Milano-Piacenza, associazioni protagoniste

Milano si-cura, dal blog una ‘diretta’ sulla seconda giornata
Non si può più dire ‘io resto fuori’: siamo tutti coinvolti
e tutti dobbiamo prenderci alcune responsabilità
Giangiacomo Schiavi, vicedirettore Corriere della Sera, apre la seconda giornata dei lavori,
sottolineando il concetto insito in Milano si-cura: è più importante curare il malato che non la
malattia. La malattia di Milano si chiama ‘paura’ ed è usata in tutti i modi, a volte legittimi, a volte
provocatori, a volte per finalità strumentali.
Nell’incontro di questa mattina (giovedì 20 novembre), ‘Il portico di Salomone: Milano si-cura
della giustizia’ cercheremo di capire qual è lo stato di questa malattia, di questa paura, e quali sono
le terapie. Don Massimo Mapelli racconta l’esperienza di un bambino soldato della Sierra Leone,
che sniffava colla, che quando è arrivato in Italia non ha trovato nessuno che potesse aiutarlo a
capire come fare a esigere i suoi diritti. E’ rimasto clandestino, con una forte storia di dipendenza.
E’ finito in carcere, da cui è uscito, ed è stato trovato da un volontario. Accolto in Casa della carità,
sono state avviate le procedure per riconoscergli i suoi diritti. Fare giustizia a una storia come
questa non significa solo occuparsi delle illegalità che ha commesso, ma significa restituire molto di
più alla vita di un ragazzo, nella sua totalità.
Alessandra De Bernardis ricorda una frase del Cardinal Martini: ‘Chi è orfano nella casa dei diritti
difficilmente sarà figlio nella casa dei doveri’. Dall’esperienza della Casa della carità emergono
alcune domande: a fronte del rischio di disuguaglianza nell’accesso alla giustizia e una diversa
percezione dei reati a seconda di chi li compie, come si sviluppa il rapporto tra legalità e diritti?
Quale rapporto vi è tra tutela della società e tutela delle persone, rei compresi?
Livia Pomodoro, presidente del Tribunale di Milano, segnala come il Palazzo di Giustizia sia
spesso vissuto come luogo nel quale si consuma l'ingiustizia. Segnala l’esistenza di un problema di
ricostruzione delle coscienze, di un contesto di comunità sociale che coniughi in maniera corretta ed
equilibrata diritti e doveri. ‘Viviamo in una società male educata - continua che consegnamo ai
nostri giovani e a cui questi ultimi dovrebbero ribellarsi e indignarsi’.
Sottolinea la necessità di ripartire da una giustizia più rispettosa della dignità delle persone, di
coloro che sono davvero gli ultimi degli ultimi, che rappresentano una massa enorme di persone che
entra nelle maglie lente della giustizia, che deve essere giudicata ma ha bisogno di aiuto.
Ricorda infine, come legalità e dignità sono fondanti di ogni sano contesto sociale e conclude
ricordando come il giudizio debba accompagnarsi alla speranza di una possibilità di recupero per
chi ha commesso un reato.
Claudia Mazzucato, ricercatore confermato di Diritto penale Università Cattolica del Sacro Cuore
di Milano e Piacenza, invita a una riflessione che emerge dall’esperienza della Casa della carità:
qual è il legame tra il diritto e la premura, la cura e l’ospitalità.
Sottolinea che il diritto serve per rendere il mondo un luogo più ospitale, attraverso le regole, che
sono richieste di comportamento: la norma interpella il destinatario e gli chiede un comportamento.
Il
comportamento,
grazie
alla
regola,
diventa
trasparente
e
prevedibile.
Le norme servono per ridurre la sofferenza che nasce dalle ingiustizie e dalle offese. E’ un diritto
che vede nel destinatario un interlocutore attivo, non un suddito. Il diritto che nasce dall’esperienza
democratica è un diritto che parla, non comanda, aperto verso la responsabilità per gli altri.
Maria Grazia Monegat, consigliere Ordine degli Avvocati di Milano, sottolinea che il Tribunale è
un microcosmo con alcuni limiti, il primo dei quali è il controllo all'accesso.
Ritiene che gi avvocati debbano interrogarsi su quale sia il compito loro affidato nel microcosmo di
questo Palazzo. Gli avvocati sono lo strumento attraverso cui il cittadino si accosta alla giustizia:
hanno il ruolo importantissimo di fornire una corretta informazione su ciò che i cittadini hanno
diritto di ricevere da questa struttura. Pur nella limitatezza dei mezzi, l’avvocatura milanese, 16.000
avvocati, ha cercato di fare qualcosa all’interno di questo Tempio della giustizia.
Lo testimoniano l’apertura, nel 2008, dello sportello per il cittadino in via Freguglia che consente di
avere una prima informazione, spesso esaustiva, e dell’ufficio, aperto 3 giorni a settimana, per
assistere chi ne ha la necessità, a spese dello stato.
Infine, cita l’Osservatorio del processo civile, nel cui ambito tutte le componenti del processo civile
sono chiamate a trovare delle prassi e applicare dei protocolli per accelerare i tempi del processo e
rendere più efficace la domanda di giustizia dei cittadini.
Siamo una società che discrimina? E’ la domanda posta da G. Schiavi a Alberto Guariso, docente
di Diritto Antidiscriminatorio,Università degli Studi di Brescia. Guariso parla delle tre ‘i’ ipertrofia,
inefficienza, ineguaglianza. Ipertrofia del sistema sanzionatorio, idea che qualsiasi problema possa
essere risolto introducendo sanzioni. Sottolinea che l’ipertrofia produce inefficienza e genera
ineguaglianza.
Si apre una serie di interventi dal pubblico.
Giuseppe Giolitti parla del reato di clandestinità, in modo volutamente provocatorio paragonato alla
situazione della popolazione ebrea in Italia al momento dell'emanazione delle leggi razziali, e si
interroga su quanti cittadini italiani sarebbero disposti, ora come allora, ad offrire la propria
solidarietà alle persone immigrate.
Laura Cocci esprime la difficoltà di opporsi alla discriminazione perfino con gli uffici nazionale che
si occupano proprio di questa problematica.
Franco Moro Visconti porta l'esperienza di un giovane rom, avente permesso di soggiorno fino al
raggiungimento della maggiore età e che ora si trova a doverlo richiedere tramite rito contenzioso.
Chiede dunque se è possibile avere rapidamente una risposta sul tipo di procedura da seguire nel
momento in cui la giurisprudenza non è uniforme.
In risposta a queste riflessioni da parte del pubblico, Guariso porta il caso dell'impossibilità, da
parte di persone straniere, di assumere posizioni di pubblico impiego; queste piccole barriere creano
diversità. C'è però necessità, in parallelo, di ricomporre la coscienza sociale.
Mazzucato sottolinea come le leggi nascano anche dalla coscienza sociale e al contempo la
plasmino; il sistema giuridico risente della valutazione dell'opinione pubblica e per questo è
necessaria l'educazione della coscienza sociale.
La legge viene vista come qualcosa di formale o astratto mentre invece dovrebbe essere incarnata
nella vita di chi ha offeso e chi ha subito per cercare una riparazione.
Le norme non sono soltanto di carta ma sta ai giudici e agli avvocati invocarle costantemente e
integrarle nella vita quotidiana.
Pomodoro evidenzia l'aumento di richieste di asilanti e garantisce una particolare sensibilità verso
le questioni di status.
Monegat fa propria la similitudine tra medici e avvocati a livello etico, espressa da Schiavi: il
diritto di assistenza non può fermarsi di fronte alla situazione di un individuo senza permesso di
soggiorno.
Don Virginio Colmegna evidenzia come dare dignità legale a un individuo non sia un'attività che
esula dal compito dei sacerdoti, spesso tacciati di doversi focalizzare piuttosto sull'anima delle
persone piuttosto che sulle questioni materiali che la riguardano nella vita quotidiana. La politica
segue spesso il consenso piuttosto che la responsabilità sociale.
Clandestinità è un termine generalmente associato a tutto ciò che è negativo.
Le istituzioni dovrebbero lavorare a un bene supremo che è quello comune, ci sarebbe necessità di
alleanza e aumento della comprensione, non basta più constatare.
Massimo, amico di don Virginio, a proposito di riconciliazione di una società spezzata mette in
luce il bisogno di soggetti e luoghi di mediazione.
La cultura odierna dell'esclusione e quella della riconciliazione si giocano sulla lettura della
Costituzione.
La Costituzione è ancora un punto irrinunciabile e su questo non ci si può permettere di arretrare.
Il ruolo dell'Italia nel mondo sarà più forte se capace di esprimere una cultura di unificazione e
risoluzione dei conflitti sociali; la cultura del rancore rende peggiore, arretrato e povero il nostro
Paese.
Maurizio Gardanella si concentra sul tema della criminalità organizzata: la presenza di questo tipo
di organizzazioni è un argomento pre-politico in quanto esse mirano a conquistare il territorio.
Porta poi ad esempio il caso di Buccinasco,città della quale è stato sindaco, dove la criminalità
organizzata è stata combattuta anche grazie all'aiuto della comunità sinta locale.
Bruti Liberati commenta il bassorilievo raffigurante il trionfo della Giustizia che da chi partecipa
oggi viene visto da una nuova prospettiva grazie alle riflessioni svolte durante l'incontro.
Monegat in conclusione afferma che il futuro dovrà coniugare il cives con la coscienza dei
cittadini, compito al quale siamo chiamati tutti.
Guariso auspica una moratoria sullo slogan ‘Accoglienza nella legalità’, universalmente condiviso
ma interpretato in diversi modi; riguardo all'immigrazione ad esempio, il concetto di legalità passa
dal non aver commesso reati all'essere regolari.
Giangiacomo Schiavi riassume il senso degli interventi: non si può più dire ‘io resto fuori’: siamo
tutti coinvolti e tutti dobbiamo prenderci alcune responsabilità.
Livia Pomodoro conclude l’incontro segnalando che ognuno degli interventi ha portato un tassello
della propria esperienza e le proprie riflessioni. Ringrazia Casa della carità che costituisce un luogo
straordinario attraverso cui confrontarsi. Ricorda che l’amministrazione della giustizia è un valore
all’interno della società, e che i presenti quest’oggi non sono ospiti, ma devono considerarsi a casa
propria: il Palazzo di Giustizia è luogo di tutti i cittadini. Esprime riconoscenza per avere insieme,
oggi, da punti di vista diversi, ragionato sul fatto che la società esige risposte condivise.
E’ importante infatti condividere regole sane: solo se le regole sono condivise e partono da una
cultura ‘buona’, è possibile prevenire - laddove è possibile prevenire - e anche utilizzare lo
strumento della repressione in maniera corretta e ‘comprensibile’.
Dal blog www.milanosi-cura.it