“Horrorism”: Notes on invention of a word

ADRIANA CAVARERO, Orrorismo ovvero della violenza sull’inerme, Feltrinelli Editore, Milano
2007, 171 pp.
Vi sono libri che più di altri portano a riflettere sulla condizione della filosofia contemporanea
e sul suo rapporto con la storia della filosofia. Si pensi per esempio alla storia dei concetti, la
Begriffsgeschichte, che è nata come simbiosi della Problemgeschichte e della
Terminologiegeschichte e ha avuto come sue massime espressioni l’Historisches Wörterbuch der
Philosophie di Joachim Ritter e i Geschichtliche Grundbegriffe di Reinhart Koselleck. Il primo,
riproposizione del Wörterbuch der philosophischen Begriffe und Ausdrücke di Rudolf Eisler, non
presenta novità sul piano della metodologia della storia della filosofia. L’opera di Koselleck invece,
facendo tesoro dei suggerimenti dell’ermeneutica di Hans-Georg Gadamer, propone di fare una
storia dei concetti prendendo in considerazione non solo le opere dei principali filosofi e teorici
della politica, ma anche il pensiero e il linguaggio vivo dei giornali, delle riviste, degli atti
amministrativi per situare i nuovi concetti non in una dialettica di sviluppo idealistico, ma in una
dimensione storica e sociale nella quale il concetto e l’interprete interagiscono l’uno con l’altro
determinandosi reciprocamente. La metodologia di storia dei concetti proposta da Koselleck è stata
sviluppata parallelamente con qualche variazione anche nell’area anglosassone dalla new way of the
history of ideas e ha prodotto ottimi lavori specialmente nell’ambito del lessico politico. La ragione
della vittoria della metodologia della storia dei concetti nella filosofia politica è la carica di
ideologicità che essa, volontariamente o involontariamente, porta con sé. Si assiste, secondo
Lorenzo Ornaghi, al diffondersi di un fenomeno assai preoccupante riassumibile nel fatto che più è
possibile tracciare la storia di un concetto attraverso la sua stabilità o la sua varianza, più la storia
del concetto mostra un carattere squisitamente e irreparabilmente ideologico. L’aspetto ideologico,
ovviamente, è dovuto al fatto che quando l’analisi filosofica si risolve nella storia del concetto,
quest’ultima non può che essere funzionale alla scomposizione di ideologie e di schemi
interpretativi nelle loro componenti considerate elementari e più durevoli, attraverso le quali si
dovrebbero poi rintracciare le persistenze e le continuità di un particolare concetto nella storia
(Lorenzo Ornaghi, “Sui concetti e le loro proprietà nel discorso politico moderno,” Filosofia
Politica 1 (1990), p. 58).
La metodologia della storia dei concetti di Koselleck è stata recentemente messa in discussione
da Roberto Esposito in Storia dei concetti e ontologia dell’attualità. In questo breve saggio,
Esposito individua i limiti della storia dei concetti nella sua relazione con la filosofia. Esposito
porta l’esempio della biopolitica, che è qualcosa che rompe sia con la successione dei concetti
finora sottoposti ad analisi, sia con la stessa prospettiva storico-concettuale. La biopolitica ha una
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carica simbolica, un effetto di mobilitazione teorica che manca del tutto alla storia dei concetti. Il
criterio genealogico o topologico della biopolitica è irriducibile alle scansioni epocali della storia
concettuale. Qualcosa che c’è prima può venire dopo di ciò che appare seguirlo. Anzi avviene quasi
sempre così, sostiene Esposito, se si guarda al tempo dal lato dell’evento e non da quello della
successione. Ciò che propone Esposito è di sbarazzarsi di tutte le griglie interpretative della storia
dei concetti per costruire un nuovo lessico in cui il rapporto tra sincronia e diacronia, continuità e
discontinuità, differenza e ripetizione deve essere completamente rivisto, complicato e ripensato
(Roberto Esposito, “Storia dei concetti e ontologia dell’attualità,” Filosofia Politica 1 (2006) p. 9).
Si assisterebbe così al tramonto e alla morte della storia dei concetti prospettata da Koselleck.
Giuseppe Duso, in disaccordo con le critiche mosse da Esposito, sostiene che lo scopo della
Begriffsgeschichte non è quello di percorrere le varie declinazione e trasformazioni che un concetto
ha avuto nello sviluppo storico, scambiando in molti casi il concetto con la parola. Un tale
atteggiamento è lontano dagli intenti di Koselleck, poiché non solo porterebbe all’ipostatizzazione
dei concetti moderni che non permetterebbe di comprendere le fonti del passato, ma nello stesso
tempo scambierebbe i concetti epocalmente determinati con verità universali, così che in ultima
analisi si creerebbe la situazione paradossale di un osservatore che giudica tempi ed epoche storiche
ponendosi fuori della storia (Giuseppe Duso, “Dalla storia concettuale alla filosofia politica,”
Filosofia Politica 1 (2007) pp. 69-70). Il punto focale è per Duso quello di indagare i concetti che
abitano le parole del nostro presente. L’atteggiamento storico-concettuale consisterebbe
nell’interrogare i concetti, nel comprenderne la particolarità, la loro genesi determinata, le loro
conseguenze e le contraddizioni che spesso implicano. Fare storia concettuale si ridurrebbe a un
logon lambanein ovvero a un chiedere ragione dei significati delle nostre parole.
Un primo passo verso il ripensamento di una metodologia della storiografia filosofica per un
lessico politico è stato compiuto da Adriana Cavarero nel suo ultimo libro, Orrorismo ovvero della
violenza sull’inerme. Cavarero dimostra come al progressivo dilagare della violenza corrisponda
una parallela difficoltà della lingua contemporanea a darle nomi plausibili. I nomi e concetti,
stabiliti dalla tradizione del lessico politico moderno, mancano oggi di coerenza e lo stesso vale del
resto per la realtà materiale e gli eventi che vorrebbero designare. La lingua, di fronte all’aumento
di forme sempre più efferate di violenza sull’inerme, è sempre più incapace di rinnovarsi e la voce
diventa muta al significato della parola.
Un ricorso alla metodologia della storia dei concetti e delle idee per rintracciare i significati
delle parole nella storia ed estinguere così l’inadeguatezza del linguaggio nei confronti del presente
è inutile poiché il problema non è più quello della tradizione e della traccia ma, come scrisse Michel
Foucault nell’Archéologie du savoir, è quello della frattura e del limite. Non c’è più alcun
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fondamento che si perpetua ma esistono solo trasformazioni che valgono a fondazione e
rinnovamento di nuove fondazioni. Inventare nuovi concetti come “orrorismo” per descrivere
l’attuale condizione politica è perciò non solo doveroso ma anche necessario. Il ricorso a questo
vocabolo, spiega Cavarero, deve ricondursi non solo all’ovvia assonanza con il termine terrorismo,
ma al bisogno di sottolineare quel tratto di ripugnanza che, accomunando molte scene della violenza
contemporanea, le ingloba nella sfera dell’orrore piuttosto che in quella del terrore. Chiamare
terrorismo gli eventi politici contemporanei, argomentando che essi si iscrivono in una strategia del
terrore dal volto particolarmente atroce e crudele, sarebbe troppo poco. Il concetto di orrorismo
aiuta invece a ipotizzare che un certo modello dell’orrore sia indispensabile per comprendere il
nostro presente. Cavarero è tuttavia consapevole che utilizzare un nuovo concetto può solo in parte
rispondere alle esigenze del presente. Esiste sempre uno scarto fra la lingua e il vivente. Se di fronte
alle atrocità dei campi di sterminio della seconda guerra mondiale, il concetto di Dio doveva essere
ridefinito, di fronte alla strage degli inermi la relazionalità politica deve essere ricompresa. La
ricostruzione di Cavarero della storia di Medusa ricorda che l’uccisione dell’unicità è un crimine
ontologico che va al di là della semplice morte mentre la storia di Medea conferma che un tale
crimine si consuma contro un corpo vulnerabile assolutamente inerme. L’ontologia proposta da
Cavarero gioca sulla coppia concettuale vulnerabile-inerme. Vulnerabile è l’essere umano in quanto
corpo singolare aperto alla ferita. La potenzialità che può uccidere ed annientare l’uomo, lo può
anche consegnare alla cura. È l’ontologia relazionale che decide del senso e delle modalità di
attuazione delle potenzialità. La vulnerabilità è il cuore della relazione di apertura dell’essere
all’altro essere, essa è perciò una condizione umana strutturalmente necessaria nei rapporti politicosociali. L’inerme, a differenza del vulnerabile, è chi non ha armi e quindi non può offendere. Esso si
trova in una condizione di passività che lo espone a subire una violenza alla quale non può sfuggire
o rispondere. La vulnerabilità è perciò uno statuto permanente dell’essere umano, mentre l’essere
inerme dipende dalle circostanze.
La nuova condizione ontologica dell’orrorismo, come già quella della biopolitica, ha costretto a
ripensare una metodologia per la storia dei concetti. È necessario abbandonare la storia dei concetti,
o per almeno la metodologia della storia dei concetti sinora seguita e prospettare invece la
possibilità di indagare il lessico e i problemi filosofici attraverso altre modalità. La nuova storia dei
concetti non deve più rivolgersi alla sola semantica o al contesto ma deve coinvolgere anche i
problemi. Solo la storia dei problemi ha tutte le caratteristiche di originarietà, innovazione,
contestualizzazione, ricchezza, infinità concettuale, interdisciplinarietà, interculturalità e strategicità
che vengono richieste dalla storiografia filosofica del nuovo millennio. Originarietà perché la nostra
esperienza incontra prima i problemi e successivamente i concetti. Innovazione perché i problemi
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nascono da esigenze storiche e non sono ipostatizzati come i concetti. Contestualizzazione perché
nella storia dei problemi non si astrae dal testo e dal contesto come in alcune storie dei concetti.
Ricchezza perché ad un problema si riferiscono più concetti e più soluzioni. Infinità concettuale
perché la storia dei problemi non è una serie di trasformazioni secondo un prima e un dopo, ma è la
storia di varie soluzioni temporalmente determinate che possono concorrere contemporaneamente a
risolvere il problema. Interdisciplinarietà perché un problema può essere risolto da più prospettive
mentre un concetto è riferito sempre ad un solo ambito semantico-disciplinare. Interculturalità
perché le diverse culture condividono sempre i problemi e mai i concetti. Infine strategicità perché
la storia dei problemi è filosofia, al contrario di quello che afferma Donald Kelley in What is
happening to the History of Ideas sulla storia delle idee e dei concetti che “is not doing
philosophy”. La storia dei problemi è filosofia perché la ricostruzione della varie soluzioni
storicamente determinate di un problema favorisce la formulazione di nuove soluzioni. Orrorismo
dimostra la possibilità di un tale tipo di approccio, e per questo Cavarero si rivela pioniera di un
nuovo modo di fare la storia della filosofia. La sua trattazione non pretende d’essere esaustiva, ma è
certamente definitiva nel denunciare l’incapacità delle tradizionali filosofie politiche e storiografie
intellettuali a comprendere il presente e il vivente. È dalla vita del linguaggio continuamente
operante, scrisse Gadamer in Begriffsgeschichte als Philosophie, che scaturisce la filosofia. “Non si
tratta soltanto di chiarire storicamente alcuni concetti, ma di rinnovare le tensioni del pensare che si
manifestano nei punti di rottura dell’uso linguistico filosofico, nei quali lo sforzo del concetto si è
rifiutato. Questi rifiuti, in cui il rapporto tra parola e concetto si spacca e le parole quotidiane
vengono artificialmente trasformate in nuove espressioni concettuali, sono l’autentica
legittimazione della storia dei concetti come filosofia” (Hans-Georg Gadamer, Gesammelte Werke,
Tübingen, 1986, p. 90 ). Orrorismo è un libro di filosofia proprio perché non solo si occupa di
storia dei concetti, ma come disse Gilles Deleuze in Que’est-ce que l’acte de création, li inventa.
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