REGIONE DELL’UMBRIA Area della Programmazione strategica e socio-economica Report di approfondimento sull’andamento dell’economia umbra negli anni 2002 e 2003 Gennaio 2005 a cura della Segreteria Tecnica del Patto Report di approfondimento sull’andamento dell’economia umbra negli anni 2002 e 2003 Premessa L’Istat il 30 dicembre 2004 ha reso disponibili le stime, riferite al 2003, di alcuni aggregati economici riguardanti le regioni italiane. Le stime riguardano per il momento solo alcuni aggregati (occupati interni, unità di lavoro, valore aggiunto, prodotto interno lordo, redditi da lavoro dipendente e spesa per consumi finali delle famiglie). In tale occasione l’Istat ha altresì riconfermato i dati 2002, relativi ai conti economici completi per le regioni italiane, resi noti nel settembre 2004. Da tali conti emerge una riduzione della crescita della ricchezza regionale umbra in entrambi gli anni, pari al -0,5% nel 2002 e al -0,4% nel 2003. Anche se si tratta ancora di dati (per il 2002) e di stime (per il 2003) suscettibili di revisioni e integrazioni, appare necessario procedere ad un loro approfondimento, per cercare di comprenderne le cause e i riflessi sull’economia regionale, visto che si tratta della peggiore performance economica del complesso delle regioni italiane. L’occasione è utile anche per elaborare un Report la cui finalità è quella di svolgere un’analisi approfondita e responsabile e di fornire quindi contributi alla conoscenza e all’interpretazione dell’evoluzione della situazione socio economica della regione. Il Report viene sviluppato analizzando separatamente il 2002, del quale si dispone dell’intero quadro dei conti aggregati e per cui si può quindi analizzarne più compiutamente la “logica economica”, dal 2003, di cui invece l’Istat ha diffuso solo le stime di alcuni aggregati. Per ciascuno dei due anni si confrontano i valori degli aggregati dei conti economici regionali Istat con gli indicatori congiunturali disponibili su base regionale, prendendo a riferimento oltre ai dati dell’Umbria e quelli delle regioni limitrofe, anche i dati delle ripartizioni italiane e quelli nazionali, laddove disponibili. Vengono infine formulate delle considerazioni conclusive sulla base dell’analisi dei suddetti dati e indicatori. 1 Il 2002 I conti regionali per il 2002 resi noti dall’Istat a settembre 2004 evidenziano per l’Umbria una riduzione della ricchezza prodotta pari allo 0,5% a fronte di un incremento dello 0,4% a livello nazionale. Tab. n. 1 - Principali indicatori economici territoriali - (Variazioni percentuali 2002 su 2001 salvo diversa indicazione) Prodotto interno lordo (*) Investimenti fissi lordi (*) Spesa per consumi delle famiglie (*) Valore aggiunto a prezzi base per unità di lavoro (**) Redditi da lavoro dipendente per unità di lavoro dipendente Tasso di accumulazione del capitale nel 2002 (%) (*) Umbria -0,5 13,2 0,0 Toscana -0,2 -0,1 -0,1 Marche -0,3 -3,8 0,2 Lazio 1,5 -1,1 0,6 Italia Centro 0,4 0,6 1,2 -0,1 0,1 0,3 0,0 -0,7 -1,7 -1,4 -0,9 -1,1 3,5 2,7 2,9 2,6 2,5 2,8 24,7 21,5 23,8 20,3 23,2 21,4 (*) Calcolate su valori a prezzi costanti espressi in milioni di eurolire 1995 (**) valori a prezzi costanti Fonte: Istat Conti economici regionali Anno 2002 - Settembre 2004 Per l’Umbria l’andamento negativo del Pil sarebbe interamente dovuto a una riduzione considerevole della “capacità produttiva” del sistema regione; infatti la domanda interna in Umbria avrebbe registrato secondo i dati Istat un’espansione del 3,5% nel 2002, risultando la più alta rispetto a tutte le altre regioni, e rispetto a un valore nazionale dell’1,1%. Analizzando più in dettaglio gli aggregati che compongono la domanda interna, va rilevato che, nelle regioni della ripartizione centrale, la spesa per i consumi delle famiglie riflette la dinamica del Pil. Per l’Umbria in particolare essa risulta stazionaria rispetto all’anno precedente, analogamente a quanto avviene in Toscana e nelle Marche. Non altrettanto si può dire per gli investimenti, che diminuiscono non solo in Toscana (- 0,1%) e nelle Marche (-3,8%), ma anche nel Lazio (-1,1%). In Umbria, invece, gli investimenti fissi lordi aumentano del 13,2%, la più alta crescita registrata tra tutte le regioni nel 2002. A tale crescita contribuiscono in particolare il settore dell’Industria in senso stretto (+ 24,3%), e quello del Commercio, riparazioni, alberghi, ristoranti, trasporti e comunicazioni (+ 24,3%). Ovviamente all’analisi della domanda aggregata segue quella dell’”offerta aggregata”, ovvero quella della produzione della ricchezza, espressa dal valore aggiunto, sia come dato globale, sia con riferimento ai diversi settori economici che lo compongono. Ognuno di questi settori contribuisce alla formazione della ricchezza regionale sia con riferimento al suo peso percentuale (struttura dell’economia), sia con riferimento al suo andamento nel tempo (analisi congiunturale). In Umbria il valore aggiunto nel 2002 registra una riduzione complessiva dello 0,4% rispetto ad una crescita di quello italiano pari allo 0,5%. 2 Tab. 2 Umbria - Valore aggiunto 2002: variazione % rispetto all'anno precedente e composizione percentuale ATTIVITA' ECONOMICHE AGRICOLTURA, SILVICOLTURA E PESCA Agricoltura, caccia e silvicoltura Pesca, piscicoltura e servizi connessi INDUSTRIA Industria in senso stretto Estrazione di minerali Industria manifatturiera Industrie alimentari, delle bevande e del tabacco Industrie tessili e dell'abbigliamento Industrie conciarie, fabbricazione di prodotti in cuoio, pelle e similari Fabbricazione della pasta-carta, della carta e dei prodotti di carta; stampa ed editoria Cokerie, raffinerie, chimiche, farmaceutiche Fabbricazione di prodotti della lavorazione di minerali non metalliferi Produzione di metallo e fabbricazione di prodotti in metallo Fabbricazione di macchine ed apparecchi meccanici, elettrici ed ottici; mezzi di trasporto Industria del legno, della gomma, della plastica e altre manifatturiere Produzione e distribuzione di energia elettrica, di gas, di vapore e acqua Costruzioni SERVIZI Commercio, riparazioni, alberghi e ristoranti, trasporti e comunicazioni Commercio all'ingrosso e al dettaglio; riparazione di autoveicoli, motocicli e di beni personali e per la casa Alberghi e ristoranti Trasporti, magazzinaggio e comunicazioni Intermediazione monetaria e finanziaria; attività immobiliari ed imprenditoriali Intermediazione monetaria e finanziaria Attività immobiliari, noleggio, informatica, ricerca, altre attività professionali ed imprenditoriali Altre attività di servizi Pubblica amministrazione e difesa; assicurazione sociale obbligatoria Istruzione Sanità e altri servizi sociali Altri servizi pubblici, sociali e personali Servizi domestici presso famiglie e convivenze Valore aggiunto ai prezzi base (al lordo Sifim) Servizi di intermediazione finanziaria indirettamente misurati (-) Valore aggiunto a prezzi base (al netto Sifim) Iva, imposte indirette nette sui prodotti e imposte sulle importazioni PRODOTTO INTERNO LORDO AI PREZZI DI MERCATO (*) calcolata su valori a prezzi 1995 (**) calcolata su valori a prezzi correnti Variazione Composizione % (*) % (**) -0,1 2,7 0,0 2,7 -6,7 0,0 1,5 28,4 2,4 23,1 -2,4 0,2 2,1 20,8 5,4 3,3 -10,5 2,8 -8,0 0,1 -2,0 1,4 9,9 1,6 0,9 2,5 5,7 3,4 4,1 3,4 5,3 2,4 6,5 2,1 -2,3 5,3 -1,3 68,9 -2,9 23,9 -4,6 13,0 -2,2 0,0 3,9 7,0 -1,9 24,4 -11,8 4,9 1,5 19,5 1,5 4,5 0,0 6,0 -5,9 -3,8 20,6 5,6 5,6 5,3 3,3 0,8 0,0 100,0 -0,4 -1,5 -0,4 -1,3 -0,5 Fonte: Istat Conti economici regionali – Settembre 2004 La riduzione per l’Umbria, come risulta dalla tabella n. 2, è dovuta essenzialmente alla variazione negativa del settore “intermediazione monetaria e finanziaria” (-11,8%) che pesa sul valore aggiunto per il 4,9%, nonché di quello degli altri servizi pubblici sociali e personali e di quello del commercio all’ingrosso e al dettaglio (-4,6%). Quest’ultima variazione è 3 particolarmente rilevante, dato che il settore contribuisce alla creazione del valore aggiunto regionale per circa il 13% del totale. Variazioni positive sono invece registrate dall’industria in senso stretto (+2,4%) e dalle attività immobiliari, professionali e imprenditoriali (+1,5%). In sostanza, tenuto conto del peso dei diversi settori sul valore aggiunto totale, l’andamento negativo del valore aggiunto in Umbria nel 2002 sarebbe essenzialmente attribuibile al forte calo verificatosi nei settori del commercio e dell’intermediazione monetaria e finanziaria. Nel conto delle risorse e degli impieghi la differenza tra il valore dell’offerta aggregata e quello della domanda interna viene espresso dalla voce “importazioni nette”, che esprimono quindi il valore delle risorse che l’economia deve assorbire dall’esterno per far fronte agli eccessi di domanda (oppure, qualora il valore sia negativo, le risorse che vengono “esportate” fuori regione per soddisfare la domanda di non residenti). Nel 2002 in Umbria, la differenza tra la fortissima espansione della domanda interna e la riduzione del Pil ha comportato un incremento elevatissimo delle importazioni da fuori regione che registrano un valore anomalo rispetto al trend degli ultimi anni che mostrava una continua riduzione di tale aggregato. Sembrerebbe essere tornati alla situazione del 1998, anno in cui si fecero sentire gli effetti del terremoto. Ciò significa che nel 2002, secondo i dati Istat, il grado di dipendenza dall’esterno è notevolmente aumentato. Altra considerazione va fatta riguardo agli andamenti verificatisi tra il 2001 e il 2002 per il Valore aggiunto, soprattutto in comparazione con il dato degli investimenti e di conseguenza con il tasso di accumulazione del capitale. Infatti mentre il valore aggiunto diminuisce dello 0,4%, gli investimenti aumentano del 13,2% portando il tasso di accumulazione del capitale ad un incremento del 13,8% contro un +0,4% dell’Italia. Infine va segnalato l’andamento positivo dei redditi da lavoro dipendente per unità di lavoro dipendente che nel 2002 registrano una crescita pari al 3,5%, rispetto al 2,5% del valore nazionale e che rappresenta il valore più alto di crescita tra tutte le regioni italiane. Volendo approfondire ulteriormente il settore che sembra mostrare una dinamica non favorevole per il 2002, e cioè il commercio al dettaglio e all’ingrosso, possono essere presi in considerazione alcuni indicatori quali l’andamento delle vendite complessive nel commercio elaborato dall’Unioncamere nazionale e la variazione delle presenze negli esercizi ricettivi elaborato dallo stesso Istat. Il primo, come risulta dalla tab. n. 3, evidenzia un andamento delle vendite in Umbria superiore per tutti i trimestri a quello che si registra a livello nazionale e nelle altre ripartizioni territoriali, con la sola eccezione della Toscana nel centro Italia. Il settore commercio risulta certamente influenzato dalla dinamica del turismo; una caduta delle presenze turistiche farebbe inevitabilmente registrare una flessione di diversi settori economici della nostra regione e in particolare influenzerebbe quello del commercio al dettaglio e all’ingrosso. Nel 2002 le presenze negli esercizi ricettivi in Umbria registrano un incremento pari all’1,8%, a fronte di una riduzione generalizzata a livello nazionale (-0,6%) e del centro (-0,6%). 4 Tab. n. 3 L’andamento delle vendite complessive nel commercio. Var. % sul corrispondente periodo dell’anno precedente. Umbria Marche Lazio Toscana 1° trim 0,0 0,0 -0,4 1,2 2002 2° trim 3° trim -0,2 0,2 0,0 0,4 -0,3 -0,3 0,7 1,5 Nord Ovest -0,7 Nord Est 0,0 Centro 0,4 Mezzogiorno -1,5 Italia -0,6 Fonte: Unione Italiana CCIAA. -2,3 -0,9 0,2 -1,0 -1,1 -0,4 -0,2 0,6 -0,7 -0,3 4° trim 0,4 0,0 -0,3 0,7 -0,3 0,3 0,2 -0,8 -0,2 Tab. n. 4 Presenze negli esercizi ricettivi nel 2002 - Var. % rispetto all’anno precedente. Umbria Marche Lazio Toscana Nord Ovest Nord Est Centro Mezzogiorno Italia Fonte: ISTAT Var. % 1,8 -0,9 -1,3 -0,3 1,2 -1,6 -0,6 0,1 -0,6 La variazione negativa del Pil umbro nel 2002 non sembra quindi trovare giustificazione nel forte aumento degli investimenti, nella tenuta dei consumi (+0,3 rispetto al -0,1 nazionale), nella crescita sostenuta del reddito da lavoro dipendente (+3,5% nel 2002 e +3,7% nel 2001), nel fortissimo incremento della domanda interna (+3,5%), nonché nell’andamento positivo nel corso del tempo del tasso di accumulazione di capitale, che inevitabilmente comporta un aumento della capacità produttiva. Una possibile giustificazione all’andamento del Pil risiederebbe nell’andamento ripetutamente negativo del valore aggiunto del settore commercio, che però a sua volta risulta difficilmente spiegabile (a meno di non pensare a improbabili fughe di massa per acquisti di beni e servizi fuori regione da parte dei consumatori umbri) visto l’andamento del reddito disponibile, dei consumi delle famiglie e della domanda interna, nonché dell’andamento del settore turistico nell’anno 2002. Del resto gli indicatori disponibili quali l’andamento delle vendite nel commercio e la variazione delle presenze negli esercizi ricettivi, sembrerebbero andare nella direzione opposta. 5 Il 2003 L’Istat il 30 dicembre 2004 ha reso disponibili le stime, riferite al 2003, di alcuni aggregati economici riguardanti le regioni italiane. Le stime riguardano per il momento solo alcuni aggregati (occupati interni, unità di lavoro, valore aggiunto, prodotto interno lordo, redditi da lavoro dipendente e spesa per consumi finali delle famiglie). Da ciò deriva un forte grado di provvisorietà delle stime (messo in evidenza dallo stesso Istat) e un livello di disaggregazione contenuto. Ciò premesso essi evidenziano una riduzione del Pil umbro pari allo 0,4% rispetto ad una crescita del Pil italiano dello 0,3% e ad una crescita del Pil delle regioni centrali dello 0,7% (Lazio +1,1%, Marche +0,7%, Toscana +0,3%). In particolare per l’Umbria il risultato negativo, secondo l’Istat, è da imputare alla flessione del valore aggiunto dell’industria (-2,3%) compensata solo parzialmente dalla ripresa delle costruzioni (+3,9%) e dal lieve aumento dell’attività terziaria (+0,2%). Va tuttavia evidenziato che in Umbria nel 2003, sempre secondo le stime Istat la spesa per consumi delle famiglie aumenta dell’1%, registrando la stessa crescita sia dell’Italia sia delle regioni centrali, e i redditi di lavoro dipendente pro capite aumentano del 3,5% analogamente al dato italiano e del Centro (+3,8%). Tab. n. 5 Principali indicatori economici territoriali - (Variazioni percentuali 2003 su 2002 salvo diversa indicazione) Prodotto interno lordo (*) Investimenti fissi lordi (*) Spesa per Consumi finali delle famiglie (*) Valore aggiunto a prezzi base per unità di lavoro (**) Redditi da lavoro dipendente per unità di lavoro dipendente Tasso di accumulazione del capitale nel 2002 (%) (*) Italia Centro 0,3 0,7 n.d. n.d. 1,0 1,0 Umbria -0,4 n.d. 1,0 Toscana 0,3 n.d. 1,1 Marche 0,7 n.d. 1,0 Lazio 1,1 n.d. 1,0 -0,5 -0,6 0,0 -0,2 -0,2 -0,3 3,5 3,6 4,4 3,8 3,8 3,8 n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. (*) Calcolate su valori a prezzi costanti espressi in milioni di eurolire 1995 (**) valori a prezzi costanti Fonte: Istat Conti economici regionali Anno 2003 - Dicembre 2004 La stima Istat sulla crescita del Pil umbro nel 2003 pari al -0,4%, smentisce le recenti previsioni formulate da vari Istituti di ricerca quali Prometeia (che prevedeva una crescita dello 0,6%) e Unioncamere (che prevedeva una crescita dello 0,5%). Essa contraddice inoltre le stime contenute nel Dap 2004-2006, riconfermate nella Proposta di Dap 2005, che indicavano una crescita dello 0,4% del Pil regionale. 6 Tali stime si basavano anche sull’andamento di una serie di indicatori congiunturali elaborati da vari istituti di ricerca (Istat, ISAE, Unioncamere, ecc.), disponibili a livello regionale che di seguito vengono illustrati. Per il settore agricolo nel 2003 il valore aggiunto in Umbria registra una forte diminuzione analogamente alle altre regioni del centro Italia e in misura più accentuata rispetto al dato nazionale. Pur se influenzato da fattori climatici (la siccità dell’estate 2003) ed anche se il contributo dell’agricoltura alla formazione del complessivo valore aggiunto rappresenta circa il 2,7%, si tratta di un fenomeno preoccupante perché evidenzia problemi di natura strutturale per il settore agricolo umbro, dato che le riduzioni di valore aggiunto superano quelle della produzione agricola. Questo dato è coerente con le stime Istat di dicembre 2004 che segnalano una riduzione del valore aggiunto in agricoltura, silvicoltura e pesca per l’Umbria pari al 10,8%. Tab. n. 6. Il valore aggiunto dell’agricoltura ai prezzi di base nel 2003 (valori costanti 1995). Quote % e var. % rispetto all’anno precedente. Umbria Marche Lazio Toscana Nord Ovest Nord Est Centro Mezzogiorno Italia Fonte: ISTAT 2003 Quote % 1,6 2,3 4,8 4,1 22,9 24,8 12,9 39,3 100,0 Var % -12,9 -14,7 -12,0 -13,5 -4,2 -11,4 -13,1 -0,7 -6,1 Per quanto riguarda l’industria, dopo il brusco ridimensionamento subito nel 2001, l’attività di questo settore ha continuato a mostrare segni di difficoltà per tutto il biennio 2002-2003. In particolare l’indagine congiunturale condotta dall’ISAE sulle imprese del settore industriale evidenzia che i saldi percentuali sui giudizi qualitativi espressi dagli imprenditori continuano ad essere negativi in tutte le ripartizioni, sia per la produzione che per gli ordini (complessivi, interni ed esteri); tuttavia per l’Umbria il dato è meno negativo di quello delle altre ripartizioni. Tab. n. 7. La produzione e gli ordini totali nel 2003. Saldi % tra giudizi qualitativi Umbria Marche Lazio Toscana Nord Ovest Nord Est Centro Mezzogiorno Fonte:ISAE Produzione -1,3 -18,8 -6,3 -20,0 -14,3 -13,5 -15,0 -8,3 7 2003 Ordini totali -6,0 -23,8 -10,8 -23,3 -20,8 -22,5 -19,0 -15,3 Per quanto riguarda la dinamica imprenditoriale l’analisi dei dati Infocamere nel 2003 mostra per l’Umbria valori dell’indice di sviluppo (che rappresenta il saldo tra la percentuale delle imprese iscritte e quella delle imprese cancellate nel corso dell’anno rispetto a quelle attive) inferiori a quelli della Toscana e del Lazio, nonché alla quasi totalità delle ripartizioni territoriali. E’ interessante notare che pur se l’Umbria mostra una dinamica meno vivace di quella delle altre ripartizioni essa presenta però valori sistematicamente inferiori nel tempo dell’indice di mortalità. Ciò significa che in Umbria nascono meno imprese, ma che esse tendono a “sopravvivere” in misura superiore a quanto accade nel resto d’Italia. In sintesi, pur se il 2003 non sembra essere stato un anno positivo per le imprese umbre, la stima Istat dell’andamento del valore aggiunto dell’industria in senso stretto in Umbria (-2,3% a fronte di un -1,0% italiano) risulta non del tutto coerente con gli indicatori Isae e Infocamere essendo la riduzione del v.a. superiore a quella delle altre ripartizioni (ad es. per le Marche pari a 0 e per la Toscana pari al -2%) a fronte di cali negli ordini e nella produzione notevolmente inferiori a quelli di queste regioni. L’unica spiegazione possibile risiederebbe quindi in un calo del valore aggiunto per unità di prodotto nel 2003 in Umbria, fenomeno che – se le stime Istat venissero confermate – necessiterebbe di un approfondimento tenuto anche conto del peso dell’industria in senso stretto sull’industria regionale (22,4% in termini di contributo al valore aggiunto). Tab. n. 8. Indici di natalità, mortalità e sviluppo nel 2003 Umbria Marche Lazio Toscana 2003 Natalità Mortalità Sviluppo 7,0 5,9 1,1 6,8 6,0 0,8 10,9 7,0 3,9 8,2 6,7 1,5 Nord Ovest Nord Est Centro Mezzogiorno Italia Fonte: Infocamere 8,0 7,4 8,9 7,4 7,8 6,7 6,7 6,6 5,8 6,4 1,2 0,7 2,3 1,6 1,4 Secondo i dati elaborati dal Cresme che rilevano a livello regionale le variazioni percentuali calcolate sui volumi medi dei fabbricati e il numero dei fabbricati per 1000 famiglie, l’attività edilizia nel corso del 2003 in Umbria ha portato ad un incremento dei volumi medi superiore a quello di numerose regioni italiane e a quello di tutte le regioni limitrofe. Questo indicatore è coerente con la stima Istat del valore aggiunto per le costruzioni (+3,9% rispetto al 2,5% a livello nazionale). Peraltro questo valore segnalerebbe - oltre ad una dinamica vivace nella costruzione di immobili residenziali e non residenziali in Umbria anche una capacità competitiva delle imprese umbre in questo settore, essendo il valore aggiunto nelle costruzioni in crescita da alcuni anni e ad un tasso superiore a quello nazionale. 8 Tab. n. 9. I fabbricati residenziali e non residenziali nel 2003. Var. % calcolate sui volumi medi e valori per 1000 famiglie. 2003 Residenziali Var % Non Residenziali Fabbricati per Fabbricati per Var % 1000 famiglie 1000 famiglie Umbria 4,2 Toscana 4,1 Marche -0,2 Lazio -0,3 Fonte: Cresme. 2,5 1,6 2,2 2,2 2,7 -3,8 2,9 -0,1 1,5 1,0 1,4 0,7 Per quanto riguarda l’ampio settore del terziario, che in Umbria contribuisce al valore aggiunto per un valore pari a quasi il 70%, non esistono indicatori a livello regionale per tutte le attività economiche che in tale settore rientrano, come ad esempio l’”intermediazione monetaria e finanziaria e le attività immobiliari e professionali”, nonché le altre attività di servizi che comprendono “la pubblica amministrazione”, l’”istruzione”, la “sanità” e i “servizi sociali pubblici e privati”. Tutte queste attività - è bene ricordarlo – rappresentano oltre il 45% del valore aggiunto totale. Nel terziario in particolare rientrano anche le attività relative al “commercio, riparazioni, alberghi e ristoranti, trasporti e comunicazioni”, che rappresentano oltre il 23% del valore aggiunto totale. Per queste attività gli indicatori congiunturali disponibili riguardano l’andamento delle vendite complessive nel commercio dell’Unioncamere nazionale e le presenze negli esercizi ricettivi di fonte Istat. Il primo evidenzia per l’Umbria nel 2003 una variazione media lievemente negativa (-0,37%), a fronte di riduzioni nell’andamento delle vendite più elevate in tutte le ripartizioni italiane e del Lazio, per quanto riguarda le regioni del centro Italia. E’ però significativo il calo registratosi in Umbria nell’ultimo trimestre del 2003. Tab. n. 10. L’andamento delle vendite complessive nel commercio nel 2003. Var. % sul corrispondente periodo dell’anno precedente Umbria Marche Lazio Toscana 1° trim -0,4 -1,2 -2,0 -0,2 2003 2° trim 3° trim 0,9 -0,5 0,7 -0,3 0,1 -0,6 1,5 0,3 Nord Ovest -0,8 Nord Est -0,9 Centro -1,1 Mezzogiorno -2,1 Italia -1,3 Fonte: Unione Italiana CCIAA -0,7 -0,6 0,7 -1,4 -0,6 9 -0,3 -0,3 -0,3 -1,1 -0,5 4° trim -1,5 -0,6 -1,0 -1,0 0,2 -0,1 -1,0 -1,7 -0,7 Per quanto riguarda il turismo, il valore delle presenze negli esercizi ricettivi nel 2003, evidenzia per l’Umbria una lieve riduzione pari all’1%, interamente imputabile alla componente straniera, analoga a quella dell’Italia e migliore di quella del centro Italia. Tab. n. 11 Presenze negli esercizi ricettivi nel 2003 (valori provvisori). Var. % rispetto all’anno precedente. Umbria Marche Lazio Toscana Nord Ovest Nord Est Centro Mezzogiorno Italia Fonte: ISTAT Italiani 0,9 2,1 -2,0 -0,7 -0,8 2,8 -0,2 3,7 1,8 2003 Stranieri -4,4 0,7 -9,1 -5,7 -2,9 -4,5 -6,6 -5,5 -5,0 Totale -1,0 1,9 -6,1 -3,2 -1,6 -0,7 -3,1 1,0 -1,0 In sintesi, fermo restando che il valore aggiunto del settore dei “servizi” è determinato da molteplici attività economiche e che solo per alcune si dispone di appositi indicatori congiunturali, la stima Istat sull’andamento del valore aggiunto nel 2003 per l’Umbria (+0,2%) appare non del tutto coerente con l’andamento di tali indicatori. Inoltre, confrontando l’andamento dell’Umbria con quello delle regioni limitrofe e più in generale con quello nazionale, la crescita ridotta dell’Umbria nel settore dei servizi appare ancor più un tema da chiarire. Sembrerebbe infatti che a volumi di vendita nel commercio non inferiori a quelli delle altre regioni corrispondano creazioni di valore aggiunto in Umbria meno significative. Una ipotesi interpretativa meno aleatoria richiederebbe però la conoscenza dell’andamento del valore aggiunto delle attività economiche che compongono il settore servizi. Per quanto riguarda l’export, va segnalato che pur essendo questo una componente non particolarmente importante nella composizione della domanda aggregata in Umbria (basti Tab. n. 12 Le esportazioni nelle regioni italiane nel 2003 (valori correnti). Quote % e var. %. Umbria Marche Lazio Toscana 2003 Quote % Var % 0,9 -4,1 3,3 1,9 4,0 -12,2 7,9 -7,1 Nord Ovest Nord Est Centro Mezzogiorno Italia Fonte: ISTAT. 41,3 31,7 16,1 10,6 100,0 10 -2,0 -5,5 -6,5 -3,8 -4,0 pensare che il Pil umbro rappresenta l’1,5% del Pil italiano, mentre le esportazioni lo 0,9% del totale delle esportazioni italiane) è comunque un dato significativo rappresentando un indicatore di apertura dell’economia. A fronte di un trend sostanzialmente positivo negli ultimi anni – l’Umbria ha conosciuto un’espansione dell’export superiore alla crescita della domanda mondiale – il 2003 mostra per l’Umbria una variazione negativa in misura pari al dato nazionale. Un ausilio per una interpretazione della variazione degli aggregati economici viene fornito anche dall’analisi del mercato del lavoro nel periodo 2002-2003. In primo luogo, secondo le rilevazioni dell’indagine trimestrale sulle forze di lavoro dell’Istat elaborate dall’Agenzia Umbria Lavoro, emerge nel 2003 un incremento occupazionale pari a 3000 unità (+1,0% rispetto all’anno precedente) (cfr. tab. n. 13). Tab. n. 13 - Umbria occupati per settore - Valori assoluti in migliaia Settore 2002 Agricoltura 14,981 Industria totale di cui: 107,907 Industria in senso stretto 83,574 Costruzioni 24,333 Terziario di cui: 204,249 Commercio 53,674 Totale 327,137 Fonte: Rapporto annuale AUL – Giugno 2004 2003 15,412 108,654 82,777 25,877 206,215 54,261 330,281 Var. % +2,9 +0,7 -1,0 +6,3 +1,0 +1,1 +1,0 Tale dato, peraltro confermato anche dalle stime dei conti economici regionali dell’Istat di dicembre 2004, sembrerebbe evidenziare una contraddizione all’interno del sistema economico regionale che vede, sempre nel 2003, una riduzione del valore aggiunto (-0,6%) e un aumento degli occupati. Infatti anche se negli ultimi anni si è registrato un notevole aumento dell’elasticità dell’occupazione rispetto al reddito (ovvero della crescita dell’occupazione senza un corrispondente incremento del Pil), è abbastanza infrequente che esistano differenze così marcate tra l’andamento dei due fenomeni. Va ricordato che l’aumento dell’elasticità dell’occupazione si spiega in gran parte con la mancata redistribuzione dei guadagni di produttività dovuta alla diffusione di forme contrattuali più flessibili e quindi con una redistribuzione del monte ore lavorate su un numero maggiore di persone. Per meglio comprendere la relazione tra produzione di valore aggiunto e l’occupazione, appare utile confrontare l’andamento delle unità di lavoro, degli occupati e del valore aggiunto. Nel 2003 in Umbria le unità di lavoro mostrano una sostanziale stazionarietà rispetto all’anno precedente (-0,1%). Per occupati si intendono tutte le persone, dipendenti ed indipendenti, che esercitano un’attività di produzione. Per unità di lavoro si intende il numero delle posizioni lavorative equivalenti a tempo pieno. In pratica si somma il totale delle ore lavorate e si divide per il numero di posizioni lavorative (definite come un contratto di lavoro contro corrispettivo di compenso) trasformate, con 11 opportuni coefficienti, in unità di lavoro a tempo pieno. Ne consegue che tale numero può divergere da quello degli occupati, in quanto tiene conto sia delle prestazioni di lavoro straordinario sia del lavoro a tempo parziale principale o secondario. E’ inoltre importante sottolineare che – come emerge dalla tab. n. 14 - nel 2003 a fronte di un aumento dell’occupazione complessiva si registrano in Umbria una riduzione sia degli occupati (-1,3%) che delle unità di lavoro nell’industria in senso stretto (-1,2%), sia una riduzione delle unità di lavoro nel settore del commercio (a fronte peraltro di un lievissimo aumento occupazionale), mentre gli aumenti occupazionali verrebbero tutti dai settori “Intermediazione monetaria e finanziaria, attività immobiliari ed imprenditoriali” (+1,0%), e dalle “Altre attività di servizi”. Quest’ultimo in particolare, che comprende pubblica amministrazione, sanità, istruzione e servizi pubblici e privati, registra un forte aumento dell’occupazione (+2,1%), peraltro mitigato da un aumento molto più moderato delle unità di lavoro (+0,3%). Tab. n. 14 - Umbria: Variazioni percentuali di alcuni aggregati tra il 2002 e il 2003 ATTIVITA' ECONOMICHE AGRICOLTURA, SILVICOLTURA E PESCA INDUSTRIA Industria in senso stretto Costruzioni SERVIZI Commercio, riparazioni, alberghi e ristoranti, trasporti e comunicazioni Intermediazione monetaria e finanziaria; attività immobiliari ed imprenditoriali Altre attività di servizi Totale Unità di Occupati Valore lavoro totali totali Aggiunto Valore aggiunto per unità di lavoro -3,7 2,2 -10,8 -7,4 0,5 -1,2 6,0 -0,2 0,4 -1,3 6,1 1,3 -1,2 -2,3 3,9 0,2 -1,7 -1,1 -1,9 0,4 -0,9 0,3 -0,9 0,1 0,5 1,0 0,6 0,1 0,3 -0,1 2,1 1,0 1,2 -0,6 0,9 -0,5 Fonte: Elaborazioni del Servizio programmazione strategica generale e controllo strategico su Istat Conti economici regionali Anno 2003 - Dicembre 2004 Ne deriva quindi che l’andamento del valore aggiunto complessivo risulterebbe spiegato da una riduzione del valore aggiunto nell’industria, non compensato dagli incrementi ocuupazionali dei settori “Intermediazione monetaria e finanziaria,…” e “Altre attività di servizi”. Per quest’ultimo va anche tenuto conto che si tratta tradizionalmente di un settore ad elevato contenuto occupazionale, ma con un livello non elevato del valore aggiunto per unità di lavoro. Va peraltro evidenziato che, sempre secondo le stime dell’Istat di dicembre 2004, nell’industria in senso stretto è diminuito anche il valore aggiunto per unità di lavoro (-1,1%). Va tenuto presente in queste considerazioni che l’Umbria, rispetto al dato nazionale, mostra: una composizione del valore aggiunto che vede una maggior peso percentuale dell’industria (27,9% rispetto al 26,6% nazionale) e un minor peso di tutte le componenti del terziario (commercio, intermediazione e attività professionali, altri servizi); un livello del valore aggiunto per unità di lavoro inferiore al dato nazionale sia nell’industria in senso stretto (39,3 mila euro rispetto alle 43,05 mila euro italiane), che nel commercio (36,10 mila euro contro 38,08 mila euro italiane). 12 In sintesi l’analisi degli andamenti occupazionali in Umbria mostra una contraddizione solo apparente con l’andamento del valore aggiunto, spiegata da un aumento dell’occupazione in settori tradizionalmente a basso valore aggiunto per addetto a fronte di una riduzione dell’occupazione nei settori tradizionalmente più dinamici dell’economia. Peraltro però, alcuni elementi da approfondire permangono: in primo luogo la forte differenza esistente nei conti Istat di dicembre 2004 tra l’andamento degli occupati (+1%) e quello delle unità di lavoro (-0,1%) farebbe pensare ad una sostituzione del lavoro full time con lavoro parziale e temporaneo. I dati Istat dell’indagine trimestrale sulle forze di lavoro ma anche i dati sulle assunzioni registrate dai Centri pubblici per l’impiego ed analizzate dall’Agenzia Umbria Lavoro mostrano invece nel 2003 una crescita della componente “stabile” dell’occupazione; secondo tale indagine, infatti, nel 2003 il numero di occupati part-time è aumentato di 1.000 unità rispetto al 2002, ma a tale aumento si è accompagnata una crescita ben più elevata dell’occupazione full-time (+ 3.000 unità) con una “…..discesa dell’occupazione temporanea dall’11% al 10,4% dell’occupazione complessiva”. D'altronde anche le tendenze che emergono dalla registrazione delle avvenute assunzioni presso i Centri pubblici per l’impiego confermano questa tendenza, evidenziando una sostituzione di lavoro a tempo determinato con lavoro a tempo indeterminato; l’incremento dell’incidenza delle nuove assunzioni a tempo indeterminato passa dal 22% del 2002 al 26,1% del 2003. In secondo luogo l’andamento di dati nazionali con riferimento a unità di lavoro e occupati, pur con le differenze esistenti tra Umbria e Italia, non risulta così diverso da quello umbro da motivare la differenza esistente nell’andamento comparato del valore aggiunto nazionale (+0,3%) e regionale (-0,6%). Per comprendere meglio l’andamento dell’economia umbra, è necessario comunque attendere le stime degli ulteriori aggregati economici, quali ad esempio gli investimenti fissi lordi e l’andamento delle varie attività che costituiscono il valore aggiunto. Difatti, il set completo potrebbe innanzitutto modificare, come è successo in altre occasioni le “stime” provvisoriamente formulate, e inoltre chiarire alcuni dei punti tuttora non completamente analizzabili quali la dinamica degli investimenti rispetto al valore aggiunto e quindi il tasso di accumulazione di capitale, il contributo alla creazione di ricchezza delle varie attività economiche, nonchè le corrispondenti dinamiche dell’occupazione e delle unità di lavoro. Se tuttavia venisse confermata dall’Istat la riduzione del Pil regionale per il 2003, ciò vorrebbe dire inevitabilmente (a meno che non vengano rivisti i dati relativi alla spesa per consumi delle famiglie) che nel 2003 si registrerebbe una caduta degli investimenti fissi lordi, ovvero un ulteriore notevole incremento delle importazioni nette, cioè del grado di dipendenza della regione dall’esterno. Inoltre si registrerebbe una complessiva flessione della produttività media per addetto dell’economia regionale nonostante la dinamica positiva dell’occupazione, facendo quindi ritenere che – nonostante le indicazioni diverse che provengono dall’indagine trimestrale dell’Istat sulle forze di lavoro e dai dati dei Centri per l’impiego – in Umbria si rafforzerebbe il trend del modello di “occupazione senza crescita”. 13 Puntando l’attenzione sul settore dell’industria in senso stretto che rappresenta in Umbria una quota considerevole del valore aggiunto regionale, emergerebbe, dopo un anno, il 2002, caratterizzato dalla fortissima espansione degli investimenti fissi lordi (+13,2%) una riduzione dell’occupazione complessiva, delle unità di lavoro totali, nonché del valore aggiunto nonostante alcuni indicatori mostrino un “tenuta” della produzione e degli ordini. Pur non disponendo di altri elementi di valutazione (ad esempio il grado di utilizzo degli impianti) per formulare un giudizio più articolato e approfondito, da queste stime deriverebbe comunque la riduzione non solo del valore aggiunto per unità di lavoro (-2,3%), ma anche quella del valore aggiunto per unità di prodotto, dopo di un anno di forti investimenti. Nel settore del commercio, fermo restando che non è possibile al momento verificare la coerenza tra le stime Istat e gli indicatori congiunturali disponibili a livello regionale a causa dell’eccessiva aggregazione settoriale delle stime Istat, rimane la perplessità già espressa sull’andamento del valore aggiunto del settore nel 2002 e nel 2003. Tale perplessità appare ancor più evidente se si tiene conto che le unità di lavoro in questo settore sono superiori agli occupati in misura rilevante, e il rapporto tra questi due aggregati risulta in Umbria (111 unità di lavoro per 100 occupati) superiore all’omologo dato nazionale (109 unità di lavoro per 100 occupati). Tali numeri fanno pensare a un forte utilizzo della manodopera occupata in tali settori (ad es. ore di straordinario) e quindi non sono coerenti con una persistente dinamica negativa del valore aggiunto senza che questo comporti altrettanto consistenti riduzioni occupazionali. Infine le differenze di performance del valore aggiunto tra l’Umbria e il dato nazionale a fronte di andamenti non così divergenti dei dati occupazionali, non sembrano spiegabili esclusivamente con le diversità esistenti tra il dato nazionale e quello regionale del valore aggiunto per unità di lavoro. Emerge quindi anche la questione dell’attendibilità relativa di stime e rilevazioni campionarie quando vengono condotte su realtà di piccola dimensione come è la nostra regione anche alla luce della presenza di contraddizioni sia tra gli stessi dati di fonte Istat, sia tra i dati Istat e gli altri indicatori congiunturali. In ogni caso, sempre più forte si palesa il carattere di “svolta” in cui – al pari dell’intero Paese – si trova il sistema produttivo regionale, di fronte alla sfida rappresentata dall’insorgere di nuovi paradigmi tecnologico-produttivi di portata tale da far parlare di una nuova rivoluzione industriale. Sempre più importante diventa quindi il concorso attivo e consapevole di tutte le componenti della società regionale per rimanere competitivi in scenari futuri che sono in realtà sempre più il presente dell’economia mondiale. Per la Segreteria tecnica del Patto Simona Azzarelli Mirella Castrichini Carlo Cipiciani 14