III Domenica di Avvento Gaudete Antifona d`ingresso Rallegratevi

III Domenica di Avvento
Gaudete
Antifona d'ingresso
Rallegratevi sempre nel Signore:
ve lo ripeto, rallegratevi,
il Signore è vicino. (Fil 4,4.5)
Non si dice il Gloria.
Colletta
Guarda, o Padre, il tuo popolo,
che attende con fede il Natale del Signore,
e fa’ che giunga a celebrare con rinnovata esultanza
il grande mistero della salvezza.
Oppure:
Sostieni, o Padre, con la forza del tuo amore
il nostro cammino incontro a colui che viene
e fa’ che, perseverando nella pazienza,
maturiamo in noi il frutto della fede
e accogliamo con rendimento di grazie
il vangelo della gioia.
PRIMA LETTURA (Is 35,1-6a.8a.10)
Ecco il vostro Dio, egli viene a salvarvi.
Dal libro del profeta Isaìa
Si rallegrino il deserto e la terra arida,
esulti e fiorisca la steppa.
Come fiore di narciso fiorisca;
sì, canti con gioia e con giubilo.
Le è data la gloria del Libano,
lo splendore del Carmelo e di Saron.
Essi vedranno la gloria del Signore,
la magnificenza del nostro Dio.
Irrobustite le mani fiacche,
rendete salde le ginocchia vacillanti.
Dite agli smarriti di cuore:
«Coraggio, non temete!
Ecco il vostro Dio,
giunge la vendetta,
la ricompensa divina.
Egli viene a salvarvi».
Allora si apriranno gli occhi dei ciechi
e si schiuderanno gli orecchi dei sordi.
Allora lo zoppo salterà come un cervo,
griderà di gioia la lingua del muto.
Ci sarà un sentiero e una strada
e la chiameranno via santa.
1
Su di essa ritorneranno i riscattati dal Signore
e verranno in Sion con giubilo;
felicità perenne splenderà sul loro capo;
gioia e felicità li seguiranno
e fuggiranno tristezza e pianto.
SALMO RESPONSORIALE (Sal 145)
Rit: Vieni, Signore, a salvarci.
Il Signore rimane fedele per sempre
rende giustizia agli oppressi,
dà il pane agli affamati.
Il Signore libera i prigionieri. Rit:
Il Signore ridona la vista ai ciechi,
il Signore rialza chi è caduto,
il Signore ama i giusti,
il Signore protegge i forestieri. Rit:
Egli sostiene l’orfano e la vedova,
ma sconvolge le vie dei malvagi.
Il Signore regna per sempre,
il tuo Dio, o Sion, di generazione in generazione. Rit:
SECONDA LETTURA (Gc 5,7-10)
Rinfrancate i vostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina.
Dalla lettera di san Giacomo apostolo
Siate costanti, fratelli miei, fino alla venuta del Signore. Guardate l’agricoltore: egli aspetta con
costanza il prezioso frutto della terra finché abbia ricevuto le prime e le ultime piogge. Siate
costanti anche voi, rinfrancate i vostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina.
Non lamentatevi, fratelli, gli uni degli altri, per non essere giudicati; ecco, il giudice è alle porte.
Fratelli, prendete a modello di sopportazione e di costanza i profeti che hanno parlato nel nome del
Signore.
Canto al Vangelo (Is 61,1)
Alleluia, alleluia.
Lo Spirito del Signore è sopra di me,
mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio.
Alleluia.
VANGELO (Mt 11,2-11)
Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?
+ Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo
dei suoi discepoli mandò a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?».
Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: I ciechi riacquistano la vista,
gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è
annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!».
2
Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a
vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo
vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! Ebbene,
che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del
quale sta scritto: “Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua
via”.
In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il
più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui».
Preghiera sulle offerte
Sempre si rinnovi, Signore,
l’offerta di questo sacrificio,
che attua il santo mistero da te istituito,
e con la sua divina potenza
renda efficace in noi l’opera della salvezza.
PREFAZIO DELL’AVVENTO II
L’attesa gioiosa del Cristo
È veramente cosa buona e giusta renderti grazie
e innalzare a te l’inno di benedizione e di lode,
Dio onnipotente ed eterno,
per Cristo nostro Signore.
Egli fu annunziato da tutti i profeti,
la Vergine Madre l’attese e lo portò in grembo
con ineffabile amore,
Giovanni proclamò la sua venuta
e lo indicò presente nel mondo.
Lo stesso Signore,
che ci invita a preparare il suo Natale
ci trovi vigilanti nella preghiera, esultanti nella lode.
Per questo dono della tua benevolenza,
uniti agli angeli e ai santi,
con voce unanime
cantiamo l’inno della tua gloria: Santo...
Oppure:
PREFAZIO DELL’AVVENTO II/A
Maria nuova Eva
È veramente giusto rendere grazie a te,
Padre santo, Dio onnipotente ed eterno.
Noi ti lodiamo, ti benediciamo, ti glorifichiamo,
per il mistero della Vergine Madre.
Dall’antico avversario venne la rovina,
dal grembo verginale della figlia di Sion
è germinato colui che ci nutre con il pane degli angeli
ed è scaturita per tutto il genere umano
la salvezza e la pace.
La grazia che Eva ci tolse ci è ridonata in Maria.
3
In lei, madre di tutti gli uomini,
la maternità, redenta dal peccato e dalla morte,
si apre al dono della vita nuova.
Dove abbondò la colpa, sovrabbonda la tua misericordia
in Cristo nostro salvatore.
E noi, nell’attesa della sua venuta,
uniti agli angeli e ai santi,
cantiamo l’inno della tua lode: Santo...
Antifona di comunione
Dite agli sfiduciati: “Coraggio,
non abbiate timore:
ecco, il nostro Dio viene a salvarci”. (Is 35,4)
Oppure:
“Andate e riferite ciò che avete udito e veduto:
ai poveri è annunziata la buona novella”. (cf. Mt 11,4)
Preghiera dopo la comunione
O Dio, nostro Padre,
la forza di questo sacramento
ci liberi dal peccato
e ci prepari alle feste ormai vicine.
Lectio
Gioia e perseveranza nella paziente attesa del Signore che viene sono le due tematiche
fondamentali della liturgia di questa terza domenica di Avvento (cfr. Colletta).
“Rallegratevi sempre nel Signore: ve lo ripeto, rallegratevi, il Signore è vicino”: è l’antifona
d’ingresso che presenta il testo di Fil 4,4-5 (conservata dal precedente Messale) e che costituiva
anche la prima lettura che ora si trova solo nell’anno C. Per questo la III domenica di Avvento è
tradizionalmente chiamata, con espressione latina, la domenica «Gaudete», una festa di gioia. La
prima lettura infatti inizia con un insistente appello alla letizia: «Esulti, canti con gioia e con
giubilo».
Perché rallegrarsi, quali sono i motivi per gioire? La cronaca quotidiana e la nostra
esperienza personale forse ci offrono un’enorme quantità di motivi per piangere, fare lutto,
riconoscere i nostri continui insuccessi. Anzi, può sembrare addirittura forzato e artificioso l’invito
della liturgia e sembra più realistico un atteggiamento pessimistico e rassegnato. Anche se a noi
personalmente le cose vanno bene, non è forse vero che tanta gente soffre, muore, fatica invano, è
sola, è oppressa, vittima di ingiustizie? Invece che un grido di gioia, non sarebbe più pertinente alla
nostra condizione una protesta, un urlo di rabbiosa rivolta contro il male o anche un rassegnato e
malinconico, perché impotente e condannato alla sterilità, ma significativo silenzio?
Le nostre obiezioni all’appello alla gioia provengono tutte dalla constatazione
dell’impossibilità di vincere il male, dal senso di fallimento e di impotenza che proviamo di fronte
alla vita e al mondo. Chi mai può e vuole cambiare veramente la qualità della nostra esistenza? Ci
vorrebbe un «miracolo», ma sembra troppo sperarlo o pretenderlo o anche crederlo.
II tema della gioia per la Salvezza. I segni della salvezza ai tempi di Gesù erano le
guarigioni.
Is. 35, 1-6a. 8a. 10
Is 35,1: “Si rallegrino il deserto e la terra arida, esulti e fiorisca la steppa”.
4
Destinatario e occasione della profezia è il popolo esiliato a Babilonia, umiliato dalla prova.
La terra degli antenati è abbandonata e ridotta a un deserto incolto, la città santa in rovina nelle
mani dello straniero.
Agli Israeliti deportati in esilio a Babilonia sembrava impossibile e impraticabile un ritorno
in patria: come attraversare il deserto, la steppa, quando le mani sono fiacche e le ginocchia
vacillanti? Sarebbe come voler far camminare speditamente o far saltare uno zoppo e far parlare un
muto! L’ideale di una patria fraterna e pacifica sembra perduto per sempre.
vv. 1-10: Ebbene, il profeta si alza e proclama coraggiosamente che le possibilità di Dio a favore del
suo popolo non sono esaurite. Ciò che è impossibile all’uomo, Dio lo farà.
v. 4: “Coraggio, non temete! Ecco il vostro Dio... egli viene a salvarvi”. Ciò che agli uomini
sembrava impossibile è compiuto da Dio. La gioia è la conseguenza dell’agire miracoloso di Dio.
Anche oggi il Signore viene a salvarci e a rendere possibile la nostra gioia. La nostra storia, per
quanto cattiva e corrotta sia, può ancora cambiare e rinascere per opera di Dio. Crediamo noi nelle
inesauribili possibilità divine?
v. 7: (purtroppo omesso dalla liturgia!) “La terra bruciata diventerà una palude, il suolo riarso si
muterà in sorgenti di acqua. I luoghi dove si sdraiavano gli sciacalli diventeranno canneti e
giuncaie”. Acqua nel deserto: ecco il miracolo di Dio, l’impossibile reso possibile.
Una strada nuova sarà aperta nel deserto, una strada appianata e la chiameranno: “Via
santa”: su di essa ritorneranno i riscattati dal Signore e verranno in Sion con giubilo. Gioia e felicità
li seguiranno e fuggiranno tristezza e pianto. Gli esuli potranno ritornare in patria.
– Le immagini brillanti di un paese che riprende vita: il paese deserto, la terra arida, si ricoprano di
fiori di campo, come i prosperi paesi vicini: il Libano, il Carmelo, il Saron. Questa rappresentazione
idilliaca si può avvicinare al quadro delineato da Is 11,6-9: “Il lupo dimorerà insieme con
l’agnello”.
– Un invito al coraggio: “Irrobustite le mani fiacche...”.
– I segni del rinnovamento: “Si apriranno gli occhi dei ciechi...”. È il rinnovamento di cui parlano Is
43,19 e Ap 21,5.
– Dietro a tutto ciò sta l’intervento meraviglioso del Signore: “Essi vedranno la gloria del
Signore”... “Ecco il vostro Dio, giunge la vendetta, la ricompensa divina. Egli viene a salvarvi”. È
una teofania: la salvezza dei poveri è una manifestazione di Dio.
Per accettare questa presentazione di un Dio vendicatore, è necessario valutare e in certo modo
condividere la sofferenza dei deportati. Molti oracoli profetici presentano la loro situazione come un
castigo meritato dall’infedeltà. Qui Dio è solidale con i poveri: “Ecco il vostro Dio”. Egli è con
loro, annuncia loro la sua rivincita, il rovesciamento del disordine stabilito, il ritorno a
Gerusalemme nella gioia.
È un capovolgimento di situazione (cfr le beatitudini).
Ascoltiamo l’invito pressante: Rallegratevi sempre nel Signore; rallegrati sorella/fratello perché il
Signore è vicino!
Sof. 3,14: Gioisci, figlia di Sion, esulta, Israele, e rallegrati con tutto il cuore perché il Signore ha
revocato la tua condanna!
Is. 12,6: Gridate giulivi ed esultate, abitanti di Sion, perché grande in mezzo a voi è il Santo
d'Israele.
52,1 ss: Svegliati, svegliati, rivestiti, scuoti la polvere, alzati Gerusalemme schiava! Sciogliti i
legami ... Senti? Le tue sentinelle alzano la voce, insieme gridano di gioia. Prorompete insieme in
canti di gioia rovine di Gerusalemme, perché il Signore ha consolato - riscattato - snudato"
Cfr. Lc 24 ... Si aprirono i loro occhi ... (discepoli di Emmaus)
5
Is.54,1-4: Rallegrati, o sterile, prorompi in grida di giubilo e di gioia ... allarga lo spazio ... dilata il
grembo ... non aver paura, non arrossire, non temere ... sarai madre.
Il deserto del tuo cuore, il non senso della vita e del quotidiano, il vuoto e la solitudine in mezzo alla
folla ... esistono, fanno parte della storia, fanno parte della nostra umanità, della nostra vita, ma ci
sentiamo ripetere: non temere, coraggio! Ecco il vostro Dio! Coraggio, c’è il Signore in mezzo a
noi. Schiudiamo gli occhi, apriamo gli orecchi, gridiamo di gioia perché il Signore è vicino, il
Signore è la nostra salvezza, il Signore appiana la strada. Allora tutto assumerà un volto nuovo,
tutto prenderà vigore.
Vivere il vangelo della gioia, essere Vangelo di gioia, come ci fa pregare la Colletta di oggi; essere
collaboratori della gioia di tutti, e non far da padroni sulla loro fede (2 Cor. 1,24).
Solo così sapremo leggere la nostra vita, la realtà che ci circonda e in cui viviamo come dono. E il
nostro deserto sarà solo un corridoio lungo, ma provvisorio. Siamo in esodo, siamo una carovana in
cammino nel deserto del quotidiano dove si soffre, si suda, ci si scoraggia, ma c’è la Parola del
Signore che ci dice: “Coraggio, ecco il vostro Dio!” E il nostro deserto, la nostra realtà si
trasformerà come il Carmelo fitto di boschi e come il Saron, fertilissima pianura.
Giacomo 5, 7-10
Giacomo invita alla pazienza, pur nel nodo contradditorio delle vicende umane, e ci dà per
modelli i Profeti che parlano nel nome dei Signore.
Pazienza e impazienza: sono i due modi con cui gli uomini affrontano i problemi, e ciascuno
ha le sue possibilità e i suoi rischi.
I pazienti agiscono lentamente, si rassegnano, accettano i compromessi con troppa facilità.
Gli impazienti vogliono tutto subito, sono intransigenti, talvolta mancano di realismo. Durante
l’Avvento la Chiesa trova nella Bibbia tutte le espressioni dell’urgenza e dell’imminenza della
salvezza. Essa scuote la nostra apatia, ravviva la nostra sete, si unisce agli impazienti. La Chiesa
predica anche la pazienza, non per paura, ma per rispetto dell’azione di Dio, che agisce nel tempo e
con il tempo.
La pazienza non è rassegnazione; già oggi dobbiamo farci coraggio e metterci al lavoro: fin
d’ora i ciechi vedono e gli storpi camminano. Ma l’opera di Dio è misteriosa e soltanto nel tempo
escatologico sarà pienamente compiuta.
v.7-8: Siate costanti, (sperare senza scoraggiamenti) in questa attesa. Abbiate la pazienza
dell’agricoltore della Palestina: egli aspetta la pioggia dell’autunno e della primavera. Senza la
pioggia nulla può fare perché non può seminare per l'aridità dei suolo. È classica la pazienza dei
l'agricoltore.
C’è il riferimento a Marco 4,26-27: “Il Regno di Dio è come un uomo che getta il seme nella
terra: dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce; come egli stesso non lo sa”.
Siate costanti ... rinfrancate i vostri cuori ... Perseverate nella pazienza fino alla venuta del Signore
che è vicina.
v. 9: “Non lamentatevi, fratelli, gli uni degli altri, per non essere giudicati”. Apparentemente fuori
luogo nel contesto, questo versetto ricorda un altro frutto della paziente attesa della venuta del
Signore: l’unità e la concordia. Lasciate il giudizio al Signore. “Non giudicate e non sarete
giudicati” (Lc 6,37; cf 1 Cor 4,3).
Per giustificare questo consiglio, l’Apostolo afferma: “La venuta del Signore è vicina”. Nel
tempo di Avvento la Chiesa deve contemporaneamente alimentare la sua pazienza e ridestare la sua
impazienza, poiché il Signore è alle porte, anche se tarda a manifestarsi. C’è la continuità in questo
invito alla pazienza: San Giacomo si fonda sull’esempio dei “profeti”, cioè dei santi dell’Antico
Testamento (egli pensa particolarmente a Giobbe), i quali, pur coinvolti in tutte le sventure, non
hanno mai perduto la speranza.
6
Matteo 11,2-11
Il Vangelo di oggi ci presenta un profeta, Giovanni il Battista, che è “anche più di un
profeta”, dal quale dobbiamo prendere esempio. Questo passo riferisce l’intervista che i discepoli di
Giovanni Battista fanno a Gesù.
La missione del Precursore si conclude nell’umiltà.
v.2: “Giovanni, che era in carcere”, questo accenno fatto all’inizio del racconto, richiama
l’impavido coraggio del profeta che osava rimproverare al tetrarca Erode Antipa il suo adulterio e
per questo era rinchiuso nella fortezza di Macheronte, dove gli sarebbe stata mozzata la testa.
Chi sei tu, Gesù di Nazaret? Il testo di Matteo è diviso in due sezioni:
vv. 2-5: è la risposta di Gesù a Giovanni
vv.7-11 è la testimonianza di Gesù su Giovanni e la sua missione. Gesù afferma di essere il Messia
atteso e lo dimostra in modo diretto nella prima sezione e in modo indiretto nella seconda.
Sei tu Colui che deve venire, o devo aspettarne un altro?
È la domanda che ci facciamo insieme ai discepoli di Giovanni, nei momenti duri, dei dubbi,
quando la nostra fede è vacillante. Sei tu oppure ... Sei tu Storia che mi parli e mi manifesti la
volontà di Dio, oppure ... Sei tu fratello/sorella che mi comunichi questa volontà di Dio, oppure ...
Sei tu la mia roccia? Sei il mio tutto?
Chi sei per me? Chi sei per la mia Parrocchia? Ed io cosa sono per te? Come sono? Chi cerco?
Gesù rispose: “Andate e riferite a Giovanni: i ciechi ricuperano la vista, gli storpi camminano, i
lebbrosi sono guariti ... e beato colui che non si scandalizza di me”: ecco i segni; ecco i frutti.
Chi è Giovanni Battista?
v. 11: Gesù risponde: “In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di
Giovanni Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui”.
Giovanni è “più di un profeta”, è “il messaggero che preparerà la via davanti a me”: l’elogio
del Battista è grande, soprattutto perché è fatto da Gesù stesso. Eppure egli appartiene a un mondo
che sta per finire e anche il più piccolo del regno dei cieli sarà più grande di lui. Gesù, infatti,
inaugura un’epoca nuova nella storia e introduce tra gli uomini il regno dei cieli.
Giovanni Battista appartiene all’Antico Testamento, al tempo dell’attesa, come dimostra la
domanda che egli fa per mezzo dei suoi discepoli a Gesù: “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo
attenderne un altro?”. Giovanni rappresenta un mondo che ha esaurito tutte le possibilità di sperare
e di agire: egli esorta, minaccia, predica la conversione, conferisce un battesimo di acqua, ma tutto
ciò è quel che l’uomo può fare. Ed è insufficiente a cambiare il mondo. In fondo, Giovanni è un
moralista, che giudica, condanna, esorta e consiglia. Ora ci vuole uno che crei qualcosa di nuovo.
Gesù risponde: “Andate e riferite: i ciechi ricuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi
vengono guariti, i sordi riacquistano l’udito, i morti risuscitano”. Con Gesù è cominciato un mondo
nuovo; ciò che all’uomo era impossibile viene compiuto da Dio. Intorno a Gesù sorge una comunità
di donne e uomini nuovi, capaci di credere, sperare e amare: essi trovano una rinnovata energia di
vivere.
Giovanni Battista del quale Gesù tesse l’elogio è:
- figlio di Zaccaria e di Elisabetta (Lc l,13ss)
- figlio di gente che sa stare davanti al Signore (Lc l,6.8)
- è colui sul quale scende la Parola (Lc 3,2);
- è colui che nel deserto predica: convertitevi, razza vipere, figli del serpente perché figli di Adamo;
- è colui che fa la domanda fondamentale a Gesù attraverso i suoi discepoli, dal carcere: “Sei tu
colui che deve venire?”
7
Giovanni è in crisi perché attende e prepara la strada a un Messia che sarebbe stato forte,
avrebbe separato i buoni dai cattivi, avrebbe predicato con severità. Invece dalla Fortezza di
Macheronte, viene a sapere che Gesù agisce con misericordia, compassione ... ama i peccatori. La
risposta di Gesù non è chiara, né diretta, ma enumera cinque azioni con le quali egli dimostra chi è e
risponde rimandando al famoso testo di Isaia 35,5 ss e 61, l ss.
Gesù è sicuro che Giovanni saprà riconoscere l’allusione e comprendere la natura del suo
agire di Messia. I miracoli e l’annuncio del Regno sono espressione della misericordia con cui Dio
si rende presente in mezzo al suo popolo.
Merita attenzione l’ultima frase della risposta di Gesù a Giovanni: “Beato colui che non si
scandalizza di me ...”. “Scandalo” in greco significa tendere una trappola, mettere degli ostacoli.
Giovanni sarà beato se non cadrà in trappola, ossia se accetterà la bontà misericordiosa di Dio che si
manifesta non nella potenza del giudizio, ma nella debolezza di un amore che si fa vicino agli umili,
poveri, sofferenti, peccatori. Molti invece si scandalizzarono come Pietro di fronte alla passione,
come noi che facilmente cadiamo nelle trappole.
Vieni, Signore a salvarci! Viene in mezzo a noi il Dio della gioia!
Appendice
Tempo di Avvento: incontro al Signore che viene
«Annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua resurrezione, nell’attesa della tua
venuta». Al cuore della celebrazione eucaristica, queste parole ricordano al cristiano un elemento
costitutivo della sua identità di fede: l’attesa della venuta del Signore. «Il cristiano», ha scritto il
cardinale Newman, «è colui che attende il Cristo». Certo, nei tempi del «tutto e subito»,
dell’efficacia e della produttività, in cui anche i cristiani appaiono spesso segnati da attivismo,
parlare di «attesa» può rischiare l'impopolarità e l'incomprensione totale: a molti infatti «attesa»
appare sinonimo di passività e inerzia, di evasione e deresponsabilizzazione.
In realtà il cristiano, che non si lascia definire semplicemente da ciò che fa, ma dalla
relazione con il Cristo, sa che il Cristo che egli ama e in cui pone la fiducia è il Cristo che è venuto,
che viene nell’oggi e che verrà nella gloria. Davanti a sé il cristiano non ha dunque il nulla o il
vuoto, ma una speranza certa, un futuro orientato dalla promessa del Signore: «Sì, verrò presto»
(Apocalisse 22,20). In realtà «attendere», a partire dalla sua etimologia latina (ad-tendere), indica
una «tensione verso», «un’attenzione rivolta a», un movimento centrifugo dello spirito in direzione
di un altro, di un futuro. Potremmo dire che l’attesa è un’azione, però un’azione non chiusa
nell’oggi, ma che opera sul futuro. La Seconda lettera di Pietro esprime questa dimensione
affermando che i cristiani affrettano, con la loro attesa, la venuta del giorno del Signore (2 Pietro
3,12).
La particolare visione cristiana del tempo, che fa del credente «un uomo che ha speranza»
(cfr. 1 Tessalonicesi 4,13), «che attende il Cristo» (Filippesi 3,20; Ebrei 9,28), che è definito non
solo dal suo passato ma anche dal futuro e da ciò che il Cristo in tale futuro opererà, dovrebbe
diventare una preziosa testimonianza (o, forse, contro testimonianza) per il mondo attuale dominato
da una concezione del tempo come tempo vuoto che evolve in un continuum che esclude ogni attesa
essenziale e ingenera quel fatalismo e quella incapacità di attesa tipici dell’uomo moderno. Venir
meno a questa dimensione significa pertanto non solo sminuire la portata integrale della fede, ma
anche privare il mondo di una testimonianza di speranza che esso ha diritto di ricevere dai cristiani
(cfr. 1 Pietro 3,15). L’uomo è anche attesa: se questa dimensione antropologica essenziale, che
afferma che l’uomo è anche incompiutezza, viene misconosciuta, allora il pericolo dell’idolatria è
alle porte, e l’idolatria è sempre auto sufficienza del presente.
La venuta del Signore impone invece al cristiano l’attesa di ciò che sta per venire e la
pazienza verso ciò che non sa quando verrà. E la pazienza è l’arte di vivere l’incompiuto, di vivere
la parzialità e la frammentazione del presente senza disperare. Essa non è soltanto la capacità di
sostenere il tempo, di rimanere nel tempo, di perseverare, ma anche di sostenere gli altri, di
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sopportarli, cioè di assumerli con i loro limiti e portarli. Ma è l’attesa del Signore, l’ardente
desiderio della sua venuta, che può creare uomini e donne capaci di pazienza nei confronti dei
tempo e degli altri. E qui vediamo come l'attesa paziente sia segno di forza e di solidità, di stabilità
e di convinzione, non di debolezza. E soprattutto è l’attitudine che rivela un profondo amore, per il
Signore e per gli altri uomini: «L’amore pazienta» (1 Cor 13,4). Mossa dall’amore, l’attesa diviene
desiderio, desiderio dell'incontro con il Signore (2 Cor 5,2; Fil. 1,23). Anzi, l’attesa del Signore
porta il cristiano a disciplinare il proprio desiderio, a imparare a desiderare, a frapporre una distanza
tra sé e gli oggetti desiderati, a passare da un atteggiamento di consumo a uno di condivisione e di
comunione, a un atteggiamento eucaristico.
L’attesa del Signore genera nel credente anzitutto la gratitudine, il rendimento di grazie e la
dilatazione del cuore che si unisce e dà voce all'attesa della creazione tutta: «La creazione attende
con impazienza la rivelazione dei figli di Dio ... e nutre la speranza di essere liberata dalla
schiavitù della corruzione» (Rm 8,19-21). È la creazione tutta che attende cieli e terra nuovi, che
attende trasfigurazione, che attende il Regno. L’attesa della venuta del Signore da parte dei cristiani
diviene così invocazione di salvezza universale, espressione di una fede cosmica che con-soffre con
ogni uomo e con ogni creatura. Ma se queste sono le valenze dell’attesa del Signore, se questa è una
precisa responsabilità dei cristiani, dobbiamo lasciarci interpellare dall’accorato e provocante
appello lanciato a suo tempo da Teilhard de Chardin: «Cristiani, incaricati, dopo Israele, di
custodire sempre viva la fiamma bruciante del desiderio, che cosa ne abbiamo fatto dell’attesa?».
(E. Bianchi, da Le parole della Spiritualità, pp. 53-56, Ed. Rizzoli).
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