UNIVERSITA’/ 1. Rossi (Pd): Brava
Gelmini, una riforma di “sinistra”
INT.
Nicola Rossi
giovedì 29 ottobre 2009
Varata ieri a Roma dal Consiglio dei Ministri, la riforma Gelmini dell’Università
italiana ha subito riscontrato pareri discordanti e trasversali da parte di
maggioranza e opposizione, chi la taccia di statalismo e chi ne elogia alcuni
drastici punti di cambiamento rispetto al vecchio sistema accademico. Il
Senatore Nicola Rossi, del PD, sembra particolarmente apprezzare il testo.
Gliene abbiamo chiesto i motivi
Senatore Rossi ha colpito la sua approvazione nei confronti del ddl
Gelmini per la riforma dell’Università. Che cosa apprezza di questo
provvedimento?
Sebbene faccia parte dell’opposizione trovo in questo Disegno di Legge
sull’Università molti punti apprezzabili, nonostante si sia ancora molto lontani
da una riforma che sia davvero eccellente. Ma posso tranquillamente
affermare che si tratta di un passo avanti in una direzione che condivido
pienamente. I “tagli” gestionali che devono essere effettuati trovano in queste
novità la possibilità di concretizzarsi e riavviare anche se di poco l’inceppata
macchina degli atenei.
Rettori in carica “solo” per otto anni, maggior managerialità dei
direttori, rappresentano punti importanti di cambiamento?
Che la carica dei rettori sia limitata è senza dubbio un bene, ma forse è
l’incidenza minore sotto questo versante. Il punto non è tanto cambiare i
rettori quanto invece, come giustamente è scritto all’interno di questo
disegno, promuovere figure di stampo manageriale alla conduzione degli
atenei. Per questo saluto l’introduzione dei direttori generali che non avranno
solo funzione amministrativa, ma anche gestionale delle università. Infatti la
questione è che molti rettori italiani sono convinti che il problema delle
accademie sia solo quello di governance. In realtà finché l’università italiana
non disporrà di adeguati incentivi che la porteranno a premiare il merito
dubito che potrà crescere sotto il versante meramente culturale.
Alcuni ravvisano in questo ddl un’ombra di statalismo. Anziché, per
esempio, essersi ispirati alle buone prassi si è preferito sottoporre a
normativa nazionale tutti gli atenei. Come giudica questa opinione?
È utopistico pensare che si possano prendere ad esempio i casi di eccellenza
per le università italiane. Se infatti si parte da queste e si compone una legge
su tali criteri è come pretendere l’immediata trasformazione di tutti gli atenei
d’Italia, e ciò, non c’è bisogno di dirlo, è piuttosto irrealistico. Siamo 60 milioni
di cittadini, direi che le università d’eccellenza fisiologicamente non possano
essere più di cinque o sei. Da questo punto di vista è ragionevole pensare
che le università abbiano regole sufficientemente comuni, regole elementari
ragionevoli. Piuttosto sarebbe un fattore importante, che manca in questo
abbozzo di riforma, il dare alle università veramente di eccellenza la
possibilità di autogestirsi con un’organizzazione scientifica, didattica e
amministrativa.
Per quanto riguarda le decisioni prese nei confronti dei ricercatori?
È positivo il fatto che il ruolo dei ricercatori sia sostanzialmente a tempo.
Sembra un controsenso detto da una persona come me che si batte contro il
precariato, ma tale non è. Perché il mestiere dei ricercatori non può essere
paragonato ad altri lavori, non tutti sanno farlo. Non affermo questo in toni
classisti, ma per così dire “vocazionali”. Il lavoro del ricercatore è un lavoro di
passione e pazienza, non può diventare un serbatoio di precariato. Per
questo trovo giusto sia che l’età per diventare docenti di ruolo sia stata
abbassata dai 36 ai 30 anni, che lo stipendio sia aumentato e, soprattutto,
che si disponga di un periodo di tempo determinato per capire se la strada
intrapresa è la propria o meno.
Anche i docenti saranno sottoposti a esami, è un rischio o
un’opportunità?
Tutto ciò che in qualche modo seleziona, parlando del campo accademico,
credo che sia utile e opportuno. Ma soprattutto spero che cambi la logica per
la quale si apprezzi o meno l’operato di un docente. Di fatto questo non
emerge nel Disegno di Legge del ministro Gelmini, ma il passo avanti è
evidente. Io docente universitario dovrei essere il primo ad avere l’interesse
che venga scelto il migliore dei professori possibili come mio collega. Questo
perché l’andamento positivo di un ateneo dovrebbe giovare all’intero corpo
docenti. Che cosa manca ancora? Il fatto che siano le università a pagare o
guadagnare rispetto alla scelta dell’assunzione di un insegnante. Così
sarebbero incentivate a spendere soldi e premiare il merito.
Dunque sembra davvero soddisfatto dalla direzione intrapresa dal Governo,
ma non ha trovato nemmeno il cosiddetto pelo nell’uovo?
Be’ in parte ho elencato quale mancanza. Direi che il difetto principale risiede
in quello che è il mio personale “cavallo di battaglia”, ossia la questione delle
fondazioni universitarie, la possibilità per le università d’eccellenza di
organizzarsi diversamente sotto il profilo tecnico, scientifico, didattico,
amministrativo che rimarrebbe un naturale complemento di questa riforma.
Anzi proprio perché in un certo senso “statalista” faciliterebbe il lavoro delle
eccellenze.