CONTESTO E ANALISI DEL VANGELO DOMENICALE
Anno B
IV DOMENICA PASQUA 26.04.2015
Gv.10,11-18 IL BUON PASTORE
La vasta sezione del Quarto Vangelo, che va dal capitolo sette al capitolo dieci, può essere definita:
“Il confronto fra Gesù e il giudaismo”; in effetti, noi leggiamo un complesso e vario scontro
verbale, in Gerusalemme, fra Gesù Cristo, donatore di grazia e verità (Gv.1,17, Prologo), e la sua
gente, che non lo accoglie (Gv.1,11, Prologo). Il tema essenziale del lungo dibattito è l’identità
messianica di Gesù; Egli dona acqua (grazia) e luce (verità), i doni messianici, che Israele attende
dai tempi lontani dell’esilio. Tutto ha inizio con la Festa di Sukkot (Capanne o Tabernacoli)
dell’anno 29 (data probabile); Gesù insegna nel tempio e quindi annuncia la sua partenza
coincidente con il dono dell’acqua viva o Spirito. La città e le colline, che la circondano, sono
punteggiate di costruzioni coperte di frasche; per chi scende dal monte degli Ulivi lo spettacolo è
straordinario; l’ultimo giorno della festa si attende simbolicamente il re Davide, esaltato come
Unto o Messia mediante il grande canto di lode dell’Osanna, “Signore salvaci”. Il carattere
messianico della festa, lunga sette giorni, era evidente; il settimo giorno era caratterizzato da due
riti successivi, il rito dell’acqua al mattino e il rito notturno della luce; si celebravano cioè, nell’arco
della giornata, i due doni del Messia. Il mattino, il sommo sacerdote andava alla sorgente di Siloe
ad attingere acqua, che poi versava davanti all’altare degli olocausti; in questo rito era condensata
la tradizione giudaica che attendeva per il giorno del Messia l’improvviso apparire di sorgenti
d’acqua viva, che avrebbero fecondato il deserto. C’era poi, al termine della giornata, nel cortile
del tempio riservato alle donne, una festa notturna; alcuni uomini, con torce accese in mano,
danzavano alla luce di quattro candelabri d’oro, mentre gli spettatori cantavano i Salmi 120 - 134,
che sono principalmente canti di processione e di Davide: tutto ciò significava che il Giorno del
Messia sarà giorno della Luce. Gesù rischia l’arresto, dapprima nel tempio, quando si proclama
Messia, e quindi nel cortile delle donne, quando si proclama “luce del mondo”. Tutto ciò è
concentrato nei cap.7 e 8; nel cap.9 Gesù riafferma di essere luce del mondo mediante un segno
miracoloso, la guarigione del cieco nato. Il racconto del cieco nato, tipicamente giovanneo per la
struttura armoniosa, per la centralità della figura di Gesù, per la sottile ironia che lo pervade, è
come una pausa nel processo contro il giudaismo; è una parabola in azione; la cecità fisica del
malato sbocca nella fede; la presuntuosa chiaroveggenza dei farisei si risolve nella loro cecità
definitiva.
Con il cap.10, mediante un passaggio piuttosto brusco, l’Evangelista introduce un argomento
nuovo, che rappresenta, però, il prolungamento del tema del capitolo precedente. Il popolo di Dio
viene escluso dal vero ovile a causa del suo accecamento volontario; il vero ovile, d’ora in poi,
avrà, come pastore, soltanto Gesù; Egli, in precedenza, aveva detto: “Io sono venuto in questo
mondo per un giudizio, affinché quelli che non vedono vedano e quelli che vedono diventino
ciechi”; questo giudizio si attua; chi ascolta Gesù e lo segue appartiene al vero gregge.
Il brano odierno del Vangelo Gv.10,11-18 è preceduto dalla parabola vv.1-5 del buon Pastore (Egli
non è un ladro e un brigante ed è riconosciuto dal guardiano e dalle pecore ) e dalla spiegazione
della stessa vv.7-10, in cui Gesù afferma di essere la porta delle pecore. La metafora pastorale
richiama un motivo tradizionale della Bibbia ebraica, il paragone tra le guide della comunità e i
pastori. La similitudine giovannea riflette alla perfezione l’ambiente pastorizio della Palestina; i
pastori, sul far della sera, riuniscono le loro pecore in grandi recinti, che vengono custoditi da
qualche guardiano. Al mattino, si presentano a riprendere le pecore, che riconoscono il pastore
dalla voce. Gesù afferma di essere la porta dell’ovile; per essere introdotti nel nuovo popolo di
Dio, per essere annoverati nel numero degli eletti nel giudizio finale, è necessario passare
attraverso di lui, unico Mediatore tra Dio e gli uomini. I falsi messia, venuti prima di lui, erano ladri
e assassini; forse, Gesù allude ai farisei, i quali, invece di prendersi cura delle pecore, hanno
pensato soltanto ai loro interessi.
Sentite anche voi il tono della voce di Gesù elevarsi al di sopra della folla giudaica?
vv.10,11-13. “Io sono il buon pastore…”; Gesù, riallacciandosi a molte profezie messianiche
dell’Antico Testamento (Geremia 23; Ezechiele 34) si definisce “il buon pastore”, cioè il solo vero
pastore, che dà la vita per il bene delle sue pecore.
vv.10,14-18. “Io sono il buon pastore… per questo il Padre mi ama…io do la mia vita… nessuno me
la toglie… ho il potere di darla e ho il potere di prenderla di nuovo…”; tra Gesù e le sue pecore si
stabilisce un rapporto di amore, fondato sulla conoscenza reciproca; la morte di Gesù costituirà il
vertice del suo amore e rivelerà pienamente la bontà del Padre verso tutti gli uomini (dice Gesù: “
ho altre pecore che non sono di questo ovile; anche quelle io devo condurre; ascolteranno la mia
voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore”). Gesù è amato dal Padre perché attua il
suo disegno salvifico, dando la propria vita, con un atto supremo di dedizione e obbedienza. La
fine tragica di Gesù non è la conseguenza di eventi casuali, ma è una oblazione cosciente e libera,
in perfetta conformità con la volontà del Padre. E’ dunque Gesù che dà la sua vita in sacrificio per
la salvezza degli uomini; ma poi la riprende trasformata e vivificata dalla risurrezione.
Dopo il Vangelo odierno, la narrazione procede verso la fine del Libro dei segni; alla festa della
Dedicazione (cap.10) Gesù afferma la sua identità col Padre: “Io e il Padre siamo una cosa sola”;
segue la risurrezione di Lazzaro (cap.11), con la quale il dissenso giudaico si approfondisce sino alla
decisione, da parte del Sinedrio, di uccidere Gesù; nel cap.12, Maria, sorella di Lazzaro, unge
simbolicamente e profeticamente i piedi di Gesù, in anticipazione della sua sepoltura; l’ingresso
messianico a Gerusalemme e Gesù che parla della sua morte (cap.12) costituiscono la conclusione
del libro dei segni. Prima della festa di Pasqua, Gesù sa che è venuta la sua ora di passare da
questo mondo al Padre.
Ruggero Orlandi