UNA VOCE PER UNA CHIESA
Editoriale per il Settimanale Diocesano “La Voce”
12.11.2005
L’intestazione del Settimanale diocesano LA VOCE DI FERRARA-COMACCHIO mi ha subito
incuriosito e stimolato ad approfondire l’etimologia del termine VOCE e dei suoi contrari
MUTEZZA e SORDITA’.
“Voce” è un vocabolo di origine indoeuropea che significa all’origine: “un suono che indica un
fatto o definisce un nome”.
“Voce” è – per dirlo con Platone (Timeo 67 B) – “l’urto che, attraverso l’orecchio per mezzo
dell’aria, del cervello e del sangue, si trasmette fino all’anima”.
“Essere muto”, invece, è l’incapacità di emettere suoni (qualche etimologo fa risalire il termine
onomatopeico all’unico grido “MU” possibile ai bovini); perciò il termine denota incapacità di
comunicare e allude alla lingua intorpidita.
“Essere sordo” è la minorazione dell’udito, forse indicata etimologicamente dall’ostacolo
all’azione dell’”udire”; e perciò significa l’incapacità di decodificare e quindi di calare
nell’animo i suoni che giungono dalla voce.
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Questi tre vocaboli – voce, mutezza, sordità – sono entrati nella Bibbia e nel Cristianesimo.
“Voce” viene a significare: messaggio, chiamata, racconto, invito, preghiera, rivelazione,
teofania.
“Sordità” viene a significare: insensibilità, impermeabilità, sclerosi, (sclerocardia = durezza di
cuore), ostinazione, rifiuto.
“Mutezza” viene a significare: incapacità di comunicare, di riconoscere, di apprezzare; mutismo
deliberato e ostinato; incomunicabilità degli animi.
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Torniamo a “La Voce di Ferrara-Comacchio”.
Questa Arcidiocesi, come tutte le Chiese del mondo, come tutta la Chiesa nel mondo, deve
evangelizzare. Cioè: parlare, come messaggera di Gesù.
Una Chiesa senza voce è una contraddizione.
La Chiesa è voce: “evangelizzare è la grazia e la vocazione propria di tutta la Chiesa, la sua
identità più profonda. Essa esiste per evangelizzare” (E.N. 14). La Chiesa si fa colloquio, dialogo,
parola: dall’orecchio all’anima.
Parlare, ammonire, trasmettere non è un hobby per la Chiesa, ma un debito.
A una donna, la Samaritana, Gesù ha detto: “Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è che ti dice:
dammi da bere…!”. E quando la donna lo imparò, corse a dire la grande notizia: aveva trovato
Cristo, il Messia.
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La Chiesa deve andare, deve dire, deve invitare, deve informare, deve inquietare, deve rivelare,
deve guidare, deve ammonire, deve preannunciare, deve correre a chiamare.
Deve farsi voce.
La voce poi si è fatta, nei secoli, immagine e scrittura; e la Chiesa ha prestato il proprio “suono
evangelico” alle icone, ai mosaici e ai codici manoscritti. Poi è giunta la stampa e la voce si è
affidata ai libri. Poi sopraggiunge il cinema, la televisione, la telematica: e si moltiplicano, di
conseguenza, anche i veicoli della voce evangelizzatrice.
E il giornale ecclesiale si inserisce fra gli altri veicoli della comunicazione – come un cerchio
concentrico di uno stagno – a dilatare l’opera evangelizzatrice.
“Giornale”: pubblicazione periodica che annota, commenta, trasmette l’andamento della Chiesa
evangelizzante.
E l’Arcidiocesi di Ferrara-Comacchio ha, nel giornale, un veicolo della sua voce.
Da cinquant’anni essa, la Chiesa Ferrarese-Comacchiese, parla dal proprio Giornale “La Voce”.
Dice ciò che essa vive; ciò che i Vescovi diocesani dicono; ciò che la comunità diocesana
sperimenta, gioendo o soffrendo; ciò che il Territorio butta sul tappeto di questa Provincia; ciò
che da qui si intravede nella problematica della Chiesa e del Mondo; delle Religioni e della
Civiltà; ciò che si affaccia allo scenario del Pianeta o all’angolo del Delta Padano: tutto è
intravisto dalla “Voce”, reinterpretato dalla “forma mentis” cristiana. Così da instaurare, con i
membri della Chiesa e con i cittadini che lo desiderano, “un dialogo sui vari problemi, arrecando
la luce che viene dal Vangelo” (G.S. 22), “lieta di scoprire e pronta a rispettare i germi del Verbo
di Dio nel gruppo umano di cui fa parte”. (Cfr G.S. 11)
Dopo cinquant’anni de “La Voce” è indispensabile farsi alcune domande:
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E’ stata genuinamente evangelica la voce di Ferrara?
-
E’ risuonata adeguatamente tale voce, così da scendere dall’orecchio, dall’occhio, nel
cervello, nel sangue fino all’anima dei ferraresi?
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Chi ha parlato-scritto nel giornale ha sempre avuto coscienza di essere “voce della
Chiesa”?
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Si può dire che la “scuola giornaliera” della chiesa ferrarese-comacchiese trovava nel
giornale la propria cattedra abituale, efficace, tempestiva, educativa?
E altre domande inquietanti è necessario farsi di fronte alla “Voce” cinquantennale della
nostra Chiesa:
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Se sordo è chi non apprezza, chi non riconosce, chi è insensibile alla voce, quanti sono i
“sordi” alla “Voce di Ferrara-Comacchio”, che lasciano il giornale al suo destino; che
attingono da altre cattedre ben altre voci; che lasciano languire, nell’angolo più riposto
della chiesa parrocchiale, la “Voce” della loro diocesi?
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Se sordo è chi non è attento al suono emesso da chi parla, (perché incapace di udire) esiste
anche qui “quel peggior sordo che non vuol sentire”?
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Se sordo nell’animo è chi è affetto da sclerocardia, quanti sono tali “cardiopatici” nella
nostra Diocesi che non hanno più sete di verità e di profondità circa la fede cristiana,
risultando esangui per se stessi, per la Chiesa e per l’umanità?
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E’ evidente che l’Arcivescovo raccomanda, a chi è addetto a far risuonare la “Voce”, di essere
“vivo”, comunicativo, efficace, tempestivo, ortodosso, attento, infervorato, informato, vigile,
formativo, dialogico, antiveggente.
La “voce” infatti deve essere armonica, non stridula; deve essere gradita non sopportata; deve
essere desiderata non negletta.
Ma è altrettanto ovvio che l’Arcivescovo raccomanda ai Diocesani che non vogliono essere
sordi e perciò muti; che non vogliono mettersi in fila tra i “lagnosi in perpetuo lamento”
(Nicolò Tommaseo); che vogliono, invece, conoscere la “voce” della loro Chiesa, i fatti della
propria comunità Diocesana, la vicenda del loro tempo, gli sforzi dei loro fratelli di fede,
di abbonarsi a “la Voce”;
di collaborare a “ la Voce”;
di dar fiato a “la Voce”;
di divulgare “la Voce”;
di leggere la “la Voce”;
di custodire la “la Voce”;
di amare “la Voce”.
 Paolo Rabitti
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