Come interviene Dio nel mondo? Tesi 1. La questione di come Dio intervenga ed agisca nel mondo va compresa nell’orizzonte trascendentale della relazione che c’è tra Dio e mondo. Nell’ambito di questa questione si può comprendere e spiegare se e come Dio agisca ed intervenga nel mondo. 2. Seguendo Platone ed Aristotele, la tradizione scolastica (Agostino e Tommaso) ha compreso la relazione tra Dio e mondo alla luce dell’immutabilità e trascendenza di Dio. Perché il divenire del mondo sia compreso senza contraddizione, è necessario che Dio sia compreso come quell’essere privo di qualsiasi negazione (Ipsum esse subsistens) e potenzialità (Atto puro). Ne segue che il mondo dipende radicalmente e totalmente nel suo essere da Dio. Tale dipendenza radicale e totale dell’essere del mondo da Dio costituisce una relazione reale del mondo da Dio. Dio, invece, non dipende né totalmente, né parzialmente dal mondo nel suo essere. In Dio non c’è mancanza di essere e di Dio non si predica quel divenire che costituisce un incremento o mutamento del suo essere (dal meno al più, dalla potenza all’atto). La relazione che è posta tra Dio e mondo è solamente pensata in quanto non è realmente posta. Se affermo che il sole sorge e il sole tramonta, dico un «movimento o relazione reale» della terra intorno al sole e non del sole intorno alla terra. Questa ultima relazione o mutamento è solamente pensato o immaginato, ma non è reale. Una simile spiegazione viene datya da Agostino nel trattato sulla Trinità (De Trinitate, 5, 16,17) parlando dell’ira di Dio. «Quando si dice che [Dio] è irritato con i cattivi e amabile con i buoni, sono essi che cambiano, non lui. Egli è come la luce: insopportabile agli occhi malati, gradevole ai sani. Ma sono gli occhi che cambiano, non la luce». La relazione tra Dio e mondo è dunque asimmetrica e univoca. Il principio e fondamento di questa relatio non ex aequo è la trascendenza di Dio. Poiché Dio è l’essere che «rende ragione» del divenire del mondo (insieme di essere e non-essere), questo essere non può che essere trascendente (oltre ed altro dal divenire) e assoluto (ab-solutus, cioè sciolto da qualsiasi non-essere). 3. Il concetto di creazione esprime la relazione asimmetrica e univoca tra Dio e mondo. Che la trascendenza di Dio sia principio e fondamento del mondo e che il mondo dipenda totalmente da Dio e Gli sia radicalmente differente, è ciò che esprime il concetto di creatio ex nihilo. Quando si parla di creazione non si intende teologicamente un atto iniziale o un particolare modo di relazione tra Dio e mondo. Con creazione si esprime originariamente la relazione ontologica del mondo. Si tratta perciò di una relazione trascendentale, senza la quale il mondo non-è. L’essere del mondo si esaurisce nel suo essere-creato, cioè relazione-a-Dio, dove Dio è Colui dal quale il mondo totalmente dipende e Gli è radicalmente differente. Negare la creaturalità, significa negare l’essere del mondo. 1 4. La creaturalità del mondo non interessa solo la totalità del mondo, l’insieme cioè degli eventi che costituiscono il mondo e avvengono nel mondo, ma anche ogni singolo evento di quella totalità che chiamiamo mondo. Il mondo nella sua totalità, e i suoi singoli eventi, dipendono totalmente e radicalmente da Dio. Dio si relaziona al mondo in quanto lo fa essere nella sua totalità e nei suoi singoli eventi. Dio fa essere ogni evento del mondo e la totalità degli eventi mondani. Ogni evento del mondo (ente) esiste nella totalità (essere) e nell’insieme degli enti del mondo. Ciò che avviene nel mondo appartiene al mondo: quindi è del mondo. 5. La scolastica distingue tra causa prima e causae secundae. Dio è causa prima del mondo in quanto creatore dell’essere del mondo e dei suoi singoli eventi. Il mondo, come totalità degli eventi tra loro connessi in relazione interdipendente, è causa secunda di ogni evento che accade. Dio sarebbe allo stesso tempo creatore e creatura. L’atto creatore non è, infatti, né un’azione di Dio del mondo accanto ad altre azioni mondane, né un’azione di Dio nel mondo, in quanto se così fosse, Dio entrerebbe a far parte del mondo e negherebbe la sua trascendenza. Dio in quanto causa prima non può mai divenire causa secunda di un evento: sia perché contraddirebbe l’immutabilità di Dio, divenendo così Dio un'altra cosa, sia perché Dio diverrebbe un evento mondano. Dio fa accadere eventi, non accade tra gli eventi. 6. L’evento dell’incarnazione è paradigma di questa comprensione del rapporto tra causa prima e causa secunda. In Gesù Cristo Dio agisce nel mondo e nella storia degli uomini non come Dio ma come uomo. L’incarnazione non è la scomparsa in un punto della storia, Gesù di Nazareth, di un uomo perché ci si metta Dio, ma è il nascondimento di Dio nella comparsa di un uomo nella storia. Come divinità e umanità non sono inversamente ma direttamente proporzionati in Gesù Cristo (cf Concilio di Calcedonia), così causa prima e causa seconda, azione creatrice di Dio e azione delle realtà mondane non vanno né contrapposte, né proporzionate tra loro inversamente, né sostituite, ma poste in una proporzione diretta. Ciò è possibile, poiché in virtù del principio di creazione si esclude una gerarchia di essere tra Dio e mondo che implicherebbe un movimento e/o sostituzione dal meno al più. 7. Il paradigma dell’incarnazione ci permette, perciò, di comprendere il miracolo come evento mondano, cioè evento del e nel mondo. Non si richiede l’intervento diretto di Dio, come causa prima a sostituzione di una causa seconda. Se così fosse, Dio sarebbe causa prima nei confronti di un dato miracolo. Se è causa prima di questo singolo evento, significa che Dio è creatore di questo particolare evento miracoloso. Essere-creatore, infatti, significa per Dio essere causa prima cioè causa essendi di quell’evento lì, così come di ogni altro evento mondano. Presupporre che quando Dio interviene nel mondo facendo un miracolo, Dio agisca in modo più diretto e più divino di quando agisca come causa prima significa già immaginare Dio come una realtà mondana che si differenzia dalle altre cause per una maggiore potenza. Con il mondo non c’è questo tipo di concorrenza. C’è un concursus divinus tra Dio come causa prima et essendi, agente creatore, e il mondo come causa 2 secunda et fiendi. Se il mondo e tutti i suoi eventi dipendono totalmente e radicalmente da Dio, in quanto il mondo è creato da Dio ex nihilo, non è pensabile una maggiore dipendenza da Dio rispetto a quella per cui un evento o una realtà passa dal nulla all’esserci. 8. Ciò che distingue un evento ordinario da un evento straordinario, ciò che distingue il sorgere del sole dall’improvvisa guarigione miracolosa, non è tanto la maggiore o minore attivazione della causalità prima, che non avrebbe senso in quanto contraddittoria, ma è l’intenzionalità con cui questo e quell’altro evento accade. Si tratta, perciò, di conoscere l’intenzionalità con cui agisce Dio qui o lì. Tale intenzione divina è possibile conoscere, solo se il soggetto agente – in questo caso Dio - rivela e comunica la Sua volontà a colui che è osservatore dell’evento: ovvero, quando all’osservatore è dato non solo di vedere ma di inter-agire con Colui che agisce. Questo accade, quando il soggetto comunica il senso dell’evento a colui che ormai non è un semplice osservatore «distaccato» ma è testimone, capace di interpretare con verità ciò che è avvenuto ascoltando Colui che è all’origine dell’evento. Soggetto agente, evento e destinatario sono gli elementi costitutivi di ciò che possiamo chiamare agire comunicativo di Dio. In tale prospettiva lo stesso evento può essere interpretato in maniera differente a seconda che sia colto nell’agire comunicativo di Dio, cioè nell’orizzonte teologico-comunicativo che la Parola di Dio adeguatamente interpreta, oppure nell’orizzonte descrittivo dell’osservatore senza quella Parola rivelatrice dell’intenzione del Soggetto agente. In tale condizione il fatto è colto nell’orizzonte interpretativo dell’osservante e solo da questi determinato: non è colto, cioè, nell’orizzonte dischiuso dalla Parola rivelatrice di Colui che determina quel fatto come Suo atto. 9. L’orizzonte teologico-comunicativo della Parola rende possibile l’articolazione della relazione tra Dio e mondo come relazione asimmetrica ma non più univoca. Rivolgendoci la parola, Dio ci costituisce soggetti responsabili di relazione con Dio. Tra Dio e uomo, quindi, si istituisce un dialogo. Il nome dato a questo dialogo è quello della «preghiera». Gli eventi mondani, quindi, vengono colti in questo orizzonte orante. Ci chiediamo: possono gli eventi mondani essere anche posti in questo orizzonte orante? Cioè, la preghiera – in particolare la preghiera di richiesta – può condizionare l’agire «immutabile» di Dio oppure Dio si lascia condizionare dalla nostra preghiera? Nella questione 83a della Summa Theologiae IIa-IIae art. 2 ad secundum Tommaso afferma che «la nostra preghiera non è ordinata a cambiare le disposizioni divine: ma a ottenere con le nostre preghiere ciò che Dio ha disposto». La preghiera, quindi, non muta affatto la disposizione di Dio, la Sua volontà nei nostri confronti, ma è la nostra volontà a mutare. Noi preghiamo, affinché siamo disposti, nel senso di essere ordinati, ad accettare quanto Dio ha già deciso per noi dall’eternità. Seconda la scolastica la preghiera non ha una finalità teologica, per svelare a lui le nostre necessità e i nostri desideri o per mutare le disposizioni divine, ma ha una finalità antropologica: «per chiarire bene a noi stessi che in codesti casi, bisogna ricorrere all’aiuto di Dio» . La preghiera, in definitiva, ci conforma a quanto 3 Dio ha già deciso per noi, anche nei minimi e singolarissimi eventi della nostra vita. L’ontologia sottesa a tale comprensione della preghiera è quella della relatio non ex aequo. Tutto ciò che è creato non condiziona l’agire e l’essere di Dio. Se ciò fosse, Dio non sarebbe più principio e fondamento dell’essere creato; se ciò fosse, Dio inizierebbe ad essere ad un certo momento qualcosa che prima non era. Se prego per la guarigione di mia suocera e credo che Dio ascoltando la mia preghiera intervenga e guarisca mia suocera, significherebbe strappare Dio dalla sua eternità e inserirlo nel divenire temporale, pensarLo quindi nella successione temporale, segnata dal passato, presente e futuro. «Dio si pensa» (noesis noeseos), ovvero pensa se stesso e il suo agire (che in Dio si identificano), fin dall’eternità in ascolto della mia preghiera; così come l’esaudimento o il non esaudimento della mia preghiera sono già stabiliti da Dio, appunto fin dall’eternità, in vista della mia salvezza (o della mia condanna… caeteris paribus). Il mio pregare, quindi, non influisce direttamente sull’esito della volontà di Dio, «come se» fosse la mia preghiera a muovere Dio a fare questo o quello. E ciò non perché Dio sia indifferente, ma perché un «reale» ascolto della mia preghiera trascinerebbe Dio dalla parte della creatura e Dio diventerebbe dipendente dalla creatura. 10. A questo punto potremmo avanzare alcuni rilievi critici in merito. Siamo d’accordo che la trascendenza e l’immutabilità di Dio debbano essere sempre rispettati, per evitare sia di confondere Dio con la creatura, e ancor più per dar ragione del divenire del mondo, tuttavia, alla luce della rivelazione biblica è possibile pensare una relazione di Dio al creato, in particolare, all’uomo tale da concepire una relazione reale tra Dio e uomo? E’ possibile comprendere una relazione reale tra Dio e mondo tale da non rendere Dio dipendente dal mondo? Come abbiamo constato nella tesi precedente, il modo di comprendere la preghiera di richiesta o di domanda deriva dal modo con cui si comprende la relazione tra Dio e mondo. La questione 83 della Summa Theologiae IIa-IIae comprende la preghiera alla luce della concezione della relatio non ex aequo. E’ interessante che nella terza risposta alle obiezioni, Tommaso afferma qualcosa che sembra mostrare un modo in parte diverso di intendere non solo la preghiera di richiesta ma anche il modo di intendere la relazione tra Dio e l’uomo. «Dio nella sua liberalità ci dà molte cose anche senza che gliele chiediamo. Ma è per il bene nostro che alcune le dà a noi che gliele chiediamo [quod aliqua vult praestare nobis petentibus]». L’edizione dei domenicani italiani di P. Tito S. Centi O.P. da questa traduzione: «è per il bene nostro che alcune le condiziona alle nostre preghiere». Sembra che Dio voglia condizionare la sua eterna volontà, come se Dio non volesse agire senza di noi. Per comprendere il rapporto tra la provvidenza di Dio e la preghiera, tra l’immutabilità della volontà divina e la preghiera di richiesta, bisogna far riferimento ancora una volta al rapporto tra causa prima e causa seconda. Come Dio (causa prima) agisce nel mondo attraverso le cause seconde, così la provvidenza divina agisce nel mondo anche attraverso l’efficacia di quelle cause seconde che sono le preghiere di richiesta (cf Summa contra Gentes, libro III, capitolo 96). Dio vuole, perciò, non tanto perché condiziona la nostra preghiera, ma perché l’ordine superiore e immutabile della divina provvidenza agisce 4 attraverso l’efficacia dell’ordine inferiore e mutevole delle nostre preghiere di richiesta. Se Dio vuole qualcosa, lo vuole attraverso di noi: suscitando in noi desideri che siano conformi alla sua disposizione divina. Potremmo quindi dire che ab aeterno Dio abbia deciso già di inserire la nostra preghiera di richiesta nella determinazione della Sua volontà verso di noi. Potremmo dunque raffigurarci così l’ordine della provvidenza. Volontà immutabile di Dio causa prima desideri in noi preghiere di richiesta causa seconda EFFETTO 11. Entriamo a questo punto nell’ardita e discussa questione della prescienza, e della predestinazione divina, e ancor più nel delicato rapporto tra libertà divina e libertà umana. Dio lascia che la nostra preghiera, la nostra scelta e la nostra libertà determinino la volontà divina, poiché la nostra preghiera, scelta e libertà sono conformi alla volontà divina. Tale conformità non può essere semplicemente esterna, ma interna. Cioè è Dio stesso che pone in noi la Sua preghiera e solo questa preghiera determina la Sua volontà. In definitiva Dio esaudisce ciò che Lui vuole. La nostra preghiera non viene esaudita se non è conforme alla volontà divina. Dio non è quindi in balia o la Sua volontà non è a rischio: comunque solo le preghiere conformi alla Sua volontà sono esaudite. A questo punto sembrerebbe che la preghiera non sia più un dialogo tra Dio e uomo, ma sia un puro e semplice monologo. Dio sa già non tanto ciò che vogliamo – come ci dice Matteo 6,8 – quanto ciò che Egli vuole. Si ripresenta qui di nuovo il paradigma della relatio non ex aequo. Ciò vale anche per la libertà umana. Se da un lato è vero che Dio concede la Sua grazia a chi liberamente Lo accoglie, da un altro lato la libera accoglienza della grazia è anch’essa suscitata dalla Sua grazia. «Il libero atto del sì al Dio benigno; non soltanto ciò che viene offerto, ma perfino l'accettazione dell'offerta è in tutto e per tutto grazia di Dio. E se questa accettazione è libera, pure la libertà di questa accettazione è ancora una volta dono di Dio»1. La libertà umana accoglie la grazia di Dio, poiché questa libertà umana è già graziata all’origine: per cui la conformità tra Dio e uomo, tra grazia divina e libertà umana non è altro che conformità di Dio con se stesso. A questo punto sembrerebbe anche qui che Dio non è mai uscito da se stesso, e l’alterità umana è una pura apparenza senza sussistenza. Sembrerebbe che solo nella questione dell’inferno, cioè nel destino eterno dell’umana libertà senza Dio, Dio riconosca un limite insormontabile e invalicabile. Dio sembrerebbe scontrarsi con un’umana libertà che non sceglie Dio. Ma chiediamoci: perché in questo caso l’uomo non sceglie Dio? 1 K.RAHNER, *Questioni di teologia controversiale sulla giustificazione+, EP, Roma 1965, 371. 5 L’incapacità di sceglierlo e quindi di accogliere la grazia è dovuto al fatto che questa umana libertà non è stata graziata. Il suo «non-scegliere-Dio» rivela una mancanza originaria che predispone la libertà umana a non disporsi alla grazia di Dio. Se l’uomo va all’inferno, cioè, è perché Dio non gli ha dato la grazia di salvarsi. Nel testo della Somma contro i Gentili S. Tommaso afferma che la creatura si salva, poiché l'ha voluto Dio; se la creatura non si salva, questo l'ha voluto l'uomo. Ma perché l'ha voluto? S. Tommaso dice che la ragione sta nella semplice volontà di Dio, che non ha distolto l'uomo dal male. Dio infatti sceglie chi vuole. A questa soluzione tomista, noi rispondiamo che se la creatura non si salva, certamente l'ha voluto l'uomo; ma Dio non ha affatto voluto che la creatura si salvasse. Nel libro III della Somma contro i Gentili, capitolo 161, San Tommaso afferma che «non previene con il suo aiuto tutti coloro che mettono ostacolo alla grazia, distogliendoli dal male e convertendoli al bene, ma alcuni soltanto, nei quali vuol far risplendere la sua misericordia, in modo che negli altri sia manifestato l’ordine della giustizia […] Dio certuni li converte col prevenirli, mentre altri li sopporta, ossia permette che procedano secondo l’ordine delle cose, è inutile cercare la ragione perché converte questi e non quelli». Da queste considerazioni estreme sulla salvezza dell’uomo, si può rilevare che veramente in questo paradigma scolastico (o sostanzialistico) non è possibile alcun riconoscimento all’alterità umana. Sia nella preghiera che nella libertà l’uomo non costituisce un’alterità per Dio. L’identità di Dio s’impone, sottomettendo sotto di sé e includendo in sé qualsiasi altra realtà. Benché l’uomo non scompaia o si risolva in Dio (o nel nulla), tuttavia possiamo dire è irrilevante per l’identità stessa di Dio. 12. Nella «controversia de auxiliis» il paradigma scolastico, rappresentato dalla scuola domenicana (Domingo Bañez) venne messo in questione da un paradigma più personalistico: quello gesuitico (Luis de Molina, Franz Suarez e Bellarmino). Nella visione gesuitica della relazione tra Dio e uomo, Dio non opera solo attraverso e nella libertà umana, ma «con» essa. «Non è più eretico dire, se lo si comprende bene, che, in un certo qual modo, Dio attende la nostra volontà. Non che attende i suoi meriti naturali per offrirgli in ricompensa il suo soccorso soprannaturale, o che attenda che abbia realmente acconsentito per sapere se la sua grazia sarà sufficiente o efficace, come insegnavano i pelagiani, ma almeno l'attende nella misura in cui, gli lascia la cura di usare o no di questo potere con l'aiuto che ha a sua disposizione»2. Se ci orientiamo ad una comprensione dialogica tra grazia e libertà umana, allora possiamo comprendere la relazione attraverso cui l'uomo è costituito ontologicamente, come la relazione di una reciproca condizione di possibilità, in cui un io opera con un tu e un tu con un io. Le varie figure e modelli storici del rapporto «grazia-libertà» hanno veicolato immagini tratte dal mondo naturale. C'è l'immagine tradizionale dei due uomini caduti nel pozzo: a tutti due Dio tende la mano, ma dipende dall'uomo volgere o no la sua mano a Dio. È questa la posizione tradizionalmente considerata del pelagianesimo. La scelta della salvezza dipenderebbe dall'uomo. Per capire la differenza tra posizione luterana e posizione cattolica si fa di solito l'esempio del gattino e della scimmietta. Quando i due sono in pericolo nel primo caso arriva la gatta che afferra il gattino e se lo porta via; nel secondo caso, invece, la scimmietta salta nel seno della mamma e tutte e due fuggono 2 P. DUMONT, Liberté humanine et concours divin d'après Suarez, Gabriel Beauchesne et ses Fils, Paris 1936, 359. 6 via. C'è anche l'immagine di due locomotive che vanno sullo stesso binario: quanto più la prima avanza, l'altra deve ritirarsi e viceversa. In tutti questi casi vediamo che Dio e uomo, libertà di Dio (grazia) e libertà dell'uomo vengono visti come due grandezze concorrenziali. C'è poi l'immagine dei due cavalli che sulle due sponde del fiume trascinano ciascuno un battello. Questa immagine venne usata frequentemente dai molinisti per indicare come l'atto salutare è un atto in cui Dio e uomo cooperano. La critica domenicana a tale modello interpretativo è che Dio e uomo rischiano di essere compresi come cause parziali dell'atto salutare. Ricordiamo la risposta di Molina: sono cause parziali non nel senso che fanno solo in parte ciò che debbono svolgere, ma sono parziali solo in riferimento all'atto salutare in quanto esso necessita dell'una e dell'altra causa. Il concorso divino e la libertà dell'uomo sono cause integre dell'atto salutare. Per la posizione bañeziana, invece, la grazia e la libertà umana non possono stare in rapporto di coordinazione (l'una agisce con l'altra), ma solo di subordinazione (la libertà umana agisce subordinata alla grazia). «Non è solamente Dio e l'uomo, la grazia e la libertà, ma Dio attraverso l'uomo, la grazia attraverso la libertà, che fa l'atto buono»3. Dio non solo mi tende la mano; ma mi dà la facoltà di prendere la mano che mi tende. Ciò significa che lo stesso lasciar fare a Dio è dono suo; l'unica cosa che l'uomo possa fare di suo - come abbiamo visto - è di non lasciar fare a Dio, sostituirsi alla causa prima. Lo schema che accumuna sia bañeziani che molinisti è quello della causa prima e causa seconda, cioè si servono entrambi dell'immagine dello strumento. Dio opera in noi le nostre opere, come la causa prima compie gli atti delle cause seconde, e come l'agente principale compie le operazioni dello strumento. Come la causa prima causa gli atti della causa seconda rispettando il modo, o la natura di essa, così anche Dio causa in noi le nostre opere secondo il modo nostro, che è quello di agire volontariamente e non per costrizione4. Ogni immagine trasmette e tradisce il mistero della relazione tra la libertà di Dio e la libertà dell'uomo. Solo l'insieme di queste immagini e la ricerca di nuove può dischiudere all'immaginazione una sempre maggiore comprensione di questo mistero. Ciò che è importante sottolineare è che Dio non agisce da solo, ma attraverso, nella e con la libertà dell'uomo. 13. A questo punto, è necessario sviluppare ulteriormente questo paradigma relazionale, e in base a questo differente paradigma comprendere la preghiera e la libertà umana. Un altro modo di concepire la relazione tra Dio e mondo, tra Dio e uomo. La verità della posizione scolastica è che Dio non può dipendere dalla creatura; la verità che è emersa nella nostra indagine, e testimoniata con abbondanza dalla rivelazione biblica, è che Dio riconosce un’alterità davanti a sé, a cui sembra a volte sottomettersi e piegarsi. Il pentimento di Dio, il mutamento della Sua volontà, il muoversi con compassione e ira verso l’umanità, sono tutte espressioni antropomorfe e metaforiche che dicono solamente di un divenire dell’uomo oppure esprimono un divenire di Dio? E’ possibile conciliare queste due esigenze e queste due verità? 3 CH. JOURNET, Entretiennes sur la grâce, Desclée de Brouwer, Freiburg 1957, 45. 4 S. TOMMASO, Contro i Gentili, A cura di Tito S. Centi, UTET, Torino 1975, Libro III, Cap. CXLVIII, 2. 7 Vorrei rispondere a questa fondamentale domanda facendo riferimento alla prolusione - fatta alla Pontificia Facoltà Teologica di Napoli nel novembre del 1994 dell’allora Cardinale Ratzinger. In Gesù di Nazaret «Dio si lega nella sua propria esistenza alla creatura uomo, assumendo la natura umana. Questo significa per altro verso che il sogno originario dell'umanità trova adempimento e l'uomo diventa come Dio: in questo scambio delle nature, che costituisce la figura cristologica fondamentale, l'assolutezza dell'alleanza divina è divenuta definitiva bilateralità»5. In questo testo è espresso chiaramente come il sogno religioso dell’uomo «eritis sicut dei» si è realizzato in Gesù Cristo e come la relatio non ex aequo in Gesù Cristo sia divenuta relatio realis: relazione bilaterale e reciproca tra Dio e uomo, benché sempre asimmetrica. «Il fatto che Dio instauri a partire da sé una relazione con l’altro come se stesso è l’elemento assolutamente nuovo dell’idea cristiana di Dio. Non si tratta più della totale separazione di chi è assolutamente autosufficiente e resta solo in se stesso. Il fatto che Dio instauri una relazione comporta una potente intrinseca trasformazione dell’idea di Dio, una trasformazione che forse finora non è stata pensata sino in fondo da parte della teologia. Questa possibilità e realtà della relazione si realizza nell’auto-comunicazione del suo amore»6. La verità della relatio non ex aequo consiste nell’affermare che non ci può essere relazione reale tra Dio e uomo, poiché tale tipo di relazione renderebbe il creatore soggetto e dipendente dalla creatura, contraddicendo il concetto di Dio come essere trascendente. Dio può essere in relazione reale solamente con un altro termine di relazione dello stesso grado ontologico. Dio può essere in relazione reale solo con Dio stesso. Se elaboriamo un concetto di relazione tra Dio e uomo, non tanto prescindendo dall’evento di Gesù Cristo, quanto partendo proprio da questo evento. L’evento di Gesù Cristo ci rivela che Dio e uomo sono in relazione reale l’uno con l’altro; cioè l’uomo può divenire oggetto della relazione di Dio, solo se l’uomo sussiste in Dio. Nell’evento cristologico l’umanità è costitutiva della relazione di Dio. L’uomo Gesù è quel predicato, in cui Dio (soggetto) si dice totalmente e in verità come uomo. Se il Nazareno crocifisso è il predicato dello stesso Dio eterno, che si è caratterizzato in Gesù Cristo come Padre di questo Figlio, «se Padre e Figlio sono una cosa sola nella rivelazione e nell’attività, allora tale unità tra Dio e Gesù deve essere esistita “già da sempre”. Se infatti Dio si rivela, allora certamente Dio non può diventare ciò che è solo mediante questa rivelazione. Il Dio eterno (almeno secondo la concezione biblica) non può essere nessun altro che ciò che egli era, è e sarà in eterno. In caso contrario avremmo a che fare con due dèi, due parti o due volti di Dio: uno “precedente” la sua rivelazione e uno successivo. Se però – seguendo l’idea di fondo di tutti gli scritti neotestamentari – Dio stesso si è rivelato senza riserve nella persona di Gesù Cristo, allora – ci si permetta una simile deduzione – la persona di Gesù Cristo appartiene necessariamente alla determinazione dell’essere di Dio. Allora Gesù Cristo – per esprimerci in categorie spazio-temporali – è già da sempre a 5 J.RATZINGER, «La Nuova Alleanza. Sulla teologia dell'Alleanza nel Nuovo Testamento», in RdT, 36 (1995), 21 6 K. LEHMANN, «Dio è più grande dell’uomo», in Il regno-attualità, 18/1999, 644. 8 “fianco” di Dio, è sin dall’eternità presso Dio – prima di tutti i secoli, prima di ogni creazione»7. Il non isolamento del soggetto dal suo predicato implica il nesso e l’eternità di questo legame. «[Gesù] è il “Figlio eterno”, perché per i cristiani sussiste una volta per tutte un nesso indissolubile tra Dio e Gesù. Persona, causa e destino di Gesù Cristo appartengono definitivamente alla determinazione della natura eterna di Dio. In questo modo si dice ben più di quanto si esprime affermando che Gesù (come ogni uomo) era sin dall’eternità “nel pensiero di Dio”, esisteva nel “piano divino” (preesistenza ideale). In tal modo si pensa l’idea straordinariamente ardita che Dio stesso si è caratterizzato come Padre di questo Figlio, e così l’evento stesso “Gesù Cristo” assume conseguenze decisive, di figliolanza reale, per determinare l’essere stesso di Dio (preesistenza reale, personale). La cristologia richiede così sempre anche un’ontologia genuinamente biblica»8. Con «preesistenza» si afferma che la relazione essenziale tra Dio e uomo non è successiva ai termini della relazione (Dio, uomo) ma è originaria. «Se la relazione ad un uomo deve essere costitutiva della stessa identità eterna di Dio, allora il correlato di questa relazione deve essere allo stesso tempo eterno: ne consegue la preesistenza del Figlio»9. Tale comprensione della relazione tra Dio e uomo rende possibile Dio non più in maniera solitaria, chiuso in se stesso, ma in relazione originaria con l’umanità. La concezione trinitaria di Dio rende possibile d’intendere questa relazione reale ed esprime la ricchezza dell’essere relazionale di Dio come «evento di comunicazione»10. 14. In base a questo differente paradigma cerchiamo di comprendere la preghiera rivolta a Dio, in particolare la preghiera di domanda o di richiesta. Se Dio si lascia determinare nel suo essere dall’essere-uomo – come ci è dato in Gesù di Nazareth Figlio di Dio – vuol dire che Dio lascia che la Sua volontà sia determinata dalla K.-J. KUSCHEL, Generato prima di tutti i secoli? La controversia sull’origine di Cristo, Queriniana, Brescia 1996, 677. 8 Ib., 676-677. 9 W. PANNENBERG, Systematische Theologie, Bd. 2, Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen 1991, 413. 7 10 G. GRESHAKE, La fede nel Dio trinitario. Una chiave per comprendere, Queriniana, Brescia 1999, p. 697. 9 nostra preghiera. Dio sceglie di essere dipendente da noi e ciò non costituisce un limite di Dio, ma espressione della potenza di Dio che riconosce alle cause seconde la loro capacità di realizzare la volontà di Dio. Ciò vuol dire che la volontà di Dio non è determinata solo da Dio, ma da Dio con noi. Dio ci vuole partners di relazione o meglio ancora nel Figlio suo siamo suoi figli, quindi in relazione biunivoca. La volontà di Dio è dunque dialogica. Affermare l’eternità della volontà di Dio non significa considerarla qualcosa di già scritto a cui l’orante si sottomette (Sia fatta la Tua volontà!). La volontà di Dio non è già fissata o predeterminata. In proposito non basta dire che il concetto classico di fato o destino si è personalizzato con la fede cristiana ed è divenuto la Volontà di Dio. Non è tanto l’oggetto quanto il modo con cui lo si comprende. Anche in una concezione della Volontà di Dio si può intromettere una visione necessitante, come se fosse già tutto deciso e ciò che l’uomo può fare è solo eseguire o conformarsi a questa Volontà. Ricordiamo che nella prospettiva scolastica le cause seconde, compresa la preghiera di richiesta, sono cause strumentali dell’effettivo esercizio dell’immutabile volontà divina. L’uomo, quindi, non è partner di un dialogo ma è esecutore o strumento di un volere, in cui meno resistenza ed opposizione c’è da parte sua meglio è, e più adeguato è al compimento della volontà divina. Riprendendo la figura della tesi 10 possiamo rappresentarci il rapporto tra divina provvidenza e preghiera di richiesta in questo modo. Dio effett VOLONTÀ DI DIO EFFETTO libertà umana situazione presente vedere – sentire – comprendere 10