava di con durre con la parola e con l'esempio gli elet ti di Cristo alla perfezione propria dei loro Stato.
Specialmente i suoi cari "Cibisti", seminaristi e religiosi, infermieri di Leopoldsburg, dei quali gli era stata
affidata la direzione spirituale, trovarono in lui una guida e un animatore incomparabile.
Offrì la sua vita a Dio per la santificazione del Clero e si spense santamente il 10 giugno 1924.
Il processo informativo diocesano per la Causa di Beatificazione è stato aperto a Gent, il 21 marzo 1946.
Pater, santifica eos. Mettiamoci con fiducia sotto l'impero di Maria Mediatrice delle grazie del sacerdozio di
Gesù... Ave Maria!...
MIEI CARI CONFRATELLI,
Per quanto io mi senta indegno e in capace di scrivere questa lettera spi rituale, lo faccio tuttavia, per l'amo re
che porto alla vostra perfezione sacerdotale.
Dio vi ha dato una grazia preziosa: vi ha fatto sentire il dovere di una vita sacerdotale santa. Voi stessi vi siete
ripetuto più volte: «Io devo di ventare un santo Sacerdote; se così non avvenisse, giudicherei finita la mia
carriera». Com'è vero ciò, so stanzialmente vero!
GUERRA ALLA MEDIOCRITA'
Sì, cari Fratelli; voi dovete essere Sacerdoti santi, non già dei preti qualunque, dei preti ordinari. Altri menti il
vostro zelo e le vostre fa tiche riusciranno a ben poco e le vostre pecorelle si allontaneranno da voi e si
perderanno in gran numero. Una sola parola di un santo è più efficace che un mucchio di predi che di un freddo
oratore. Le parole di un Sacerdote santo colpiscono, scuotono, commuovono e penetrano le anime,
rinnovandole in modo me raviglioso. Sono, infatti, parole nate dalla grazia, dalla preghiera, fors'an che dalla
penitenza; per questo so no piene della forza di Dio. Un sa piente potrà anche imitarle con rara abilità, ma Dio
predica solo attra verso la bocca di un santo: «Non vos qui loquimini...» (Mt. X, 20). La scienza è un utile aiuto,
i doni na turali sono necessari, ma senza la santità noi siamo più o meno dei «cymbalum tinniens, aens
sonans...» (I Cor. XIII, 1).
Fratelli, non vendete ciance! Fratelli, non siate vasi vuoti; abbiate pure scienza e talento, ma prima di tutto
siate uomini di preghiera e austeri nella penitenza: siate santi!
GUARDARSI DALL'ABITUDINE!
Fratelli, tutti i giorni siamo chiamati alle solite occupazioni: nobili, ma monotone e spesso faticose. Fratel li,
attenti a non lasciarvi vincere dall'abitudine, e vegliate perché i Sacramenti non perdano agli occhi vostri il loro
carattere divino; atten ti che il vostro Maestro non vi di venti tra le mani «un oggetto indif ferente»; attenti a
non perdere la stima cristiana per gli ammalati e i poveri; attenti a che i fanciulli non vi diventino cagione di
noia, og getto d'avversione i peccatori. Ma che dico? Siate attenti a una cosa sola, a non diventare dei preti me
stieranti.
State bene attenti: sappiate star fer mi nel proposito di farvi santi come lo siete in quello di salvarvi. Solo così il
continuo contatto con i santi Sacramenti sarà per voi una fonte ricchissima di consolazioni e di edi ficazione.
Restate sul sentiero della santità! Allora il vostro Maestro sarà l'ami co intimo del vostro cuore, allora Egli vi si
farà conoscere «in fractio ne Panis» (Lc. XXIV, 35), e in nessun luogo lo riconoscerete più facilmen te e lo
visiterete più volentieri che nell'Ostia così spesso maneggiata. Continuate a tendere alla perfezio ne! Allora i
vostri malati diventeran no i vostri più validi collaboratori, e voi avrete per essi le più belle pa role di
consolazione. Allora amere te i vostri poveri e vedrete in essi i veri fratelli di Cristo, e ben presto vi sentirete nei
loro confronti piut tosto dei debitori che dei creditori. I fanciulli, nonostante i loro difetti, saranno i prediletti del
vostro cuo re e voi i loro: essi diventeranno per voi come una grande famiglia spirituale di cui voi sarete il padre:
«Sterilem fecit matrem filiorum lae tantem!» (Sal. CXII, 8).
NON SCORAGGIARSI MAI!
Continuate a battere la via diritta! Incontrerete nel cammino croci su croci, malintesi, contrarietà, derisio ni,
aridità, abbandoni; ma voi arri verete alla méta senza bisogno di mendicare consolazioni dal mondo. In mezzo
alle croci conserverete al meno la speranza e la fiducia: que sto già basta quaggiù, ma potrebbe anche darsi
che proprio la vostra croce diventasse la vostra gioia. Fratelli, viviamo una volta sola e non siamo destinati a
una patria terrena: siamo dei viaggiatori in cammino, e pazzo sarebbe colui che cercas se quaggiù la sua
dimora e il suo riposo: «Non habemus hic manen tem civitatem, sed futuram inquiri mus» (Eb. XIII, 14). A
che servono i bei mobili con teste di leoni e or namenti di cuoio? Fra trent'anni si troveranno nella camera dei
nostri eredi. A che giovano le aderenze e le amicizie di questo mondo? Quin dici giorni appena dopo la morte,
voi sarete già svaniti dalla memoria e usciti dal cuore di coloro che ora vi costano tanto tempo e tante sec
cature. E che cosa ci giovano la lode e la stima? Fumo vano, che troppo facilmente ci dà alla testa, rendendoci
men chiaro il cammino e facendoci più male che bene.
POVERTA' E DISTACCO
Povertà! ecco, Fratelli, la parola be nedetta, la parola dura, ma salutare, che ci conviene avere sulle labbra alla
vista dei beni e delle gioie mon dane: «Omnia detrimentum feci et arbitror ut stercora, ut Christum lucrifaciam»
(Fil. III, 8). Sì, noi con sideriamo «ut stercora» il denaro che possediamo per le nostre necessità; fuggiamo «ut
stercora» la popolarità mondana e le lodi così seducenti degli uomini; fuggiamo «ut stercora» ogni abitudine del
mondo e tutte le sue consolazioni. «Ut Christum lu crifaciam», per poter partecipare dello spirito del Cristo,
della forza del Cristo, della fecondità di Cristo.
«Mihi vivere Christus est» (Fil. I, 21). È verità fuor di dubbio: «Sacerdos alter Christus!». Noi dobbiamo sen tirci
interiormente un altro Cristo e tali apparire agli occhi degli uomini; il che vuol dire non essere dei preti
qualunque, ma sacerdoti santi. La frase: «Fate come fanno tutti» è un modo di dire insensato, che con traddice
al santo Vangelo. «Sicut mi sit me Pater, et Ego mitto vos!» (Gv. XX, 21). «Estote perfecti, sicut et Pater vester
perfectus est!» (Mt. V, 48). Nessuno ha il diritto di dirvi: «Fate come noi». Soltanto il Cristo può dire e dice con
tutta verità: «Ego sum via... sequere Me». Dun que è Lui solo che noi dobbiamo fis sare, contemplare, seguire.
Fratelli, e non vedete dunque ch'Egli fu povero? Bambinello, aveva alme no una mangiatoia, ma quando si det
te alla vita apostolica, non aveva neanche una pietra su cui posare il capo. Ah, le abitudini!
«Exemplum dedi vobis... Ego sum via!» (Gv. XIII, 15; XIV, 6).
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APOSTOLICA VIVENDI FORMA
Osservo gli Apostoli, esamino lo spi rito dei Santi: essi hanno seguito Gesù, non le abitudini del loro tem po:
erano poveri! II Venerabile P. Chevrier era povero, anche se vi veva nel secolo XIX, e ci incoraggia con un grido
di vittoria: «Un Sacer dote povero è onnipotente!».
Guai ai ricchi, perché hanno le loro soddisfazioni su questa terra... «Bea ti pauperes!». Come si fa carezzevo le
la voce del Maestro quando pro clama beata la povertà! «Beati pau peres spiritu» (Mt. V, 3).
Fratelli, ne conoscete molti di que sti poveri di spirito che non sono perfettamente poveri in certe cose? In
questa materia, voi siate «sem plici come la colomba, ma prudenti come il serpente». Che se non osate
mostrare la povertà nella sala da ricevere o nei locali accessibili ai visitatori, introducetela allora nella vostra
camera da letto e almeno là lasciatela regnare sovrana.
UMILTA' E NASCONDIMENTO
Fratelli, aiutatevi scambievolmente a ricordarvi che il nostro Maestro ha amato di vivere nascosto: trent'anni su
trentatrè! Non è dunque lo zelo la principale virtù del Sacerdote, ma l'umiltà. Siamo dei grandi illusi se non
siamo severi su questo punto. Essere umili non vuol dire tenere gli occhi bassi andando per la strada o darsi
l'aria del santo. Senza dubbio, l'umiltà deve pur scorgersi nella modestia esteriore, ma questa deve essere
l'irradiazione naturale della umiltà e del raccoglimento interiore. Contegno, dunque, né pomposo né affettato.
Non sussiego da magistra to, ma neppure collo torto da san terello. Modestia semplice! Questo dobbiamo tutti
cercare, di essere umili di spirito. II nostro motto sia: «Sine gratia nihil sum». Non accon tentatevi di dirlo, ma
pensatelo quan do predicate, quando confessate, quando v'intrattenete coi fedeli. Inol tre amate d'essere
ignorati e consi derati un nulla: «Ama nesciri». Non illudetevi con vane parole. Si vuole sì esser santi, si vuole sì
esser umi li, ma poi le umiliazioni nessuno le vuole. Desiderate dunque le umi liazioni, che l'umiltà tutti son ca
paci di desiderarla.
Avete forse lanciato un'iniziativa im portante, ed altri ne raccoglie la glo ria: «Ama nesciri». Avete fatto del
vostro meglio e tornate a casa sod disfatti della vostra fatica: siete ac colti con una severa ramanzina: «Ama
nesciri». Questo è il momento di praticare l'umiltà. Essere umile vuol dire desiderare la stima di Dio e
disprezzare quella degli uomini. Promozioni, popolarità, stima e altre formule di questo genere... adoperia moci
a sbarrar loro il passo, perché non abbiano ad esercitare la minima influenza sul nostro cuore: «Ama ne sciri et
pro nihilo reputari». II Cristo fu posto tra i malfattori: «Cum ini quis reputatus est» (Mc. XV, 28). E perché noi
abbiamo tanto amor pro prio, da voler esser considerati tra i migliori?
SOFFERENZA E FORTEZZA
Non lasciamoci illudere da buone parole o da qualche bella risoluzione in occasione di ritiri! «Chr stus pas sus
est» (Pt. II, 20). Fratelli, Cristo ha sofferto! Se vogliamo diventare Sacerdoti santi e fecondi, Fratelli, dobbiamo
soffrire. Se si esclude il dolore, è inutile pensare di mettersi a far del bene e a santificarsi. Do vete dunque dire:
«Voglio soffrire, soffrire molto», con la stessa fa cilità con cui direste: «Voglio diven tare un buono e santo
Sacerdote». È la stessa cosa.
Dobbiamo essere fermamente fedeli a questa risoluzione di soffrire: è un'ancora di salvezza. Si rabbrividi sce
talvolta nel proprio intimo al pensiero di quanto ci potrà riserbare questo desiderio: «Voglio soffrire». Non
badateci, lasciate che il vostro essere tremi e frema, e continuate a dire umilmente: «Voglio soffrire». Ben
presto familiarizzerete con que sta idea e comincerete ad apprezzare la sofferenza; forse, ad amarla.
VALORE DELLA SOFFERENZA
Lavorare è bene, pregare è meglio, ma soffrire è meglio ancora. Manca forse qualcosa, oggi, alla mensa del
Sacerdote? La sua casa è forse men comoda di quella di un ricco? Che cosa manca al suo abbigliamento e al
suo svago? Ep pure, per il Sacerdote più che per gli altri cristiani valgono le parole di Gesù: «Qui non renuntiat
omni bus» (Lc. XIV, 33); «Si quis vult post me venire, abneget semetipsum, et tollat crucem suam et sequatur
me» (Mt. XVI, 24). Può darsi che il futuro s'incarichi di fare assomigliare di più la nostra vita a quella del Salva
tore. Comunque sia, da veri amici della croce accettiamo intanto ogni infortunio, ogni contraddizione, ogni
malattia, ogni prova interiore ed esteriore: «In cruce salus, nobis et animabus».
«Vos estis lux mundi» (Mt. XV, 14). Se la vostra vita non mostra davanti al mondo il sigillo della croce, che cosa
sarà la vita degli altri uomini?
«Vos estis sai terrae» (Mt. V, 13). II sale della terra più che la predi cazione, è la sofferenza.
Perciò, o Fratelli, non lasciatevi sco raggiare da un insuccesso o abbat tere da una derisione; basta coi so spiri
impazienti davanti alle contrad dizioni, via la malinconia sfiduciata quando, dopo tanti anni di fatica, non
raccogliete un bel nulla! Non scorag giatevi nelle malattie, ma soprattut to non abbandonate il vostro ideale per
malintesi e contraddizioni, an che se venissero da parte dei supe riori. Soffrire e obbedire.
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MAGNANIMITA' E OBBEDIENZA
II servitore è forse da più del Mae stro? Noi siamo intelligenti, ce la caviamo bene a ideare, organizzare e
sviluppare le nostre opere; non ci manca preveggenza e senso di iniziativa e neppure l'ardore dello zelo. Ma
Gesù era più intelligente, più zelante, più preveggente, più a cuto di noi. II suo zelo era un fuoco divoratore.
Sapeva organizzare la sua vita meglio di noi... E tuttavia Gesù obbedisce in tutto e per tutto a Giu seppe e
Maria. L'ultima parola Egli la lascia all'autorità; e per trent'an ni ne riconosce e insegna il valore. II valore
dell'obbedienza sorpassa ogni stima se noi pensiamo che que sto Gesù, che a tutti obbedisce, è Dio. Tutta la
sua fanciullezza e la sua giovinezza, la sua missione e la sua morte - una morte sulla croce - furono un grande
atto di obbedienza. «Factus est oboediens usque ad mortem, mortem autem cru cis» (Fil. II, 8).
Fratelli, obbedire è qualche volta al quanto duro. Tuttavia, anche se ve diamo chiaramente il nostro diritto,
anche se le nostre intenzioni sono eccellenti, obbediamo. Niente c'im pedisce di esporre le nostre idee
all'autorità, ma dobbiamo esser pron ti ad abbandonarle immediatamente se il giudizio dei superiori è contra rio
al nostro modo dì vedere.
Obbedire è nello stesso tempo ave re confidenza: perché mediante l'obbedienza voi trionferete sicuramen te. Sì,
noi dobbiamo crederlo senza ombra di dubbio.
In un ordine penoso c'è, nascosta, la parola di Dio: «Vir oboediens loque tur victorias» (Pr. XXI, 28). Fratelli,
obbediamo anche alla volontà di Dio espressa in forma sì chiara e pre cisa nei nostri Statuti diocesani;
abbracciamoli e osserviamoli: fac ciamone la nostra santa Regola. Pos siamo ben dirci fortunati noi, poveri
Sacerdoti secolari, di avere almeno una piccola Regola; quasi quasi pos siamo obbedire come dei veri Reli giosi.
Che fortuna! Intanto però, for se i nostri Statuti rimangono dimen ticati, coperti di polvere in un angolo della
nostra libreria. No, Fra telli: essi devono stare a portata di mano, sul nostro tavolo, sul nostro inginocchiatoio;
essi devono divenir ci familiari e cari come il nostro Bre viario, dobbiamo servircene spesso per lettura spirituale,
e impararli a memoria, come diceva Monsignor Seghers.
ESIGENZE DELLA SANTITA'
Sì, Fratelli: povertà, umiltà, sofferenza, obbedienza e ancora tante altre penose esigenze: ecco che cosa vi
impone la aspirazione alla santità. La santità esige ancora purezza eroi ca negli sguardi, nelle parole e più
ancora nelle relazioni. Dobbiamo es sere «tanquam angeli».
La santità esige una continua vigi lanza e un raccoglimento altrettanti costante, per poter cogliere e secon dare
la grazia di Dio.
La santità esige una ininterrotta a scensione, con un sereno abbando no; la santità vuole tutto, e per di più,
vuole tutto nella giusta misura, con discrezione e decisione insieme. Non c'è dunque da meravigliarsi se,
insieme all'aspirazione ad una vita sacerdotale santa, voi provate un ve ro terrore quando esaminate a fondo
che cosa voglia dire «santità». C'è veramente da sgomentarsi se si con sidera quanto pochi sono coloro che
riescono a rimanere perseveranti nello stretto sentiero della perfezio ne. «Si isti et illi defecerunt, cur non ego?».
E se spingessimo ancor più lontano l'enunciazione degli o stacoli e dei pericoli che ci attendo no su questo
cammino, forse pen seremmo, quasi disperati, di ritirarci dal mondo e di cercar salvezza in un convento.
FIDUCIA E ABBANDONO IN DIO
Fratelli, questo timore non è senza fondamento; l'ideale è alto, le esi genze innumerevoli, non meno nu merosi
gli ostacoli. Tuttavia, dopo molto soffrire e sospirare sulla stret ta via della perfezione, è pur certo che
arriverete alla méta: è fuor di dubbio: perché voi volete arrivarci, perché è evidente che prendete sul serio la
santità. Voi lo volete, e Dio lo vuole. Che manca dunque ancora? Sapete bene che la Sua grazia non s'arresta
davanti a nulla e che non la dà mai vinta, solo che noi le pre stiamo il nostro concorso. E sapete altrettanto
bene che le difficoltà e gli ostacoli, sotto l'azione meravi gliosa della grazia, si cambiano tal volta in aiuti e
cooperano mirabil mente al bene. Perché: «Diligentibus Deum omnia cooperantur in bonum» (Rm. VIII, 28).
Che dobbiamo ancora temere? La grazia di Dio rimane con noi; la gra zia è Dio con noi, Dio in noi. «Si Deus pro
nobis, quis contra nos?» (Rm. VIII, 31). Se Dio si mette al no stro fianco, che cosa si può ancora chiamare
ostacolo? «An tribulatio? an angustia? an fames? an nuditas? an periculum? an persecutio? an gla dius?» (Rm.
VIII, 37). Già, forse la spada o la morte che abbiamo an cora a temere? «Sed in his omnibus superamus
propter Eurn, qui dilexit nos» (Rm. Vili, 37): supereremo tut to, grazie a Colui che ci ama.
OMNIA VINCIT AMOR
No, Fratelli, possiamo considerare ad una ad una tutte le persone, le abitudini, le cose che ci si presenta no
come ostacoli sul cammino della santità. «Certus sum»: potete dire con San Paolo; io sono sicuro che nessuna
creatura al mondo ha il po tere di allontanarmi dal cammino della santità, la quale è chiamata dall'Apostolo:
«Charitas Dei quae est in Christo lesu Domino nostro». No, Fratelli: la vita attiva non è una notte ove si spegne
il lume dell'idea le: essa è, invece, un'aurora che innalzerà questo lume e lo farà ri splendere in mezzo alle nubi.
La vita attiva, piena di triboli e spine, di viene un terreno fertile per coloro che non temono di praticarla energi-
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camente e di irrorarla di sudore e di sangue. La vita attiva non pre senta solamente la lotta, ma offre pure la
vittoria e la consolazione. Se alcuni dei migliori vi hanno per duto il loro ideale, abbiate più fidu cia di quella che
essi hanno avuto, umiliatevi più profondamente per la vostra debolezza, e una grazia più abbondante vi
condurrà senza dubbio a un felice successo.
FILIALE RICORSO A MARIA
Cari Fratelli, c'è un segno per voi, il quale vi presagisce in modo sicuro che non vi affaticherete invano, un
segno il quale vi dà la certezza che le vostre sante aspirazioni raggiun geranno la méta: voi siete «schiavi di
Maria». Fratelli, voi le appartenete, siete sua proprietà, suo tesoro: Maria ha preso la vostra causa nel le sue
sante mani. Quand'anche i vostri difetti abituali fossero il dop pio di quel che sono, quando pure si
moltiplicassero per dieci e per cento i confratelli che, intrapreso il cammino della santità, cadono e si arrendono
miseramente: «cadent mille a dextris et decem milia a si nistris... ad te autem non appropin quabit» (Sai. XC,
7); da voi, vi assi cura Maria, il flagello rimarrà lon tano.
Ne farete l'esperienza se resterete gli umili e zelanti piccoli schiavi di Maria. La Vergine potente «scapu!ís suis
obumbrabit tibi, et sub pennis eius sperabis» (Sal. XC, 4): Ella vi coprirà della sua ombra, e voi ve ne starete
calmi e fiduciosi sotto le sue ali. Ella si porrà in cammino al vostro fianco e vi condurrà per delle scorciatoie
segrete. La sofferenza non vi risparmierà, ma Ella giungerà a farvene sentir la fame, come di ali mento di cui
non potete fare a meno. O Maria! Maria! Questo nome sarà come miele e balsamo sulle vostre labbra. Maria!
Maria! Maria! Ave Maria! Chi può resistere a questo nome? Chi dunque - ditemi - chi dunque si perderà col
nome di Ma ria sulle labbra? Maria! Maria! La Madre dei piccoli, la forza dei de boli, la stella nella tempesta... Ma
ria! Maria! Vi sentite privi di aiuto? Ave Maria! Avete perso il corag gio? Ave Maria! Soffrite di aridità spirituale?
Ave Maria! Siete in pena, vi sentite in pericolo? Ava Maria! Ave Maria!
Ah, questa parola incantevole, questo dolce canto... questa potente in vocazione: Ave Maria! Consolazio ne
degli oppressi, coraggio dei pic coli, forza dei deboli, Ave Maria! Quando pronuncio il tuo nome, il mio cuore è
tutto infiammato “Ave Maria!” Allegrezza degli angeli, nu trimento delle anime, Ave Maria! Fratelli, non ho altro
da aggiungere; voi sapete già tutto: amate Maria! Che debbo ancora insegnarvi? Voi conoscete il segreto, il
segreto di Maria. Siete sulla strada buona, la strada più breve, più sicura, più facile: restare i piccoli schiavi, i
pic coli, i coraggiosi schiavi di Maria.
Ah, Maria! Potessimo vederli, per prenderli a modello, questi Sacer doti di Maria! Maria, abbi pietà di noi, pietà
delle anime, pietà della tua Chiesa! Maria! Maria! L'empietà e la corruzione invadono la città, il flagello del
peccato penetra, passan do per la parte dei poveri e dei ric chi, in milioni di anime; odio e in giustizia regnano
su tutti i popoli; tutto ciò che i secoli avevano sino ad oggi risparmiato, oggi si sfascia e crolla miseramente.
PER LA SALVEZZA DEL MONDO
Maria! Maria!... II demonio sta per impadronirsi della piazza, sta per en trare nei nostri villaggi, nella scuo le,
nelle famiglie.
Potrà forse espellere il Vangelo del tuo Figliuolo, cacciarlo dalla società e dal cuore degli stessi cristiani? Riuscirà
forse a far adorare Mam mona al posto della Croce? Maria! Maria!... Madre di misericordia, il mondo sta
subendo la sua punizione. Solo Tu puoi formare le anime ca paci, di arrestare il braccio di Dio; forma dunque
dei Sacerdoti nuovi, dal cuore di fuoco, per incendiare questo mondo freddo e arido; e do na a questi apostoli
una lingua nuo va, che vada diritta ai cuori e scuota anche le anime più indurite. Forma dei Sacerdoti, dei
Sacerdoti santi, che secondino la grazia e volino al suo minimo cenno. Forma dei Sa cerdoti semplici e umili, dei
Sacerdoti come gli Apostoli, che facciano rivivere fra i pastori e le pecorelle il fervore della perfezione evange
lica.
O Maria! O Maria! Non ti chiediamo onori, gloria; ti domandiamo solo di essere tuoi veri schiavi, di cui nes suno
parli, nessuno sappia niente, ignorati, disprezzati, piccoli di den tro e di fuori, ma interamente devoti e asserviti
a Te per la salvezza delle anime! «Mites et umiles», dolci e umili come Te, come Gesù, ma fe deli e intrepidi,
senza debolezza e senza rispetto umano.
CONCLUSIONE
Maria, onnipotente mediatrice, apri infine il tuo cuore colmo d'amore e le tue benefiche mani. Fa' piovere sulle
nostre povere anime questa grazia tanto attesa! Eccoci davanti a Te, vergognosi per la nostra inde gnità,
dubitosi per la nostra debo lezza e miseria: fa' di noi dei tuoi veri schiavi. Per amore dei peccato ri, o Maria! Per
amore della santa Chiesa! O Maria, o Maria, per amo re di Gesù...
Quando riaprirà gli occhi questo po vero mondo? Quando si sveglierà per riconoscere che le sue gioie so no
solamente delle catene? Quando dunque, o Maria, quando si risolleve rà questo povero mondo per ritornare ai
piedi di Gesù singhiozzando: «Pec cavi»? Quando schiaccerai di nuovo e per sempre la testa al serpente?
Quando finalmente Gesù regnerà co me merita? Quando il povero mondo ripeterà di nuovo le tue lodi con
quelle di Gesù: «Laudetur lesus et Maria»?
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