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La storia di un pubblicitario
Ecco come si diventa disoccupati in tre semplici mosse: 1) si chiede un aumento, 2) non lo si
ottiene, 3) si consegnano le dimissioni.
Spettabile ditta, alla cortese attenzione, cordiali saluti. La mia firma. Allega file.
Curriculum allegato. Ok. Invia mail. È la decima email che invio oggi, tra agenzie per il
lavoro e ditte in cerca di personale.
Oggi compio trent'anni. Ho una laurea in Scienze della comunicazione con il massimo dei
voti, con la quale sono partito alla volta di Milano un anno fa, lasciandomi alle spalle
Napoli.
È da un anno che lavoro a Milano, il mio settore è la pubblicità. Anzi, era la pubblicità,
perché sono rimasto senza lavoro. Mi sono licenziato dalla mia agenzia.
Ecco come si diventa disoccupati in tre semplici mosse: 1) si chiede un aumento, 2) non lo
si ottiene, 3) si consegnano le dimissioni.
Ma partiamo dall’inizio. Dopo la laurea, lascio Napoli per uno stage di sei mesi a Milano,
in un’agenzia pubblicitaria molto grande. Quando, alla fine dello stage, non mi vedo
riconfermare l’incarico, inizio una nuova ricerca presso altre agenzie.
Finalmente mi viene offerto un contratto a progetto in un’agenzia medio-piccola, ma
molto “creativa”, espressione orribile fin troppo usata in questo ambiente. Se non gli
avessi fatto credere che nella vecchia agenzia mi avevano prolungato lo stage
raddoppiandomi lo stipendio da 300 a 600 euro, credo che non sarei riuscito a spuntare gli
800 euro che mi hanno infine offerto.
Piccoli trucchetti per sopravvivere: far leva sull’inconfessato gusto di rubare agli altri, che
si tratti di cose o persone è indifferente. I datori di lavoro sono particolarmente sensibili a
queste cose. Vado avanti così per altri sei mesi, riuscendo a sopravvivere con uno
stipendio mensile di 800 euro, tra affitto, bollette e spese per il cibo.
Con uno stipendio così, a Milano, la vita è dura. Questo è il vero miracolo italiano, quello
che ti fa arrivare a fine mese nonostante il flagello dell’inflazione.
La mia mansione lavorativa è, scusate il termine, quella di “creativo”: in sei mesi produco
campagne pubblicitarie per i clienti più disparati: banche, editoria, associazioni
umanitarie, istituti di credito. In sei mesi mi diverto insieme a colleghi bravi e simpatici,
facendo il lavoro che sognavo di fare dai tempi dell’università. E per sei mesi questo
sembra bastarmi, anche se i miei colleghi sono tutti assunti a tempo indeterminato e
guadagnano almeno 1300 euro al mese: nessuna speranza per chi, come me, è entrato nel
mondo del lavoro dopo la famigerata legge Biagi.
Non credevate mica che i pubblicitari viaggino in Bmw, progettando le prossime vacanze
ai Caraibi? La realtà è ben diversa: io non tiro coca, io tiro a campare.
Prima o poi, però, arriva la goccia che fa traboccare il vaso. È appena uscita una mia
campagna alla radio: il prestito flessibile, chiedi fino a trentamila euro e i tuoi sogni
prenderanno il volo.
Guarda la coincidenza, proprio in questi giorni è il compleanno della mia ragazza. Voglio
prendere per lei una macchina fotografica digitale, potrò pur fare un regalo alla mia
ragazza? Ma non voglio pagare in contanti. Chiedo allora una finanziamento: 10 mesi,
interessi zero. Prendo appuntamento al centro commerciale per avere quel prestito, ma mi
sento dire che il mio contratto a progetto mi preclude ogni possibilità di ottenere quel
finanziamento.
Fantastico! Faccio la pubblicità per i prestiti, ma io non posso averne uno.
E mentre negli ultimi sei mesi Vi convincevo che è finalmente possibile realizzare i Vostri
sogni con un semplice prestito, io tiravo avanti vivendo in uno stato di semi indigenza.
Solo per questo motivo mi sono deciso a parlare con i direttori della mia agenzia, per
ottenere un aumento.
Mi sento dire che al momento non possono permetterselo. La mia agenzia pretende da me
sangue e sudore, vuole che io metta l’anima nei miei annunci, ma non può garantirmi un
livello di vita dignitoso.
Ho capito ragazzi, fa tutto parte di questo gran bel gioco che è il mercato del lavoro di un
Paese dall’economia boccheggiante, ma io non posso più stare a questo gioco.
D’altronde non posso, anzi non voglio andare a rubare per sbarcare il lunario. Decido
perciò di licenziarmi o, come si dice tra noi co.co.pro., di interrompere la mia
collaborazione.
Non ci sono alternative. Devo trovare un altro lavoro. Ecco la grande contraddizione per
chi inizia a lavorare oggi: nel terziario cosiddetto avanzato, i laureati e quelli che
veramente producono ricchezza per l’azienda, lavoratori dunque molto qualificati, sono in
realtà pagati poco e lavorano come bestie.
Niente limiti d’orario e, se tocca fare gli straordinari, col cazzo che te li pagano. Semplice
manovalanza, questo siamo. Aveva ragione mio padre, operaio in pensione dell’Alfa
Romeo di Somigliano d’Arco: ‘mparati nu mmestiere!’ Non aveva torto: adesso sarei, che
so, meccanico, idraulico, elettricista. E invece mi tocca far riparare lo scarico del bagno da
un vero idraulico che si porterà via almeno un ottavo del mio stipendio. Stipendio al
momento inesistente.
Ogni spesa extra, per un lavoratore precario, si trasforma in dramma. Ora che sono senza
lavoro, ora che mi sono licenziato, la prima domanda che mi viene fatta è: ma come, hai
lasciato il tuo lavoro senza avere un altro posto dove andare? Ebbene si, è la mia la
risposta.
E tra l’angoscia di genitori che non comprendono e l’ammirazione di qualche amico che mi
parla di scelta coraggiosa, l’unico mio pensiero è se riuscirò a pagare l’affitto anche questo
mese.
Forse aveva ragione anche il mio amico Andrea, quando mi diceva che dopo la laurea in
Scienze della comunicazione c’è solo la pastorizia.
Ma cosa ci faccio qui a Milano? Sembra una follia, ma è così. Adesso cerco un lavoro
qualsiasi, che mi permetta almeno di sopravvivere. Oggi è il mio compleanno. E la volete
sapere la verità? È che ho sempre sognato di arrivare disoccupato a trent’anni. Viva
l’Italia!
NB: sono ormai passati diversi mesi. Adesso lavoro in una nuova agenzia. Le cose vanno
meglio, ma sono pur sempre un collaboratore a progetto, e non mi vergogno di dire che
sogno un contratto a tempo indeterminato.
Evviva la semplicità.
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