- Vettore risultante di più vettori: regola dei parallelogramma

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1
SCUOLA SUPERIORE ANNO SCOLASTICO 2010-2011
CLASSE 5 scientifico A
Argomenti di fisica - Trattazione sintetica
( insegnante M. Grazia Bevitori)
Rappresentanti di classe:
Carica elettrica: è una proprietà della materia che genera la seconda forza presente nell’universo (la forza
1.
elettromagnetica). Le particelle atomiche possiedono cariche, convenzionalmente, il protone + e l’elettrone
-.
Se la materia perde o acquista elettroni , si dice che si carica, per cui fra due corpi elettrizzati, si manifesta una forza
attrattiva o repulsiva, detta Forza di Coulomb. Quantizzazione della carica: le cariche presenti in natura, o prodotte,
sono multipli interi di una quantità minima, indivisibile (quanto di carica) che in valore assoluto è la carica
dell’elettrone ( 1,602· 10-19 C). (La carica dell’elettrone è una costante fondamentale della fisica).
Legge di conservazione della carica: la somma algebrica delle cariche elettriche di un sistema isolato si mantiene
costante, qualunque siano i fenomeni che in esso hanno luogo.
2.
Legge di Coulomb: Due corpi puntiformi elettricamente carichi interagiscono con una forza F attrattiva o
repulsiva che è direttamente proporzionale al prodotto delle cariche, inversamente proporzionale al quadrato della
distanza r. La costante di proporzionalità K dipende da mezzo interposto (dielettrico). Per il vuoto Ko = 9·109 Nm2/C2, e
viene espressa come Ko = 1/(4o)
formula:
dove o = 8,859·10-12 C2/Nm2 , è detta costante dielettrica del vuoto. In
F = Ko· q1·q2∕r2 ;
F = 1/(4o) · q1·q2∕r2
è massima nel vuoto.
In un dielettrico diverso (vetro, acqua, olio…), la forza diminuisce. Si divide la forza nel vuoto
Fo per r, costante
dielettrica relativa, tipica del dielettrico considerato (per l’acqua r vale circa 80) .
F = 1/(4o· r) · q1·q2 / r2
3.
Campo elettrico: Se in una zona dello spazio è presente un corpo carico, esso fa sentire la propria azione su
altri corpi carichi. Si definisce il vettore campo elettrico
punto, agisce sull’unità di carica. In formula:
E, in un punto dello spazio, la forza risultante F che, in quel
E = F/q , si misura in N/C (oppure Volt/metro). Quindi in ogni punto
P dello spazio esiste un vettore (che ha modulo, direzione e verso) e l’insieme di questi vettori costituisce il campo
elettrico generato. Una carica Q isolata, puntiforme, genera un campo radiale, che diminuisce col quadrato della
distanza r, diretto lungo r. Il campo si rappresenta mediante linee di forza orientate (linee di Faraday), che in ogni
punto hanno come tangente il vettore campo E. Conoscendo l’intensità del campo E, La forza che agisce su una
carica q è data da F =
E·q.
Configurazioni di campi:
Carica isolata ( campo radiale)
Due cariche di segno uguale
+
_
+
+
2
Due cariche opposte
(dipolo)
Lamina sottile
Due lamine (condensatore)
(campo uniforme)
(uniforme all’interno nullo all’esterno)
++++++++++++
_
+
++++++++++++
++ +
_____________
Per una sfera di raggio ro, caricata con carica Q, il campo all’interno è nullo, perché internamente non ci sono cariche,
superficie ha valore massimo E= K∙ Q/ro2 , all’esterno diminuisce col quadrato della distanza.
sulla
+ ++ +
+
+
+
E=0
+
+
+
+
+
+ + ++
E
ro
4.
Energia potenziale e potenziale elettrico: la forza elettrostatica è una forza conservativa. Il lavoro che essa
compie quando una carica si sposta da un punto A ad un punto B all’interno del campo elettrico, dipende solo dalla
posizione iniziale e finale, non dal percorso. Il lavoro si esprime come differenza fra l’energia potenziale
UA e l’energia
potenziale UB. L’energia potenziale posseduta dalla carica q, che si trova nel punto A, a distanza r da Q, generatrice del
campo, è l’energia di posizione dovuta al lavoro fatto per portare, la carica q vicino a Q, nel punto A, partendo da
distanza molto grande, teoricamente da distanza infinita. Quindi quando la forza sposta la carica q da distanza r fino a
distanza infinita (cioè molto grande), dove U = 0, fa lavoro
L = UA - Uinfinito ,
cioè
L = UA.
U si misura in
Joule.
Q genera il campo
q si sposta
L = F∙ r =
∫
KQq/r2 dr = - KQq/r
Q + ________________q+_________________
rA
L = - KQq/rB - ( - KQq/rA ) = KQq/rA
rB
- KQq/rB
; L = UA – UB
Il potenziale V in un punto P del campo è l’energia potenziale in quel punto per unità di carica.
V = U/q si
misura in J/C che si chiama V (volt). La differenza di potenziale V (o d.d.p., o tensione ) VA – VB tra due punti del
campo, è il
lavoro che la forza compie per unità di carica, è in pratica il lavoro del campo elettrico E. U e V sono scalari.
→
V = K Q /r ;
VA – VB = UA – UB = L/q
L = (VA – VA) q ; VA – VB = ( F /q) · r = E · r ;
V = U/q = KQq/(rq)
la differenza di potenziale VA – VB è il lavoro del campo
E
3
5.
Flusso del campo elettrico: si definisce flusso
 del campo E attraverso una superficie A, il prodotto fra E e la
superficie perpendicolare al campo (se la superficie è parallela al campo, non viene attraversata dalle linee di forza ,
quindi il flusso è nullo). Il flusso mette in relazione il campo E con le sue sorgenti che sono le cariche elettriche
generatrici del campo. Mediante il Teorema di Gauss, possiamo calcolare il valore di vari campi E.
Flusso generato da una carica isolata attraverso una superficie chiusa: il campo è radiale, quindi la superficie
perpendicolare al campo è la sfera (vedi figura).
E1
S E2
E = 1/4o ∙ Q /r2 ;
 = E∙ S ∙ cos 
S
E

S
E3
r
Q +
S
r
S ;  = E∙ S

S E4
SSSS = SSSSn = ∙r2
E∙SSSSn1/4o ∙ Q/r2∙r2Q/o
Questo risultato valido per la sfera è valido per ogni superficie chiusa. Il teorema di Gauss dice che il flusso del
campo E attraverso qualsiasi superficie chiusa è uguale alla somma di tutte le cariche racchiuse dentro la
superficie diviso la costante del dielettrico.

Qi / o
le cariche sono le sorgenti del campo elettrico (1a equazione di Maxwell)
Campo di una lamina carica
di area A
 = E · 2A = Q/ o
E = Q/(2Ao) = o
E
E uniforme
++++ ++++++++++++++++++++++++
 = Q/A
______________________________:
Campo di due lamine cariche
di area A (condensatore piano)
E = o
Campo di un filo carico lungo L
 = E · 2rL = Q/ o
E = Q / (2rLo) = /(2r o)
++++++++++++++++++++++++++++
 = Q/L
+ + + + + + + + + + + + + + + + + + + + + + + + + + densità lineare
4
Capacità elettrica: la capacità elettrica di un conduttore è il rapporto fra la carica Q presente sul conduttore e il
6.
potenziale V a cui il conduttore si trova; è cioè la quantità di carica sul conduttore per ogni volt di potenziale. Si misura
in C/V, che è il Faraday (F).
C = Q/V. La capacità di una sfera di raggio r, nel vuoto è:
C = Q / ( KQ/r)
+
semplificando Q, diventa:
+
+
+
+
C = 4o r ; la capacità dipende solo dalle caratteristiche geometriche e dal dielettrico.
+
+
+
r
+
+
+ + +
Condensatore piano: si chiama condensatore piano una coppia di conduttori a forma di lamine sottili, una di fronte
all’altra (armature) separate da un dielettrico (cioè un isolante).La capacità C di un condensatore è:
C = Q /( VA – VB ) ; poiché
VA – VB = E∙ d , dove d è la distanza fra le armature,
diventa C = Q /Ed ; ma E = allora C = Q· o/ (· d );  = Q/A ; C = Q· o A/ (Q· d)
C = o · A / d
All’interno di un condensatore il campo è uniforme, vale E =/o. Una particella carica, quando entra con velocità
v, in un condensatore carico, viene accelerata e deviata dal campo, si muove di moto parabolico.
______________________________:
.
e-
++++++++++++++++++++++++++++
7.
Lavoro di carica di un condensatore (energia): per caricare un condensatore occorre trasportare una carica
+Q sull’armatura che si carica positivamente e contemporaneamente una carica – Q sull’altra armatura negativa.
Il lavoro è dato da L = Q V, ma nella fase di carica V e Q non sono costanti, V cresce proporzionalmente
all’aumentare di Q, vedi grafico. Il lavoro di carica è quindi l’energia immagazzinata nel condensatore, è rappresentata
dall’area tratteggiata nel grafico. (triangolo).
L = Q ∙ V /2 ; ponendo Q = C ∙V allora L = 1/2 ∙ C ∙ V2 oppure L = Q2/(2C) ; perché
V = Q/C.
L = ∫ V dq =
∫ q/C dq = q2/2C = Q
2
/2C
Joule.

V
L
0
8.
Q
q
Collegamento in serie di condensatori: Si collegano come in figura ; su tutte armature è presente la stessa carica
elettrica ( +Q e –Q). La d.d.p. V si distribuisce sui condensatori in serie in modo che V = V1 + V2 + V3…… allora
Q/C1 + Q/C2 + Q/C3 = Q/Ce ; allora
+Q
+
- + - + -
1/Ce
= 1/C1 + 1/C2 + 1/C3 ………
-Q
Serie
V
+
- + - + V1
V2 V3
La capacità equivalente di n condensatori in serie è tale che il suo reciproco è uguale alla somma dei reciproci
delle singole capacità.
5
9.
Collegamento in parallelo di condensatori: le armature sono tutte alla stessa d.d.p. V; la carica si distribuisce
sulle armature in modo che
Q = Q1 + Q2 + Q3 allora Ce V = C1V + C2V + C3V ; semplificando V la
capacità di un collegamento di n condensatori in parallelo è data dalla somma delle capacità dei singoli condensatori.
Parallelo
C = Q/V allora Q = CV
Q1 +
- C1
Q2 +
- C2
Q3 +
- C3
Ce = C1 + C2 + C3 ……
V
10.
La corrente elettrica nei conduttori solidi: la corrente elettrica è uno spostamento ordinato di cariche elettriche
che si ha in un conduttore quando ai suoi estremi viene applicata una d.d.p. L’intensità di corrente è la quantità di
carica che attraversa la sezione di un conduttore in un secondo; i = q/t. ( E’ la derivata prima, rispetto al tempo
della funzione q(t )) . E’ una grandezza fisica, la sua unità di misura è l’Ampère (A). (Nel sistema internazionale è una
misura fondamentale, come il metro, il kg, il secondo). 1 A = 1 C/1sec. I portatori di carica in un metallo sono gli
elettroni esterni degli atomi: questi elettroni, delocalizzati, sono liberi di muoversi da un atomo all’altro. Invece gli ioni
positivi occupano i nodi del reticolo cristallino e possono compiere piccole oscillazioni intorno alla posizione di
equilibrio, per agitazione termica, ostacolano quindi il moto delle cariche e sono responsabili della resistenza elettrica
che gli elettroni incontrano quando si muovono all’interno di un conduttore. Gli elettroni si muovono da punti a
potenziale minore, verso punti a potenziale maggiore, in verso contrario al campo (dal – al +). Per convenzione invece
il verso della corrente è quello dal + al - , come se fossero cariche positive a spostarsi. Questo perché, quando si
cominciò a studiare le correnti, non si conosceva ancora l’esistenza dell’elettrone, scoperto da Joseph John Thomson
(1856-1940), intorno al 1897. Ebbe il premio Nobel nel 1906.
11.
Le leggi di Ohm: se ai capi di un conduttore si applica una d.d.p. V, esso viene attraversato da una intensità di
corrente i, tale che vale la seguente relazione:
R = V/i dove R è costante e viene detta resistenza elettrica. La sua
unità di misura è l’ ohm: 1  = 1V/1A.
1a legge di Ohm:
V = R i ; i conduttori che seguono questa legge sono detti ohmici ; R è una grandezza
caratteristica del conduttore e dipende dalle condizioni in cui esso si trova (temperatura, pressione). Se R è grande, la
corrente che circola sarà piccola (inversa proporzionalità fra R ed i), R esprime la difficoltà che incontrano le cariche a
muoversi nel conduttore. R dipende dalle caratteristiche geometriche e chimiche del conduttore;
la 2a legge di
Ohm esprime proprio questo:
R =  L/A dove è la resistività del materiale (caratteristica chimica), L è la lunghezza del conduttore (filo), A
è l’area della sua sezione. La resistività  è molto piccola nei metalli, ma cresce con la temperatura. Il movimento degli
elettroni di conduzione è ostacolato dalle vibrazioni degli ioni del reticolo cristallino. Con l’aumentare della
temperatura cresce l’ampiezza delle oscillazioni degli ioni attorno alle loro posizioni di equilibrio nel cristallo, quindi
aumenta la resistenza elettrica R.
R aumenta se il conduttore è molto lungo oppure ha sezione piccola (filo sottile).
6
Effetto Joule: consiste nella produzione di una quantità di calore Q da parte di un conduttore di resistenza R,
12.
quando è attraversato da una intensità di corrente i =q/t, per un certo tempo t. Ricordando che quando una carica q si
sposta da potenziale VA a potenziale VB, il lavoro che le forze compiono è dato da L = q (V A-VB) e sapendo che la
potenza è il lavoro compiuto in un secondo di tempo ( W = L/t in Watt), allora l’energia erogata dal generatore U, pari
a L, nella resistenza si trasforma in calore. Chiamando V = V A-VB l’energia è :
ponendo q/t = i, allora
U = i V t ; ma i = V/R , quindi U =
V2
U = q V t;
t /R, oppure U = i2 R t.
Dividendo per t si ottiene la potenza W.
L’energia al secondo (potenza) è : W
= i V, oppure ponendo V = R i , diventa W = i2 R in Watt, o anche
W = V2 / R
Questa è l’energia che si trasforma in calore (unità di misura joule o kcal, 1 kcal =4186 J). Le stufe elettriche, il ferro
da stiro, le resistenze di un forno elettrico, l’asciugacapelli, sfruttano l’effetto Joule: trasformano l’energia elettrica in
calore).
13.
Resistenze in serie in un circuito: si collegano i resistori unendoli uno di seguito all’altro,in modo che siano
attraversati dalla stessa intensità di corrente i. La d.d.p. erogata dal generatore si divide in parti direttamente
proporzionali alle singole resistenze. Avremo quindi diverse d.d.p. (cadute di tensione), ai capi di ciascuna resistenza,
ma per la conservazione dell’energia, la somma di queste tensioni parziali ( V1, V2, V3, come in figura) ai capi delle
singole resistenze, sarà uguale alla d.d.p. (o forza elettromotrice) erogata dal generatore. La conservazione dell’energia
in un circuito è il
secondo principio di Kirchhoff: cioè
V1 + V2 + V3 = V per tre resistenze in serie : R1i + R2i + R3i = Rei dove i è la stessa nel circuito.
Semplificando i troviamo che la resistenza equivalente di un circuito in serie è pari alla somma delle singole
resistenze: R1 + R2 + R3 = Re .
Serie
parallelo
R1
R2
+
14.
+
R3
R1
R2
R3
_
_
Collegamento di resistenze in parallelo: il collegamento in parallelo viene realizzato in modo che tutte le
resistenze siano soggette alla stessa tensione (o d.d.p.). La corrente si divide invece nei vari rami del parallelo, ma per la
conservazione della carica, la corrente in entrata è uguale alla somma delle correnti in uscita.
Questo è il primo
principio di Kirchhoff. Nel nodo A avviene che i = i1 + i2 + i3. Per la 1a legge di Ohm
V/Re = V/R1 + V/R2 +V/R3 fra i punti A e B c’è la stessa d.d.p. V , ne segue che
1/Re
= 1/R1 + 1/R2 + 1/R3
nel nodo A la corrente i entrante è uguale alla somma delle correnti uscenti.
la resistenza equivalente del circuito Re è tale che il suo inverso è uguale alla somma degli inversi delle singole
resistenze.
i1 - i2 - i3 - i4 = 0
i2
i1
A
i3
i4
Nel nodo A
i1 = i2+i3+i4
7
15. Campo magnetico: Esiste in natura un minerale di ferro: la magnetite (noto già nel 6° secolo a.C. al filosofo
Talete) che ha la proprietà di attirare materiale ferroso. Anche l’acciaio acquista questa proprietà se entra in contatto con
la magnetite (si magnetizza soprattutto agli estremi). Le sostanze ferromagnetiche si magnetizzano (Fe, Co, Ni e le loro
leghe, l’acciaio per esempio). Una calamita genera nello spazio circostante un campo di forze che chiamiamo campo
magnetico B. Poiché non esiste una carica magnetica isolata (monopolo Nord o monopolo Sud), per evidenziare il
campo di forze si utilizza un ago magnetizzato (ago della bussola) che sotto l’azione delle forze magnetiche si orienta
nella direzione del campo. Le linee di forza sono chiuse perché non c’è carica magnetica, per convenzione seguono il
verso Nord-Sud e continuano anche dentro la calamita dal Sud al Nord senza interruzione, non come nel campo elettrico
dove le sorgenti sono le cariche e quindi le linee di forza partono dalle cariche generatrici del campo elettrico.
16. Le sorgenti del campo magnetico: ancora oggi non è stato possibile isolare le cariche magnetiche (monopoli).
Le esperienze di Oersted (1820) dimostrano che una corrente elettrica genera nello spazio circostante un campo
magnetico H. Il campo però lo si indica con B (induzione magnetica): B = o·H
In un conduttore rettilineo percorso da una corrente di intensità I, il campo magnetico B nello spazio circostante avrà le
linee di forza come in figura e la sua intensità in un punto distante r dalla corrente è :
B = o·I / (2··r) ( legge di Biot-Savart o di Ampère ).
Il campo magnetico B ha un'intensità proporzionale alla corrente e inversamente proporzionale alla distanza dal filo.
Prima regola della mano destra
Per visualizzare il verso delle linee di campo si usa la nota regola della mano destra: il
pollice va nel verso della corrente e le altre dita si avvolgono intorno al filo secondo il
verso delle linee di campo.
Le esperienze di Ampère (1775 – 1836) dimostrano che due correnti di verso uguale si attraggono, due correnti di
verso opposto si respingono con una forza F tale che
F
F
i1
i1
i2
i2
F
F
8
F =(Ko i1·i2·L) /d
(legge di Ampère);
i1 ed i2 sono le correnti, d è la distanza tra i fili,
L è la lunghezza di ciascun filo.
Ko
=
o/(2)
Ko = o/(2);
o = (4) ·10-7 = 1,26 ·10-6 N/A2 ; (permeabilità magnetica del vuoto)
Ko = o/(2) = (4) ·10-7/(2) = 2 ·
10-6 N/A2
Le esperienze di Faraday (1791 – 1867) dimostrano che un filo percorso da corrente sente l’azione di un campo
magnetico B, perché la corrente produce anch’essa un campo intorno al filo con linee di forza circolari chiuse. Se il filo
percorso da corrente i , è immerso nel campo B, perpendicolare a i , subisce una forza perpendicolare a i e a B, tale che
F = B i L, dove L è la lunghezza del filo (legge di Laplace) . Da tutte queste esperienze si ricava che un campo
magnetico è generato da cariche elettriche in moto e che le correnti sono soggette alle forze dovute al campo magnetico.
Quindi: le cariche in moto sono le sorgenti del campo magnetico. Nelle calamite il campo magnetico è generato da
microcorrenti dentro il materiale; oggi sappiamo che queste microcorrenti nascono dal moto circolare che tutti gli
elettroni compiono ordinatamente con lo stesso verso, intorno al nucleo: possiamo immaginare che i piani di rotazione
siano tutti orientati nello stesso modo. Questa è l’ipotesi di Ampère per spiegare il magnetismo dei materiali
ferromagnetici ed è una ipotesi molto avanzata perché ai tempi di Ampère non si conosceva l’esistenza degli elettroni e
non si sapeva niente della struttura atomica.
L'esperimento di Faraday fu eseguito per la prima volta nel 1821: un filo conduttore è posto tra i due poli di un
magnete. Questo filo è sorretto da un'intelaiatura che gli permette di muoversi solo in verticale. Quando si collega
questo filo ad una batteria, la corrente attraversa il filo e si nota che esso si può muovere verso il basso o verso l'alto
basandosi sulla seconda regola della mano destra (dove il pollice indica il verso della corrente, l'indice il verso del
campo magnetico e il medio lo spostamento del filo; oppure tenendo la mano destra aperta, il pollice indica il verso
della corrente, le altre dita unite indicano il verso del campo, il vettore forza esce dal palmo aperto verso l’alto o verso il
basso).
17.
Misura del campo magnetico: Un filo percorso da corrente i e lungo L, all’interno di un campo magnetico,
subisce l’azione di una forza F direttamente proporzionale a i e a L;
possiamo ricavare misurando F, i, L. Si ricava che
F = B i L ; B è la costante di proporzionalità, che
B = F /iL ;
Il campo B è la forza che agisce su un filo di lunghezza 1 metro, quando è percorso da una corrente di 1 A. B si
misura in Tesla . ( da Nikola Tesla (1856 – 1943)
1 Tesla = 1 N / (A·metro).
9
18. Moto di una carica elettrica in un campo magnetico
F=Bvq
( la forza magnetica che agisce sulla particella di carica q, in moto perpendicolarmente al campo magnetico con
velocità v, è una forza centripeta F = m v^2/R) ; B v q = mv^2/R. Si ricava il raggio R della traiettoria:
R = m x V / (B x q)
Le particelle cariche, con velocità v, all'interno di un campo magnetico, percorrono traiettorie circolari
19.
Forza di Lorentz
Il campo magnetico non ha sorgenti (cariche magnetiche). Le sue sorgenti sono le cariche in moto. Un fascio di
elettroni nel vuoto con velocità v, genera un campo magnetico B come una corrente i.
Quindi una particella carica che si muove in un campo elettrico e magnetico, è soggetta ad una forza elettrica e a
una forza magnetica: questa è detta forza di Lorentz.
F = qxE + qvxB
20.
e-
I postulati della relatività speciale (1905) : - Le leggi della fisica sono le stesse in tutti i sistemi di riferimento
inerziali (anche le leggi dell’elettromagnetismo). Non esiste un sistema di riferimento privilegiato
- La velocità della luce nel vuoto ha lo stesso valore C in tutti i sistemi di riferimento inerziali indipendentemente dal
moto della sorgente o dell’osservatore. ( C non si somma o si sottrae ad altre velocità). Partendo da questi due principi,
le trasformazioni galileiane non sono più valide per velocità relativistiche e vengono sostituite dalle trasformazioni di
Lorentz. La conseguenza più difficile da accettare è che spazio e tempo non sono più assoluti, come dice la fisica
classica di Newton, ma dipendono dallo stato di moto del sistema che viaggia con velocità vo.
Le trasformazioni di Lorentz:
x' = (x ─ vot) / √(1─ vo2/c2)
y' = y
z' = z
t' = [(t ─ (vo/c2) · x] / √(1─ vo2/c2)
10
le inverse diventano:
x = (x' + vot)/ √(1─vo2/c2)
y = y'
z = z'
t = [(t' + (vo/c2) · x'] / √(1─ vo2/c2)
- Contrazione delle lunghezze: xb’ – xa’ = (xb – xa) / √ (1 – vo2/c2)
allora xb - xa = (xb’ - xa’)∙ √ (1 – vo2/c2)
L = L' ·√(1─vo2/c2)
l = xb – xa
l’ = xb – xa
lunghezza dell’asta vista dal sistema fisso
lunghezza dell’asta vista nel suo sistema di riferimento dove è ritenuta in quiete.
Un’asta vista in movimento appare contratta nella direzione del moto del fattore √ (1 – vo2/c2) .
- Dilatazione degli intervalli di tempo t . t = t'/ √(1─vo2/c2)
La durata di un fenomeno visto in movimento risulta dilatata del fattore 1/√ (1 – vo2/c2)
rispetto alla
durata del fenomeno visto in quiete.
- t : è la durata di un fenomeno, visto in movimento da un sistema in quiete, fisso.
t’ : tempo proprio è la durata del fenomeno nel suo sistema di riferimento.
- Addizione relativistica delle velocità: secondo Galileo
v' = v - vo
v = v'+ vo.
dove
v
è la velocità rispetto ad un sistema fisso, solidale con la Terra , vo è la velocità del sistema di riferimento in
moto ( esempio: astronave), v’ è la velocità rispetto al sistema in moto.
La legge di composizione relativistica delle velocità non è quella galileiana
v = (v'+ vo) /(1 + v'vo/c2)
Secondo la teoria relativistica
v' = (v - vo) /(1 - vvo/c2)
Applicando questa trasformazione non si supera mai la velocità della luce. C resta costante. Esempio:
un’astronave viaggia (per assurdo) con velocità Vo = C
Un raggio di luce viene emesso dentro l’astronave con velocità v’ = C, secondo Galileo v = C + C = 2C.
Invece C è invariante:
v
= (C + C) / (1 + CC/C2) = 2C/2 = C.
Un’altra conseguenza fondamentale è che la massa non è costante
Affinché si conservi la quantità di moto P e non si superi mai la velocità c, occorre cambiare la concezione di massa
costante in qualsiasi sistema, e introdurre il concetto che la massa dipende dal suo stato di moto, non è una costante, ma
dipende dal sistema in cui viene eseguita la misura.
11
Così la massa diventa:
m = mo / √(1- v2/c2)
a riposo vale mo, ma se il corpo si muove, la massa diventa massa relativistica . Sviluppando questa espressione
in serie di potenze se
v2/c2 << 1, otteniamo
m = mo · (1 + 1/2 v2/c2 + ¼ v4/c4 + 1/8 v6/c6+….+ 1/2n v2n/c2n). Si trascurano i termini con potenza
superiore a 2. Rimane
m = mo · (1 + 1/2 v2/c2) .
m C2 = mo C2 + 1/2 mo v2 ;
( famosa formula di Einstein)
E=
Allora moltiplicando per C2
che è l’energia totale
E di un corpo
mC2
E tot = E (riposo) + E (cinetica).
mo C2
è l’energia a riposo di un corpo, quindi anche la massa è una forma di energia
L’energia cinetica Ec diventa : Ec = m C2 - mo C2
Ec = moC2/(1 – vo2/c2) – mo C2 = moC2 ( 1/(1 – vo2/c2) - 1)
Le particelle subatomiche (elettrone, protone, neutrone, mesone etc.) hanno una massa che si esprime anche in energia
(Joule) .
la massa dell'elettrone, è di 9 · 10-31 Kg. Ma il chilogrammo è un'unità troppo grande per le particelle su scala nucleare!
Determiniamo allora l'energia a riposo in Joule di un elettrone
Anche il Joule è un'unità troppo grande su questa scala, un po' come se noi pretendessimo di misurare le nostre altezze
in anni luce. Allora utilizziamo l'elettron-Volt, definito come l'energia posseduta da un elettrone che si muove nella
differenza di potenziale di un Volt. Poiché la carica di un elettrone vale
, si ha:
perché un Volt è pari ad un Joule su un Coulomb. L'energia a riposo di un elettrone vale perciò:
21.
Onde
La luce:
Onda elettromagnetica.
Le onde elettromagnetiche(luce, onde radio, microonde, onde TV) si propagano anche nel vuoto con la velocita' C =
3x10 8 m/s, non hanno bisogno di mezzo di trasmissione perché ciò che vibra è un campo elettromagnetico. Le onde
descritte da una funzione seno o coseno (sinusoidale o cosinusoidale), sono dette armoniche. Grandezze
caratteristiche di un'onda sono: ampiezza A in metri, periodo T in secondi, (tempo in cui avviene una oscillazione
completa), frequenza  = 1/T in Hz, (Hertz) numero di oscillazioni al secondo, lunghezza d'onda  in metri, ( distanza
minima fra due punti che vibrano in fase); v = x , velocita' dell'onda.
Luce visibile rosso:  = 0,7m; = 0,4x1015 Hz violetto:  = 0,4m; = 0,7x1015 Hz .
C = x 3 x10 8 m/s.
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Secondo la teoria ondulatoria di Huygens (1670), la luce si propaga come un'onda attraverso un mezzo trasparente
che permea tutto l'universo: l'etere. Newton invece formulò una teoria corpuscolare: la luce emessa da una sorgente
luminosa è formata da uno sciame di corpuscoli che procedono nello spazio in linea retta a velocità altissima.
Nel secolo XIX si dimostrò che la luce si comporta come un'onda elettromagnetica e si propaga nel vuoto (l'etere non
esiste). La teoria corpuscolare di Newton sembrò quindi sbagliata fino a quando all'inizio del 1900, Albert Einstein
propose una nuova teoria corpuscolare, perché in certi fenomeni ( es. effetto fotoelettrico), quando la luce interagisce
con la materia, essa si comporta come se fosse costituita da "granuli" (fotoni o quanti di luce). Ogni fotone trasporta un
quanto di energia proporzionale alla frequenza dell'onda elettromagnetica ( E = h x  dove h è la costante di Planck
che vale 6,626 x10-34 Js) e cede questa energia alle particelle dei corpi che colpisce (come negli urti meccanici fra
bilie). La luce ha quindi una doppia natura (corpuscolare e ondulatoria). Newton e Huygens avevano entrambi
ragione.
Fenomeni luminosi
Riflessione
Quando un raggio di luce incide su una
superficie perfettamente liscia subisce la legge
della riflessione. Con "liscia" s'intende una
superficie che non contenga asperità superiori
alle dimensioni della lunghezza d'onda
della luce; se tale condizione non è soddisfatta, cioè se siamo in presenza di una superficie
scabra, non si ha riflessione, ma diffusione. La legge afferma che l'angolo di incidenza è
uguale all'angolo di riflessione misurato rispetto alla normale alla superficie. È una legge
generica che vale anche per gli urti elastici di oggetti materiali su superfici levigate.
1) Il raggio incidente, il raggio riflesso e la
normale alla superficie stanno sullo stesso piano.
2) l'angolo di incidenza i è uguale all'angolo di
riflessione r.
i=r
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Rifrazione
1) Il raggio incidente, il raggio rifratto e la normale alla
superficie stanno sullo stesso piano
2) sen i / sen r = n2/n1
n2 : indice di rifrazione del secondo mezzo rispetto al primo;
n1 = 1 per l'aria e il vuoto
sen i / sen r = V1/V2 ;
V1 = velocità nel primo mezzo. V2 = velocità nel secondo mezzo
.
Dispersione
Il fenomeno della rifrazione può dare origine alla dispersione della luce; tale fenomeno si può
osservare quando una radiazione non monocromatica, come ad esempio quella bianca, incide
su di un prisma di vetro con un angolo di incidenza i diverso da zero. La luce bianca è data
dalla composizione dei vari colori che nel passaggio dal vetro all'aria (nel caso del prisma),
avendo velocità e lunghezze d’onda diverse, deviano e compiono un percorso diverso. Ogni
componente viene rifratta con angolo di rifrazione r diverso in quanto per ogni colore è
leggermente diverso l’indice di rifrazione n. Osserviamo così la distribuzione delle componenti
monocromatiche dal rosso, il meno deviato, con frequenza minore, fino al violetto il più
deviato, con frequenza maggiore. La dispersione della luce si verifica in natura con il
fenomeno dell’arcobaleno.
Interferenza
L'interferenza è un effetto che coinvolge esclusivamente fenomeni ondulatori. La luce ha natura ondulatoria. Infatti
produce figure di interferenza, se si sovrappongono più onde.
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Se guardiamo l'immagine di due fenditure su uno schermo, ci aspettiamo di vedere due strisce di luce. Invece, se le
fenditure sono piccole, e abbastanza vicine si produce un disegno caratteristico di molte strisce molto piu' grandi delle
fenditure, dovuto alla cosiddetta interferenza della luce proveniente dalle due fenditure.
Si tratta dell'esperimento di Young della doppia fessura. Per produrre due onde coerenti la luce di una singola sorgente
all'infinito (ad esempio la luce del Sole) viene fatta passare attraverso un singolo foro e poi divisa in due facendola
passare attraverso le due fenditure. Così siamo sicuri che le due sorgenti hanno la stessa frequenza e vibrano in fase.
Attorno all'anno 1800, l'eclettico medico inglese Thomas Young compì un esperimento che mise in crisi il modello
corpuscolare della luce, modello fino ad allora considerato valido già dai tempi di Newton.
L'esperimento consiste nel fare passare un sottile fascio di raggi di luce solare bianca, ottenuto tramite una fessura,
attraverso due ulteriori strette fessure praticate con un rasoio su una carta da gioco. Così si è sicuri che le due sorgenti
abbiano la stessa frequenza e vibrino in fase.
ed osservare l'immagine che si produceva su di uno schermo.
Ciò che si verifica è una figure a frange colorate non nitide (sfumate). Facendo l'esperimento con luce monocromatica
si ottengono frange nitide.
(la luce solare monocromatica può essere ottenuta facendo passare la luce solare attraverso un filtro colorato). Questo
fenomeno va sotto il nome di interferenza e non può essere spiegato tramite la teoria corpuscolare della luce.
Secondo tale teoria, infatti, si dovrebbero ottenere esattamente due frange, essendo due le fessure. Quello che si ottiene,
invece, sono molte frange chiare e scure ed a colori sfumati. Il fenomeno può essere invece interpretato alla luce della
teoria ondulatoria.
Prima di passare alla spiegazione dell'esperimento di Young in termini di interferenza di onde, è utile fare un'analogia
con le onde prodotte sulla superficie di uno specchio d'acqua tramite il lancio di due sassi. Si ottiene così la seguente
figura (vista dall'alto) :
Per cresta e gola di un'onda
ovviamente intendiamo, per un'onda
vista in sezione, un punto di
massimo e un punto di minimo così
come illustrato dal grafico :
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Se nello stesso punto si
sovrappongono due creste di onde
d'acqua, si ottiene una cresta alta il
doppio :
In questo caso si dice che le onde
sono in fase.
Se invece due onde di acqua si sommano in
modo che ogni cresta della prima si
sovrapponga ad una gola della seconda,
si ottiene l'annullamento dell'onda .
Ciò che accade per le onde di acqua, accade per ogni altro tipo di onda (onde elettromagnetiche, fra cui la luce, onde
acustiche ecc.).
Il sommarsi in modo costruttivo o distruttivo di onde (con tutti i casi intermedi possibili) va sotto il nome di
interferenza.
L'esperimento di Young si può spiegare allora come sovrapposizioni di onde.
Immaginiamo l'esperimento visto da sopra e consideriamo che una stessa onda luminosa colpisca le due fessure. La
luce del sole è costituita da onde in fase. Se effettuassimo l'esperimento con due lampadine ognuna davanti ad una
fessura, non otterremmo nessun fenomeno di interferenza in quanto la luce che colpisce le due fessure, proveniente da
sorgenti diverse, non è in generale fase.
Dalle due fessure si propagheranno onde inizialmente in fase (provengono, come detto sopra, da una medesima onda)
che andranno a colpire lo schermo compiendo però in generale cammini diversi. Le onde che compieranno cammini di
uguale lunghezza avranno creste in fase e si sommeranno dando creste di altezza doppia (interferenza costruttiva).
Le onde che compieranno cammini di lunghezze che differiscono di mezza lunghezza d'onda andranno a sommarsi
sullo schermo in modo da avere creste e gole in sovrapposizione e quindi di conseguenza si annulleranno
(interferenza distruttiva). I cammini con differenza di una lunghezza d'onda produrranno sullo schermo ancora
interferenza costruttiva e così via.
In questo modo si spiega il susseguirsi delle frange che appaiono sullo schermo.
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(si noti come si fa per indicare la differenza fra la lunghezza dei cammini con la costruzione di un triangolo isoscele).
In un punto in cui avviene l'interferenza costruttiva si ottiene un picco di luce, dove si ha l'interferenza distruttiva si
ottiene il buio. Il susseguirsi di luce e buio costituisce le frange di interferenza osservate nell'esperimento.
Con questo "modello" si spiega anche il fenomeno della "sfumatura" dei colori che si rileva sullo schermo. Lo sfumarsi
dei colori nelle varie frange dipende dal fatto che la luce bianca è composta da colori diversi che corrispondono a
lunghezze d'onda diverse per cui in effetti ogni colore subisce una propria interferenza producendo le suddette
sfumature. Con luce monocromatica si ottengono invece frange nitide. Analisi dell'esperimento di Young.
Vogliamo la lunghezza d'onda di un fascio di luce monocromatica tramite l'esperimento di Young.
Per fare questo consideriamo la distanza P1P fra la frangia centrale e la prima frangia successiva, la distanza h fra
le fessure e la distanza L fra le fessure e lo schermo. Troveremo allora  in funzione di P1P, h, L , che si misurano
direttamente dall'esperimento, per cui sarà immediato ricavare matematicamente di conseguenza . Lo schema, visto
dall'alto, dell' esperimento di Young è il seguente :
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Nel punto
, sede della frangia
centrale, si ha l'interferenza
costruttiva perché F1P = F2P e
quindi i due raggi giungono in
fase :
Nel punto P1, sede della prima frangia, si ha ancora l'interferenza costruttiva perché i due cammini F1P1 e F2P2
hanno per differenza una intera lunghezza d'onda e quindi giungono in fase :
Abbiamo anche costruito il segmento F1Q in modo che sia F1P1 = QP1, cioè che il triangolo F1P1Q sia isoscele. In
questo modo, la differenza dei cammini che la luce compie fra le fessure e lo schermo, quando costituisce la prima
frangia, vale F2Q .
Essendo la prima frangia prodotta da interferenza costruttiva (onde in fase), si avrà :
F2Q = 1 x  per la prima frangia.
F2Q = h sen ; sen  = tan = P1P / L
h sen  = n x  ; per la ennesima frangia
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