Lettere alle parrocchie

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LUIGI MARTELLA
DOTTORE IN SACRA TEOLOGIA
PER GRAZIA DI DIO E DELLA SEDE APOSTOLICA
VESCOVO
DI MOLFETTA-RUVO-GIOVINAZZO-TERLIZZI
OMELIA PER LE ESEQUIE DI MONS. GAETANO VALENTE
Terlizzi, 21 gennaio 2013
La storia di questa città di Terlizzi incide oggi nella memoria del popolo e della comunità
ecclesiale una pagina indelebile: salutiamo Mons. Gaetano Valente, un uomo di spessore, un
sacerdote autentico, uno studioso di vaglia, un cittadino apprezzato e amato. E consegniamo al
futuro un terlizzese verace: un uomo che lascia il segno di un appassionato amore verso questa città.
Noi tutti avvertiamo una grande tristezza. Abbiamo trepidato per la sua salute soprattutto nelle
ultime settimane, mentre la malattia avanzava. I medici hanno studiato ogni ipotesi possibile per
strapparlo all’irreparabile. Gli amici, (tanti amici!), gli si sono stretti intorno. Io stesso gli sono stato
vicino, ed ho avuto anche la soddisfazione di fargli la comunione in ospedale. Non finiva di
ringraziarmi, mentre ripeteva di tanto in tanto: “Quello di lassù, mi chiama!”. In effetti, col passare
delle ore e dei giorni, sentivamo che l’inesorabile attraversamento della soglia era sempre più
vicino.
Ora don Gaetano si è incontrato con il Signore. E ha visto finalmente quel volto che tante volte ha
cercato, immaginato, studiato, tratteggiato, interpretato, espresso, irradiato nel suo lungo ministero e
nella sua lunga vita. È finito per lui il tempo dell’attesa ed è scoppiato il giorno della risurrezione.
È stata proclamata nella prima lettura, una pagina tratta dal libro del Siracide, che noi vorremmo
sovrapporre a caratteri cubitali sulla figura di don Gaetano, uomo di ricerca e di cultura. «È stato
ricolmato di spirito di intelligenza» (Sir 39, 6). «Ha detto e scritto parole di sapienza, effuse come
pioggia e rugiada» (Sir 39, 6): una parola ora erudita, ora fluente e sapida, sulle pagine di tanti
articoli e volumi, soprattutto di storia locale, offrendo notizie e dipanando magistralmente i segreti
del tempo attraverso un innato acume di investigazione.
La dimestichezza con i “luoghi” del sapere gli ha permesso di raccontare e di illustrare l’evoluzione
degli eventi, di secolo in secolo, soprattutto di questa città, in particolare della chiesa locale. Egli
era avvezzo e incline a scendere nelle profondità delle cose, e la ricerca lo portava sempre
all’approdo finale, al punto di convergenza universale, in definitiva, all’eterno Assoluto; proprio
come dice il Siracide: «Egli dirigerà il suo consiglio e la sua scienza e la sua meditazione ai misteri
di Dio. Il Signore farà brillare la dottrina del suo insegnamento» (Sir 39, 8).
Ma non si può percepire l’esistenza di questo caro fratello che ci lascia, senza addentrarsi nella sua
figura di sacerdote. È stato ordinato il 22 luglio del 1945 da Mons. Achille Salvucci, dopo aver
frequentato i corsi di Teologia presso il Seminario Regionale di Molfetta. Successivamente ha
seguito il corso di laurea in lettere classiche; ha conseguito il diploma in paleografia, diplomatica e
archivistica. Per i suoi studi e le apprezzate pubblicazioni ha meritato la nomina di socio onorario
della Società di Storia Patria per la Puglia. Ha insegnato lettere nel Seminario Vescovile e
Religione presso la Scuola Media statale e l’Istituto Magistrale di Terlizzi. Per quanto riguarda
gli incarichi più strettamente pastorali, fu inizialmente vice-rettore nel Seminario Vescovile;
vicario parrocchiale presso la parrocchia di Santa Maria di Sovereto, Assistente diocesano della
FUCI e AIMC, direttore del Terz’Ordine Secolare Francescano. Altri spazi di lavoro in diocesi
sono stati quello di delegato vescovile per le Religiose; membro dell’Istituto dell’Uffic io
Amministrativo Interdiocesano e collaboratore parrocchiale presso la parrocchia Immacolata in
Terlizzi. Dal 1952 rettore della chiesa di S. Ignazio e nello stesso tempo assistente spirituale
della Confraternita della Presentazione della Vergine Maria e S. Ignazio. Infine fu canonico
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LUIGI MARTELLA
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teologo del Capitolo della Concattedrale di Terlizzi e insignito del titolo onorifico di
Cappellano di Sua Santità.
Nel servire il Signore nella santa Chiesa aveva un suo modo di essere ed di agire. Sembrava
contegnoso, mentre era riservato. A tratti sembrava ruvido ma in realtà aveva un cuore tenero. Ed
era generoso. Fu sacerdote fedele e legato al suo dovere. Talvolta mostrava attaccamento al passato,
ma era pronto ad accogliere il nuovo, quando gli appariva autentico. Amava, invece, riferirsi sempre
a ciò che era ben provato. Comunque, nonostante tutto, e dentro tutto fu prete nel cuore e nella vita.
Amò la sua città, la sua diocesi, il vescovo e i confratelli. Fu anche un devoto candido e semplice
della Madonna e della Madonna di Sovereto. È stato promotore di varie iniziative a carattere
culturale ed ha sempre riconosciuto l’importanza della espressione semplice e popolare della
religiosità. «Non vi è dubbio – egli scrive – che sotto l’aspetto tipicamente religioso la festa si
traduca in una ricorrente occasione in cui la gente riesce a manifestare e a vivere pienamente la
propria esperienza di fede con spontaneità, anche se a volte con atteggiamenti emotivi, ma
sempre, comunque, con quelle disposizioni interiori di generosità e di sacrificio, fino
all’eroismo, di cui è solo capace il popolo degli umili» (G. VALENTE, La Madonna di
Sovereto e il carro trionfale, Molfetta 1994, pp.168-169).
Il brano evangelico proclamato ci porta a considerare un altro aspetto della testimonianza di don
Gaetano: la ricerca della verità dei fatti storici come desiderio di vita piena. Dice Gesù: «In verità,
in verità io vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e
non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita» (Gv 5, 24). In sostanza, Gesù fa
capire che c’è una Parola che bisogna accogliere innanzitutto: è la sua Parola; e c’è Uno a cui
credere, prima che ad ogni altro e a qualsiasi cosa: è il Padre celeste. Solo così si passa dalla morte
alla vita. La regola di ogni credente, direi di ogni uomo, è, pertanto, questa: “passare dalla morte
alla vita”. Questo avviene non solo nell’ultimo momento dell’esistenza, bensì durante tutta
l’esistenza. Il sapere per il sapere è pura vanagloria; il sapere per accogliere la verità è liberante; è
un sapere che dà la vita, perché ti ricongiunge a Dio. Don Gaetano ha operato costantemente questo
“passaggio” alla vita nella continua tensione verso l’ “oltre”.
Ieri era S. Sebastiano, un giovane martire dei primissimi tempi della Chiesa. Di lui, san Ambrogio
di Milano, scrive che attraverso le prove “meritò il domicilio dell’immortalità eterna”. Amiamo
pensare anche noi che don Gaetano condivida, ora, con tanti fratelli e sorelle benedetti dal Padre, il
domicilio dell’eternità e dell’immortalità.
Ed ora, dinanzi alla sua bara, gli esprimo, anche a nome del presbiterio diocesano, sentimenti di
gratitudine, per quanto ha operato in questa nostra Chiesa e per le fatiche che ha sostenuto. Esprimo
sentimenti di compartecipazione orante alla Chiesa e alla Confraternita di S. Ignazio verso la quale
ha avuto tanta premura. Così come tanta cura ha riservato e tante energie ha profuso (anche in
termini pecuniari) per il restauro e il decoro del complesso di Cesano. Insieme al Comitato ha reso
vivo e godibile quel sito tanto antico e prima ancora ne ha illustrato l’importanza storica, artistica e
religiosa.
Alla famiglia tutta: fratello, cognata, nipoti e pronipoti assicuriamo la nostra sincera partecipazione
al dolore, mentre esprimiamo vera gratitudine per le attenzioni riservate nei confronti di don
Gaetano nell’arco di tutta la vita e specialmente in questi ultimi periodi della sua malattia.
Celebrando il sacrificio eucaristico per lui con tutti voi, sento che lui è presente in mezzo a noi,
nella misteriosa comunione dei santi.
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Il Signore gli conceda la pienezza della sua pace ed a noi il discernimento ed il coraggio per
continuare il nostro cammino; mentre, qui, sulla terra siamo come esuli, ospiti, pellegrini verso
la patria “dove ogni lacrima sarà asciugata, e dove non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento
né affanno, perché le cose di prima sono passate” (Ap 21, 4).
+ Luigi Martella
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