doc - Fondazione Teatri di Piacenza

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Con L'opera da tre soldi di Bertolt Brecht e Kurt Weill
prosegue la rassegna cameristica “Allegro con brio”
organizzata dalla Fondazione Teatri di Piacenza
in collaborazione con
il Conservatorio “G. Nicolini”
L'appuntamento è per sabato 14 febbraio
alla ore 17 alla Sala dei Teatini
Sarà L'opera da tre soldi la protagonista del secondo appuntamento con la rassegna
cameristica, ad ingresso gratuito, “Allegro con Brio”, organizzata dalla Fondazione Teatri di
Piacenza in collaborazione con il Conservatorio di Musica “G. Nicolini” di Piacenza.
Sabato, 14 febbraio, alle ore 17 nella Sala dei Teatini, grazie agli allievi delle Classi di Canto del
Conservatorio, affiancanti dall' Ensemble del Conservatorio diretto da Luciano Caggiati e dal Coro
del Conservatorio diretto da Giorgio Ubaldi, verrà messa in scena l'opera teatrale di Bertolt
Brecht con le musiche di Kurt Weill. Narratore, nonchè regista della pièce, sarà Corrado Calda che
condurrà gli spettatori nel mondo del sottoproletariato londinese, dei banditi e dei derelitti,
descritto da Brecht nella sua opera con l'intenzione di provocare il pubblico borghese, che avrebbe
dovuto scandalizzarsi di fronte all'ambiente, ai personaggi e al loro linguaggio. Il pubblico ideale
per Brecht doveva essere il proletariato, cioè gli operai dell'industria. Infatti il titolo indicava
provocatoriamente il prezzo del biglietto d'entrata.
Il testo dell'Opera da tre soldi fu tratto da B. Brecht dalla Beggar's Opera di J. Gay, pubblicata in
Inghilterra nel 1728, ma si avvalse di elementi culturali tedeschi e presentò fin dall'inizio notevoli
analogie con l'ambiente della Germania di Weimar.
I personaggi dell'opera – ladri, prostitute, protettori, strozzini – si muovono nei bassifondi del
quartiere di Soho, a Londra, protagonisti di imprese canagliesche in sostanza non molto dissimili
da quelle, mascherate, del perbenismo dei più degni esponenti dei una società decadente e
corrotta.
Dopo una breve Ouverture orchestrale, il cantastorie presenta nel Prologo la figura
dell'antieroe, narrando su un ritmo monotono da organetto la “Storia di Mackie Messer”. Il Primo
Atto si apre su una specie di emporio per il mendicante - gestito da Geremia Peachum - dove si
forniscono agli accattoni di professione le attrezzature necessarie per speculare adeguatamente
sulla pietà altrui. Entra quindi in scena la signora Peachum che comunica al marito la fuga della
figlia Polly innamorata del bandito Mackie Messer ed entrambi manifestano la loro
disapprovazione per un sentimento assurdo come l'amore romantico. L'azione si sposta quindi in
un uno squallido garage dei bassifondi, dove si celebrano le nozze segrete di Mackie e Polly: i soci
del bandito improvvisano un sontuoso banchetto e augurano felicità alla coppia. A congratularsi
con gli sposi giunge anche Brown detto “La tigre”, capo della polizia e vecchio compagno d'armai
di Mackie Messer, con il quale intrattiene ora rapporti d'amicizia e d'affari. Allontanatisi gli ospiti,
Polly e Mackie si giurano eterna fedeltà. La scena che conclude il primo Atto presenta il conflitto
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tra Polly e i genitori che la rimproverano di aver rovinato l'azienda famigliare con il suo insensato
matrimonio. Chi infatti potrà ora convincere i poliziotti a sospendere le indagini sui loschi affari di
Peachum? Polly risponde riconfermando la sua fede nell'amore; di fronte all'ostinazione della
figlia, che rifiuta un divorzio riparatore, i Peachum deliberano di denunciare Mackie Messer al
capo della polizia e di farlo arrestare, corrompendo una delle prostitute della casa di tolleranza che
egli frequenta abitualmente.
Il secondo Atto esordisce con una scena in cui Mackie, in procinto di fuggire in seguito alle
minacce di Peachum, si accomiata da Polly, alla quale affida il comando della banda da lui
capeggiata; lasciata la moglie, Mackie si rifugia nella casa di tolleranza di Jenny della Spelonche,
senza sapere che ella stessa l'ha già venduto alla signora Peachum per pochi centesimi. Prima
dell'arrivo della polizia i due rievocano il passato amore. In una delle scene successive Mackie
Messer, dietro le sbarre della prigione, accoglie sdegnosamente le affermazioni di innocenza di
Brown circa il suo arresto e, una volta solo, esprime la propria filosofia esistenziale.
Entrano in scena Lucy, figlia di Brown e amanate di Messer, e Polly, entrambe in visita
all'amato, che rivendicano la proprietà sulla vita del bandito. Infine, il duetto con coro tra Messer e
la signora Peachum, che costituisce il Finale del secondo Atto, è un commento simbolico a quanto
avvenuto sulla scena e un'accusa all'ipocrisia del moralismo convenzionale.
All'inizio del terzo Atto Peachum istruisce i suoi falsi mendicanti per trasformare i
festeggiamenti dell'incoronazione in una farsa. A Brown, che vorrebbe impedire con la forza
pubblica la marcia dei pezzenti sulla città, egli replica che ciò non sarebbe sufficiente a far
scomparire la vera miseria dalla Terra; quindi gli intima di riacciuffare Mackie Messer, del quale
intanto Jenny ha svelato il nascondiglio. Egli, nuovamente in carcere e condannato
all'impiccagione, accorgendosi di essere ormai abbandonato da tutti, chiede aiuto agli amici.
Condotto in piazza per l'esecuzione , afferma poi che molti rispettabili cittadini dovrebbero essere
impiccati con lui e domanda perdono al genere umano.
Ma l'Opera da tre soldi non può terminare tragicamente: Peachum afferma che a differenza di
quanto avviene nella realtà, almeno in teatro la pietà deve trionfare sulla giustizia degli uomini. Si
annuncia l'arrivo di un messo reale che reca la grazie della Regina, fra le manifestazioni di gioia
degli astanti che si riassumono nel Finale del terzo Atto.
Ora, nel dramma di Brecht-Weill i personaggi appartengono certamente al mondo della
malavita, tuttavia in questo mondo capovolto si realizzano le stesse gerarchie del mondo dei
gentiluomini: in alto c'è una specie di sovrano, un capo mafia, che possiede le stese caratteristiche
del potere “legale”, con i suoi avvocati e i suoi poliziotti, le sue amanti: un mondo a rovescio. Un
potere basato sul denaro e la violenza che, specularmente opposto ma simile a quello “reale”,
conduce con esso e insieme a esso a una perfetta corrispondenza verso il destino comune
dell'infelicità. I valori “positivi” della società benpensante sono una rovina in quanto ipocriti, la
società delinquente e “negativa” porta pure alla rovina. Tali premesse portano a una sola
conclusione: è la società stessa ad essere la rovina. Tale sillogismo, che non sfuggi al pubblico di
allora, ebbe un fortissimo impatto. Oggi, tale potenza eversiva ha perso molto del suo vigore in
quanto denuncia sociale, ma ne rimangono gli aromi persistenti, effluvi che sotto la patina della
piacevolezza musicale e ritmica nulla hanno perso della loro inquietudine, nulla hanno perso del
loro acuto moralismo.
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