Recensione Finito Infinito

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Linda M. Napolitano Valditara, Il sé, l’altro, l’intero. Rileggendo i dialoghi di Platone,
Mimesis, Milano 2010, p. 185.
Il libro di Linda Napolitano fa parte di una nuova collana di studi di filosofia antica
dell’editore Mimesis chiamata Askesis. La collana, diretta dalla stessa Napolitano e da
Salvatore Lavecchia, pone al centro della riflessione storico-filosofica la conoscenza e
la cura di sé, le forme dialogiche della comunicazione, le relazioni fra umano e divino e
fra microcosmo e macrocosmo, e il rapporto fra conoscenza e azione-produzione, cioè
vuole sottolineare l’importanza della askesis come unità inscindibile di teoresi, prassi e
poiesi che costituisce il vivente. In questo senso la collana vorrebbe rivalutare le
cosiddette “pratiche filosofiche” nelle quali l’esercizio del conoscere non è fine a se
stesso, ma diventa forza plasmatrice della realtà. La prospettiva offerta da questa collana
è perciò quella di una riflessione profonda sullo stesso concetto di filosofia come pratica
filosofica non intesa in modo anacronistico come “stile di vita”, ma come atteggiamento
riflessivo che segue immediatamente l’atto della ricerca e della teoresi.
In questo contesto si inserisce questo profondo libro su Platone che offre una
visione alternativa rispetto alcuni cliché storiografici consolidati della storiografia
filosofica antica. Il fulcro dell’indagine di Napolitano è la ricostruzione del concetto di
“sé” nella filosofia platonica e dei suoi correlati come “altro” e “intero”. Si trattano,
secondo l’autrice, di nozioni strutturali che gli studi filosofici hanno colpevolmente
tralasciato imputandole ad epoche e pensatori successivi. Eppure, in Platone, il concetto
di “sé” è al fondamento della definizione di pensiero inteso o come “il discorso che
l’anima fa da sé con se stessa”, secondo quanto si afferma in Teeteto 189 E, o come “il
dialogo silenzioso dell’anima con se stessa”, secondo quanto si dice in Sofista 263 E.
Già a partire da queste definizioni, Napolitano riscontra in Platone una
complementarietà fra il pensiero e il linguaggio delle cose che sono e la struttura
ascrivibile al mondo stesso come tale per la quale il mondo è un cosmo interrelato e una
trama complessa di rapporti. Così, sulla scia della frase “nessuna cosa di per se stessa è
una sola”, Napolitano nota come non si dia in Platone il “sé” senza l’“altro”, e l’“altro”
senza l’“intero”. Il libro vuole quindi interrogarsi sull’interdipendenza di questi tre
concetti strutturali di forte ascendenza hegeliana, ma che Napolitano ripresenta in una
nuova interpretazione olistica di Platone.
La nozione di “sé” è indubbiamente la più problematica perché da essa comincia
tutta la speculazione filosofica. In effetti, già in Alcibiade I 130 D si afferma che “per
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primo deve essere indagato questo sé”. La nozione di “sé” è piuttosto antica secondo
Napolitano, seguendo le ricerche di Nestle, Mondolfo e Snell, e si trovava già iscritta
sul frontone del Tempio di Apollo a Delfi che recitava gnothi seauton: conosci te stesso.
Tale prescrizione in primo luogo voleva indagare lo stato stesso della propria sapienza,
ma in secondo luogo, ed è forse questo l’aspetto più importante per le argomentazioni
esposte
nel
libro,
caratterizza
l’esercizio
essenzializzante
d’individuazione
dell’autoconsapevolezza.
Il “sé” che dev’essere indagato è quello stesso enunciato in Alcibiade I 127 E, dove
Platone afferma che “talora si corre il rischio di non prendersi cura di sé”. In questo
senso, secondo Napolitano, è indubitabile che in Platone ci sia una nozione di ipseità.
Tale ipseità si esercita o si determina nel momento in cui l’anima fa ciò che gli è più
proprio, ovvero pensare. Nel pensiero, l’anima “non fa altro che dialogare interrogando
in se stessa da sé e rispondendo, affermando e negando” (Teeteto 189 E). Il porre
domande e il fornire risposte è una dimensione linguistico-dialogica nella quale il “sé”
si fa apertura originaria con l’“altro” da sé, che può essere nel caso del pensiero il “sé”
medesimo, ma che di fatto, più soventemente, si tratta di un’altra persona, di un altro
soggetto. Per Napolitano, il “sé” platonico non costituirà mai strutturalmente l’“intero”,
non potrà mai essere effettivamente solo se stesso, se non con l’“altro” e in virtù
dell’alterità. Esso è necessariamente un concetto endiadico.
L’“altro” è l’oggetto d’indagine della seconda parte del lavoro proprio perché al
“sé” non si giunge per Platone se non per mezzo della distinzione fra ciò che quel “sé” è
in se stesso e ciò che gli si pone davanti. L’esame del concetto di “alterità” condotto
dalla Napolitano non si sofferma sui rapporti fra “sé” e “altro” intesi come relazioni fra
anima-corpo o maschio-femmina, ma più coraggiosamente esamina l’“alterità” come
ciò che minaccia più propriamente il “sé” nella sua costituzione essenziale.
La prima forma di alterità trattata è quella più radicale, cioè quella della morte come
“altro” dalla vita e ostacolo del sé. Il secondo tipo di alterità è quello che espone il sé
all’attacco aggressivo e protervo dell’altro. In entrambi i casi la paradossalità
dell’azione distruttiva dell’“altro” sul “sé” porta non solo alla distruzione dell’“altro”
stesso, ma con sé porta anche quella dell’“intero”. L’“alterità” in Platone però, come
giustamente segnala Napolitano, non è solo fonte di distruzione, ma è il principio
attraverso il quale è possibile fondare la stessa realtà nel momento in cui si istaura un
dialogo o una rete di rapporti articolati e complessi fra molteplici identità e diversità.
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Si determina così l’“intero”, di cui fanno parte il “sé” e l’“altro”, e che è l’oggetto
dell’ultima parte del libro. L’intero in questione è quello per il quale ogni realtà ha
bisogno per essere ed essere detta delle altre realtà. Napolitano perviene così alla
dimostrazione dell’esistenza di un olismo platonico nel quale la rete complessa e
diversificata dei rapporti che mette in movimento la dialettica dà significato
rispettivamente sia al “sé”, sia all’“altro”, sia al rapporto che si instaura fra i due.
L’intero come cosmo è quindi non solo un tutto naturalmente gerarchicamente ordinato,
ma lo è anche essenzialmente e strutturalmente dal punto di vista del linguaggio e del
pensiero che lo descrivono e che lo determinano. Platone sarebbe quindi perciò un
pensatore all’avanguardia con i tempi e della più moderne teorie olistiche riprese in
campo analitico ad esempio da Robert Brandom.
È veramente difficile immaginare un singolo libro che riesca a trattare tutti questi
importanti argomenti così come fa il volume preso qui in esame. Tuttavia, i casi limite
considerati e la ponderata scelta dei passi platonici forniscono un importante sostegno
all’interpretazione proposta. Chiudendo il libro il lettore ha l’impressione che tutti gli
aspetti più importanti del pensiero platonico su il “sé”, l’“altro” e l’“intero” siano stati
esaminati in modo preciso e brillante e che bisognerebbe interpretare i successivi
sviluppi filosofici alla luce di queste nozioni. Chiunque sia interessato alla filosofia
platonica e più in generale alla filosofia antica e alla storia della logica deve avere
questo libro sui propri scaffali.
Marco Sgarbi, Università di Verona
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