Dalle Lettere di S. Caterina da Siena Lettera 221: A Suor Bartolomea della seta, monaca nel monasterio di santo Stefano in Pisa Al nome di Gesù crocifisso e di Maria dolce Carissima figliuola in Cristo Gesù. Io Caterina, serva e schiava de’ servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi Sposa vera consecrata allo Sposo eterno. Condizione è della sposa, di farvi una volontà con lo sposo suo; e non può volere più che egli voglia; e non pare che possa pensare altro che di lui. Or così pensate voi figliuola mia, che voi siete sposa di Cristo crocifisso, non dovete pensare né volere altro che lui, cioè non consentire a pensieri. Che i pensieri non venissero, questo non ti dico; perciocché nol potresti fare né tu né creatura. Perocché ‘l demonio non dorme mai: e questo permette Dio per fare venire la sposa sua a perfetta sollicitudine, per farla crescere in virtù. Questa è la cagione perché Dio permette alcuna volta che la mente rimane sterile e tenebrosa, e attorniata di molte perverse cogitazioni, che non parrà che possa pensare a Dio, né ricordare appena il nome suo. Guarda, che quando tu sentissi questo in te medesima, che tu non venga a tedio né a confusione disordinata; né non lassare l’esercizio tuo né l’atto dell’orazione, perché ‘l demonio ti dicesse: «Che ti leva quest’orazione, che non la fai con affetto né con desiderio? meglio ti sarebbe a non farla». Non lassare perciò; né per questo venire a confusione; ma rispondi virilmente: «Più tosto voglio esercitarmi per Cristo crocifisso sentendo pena, tenebre e battaglia, che non esercitarmi sentendo riposo». E pensa che questa è la condizione de’ perfetti: che se possibile gli fusse di campare l’inferno, e avere diletto per questa vita, e con questo avere vita eterna; essi non la vogliono per questo affetto: tanto gli diletta di conformarsi con Cristo crocifisso. Onde piuttosto la vogliono per via di croce e di pena, che senza pena. Or che maggiore diletto può avere la sposa, che essere conformata con lo sposo suo, ed essere vestita d’uno simile vestimento? Onde, perché Cristo crocifisso nella vita sua non elesse altro che croce e pena, e di questo vestimento si vestì; però la sposa sua si reputa a beatitudine, quando si vede che lo sposo l’ha amata sì smisuratamente, però ella l’ama e ricevelo con tanto amore e con tanto desiderio, che non è lingua sufficiente a poterlo narrare. E però la somma ed eterna Bontà per farla giungere a perfettissimo amore e avere umilità, permette le molte battaglie, e la mente asciutta, acciocché la creatura ricognosca sé medesima, e vegga, sé non essere: perocché se ella fusse alcuna cosa, si leverebbe la pena quando volesse; ma perché ella non è, non può. Onde cognoscendo sé, s’umilia nel suo non essere, e cognosce la bontà di Dio, che gli ha dato l’essere per grazia, e ogni grazia che è fondata sopra l’essere. Ma tu mi dirai: «Quando io ho tanta pena, e tante battaglie e tenebre, io non posso vedere altro che confusione; e non pare che io possa pigliare speranza veruna: tanto mi veggo misera». Rispondoti, figliuola mia, che se tu cercherai, troverai Dio nella buon volontà. Onde poniamo che tu senta molte battaglie, tu non senti però privata la volontà, che ella non voglia Dio. Anco, questa è la cagione perché si duole e ha pena, perché teme d’offendere Dio. Debbe dunque godere ed esultare, e non venire a confusione per battaglie, vedendo che Dio gli conserva la buona volontà, e dàgli dispiacimento del peccato mortale. E questo mi ricordo che udii dire una volta a una serva di Dio, che le fu detto dalla prima dolce Verità, onde essendo ella stata in grandissima pena e tentazione; e fra l’altre sentì grandissima confusione, in tanto che ‘l dimonio diceva: «Che farai, che tutto il tempo della vita tua starai in queste pene, e poi averai lo inferno?». Ella allora rispose con cuore virile, e senza veruno timore, e con uno odio santo di sé, dicendo: «Non schifo pene, perciocché io ho elette le pene per mio refrigerio. E se nell’ultimo mi desse l’inferno, non lasserò però che io non serva al mio Creatore. Perciocché io son colei che son degna di stare nell’inferno, però che io offesi la prima e dolce Verità, onde se egli mi desse l’inferno, non mi fa ingiuria veruna, perciocché io son sua». Allora il nostro Salvatore, in questa dolce e vera umilità, levò le tenebre e le molestie delle dimonia, siccome fa quando cade la nuvola, che rimane il sole: e di subito giunse la presenzia del nostro Salvatore. Onde ella s’infondeva in uno fiume di lagrime con un caldo dolce d’amore diceva: «O dolce e buono Gesù, e dove eri tu quando l’anima mia era in tanta afflizione?», rispondeva il dolce Gesù, Agnello immacolato: «Io ero presso di te. Perocché io sono immobile, e non mi parto mai dalla creatura, se già la creatura non si parte da me per peccato mortale». E questa stava in uno dolce ragionamento con lui, e diceva «e tu eri con meco, come non ti sentivo? come può essere che, stando al fuoco, io non senta caldo? e io non sentiva altro che ghiaccio, tristizia, e amaritudine; e parevami essere piena di peccati mortali». Ed egli rispondeva dolcemente, e diceva: «Vuoi che io ti mostri, figliuola mia, come tu per quelle battaglie non cadevi in peccato mortale, e come io ero presso di te? Dimmi: qual’è quella cosa che fa il peccato mortale? È solamente la volontà. Perciocché il peccato e la virtù sta nel consentimento della volontà: altrimenti non è peccato nè virtù, se non volontariamente fatto. Questa volontà non c’era; perciocché, se ella ci fusse stata, averesti preso diletto e piacimento nelle cogitazioni del dimonio: ma perchè la volontà non c’era, doleviti, e sostenevi pena per timore di non offendere. Adunque vedi che nella volontà sta il peccato e la virtù. Onde io ti dico che tu non debbi venire per queste battaglie a disordinata confusione. Ma voglio che di questa tenebra tragga la luce del cognoscimento di te, nel quale cognoscimento tu acquisti la virtù dell’umilità e nella buona volontà godi ed esulti, cognoscendo che io allora abito in te nascostamente. E la volontà t’è segno che io vi sono; perciocché, se tu avessi mala volontà, non sarei in te per Grazia. Ma sai tu allora come io abito in te? in quello modo che io stetti in sul legno della croce. E quello modo tengo con voi, che tenne il Padre mio con meco. Pénsati, figluola mia, che in su la croce io ero beato, ed ero doloroso: beato ero per l’unione della natura divina nella natura umana; e nondimeno la carne sostenne pena, perciocché ‘l Padre Eterno ritrasse a sé la potenzia, lassandomi sostenere pena; ma non ritrasse l’unione, che non fusse sempre unito con meco (Mt 27,469. Così ti pensa che per questo modo abito io nell’anima: perciocché ritraggo spesse volte a me il sentimento e non ritraggo la Grazia; perciocché la Grazia non si perde mai se non per lo peccato mortale, come detto è. Ma sai tu, perché io fo questo? fòllo solo per farla venire a vera perfezione. Tu sai che l’anima non può essere perfetta, se non con queste due ale, cioè umilità e carità. Onde l’umilità acquista per lo cognoscimento di sé medesima, nel quale ella viene nel tempo della tenebra; e la carità s’acquista vedendo che io per amore gli ho conservata la santa e buona volontà. Onde io ti dico che l’anima savia, vedendo che di questo esce tanta virtù, se ne fa poi sicura (e per altro non permetto al dimonio che vi dia delle tentazioni): e terrà più caro quello tempo, che veruno altro. Ora t’ho detto il modo. E pensa che questo tempo è di grande necessità per la salute vostra; perciocché, se l’anima alcuna volta non fosse sollicita delle molte tentazioni, ella cadrebbe in grandissima negligenza, perderebbe l’esercizio del continuo desiderio e orazione. Perocché nel tempo della battaglia sta più attenta per paura de’ nemici, e fornisce la ròcca dell’anima sua, ricorrendo a me che sono la sua fortezza. Ma la intenzione del dimonio non è così: ché: che permetto a lui che vi tenti per farvi venire a virtù; ed egli vi tenta per farvi venire a disperazione. Pensa che ‘l dimonio tenterà uno che s’è posto a servirmi, non perocché egli creda ch’egli caggia attualmente in quello peccato, perocché già vede che eleggerebbe innanzi la morte, che attualmente offendere: ma che fa? ingegnasi di farlo venire a confusione, dicendo: per questi pensieri e movimenti che ti vengono, neuno bene ti giova. Or vedi quanta è la malizia del dimonio, che nella prima battaglia non potendo vincere, nella seconda col colore della virtù spesse volte vince! onde io non voglio che séguiti mai la maliziosa sua volontà: ma voglio che pigli la volontà mia, come io t’ho detto. E questa è la regola che io ti dò, e ch’io voglio che tu insegni altrui, quando bisogna». Or che dico a te, carissima figliuola mia, che io voglio che facci tu. E siami specchio di virtù, seguitando le vestigie di Cristo (2Pt 2,21) crocifisso. Bàgnati nel sangue di Cristo crocifisso: e fa’, ch’io non voglio, che cerchi né voglia altro che ‘l Crocifisso; siccome sposa vera ricomprata del sangue di Cristo crocifisso. Ben vedi tu che tu sei sposa, e che egli t’ha sposata, e te e ogni creatura; e non con anello d’argento, ma con anello della carne sua. Vedi quello dolce Parvolo, che in otto dì (Lc 2,21) nella circoncisione, quando è circonciso, si leva tanta carne, quanta è una estremità d’anello. Oh abisso e altezza inestimabile di carità, quanto ami questa sposa dell’umana generazione! Oh vita per cui ogni cosa vive! tu l’hai tratta dalle mani del dimonio, pigliando el dimonio coll’amo dell’umanità; e sposila con la carne tua. E il sangue hai dato per arra, e poi nell’ultimo, svenando il corpo tuo, hai dato il pagamento. Or t’inebria, figliuola mia, e non cadere in negligenza, ma con vera sollicitudine ti leva; e con questo sangue spezza la durezza del cuore tuo per sì fatto modo che mai non si serri per veruna ignoranza o negligenza più, ma con vera sollicitudine ti leva; e con questo sangue spezza la durezza del cuore tuo per sì fatto modo che mai non si serri per veruna ignoranzia o negligenza più, né per diletto di veruna creatura. Non dico più. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore. j.m.j.