Costituzione della Repubblica

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Direzione Processo legislativo
Settore Commissioni legislative
Unita’ organizzativa Lavoro e Servizi alla persona
Disegno di legge n. 407
Norme per la realizzazione del sistema regionale integrato di intervento e
servizi siociali
QUADRO NORMATIVO DI RIFERIMENTO
Settembre 2002
LEGISLAZIONE NAZIONALE
Costituzione della Repubblica
pag. 3
L. 30 aprile 1969, n. 153
Revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale
pag. 5
L. 5 febbraio 1992, n. 104
Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate
pag. 7
D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502
Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'articolo 1
della L. 23 ottobre 1992, n. 421
pag. 8
D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 109
Definizioni di criteri unificati di valutazione della situazione economica
dei soggetti che richiedono prestazioni sociali agevolate, a norma dell'articolo 59,
comma 51, della L. 27 dicembre 1997, n. 449
pag. 9
D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112
Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni
ed agli enti locali, in attuazione del capo I della L. 15 marzo 1997, n. 59
pag. 14
D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (1).
Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione
e norme sulla condizione dello straniero
pag. 16
L. 8 marzo 2000, n. 53 (1).
Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura
e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città
pag. 17
L. 8 novembre 2000, n. 328
Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali
pag. 18
L. 23 dicembre 2000, n. 388 (1).
Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato (legge finanziaria 2001)
pag. 33
D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (1).
Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali
pag. 36
L. 30 marzo 2001, n. 152 (1).
Nuova disciplina per gli istituti di patronato e di assistenza sociale
pag. 48
D.Lgs. 4 maggio 2001, n. 207 (1).
Riordino del sistema delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza,
a norma dell'articolo 10 della L. 8 novembre 2000, n. 328
pag. 54
L. 28 dicembre 2001, n. 448 (1).
Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato (legge finanziaria 2002)
pag. 61
D.M. 8 ottobre 1998, n. 520 (1).
Regolamento recante norme per l'individuazione della figura e del
relativo profilo professionale dell'educatore professionale, ai sensi dell'articolo 6,
comma 3, del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502
pag. 63
D.P.C.M. 15 dicembre 2000 (1).
Riparto tra le regioni dei finanziamenti destinati al potenziamento dei servizi
a favore delle persone che versano in stato di povertà estrema e senza fissa dimora
pag. 65
D.P.C.M. 30 marzo 2001 (1).
Atto di indirizzo e coordinamento sui sistemi di affidamento dei servizi alla persona
ai sensi dell'art. 5 della L. 8 novembre 2000, n. 328
pag. 67
D.P.R. 3 maggio 2001 (1).
Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali 2001-2003
pag. 70
D.M. 21 maggio 2001, n. 308 (1).
Regolamento concernente «Requisiti minimi strutturali e organizzativi per
l'autorizzazione all'esercizio dei servizi e delle strutture a ciclo residenziale e
semiresidenziale, a norma dell'articolo 11 della L. 8 novembre 2000, n. 328»
pag. 93
D.M. 13 dicembre 2001, n. 470 (1).
Regolamento concernente criteri e modalità per la concessione e l'erogazione
dei finanziamenti di cui all'articolo 81 della L. 23 dicembre 2000, n. 388,
in materia di interventi in favore dei soggetti con handicap grave privi
dell'assistenza dei familiari
pag. 96
LEGISLAZIONE REGIONALE
L.R. 9 giugno 1994, n. 18 (1).
Norme di attuazione della legge 8 novembre 1991, n. 381 ''Disciplina
delle cooperative sociali''
pag. 99
L.R. 29 agosto 1994, n. 38 (1).
Valorizzazione e promozione del volontariato
pag. 107
L.R. 13 aprile 1995, n. 62 (1).
Norme per l'esercizio delle funzioni socio-assistenziali
pag. 114
L.R. 4 agosto 1997, n. 43 (1).
Promozione della rete di strutture socio-assistenziali destinate a persone disabili
pag. 130
L.R. 26 aprile 2000, n. 44 (1).
Disposizioni normative per l'attuazione del decreto legislativo 31 marzo 1998,
n. 112 «Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni
ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59»
pag. 133
Costituzione della Repubblica
(articoli estratti)
Art. 117.
La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei
vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.
Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie:
a) politica estera e rapporti internazionali dello Stato; rapporti dello Stato con l'Unione europea; diritto di
asilo e condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea;
b) immigrazione;
c) rapporti tra la Repubblica e le confessioni religiose;
d) difesa e Forze armate; sicurezza dello Stato; armi, munizioni ed esplosivi;
e) moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari; tutela della concorrenza; sistema valutario; sistema
tributario e contabile dello Stato; perequazione delle risorse finanziarie;
f) organi dello Stato e relative leggi elettorali; referendum statali; elezione del Parlamento europeo;
g) ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali;
h) ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale;
i) cittadinanza, stato civile e anagrafi;
l) giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa;
m) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono
essere garantiti su tutto il territorio nazionale;
n) norme generali sull'istruzione;
o) previdenza sociale;
p) legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città
metropolitane;
q) dogane, protezione dei confini nazionali e profilassi internazionale;
r) pesi, misure e determinazione del tempo; coordinamento informativo statistico e informatico dei dati
dell'amministrazione statale, regionale e locale; opere dell'ingegno;
s) tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali.
Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: rapporti internazionali e con l'Unione europea
delle Regioni; commercio con l'estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l'autonomia delle
istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; professioni; ricerca
scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione;
ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto
e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale
dell'energia; previdenza complementare e integrativa; armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento
della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e
organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale;
enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale. Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle
Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla
legislazione dello Stato.
Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla
legislazione dello Stato.
Le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di loro competenza, partecipano
alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari e provvedono all'attuazione e
all'esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell'Unione europea, nel rispetto delle norme di
procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso
di inadempienza.
La potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salva delega alle Regioni.
La potestà regolamentare spetta alle Regioni in ogni altra materia. I Comuni, le Province e le Città
metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell'organizzazione e dello svolgimento
delle funzioni loro attribuite.
Le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella
vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche
elettive.
La legge regionale ratifica le intese della Regione con altre Regioni per il migliore esercizio delle proprie
funzioni, anche con individuazione di organi comuni.
Nelle materie di sua competenza la Regione può concludere accordi con Stati e intese con enti territoriali
interni ad altro Stato, nei casi e con le forme disciplinati da leggi dello Stato
Art. 118.
Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano
conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà,
differenziazione ed adeguatezza.
I Comuni, le Province e le Città metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle
conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze.
La legge statale disciplina forme di coordinamento fra Stato e Regione nelle materie di cui alle lettere b) e h)
del secondo comma dell'articolo 117, e disciplina inoltre forme di intesa e coordinamento nella materia della
tutela dei beni culturali.
Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini,
singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà.
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Aggiornamento alla GU 28/05/2002
184. INVALIDITA', VECCHIAIA E SUPERSTITI (Assicurazione obbligatoria per) A) Norme di carattere
generale
L. 30 aprile 1969, n. 153
Revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale
(articoli estratti)
26. Pensioni ai cittadini ultrasessantacinquenni sprovvisti di reddito
Ai cittadini italiani, residenti nel territorio nazionale, che abbiano compiuto l'età di 65 anni, che posseggano
redditi propri assoggettabili all'imposta sul reddito delle persone fisiche per un ammontare non superiore a
lire 336.050 annue e, se coniugati, un reddito, cumulato con quello del coniuge, non superiore a L. 1.320.000
annue è corrisposta, a domanda, una pensione sociale non riversibile di lire 336.050 annue da ripartirsi in 13
rate mensili di L. 25.850 annue ciascuna. La tredicesima rata è corrisposta con quella di dicembre ed è
frazionabile. Non si provvede al cumulo del reddito con quello del coniuge nel caso di separazione legale.
Dal computo del reddito suindicato sono esclusi gli assegni familiari ed il reddito della casa di abitazione.
Non hanno diritto alla pensione sociale:
1) coloro che hanno titolo a rendite o prestazioni economiche previdenziali ed assistenziali, fatta eccezione
per gli assegni familiari, erogate con carattere di continuità dallo Stato o da altri enti pubblici o da Stati
esteri;
2) coloro che percepiscono pensioni di guerra, fatta eccezione dell'assegno vitalizio annuo agli ex
combattenti della guerra 1915-18 e precedenti.
La esclusione di cui al precedente comma non opera qualora l'importo dei redditi ivi considerati non superi
L. 336.050 annue.
Coloro che percepiscono le rendite o le prestazioni o i redditi previsti nei precedenti commi, ma di importo
inferiore a L. 336.050 annue, hanno diritto alla pensione sociale ridotta in misura corrispondente all'importo
delle rendite, prestazioni e redditi percepiti.
L'importo della pensione sociale di cui al primo comma è comprensivo, per il 1974, degli aumenti derivanti
dalla perequazione automatica della pensione di cui al precedente articolo 19.
I limiti di L. 336.050 previsti nel primo, quarto e quinto comma del presente articolo sono elevati dalla
perequazione automatica di cui al precedente art. 19.
Qualora, a seguito della riduzione prevista dal comma precedente, la pensione sociale risulti di importo
inferiore a L. 3.500 mensili, l'Istituto nazionale della previdenza sociale ha facoltà di porla in pagamento in
rate semestrali anticipate.
La pensione è posta a carico del Fondo sociale, nel cui seno è costituita apposita gestione autonoma, ed è
corrisposta, con le stesse modalità previste per l'erogazione delle pensioni, dall'Istituto nazionale della
previdenza sociale, al quale compete l'accertamento delle condizioni per la concessione sulla base della
documentazione indicata nel comma successivo.
La domanda per ottenere la pensione è presentata alla sede dell'I.N.P.S. nella cui circoscrizione territoriale è
compreso il comune di residenza dell'interessato.
La domanda stessa deve essere corredata dal certificato di nascita e dalla certificazione da rilasciarsi, senza
spese, dagli uffici finanziari sulla dichiarazione resa dal richiedente su modulo conforme a quello approvato
con decreto del Ministero delle finanze, da emanarsi entro il mese di ottobre 1974, pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale, da cui risulti l'esistenza dei prescritti requisiti.
La pensione decorre dal primo giorno del mese successivo a quello di presentazione della domanda e non è
cedibile, né sequestrabile, né pignorabile. Per coloro che, potendo far valere i requisiti di cui al primo
comma, presentino la domanda entro il primo anno di applicazione della presente legge, la pensione decorre
dal 1° maggio 1969 o dal mese successivo a quello di compimento dell'età, qualora quest'ultima ipotesi si
verifichi in data successiva a quella di entrata in vigore della legge.
Chiunque compia dolosamente atti diretti a procurare a sé o ad altri la liquidazione della pensione non
spettante è tenuto a versare una somma pari al doppio di quella indebitamente percepita, il cui provento è
devoluto al Fondo sociale. La suddetta sanzione è comminata dall'Istituto nazionale della previdenza sociale
attraverso le proprie sedi provinciali.
Per i ricorsi amministrativi contro i provvedimenti dell'I.N.P.S. concernenti la concessione della pensione,
nonché per la comminazione delle sanzioni pecuniarie di cui al comma precedente e per le conseguenti
controversie in sede giurisdizionale, si applicano le norme che disciplinano il contenzioso in materia di
pensioni a carico dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti dei
lavoratori dipendenti di cui al R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, e successive modificazioni e integrazioni
(28/a).
(28/a) La Corte costituzionale, con sentenza 21 febbraio-9 marzo 1992, n. 88 (Gazz. Uff. 18 marzo 1992, n.
12 - Serie speciale), ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 26, nella parte in cui, nell'indicare il
limite di reddito cumulato con quello del coniuge, ostativo al conseguimento della pensione sociale, non
prevede un meccanismo differenziato di determinazione per gli ultrasessantacinquenni divenuti invalidi.
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Aggiornamento alla GU 28/05/2002
32. ASSISTENZA E BENEFICENZA PUBBLICA E) Assistenza in favore di particolari categorie
L. 5 febbraio 1992, n. 104
Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate
(articoli estratti)
1. Finalità.
1. La Repubblica:
a) garantisce il pieno rispetto della dignità umana e i diritti di libertà e di autonomia della persona
handicappata e ne promuove la piena integrazione nella famiglia, nella scuola, nel lavoro e nella società;
b) previene e rimuove le condizioni invalidanti che impediscono lo sviluppo della persona umana, il
raggiungimento della massima autonomia possibile e la partecipazione della persona handicappata alla vita
della collettività, nonché la realizzazione dei diritti civili, politici e patrimoniali;
c) persegue il recupero funzionale e sociale della persona affetta da minorazioni fisiche, psichiche e
sensoriali e assicura i servizi e le prestazioni per la prevenzione, la cura e la riabilitazione delle minorazioni,
nonché la tutela giuridica ed economica della persona handicappata;
d) predispone interventi volti a superare stati di emarginazione e di esclusione sociale della persona
handicappata.
2. Principi generali.
1. La presente legge detta i principi dell'ordinamento in materia di diritti, integrazione sociale e assistenza
della persona handicappata. Essa costituisce inoltre riforma economico-sociale della Repubblica, ai sensi
dell'articolo 4 dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, approvato con legge costituzionale 26
febbraio 1948, n. 5.
3. Soggetti aventi diritto.
1. È persona handicappata colui che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o
progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da
determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione.
2. La persona handicappata ha diritto alle prestazioni stabilite in suo favore in relazione alla natura e alla
consistenza della minorazione, alla capacità complessiva individuale residua e alla efficacia delle terapie
riabilitative.
3. Qualora la minorazione, singola o plurima, abbia ridotto l'autonomia personale, correlata all'età, in modo
da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o
in quella di relazione, la situazione assume connotazione di gravità.
Le situazioni riconosciute di gravità determinano priorità nei programmi e negli interventi dei servizi
pubblici.
4. La presente legge si applica anche agli stranieri e agli apolidi, residenti, domiciliati o aventi stabile dimora
nel territorio nazionale. Le relative prestazioni sono corrisposte nei limiti ed alle condizioni previste dalla
vigente legislazione o da accordi internazionali.
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Aggiornamento alla GU 28/05/2002
310. SANITA' PUBBLICA R) Servizio sanitario nazionale
D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502
Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'articolo 1
della L. 23 ottobre 1992, n. 421
(articoli estratti)
3-septies. Integrazione sociosanitaria.
1. Si definiscono prestazioni sociosanitarie tutte le attività atte a soddisfare, mediante percorsi assistenziali
integrati, bisogni di salute della persona che richiedono unitariamente prestazioni sanitarie e azioni di
protezione sociale in grado di garantire, anche nel lungo periodo, la continuità tra le azioni di cura e quelle di
riabilitazione.
2. Le prestazioni sociosanitarie comprendono:
a) prestazioni sanitarie a rilevanza sociale, cioè le attività finalizzate alla promozione della salute, alla
prevenzione, individuazione, rimozione e contenimento di esiti degenerativi o invalidanti di patologie
congenite e acquisite;
b) prestazioni sociali a rilevanza sanitaria, cioè tutte le attività del sistema sociale che hanno l'obiettivo di
supportare la persona in stato di bisogno, con problemi di disabilità o di emarginazione condizionanti lo stato
di salute.
3. L'atto di indirizzo e coordinamento di cui all'articolo 2, comma 1, lettera n), della legge 30 novembre
1998, n. 419, da emanarsi, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, su proposta del
Ministro della sanità e del Ministro per la solidarietà sociale, individua, sulla base dei princìpi e criteri
direttivi di cui al presente articolo, le prestazioni da ricondurre alle tipologie di cui al comma 2, lettere a) e
b), precisando i criteri di finanziamento delle stesse per quanto compete alle unità sanitarie locali e ai
comuni. Con il medesimo atto sono individuate le prestazioni sociosanitarie a elevata integrazione sanitaria
di cui al comma 4 e alle quali si applica il comma 5, e definiti i livelli uniformi di assistenza per le
prestazioni sociali a rilievo sanitario.
4. Le prestazioni sociosanitarie a elevata integrazione sanitaria sono caratterizzate da particolare rilevanza
terapeutica e intensità della componente sanitaria e attengono prevalentemente alle aree materno-infantile,
anziani, handicap, patologie psichiatriche e dipendenze da droga, alcool e farmaci, patologie per infezioni da
HIV e patologie in fase terminale, inabilità o disabilità conseguenti a patologie cronico-degenerative.
5. Le prestazioni sociosanitarie a elevata integrazione sanitaria sono assicurate dalle aziende sanitarie e
comprese nei livelli essenziali di assistenza sanitaria, secondo le modalità individuate dalla vigente
normativa e dai piani nazionali e regionali, nonché dai progetti-obiettivo nazionali e regionali.
6. Le prestazioni sociali a rilevanza sanitaria sono di competenza dei Comuni che provvedono al loro
finanziamento negli ambiti previsti dalla legge regionale ai sensi dell'articolo 3, comma 2, del decreto
legislativo 31 marzo 1998, n. 112. La regione determina, sulla base dei criteri posti dall'atto di indirizzo e
coordinamento di cui al comma 3, il finanziamento per le prestazioni sanitarie a rilevanza sociale, sulla base
di quote capitarie correlate ai livelli essenziali di assistenza.
7. Con decreto interministeriale, di concerto tra il Ministro della sanità, il Ministro per la solidarietà sociale e
il Ministro per la funzione pubblica, è individuata all'interno della Carta dei servizi una sezione dedicata agli
interventi e ai servizi sociosanitari.
8. Fermo restando quanto previsto dal comma 5 e dall'articolo 3-quinquies, comma 1, lettera c), le regioni
disciplinano i criteri e le modalità mediante i quali comuni e aziende sanitarie garantiscono l'integrazione, su
base distrettuale, delle prestazioni sociosanitarie di rispettiva competenza, individuando gli strumenti e gli
atti per garantire la gestione integrata dei processi assistenziali sociosanitari (30).
(30) Articolo così inserito dall'art. 3, comma 3, D.Lgs. 19 giugno 1999, n. 229 (Gazz. Uff. 16 luglio
1999, n. 165, n. S.O.).
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Aggiornamento alla GU 28/05/2002
282. PREVIDENZA SOCIALE A) Norme generali
D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 109
Definizioni di criteri unificati di valutazione della situazione economica dei soggetti che richiedono
prestazioni sociali agevolate, a norma dell'articolo 59,
comma 51, della L. 27 dicembre 1997, n. 449
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Visti gli articoli 5, 76, 87, 117, 118 e 128 della Costituzione;
Visto l'articolo 59, commi 51, 52 e 53 della legge 27 dicembre 1997, n. 449;
Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 13 febbraio 1998;
Acquisito il parere delle commissioni riunite Bilancio e Finanze della Camera dei deputati;
Acquisito il parere della commissione Finanze del Senato della Repubblica;
Acquisito il parere del Garante per la protezione dei dati personali;
Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 27 marzo 1998;
Sulla proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri e dei Ministri delle finanze, del lavoro e della
previdenza sociale, del tesoro, del bilancio e della programmazione economica e per la solidarietà sociale, di
concerto con i Ministri dell'interno e della sanità;
Emana il seguente decreto legislativo:
1. Prestazioni sociali agevolate.
1. Fermo restando il diritto ad usufruire delle prestazioni e dei servizi assicurati a tutti dalla Costituzione e
dalle altre disposizioni vigenti, il presente decreto individua, in via sperimentale, criteri unificati di
valutazione della situazione economica di coloro che richiedono prestazioni o servizi sociali o assistenziali
non destinati alla generalità dei soggetti o comunque collegati nella misura o nel costo a determinate
situazioni economiche. Ai fini di tale sperimentazione le disposizioni del presente decreto si applicano alle
prestazioni o servizi sociali e assistenziali, con esclusione della integrazione al minimo, della maggiorazione
sociale delle pensioni, dell'assegno e della pensione sociale e di ogni altra prestazione previdenziale, nonché
della pensione e assegno di invalidità civile e delle indennità di accompagnamento e assimilate. In ogni caso,
ciascun ente erogatore di prestazioni sociali agevolate utilizza le modalità di raccolta delle informazioni di
cui al successivo articolo 4 (2).
2. Gli enti erogatori, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, individuano,
secondo le disposizioni dei rispettivi ordinamenti, le condizioni economiche richieste per l'accesso alle
prestazioni agevolate, con possibilità di prevedere criteri differenziati in base alle condizioni economiche e
alla composizione della famiglia, secondo le modalità di cui all'articolo 3. Gli enti erogatori possono altresì
differire l'attuazione della disciplina non oltre centottanta giorni dall'entrata in vigore delle disposizioni del
decreto di cui all'articolo 2, comma 3 (3). Entro la medesima data l'I.N.P.S. predispone e rende operativo il
sistema informativo di cui all'articolo 4-bis (4).
3. Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro delle finanze, di concerto
con il Ministro per la solidarietà sociale, il Ministro dell'interno, il Ministro del tesoro, del bilancio e della
programmazione economica ed il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, sono individuate le modalità
attuative, anche con riferimento agli ambiti di applicazione, del presente decreto. È fatto salvo quanto
previsto dall'articolo 59, comma 50, della legge 27 dicembre 1997, n. 449 (5).
3-bis. Nell'àmbito della normativa vigente in materia di regolazione dei servizi di pubblica utilità, le autorità
e le amministrazioni pubbliche competenti possono utilizzare l'indicatore della situazione economica
equivalente calcolato dall'I.N.P.S. ai sensi del presente decreto per la eventuale definizione di condizioni
agevolate di accesso ai servizi di rispettiva competenza (6).
(2) Periodo aggiunto dall'art. 1, comma 1, D.Lgs. 3 maggio 2000, n. 130.
(3) Periodo così sostituito dall'art. 1, comma 2, D.Lgs. 3 maggio 2000, n. 130.
(4) Periodo così sostituito dall'art. 1, comma 2, D.Lgs. 3 maggio 2000, n. 130.
(5) Le modalità attuative previste dal presente comma sono state individuate con D.P.C.M. 7 maggio 1999,
n. 221.
(6) Comma aggiunto dall'art. 1, comma 3, D.Lgs. 3 maggio 2000, n. 130.
2. Criteri per la determinazione dell'indicatore della situazione economica equivalente.
1. La valutazione della situazione economica del richiedente è determinata con riferimento alle informazioni
relative al nucleo familiare di appartenenza, come definito ai sensi dei commi 2 e 3 e quale risulta alla data di
presentazione della dichiarazione sostitutiva unica di cui all'articolo 4.
2. Ai fini del presente decreto, ciascun soggetto può appartenere ad un solo nucleo familiare. Fanno parte del
nucleo familiare i soggetti componenti la famiglia anagrafica. I soggetti a carico ai fini I.R.P.E.F. fanno parte
del nucleo familiare della persona di cui sono a carico. I coniugi che hanno la stessa residenza anagrafica,
anche se risultano a carico ai fini I.R.P.E.F. di altre persone, fanno parte dello stesso nucleo familiare. Il
figlio minore di 18 anni, anche se risulta a carico ai fini I.R.P.E.F. di altre persone, fa parte del nucleo
familiare del genitore con il quale convive.
3. Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri sono stabiliti i criteri per l'individuazione del nucleo
familiare per i soggetti che ai fini I.R.P.E.F. risultano a carico di più persone, per i coniugi non legalmente
separati che non hanno la stessa residenza, per i minori non conviventi con i genitori o in affidamento presso
terzi e per i soggetti non componenti di famiglie anagrafiche.
4. L'indicatore della situazione economica è definito dalla somma dei redditi, come indicato nella parte prima
della tabella 1. Tale indicatore del reddito è combinato con l'indicatore della situazione economica
patrimoniale nella misura del venti per cento dei valori patrimoniali, come definiti nella parte seconda della
tabella 1.
5. L'indicatore della situazione economica equivalente è calcolato come rapporto tra l'indicatore di cui al
comma 4 e il parametro desunto dalla scala di equivalenza definita nella tabella 2, in riferimento al numero
dei componenti del nucleo familiare.
6. Le disposizioni del presente decreto non modificano la disciplina relativa ai soggetti tenuti alla prestazione
degli alimenti ai sensi dell'art. 433 del codice civile e non possono essere interpretate nel senso
dell'attribuzione agli enti erogatori della facoltà di cui all'articolo 438, primo comma, del codice civile nei
confronti dei componenti il nucleo familiare del richiedente la prestazione sociale agevolata (7).
(7) Articolo così sostituito dall'art. 2, D.Lgs. 3 maggio 2000, n. 130. Vedi, anche, l'art. 10, comma 2 dello
stesso decreto.
3. Integrazione dell'indicatore della situazione economica e variazione del nucleo familiare da parte degli
enti erogatori (8).
1. Gli enti erogatori, ai quali compete la fissazione dei requisiti per fruire di ciascuna prestazione, possono
prevedere, ai sensi dell'articolo 59, comma 52, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, accanto all'indicatore
della situazione economica equivalente, come calcolato ai sensi dell'articolo 2 del presente decreto, criteri
ulteriori di selezione dei beneficiari. Fatta salva l'unicità della dichiarazione sostitutiva di cui all'articolo 4,
gli enti erogatori possono altresì tenere conto, nella disciplina delle prestazioni sociali agevolate, di rilevanti
variazioni della situazione economica successive alla presentazione della dichiarazione medesima (9).
2. Per particolari prestazioni gli enti erogatori possono, ai sensi dell'articolo 59, comma 52, della legge 27
dicembre 1997, n. 449, assumere come unità di riferimento una composizione del nucleo familiare estratta
nell'àmbito dei soggetti indicati nell'articolo 2, commi 2 e 3, del presente decreto. Al nucleo comunque
definito si applica il parametro appropriato della scala di equivalenza di cui alla tabella 2 (10).
2-bis. In deroga alle disposizioni di cui al comma 2, per le prestazioni erogate nell'àmbito del diritto allo
studio universitario, il nucleo familiare del richiedente può essere integrato, dall'amministrazione pubblica
cui compete la disciplina dell'accesso alle prestazioni sociali agevolate, ai sensi dell'articolo 4 della legge 2
dicembre 1991, n. 390, e successive modificazioni, con quello di altro soggetto, che è considerato, alle
condizioni previste dalla disciplina medesima, sostenere l'onere di mantenimento del richiedente (11).
2-ter. Limitatamente alle prestazioni sociali agevolate assicurate nell'àmbito di percorsi assistenziali integrati
di natura sociosanitaria, erogate a domicilio o in ambiente residenziale a ciclo diurno o continuativo, rivolte a
persone con handicap permanente grave, di cui all'articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104,
accertato ai sensi dell'articolo 4 della stessa legge, nonché a soggetti ultra sessantacinquenni la cui non
autosufficienza fisica o psichica sia stata accertata dalle aziende unità sanitarie locali, le disposizioni del
presente decreto si applicano nei limiti stabiliti con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su
proposta dei Ministri per la solidarietà sociale e della sanità. Il suddetto decreto è adottato, previa intesa con
la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, al fine di favorire
la permanenza dell'assistito presso il nucleo familiare di appartenenza e di evidenziare la situazione
economica del solo assistito, anche in relazione alle modalità di contribuzione al costo della prestazione, e
sulla base delle indicazioni contenute nell'atto di indirizzo e coordinamento di cui all'articolo 3-septies,
comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni (12).
3. Restano ferme le disposizioni vigenti che attribuiscono alle amministrazioni dello Stato e alle regioni la
competenza a determinare criteri per l'uniformità di trattamento da parte di enti erogatori da esse vigilati o
comunque finanziati.
(8) Rubrica così sostituita dall'art. 3, comma 1, D.Lgs. 3 maggio 2000, n. 130.
(9) Comma così sostituito dall'art. 3, comma 2, D.Lgs. 3 maggio 2000, n. 130.
(10) Comma così sostituito dall'art. 3, comma 3, D.Lgs. 3 maggio 2000, n. 130.
(11) Comma aggiunto dall'art. 3, comma 4, D.Lgs. 3 maggio 2000, n. 130.
(12) Comma aggiunto dall'art. 3, comma 4, D.Lgs. 3 maggio 2000, n. 130.
4. Dichiarazione sostitutiva unica (13).
1. Il richiedente la prestazione presenta un'unica dichiarazione sostitutiva, a norma della legge 4 gennaio
1968, n. 15, e successive modificazioni e integrazioni, di validità annuale, concernente le informazioni
necessarie per la determinazione dell'indicatore della situazione economica equivalente di cui all'articolo 2,
ancorché l'ente erogatore si avvalga della facoltà riconosciutagli dall'articolo 3, comma 2. È lasciata facoltà
al cittadino di presentare, entro il periodo di validità della dichiarazione sostitutiva unica, una nuova
dichiarazione, qualora intenda far rilevare i mutamenti delle condizioni familiari ed economiche ai fini del
calcolo dell'indicatore della situazione economica equivalente del proprio nucleo familiare; gli enti erogatori
possono stabilire per le prestazioni da essi erogate la decorrenza degli effetti di tali nuove dichiarazioni (14).
2. Il richiedente dichiara altresì di avere conoscenza che, nel caso di corresponsione della prestazione, ai
sensi del comma 8, possono essere eseguiti controlli diretti ad accertare la veridicità delle informazioni
fornite ed effettuati presso gli istituti di credito o altri intermediari finanziari, specificando a tal fine il codice
identificativo degli intermediari finanziari che gestiscono il patrimonio mobiliare.
3. La dichiarazione di cui al comma 1 va presentata ai comuni o ai centri di assistenza fiscale previsti dal
decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, come modificato dal decreto legislativo 28 dicembre 1998, n. 490, o
direttamente all'amministrazione pubblica alla quale è richiesta la prima prestazione o alla sede I.N.P.S.
competente per territorio. L'I.N.P.S., sentita l'Autorità per l'informatica nella pubblica amministrazione,
fornisce alle proprie sedi territoriali, ai comuni, agli enti erogatori e ai centri di assistenza fiscale un tracciato
standard e una procedura informatica per raccogliere e trasmettere le informazioni rilevanti per la
determinazione dell'indicatore della situazione economica equivalente.
L'I.N.P.S. fornisce altresì la procedura informatica per consentire agli enti erogatori di poter calcolare e
rendere disponibile l'indicatore medesimo, con le modalità previste dall'articolo 2. Il tracciato standard e le
procedure informatiche sono elaborati in collaborazione con la Presidenza del Consiglio dei Ministri ed
approvati dalla presidenza medesima (15).
4. I comuni, i centri di assistenza fiscale, l'I.N.P.S. e le amministrazioni pubbliche ai quali è presentata la
dichiarazione sostitutiva rilasciano un'attestazione, riportante il contenuto della dichiarazione e gli elementi
informativi necessari per il calcolo della situazione economica. La dichiarazione, munita dell'attestazione
rilasciata, può essere utilizzata, nel periodo di validità, da ogni componente il nucleo familiare per l'accesso
alle prestazioni agevolate di cui al presente decreto (16).
5. [Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per la solidarietà sociale,
di concerto con il Ministro delle finanze e sentita l'Autorità per l'informatica nella pubblica amministrazione,
sono emanate norme dirette a consentire alle amministrazioni pubbliche che erogano le prestazioni, nonché
ai comuni ed ai centri autorizzati di assistenza fiscale, di rilasciare una certificazione, con validità
temporalmente limitata, attestante la situazione economica dichiarata, valevole ai fini dell'accesso a tutte le
prestazioni agevolate (17)] (18).
6. Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per la solidarietà sociale, di
concerto con i Ministri delle finanze e per la funzione pubblica, sentiti l'I.N.P.S. e l'Autorità per l'informatica
nella pubblica amministrazione, sono stabiliti i modelli-tipo della dichiarazione sostitutiva unica e
dell'attestazione, nonché le relative istruzioni per la compilazione (19).
7. Gli enti erogatori controllano, singolarmente o mediante un apposito servizio comune, la veridicità della
situazione familiare dichiarata e confrontano i dati reddituali e patrimoniali dichiarati dai soggetti ammessi
alle prestazioni con i dati in possesso del sistema informativo del Ministero delle finanze. A tal fine possono
stipulare convenzioni con il Ministero delle finanze. L'ente erogatore provvede ad ogni adempimento
conseguente alla non veridicità dei dati dichiarati. Le amministrazioni possono richiedere idonea
documentazione atta a dimostrare la completezza e la veridicità dei dati dichiarati, anche al fine della
correzione di errori materiali o di modesta entità. L'I.N.P.S. utilizza le informazioni di cui dispone, nei propri
archivi o in quelli delle amministrazioni collegate, per effettuare controlli formali sulla congruenza dei
contenuti della dichiarazione sostitutiva unica e segnala le eventuali incongruenze agli enti erogatori
interessati (20).
8. Nell'àmbito della direttiva annuale impartita dal Ministro delle finanze per la programmazione dell'attività
d'accertamento, una quota delle verifiche assegnate alla Guardia di finanza è riservata al controllo sostanziale
della posizione reddituale e patrimoniale dei nuclei familiari dei soggetti beneficiari di prestazioni, secondo
criteri selettivi stabiliti dalla direttiva stessa.
(13) Rubrica così sostituita dall'art. 4, comma 1, D.Lgs. 3 maggio 2000, n. 130.
(14) Comma così sostituito dall'art. 4, comma 2, D.Lgs. 3 maggio 2000, n. 130.
(15) Comma così sostituito dall'art. 4, comma 3, D.Lgs. 3 maggio 2000, n. 130. Vedi, anche, l'art.
10, comma 3 dello stesso decreto.
(16) Comma così sostituito dall'art. 4, comma 4, D.Lgs. 3 maggio 2000, n. 130.
(17) In attuazione di quanto disposto dal presente comma vedi il D.P.C.M. 21 luglio 1999, n. 305.
(18) Comma soppresso dall'art. 4, comma 4, D.Lgs. 3 maggio 2000, n. 130.
(19) Comma così sostituito dall'art. 4, comma 6, D.Lgs. 3 maggio 2000, n. 130. I modelli di cui al presente
comma sono stati approvati con D.M. 29 luglio 1999 e con D.P.C.M. 18 maggio 2001.
(20) Periodo aggiunto dall'art. 4, comma 7, D.Lgs. 3 maggio 2000, n. 130.
4-bis. Sistema informativo dell'indicatore della situazione economica equivalente.
1. L'ente a cui è stata presentata la dichiarazione sostitutiva unica raccoglie le informazioni secondo le
modalità indicate nell'articolo 4, comma 3, e le trasmette ad una apposita banca dati costituita e gestita
dall'Istituto nazionale della previdenza sociale. L'Istituto nazionale della previdenza sociale calcola e rende
disponibile ai componenti del nucleo familiare per il quale è stata presentata la dichiarazione di cui
all'articolo 4 e agli enti erogatori di prestazioni sociali agevolate l'indicatore della situazione economica
equivalente di cui al presente decreto, ed eventualmente, sulla base delle disposizioni di attuazione del
decreto legislativo 29 aprile 1998, n. 124, l'indicatore della situazione economica equivalente ivi previsto.
2. L'ente erogatore, qualora il richiedente la prestazione sociale agevolata o altro componente il suo nucleo
familiare abbia già presentato la dichiarazione sostitutiva unica, richiede all'Istituto nazionale della
previdenza sociale l'indicatore della situazione economica equivalente. L'ente erogatore richiede all'Istituto
nazionale della previdenza sociale anche le informazioni analitiche contenute nella dichiarazione sostitutiva
unica quando procede alle integrazioni e alle variazioni di cui all'articolo 3, ovvero effettua i controlli di cui
all'articolo 4, comma 7, o quando costituisce e gestisce, nel rispetto delle vigenti disposizioni sulla tutela dei
dati personali, una banca dati relativa agli utenti delle prestazioni da esso erogate.
3. L'Istituto nazionale della previdenza sociale rende disponibili le informazioni analitiche o l'indicatore della
situazione economica equivalente relativi al nucleo familiare, agli enti utilizzatori della dichiarazione
sostitutiva unica presso i quali il richiedente ha presentato specifica domanda (21).
(21) Articolo aggiunto dall'art. 5, D.Lgs. 3 maggio 2000, n. 130.
5. Coordinamento istituzionale e monitoraggio (22).
1. La commissione tecnica per la spesa pubblica elabora annualmente un rapporto sullo stato d'attuazione e
sugli effetti derivanti dall'applicazione dei criteri di valutazione della situazione economica disciplinati dal
presente decreto. A tale fine l'INPS, le amministrazioni e gli enti erogatori e quelli responsabili delle attività
di controllo delle dichiarazioni sostitutive dei richiedenti comunicano alla commissione le informazioni
necessarie dirette ad accertare le modalità applicative, l'estensione e le caratteristiche dei beneficiari delle
prestazioni e ogni altra informazione richiesta. Il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione
economica trasmette il rapporto al Parlamento (23).
1-bis. Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, è istituito presso la Presidenza del Consiglio dei
Ministri un comitato consultivo per la valutazione dell'applicazione della disciplina relativa agli indicatori
della situazione economica equivalente. Del comitato fanno parte rappresentanti dei Ministeri interessati,
dell'Istituto nazionale della previdenza sociale, degli enti erogatori, delle regioni e della commissione tecnica
per la spesa pubblica (24).
(22) Rubrica così sostituita dall'art. 6, comma 1, D.Lgs. 3 maggio 2000, n. 130.
(23) Comma così modificato dall'art. 6, comma 2, D.Lgs. 3 maggio 2000, n. 130.
(24) Comma aggiunto dall'art. 6, comma 3, D.Lgs. 3 maggio 2000, n. 130.
6. Trattamento dei dati.
1. Il trattamento dei dati di cui al presente decreto è svolto nel rispetto delle vigenti norme in materia di tutela
dei dati personali e in particolare delle disposizioni della legge 31 dicembre 1996, n. 675, e successive
modificazioni, nonché del decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 135. Si applicano le disposizioni sulle
misure minime di sicurezza, emanate ai sensi dell'articolo 15 della citata legge n. 675 del 1996.
2. I dati della dichiarazione sostitutiva unica su cui è effettuato il trattamento da parte di soggetti di cui
all'articolo 4, comma 3, del presente decreto sono specificati dal decreto di cui al medesimo articolo 4,
comma 6. Gli enti erogatori possono trattare, nel rispetto delle disposizioni di cui al comma 1, ulteriori tipi di
dati quando stabiliscono i criteri ulteriori di selezione dei beneficiari di cui all'articolo 3, comma 1.
3. Ai fini dei controlli formali di cui all'articolo 4, comma 7, del presente decreto, gli enti erogatori e l'Istituto
nazionale della previdenza sociale possono effettuare l'interconnessione e il collegamento con gli archivi
delle amministrazioni collegate, nel rispetto della disciplina di cui al comma 1 del presente articolo.
4. I singoli centri di assistenza fiscale che, ai sensi dell'articolo 4, ricevono la dichiarazione sostitutiva unica
possono effettuare il trattamento dei dati, ai sensi del comma 1 del presente articolo, al fine di assistere il
dichiarante nella compilazione della dichiarazione unica, di effettuare l'attestazione della dichiarazione
medesima, nonché di comunicare i dati all'Istituto nazionale della previdenza sociale. I dati acquisiti dalle
dichiarazioni sostitutive sono conservati, in formato cartaceo o elettronico, dai centri medesimi al fine di
consentire le verifiche del caso da parte dell'Istituto nazionale della previdenza sociale e degli enti erogatori.
Ai centri di assistenza fiscale non è consentita la diffusione dei dati, ne altre operazioni che non siano
strettamente pertinenti con le suddette finalità. Dopo due anni dalla trasmissione dei dati all'Istituto nazionale
della previdenza sociale, i centri di assistenza fiscale procedono alla distruzione dei dati medesimi. Le
disposizioni del presente comma si applicano, altresì, ai comuni che ricevono dichiarazioni sostitutive per
prestazioni da essi non erogate.
5. L'Istituto nazionale della previdenza sociale e gli enti erogatori effettuano elaborazioni a fini statistici, di
ricerca e di studio in forma anonima; l'Istituto nazionale della previdenza sociale provvede alle elaborazioni
secondo le indicazioni degli organismi di cui all'articolo 5. Ai fini dello svolgimento dei controlli di cui
all'articolo 4, i dati sono conservati dall'Istituto nazionale della previdenza sociale e dagli enti erogatori per il
periodo da essi stabilito (25).
(25) Articolo così sostituito dall'art. 7, D.Lgs. 3 maggio 2000, n. 130.
De Agostini Professionale - LEGGI D'ITALIA (testo vigente)
Aggiornamento alla GU 23/07/2002
294. REGIONI
D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112
Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni
ed agli enti locali, in attuazione del capo I della L. 15 marzo 1997, n. 59
(articoli estratti)
ART.129. Competenze dello Stato.
1. Ai sensi dell'articolo 1 della legge 15 marzo 1997, n. 59, sono conservate allo Stato le seguenti funzioni:
a) la determinazione dei princìpi e degli obiettivi della politica sociale;
b) la determinazione dei criteri generali per la programmazione della rete degli interventi di integrazione
sociale da attuare a livello locale;
c) la determinazione degli standard dei servizi sociali da ritenersi essenziali in funzione di adeguati livelli
delle condizioni di vita;
d) compiti di assistenza tecnica, su richiesta dagli enti locali e territoriali, nonché compiti di raccordo in
materia di informazione e circolazione dei dati concernenti le politiche sociali, ai fini della valutazione e
monitoraggio dell'efficacia della spesa per le politiche sociali;
e) la determinazione dei criteri per la ripartizione delle risorse del Fondo nazionale per le politiche sociali
secondo le modalità di cui all'articolo 59, comma 46, della legge 27 dicembre 1997, n. 449 come modificato
dall'articolo 133, comma 4, del presente decreto legislativo;
f) i rapporti con gli organismi internazionali e il coordinamento dei rapporti con gli organismi dell'Unione
europea operanti nei settori delle politiche sociali e gli adempimenti previsti dagli accordi internazionali e
dalla normativa dell'Unione europea;
g) la fissazione dei requisiti per la determinazione dei profili professionali degli operatori sociali nonché le
disposizioni generali concernenti i requisiti per l'accesso e la durata dei corsi di formazione professionale;
h) gli interventi di prima assistenza in favore dei profughi, limitatamente al periodo necessario alle
operazioni di identificazione ed eventualmente fino alla concessione del permesso di soggiorno, nonché di
ricetto ed assistenza temporanea degli stranieri da respingere o da espellere;
i) la determinazione degli standard organizzativi dei soggetti pubblici e privati e degli altri organismi che
operano nell'ambito delle attività sociali e che concorrono alla realizzazione della rete dei servizi sociali;
l) le attribuzioni in materia di riconoscimento dello status di rifugiato ed il coordinamento degli interventi in
favore degli stranieri richiedenti asilo e dei rifugiati, nonché di quelli di protezione umanitaria per gli
stranieri accolti in base alle disposizioni vigenti;
m) gli interventi in favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata; le misure di protezione
degli appartenenti alle Forze armate e di polizia o a Corpi militarmente organizzati e loro familiari;
n) la revisione delle pensioni, assegni e indennità spettanti agli invalidi civili e la verifica dei requisiti
sanitari che hanno dato luogo a benefìci economici di invalidità civile.
2. Le competenze previste dal comma 1, lettere d) e g) del presente articolo sono esercitate sulla base di
criteri e parametri individuati dalla Conferenza unificata. Le competenze previste dalle lettere b), c) ed i) del
medesimo comma 1 sono esercitate sentita la Conferenza unificata.
ART.130. Trasferimenti di competenze relative agli invalidi civili.
1. A decorrere dal centoventesimo giorno dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, la
funzione di erogazione di pensioni, assegni e indennità spettanti, ai sensi della vigente disciplina, agli
invalidi civili è trasferita ad un apposito fondo di gestione istituito presso l'Istituto nazionale della previdenza
sociale (INPS).
2. Le funzioni di concessione dei nuovi trattamenti economici a favore degli invalidi civili sono trasferite alle
regioni, che, secondo il criterio di integrale copertura, provvedono con risorse proprie alla eventuale
concessione di benefìci aggiuntivi rispetto a quelli determinati con legge dello Stato, per tutto il territorio
nazionale.
3. Fermo restando il principio della separazione tra la fase dell'accertamento sanitario e quella della
concessione dei benefìci economici, di cui all'articolo 11 della legge 24 dicembre 1993, n. 537, nei
procedimenti giurisdizionali ed esecutivi, relativi alla concessione delle prestazioni e dei servizi, attivati a
decorrere dal termine di cui al comma 1 del presente articolo, la legittimazione passiva spetta alle regioni ove
il procedimento abbia ad oggetto le provvidenze concesse dalle regioni stesse ed all'INPS negli altri casi,
anche relativamente a provvedimenti concessori antecedenti al termine di cui al medesimo comma 1.
4. Avverso i provvedimenti di concessione o diniego è ammesso ricorso amministrativo, secondo la
normativa vigente in materia di pensione sociale, ferma restante la tutela giurisdizionale davanti al giudice
ordinario.
ART.131. Conferimenti alle regioni e agli enti locali.
1. Sono conferiti alle regioni e agli enti locali tutte le funzioni e i compiti amministrativi nella materia dei
«servizi sociali», salvo quelli espressamente mantenuti allo Stato dall'articolo 129 e quelli trasferiti all'INPS
ai sensi dell'articolo 130.
2. Nell'ambito delle funzioni conferite sono attribuiti ai comuni, che le esercitano anche attraverso le
comunità montane, i compiti di erogazione dei servizi e delle prestazioni sociali, nonché i compiti di
progettazione e di realizzazione della rete dei servizi sociali, anche con il concorso delle province.
ART.132. Trasferimento alle regioni.
1. Le regioni adottano, ai sensi dell'articolo 4, comma 5, della legge 15 marzo 1997, n. 59 (163), entro sei
mesi dall'emanazione del presente decreto legislativo, la legge di puntuale individuazione delle funzioni
trasferite o delegate ai comuni ed agli enti locali e di quelle mantenute in capo alle regioni stesse. In
particolare la legge regionale conferisce ai comuni ed agli altri enti locali le funzioni ed i compiti
amministrativi concernenti i servizi sociali relativi a:
a) i minori, inclusi i minori a rischio di attività criminose;
b) i giovani;
c) gli anziani;
d) la famiglia;
e) i portatori di handicap, i non vedenti e gli audiolesi;
f) i tossicodipendenti e alcooldipendenti;
g) gli invalidi civili, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 130 del presente decreto legislativo.
2. Sono trasferiti alle regioni, che provvederanno al successivo conferimento alle province, ai comuni ed agli
altri enti locali nell'ambito delle rispettive competenze, le funzioni e i compiti relativi alla promozione ed al
coordinamento operativo dei soggetti e delle strutture che agiscono nell'ambito dei « servizi sociali», con
particolare riguardo a:
a) la cooperazione sociale;
b) le istituzioni di pubblica assistenza e beneficenza (IPAB);
c) il volontariato.
ART.133. Fondo nazionale per le politiche sociali.
1. Il Fondo istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri dall'articolo 59, comma 44, della legge 27
dicembre 1997, n. 449, è denominato «Fondo nazionale per le politiche sociali».
2. Confluiscono nel Fondo nazionale per le politiche sociali le risorse statali destinate ad interventi in materia
di «servizi sociali», secondo la definizione di cui all'articolo 128 del presente decreto legislativo.
3. In particolare, ad integrazione di quanto già previsto dall'articolo 59, comma 46, della legge 27 dicembre
1997, n. 449, sono destinati al Fondo nazionale per le politiche sociali gli stanziamenti previsti per gli
interventi disciplinati dalla legge 23 dicembre 1997, n. 451 e quelli del Fondo nazionale per le politiche
migratorie di cui all'articolo 43 della legge 6 marzo 1998, n. 40.
4. All'articolo 59, comma 46, penultima proposizione, della predetta legge 27 dicembre 1997, n. 449, dopo le
parole «sentiti i Ministri interessati» sono inserite le parole «e la Conferenza unificata di cui al decreto
legislativo 28 agosto 1997, n. 281».
ART.134. Soppressione delle strutture ministeriali.
1. Presso la direzione generale dei servizi civili del Ministero dell'interno è soppresso il servizio assistenza
economica alle categorie protette e sono riordinati, con le modalità di cui all'articolo 7 della legge 15 marzo
1997, n. 59, i servizi interventi di assistenza sociale, affari assistenziali speciali, gestioni contabili.
De Agostini Professionale - LEGGI D'ITALIA (testo vigente)
Aggiornamento alla GU 23/07/2002
319. SICUREZZA PUBBLICA Y) Stranieri, apolidi, rifugiati, cittadini di Stati membri della C.E.E.
(Circolazione e soggiorno di);
minori (rimpatrio)
D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286
Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello
straniero
(articoli estratti)
Articolo 1
Ambito di applicazione.
(Legge 6 marzo 1998, n. 40, art. 1)
1. Il presente testo unico, in attuazione dell'articolo 10, secondo comma, della Costituzione, si applica, salvo
che sia diversamente disposto, ai cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea e agli apolidi, di
seguito indicati come stranieri.
2. Il presente testo unico non si applica ai cittadini degli Stati membri dell'Unione europea, se non in quanto
si tratti di norme più favorevoli, e salvo il disposto dell'articolo 45 della legge 6 marzo 1998, n. 40.
3. Quando altre disposizioni di legge fanno riferimento a istituti concernenti persone di cittadinanza diversa
da quella italiana ovvero ad apolidi, il riferimento deve intendersi agli istituti previsti dal presente testo
unico. Sono fatte salve le disposizioni interne, comunitarie e internazionali più favorevoli comunque vigenti
nel territorio dello Stato.
4. Nelle materie di competenza legislativa delle regioni, le disposizioni del presente testo unico costituiscono
princìpi fondamentali ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione. Per le materie di competenza delle regioni
a statuto speciale e delle province autonome, esse hanno il valore di norme fondamentali di riforma
economico-sociale della Repubblica.
5. Le disposizioni del presente testo unico non si applicano qualora sia diversamente previsto dalle norme
vigenti per lo stato di guerra.
6. Il regolamento di attuazione del presente testo unico, di seguito denominato regolamento di attuazione, è
emanato ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Presidente del
Consiglio dei Ministri, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge 6 marzo 1998, n. 40.
7. Prima dell'emanazione, lo schema di regolamento di cui al comma 6 è trasmesso al Parlamento per
l'acquisizione del parere delle Commissioni competenti per materia, che si esprimono entro trenta giorni.
Decorso tale termine, il regolamento è emanato anche in mancanza del parere.
Articolo 41 Assistenza sociale.
(Legge 6 marzo 1998, n. 40, art. 39)
1. Gli stranieri titolari della carta di soggiorno o di permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un
anno, nonché i minori iscritti nella loro carta di soggiorno o nel loro permesso di soggiorno, sono equiparati
ai cittadini italiani ai fini della fruizione delle provvidenze e delle prestazioni, anche economiche, di
assistenza sociale, incluse quelle previste per coloro che sono affetti da morbo di Hansen o da tubercolosi,
per i sordomuti, per i ciechi civili, per gli invalidi civili e per gli indigenti (31/a).
(31/a) Vedi, anche, l'art. 80, comma 19, L. 23 dicembre 2000, n. 388.
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Aggiornamento alla GU 28/05/2002
200. LAVORO A) Cassa integrazione guadagni, costo del lavoro, e disposizioni generali
L. 8 marzo 2000, n. 53
Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il
coordinamento dei tempi delle città
(articoli estratti)
1. Finalità.
1. La presente legge promuove un equilibrio tra tempi di lavoro, di cura, di formazione e di relazione,
mediante:
a) l'istituzione dei congedi dei genitori e l'estensione del sostegno ai genitori di soggetti portatori di handicap;
b) l'istituzione del congedo per la formazione continua e l'estensione dei congedi per la formazione;
c) il coordinamento dei tempi di funzionamento delle città e la promozione dell'uso del tempo per fini di
solidarietà sociale.
27. Banche dei tempi.
1. Per favorire lo scambio di servizi di vicinato, per facilitare l'utilizzo dei servizi della città e il rapporto con
le pubbliche amministrazioni, per favorire l'estensione della solidarietà nelle comunità locali e per
incentivare le iniziative di singoli e gruppi di cittadini, associazioni, organizzazioni ed enti che intendano
scambiare parte del proprio tempo per impieghi di reciproca solidarietà e interesse, gli enti locali possono
sostenere e promuovere la costituzione di associazioni denominate «banche dei tempi».
2. Gli enti locali, per favorire e sostenere le banche dei tempi, possono disporre a loro favore l'utilizzo di
locali e di servizi e organizzare attività di promozione, formazione e informazione. Possono altresì aderire
alle banche dei tempi e stipulare con esse accordi che prevedano scambi di tempo da destinare a prestazioni
di mutuo aiuto a favore di singoli cittadini o della comunità locale. Tali prestazioni devono essere
compatibili con gli scopi statutari delle banche dei tempi e non devono costituire modalità di esercizio delle
attività istituzionali degli enti locali.
De Agostini Professionale - LEGGI D'ITALIA (testo vigente)
Aggiornamento alla GU 16/07/2002
32. ASSISTENZA E BENEFICENZA PUBBLICA E) Assistenza in favore di particolari categorie
L. 8 novembre 2000, n. 328
Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali
Capo I - Princìpi generali del sistema integrato di interventi e servizi sociali
1. Princìpi generali e finalità.
1. La Repubblica assicura alle persone e alle famiglie un sistema integrato di interventi e servizi sociali,
promuove interventi per garantire la qualità della vita, pari opportunità, non discriminazione e diritti di
cittadinanza, previene, elimina o riduce le condizioni di disabilità, di bisogno e di disagio individuale e
familiare, derivanti da inadeguatezza di reddito, difficoltà sociali e condizioni di non autonomia, in coerenza
con gli articoli 2, 3 e 38 della Costituzione.
2. Ai sensi della presente legge, per «interventi e servizi sociali» si intendono tutte le attività previste
dall'articolo 128 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112.
3. La programmazione e l'organizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali compete agli enti
locali, alle regioni ed allo Stato ai sensi del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, e della presente legge,
secondo i princìpi di sussidiarietà, cooperazione, efficacia, efficienza ed economicità, omogeneità, copertura
finanziaria e patrimoniale, responsabilità ed unicità dell'amministrazione, autonomia organizzativa e
regolamentare degli enti locali.
4. Gli enti locali, le regioni e lo Stato, nell'àmbito delle rispettive competenze, riconoscono e agevolano il
ruolo degli organismi non lucrativi di utilità sociale, degli organismi della cooperazione, delle associazioni e
degli enti di promozione sociale, delle fondazioni e degli enti di patronato, delle organizzazioni di
volontariato, degli enti riconosciuti delle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi
o intese operanti nel settore nella programmazione, nella organizzazione e nella gestione del sistema
integrato di interventi e servizi sociali.
5. Alla gestione ed all'offerta dei servizi provvedono soggetti pubblici nonché, in qualità di soggetti attivi
nella progettazione e nella realizzazione concertata degli interventi, organismi non lucrativi di utilità sociale,
organismi della cooperazione, organizzazioni di volontariato, associazioni ed enti di promozione sociale,
fondazioni, enti di patronato e altri soggetti privati. Il sistema integrato di interventi e servizi sociali ha tra gli
scopi anche la promozione della solidarietà sociale, con la valorizzazione delle iniziative delle persone, dei
nuclei familiari, delle forme di auto-aiuto e di reciprocità e della solidarietà organizzata.
6. La presente legge promuove la partecipazione attiva dei cittadini, il contributo delle organizzazioni
sindacali, delle associazioni sociali e di tutela degli utenti per il raggiungimento dei fini istituzionali di cui al
comma 1.
7. Le disposizioni della presente legge costituiscono princìpi fondamentali ai sensi dell'articolo 117 della
Costituzione. Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano provvedono,
nell'àmbito delle competenze loro attribuite, ad adeguare i propri ordinamenti alle disposizioni contenute
nella presente legge, secondo quanto previsto dai rispettivi statuti.
2. Diritto alle prestazioni.
1. Hanno diritto di usufruire delle prestazioni e dei servizi del sistema integrato di interventi e servizi sociali i
cittadini italiani e, nel rispetto degli accordi internazionali, con le modalità e nei limiti definiti dalle leggi
regionali, anche i cittadini di Stati appartenenti all'Unione europea ed i loro familiari, nonché gli stranieri,
individuati ai sensi dell'articolo 41 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286. Ai
profughi, agli stranieri ed agli apolidi sono garantite le misure di prima assistenza, di cui all'articolo 129,
comma 1, lettera h), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112.
2. Il sistema integrato di interventi e servizi sociali ha carattere di universalità. I soggetti di cui all'articolo 1,
comma 3, sono tenuti a realizzare il sistema di cui alla presente legge che garantisce i livelli essenziali di
prestazioni, ai sensi dell'articolo 22, e a consentire l'esercizio del diritto soggettivo a beneficiare delle
prestazioni economiche di cui all'articolo 24 della presente legge, nonché delle pensioni sociali di cui
all'articolo 26 della legge 30 aprile 1969, n. 153, e successive modificazioni, e degli assegni erogati ai sensi
dell'articolo 3, comma 6, della legge 8 agosto 1995, n. 335.
3. I soggetti in condizioni di povertà o con limitato reddito o con incapacità totale o parziale di provvedere
alle proprie esigenze per inabilità di ordine fisico e psichico, con difficoltà di inserimento nella vita sociale
attiva e nel mercato del lavoro, nonché i soggetti sottoposti a provvedimenti dell'autorità giudiziaria che
rendono necessari interventi assistenziali, accedono prioritariamente ai servizi e alle prestazioni erogati dal
sistema integrato di interventi e servizi sociali.
4. I parametri per la valutazione delle condizioni di cui al comma 3 sono definiti dai comuni, sulla base dei
criteri generali stabiliti dal Piano nazionale di cui all'articolo 18.
5. Gli erogatori dei servizi e delle prestazioni sono tenuti, ai sensi dell'articolo 8, comma 3, della legge 7
agosto 1990, n. 241, ad informare i destinatari degli stessi sulle diverse prestazioni di cui possono usufruire,
sui requisiti per l'accesso e sulle modalità di erogazione per effettuare le scelte più appropriate.
3. Princìpi per la programmazione degli interventi e delle risorse del sistema integrato di interventi e servizi
sociali.
1. Per la realizzazione degli interventi e dei servizi sociali, in forma unitaria ed integrata, è adottato il metodo
della programmazione degli interventi e delle risorse, dell'operatività per progetti, della verifica sistematica
dei risultati in termini di qualità e di efficacia delle prestazioni, nonché della valutazione di impatto di
genere.
2. I soggetti di cui all'articolo 1, comma 3, provvedono, nell'àmbito delle rispettive competenze, alla
programmazione degli interventi e delle risorse del sistema integrato di interventi e servizi sociali secondo i
seguenti princìpi:
a) coordinamento ed integrazione con gli interventi sanitari e dell'istruzione nonché con le politiche attive di
formazione, di avviamento e di reinserimento al lavoro;
b) concertazione e cooperazione tra i diversi livelli istituzionali, tra questi ed i soggetti di cui all'articolo 1,
comma 4, che partecipano con proprie risorse alla realizzazione della rete, le organizzazioni sindacali
maggiormente rappresentative a livello nazionale nonché le aziende unità sanitarie locali per le prestazioni
sociosanitarie ad elevata integrazione sanitaria comprese nei livelli essenziali del Servizio sanitario
nazionale.
3. I soggetti di cui all'articolo 1, comma 3, per le finalità della presente legge, possono avvalersi degli accordi
previsti dall'articolo 2, comma 203, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, anche al fine di garantire
un'adeguata partecipazione alle iniziative ed ai finanziamenti dell'Unione europea.
4. I comuni, le regioni e lo Stato promuovono azioni per favorire la pluralità di offerta dei servizi garantendo
il diritto di scelta fra gli stessi servizi e per consentire, in via sperimentale, su richiesta degli interessati,
l'eventuale scelta di servizi sociali in alternativa alle prestazioni economiche, ad esclusione di quelle di cui
all'articolo 24, comma 1, lettera a), numeri 1) e 2), della presente legge, nonché delle pensioni sociali di cui
all'articolo 26 della legge 30 aprile 1969, n. 153, e successive modificazioni, e degli assegni erogati ai sensi
dell'articolo 3, comma 6, della legge 8 agosto 1995, n.
335.
4. Sistema di finanziamento delle politiche sociali.
1. La realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali si avvale di un finanziamento plurimo
a cui concorrono, secondo competenze differenziate e con dotazioni finanziarie afferenti ai rispettivi bilanci,
i soggetti di cui all'articolo 1, comma 3.
2. Sono a carico dei comuni, singoli e associati, le spese di attivazione degli interventi e dei servizi sociali a
favore della persona e della comunità, fatto salvo quanto previsto ai commi 3 e 5.
3. Le regioni, secondo le competenze trasferite ai sensi dell'articolo 132 del decreto legislativo 31 marzo
1998, n. 112, nonché in attuazione della presente legge, provvedono alla ripartizione dei finanziamenti
assegnati dallo Stato per obiettivi ed interventi di settore, nonché, in forma sussidiaria, a cofinanziare
interventi e servizi sociali derivanti dai provvedimenti regionali di trasferimento agli enti locali delle materie
individuate dal citato articolo 132.
4. Le spese da sostenere da parte dei comuni e delle regioni sono a carico, sulla base dei piani di cui agli
articoli 18 e 19, delle risorse loro assegnate del Fondo nazionale per le politiche sociali di cui all'articolo 59,
comma 44, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni, nonché degli autonomi
stanziamenti a carico dei propri bilanci.
5. Ai sensi dell'articolo 129 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, competono allo Stato la
definizione e la ripartizione del Fondo nazionale per le politiche sociali, la spesa per pensioni, assegni e
indennità considerati a carico del comparto assistenziale quali le indennità spettanti agli invalidi civili,
l'assegno sociale di cui all'articolo 3, comma 6, della legge 8 agosto 1995, n. 335, il reddito minimo di
inserimento di cui all'articolo 59, comma 47, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, nonché eventuali progetti
di settore individuati ai sensi del Piano nazionale di cui all'articolo 18 della presente legge.
5. Ruolo del terzo settore.
1. Per favorire l'attuazione del principio di sussidiarietà, gli enti locali, le regioni e lo Stato, nell'àmbito delle
risorse disponibili in base ai piani di cui agli articoli 18 e 19, promuovono azioni per il sostegno e la
qualificazione dei soggetti operanti nel terzo settore anche attraverso politiche formative ed interventi per
l'accesso agevolato al credito ed ai fondi dell'Unione europea.
2. Ai fini dell'affidamento dei servizi previsti dalla presente legge, gli enti pubblici, fermo restando quanto
stabilito dall'articolo 11, promuovono azioni per favorire la trasparenza e la semplificazione amministrativa
nonché il ricorso a forme di aggiudicazione o negoziali che consentano ai soggetti operanti nel terzo settore
la piena espressione della propria progettualità, avvalendosi di analisi e di verifiche che tengano conto della
qualità e delle caratteristiche delle prestazioni offerte e della qualificazione del personale.
3. Le regioni, secondo quanto previsto dall'articolo 3, comma 4, e sulla base di un atto di indirizzo e
coordinamento del Governo, ai sensi dell'articolo 8 della legge 15 marzo 1997, n. 59, da emanare entro
centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, con le modalità previste dall'articolo 8,
comma 2, della presente legge, adottano specifici indirizzi per regolamentare i rapporti tra enti locali e terzo
settore, con particolare riferimento ai sistemi di affidamento dei servizi alla persona.
4. Le regioni disciplinano altresì, sulla base dei princìpi della presente legge e degli indirizzi assunti con le
modalità previste al comma 3, le modalità per valorizzare l'apporto del volontariato nell'erogazione dei
servizi.
Capo II - Assetto istituzionale e organizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali
6. Funzioni dei comuni.
1. I comuni sono titolari delle funzioni amministrative concernenti gli interventi sociali svolti a livello locale
e concorrono alla programmazione regionale. Tali funzioni sono esercitate dai comuni adottando sul piano
territoriale gli assetti più funzionali alla gestione, alla spesa ed al rapporto con i cittadini, secondo le modalità
stabilite dalla legge 8 giugno 1990, n. 142, come da ultimo modificata dalla legge 3 agosto 1999, n. 265.
2. Ai comuni, oltre ai compiti già trasferiti a norma del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio
1977, n. 616, ed alle funzioni attribuite ai sensi dell'articolo 132, comma 1, del decreto legislativo 31 marzo
1998, n. 1 12, spetta, nell'àmbito delle risorse disponibili in base ai piani di cui agli articoli 18 e 19 e secondo
la disciplina adottata dalle regioni, l'esercizio delle seguenti attività:
a) programmazione, progettazione, realizzazione del sistema locale dei servizi sociali a rete, indicazione
delle priorità e dei settori di innovazione attraverso la concertazione delle risorse umane e finanziarie locali,
con il coinvolgimento dei soggetti di cui all'articolo 1, comma 5;
b) erogazione dei servizi, delle prestazioni economiche diverse da quelle disciplinate dall'articolo 22, e dei
titoli di cui all'articolo 17, nonché delle attività assistenziali già di competenza delle province, con le
modalità stabilite dalla legge regionale di cui all'articolo 8, comma 5;
c) autorizzazione, accreditamento e vigilanza dei servizi sociali e delle strutture a ciclo residenziale e
semiresidenziale a gestione pubblica o dei soggetti di cui all'articolo 1, comma 5, secondo quanto stabilito ai
sensi degli articoli 8, comma 3, lettera f), e 9, comma 1, lettera c);
d) partecipazione al procedimento per l'individuazione degli ambiti territoriali, di cui all'articolo 8, comma 3,
lettera a);
e) definizione dei parametri di valutazione delle condizioni di cui all'articolo 2, comma 3, ai fini della
determinazione dell'accesso prioritario alle prestazioni e ai servizi.
3. Nell'esercizio delle funzioni di cui ai commi 1 e 2 i comuni provvedono a:
a) promuovere, nell'àmbito del sistema locale dei servizi sociali a rete, risorse delle collettività locali tramite
forme innovative di collaborazione per lo sviluppo di interventi di auto-aiuto e per favorire la reciprocità tra
cittadini nell'àmbito della vita comunitaria;
b) coordinare programmi e attività degli enti che operano nell'àmbito di competenza, secondo le modalità
fissate dalla regione, tramite collegamenti operativi tra i servizi che realizzano attività volte all'integrazione
sociale ed intese con le aziende unità sanitarie locali per le attività sociosanitarie e per i piani di zona;
c) adottare strumenti per la semplificazione amministrativa e per il controllo di gestione atti a valutare
l'efficienza, l'efficacia ed i risultati delle prestazioni, in base alla programmazione di cui al comma 2, lettera
a);
d) effettuare forme di consultazione dei soggetti di cui all'articolo 1, commi 5 e 6, per valutare la qualità e
l'efficacia dei servizi e formulare proposte ai fini della predisposizione dei programmi;
e) garantire ai cittadini i diritti di partecipazione al controllo di qualità dei servizi, secondo le modalità
previste dagli statuti comunali.
4. Per i soggetti per i quali si renda necessario il ricovero stabile presso strutture residenziali, il comune nel
quale essi hanno la residenza prima del ricovero, previamente informato, assume gli obblighi connessi
all'eventuale integrazione economica.
7. Funzioni delle province.
1. Le province concorrono alla programmazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali per i
compiti previsti dall'articolo 15 della legge 8 giugno 1990, n. 142, nonché dall'articolo 132 del decreto
legislativo 31 marzo 1998, n. 112, secondo le modalità definite dalle regioni che disciplinano il ruolo delle
province in ordine:
a) alla raccolta delle conoscenze e dei dati sui bisogni e sulle risorse rese disponibili dai comuni e da altri
soggetti istituzionali presenti in àmbito provinciale per concorrere all'attuazione del sistema informativo dei
servizi sociali;
b) all'analisi dell'offerta assistenziale per promuovere approfondimenti mirati sui fenomeni sociali più
rilevanti in àmbito provinciale fornendo, su richiesta dei comuni e degli enti locali interessati, il supporto
necessario per il coordinamento degli interventi territoriali;
c) alla promozione, d'intesa con i comuni, di iniziative di formazione, con particolare riguardo alla
formazione professionale di base e all'aggiornamento;
d) alla partecipazione alla definizione e all'attuazione dei piani di zona.
8. Funzioni delle regioni.
1. Le regioni esercitano le funzioni di programmazione, coordinamento e indirizzo degli interventi sociali
nonché di verifica della rispettiva attuazione a livello territoriale e disciplinano l'integrazione degli interventi
stessi, con particolare riferimento all'attività sanitaria e socio-sanitaria ad elevata integrazione sanitaria di cui
all'articolo 2, comma 1, lettera n), della legge 30 novembre 1998, n. 419.
2. Allo scopo di garantire il costante adeguamento alle esigenze delle comunità locali, le regioni
programmano gli interventi sociali secondo le indicazioni di cui all'articolo 3, commi 2 e 5, del decreto
legislativo 31 marzo 1998, n. 112, promuovendo, nell'àmbito delle rispettive competenze, modalità di
collaborazione e azioni coordinate con gli enti locali, adottando strumenti e procedure di raccordo e di
concertazione, anche permanenti, per dare luogo a forme di cooperazione. Le regioni provvedono altresì alla
consultazione dei soggetti di cui agli articoli 1, commi 5 e 6, e 10 della presente legge.
3. Alle regioni, nel rispetto di quanto previsto dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, spetta in
particolare l'esercizio delle seguenti funzioni:
a) determinazione, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, tramite le
forme di concertazione con gli enti locali interessati, degli ambiti territoriali, delle modalità e degli strumenti
per la gestione unitaria del sistema locale dei servizi sociali a rete. Nella determinazione degli ambiti
territoriali, le regioni prevedono incentivi a favore dell'esercizio associato delle funzioni sociali in ambiti
territoriali di norma coincidenti con i distretti sanitari già operanti per le prestazioni sanitarie, destinando allo
scopo una quota delle complessive risorse regionali destinate agli interventi previsti dalla presente legge;
b) definizione di politiche integrate in materia di interventi sociali, ambiente, sanità, istituzioni scolastiche,
avviamento al lavoro e reinserimento nelle attività lavorative, servizi del tempo libero, trasporti e
comunicazioni;
c) promozione e coordinamento delle azioni di assistenza tecnica per la istituzione e la gestione degli
interventi sociali da parte degli enti locali;
d) promozione della sperimentazione di modelli innovativi di servizi in grado di coordinare le risorse umane
e finanziarie presenti a livello locale e di collegarsi altresì alle esperienze effettuate a livello europeo;
e) promozione di metodi e strumenti per il controllo di gestione atti a valutare l'efficacia e l'efficienza dei
servizi ed i risultati delle azioni previste;
f) definizione, sulla base dei requisiti minimi fissati dallo Stato, dei criteri per l'autorizzazione,
l'accreditamento e la vigilanza delle strutture e dei servizi a gestione pubblica o dei soggetti di cui all'articolo
1, comma 4 e 5;
g) istituzione, secondo le modalità definite con legge regionale, sulla base di indicatori oggettivi di qualità, di
registri dei soggetti autorizzati all'esercizio delle attività disciplinate dalla presente legge;
h) definizione dei requisiti di qualità per la gestione dei servizi e per la erogazione delle prestazioni;
i) definizione dei criteri per la concessione dei titoli di cui all'articolo 17 da parte dei comuni, secondo i
criteri generali adottati in sede nazionale;
l) definizione dei criteri per la determinazione del concorso da parte degli utenti al costo delle prestazioni,
sulla base dei criteri determinati ai sensi dell'articolo 18, comma 3, lettera g);
m) predisposizione e finanziamento dei piani per la formazione e l'aggiornamento del personale addetto alle
attività sociali;
n) determinazione dei criteri per la definizione delle tariffe che i comuni sono tenuti a corrispondere ai
soggetti accreditati;
o) esercizio dei poteri sostitutivi, secondo le modalità indicate dalla legge regionale di cui all'articolo 3 del
decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, nei confronti degli enti locali inadempienti rispetto a quanto
stabilito dagli articoli 6, comma 2, lettere a), b) e c), e 19.
4. Fermi restando i princìpi di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, le regioni disciplinano le procedure
amministrative, le modalità per la presentazione dei reclami da parte degli utenti delle prestazioni sociali e
l'eventuale istituzione di uffici di tutela degli utenti stessi che assicurino adeguate forme di indipendenza nei
confronti degli enti erogatori.
5. La legge regionale di cui all'articolo 132 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, disciplina il
trasferimento ai comuni o agli enti locali delle funzioni indicate dal regio decreto-legge 8 maggio 1927, n.
798, convertito dalla legge 6 dicembre 1928, n. 2838, e dal decreto-legge 18 gennaio 1993, n. 9, convertito,
con modificazioni, dalla legge 18 marzo 1993, n. 67. Con la medesima legge, le regioni disciplinano, con le
modalità stabilite dall'articolo 3 del citato decreto legislativo n. 112 del 1998, il trasferimento ai comuni e
agli enti locali delle risorse umane, finanziarie e patrimoniali per assicurare la copertura degli oneri derivanti
dall'esercizio delle funzioni sociali trasferite utilizzate alla data di entrata in vigore della presente legge per
l'esercizio delle funzioni stesse.
9. Funzioni dello Stato.
1. Allo Stato spetta l'esercizio delle funzioni di cui all'articolo 129 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n.
112, nonché dei poteri di indirizzo e coordinamento e di regolazione delle politiche sociali per i seguenti
aspetti:
a) determinazione dei princìpi e degli obiettivi della politica sociale attraverso il Piano nazionale degli
interventi e dei servizi sociali di cui all'articolo 18;
b) individuazione dei livelli essenziali ed uniformi delle prestazioni, comprese le funzioni in materia
assistenziale, svolte per minori ed adulti dal Ministero della giustizia, all'interno del settore penale;
c) fissazione dei requisiti minimi strutturali e organizzativi per l'autorizzazione all'esercizio dei servizi e delle
strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale; previsione di requisiti specifici per le comunità di tipo
familiare con sede nelle civili abitazioni;
d) determinazione dei requisiti e dei profili professionali in materia di professioni sociali, nonché dei
requisiti di accesso e di durata dei percorsi formativi;
e) esercizio dei poteri sostitutivi in caso di riscontrata inadempienza delle regioni, ai sensi dell'articolo 8
della legge 15 marzo 1997, n. 59, e dell'articolo 5 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112;
f) ripartizione delle risorse del Fondo nazionale per le politiche sociali secondo i criteri stabiliti dall'articolo
20, comma 7.
2. Le competenze statali di cui al comma 1, lettere b) e c), del presente articolo sono esercitate sentita la
Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281; le restanti
competenze sono esercitate secondo i criteri stabiliti dall'articolo 129, comma 2, del decreto legislativo 31
marzo 1998, n. 112.
10. Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza.
1. Il Governo è delegato ad emanare, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente
legge, un decreto legislativo recante una nuova disciplina delle istituzioni pubbliche di assistenza e
beneficenza (IPAB) di cui alla legge 17 luglio 1890, n. 6972, e successive modificazioni, sulla base dei
seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) definire l'inserimento delle IPAB che operano in campo socio-assistenziale nella programmazione
regionale del sistema integrato di interventi e servizi sociali di cui all'articolo 22, prevedendo anche modalità
per la partecipazione alla programmazione, secondo quanto previsto dall'articolo 3, comma 2, lettera b);
b) prevedere, nell'àmbito del riordino della disciplina, la trasformazione della forma giuridica delle
IPAB al fine di garantire l'obiettivo di un'efficace ed efficiente gestione, assicurando autonomia statutaria,
patrimoniale, contabile, gestionale e tecnica compatibile con il mantenimento della personalità giuridica
pubblica;
c) prevedere l'applicazione ai soggetti di cui alla lettera b):
1) di un regime giuridico del personale di tipo privatistico e di forme contrattuali coerenti con la loro
autonomia;
2) di forme di controllo relative all'approvazione degli statuti, dei bilanci annuali e pluriennali, delle spese di
gestione del patrimonio in materia di investimenti, delle alienazioni, cessioni e permute, nonché di forme di
verifica dei risultati di gestione, coerenti con la loro autonomia;
d) prevedere la possibilità della trasformazione delle IPAB in associazioni o in fondazioni di diritto privato
fermo restando il rispetto dei vincoli posti dalle tavole di fondazione e dagli statuti, tenuto conto della
normativa vigente che regolamenta la trasformazione dei fini e la privatizzazione delle IPAB, nei casi di
particolari condizioni statutarie e patrimoniali;
e) prevedere che le IPAB che svolgono esclusivamente attività di amministrazione del proprio patrimonio
adeguino gli statuti, entro due anni dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo, nel rispetto delle
tavole di fondazione, a princìpi di efficienza, efficacia e trasparenza ai fini del potenziamento dei servizi;
prevedere che negli statuti siano inseriti appositi strumenti di verifica della attività di amministrazione dei
patrimoni;
f) prevedere linee di indirizzo e criteri che incentivino l'accorpamento e la fusione delle IPAB ai fini della
loro riorganizzazione secondo gli indirizzi di cui alle lettere b) e c);
g) prevedere la possibilità di separare la gestione dei servizi da quella dei patrimoni garantendo comunque la
finalizzazione degli stessi allo sviluppo e al potenziamento del sistema integrato di interventi e servizi
sociali;
h) prevedere la possibilità di scioglimento delle IPAB nei casi in cui, a seguito di verifica da parte delle
regioni o degli enti locali, risultino essere inattive nel campo sociale da almeno due anni ovvero risultino
esaurite le finalità previste nelle tavole di fondazione o negli statuti; salvaguardare, nel caso di scioglimento
delle IPAB, l'effettiva destinazione dei patrimoni alle stesse appartenenti, nel rispetto degli interessi originari
e delle tavole di fondazione o, in mancanza di disposizioni specifiche nelle stesse, a favore, prioritariamente,
di altre IPAB del territorio o dei comuni territorialmente competenti, allo scopo di promuovere e potenziare
il sistema integrato di interventi e servizi sociali;
i) esclusione di nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
2. Sullo schema di decreto legislativo di cui al comma 1 sono acquisiti i pareri della Conferenza unificata di
cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e delle rappresentanze delle
IPAB. Lo schema di decreto legislativo è successivamente trasmesso alle Camere per l'espressione del parere
da parte delle competenti Commissioni parlamentari, che si pronunciano entro trenta giorni dalla data di
assegnazione.
3. Le regioni adeguano la propria disciplina ai princìpi del decreto legislativo di cui al comma l entro
centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del medesimo decreto legislativo.
11. Autorizzazione e accreditamento.
1. I servizi e le strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale a gestione pubblica o dei soggetti di cui
all'articolo 1, comma 5, sono autorizzati dai comuni. L'autorizzazione è rilasciata in conformità ai requisiti
stabiliti dalla legge regionale, che recepisce e integra, in relazione alle esigenze locali, i requisiti minimi
nazionali determinati ai sensi dell'articolo 9, comma 1, lettera c), con decreto del Ministro per la solidarietà
sociale, sentiti i Ministri interessati e la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28
agosto 1997, n. 281.
2. I requisiti minimi nazionali trovano immediata applicazione per servizi e strutture di nuova istituzione; per
i servizi e le strutture operanti alla data di entrata in vigore della presente legge, i comuni provvedono a
concedere autorizzazioni provvisorie, prevedendo l'adeguamento ai requisiti regionali e nazionali nel termine
stabilito da ciascuna regione e in ogni caso non oltre il termine di cinque anni.
3. I comuni provvedono all'accreditamento, ai sensi dell'articolo 6, comma 2, lettera c), e corrispondono ai
soggetti accreditati tariffe per le prestazioni erogate nell'àmbito della programmazione regionale e locale
sulla base delle determinazioni di cui all'articolo 8, comma 3, lettera n).
4. Le regioni, nell'àmbito degli indirizzi definiti dal Piano nazionale ai sensi dell'articolo 18, comma 3, lettera
e), disciplinano le modalità per il rilascio da parte dei comuni ai soggetti di cui all'articolo 1, comma 5, delle
autorizzazioni alla erogazione di servizi sperimentali e innovativi, per un periodo massimo di tre anni, in
deroga ai requisiti di cui al comma 1. Le regioni, con il medesimo provvedimento di cui al comma 1,
definiscono gli strumenti per la verifica dei risultati.
12. Figure professionali sociali.
1. Con decreto del Ministro per la solidarietà sociale, da emanare entro centottanta giorni dalla data di entrata
in vigore della presente legge, di concerto con i Ministri della sanità, del lavoro e della previdenza sociale,
della pubblica istruzione e dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica, sulla base dei criteri e dei
parametri individuati dalla Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n.
281, ai sensi dell'articolo 129, comma 2, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, sono definiti i profili
professionali delle figure professionali sociali.
2. Con regolamento del Ministro per la solidarietà sociale, da emanare di concerto con i Ministri della sanità
e dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica e d'intesa con la Conferenza unificata di cui
all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sono definiti:
a) le figure professionali di cui al comma 1 da formare con i corsi di laurea di cui all'articolo 6 del
regolamento recante norme concernenti l'autonomia didattica degli atenei, adottato con decreto del Ministro
dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica 3 novembre 1999, n. 509;
b) le figure professionali di cui al comma 1 da formare in corsi di formazione organizzati dalle regioni,
nonché i criteri generali riguardanti i requisiti per l'accesso, la durata e l'ordinamento didattico dei medesimi
corsi di formazione;
c) i criteri per il riconoscimento e la equiparazione dei profili professionali esistenti alla data di entrata in
vigore della presente legge.
3. Gli ordinamenti didattici dei corsi di laurea di cui al comma 2, lettera a), sono definiti dall'università ai
sensi dell'articolo 11 del citato regolamento adottato con decreto 3 novembre 1999, n. 509, del Ministro
dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica.
4. Restano ferme le disposizioni di cui all'articolo 3-octies del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n.
502, introdotto dall'articolo 3 del decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229, relative ai profili professionali
dell'area socio-sanitaria ad elevata integrazione socio-sanitaria.
5. Ai sensi del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni, con decreto dei Ministri
per la solidarietà sociale, del tesoro, del bilancio e della programmazione economica e per la funzione
pubblica, da emanare entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono
individuate, per le figure professionali sociali, le modalità di accesso alla dirigenza, senza nuovi o maggiori
oneri a carico della finanza pubblica.
6. Le risorse economiche per finanziare le iniziative di cui al comma 2 sono reperite dalle amministrazioni
responsabili delle attività formative negli stanziamenti previsti per i programmi di formazione, avvalendosi
anche del concorso del Fondo sociale europeo e senza oneri aggiuntivi a carico dello Stato.
13. Carta dei servizi sociali.
1. Al fine di tutelare le posizioni soggettive degli utenti, entro centottanta giorni dalla data di entrata in
vigore della presente legge, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro
per la solidarietà sociale, d'intesa con i Ministri interessati, è adottato lo schema generale di riferimento della
carta dei servizi sociali. Entro sei mesi dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del citato decreto del
Presidente del Consiglio dei ministri, ciascun ente erogatore di servizi adotta una carta dei servizi sociali ed è
tenuto a darne adeguata pubblicità agli utenti.
2. Nella carta dei servizi sociali sono definiti i criteri per l'accesso ai servizi, le modalità del relativo
funzionamento, le condizioni per facilitarne le valutazioni da parte degli utenti e dei soggetti che
rappresentano i loro diritti, nonché le procedure per assicurare la tutela degli utenti. A1 fine di tutelare le
posizioni soggettive e di rendere immediatamente esigibili i diritti soggettivi riconosciuti, la carta dei servizi
sociali, ferma restando la tutela per via giurisdizionale, prevede per gli utenti la possibilità di attivare ricorsi
nei confronti dei responsabili preposti alla gestione dei servizi.
3. L'adozione della carta dei servizi sociali da parte degli erogatori delle prestazioni e dei servizi sociali
costituisce requisito necessario ai fini dell'accreditamento.
Capo III - Disposizioni per la realizzazione di particolari interventi di integrazione e sostegno sociale
14. Progetti individuali per le persone disabili.
1. Per realizzare la piena integrazione delle persone disabili di cui all'articolo 3 della legge 5 febbraio 1992,
n. 104, nell'àmbito della vita familiare e sociale, nonché nei percorsi dell'istruzione scolastica o professionale
e del lavoro, i comuni, d'intesa con le aziende unità sanitarie locali, predispongono, su richiesta
dell'interessato, un progetto individuale, secondo quanto stabilito al comma 2.
2. Nell'àmbito delle risorse disponibili in base ai piani di cui agli articoli 18 e 19, il progetto individuale
comprende, oltre alla valutazione diagnostico-funzionale, le prestazioni di cura e di riabilitazione a carico del
Servizio sanitario nazionale, i servizi alla persona a cui provvede il comune in forma diretta o accreditata,
con particolare riferimento al recupero e al1'integrazione sociale, nonché le misure economiche necessarie
per il superamento di condizioni di povertà, emarginazione ed esclusione sociale. Nel progetto individuale
sono definiti le potenzialità e gli eventuali sostegni per il nucleo familiare.
3. Con decreto del Ministro della sanità, di concerto con il Ministro per la solidarietà sociale, da emanare
entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono definite, nel rispetto dei princìpi
di tutela della riservatezza previsti dalla normativa vigente, le modalità per indicare nella tessera sanitaria, su
richiesta dell'interessato, i dati relativi alle condizioni di non autosufficienza o di dipendenza per facilitare la
persona disabile nell'accesso ai servizi ed alle prestazioni sociali.
15. Sostegno domiciliare per le persone anziane non autosufficienti.
1. Ferme restando le competenze del Servizio sanitario nazionale in materia di prevenzione, cura e
riabilitazione, per le patologie acute e croniche, particolarmente per i soggetti non autosufficienti, nell'àmbito
del Fondo nazionale per le politiche sociali il Ministro per la solidarietà sociale, con proprio decreto,
emanato di concerto con i Ministri della sanità e per le pari opportunità, sentita la Conferenza unificata di cui
all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, determina annualmente la quota da riservare ai
servizi a favore delle persone anziane non autosufficienti, per favorirne l'autonomia e sostenere il nucleo
familiare nell'assistenza domiciliare alle persone anziane che ne fanno richiesta.
2. Il Ministro per la solidarietà sociale, con il medesimo decreto di cui al comma 1, stabilisce annualmente le
modalità di ripartizione dei finanziamenti in base a criteri ponderati per quantità di popolazione, classi di età
e incidenza degli anziani, valutando altresì la posizione delle regioni e delle province autonome in rapporto
ad indicatori nazionali di non autosufficienza e di reddito. In sede di prima applicazione della presente legge,
il decreto di cui al comma 1 è emanato entro novanta giorni dalla data della sua entrata in vigore.
3. Una quota dei finanziamenti di cui al comma 1 è riservata ad investimenti e progetti integrati tra assistenza
e sanità, realizzati in rete con azioni e programmi coordinati tra soggetti pubblici e privati, volti a sostenere e
a favorire l'autonomia delle persone anziane e la loro permanenza nell'ambiente familiare secondo gli
indirizzi indicati dalla presente legge. In sede di prima applicazione della presente legge le risorse
individuate ai sensi del comma 1 sono finalizzate al potenziamento delle attività di assistenza domiciliare
integrata.
4. Entro il 30 giugno di ogni anno le regioni destinatarie dei finanziamenti di cui al comma 1 trasmettono una
relazione al Ministro per la solidarietà sociale e al Ministro della sanità in cui espongono lo stato di
attuazione degli interventi e gli obiettivi conseguiti nelle attività svolte ai sensi del presente articolo,
formulando anche eventuali proposte per interventi innovativi. Qualora una o più regioni non provvedano
all'impegno contabile delle quote di competenza entro i tempi indicati nel riparto di cui al comma 2, il
Ministro per la solidarietà sociale, di concerto con il Ministro della sanità, sentita la Conferenza unificata di
cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n 281, provvede alla rideterminazione e
riassegnazione dei finanziamenti alle regioni.
16. Valorizzazione e sostegno delle responsabilità familiari.
1. Il sistema integrato di interventi e servizi sociali riconosce e sostiene il ruolo peculiare delle famiglie nella
formazione e nella cura della persona, nella promozione del benessere e nel perseguimento della coesione
sociale; sostiene e valorizza i molteplici compiti che le famiglie svolgono sia nei momenti critici e di disagio,
sia nello sviluppo della vita quotidiana; sostiene la cooperazione, il mutuo aiuto e l'associazionismo delle
famiglie; valorizza il ruolo attivo delle famiglie nella formazione di proposte e di progetti per l'offerta dei
servizi e nella valutazione dei medesimi. Al fine di migliorare la qualità e l'efficienza degli interventi, gli
operatori coinvolgono e responsabilizzano le persone e le famiglie nell'àmbito dell'organizzazione dei
servizi.
2. I livelli essenziali delle prestazioni sociali erogabili nel territorio nazionale, di cui all'articolo 22, e i
progetti obiettivo, di cui all'articolo 18, comma 3, lettera b), tengono conto dell'esigenza di favorire le
relazioni, la corresponsabilità e la solidarietà fra generazioni, di sostenere le responsabilità genitoriali, di
promuovere le pari opportunità e la condivisione di responsabilità tra donne e uomini, di riconoscere
l'autonomia di ciascun componente della famiglia.
3. Nell'àmbito del sistema integrato di interventi e servizi sociali hanno priorità:
a) l'erogazione di assegni di cura e altri interventi a sostegno della maternità e della paternità responsabile,
ulteriori rispetto agli assegni e agli interventi di cui agli articoli 65 e 66 della legge 23 dicembre 1998, n. 448,
alla legge 6 dicembre 1971, n. 1044, e alla legge 28 agosto 1997, n. 285, da realizzare in collaborazione con i
servizi sanitari e con i servizi socio-educativi della prima infanzia;
b) politiche di conciliazione tra il tempo di lavoro e il tempo di cura, promosse anche dagli enti locali ai sensi
della legislazione vigente;
c) servizi formativi ed informativi di sostegno alla genitorialità, anche attraverso la promozione del mutuo
aiuto tra le famiglie;
d) prestazioni di aiuto e sostegno domiciliare, anche con benefìci di carattere economico, in particolare per le
famiglie che assumono compiti di accoglienza, di cura di disabili fisici, psichici e sensoriali e di altre persone
in difficoltà, di minori in affidamento, di anziani;
e) servizi di sollievo, per affiancare nella responsabilità del lavoro di cura la famiglia, ed in particolare i
componenti più impegnati nell'accudimento quotidiano delle persone bisognose di cure particolari ovvero per
sostituirli nelle stesse responsabilità di cura durante l'orario di lavoro;
f) servizi per l'affido familiare, per sostenere, con qualificati interventi e percorsi formativi, i compiti
educativi delle famiglie interessate.
4. Per sostenere le responsabilità individuali e familiari e agevolare l'autonomia finanziaria di nuclei
monoparentali, di coppie giovani con figli, di gestanti in difficoltà, di famiglie che hanno a carico soggetti
non autosufficienti con problemi di grave e temporanea difficoltà economica, di famiglie di recente
immigrazione che presentino gravi difficoltà di inserimento sociale, nell'àmbito delle risorse disponibili in
base ai piani di cui agli articoli 18 e 19, i comuni, in alternativa a contributi assistenziali in denaro, possono
concedere prestiti sull'onore, consistenti in finanziamenti a tasso zero secondo piani di restituzione
concordati con il destinatario del prestito. L'onere dell'interesse sui prestiti è a carico del comune; all'interno
del Fondo nazionale per le politiche sociali è riservata una quota per il concorso alla spesa destinata a
promuovere il prestito sull'onore in sede locale.
5. I comuni possono prevedere agevolazioni fiscali e tariffarie rivolte alle famiglie con specifiche
responsabilità di cura. I comuni possono, altresì, deliberare ulteriori riduzioni dell'aliquota dell'imposta
comunale sugli immobili (ICI) per la prima casa, nonché tariffe ridotte per l'accesso a più servizi educativi e
sociali.
6. Con la legge finanziaria per il 2001 sono determinate misure fiscali di agevolazione per le spese sostenute
per la tutela e la cura dei componenti del nucleo familiare non autosufficienti o disabili.
Ulteriori risorse possono essere attribuite per la realizzazione di tali finalità in presenza di modifiche
normative comportanti corrispondenti riduzioni nette permanenti del livello della spesa di carattere corrente.
17. Titoli per l'acquisto di servizi sociali.
1. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 2, commi 2, i comuni possono prevedere la concessione, su
richiesta dell'interessato, di titoli validi per l'acquisto di servizi sociali dai soggetti accreditati del sistema
integrato di interventi e servizi sociali ovvero come sostitutivi delle prestazioni economiche diverse da quelle
correlate al minimo vitale previste dall'articolo 24, comma 1, lettera a), numeri 1) e 2), della presente legge,
nonché dalle pensioni sociali di cui all'articolo 26 della legge 30 aprile 1969, n. 153, e successive
modificazioni, e dagli assegni erogati ai sensi dell'articolo 3, comma 6, della legge 8 agosto 1995, n. 335.
2. Le regioni, in attuazione di quanto stabilito ai sensi dell'articolo 18, comma 3, lettera i), disciplinano i
criteri e le modalità per la concessione dei titoli di cui al comma 1 nell'àmbito di un percorso assistenziale
attivo per la integrazione o la reintegrazione sociale dei soggetti beneficiari, sulla base degli indirizzi del
Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali.
Capo IV - Strumenti per favorire il riordino del sistema integrato di interventi e servizi sociali
18. Piano nazionale e piani regionali degli interventi e dei servizi sociali.
1. Il Governo predispone ogni tre anni il Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali, di seguito
denominato «Piano nazionale», tenendo conto delle risorse finanziarie individuate ai sensi dell'articolo 4,
nonché delle risorse ordinarie già destinate alla spesa sociale dagli enti locali.
2. Il Piano nazionale è adottato previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per
la solidarietà sociale, sentiti i Ministri interessati. Sullo schema di piano sono acquisiti l'intesa con la
Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, nonché i pareri degli
enti e delle associazioni nazionali di promozione sociale di cui all'articolo 1, comma 1, lettere a) e b), della
legge 19 novembre 1987, n. 476, e successive modificazioni, maggiormente rappresentativi, delle
associazioni di rilievo nazionale che operano nel settore dei servizi sociali, delle organizzazioni sindacali
maggiormente rappresentative a livello nazionale e delle associazioni di tutela degli utenti. Lo schema di
piano è successivamente trasmesso alle Camere per l'espressione del parere da parte delle competenti
Commissioni parlamentari, che si pronunciano entro trenta giorni dalla data di assegnazione.
3. Il Piano nazionale indica:
a) le caratteristiche ed i requisiti delle prestazioni sociali comprese nei livelli essenziali previsti dall'articolo
22;
b) le priorità di intervento attraverso 1'individuazione di progetti obiettivo e di azioni programmate, con
particolare riferimento alla realizzazione di percorsi attivi nei confronti delle persone in condizione di
povertà o di difficoltà psico-fisica;
c) le modalità di attuazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali e le azioni da integrare e
coordinare con le politiche sanitarie, dell'istruzione, della formazione e del lavoro;
d) gli indirizzi per la diffusione dei servizi di informazione al cittadino e alle famiglie;
e) gli indirizzi per le sperimentazioni innovative, comprese quelle indicate dall'articolo 3, comma 4, e per le
azioni di promozione della concertazione delle risorse umane, economiche, finanziarie, pubbliche e private,
per la costruzione di reti integrate di interventi e servizi sociali;
f) gli indicatori ed i parametri per la verifica dei livelli di integrazione sociale effettivamente assicurati in
rapporto a quelli previsti nonché gli indicatori per la verifica del rapporto costi - benefìci degli interventi e
dei servizi sociali;
g) i criteri generali per la disciplina del concorso al costo dei servizi sociali da parte degli utenti, tenuto conto
dei princìpi stabiliti dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109;
h) i criteri generali per la determinazione dei parametri di valutazione delle condizioni di cui all'articolo 2,
comma 3;
i) gli indirizzi ed i criteri generali per la concessione dei prestiti sull'onore di cui all'articolo 16, comma 4, e
dei titoli di cui all'articolo 17;
l) gli indirizzi per la predisposizione di interventi e servizi sociali per le persone anziane non autosufficienti e
per i soggetti disabili, in base a quanto previsto dall'articolo 14;
m) gli indirizzi relativi alla formazione di base e all'aggiornamento del personale;
n) i finanziamenti relativi a ciascun anno di vigenza del Piano nazionale in coerenza con i livelli essenziali
previsti dall'articolo 22, secondo parametri basati sulla struttura demografica, sui livelli di reddito e sulle
condizioni occupazionali della popolazione;
o) gli indirizzi per la predisposizione di programmi integrati per obiettivi di tutela e qualità della vita rivolti
ai minori, ai giovani e agli anziani, per il sostegno alle responsabilità familiari, anche in riferimento
all'obbligo scolastico, per l'inserimento sociale delle persone con disabilità e limitazione dell'autonomia
fisica e psichica, per l'integrazione degli immigrati, nonché per la prevenzione, il recupero e il reinserimento
dei tossicodipendenti e degli alcoldipendenti.
4. Il primo Piano nazionale è adottato entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge.
5. Il Ministro per la solidarietà sociale predispone annualmente una relazione al Parlamento sui risultati
conseguiti rispetto agli obiettivi fissati dal Piano nazionale, con particolare riferimento ai costi e all'efficacia
degli interventi, e fornisce indicazioni per l'ulteriore programmazione. La relazione indica i risultati
conseguiti nelle regioni in attuazione dei piani regionali. La relazione dà conto altresì dei risultati conseguiti
nei servizi sociali con l'utilizzo dei finanziamenti dei fondi europei, tenuto conto dei dati e delle valutazioni
forniti dal Ministro del lavoro e della previdenza sociale.
6. Le regioni, nell'esercizio delle funzioni conferite dagli articoli 131 e 132 del decreto legislativo 31 marzo
1998, n. 112, e dalla presente legge, in relazione alle indicazioni del Piano nazionale di cui al comma 3 del
presente articolo, entro centoventi giorni dall'adozione del Piano stesso adottano nell'àmbito delle risorse
disponibili, ai sensi dell'articolo 4, attraverso forme di intesa con i comuni interessati ai sensi dell'articolo 3
della legge 8 giugno 1990, n. 142, e successive modificazioni, il piano regionale degli interventi e dei servizi
sociali, provvedendo in particolare all'integrazione socio-sanitaria in coerenza con gli obiettivi del piano
sanitario regionale, nonché al coordinamento con le politiche dell'istruzione, della formazione professionale
e del lavoro.
19. Piano di zona.
1. I comuni associati, negli àmbiti territoriali di cui all'articolo 8, comma 3, lettera a), a tutela dei diritti della
popolazione, d'intesa con le aziende unità sanitarie locali, provvedono, nell'àmbito delle risorse disponibili,
ai sensi dell'articolo 4, per gli interventi sociali e socio-sanitari, secondo le indicazioni del piano regionale di
cui all'articolo 18, comma 6, a definire il piano di zona, che individua:
a) gli obiettivi strategici e le priorità di intervento nonché gli strumenti e i mezzi per la relativa realizzazione;
b) le modalità organizzative dei servizi, le risorse finanziarie, strutturali e professionali, i requisiti di qualità
in relazione alle disposizioni regionali adottate ai sensi dell'articolo 8, comma 3, lettera h);
c) le forme di rilevazione dei dati nell'àmbito del sistema informativo di cui all'articolo 21;
d) le modalità per garantire l'integrazione tra servizi e prestazioni;
e) le modalità per realizzare il coordinamento con gli organi periferici delle amministrazioni statali, con
particolare riferimento all'amministrazione penitenziaria e della giustizia;
f) le modalità per la collaborazione dei servizi territoriali con i soggetti operanti nell'àmbito della solidarietà
sociale a livello locale e con le altre risorse della comunità;
g) le forme di concertazione con l'azienda unità sanitaria locale e con i soggetti di cui all'articolo 1, comma 4.
2. Il piano di zona, di norma adottato attraverso accordo di programma, ai sensi dell'articolo 27 della legge 8
giugno l990, n. 142, e successive modificazioni, è volto a:
a) favorire la formazione di sistemi locali di intervento fondati su servizi e prestazioni complementari e
flessibili, stimolando in particolare le risorse locali di solidarietà e di auto-aiuto, nonché a responsabilizzare i
cittadini nella programmazione e nella verifica dei servizi;
b) qualificare la spesa, attivando risorse, anche finanziarie, derivate dalle forme di concertazione di cui al
comma 1, lettera g);
c) definire criteri di ripartizione della spesa a carico di ciascun comune, delle aziende unità sanitarie locali e
degli altri soggetti firmatari dell'accordo, prevedendo anche risorse vincolate per il raggiungimento di
particolari obiettivi;
d) prevedere iniziative di formazione e di aggiornamento degli operatori finalizzate a realizzare progetti di
sviluppo dei servizi.
3. All'accordo di programma di cui al comma 2, per assicurare l'adeguato coordinamento delle risorse umane
e finanziarie, partecipano i soggetti pubblici di cui al comma 1 nonché i soggetti di cui all'articolo 1, comma
4, e all'articolo 10, che attraverso l'accreditamento o specifiche forme di concertazione concorrono, anche
con proprie risorse, alla realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali previsto nel piano.
20. Fondo nazionale per le politiche sociali.
1. Per la promozione e il raggiungimento degli obiettivi di politica sociale, lo Stato ripartisce le risorse del
Fondo nazionale per le politiche sociali.
2. Per le finalità della presente legge il Fondo di cui al comma 1 è incrementato di lire 106.700 milioni per
l'anno 2000, di lire 761.500 milioni per l'anno 2001 e di lire 922.500 milioni a decorrere dall'anno 2002. Al
relativo onere si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio
triennale 2000-2002, nell'àmbito dell'unità previsionale di base di parte corrente «Fondo speciale» dello stato
di previsione del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica per l'anno 2000, allo
scopo utilizzando quanto a lire 56.700 milioni per l'anno 2000, a lire 591.500 milioni per l'anno 2001 e a lire
752.500 milioni per l'anno 2002, l'accantonamento relativo al Ministero del tesoro, del bilancio e della
programmazione economica; quanto a lire 50.000 milioni per l'anno 2000 e a lire 149.000 milioni per
ciascuno degli anni 2001 e 2002, l'accantonamento relativo al Ministero della pubblica istruzione; quanto a
lire 1.000 milioni per ciascuno degli anni 2001 e 2002, le proiezioni dell'accantonamento relativo al
Ministero dell'interno; quanto a lire 20.000 milioni per ciascuno degli anni 2001 e 2002, le proiezioni
dell'accantonamento relativo al Ministero del commercio con l'estero.
3. Il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica è autorizzato ad apportare, con
propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
4. La definizione dei livelli essenziali di cui all'articolo 22 è effettuata contestualmente a quella delle risorse
da assegnare al Fondo nazionale per le politiche sociali tenuto conto delle risorse ordinarie destinate alla
spesa sociale dalle regioni e dagli enti locali, nel rispetto delle compatibilità finanziarie definite per l'intero
sistema di finanza pubblica dal Documento di programmazione economico- finanziaria.
5. Con regolamento, da emanare ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, il
Governo provvede a disciplinare modalità e procedure uniformi per la ripartizione delle risorse finanziarie
confluite nel Fondo di cui al comma 1 ai sensi delle vigenti disposizioni di legge, sulla base dei seguenti
princìpi e criteri direttivi:
a) razionalizzare e armonizzare le procedure medesime ed evitare sovrapposizioni e diseconomie
nell'allocazione delle risorse;
b) prevedere quote percentuali di risorse aggiuntive a favore dei comuni associati ai sensi dell'articolo 8,
comma 3, lettera a);
c) garantire che gli stanziamenti a favore delle regioni e degli enti locali costituiscano quote di
cofinanziamento dei programmi e dei relativi interventi e prevedere modalità di accertamento delle spese al
fine di realizzare un sistema di progressiva perequazione della spesa in àmbito nazionale per il
perseguimento degli obiettivi del Piano nazionale;
d) prevedere forme di monitoraggio, verifica e valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati degli
interventi, nonché modalità per la revoca dei finanziamenti in caso di mancato impegno da parte degli enti
destinatari entro periodi determinati;
e) individuare le norme di legge abrogate dalla data di entrata in vigore del regolamento.
6. Lo schema di regolamento di cui al comma 5, previa deliberazione preliminare del Consiglio dei ministri,
acquisito il parere della Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n.
281, è trasmesso successivamente alle Camere per l'espressione del parere da parte delle competenti
Commissioni parlamentari, che si pronunciano entro trenta giorni dalla data di assegnazione. Decorso
inutilmente tale termine, il regolamento può essere emanato.
7. Il Ministro per la solidarietà sociale, sentiti i Ministri interessati, d'intesa con la Conferenza unificata di cui
all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, provvede, con proprio decreto, annualmente alla
ripartizione delle risorse del Fondo nazionale per le politiche sociali, tenuto conto della quota riservata di cui
all'articolo 15, sulla base delle linee contenute nel Piano nazionale e dei parametri di cui all'articolo 18,
comma 3, lettera n). In sede di prima applicazione della presente legge, entro novanta giorni dalla data della
sua entrata in vigore, il Ministro per la solidarietà sociale, sentiti i Ministri interessati, d'intesa con la
Conferenza unificata di cui al citato articolo 8 del decreto legislativo n. 281 del 1997, adotta il decreto di cui
al presente comma sulla base dei parametri di cui all'articolo 18, comma 3, lettera n). La ripartizione
garantisce le risorse necessarie per l'adempimento delle prestazioni di cui all'articolo 24.
8. A decorrere dall'anno 2002 lo stanziamento complessivo del Fondo nazionale per le politiche sociali è
determinato dalla legge finanziaria con le modalità di cui all'articolo 11, comma 3, lettera d), della legge 5
agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni, assicurando comunque la copertura delle prestazioni di cui
all'articolo 24 della presente legge.
9. Alla data di entrata in vigore del decreto legislativo di cui all'articolo 24, confluiscono con specifica
finalizzazione nel Fondo nazionale per le politiche sociali anche le risorse finanziarie destinate al
finanziamento delle prestazioni individuate dal medesimo decreto legislativo.
10. A1 Fondo nazionale per le politiche sociali affluiscono, altresì, somme derivanti da contributi e
donazioni eventualmente disposti da privati, enti, fondazioni, organizzazioni, anche internazionali, da
organismi dell'Unione europea, che sono versate all'entrata del bilancio dello Stato per essere assegnate al
citato Fondo nazionale.
11. Qualora le regioni ed i comuni non provvedano all'impegno contabile della quota non specificamente
finalizzata ai sensi del comma 9 delle risorse ricevute nei tempi indicati dal decreto di riparto di cui al
comma 7, il Ministro per la solidarietà sociale, con le modalità di cui al medesimo comma 7, provvede alla
rideterminazione e alla riassegnazione delle risorse, fermo restando l'obbligo di mantenere invariata nel
triennio la quota complessiva dei trasferimenti a ciascun comune o a ciascuna regione.
21. Sistema informativo dei servizi sociali.
1. Lo Stato, le regioni, le province e i comuni istituiscono un sistema informativo dei servizi sociali per
assicurare una compiuta conoscenza dei bisogni sociali, del sistema integrato degli interventi e dei servizi
sociali e poter disporre tempestivamente di dati ed informazioni necessari alla programmazione, alla gestione
e alla valutazione delle politiche sociali, per la promozione e l'attivazione di progetti europei, per il
coordinamento con le strutture sanitarie, formative, con le politiche del lavoro e dell'occupazione.
2. Entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge è nominata, con decreto del
Ministro per la solidarietà sociale, una commissione tecnica, composta da sei esperti di comprovata
esperienza nel settore sociale ed in campo informativo, di cui due designati dal Ministro stesso, due dalla
Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano, due dalla
Conferenza Stato-città e autonomie locali. La commissione ha il compito di formulare proposte in ordine ai
contenuti, al modello ed agli strumenti attraverso i quali dare attuazione ai diversi livelli operativi del sistema
informativo dei servizi sociali. La commissione è presieduta da uno degli esperti designati dal Ministro per la
solidarietà sociale. I componenti della commissione durano in carica due anni. Gli oneri derivanti
dall'applicazione del presente comma, nel limite massimo di lire 250 milioni annue, sono a carico del Fondo
nazionale per le politiche sociali.
3. Il Presidente del Consiglio dei ministri, con proprio decreto, su proposta del Ministro per la solidarietà
sociale, sentite la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e
l'Autorità per l'informatica nella pubblica amministrazione, definisce le modalità e individua, anche
nell'àmbito dei sistemi informativi esistenti, gli strumenti necessari per il coordinamento tecnico con le
regioni e gli enti locali ai fini dell'attuazione del sistema informativo dei servizi sociali, in conformità con le
specifiche tecniche della rete unitaria delle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 15, comma 1, della
legge 15 marzo 1997, n. 59, tenuto conto di quanto disposto dall'articolo 6 del citato decreto legislativo n.
281 del 1997, in materia di scambio di dati ed informazioni tra le amministrazioni centrali, regionali e delle
province autonome di Trento e di Bolzano. Le regioni, le province e i comuni individuano le forme
organizzative e gli strumenti necessari ed appropriati per l'attivazione e la gestione del sistema informativo
dei servizi sociali a livello locale.
4. Gli oneri derivanti dall'applicazione del presente articolo sono a carico del Fondo nazionale per le
politiche sociali. Nell'àmbito dei piani di cui agli articoli 18 e 19, sono definite le risorse destinate alla
realizzazione del sistema informativo dei servizi sociali, entro i limiti di spesa stabiliti in tali piani.
Capo V - Interventi, servizi ed emolumenti economici del sistema integrato di interventi e servizi sociali
Sezione I - Disposizioni generali
22. Definizione del sistema integrato di interventi e servizi sociali.
1. Il sistema integrato di interventi e servizi sociali si realizza mediante politiche e prestazioni coordinate nei
diversi settori della vita sociale, integrando servizi alla persona e al nucleo familiare con eventuali misure
economiche, e la definizione di percorsi attivi volti ad ottimizzare l'efficacia delle risorse, impedire
sovrapposizioni di competenze e settorializzazione delle risposte.
2. Ferme restando le competenze del Servizio sanitario nazionale in materia di prevenzione, cura e
riabilitazione, nonché le disposizioni in materia di integrazione socio-sanitaria di cui al decreto legislativo 30
dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, gli interventi di seguito indicati costituiscono il livello
essenziale delle prestazioni sociali erogabili sotto forma di beni e servizi secondo le caratteristiche ed i
requisiti fissati dalla pianificazione nazionale, regionale e zonale, nei limiti delle risorse del Fondo nazionale
per le politiche sociali, tenuto conto delle risorse ordinarie già destinate dagli enti locali alla spesa sociale:
a) misure di contrasto della povertà e di sostegno al reddito e servizi di accompagnamento, con particolare
riferimento alle persone senza fissa dimora;
b) misure economiche per favorire la vita autonoma e la permanenza a domicilio di persone totalmente
dipendenti o incapaci di compiere gli atti propri della vita quotidiana;
c) interventi di sostegno per i minori in situazioni di disagio tramite il sostegno al nucleo familiare di origine
e l'inserimento presso famiglie, persone e strutture comunitarie di accoglienza di tipo familiare e per la
promozione dei diritti dell'infanzia e dell'adolescenza;
d) misure per il sostegno delle responsabilità familiari, ai sensi dell'articolo 16, per favorire l'armonizzazione
del tempo di lavoro e di cura familiare;
e) misure di sostegno alle donne in difficoltà per assicurare i benefìci disposti dal regio decreto- legge 8
maggio 1927, n. 798, convertito dalla legge 6 dicembre 1928, n. 2838, e dalla legge 10 dicembre 1925, n.
2277, e loro successive modificazioni, integrazioni e norme attuative;
f) interventi per la piena integrazione delle persone disabili ai sensi dell'articolo 14; realizzazione, per i
soggetti di cui all'articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, dei centri socio-riabilitativi e
delle comunità-alloggio di cui all'articolo 10 della citata legge n. 104 del 1992, e dei servizi di comunità e di
accoglienza per quelli privi di sostegno familiare, nonché erogazione delle prestazioni di sostituzione
temporanea delle famiglie;
g) interventi per le persone anziane e disabili per favorire la permanenza a domicilio, per l'inserimento presso
famiglie, persone e strutture comunitarie di accoglienza di tipo familiare, nonché per l'accoglienza e la
socializzazione presso strutture residenziali e semiresidenziali per coloro che, in ragione della elevata
fragilità personale o di limitazione dell'autonomia, non siano assistibili a domicilio;
h) prestazioni integrate di tipo socio-educativo per contrastare dipendenze da droghe, alcol e farmaci,
favorendo interventi di natura preventiva, di recupero e reinserimento sociale;
i) informazione e consulenza alle persone e alle famiglie per favorire la fruizione dei servizi e per
promuovere iniziative di auto-aiuto.
3. Gli interventi del sistema integrato di interventi e servizi sociali di cui al comma 2, lettera c), sono
realizzati, in particolare, secondo le finalità delle L. 4 maggio l983, n. 184, L. 27 maggio 1991, n. 176, L. 15
febbraio 1996, n. 66, L. 28 agosto 1997, n. 285, L. 23 dicembre 1997, n. 451, L. 3 agosto 1998, n, 296, L. 31
dicembre 1998, n. 476, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e delle disposizioni
sul processo penale a carico di imputati minorenni, approvate con decreto del Presidente della Repubblica 22
settembre 1988, n. 448, nonché della legge 5 febbraio 1992, n. 104, per i minori disabili. Ai fini di cui
all'articolo 11 e per favorire la deistituzionalizzazione, i servizi e le strutture a ciclo residenziale destinati
all'accoglienza dei minori devono essere organizzati esclusivamente nella forma di strutture comunitarie di
tipo familiare.
4. In relazione a quanto indicato al comma 2, le leggi regionali, secondo i modelli organizzativi adottati,
prevedono per ogni àmbito territoriale di cui all'articolo 8, comma 3, lettera a), tenendo conto anche delle
diverse esigenze delle aree urbane e rurali, comunque l'erogazione delle seguenti prestazioni:
a) servizio sociale professionale e segretariato sociale per informazione e consulenza al singolo e ai nuclei
familiari;
b) servizio di pronto intervento sociale per le situazioni di emergenza personali e familiari;
c) assistenza domiciliare;
d) strutture residenziali e semiresidenziali per soggetti con fragilità sociali;
e) centri di accoglienza residenziali o diurni a carattere comunitario.
Sezione II - Misure di contrasto alla povertà e riordino degli emolumenti economici assistenziali
23. Reddito minimo di inserimento.
1. (2).
2. Il reddito minimo di inserimento di cui all'articolo 15 del decreto legislativo 18 giugno 1998, n. 237, come
sostituito dal comma 1 del presente articolo, è definito quale misura di contrasto della povertà e di sostegno
al reddito nell'àmbito di quelle indicate all'articolo 22, comma 2, lettera a), della presente legge.
(2) Sostituisce l'art. 15, D.Lgs. 18 giugno 1998, n. 237.
24. Delega al Governo per il riordino degli emolumenti derivanti da invalidità civile, cecità e sordomutismo.
1. Il Governo è delegato ad emanare, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente
legge, nel rispetto del principio della separazione tra spesa assistenziale e spesa previdenziale, senza nuovi o
maggiori oneri a carico della finanza pubblica, un decreto legislativo recante norme per il riordino degli
assegni e delle indennità spettanti ai sensi delle L. 10 febbraio 1962, n. 66, L. 26 maggio 1970, n. 381, L. 27
maggio 1970, n. 382, L. 30 marzo 1971, n. 118, e L. 11 febbraio 1980, n. 18, e successive modificazioni,
sulla base dei seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) riclassificazione delle indennità e degli assegni, e dei relativi importi, che non determini una riduzione
degli attuali trattamenti e, nel complesso, oneri aggiuntivi rispetto a quelli determinati dall'andamento
tendenziale degli attuali trattamenti previsti dalle disposizioni richiamate dal presente comma. La
riclassificazione tiene inoltre conto delle funzioni a cui gli emolumenti assolvono, come misure di contrasto
alla povertà o come incentivi per la rimozione delle limitazioni personali, familiari e sociali dei portatori di
handicap, per la valorizzazione delle capacità funzionali del disabile e della sua potenziale autonomia psicofisica, prevedendo le seguenti forme di sostegno economico:
1) reddito minimo per la disabilità totale a cui fare afferire pensioni e assegni che hanno la funzione di
integrare, a seguito della minorazione, la mancata produzione di reddito. Il reddito minimo, nel caso di grave
disabilità, è cumulabile con l'indennità di cui al numero 3.1) della presente lettera;
2) reddito minimo per la disabilità parziale, a cui fare afferire indennità e assegni concessi alle persone con
diversi gradi di minorazione fisica e psichica per favorire percorsi formativi, l'accesso ai contratti di
formazione e lavoro di cui al decreto-legge 30 ottobre 1984, n. 726, convertito, con modificazioni, dalla
legge 19 dicembre 1984, n. 863, e successive modificazioni, alla legge 29 dicembre 1990, n. 407, e al
decreto-legge 16 maggio 1994, n. 299, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1994, n. 451, ed a
borse di lavoro di cui al decreto legislativo 7 agosto 1997, n. 280, da utilizzare anche temporaneamente nella
fase di avvio al lavoro e da revocare al momento dell'inserimento definitivo;
3) indennità per favorire la vita autonoma e la comunicazione, commisurata alla gravità, nonché per
consentire assistenza e sorveglianza continue a soggetti con gravi limitazioni dell'autonomia. A tale indennità
afferiscono gli emolumenti concessi, alla data di entrata in vigore della presente legge, per gravi disabilità,
totale non autosufficienza e non deambulazione, con lo scopo di rimuovere l'esclusione sociale, favorire la
comunicazione e la permanenza delle persone con disabilità grave o totale non autosufficienza a domicilio,
anche in presenza di spese personali aggiuntive. L'indennità può essere concessa secondo le seguenti
modalità tra loro non cumulabili:
3.1) indennità per l'autonomia di disabili gravi o pluriminorati, concessa a titolo della minorazione;
3.2) indennità di cura e di assistenza per ultrasessantacinquenni totalmente dipendenti;
b) cumulabilità dell'indennità di cura e di assistenza di cui alla lettera a), numero 3.2), con il reddito minimo
di inserimento di cui all'articolo 23;
c) fissazione dei requisiti psico-fisici e reddituali individuali che danno luogo alla concessione degli
emolumenti di cui ai numeri 1) e 2) della lettera a) del presente comma secondo quanto previsto dall'articolo
1, comma 1, secondo periodo, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109;
d) corresponsione dei nuovi trattamenti per coloro che non sono titolari di pensioni e indennità dopo
centoventi giorni dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo, prevedendo nello stesso la
equiparazione tra gli emolumenti richiesti nella domanda presentata alle sedi competenti ed i nuovi
trattamenti;
e) equiparazione e ricollocazione delle indennità già percepite e in atto nel termine massimo di un anno dalla
data di entrata in vigore del decreto legislativo;
f) disciplina del regime transitorio, fatti salvi i diritti acquisiti per coloro che già fruiscono di assegni e
indennità;
g) riconoscimento degli emolumenti anche ai disabili o agli anziani ospitati in strutture residenziali, in
termini di pari opportunità con i soggetti non ricoverati, prevedendo l'utilizzo di parte degli emolumenti
come partecipazione alla spesa per l'assistenza fornita, ferma restando la conservazione di una quota, pari al
50 per cento del reddito minimo di inserimento di cui all'articolo 23, a diretto beneficio dell'assistito;
h) revisione e snellimento delle procedure relative all'accertamento dell'invalidità civile e alla concessione
delle prestazioni spettanti, secondo il principio della unificazione delle competenze, anche prevedendo
l'istituzione di uno sportello unico; revisione dei criteri e dei requisiti che danno titolo alle prestazioni di cui
al presente articolo, tenuto conto di quanto previsto dall'articolo 4 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, dal
decreto legislativo 30 aprile 1997, n. 157, nonché dalla Classificazione internazionale dei disturbi, disabilità
ed handicap - International classification of impairments, disabilities and handicaps (ICIDH), adottata
dall'Organizzazione mondiale della sanità; definizione delle modalità per la verifica della sussistenza dei
requisiti medesimi.
2. Sullo schema di decreto legislativo di cui al comma 1 sono acquisiti l'intesa con la Conferenza unificata di
cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, nonché i pareri degli enti e delle associazioni
nazionali di promozione sociale di cui all'articolo 1, comma 1, lettere a) e b), della legge 19 novembre 1987,
n. 476, e successive modificazioni, delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello
nazionale e delle associazioni di tutela degli utenti. Lo schema di decreto legislativo è successivamente
trasmesso alle Camere per l'espressione del parere da parte delle competenti Commissioni parlamentari, che
si pronunciano entro trenta giorni dalla data di assegnazione.
25. Accertamento della condizione economica del richiedente.
1. Ai fini dell'accesso ai servizi disciplinati dalla presente legge, la verifica della condizione economica del
richiedente è effettuata secondo le disposizioni previste dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109, come
modificato dal decreto legislativo 3 maggio 2000, n. 130.
26. Utilizzo di fondi integrativi per prestazioni sociali.
1. L'àmbito di applicazione dei fondi integrativi previsti dall'articolo 9 del decreto legislativo 30 dicembre
1992, n. 502, e successive modificazioni, comprende le spese sostenute dall'assistito per le prestazioni sociali
erogate nell'àmbito dei programmi assistenziali intensivi e prolungati finalizzati a garantire la permanenza a
domicilio ovvero in strutture residenziali o semiresidenziali delle persone anziane e disabili.
Capo VI - Disposizioni finali
27. Istituzione della Commissione di indagine sulla esclusione sociale.
1. È istituita, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, la Commissione di indagine sulla esclusione
sociale, di seguito denominata «Commissione».
2. La Commissione ha il compito di effettuare, anche in collegamento con analoghe iniziative nell'àmbito
dell'Unione europea, le ricerche e le rilevazioni occorrenti per indagini sulla povertà e sull'emarginazione in
Italia, di promuoverne la conoscenza nelle istituzioni e nell'opinione pubblica, di formulare proposte per
rimuoverne le cause e le conseguenze, di promuovere valutazioni sull'effetto dei fenomeni di esclusione
sociale. La Commissione predispone per il Governo rapporti e relazioni ed annualmente una relazione nella
quale illustra le indagini svolte, le conclusioni raggiunte e le proposte formulate.
3. Il Governo, entro il 30 giugno di ciascun anno, riferisce al Parlamento sull'andamento del fenomeno
dell'esclusione sociale, sulla base della relazione della Commissione di cui al comma 2, secondo periodo.
4. La Commissione è composta da studiosi ed esperti con qualificata esperienza nel campo dell'analisi e della
pratica sociale, nominati, per un periodo di tre anni, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su
proposta del Ministro per la solidarietà sociale. Le funzioni di segreteria della Commissione sono assicurate
dal personale del Dipartimento per gli affari sociali o da personale di altre pubbliche amministrazioni,
collocato in posizione di comando o di fuori ruolo nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti. Per
l'adempimento dei propri compiti la Commissione può avvalersi della collaborazione di tutte le
amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, degli enti pubblici, delle regioni e degli enti
locali. La Commissione può avvalersi altresì della collaborazione di esperti e può affidare la effettuazione di
studi e ricerche ad istituzioni pubbliche o private, a gruppi o a singoli ricercatori mediante convenzioni.
5. Gli oneri derivanti dal funzionamento della Commissione, determinati nel limite massimo di lire 250
milioni annue, sono a carico del Fondo nazionale per le politiche sociali.
28. Interventi urgenti per le situazioni di povertà estrema.
1. Allo scopo di garantire il potenziamento degli interventi volti ad assicurare i servizi destinati alle persone
che versano in situazioni di povertà estrema e alle persone senza fissa dimora, il Fondo nazionale per le
politiche sociali è incrementato di una somma pari a lire 20 miliardi per ciascuno degli anni 2001 e 2002.
2. Ai fini di cui al comma 1, gli enti locali, le organizzazioni di volontariato e gli organismi non lucrativi di
utilità sociale nonché le IPAB possono presentare alle regioni, secondo le modalità e i termini definiti ai
sensi del comma 3, progetti concernenti la realizzazione di centri e di servizi di pronta accoglienza, interventi
socio-sanitari, servizi per l'accompagnamento e il reinserimento sociale.
3. Entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, con atto di indirizzo e
coordinamento deliberato dal Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per la solidarietà sociale,
d'intesa con la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sono
definiti i criteri di riparto tra le regioni dei finanziamenti di cui al comma 1, i termini per la presentazione
delle richieste di finanziamento dei progetti di cui al comma 2, i requisiti per l'accesso ai finanziamenti, i
criteri generali di valutazione dei progetti, le modalità per il monitoraggio degli interventi realizzati, i comuni
delle grandi aree urbane per i quali gli interventi di cui al presente articolo sono considerati prioritari.
4. All'onere derivante dall'attuazione del presente articolo, pari a lire 20 miliardi per ciascuno degli anni 2001
e 2002, si provvede mediante corrispondente riduzione delle proiezioni per gli anni 2001 e 2002 dello
stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2000-2002, nell'àmbito dell'unità previsionale di base di
parte corrente «Fondo speciale» dello stato di previsione del Ministero del tesoro, del bilancio e della
programmazione economica per l'anno 2000, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo
al Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica.
29. Disposizioni sul personale.
1. La Presidenza del Consiglio dei ministri è autorizzata a bandire concorsi pubblici per il reclutamento di
cento unità di personale dotate di professionalità ed esperienza in materia di politiche sociali, per lo
svolgimento, in particolare, delle funzioni statali previste dalla presente legge, nonché in materia di adozioni
internazionali, politiche di integrazione degli immigrati e tutela dei minori non accompagnati.
Al predetto personale non si applica la disposizione di cui all'articolo 12, comma 1, lettera c), della legge 15
marzo 1997, n. 59. Le assunzioni avvengono in deroga ai termini ed alle modalità di cui all'articolo 39 della
legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni.
2. All'onere derivante dall'attuazione del comma 1, pari a lire 2 miliardi per l'anno 2000 e a lire 7 miliardi
annue a decorrere dall'anno 2001, si provvede a valere sul Fondo nazionale per le politiche sociali, come
rifinanziato ai sensi dell'articolo 20 della presente legge.
30. Abrogazioni.
1. Alla data di entrata in vigore della presente legge sono abrogati l'articolo 72 della legge 17 luglio 1890, n.
6972, e il comma 45 dell'articolo 59 della legge 27 dicembre 1997, n. 449.
2. Alla data di entrata in vigore del decreto legislativo di cui all'articolo 10 è abrogata la disciplina relativa
alle IPAB prevista dalla legge 17 luglio 1890, n. 6972. Alla data di entrata in vigore del decreto legislativo di
cui all'articolo 24 sono abrogate le disposizioni sugli emolumenti economici previste dalle L. 10 febbraio
1962, n. 66, L. 26 maggio 1970, n. 381, L. 27 maggio 1970, n. 382, L. 30 marzo 1971, n. 118, L. e 11
febbraio 1980, n. 18, e successive modificazioni.
De Agostini Professionale - LEGGI D'ITALIA (testo vigente)
Aggiornamento alla GU 23/07/2002
12. AMMINISTRAZIONE DEL PATRIMONIO E CONTABILITA' GENERALE DELLO
STATO A) Norme generali sull'amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello Stato
L. 23 dicembre 2000, n. 388
Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato (legge finanziaria 2001)
(articoli estratti)
80. Disposizioni in materia di politiche sociali.
1. Nei limiti di lire 350 miliardi per l'anno 2001 e di lire 430 miliardi per l'anno 2002 e fino alla data del 31
dicembre 2002:
a) i comuni individuati ai sensi dell'articolo 4 del decreto legislativo 18 giugno 1998, n. 237, sono
autorizzati, nell'àmbito della disciplina prevista dal predetto decreto legislativo, a proseguire l'attuazione
dell'istituto del reddito minimo di inserimento;
b) la disciplina dell'istituto del reddito minimo di inserimento di cui al citato decreto legislativo n.
237 del 1998 si applica anche ai comuni compresi nei territori per i quali sono stati approvati, alla data del 30
giugno 2000, i patti territoriali di cui all'articolo 2, comma 203, della legge 23 dicembre 1996, n.
662, e successive modificazioni, che i medesimi comuni hanno sottoscritto o ai quali hanno aderito e che
comprendono comuni già individuati o da individuare ai sensi dell'articolo 4 del medesimo decreto
legislativo n. 237 del 1998.
2. (84).
3. A decorrere dall'anno 2002, ai lavoratori sordomuti di cui all'articolo 1 della legge 26 maggio 1970, n.
381, nonché agli invalidi per qualsiasi causa, ai quali è stata riconosciuta un'invalidità superiore al 74 per
cento o ascritta alle prime quattro categorie della tabella A allegata al testo unico delle norme in materia di
pensioni di guerra, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 23 dicembre 1978, n. 915, come
sostituita dalla tabella A allegata al decreto del Presidente della Repubblica 30 dicembre 1981, n. 834, e
successive modificazioni, è riconosciuto, a loro richiesta, per ogni anno di servizio presso pubbliche
amministrazioni o aziende private ovvero cooperative effettivamente svolto, il beneficio di due mesi di
contribuzione figurativa utile ai soli fini del diritto alla pensione e dell'anzianità contributiva; il beneficio è
riconosciuto fino al limite massimo di cinque anni di contribuzione figurativa.
4. (85).
5. L'assegno di cui all'articolo 65 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, e successive modificazioni, come
ulteriormente modificato dal presente articolo, e come interpretato ai sensi del comma 9, è concesso, nella
misura e alle condizioni previste dal medesimo articolo 65 e dalle relative norme di attuazione, ai nuclei
familiari di cui al decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109, e successive modificazioni, nei quali siano
presenti il richiedente, cittadino italiano o comunitario, residente nel territorio dello Stato, e tre minori di
anni 18 conviventi con il richiedente, che siano figli del richiedente medesimo o del coniuge o da essi
ricevuti in affidamento preadottivo.
6. Le disposizioni di cui ai commi 4 e 5 sono efficaci per gli assegni da concedere per l'anno 2001 e
successivi.
7. La potestà concessiva degli assegni di cui agli articoli 65 e 66 della legge 23 dicembre 1998, n.
448, e successive modificazioni, può essere esercitata dai comuni anche in forma associata o mediante un
apposito servizio comune, ovvero dall'INPS, a seguito della stipula di specifici accordi tra i comuni e
l'Istituto medesimo; nell'àmbito dei suddetti accordi, sono definiti, tra l'altro, i termini per la conclusione del
procedimento, le modalità dell'istruttoria delle domande e dello scambio, anche in via telematica, dei dati
relativi al nucleo familiare e alla situazione economica dei richiedenti, nonché le eventuali risorse strumentali
e professionali che possono essere destinate in via temporanea dai comuni all'INPS per il più efficiente
svolgimento dei procedimenti concessori.
8. Le regioni possono prevedere che la potestà concessiva dei trattamenti di invalidità civile di cui all'articolo
130 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, e successive modificazioni, può essere esercitata
dall'INPS a seguito della stipula di specifici accordi tra le regioni medesime ed il predetto Istituto. Negli
accordi possono essere definiti, tra l'altro, i rapporti conseguenti all'eventuale estensione della potestà
concessiva ai benefìci aggiuntivi disposti dalle regioni con risorse proprie, nonché la destinazione all'INPS,
per il periodo dell'esercizio della potestà concessiva da parte dell'Istituto, di risorse derivanti dai
provvedimenti attuativi dell'articolo 7 del predetto decreto legislativo n. 112 del 1998.
9. Le disposizioni dell'articolo 65 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, si interpretano nel senso che il diritto
a percepire l'assegno spetta al richiedente convivente con i tre figli minori, che ne abbia fatta annualmente
domanda nei termini previsti dalle disposizioni di attuazione.
10. [Le disposizioni dell'articolo 66 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, e dell'articolo 49, comma 8, della
legge 23 dicembre 1999, n. 488, si interpretano nel senso che ai trattamenti previdenziali di maternità
corrispondono anche i trattamenti economici di maternità erogati ai sensi dell'articolo 13, secondo comma,
della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, e successive modificazioni, nonché gli altri trattamenti economici di
maternità corrisposti da datori di lavoro non tenuti al versamento dei contributi di maternità] (85/a) (85/b).
11. [L'importo dell'assegno di cui all'articolo 66 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, e successive
modificazioni, per ogni figlio nato o per ogni minore adottato o in affidamento preadottivo dal 1º gennaio
2001, è elevato da lire 300.000 mensili a lire 500.000 nel limite massimo di cinque mensilità. Resta ferma la
disciplina della rivalutazione dell'importo di cui all'articolo 49, comma 11, della legge 23 dicembre 1999, n.
488] (85/c) (85/d).
12. La disposizione di cui al comma 16, quarto periodo, dell'articolo 59 della legge 27 dicembre 1997, n.
449, si interpreta nel senso che l'estensione ivi prevista della tutela relativa alla maternità e agli assegni al
nucleo familiare avviene nelle forme e con le modalità previste per il lavoro dipendente (85/e).
13. Il Fondo nazionale per le politiche sociali, di cui all'articolo 59, comma 44, della legge 27 dicembre
1997, n. 449, e successive modificazioni, è incrementato di lire 350 miliardi per l'anno 2001 e di lire 430
miliardi per l'anno 2002.
14. Una quota del Fondo di cui al comma 13, nel limite massimo di lire 10 miliardi annue, è destinata al
sostegno dei servizi di telefonia rivolti alle persone anziane, attivati da associazioni di volontariato e da altri
organismi senza scopo di lucro con comprovata esperienza nel settore dell'assistenza agli anziani, che
garantiscano un servizio continuativo per tutto l'anno e l'assistenza alle persone anziane per la fruizione degli
interventi e dei servizi pubblici presenti nel territorio. Una quota del medesimo Fondo, nel limite massimo di
lire 3 miliardi, viene destinata alle famiglie nel cui nucleo siano comprese una o più persone anziane titolari
di assegno di accompagnamento, totalmente immobili, costrette a letto e bisognose di assistenza continuativa
di cui la famiglia si fa carico. Un'ulteriore quota del medesimo Fondo, nel limite massimo di lire 20 miliardi,
è destinata al cofinanziamento delle iniziative sperimentali, promosse dagli enti locali entro il 30 settembre
2000, per la realizzazione di specifici servizi di informazione sulle attività e sulla rete dei servizi attivati nel
territorio in favore delle famiglie. Il Ministro per la solidarietà sociale, sentite le competenti Commissioni
parlamentari, con propri decreti definisce i criteri, i requisiti, le modalità e i termini per la concessione,
l'erogazione e la revoca dei contributi di cui al presente comma, nonché per la verifica delle attività svolte
(85/f).
15. Nell'anno 2001, al fondo di cui all'articolo 17, comma 2, della legge 3 agosto 1998, n.
269, è attribuita una somma di 20 miliardi di lire, ad incremento della quota prevista dal citato comma 2, per
il finanziamento di specifici programmi di prevenzione, assistenza e recupero psicoterapeutico dei minori
vittime dei reati ivi previsti. Il Ministro per la solidarietà sociale, sentiti i Ministri dell'interno, della giustizia
e della sanità, provvede con propri decreti, sulla base delle risorse disponibili, alla definizione dei programmi
di cui al citato articolo 17, comma 2, della legge 3 agosto 1998, n. 269, delle condizioni e modalità per
l'erogazione dei finanziamenti e per la verifica degli interventi (85/g).
16. I comuni di cui all'articolo 1, comma 2, secondo periodo, della legge 28 agosto 1997, n. 285,
successivamente all'attribuzione delle quote del Fondo nazionale per l'infanzia e l'adolescenza loro riservate,
sono autorizzati a disporre sui fondi assegnati anticipazioni fino al 40 per cento del costo dei singoli
interventi attuati in convenzione con terzi.
17. Con effetto dal 1º gennaio 2001 il Fondo nazionale per le politiche sociali di cui all'articolo 59, comma
44, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni, è determinato dagli stanziamenti
previsti per gli interventi disciplinati dalle seguenti disposizioni legislative, e successive modificazioni:
a) testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309;
b) legge 19 luglio 1991, n. 216;
c) legge 11 agosto 1991, n. 266;
d) legge 5 febbraio 1992, n. 104;
e) decreto-legge 27 maggio 1994, n. 318, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 luglio 1994, n. 465;
f) legge 28 agosto 1997, n. 284;
g) legge 28 agosto 1997, n. 285;
h) legge 23 dicembre 1997, n. 451;
i) articolo 59, comma 47, della legge 27 dicembre 1997, n. 449;
l) legge 21 maggio 1998, n. 162;
m) decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286;
n) legge 3 agosto 1998, n. 269;
o) legge 15 dicembre 1998, n. 438;
p) articoli 65 e 66 della legge 23 dicembre 1998, n. 448;
q) legge 31 dicembre 1998, n. 476;
r) legge 18 febbraio 1999, n. 45;
r-bis) legge 8 marzo 2000, n. 53, articolo 28 (85/h);
r-ter) legge 7 dicembre 2000, n. 383, articolo 13 (85/i).
18. Le risorse afferenti alle disposizioni indicate al comma 17, lettere a), d), f), g), h), l), m), r), sono ripartite
in unica soluzione, sulla base della vigente normativa, fra le regioni e le province autonome di Trento e di
Bolzano con decreto annuale del Ministro per la solidarietà sociale.
19. Ai sensi dell'articolo 41 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, l'assegno sociale e le provvidenze
economiche che costituiscono diritti soggettivi in base alla legislazione vigente in materia di servizi sociali
sono concessi, alle condizioni previste dalla legislazione medesima, agli stranieri che siano titolari di carta di
soggiorno; per le altre prestazioni e servizi sociali l'equiparazione con i cittadini italiani è consentita a favore
degli stranieri che siano almeno titolari di permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno. Sono
fatte salve le disposizioni previste dal decreto legislativo 18 giugno 1998, n.
237, e dagli articoli 65 e 66 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, e successive modificazioni.
20. I comuni indicati dall'articolo 6 della legge 9 dicembre 1998, n. 431, possono destinare fino al 10 per
cento delle somme ad essi attribuite sul Fondo di cui all'articolo 11 della medesima legge alla locazione di
immobili per inquilini assoggettati a procedure esecutive di sfratto che hanno nel nucleo familiare
ultrasessantacinquenni, o handicappati gravi, e che non dispongano di altra abitazione o di redditi sufficienti
ad accedere all'affitto di una nuova casa.
Al medesimo fine i comuni medesimi possono utilizzare immobili del proprio patrimonio, ovvero destinare
ulteriori risorse proprie ad integrazione del Fondo anzidetto.
21. Ai fini dell'applicazione del comma 20 i comuni predispongono graduatorie degli inquilini per cui
vengano accertate le condizioni di cui al medesimo comma 20. Nella prima applicazione le graduatorie sono
predisposte entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge.
22. Fino alla scadenza del termine di cui al comma 21 sono sospese le procedure esecutive di sfratto iniziate
contro gli inquilini che si trovino nelle condizioni di cui al comma 20 (85/l).
23. Le disponibilità finanziarie stanziate dal decreto-legge 3 aprile 1985, n. 114, convertito, con
modificazioni, dalla legge 30 maggio 1985, n. 211, come individuate dall'articolo 23 del decreto-legge 23
giugno 1995, n. 244, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1995, n. 341, trasferite al comune di
Napoli, possono essere utilizzate, in misura non superiore al 30 per cento, oltre che per l'acquisto di alloggi
ad incremento del patrimonio alloggiativo dello stesso comune di Napoli, anche per la riduzione del costo di
acquisto della prima casa da parte dei nuclei familiari sfrattati o interessati dalla mobilità abitativa per i piani
di recupero. Ai fini dell'assegnazione dei contributi il comune procede ai sensi dell'articolo 5, comma 1,
lettera b), del decreto-legge 29 ottobre 1986, n. 708, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 dicembre
1986, n. 899.
24. Il contributo in conto capitale di cui al comma 23 può essere maggiorato fino al 50 per cento del limite
massimo di mutuo agevolato ammissibile per ciascuna delle fasce di reddito prevista dalla normativa della
regione Campania. In ogni caso, il contributo per l'acquisto di ciascun alloggio non può superare l'importo di
50 milioni di lire.
25. In caso di rinuncia all'azione giudiziaria promossa da parte dei lavoratori esposti all'amianto aventi i
requisiti di cui alla legge 27 marzo 1992, n. 257, e cessati dall'attività lavorativa antecedentemente all'entrata
in vigore della predetta legge, la causa si estingue e le spese e gli onorari relativi alle attività antecedenti
all'estinzione sono compensati. Non si dà luogo da parte dell'INPS al recupero dei relativi importi oggetto di
ripetizione di indebito nei confronti dei titolari di pensione interessati.
(1) Pubblicata nella Gazz. Uff. 29 dicembre 2000, n. 302, S.O.
(84) Aggiunge il comma 4-bis all'art. 4, L. 8 marzo 2000, n. 53.
(85) Sostituisce il comma 3 dell'art. 65, L. 23 dicembre 1998, n. 448.
(85/a) Comma abrogato dall'art. 86, D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151.
(85/b) Le disposizioni di cui al presente comma sono ora contenute negli articoli 74 e 75 del testo unico
approvato con D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151.
(85/c) Comma abrogato dall'art. 86, D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151.
(85/d) Le disposizioni di cui al presente comma sono ora contenute nell'articolo 74 del testo unico approvato
con D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151.
(85/e) Per l'attuazione delle disposizioni del presente comma vedi il D.M. 4 aprile 2002.
(85/f) In attuazione di quanto disposto dal presente comma vedi il D.M. 28 febbraio 2002, n. 70.
(85/g) Vedi, anche, il D.M. 13 marzo 2002, n. 89.
(85/h) Lettera aggiunta dal comma 2 dell'art. 52, L. 28 dicembre 2001, n. 448.
(85/i) Lettera aggiunta dal comma 2 dell'art. 52, L. 28 dicembre 2001, n. 448.
(85/l) Per il differimento dei termini vedi l'art. 1, D.L. 2 luglio 2001, n. 247, l'art. 1, D.L. 27 dicembre 2001,
n. 450 e l'art. 1, D.L. 20 giugno 2002, n. 122.
De Agostini Professionale - LEGGI D'ITALIA (testo vigente)
Aggiornamento alla GU 23/07/2002
100. COMUNI E PROVINCE A) Disposizioni fondamentali e di carattere generale
D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267
Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali
(articoli estratti)
TITOLO II Programmazione e bilanci
Capo I - Programmazione
Articolo 162 Princìpi del bilancio.
1. Gli enti locali deliberano annualmente il bilancio di previsione finanziario redatto in termini di
competenza, per l'anno successivo, osservando i princìpi di unità, annualità, universalità ed integrità,
veridicità, pareggio finanziario e pubblicità. La situazione corrente, come definita al comma 6 del presente
articolo, non può presentare un disavanzo.
2. Il totale delle entrate finanzia indistintamente il totale delle spese, salvo le eccezioni di legge.
3. L'unità temporale della gestione è l'anno finanziario, che inizia il 1° gennaio e termina il 31 dicembre dello
stesso anno; dopo tale termine non possono più effettuarsi accertamenti di entrate e impegni di spesa in conto
dell'esercizio scaduto.
4. Tutte le entrate sono iscritte in bilancio al lordo delle spese di riscossione a carico degli enti locali e di
altre eventuali spese ad esse connesse. Parimenti tutte le spese sono iscritte in bilancio integralmente, senza
alcuna riduzione delle correlative entrate. La gestione finanziaria è unica come il relativo bilancio di
previsione: sono vietate le gestioni di entrate e di spese che non siano iscritte in bilancio.
5. Il bilancio di previsione è redatto nel rispetto dei princìpi di veridicità ed attendibilità, sostenuti da analisi
riferite ad un adeguato arco di tempo o, in mancanza, da altri idonei parametri di riferimento.
6. Il bilancio di previsione è deliberato in pareggio finanziario complessivo. Inoltre le previsioni di
competenza relative alle spese correnti sommate alle previsioni di competenza relative alle quote di capitale
delle rate di ammortamento dei mutui e dei prestiti obbligazionari non possono essere complessivamente
superiori alle previsioni di competenza dei primi tre titoli dell'entrata e non possono avere altra forma di
finanziamento, salvo le eccezioni previste per legge. Per le comunità montane si fa riferimento ai primi due
titoli delle entrate.
7. Gli enti assicurano ai cittadini ed agli organismi di partecipazione, di cui all'articolo 8, la conoscenza dei
contenuti significativi e caratteristici del bilancio annuale e dei suoi allegati con le modalità previste dallo
statuto e dai regolamenti.
Articolo 163 Esercizio provvisorio e gestione provvisoria.
1. Nelle more dell'approvazione del bilancio di previsione da parte dell'organo regionale di controllo,
l'organo consiliare dell'ente delibera l'esercizio provvisorio, per un periodo non superiore a due mesi, sulla
base del bilancio già deliberato. Gli enti locali possono effettuare, per ciascun intervento, spese in misura non
superiore mensilmente ad un dodicesimo delle somme previste nel bilancio deliberato, con esclusione delle
spese tassativamente regolate dalla legge o non suscettibili di pagamento frazionato in dodicesimi.
2. Ove non sia stato deliberato il bilancio di previsione, è consentita esclusivamente una gestione
provvisoria, nei limiti dei corrispondenti stanziamenti di spesa dell'ultimo bilancio approvato, ove esistenti.
La gestione provvisoria è limitata all'assolvimento delle obbligazioni già assunte, delle obbligazioni derivanti
da provvedimenti giurisdizionali esecutivi e di obblighi speciali tassativamente regolati dalla legge, al
pagamento delle spese di personale, di residui passivi, di rate di mutuo, di canoni, imposte e tasse, ed, in
generale, limitata alle sole operazioni necessarie per evitare che siano arrecati danni patrimoniali certi e gravi
all'ente.
3. Ove la scadenza del termine per la deliberazione del bilancio di previsione sia stata fissata da norme statali
in un periodo successivo all'inizio dell'esercizio finanziario di riferimento, l'esercizio provvisorio si intende
automaticamente autorizzato sino a tale termine e si applicano le modalità di gestione di cui al comma 1,
intendendosi come riferimento l'ultimo bilancio definitivamente approvato.
Articolo 164 Caratteristiche del bilancio.
1. L'unità elementare del bilancio per l'entrata è la risorsa e per la spesa è l'intervento per ciascun servizio.
Nei servizi per conto di terzi, sia nell'entrata che nella spesa, l'unità elementare è il capitolo, che indica
l'oggetto.
2. Il bilancio di previsione annuale ha carattere autorizzatorio, costituendo limite agli impegni di spesa, fatta
eccezione per i servizi per conto di terzi.
3. In sede di predisposizione del bilancio di previsione annuale il consiglio dell'ente assicura idoneo
finanziamento agli impegni pluriennali assunti nel corso degli esercizi precedenti.
Articolo 165 Struttura del bilancio.
1. Il bilancio di previsione annuale è composto da due parti, relative rispettivamente all'entrata ed alla spesa.
2. La parte entrata è ordinata gradualmente in titoli, categorie e risorse, in relazione, rispettivamente, alla
fonte di provenienza, alla tipologia ed alla specifica individuazione dell'oggetto dell'entrata.
3. I titoli dell'entrata per province, comuni, città metropolitane ed unioni di comuni sono:
Titolo I - Entrate tributarie;
Titolo II - Entrate derivanti da contributi e trasferimenti correnti dello Stato, della Regione e di altri enti
pubblici anche in rapporto all'esercizio di funzioni delegate dalla Regione;
Titolo III - Entrate extratributarie;
Titolo IV - Entrate derivanti da alienazioni, da trasferimenti di capitale e da riscossioni di crediti;
Titolo V - Entrate derivanti da accensioni di prestiti;
Titolo VI - Entrate da servizi per conto di terzi.
4. I titoli dell'entrata per le comunità montane sono:
Titolo I - Entrate derivanti da contributi e trasferimenti correnti dello Stato, della Regione e di altri enti
pubblici anche in rapporto all'esercizio di funzioni delegate dalla Regione;
Titolo II - Entrate extratributarie;
Titolo III - Entrate derivanti da alienazioni, da trasferimenti di capitale e da riscossioni di crediti;
Titolo IV - Entrate derivanti da accensioni di prestiti;
Titolo V - Entrate da servizi per conto di terzi.
5. La parte spesa è ordinata gradualmente in titoli, funzioni, servizi ed interventi, in relazione,
rispettivamente, ai principali aggregati economici, alle funzioni degli enti, ai singoli uffici che gestiscono un
complesso di attività ed alla natura economica dei fattori produttivi nell'àmbito di ciascun servizio.
La parte spesa è leggibile anche per programmi dei quali è fatta analitica illustrazione in apposito quadro di
sintesi del bilancio e nella relazione previsionale e programmatica.
6. I titoli della spesa sono:
Titolo I - Spese correnti;
Titolo II - Spese in conto capitale;
Titolo III - Spese per rimborso di prestiti;
Titolo IV - Spese per servizi per conto di terzi.
7. Il programma, il quale costituisce il complesso coordinato di attività, anche normative, relative alle opere
da realizzare e di interventi diretti ed indiretti, non necessariamente solo finanziari, per il raggiungimento di
un fine prestabilito, nel più vasto piano generale di sviluppo dell'ente, secondo le indicazioni dell'articolo
151, può essere compreso all'interno di una sola delle funzioni dell'ente, ma può anche estendersi a più
funzioni.
8. A ciascun servizio è correlato un reparto organizzativo, semplice o complesso, composto da persone e
mezzi, cui è preposto un responsabile.
9. A ciascun servizio è affidato, col bilancio di previsione, un complesso di mezzi finanziari, specificati negli
interventi assegnati, del quale risponde il responsabile del servizio.
10. Ciascuna risorsa dell'entrata e ciascun intervento della spesa indicano:
a) l'ammontare degli accertamenti o degli impegni risultanti dal rendiconto del penultimo anno precedente
all'esercizio di riferimento e la previsione aggiornata relativa all'esercizio in corso;
b) l'ammontare delle entrate che si prevede di accertare o delle spese che si prevede di impegnare
nell'esercizio cui il bilancio si riferisce.
11. L'avanzo ed il disavanzo di amministrazione sono iscritti in bilancio, con le modalità di cui agli articoli
187 e 188, prima di tutte le entrate e prima di tutte le spese.
12. I bilanci di previsione degli enti locali recepiscono, per quanto non contrasta con la normativa del
presente testo unico, le norme recate dalle leggi delle rispettive regioni di appartenenza per quanto concerne
le entrate e le spese relative a funzioni delegate, al fine di consentire la possibilità del controllo regionale
sulla destinazione dei fondi assegnati agli enti locali e l'omogeneità delle classificazioni di dette spese nei
bilanci di previsione degli enti rispetto a quelle contenute nei rispettivi bilanci di previsione regionali. Le
entrate e le spese per le funzioni delegate dalle regioni non possono essere collocate tra i servizi per conto di
terzi nei bilanci di previsione degli enti locali.
13. Il bilancio di previsione si conclude con più quadri riepilogativi.
14. Con il regolamento di cui all'articolo 160 sono approvati i modelli relativi al bilancio di previsione,
inclusi i quadri riepilogativi, il sistema di codifica del bilancio ed il sistema di codifica dei titoli contabili di
entrata e di spesa, anche ai fini di cui all'articolo 157.
Articolo 166 Fondo di riserva.
1. Gli enti locali iscrivono nel proprio bilancio di previsione un fondo di riserva non inferiore allo 0,30 e non
superiore al 2 per cento del totale delle spese correnti inizialmente previste in bilancio.
2. Il fondo è utilizzato, con deliberazioni dell'organo esecutivo da comunicare all'organo consiliare nei tempi
stabiliti dal regolamento di contabilità, nei casi in cui si verifichino esigenze straordinarie di bilancio o le
dotazioni degli interventi di spesa corrente si rivelino insufficienti.
Articolo 167 Ammortamento dei beni.
1. È data facoltà agli enti locali di iscrivere nell'apposito intervento di ciascun servizio l'importo
dell'ammortamento accantonato per i beni relativi, almeno per il trenta per cento del valore calcolato secondo
i criteri dell'articolo 229
2. L'utilizzazione delle somme accantonate ai fini del reinvestimento è effettuata dopo che gli importi sono
rifluiti nel risultato di amministrazione di fine esercizio ed è possibile la sua applicazione al bilancio in
conformità all'articolo 187.
Articolo 168 Servizi per conto di terzi.
1. Le entrate e le spese relative ai servizi per conto di terzi, ivi compresi i fondi economali, e che
costituiscono al tempo stesso un debito ed un credito per l'ente, sono ordinati esclusivamente in capitoli,
secondo la partizione contenuta nel regolamento di cui all'articolo 160.
2. Le previsioni e gli accertamenti d'entrata conservano l'equivalenza con le previsioni e gli impegni di spesa.
Articolo 169 Piano esecutivo di gestione.
1. Sulla base del bilancio di previsione annuale deliberato dal consiglio, l'organo esecutivo definisce, prima
dell'inizio dell'esercizio, il piano esecutivo di gestione, determinando gli obiettivi di gestione ed affidando gli
stessi, unitamente alle dotazioni necessarie, ai responsabili dei servizi.
2. Il piano esecutivo di gestione contiene una ulteriore graduazione delle risorse dell'entrata in capitoli, dei
servizi in centri di costo e degli interventi in capitoli.
3. L'applicazione dei commi 1 e 2 del presente articolo è facoltativa per gli enti locali con popolazione
inferiore a 15.000 abitanti e per le comunità montane.
Articolo 170 Relazione previsionale e programmatica.
1. Gli enti locali allegano al bilancio annuale di previsione una relazione previsionale e programmatica che
copra un periodo pari a quello del bilancio pluriennale.
2. La relazione previsionale e programmatica ha carattere generale. Illustra anzitutto le caratteristiche
generali della popolazione, del territorio, dell'economia insediata e dei servizi dell'ente, precisandone risorse
umane, strumentali e tecnologiche. Comprende, per la parte entrata, una valutazione generale sui mezzi
finanziari, individuando le fonti di finanziamento ed evidenziando l'andamento storico degli stessi ed i
relativi vincoli.
3. Per la parte spesa la relazione è redatta per programmi e per eventuali progetti, con espresso riferimento ai
programmi indicati nel bilancio annuale e nel bilancio pluriennale, rilevando l'entità e l'incidenza percentuale
della previsione con riferimento alla spesa corrente consolidata, a quella di sviluppo ed a quella di
investimento.
4. Per ciascun programma è data specificazione della finalità che si intende conseguire e delle risorse umane
e strumentali ad esso destinate, distintamente per ciascuno degli esercizi in cui si articola il programma
stesso ed è data specifica motivazione delle scelte adottate.
5. La relazione previsionale e programmatica fornisce la motivata dimostrazione delle variazioni intervenute
rispetto all'esercizio precedente.
6. Per gli organismi gestionali dell'ente locale la relazione indica anche gli obiettivi che si intendono
raggiungere, sia in termini di bilancio che in termini di efficacia, efficienza ed economicità del servizio.
7. La relazione fornisce adeguati elementi che dimostrino la coerenza delle previsioni annuali e pluriennali
con gli strumenti urbanistici, con particolare riferimento alla delibera di cui all'articolo 172, comma 1, lettera
c), e relativi piani di attuazione e con i piani economico-finanziari di cui all'articolo 201.
8. Con il regolamento di cui all'articolo 160 è approvato lo schema di relazione, valido per tutti gli enti, che
contiene le indicazioni minime necessarie a fini del consolidamento dei conti pubblici.
9. Nel regolamento di contabilità sono previsti i casi di inammissibilità e di improcedibilità per le
deliberazioni di Consiglio e di Giunta che non sono coerenti con le previsioni della relazione previsionale e
programmatica.
Articolo 171 Bilancio pluriennale.
1. Gli enti locali allegano al bilancio annuale di previsione un bilancio pluriennale di competenza, di durata
pari a quello della Regione di appartenenza e comunque non inferiore a tre anni, con osservanza dei princìpi
del bilancio di cui all'articolo 162, escluso il principio dell'annualità.
2. Il bilancio pluriennale comprende il quadro dei mezzi finanziari che si prevede di destinare per ciascuno
degli anni considerati sia alla copertura di spese correnti che al finanziamento delle spese di investimento,
con indicazione, per queste ultime, della capacità di ricorso alle fonti di finanziamento.
3. Il bilancio pluriennale per la parte di spesa è redatto per programmi, titoli, servizi ed interventi, ed indica
per ciascuno l'ammontare delle spese correnti di gestione consolidate e di sviluppo, anche derivanti
dall'attuazione degli investimenti, nonché le spese di investimento ad esso destinate, distintamente per
ognuno degli anni considerati.
4. Gli stanziamenti previsti nel bilancio pluriennale, che per il primo anno coincidono con quelli del bilancio
annuale di competenza, hanno carattere autorizzatorio, costituendo limite agli impegni di spesa, e sono
aggiornati annualmente in sede di approvazione del bilancio di previsione.
5. Con il regolamento di cui all'articolo 160 sono approvati i modelli relativi al bilancio pluriennale.
Articolo 172 Altri allegati al bilancio di previsione.
1. Al bilancio di previsione sono allegati i seguenti documenti:
a) il rendiconto deliberato del penultimo esercizio antecedente quello cui si riferisce il bilancio di previsione,
quale documento necessario per il controllo da parte del competente organo regionale;
b) le risultanze dei rendiconti o conti consolidati delle unioni di comuni, aziende speciali, consorzi,
istituzioni, società di capitali costituite per l'esercizio di servizi pubblici, relativi al penultimo esercizio
antecedente quello cui il bilancio si riferisce;
c) la deliberazione, da adottarsi annualmente prima dell'approvazione del bilancio, con la quale i comuni
verificano la quantità e qualità di aree e fabbricati da destinarsi alla residenza, alle attività produttive e
terziarie - ai sensi delle leggi 18 aprile 1962, n. 167, 22 ottobre 1971, n. 865, e 5 agosto 1978, n. 457, - che
potranno essere ceduti in proprietà od in diritto di superficie; con la stessa deliberazione i comuni
stabiliscono il prezzo di cessione per ciascun tipo di area o di fabbricato;
d) il programma triennale dei lavori pubblici di cui alla legge 11 febbraio 1994, n. 109;
e) le deliberazioni con le quali sono determinati, per l'esercizio successivo, le tariffe, le aliquote d'imposta e
le eventuali maggiori detrazioni, le variazioni dei limiti di reddito per i tributi locali e per i servizi locali,
nonché, per i servizi a domanda individuale, i tassi di copertura in percentuale del costo di gestione dei
servizi stessi;
f) la tabella relativa ai parametri di riscontro della situazione di deficitarietà strutturale prevista dalle
disposizioni vigenti in materia.
Articolo 173 Valori monetari.
1. I valori monetari contenuti nel bilancio pluriennale e nella relazione previsionale e programmatica sono
espressi con riferimento ai periodi ai quali si riferiscono, tenendo conto del tasso di inflazione programmato.
Capo II - Competenze in materia di bilanci
Articolo 174 Predisposizione ed approvazione del bilancio e dei suoi allegati.
1. Lo schema di bilancio annuale di previsione, la relazione previsionale e programmatica e lo schema di
bilancio pluriennale sono predisposti dall'organo esecutivo e da questo presentati all'organo consiliare
unitamente agli allegati ed alla relazione dell'organo di revisione.
2. Il regolamento di contabilità dell'ente prevede per tali adempimenti un congruo termine, nonché i termini
entro i quali possono essere presentati da parte dei membri dell'organo consiliare emendamenti agli schemi
di bilancio predisposti dall'organo esecutivo.
3. Il bilancio annuale di previsione è deliberato dall'organo consiliare entro il termine previsto dall'articolo
151. La relativa deliberazione ed i documenti ad essa allegati sono trasmessi dal segretario dell'ente
all'organo regionale di controllo.
4. Il termine per l'esame del bilancio da parte dell'organo regionale di controllo, previsto dall'articolo 134,
decorre dal ricevimento.
Articolo 175 Variazioni al bilancio di previsione ed al piano esecutivo di gestione.
1. Il bilancio di previsione può subire variazioni nel corso dell'esercizio di competenza sia nella parte prima,
relativa alle entrate, che nella parte seconda, relativa alle spese.
2. Le variazioni al bilancio sono di competenza dell'organo consiliare.
3. Le variazioni al bilancio possono essere deliberate non oltre il 30 novembre di ciascun anno.
4. Ai sensi dell'articolo 42 le variazioni di bilancio possono essere adottate dall'organo esecutivo in via
d'urgenza, salvo ratifica, a pena di decadenza, da parte dell'organo consiliare entro i sessanta giorni seguenti
e comunque entro il 31 dicembre dell'anno in corso se a tale data non sia scaduto il predetto termine.
5. In caso di mancata o parziale ratifica del provvedimento di variazione adottato dall'organo esecutivo,
l'organo consiliare è tenuto ad adottare nei successivi trenta giorni, e comunque sempre entro il 31 dicembre
dell'esercizio in corso, i provvedimenti ritenuti necessari nei riguardi dei rapporti eventualmente sorti sulla
base della deliberazione non ratificata.
6. Per le province, i comuni, le città metropolitane e le unioni di comuni sono vietati prelievi dagli
stanziamenti per gli interventi finanziati con le entrate iscritte nei titoli quarto e quinto per aumentare gli
stanziamenti per gli interventi finanziati con le entrate dei primi tre titoli. Per le comunità montane sono
vietati i prelievi dagli stanziamenti per gli interventi finanziati con le entrate iscritte nei titoli terzo e quarto
per aumentare gli stanziamenti per gli interventi finanziati con le entrate dei primi due titoli.
7. Sono vietati gli spostamenti di dotazioni dai capitoli iscritti nei servizi per conto di terzi in favore di altre
parti del bilancio. Sono vietati gli spostamenti di somme tra residui e competenza.
8. Mediante la variazione di assestamento generale, deliberata dall'organo consiliare dell'ente entro il 30
novembre di ciascun anno, si attua la verifica generale di tutte le voci di entrata e di uscita, compreso il
fondo di riserva, al fine di assicurare il mantenimento del pareggio di bilancio.
9. Le variazioni al piano esecutivo di gestione di cui all'articolo 169 sono di competenza dell'organo
esecutivo e possono essere adottate entro il 15 dicembre di ciascun anno.
Articolo 176 Prelevamenti dal fondo di riserva.
1. I prelevamenti dal fondo di riserva sono di competenza dell'organo esecutivo e possono essere deliberati
sino al 31 dicembre di ciascun anno
Articolo 177 Competenze dei responsabili dei servizi.
1. Il responsabile del servizio, nel caso in cui ritiene necessaria una modifica della dotazione assegnata per
sopravvenute esigenze successive all'adozione degli atti di programmazione, propone la modifica con
modalità definite dal regolamento di contabilità.
2. La mancata accettazione della proposta di modifica della dotazione deve essere motivata dall'organo
esecutivo.
TITOLO III Gestione del bilancio
Capo I - Entrate
Articolo 178 Fasi dell'entrata.
1. Le fasi di gestione delle entrate sono l'accertamento, la riscossione ed il versamento.
Articolo 179 Accertamento.
1. L'accertamento costituisce la prima fase di gestione dell'entrata mediante la quale, sulla base di idonea
documentazione, viene verificata la ragione del credito e la sussistenza di un idoneo titolo giuridico,
individuato il debitore, quantificata la somma da incassare, nonché fissata la relativa scadenza.
2. L'accertamento delle entrate avviene:
a) per le entrate di carattere tributario, a seguito di emissione di ruoli o a seguito di altre forme stabilite per
legge;
b) per le entrate patrimoniali e per quelle provenienti dalla gestione di servizi a carattere produttivo e di
quelli connessi a tariffe o contribuzioni dell'utenza, a seguito di acquisizione diretta o di emissione di liste di
carico;
c) per le entrate relative a partite compensative delle spese, in corrispondenza dell'assunzione del relativo
impegno di spesa;
d) per le altre entrate, anche di natura eventuale o variabile, mediante contratti, provvedimenti giudiziari o
atti amministrativi specifici.
3. Il responsabile del procedimento con il quale viene accertata l'entrata trasmette al responsabile del servizio
finanziario l'idonea documentazione di cui al comma 2, ai fini dell'annotazione nelle scritture contabili,
secondo i tempi ed i modi previsti dal regolamento di contabilità dell'ente.
Articolo 180 Riscossione.
1. La riscossione costituisce la successiva fase del procedimento dell'entrata, che consiste nel materiale
introito da parte del tesoriere o di altri eventuali incaricati della riscossione delle somme dovute all'ente.
2. La riscossione è disposta a mezzo di ordinativo di incasso, fatto pervenire al tesoriere nelle forme e nei
tempi previsti dalla convenzione di cui all'articolo 210.
3. L'ordinativo d'incasso è sottoscritto dal responsabile del servizio finanziario o da altro dipendente
individuato dal regolamento di contabilità e contiene almeno:
a) l'indicazione del debitore;
b) l'ammontare della somma da riscuotere;
c) la causale;
d) gli eventuali vincoli di destinazione delle somme;
e) l'indicazione della risorsa o del capitolo di bilancio cui è riferita l'entrata, distintamente per residui o
competenza;
f) la codifica;
g) il numero progressivo;
h) l'esercizio finanziario e la data di emissione.
4. Il tesoriere deve accettare, senza pregiudizio per i diritti dell'ente, la riscossione di ogni somma, versata in
favore dell'ente, anche senza la preventiva emissione di ordinativo d'incasso. In tale ipotesi il tesoriere ne dà
immediata comunicazione all'ente, richiedendo la regolarizzazione.
Articolo 181 Versamento.
1. Il versamento costituisce l'ultima fase dell'entrata, consistente nel trasferimento delle somme riscosse nelle
casse dell'ente.
2. Gli incaricati della riscossione, interni ed esterni, versano al tesoriere le somme riscosse nei termini e nei
modi fissati dalle disposizioni vigenti e da eventuali accordi convenzionali, salvo quelli a cui si applicano gli
articoli 22 e seguenti del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112.
3. Gli incaricati interni, designati con provvedimento formale dell'amministrazione, versano le somme
riscosse presso la tesoreria dell'ente con cadenza stabilita dal regolamento di contabilità
Capo II - Spese
Articolo 182 Fasi della spesa.
1. Le fasi di gestione della spesa sono l'impegno, la liquidazione, l'ordinazione ed il pagamento
Articolo 183 Impegno di spesa.
1. L'impegno costituisce la prima fase del procedimento di spesa, con la quale, a seguito di obbligazione
giuridicamente perfezionata è determinata la somma da pagare, determinato il soggetto creditore, indicata la
ragione e viene costituito il vincolo sulle previsioni di bilancio, nell'àmbito della disponibilità finanziaria
accertata ai sensi dell'articolo 151.
2. Con l'approvazione del bilancio e successive variazioni, e senza la necessità di ulteriori atti, è costituito
impegno sui relativi stanziamenti per le spese dovute:
a) per il trattamento economico tabellare già attribuito al personale dipendente e per i relativi oneri riflessi;
b) per le rate di ammortamento dei mutui e dei prestiti, interessi di preammortamento ed ulteriori oneri
accessori;
c) per le spese dovute nell'esercizio in base a contratti o disposizioni di legge.
3. Durante la gestione possono anche essere prenotati impegni relativi a procedure in via di espletamento. I
provvedimenti relativi per i quali entro il termine dell'esercizio non è stata assunta dall'ente l'obbligazione di
spesa verso i terzi decadono e costituiscono economia della previsione di bilancio alla quale erano riferiti,
concorrendo alla determinazione del risultato contabile di amministrazione di cui all'articolo 186. Quando la
prenotazione di impegno è riferita a procedure di gara bandite prima della fine dell'esercizio e non concluse
entro tale termine, la prenotazione si tramuta in impegno e conservano validità gli atti ed i provvedimenti
relativi alla gara già adottati.
4. Costituiscono inoltre economia le minori spese sostenute rispetto all'impegno assunto, verificate con la
conclusione della fase della liquidazione.
5. Le spese in conto capitale si considerano impegnate ove sono finanziate nei seguenti modi:
a) con l'assunzione di mutui a specifica destinazione si considerano impegnate in corrispondenza e per
l'ammontare del mutuo, contratto o già concesso, e del relativo prefinanziamento accertato in entrata;
b) con quota dell'avanzo di amministrazione si considerano impegnate in corrispondenza e per l'ammontare
dell'avanzo di amministrazione accertato;
c) con l'emissione di prestiti obbligazionari si considerano impegnate in corrispondenza e per l'ammontare
del prestito sottoscritto;
d) con entrate proprie si considerano impegnate in corrispondenza e per l'ammontare delle entrate accertate.
Si considerano, altresì, impegnati gli stanziamenti per spese correnti e per spese di investimento correlati ad
accertamenti di entrate aventi destinazione vincolata per legge.
6. Possono essere assunti impegni di spesa sugli esercizi successivi, compresi nel bilancio pluriennale, nel
limite delle previsioni nello stesso comprese.
7. Per le spese che per la loro particolare natura hanno durata superiore a quella del bilancio pluriennale e per
quelle determinate che iniziano dopo il periodo considerato dal bilancio pluriennale si tiene conto nella
formazione dei bilanci seguenti degli impegni relativi, rispettivamente, al periodo residuale ed al periodo
successivo.
8. Gli atti di cui ai commi 3, 5 e 6 sono trasmessi in copia al servizio finanziario dell'ente, nel termine e con
le modalità previste dal regolamento di contabilità.
9. Il regolamento di contabilità disciplina le modalità con le quali i responsabili dei servizi assumono atti di
impegno. A tali atti, da definire «determinazioni» e da classificarsi con sistemi di raccolta che individuano la
cronologia degli atti e l'ufficio di provenienza, si applicano, in via preventiva, le procedure di cui all'articolo
151, comma 4.
Articolo 184 Liquidazione della spesa.
1. La liquidazione costituisce la successiva fase del procedimento di spesa attraverso la quale, in base ai
documenti ed ai titoli atti a comprovare il diritto acquisito del creditore, si determina la somma certa e
liquida da pagare nei limiti dell'ammontare dell'impegno definitivo assunto.
2. La liquidazione compete all'ufficio che ha dato esecuzione al provvedimento di spesa ed è disposta sulla
base della documentazione necessaria a comprovare il diritto del creditore, a seguito del riscontro operato
sulla regolarità della fornitura o della prestazione e sulla rispondenza della stessa ai requisiti quantitativi e
qualitativi, ai termini ed alle condizioni pattuite.
3. L'atto di liquidazione, sottoscritto dal responsabile del servizio proponente, con tutti i relativi documenti
giustificativi ed i riferimenti contabili è trasmesso al servizio finanziario per i conseguenti adempimenti.
4. Il servizio finanziario effettua, secondo i princìpi e le procedure della contabilità pubblica, i controlli e
riscontri amministrativi, contabili e fiscali sugli atti di liquidazione.
Articolo 185 Ordinazione e pagamento.
1. L'ordinazione consiste nella disposizione impartita, mediante il mandato di pagamento, al tesoriere
dell'ente locale di provvedere al pagamento delle spese.
2. Il mandato di pagamento è sottoscritto dal dipendente dell'ente individuato dal regolamento di contabilità
nel rispetto delle leggi vigenti e contiene almeno i seguenti elementi:
a) il numero progressivo del mandato per esercizio finanziario;
b) la data di emissione;
c) l'intervento o il capitolo per i servizi per conto di terzi sul quale la spesa è allocata e la relativa
disponibilità, distintamente per competenza o residui;
d) la codifica;
e) l'indicazione del creditore e, se si tratta di persona diversa, del soggetto tenuto a rilasciare quietanza,
nonché, ove richiesto, il relativo codice fiscale o la partita IVA;
f) l'ammontare della somma dovuta e la scadenza, qualora sia prevista dalla legge o sia stata concordata con
il creditore;
g) la causale e gli estremi dell'atto esecutivo che legittima l'erogazione della spesa;
h) le eventuali modalità agevolative di pagamento se richieste dal creditore;
i) il rispetto degli eventuali vincoli di destinazione.
3. Il mandato di pagamento è controllato, per quanto attiene alla sussistenza dell'impegno e della
liquidazione, dal servizio finanziario, che provvede altresì alle operazioni di contabilizzazione e di
trasmissione al tesoriere.
4. Il tesoriere effettua i pagamenti derivanti da obblighi tributari, da somme iscritte a ruolo, da delegazioni di
pagamento, e da altri obblighi di legge, anche in assenza della preventiva emissione del relativo mandato di
pagamento. Entro quindici giorni e comunque entro il termine del mese in corso l'ente locale emette il
relativo mandato ai fini della regolarizzazione
Capo III - Risultato di amministrazione e residui
Articolo 186 Risultato contabile di amministrazione.
1. Il risultato contabile di amministrazione è accertato con l'approvazione del rendiconto dell'ultimo esercizio
chiuso ed è pari al fondo di cassa aumentato dei residui attivi e diminuito dei residui passivi
Articolo 187 Avanzo di amministrazione.
1. L'avanzo di amministrazione è distinto in fondi non vincolati, fondi vincolati, fondi per finanziamento
spese in conto capitale e fondi di ammortamento.
2. L'eventuale avanzo di amministrazione, accertato ai sensi dell'articolo 186, può essere utilizzato:
a) per il reinvestimento delle quote accantonate per ammortamento, provvedendo, ove l'avanzo non sia
sufficiente, ad applicare nella parte passiva del bilancio un importo pari alla differenza;
b) per la copertura dei debiti fuori bilancio riconoscibili a norma dell'articolo 194;
c) per i provvedimenti necessari per la salvaguardia degli equilibri di bilancio di cui all'articolo 193 ove non
possa provvedersi con mezzi ordinari, per il finanziamento delle spese di funzionamento non ripetitive in
qualsiasi periodo dell'esercizio e per le altre spese correnti solo in sede di assestamento;
d) per il finanziamento di spese di investimento.
3. Nel corso dell'esercizio al bilancio di previsione può essere applicato, con delibera di variazione, l'avanzo
di amministrazione presunto derivante dall'esercizio immediatamente precedente con la finalizzazione di cui
alle lettere a), b) e c) del comma 2. Per tali fondi l'attivazione delle spese può avvenire solo dopo
l'approvazione del conto consuntivo dell'esercizio precedente, con eccezione dei fondi, contenuti nell'avanzo,
aventi specifica destinazione e derivanti da accantonamenti effettuati con l'ultimo consuntivo approvato, i
quali possono essere immediatamente attivati
Articolo 188 Disavanzo di amministrazione.
1. L'eventuale disavanzo di amministrazione, accertato ai sensi dell'articolo 186, è applicato al bilancio di
previsione nei modi e nei termini di cui all'articolo 193, in aggiunta alle quote di ammortamento accantonate
e non disponibili nel risultato contabile di amministrazione
Articolo 189 Residui attivi.
1. Costituiscono residui attivi le somme accertate e non riscosse entro il termine dell'esercizio.
2. Sono mantenute tra i residui dell'esercizio esclusivamente le entrate accertate per le quali esiste un titolo
giuridico che costituisca l'ente locale creditore della correlativa entrata.
3. Alla chiusura dell'esercizio costituiscono residui attivi le somme derivanti da mutui per i quali è
intervenuta la concessione definitiva da parte della Cassa depositi e prestiti o degli Istituti di previdenza
ovvero la stipulazione del contratto per i mutui concessi da altri Istituti di credito.
4. Le somme iscritte tra le entrate di competenza e non accertate entro il termine dell'esercizio costituiscono
minori accertamenti rispetto alle previsioni e, a tale titolo, concorrono a determinare i risultati finali della
Articolo 190 Residui passivi.
1. Costituiscono residui passivi le somme impegnate e non pagate entro il termine dell'esercizio.
2. È vietata la conservazione nel conto dei residui di somme non impegnate ai sensi dell'articolo 183.
3. Le somme non impegnate entro il termine dell'esercizio costituiscono economia di spesa e, a tale titolo,
concorrono a determinare i risultati finali della gestione
Capo IV - Princìpi di gestione e controllo di gestione
Articolo 191 Regole per l'assunzione di impegni e per l'effettuazione di spese.
1. Gli enti locali possono effettuare spese solo se sussiste l'impegno contabile registrato sul competente
intervento o capitolo del bilancio di previsione e l'attestazione della copertura finanziaria di cui all'articolo
153, comma 5. Il responsabile del servizio, conseguita l'esecutività del provvedimento di spesa, comunica al
terzo interessato l'impegno e la copertura finanziaria, contestualmente all'ordinazione della prestazione, con
l'avvertenza che la successiva fattura deve essere completata con gli estremi della suddetta comunicazione.
Fermo restando quanto disposto al comma 4, il terzo interessato, in mancanza della comunicazione, ha
facoltà di non eseguire la prestazione sino a quando i dati non gli vengano comunicati.
2. Per le spese previste dai regolamenti economali l'ordinazione fatta a terzi contiene il riferimento agli stessi
regolamenti, all'intervento o capitolo di bilancio ed all'impegno.
3. Per i lavori pubblici di somma urgenza, cagionati dal verificarsi di un evento eccezionale o imprevedibile,
l'ordinazione fatta a terzi è regolarizzata, a pena di decadenza, entro trenta giorni e comunque entro il 31
dicembre dell'anno in corso se a tale data non sia scaduto il predetto termine. La comunicazione al terzo
interessato è data contestualmente alla regolarizzazione.
4. Nel caso in cui vi è stata l'acquisizione di beni e servizi in violazione dell'obbligo indicato nei commi 1, 2
e 3, il rapporto obbligatorio intercorre, ai fini della controprestazione e per la parte non riconoscibile ai sensi
dell'articolo 194, comma 1, lettera e), tra il privato fornitore e l'amministratore, funzionario o dipendente che
hanno consentito la fornitura. Per le esecuzioni reiterate o continuative detto effetto si estende a coloro che
hanno reso possibili le singole prestazioni.
5. Agli enti locali che presentino, nell'ultimo rendiconto deliberato, disavanzo di amministrazione ovvero
indichino debiti fuori bilancio per i quali non sono stati validamente adottati i provvedimenti di cui
all'articolo 193, è fatto divieto di assumere impegni e pagare spese per servizi non espressamente previsti per
legge. Sono fatte salve le spese da sostenere a fronte di impegni già assunti nei precedenti esercizi
Articolo 192 Determinazioni a contrattare e relative procedure.
1. La stipulazione dei contratti deve essere preceduta da apposita determinazione del responsabile del
procedimento di spesa indicante:
a) il fine che con il contratto si intende perseguire;
b) l'oggetto del contratto, la sua forma e le clausole ritenute essenziali;
c) le modalità di scelta del contraente ammesse dalle disposizioni vigenti in materia di contratti delle
pubbliche amministrazioni e le ragioni che ne sono alla base.
2. Si applicano, in ogni caso, le procedure previste dalla normativa della Unione europea recepita o
comunque vigente nell'ordinamento giuridico italiano
Articolo 193 Salvaguardia degli equilibri di bilancio.
1. Gli enti locali rispettano durante la gestione e nelle variazioni di bilancio il pareggio finanziario e tutti gli
equilibri stabiliti in bilancio per la copertura delle spese correnti e per il finanziamento degli investimenti,
secondo le norme contabili recate dal presente testo unico.
2. Con periodicità stabilita dal regolamento di contabilità dell'ente locale, e comunque almeno una volta
entro il 30 settembre di ciascun anno, l'organo consiliare provvede con delibera ad effettuare la ricognizione
sullo stato di attuazione dei programmi. In tale sede l'organo consiliare dà atto del permanere degli equilibri
generali di bilancio o, in caso di accertamento negativo, adotta contestualmente i provvedimenti necessari
per il ripiano degli eventuali debiti di cui all'articolo 194, per il ripiano dell'eventuale disavanzo di
amministrazione risultante dal rendiconto approvato e, qualora i dati della gestione finanziaria facciano
prevedere un disavanzo, di amministrazione o di gestione, per squilibrio della gestione di competenza ovvero
della gestione dei residui, adotta le misure necessarie a ripristinare il pareggio. La deliberazione è allegata al
rendiconto dell'esercizio relativo.
3. Ai fini del comma 2 possono essere utilizzate per l'anno in corso e per i due successivi tutte le entrate e le
disponibilità, ad eccezione di quelle provenienti dall'assunzione di prestiti e di quelle aventi specifica
destinazione per legge, nonché i proventi derivanti da alienazione di beni patrimoniali disponibili.
4. La mancata adozione, da parte dell'ente, dei provvedimenti di riequilibrio previsti dal presente articolo è
equiparata ad ogni effetto alla mancata approvazione del bilancio di previsione di cui all'articolo 141, con
applicazione della procedura prevista dal comma 2 del medesimo articolo.
Articolo 194 Riconoscimento di legittimità di debiti fuori bilancio.
1. Con deliberazione consiliare di cui all'articolo 193, comma 2, o con diversa periodicità stabilita dai
regolamenti di contabilità, gli enti locali riconoscono la legittimità dei debiti fuori bilancio derivanti da:
a) sentenze esecutive;
b) copertura di disavanzi di consorzi, di aziende speciali e di istituzioni, nei limiti degli obblighi derivanti da
statuto, convenzione o atti costitutivi, purché sia stato rispettato l'obbligo di pareggio del bilancio di cui
all'articolo 114 ed il disavanzo derivi da fatti di gestione;
c) ricapitalizzazione, nei limiti e nelle forme previste dal codice civile o da norme speciali, di società di
capitali costituite per l'esercizio di servizi pubblici locali;
d) procedure espropriative o di occupazione d'urgenza per opere di pubblica utilità;
e) acquisizione di beni e servizi, in violazione degli obblighi di cui ai commi 1, 2 e 3 dell'articolo 191, nei
limiti degli accertati e dimostrati utilità ed arricchimento per l'ente, nell'àmbito dell'espletamento di
pubbliche funzioni e servizi di competenza.
2. Per il pagamento l'ente può provvedere anche mediante un piano di rateizzazione, della durata di tre anni
finanziari compreso quello in corso, convenuto con i creditori.
3. Per il finanziamento delle spese suddette, ove non possa documentalmente provvedersi a norma
dell'articolo 193, comma 3, l'ente locale può far ricorso a mutui ai sensi degli articoli 202 e seguenti.
Nella relativa deliberazione consiliare viene dettagliatamente motivata l'impossibilità di utilizzare altre
risorse
Articolo 195 Utilizzo di entrate a specifica destinazione.
1. Gli enti locali, ad eccezione degli enti in stato di dissesto finanziario sino all'emanazione del decreto di cui
all'articolo 261, comma 3, possono disporre l'utilizzo, in termini di cassa, di entrate aventi specifica
destinazione per il finanziamento di spese correnti, anche se provenienti dall'assunzione di mutui con istituti
diversi dalla Cassa depositi e prestiti, per un importo non superiore all'anticipazione di tesoreria disponibile
ai sensi dell'articolo 222.
2. L'utilizzo di somme a specifica destinazione presuppone l'adozione della deliberazione della Giunta
relativa all'anticipazione di tesoreria di cui all'articolo 222, comma 1, e viene deliberato in termini generali
all'inizio di ciascun esercizio ed è attivato dal tesoriere su specifiche richieste del servizio finanziario
dell'ente.
3. Il ricorso all'utilizzo delle somme a specifica destinazione, secondo le modalità di cui ai commi 1 e 2,
vincola una quota corrispondente dell'anticipazione di tesoreria. Con i primi introiti non soggetti a vincolo di
destinazione viene ricostituita la consistenza delle somme vincolate che sono state utilizzate per il pagamento
di spese correnti.
4. Gli enti locali che hanno deliberato alienazioni del patrimonio ai sensi dell'articolo 193 possono, nelle
more del perfezionamento di tali atti, utilizzare in termini di cassa le somme a specifica destinazione, fatta
eccezione per i trasferimenti di enti del settore pubblico allargato e del ricavato dei mutui e dei prestiti, con
obbligo di reintegrare le somme vincolate con il ricavato delle alienazioni
Articolo 196 Controllo di gestione.
1. Al fine di garantire la realizzazione degli obiettivi programmati, la corretta ed economica gestione delle
risorse pubbliche, l'imparzialità ed il buon andamento della pubblica amministrazione e la trasparenza
dell'azione amministrativa, gli enti locali applicano il controllo di gestione secondo le modalità stabilite dal
presente titolo, dai propri statuti e regolamenti di contabilità.
2. Il controllo di gestione è la procedura diretta a verificare lo stato di attuazione degli obiettivi programmati
e, attraverso l'analisi delle risorse acquisite e della comparazione tra i costi e la quantità e qualità dei servizi
offerti, la funzionalità dell'organizzazione dell'ente, l'efficacia, l'efficienza ed il livello di economicità
nell'attività di realizzazione dei predetti obiettivi
Articolo 197 Modalità del controllo di gestione.
1. Il controllo di gestione, di cui all'articolo 147, comma 1 lettera b), ha per oggetto l'intera attività
amministrativa e gestionale delle province, dei comuni, delle comunità montane, delle unioni dei comuni e
delle città metropolitane ed è svolto con una cadenza periodica definita dal regolamento di contabilità
dell'ente.
2. Il controllo di gestione si articola almeno in tre fasi:
a) predisposizione di un piano dettagliato di obiettivi;
b) rilevazione dei dati relativi ai costi ed ai proventi nonché rilevazione dei risultati raggiunti;
c) valutazione dei dati predetti in rapporto al piano degli obiettivi al fine di verificare il loro stato di
attuazione e di misurare l'efficacia, l'efficienza ed il grado di economicità dell'azione intrapresa.
3. Il controllo di gestione è svolto in riferimento ai singoli servizi e centri di costo, ove previsti, verificando
in maniera complessiva e per ciascun servizio i mezzi finanziari acquisiti, i costi dei singoli fattori produttivi,
i risultati qualitativi e quantitativi ottenuti e, per i servizi a carattere produttivo, i ricavi.
4. La verifica dell'efficacia, dell'efficienza e della economicità dell'azione amministrativa è svolta
rapportando le risorse acquisite ed i costi dei servizi, ove possibile per unità di prodotto, ai dati risultanti dal
rapporto annuale sui parametri gestionali dei servizi degli enti locali di cui all'articolo 228, comma 7
Articolo 198 Referto del controllo di gestione.
1. La struttura operativa alla quale è assegnata la funzione del controllo di gestione fornisce le conclusioni
del predetto controllo agli amministratori ai fini della verifica dello stato di attuazione degli obiettivi
programmati ed ai responsabili dei servizi affinché questi ultimi abbiano gli elementi necessari per valutare
l'andamento della gestione dei servizi di cui sono responsabili
TITOLO IV Investimenti
Capo I - Princìpi generali
Articolo 199 Fonti di finanziamento.
1. Per l'attivazione degli investimenti gli enti locali possono utilizzare:
a) entrate correnti destinate per legge agli investimenti;
b) avanzi di bilancio, costituiti da eccedenze di entrate correnti rispetto alle spese correnti aumentate delle
quote capitali di ammortamento dei prestiti;
c) entrate derivanti dall'alienazione di beni e diritti patrimoniali, riscossioni di crediti, proventi da
concessioni edilizie e relative sanzioni;
d) entrate derivanti da trasferimenti in conto capitale dello Stato, delle Regioni, da altri interventi pubblici e
privati finalizzati agli investimenti, da interventi finalizzati da parte di organismi comunitari e internazionali;
e) avanzo di amministrazione, nelle forme disciplinate dall'articolo 187;
f) mutui passivi;
g) altre forme di ricorso al mercato finanziario consentite dalla legge
Articolo 200 Programmazione degli investimenti.
1. Per tutti gli investimenti degli enti locali, comunque finanziati, l'organo deliberante, nell'approvare il
progetto od il piano esecutivo dell'investimento, dà atto della copertura delle maggiori spese derivanti dallo
stesso nel bilancio pluriennale originario, eventualmente modificato dall'organo consiliare, ed assume
impegno di inserire nei bilanci pluriennali successivi le ulteriori o maggiori previsioni di spesa relative ad
esercizi futuri, delle quali è redatto apposito elenco.
Articolo 201 Finanziamento di opere pubbliche e piano economico-finanziario.
1. Gli enti locali e le aziende speciali sono autorizzate ad assumere mutui, anche se assistiti da contributi
dello Stato o delle regioni, per il finanziamento di opere pubbliche destinate all'esercizio di servizi pubblici,
soltanto se i contratti di appalto sono realizzati sulla base di progetti «chiavi in mano» ed a prezzo non
modificabile in aumento, con procedura di evidenza pubblica e con esclusione della trattativa privata.
2. Per le nuove opere di cui al comma 1 il cui progetto generale comporti una spesa superiore al miliardo di
lire, gli enti di cui al comma 1 approvano un piano economico-finanziario diretto ad accertare l'equilibrio
economico-finanziario dell'investimento e della connessa gestione, anche in relazione agli introiti previsti ed
al fine della determinazione delle tariffe.
3. [Il piano economico-finanziario deve essere preventivamente assentito da una banca scelta tra gli istituti
indicati con decreto emanato dal Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica] (189).
4. Le tariffe dei servizi pubblici di cui al comma 1 sono determinati in base ai seguenti criteri:
a) la corrispondenza tra costi e ricavi in modo da assicurare la integrale copertura dei costi, ivi compresi gli
oneri di ammortamento tecnico finanziario;
b) l'equilibrato rapporto tra i finanziamenti raccolti ed il capitale investito;
c) l'entità dei costi di gestione delle opere, tenendo conto anche degli investimenti e della qualità del servizio
(190).
(189) Comma abrogato dall'art. 1, D.L. 27 dicembre 2000, n. 392, nel testo integrato dalla relativa legge di
conversione.
(190) Il presente articolo corrisponde all'art. 43 comma 2 e 3, D.Lgs. 25 febbraio 1995, n. 77, e ai commi da
1 a 4 dell'art. 46, D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, ora abrogati.
Capo II - Fonti di finanziamento mediante indebitamento
Articolo 202 Ricorso all'indebitamento.
1. Il ricorso all'indebitamento da parte degli enti locali è ammesso esclusivamente nelle forme previste dalle
leggi vigenti in materia e per la realizzazione degli investimenti. Può essere fatto ricorso a mutui passivi per
il finanziamento dei debiti fuori bilancio di cui all'articolo 194 e per altre destinazioni di legge.
2. Le relative entrate hanno destinazione vincolata.
Articolo 203 Attivazione delle fonti di finanziamento derivanti dal ricorso all'indebitamento.
1. Il ricorso all'indebitamento è possibile solo se sussistono le seguenti condizioni:
a) avvenuta approvazione del rendiconto dell'esercizio del penultimo anno precedente quello in cui si intende
deliberare il ricorso a forme di indebitamento;
b) avvenuta deliberazione del bilancio annuale nel quale sono incluse le relative previsioni.
2. Ove nel corso dell'esercizio si renda necessario attuare nuovi investimenti o variare quelli già in atto,
l'organo consiliare adotta apposita variazione al bilancio annuale, fermo restando l'adempimento degli
obblighi di cui al comma 1. Contestualmente modifica il bilancio pluriennale e la relazione previsionale e
programmatica per la copertura degli oneri derivanti dall'indebitamento e per la copertura delle spese di
gestione.
Articolo 204 Regole particolari per l'assunzione di mutui.
1. Oltre al rispetto delle condizioni di cui all'articolo 203, l'ente locale può assumere nuovi mutui solo se
l'importo annuale degli interessi sommato a quello dei mutui precedentemente contratti, a quello dei prestiti
obbligazionari precedentemente emessi ed a quello derivante da garanzie prestate ai sensi dell'articolo 207, al
netto dei contributi statali e regionali in conto interessi, non supera il 25 per cento delle entrate relative ai
primi tre titoli delle entrate del rendiconto del penultimo anno precedente quello in cui viene prevista
l'assunzione dei mutui. Per le comunità montane si fa riferimento ai primi due titoli delle entrate. Per gli enti
locali di nuova istituzione si fa riferimento, per i primi due anni, ai corrispondenti dati finanziari del bilancio
di previsione (192/a).
2. I contratti di mutuo con enti diversi dalla Cassa depositi e prestiti, dall'Istituto nazionale di previdenza per
i dipendenti dell'amministrazione pubblica e dall'Istituto per il credito sportivo, devono, a pena di nullità,
essere stipulati in forma pubblica e contenere le seguenti clausole e condizioni:
a) l'ammortamento non può avere durata inferiore a dieci anni;
b) la decorrenza dell'ammortamento deve essere fissata al primo gennaio dell'anno successivo a quello della
stipula del contratto; a richiesta dell'ente mutuatario, gli istituti di credito abilitati sono tenuti, anche in
deroga ai loro statuti, a far decorrere l'ammortamento dal primo gennaio del secondo anno successivo a
quello in cui è avvenuta la stipula del contratto;
c) la rata di ammortamento deve essere comprensiva, sin dal primo anno, della quota capitale e della quota
interessi;
d) unitamente alla prima rata di ammortamento del mutuo cui si riferiscono devono essere corrisposti gli
eventuali interessi di preammortamento, gravati degli ulteriori interessi, al medesimo tasso, decorrenti dalla
data di inizio dell'ammortamento e sino alla scadenza della prima rata. Qualora l'ammortamento del mutuo
decorra dal primo gennaio del secondo anno successivo a quello in cui è avvenuta la stipula del contratto, gli
interessi di preammortamento sono calcolati allo stesso tasso del mutuo dalla data di valuta della
somministrazione al 31 dicembre successivo e dovranno essere versati dall'ente mutuatario con la medesima
valuta 31 dicembre successivo;
e) deve essere indicata la natura della spesa da finanziare con il mutuo e, ove necessario, avuto riguardo alla
tipologia dell'investimento, dato atto dell'intervenuta approvazione del progetto definitivo o esecutivo,
secondo le norme vigenti;
f) deve essere rispettata la misura massima del tasso di interesse applicabile ai mutui, determinato
periodicamente dal Ministro del tesoro, bilancio e programmazione economica con proprio decreto.
3. L'ente mutuatario utilizza il ricavato del mutuo sulla base dei documenti giustificativi della spesa ovvero
sulla base di stati di avanzamento dei lavori. Ai relativi titoli di spesa è data esecuzione dai tesorieri solo se
corredati di una dichiarazione dell'ente locale che attesti il rispetto delle predette modalità di utilizzo
(192/a) Comma così modificato dal comma 7 dell'art. 27, L. 28 dicembre 2001, n. 448.
Articolo 205 Attivazione di prestiti obbligazionari.
1. Gli enti locali sono autorizzati ad attivare prestiti obbligazionari nelle forme consentite dalla legge.
De Agostini Professionale - LEGGI D'ITALIA (testo vigente)
Aggiornamento alla GU 28/05/2002
187. ISTITUTI DI PATRONATO E DI ASSISTENZA SOCIALE
L. 30 marzo 2001, n. 152
Nuova disciplina per gli istituti di patronato e di assistenza sociale.
1. Finalità e natura giuridica degli istituti di patronato.
1. In attuazione degli articoli 2, 3, secondo comma, 18, 31, secondo comma, 32, 35 e 38 della Costituzione,
la presente legge detta i princìpi e le norme per la costituzione, il riconoscimento e la valorizzazione degli
istituti di patronato e di assistenza sociale quali persone giuridiche di diritto privato che svolgono un servizio
di pubblica utilità.
2. Soggetti promotori.
1. Possono costituire e gestire gli istituti di patronato e di assistenza sociale, su iniziativa singola o associata,
le confederazioni e le associazioni nazionali di lavoratori che:
a) siano costituite ed operino in modo continuativo da almeno tre anni;
b) abbiano sedi proprie in almeno un terzo delle regioni e in un terzo delle province del territorio nazionale;
c) dimostrino di possedere i mezzi finanziari e tecnici necessari per la costituzione e la gestione degli istituti
di patronato e di assistenza sociale;
d) perseguano, secondo i rispettivi statuti, finalità assistenziali.
2. Il requisito di cui alla lettera b) del comma 1 non è necessario per le confederazioni e le associazioni
operanti nelle province autonome di Trento e di Bolzano.
3. Costituzione e riconoscimento.
1. La domanda di costituzione e riconoscimento degli istituti di patronato e di assistenza sociale è presentata
al Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Restano altresì fermi le competenze del Ministero del
lavoro e della previdenza sociale in ordine al riconoscimento della personalità giuridica attribuite da
previgenti disposizioni e i relativi adempimenti ivi previsti.
2. Alla domanda deve essere allegato un progetto contenente tutte le indicazioni finanziarie, tecniche e
organizzative per l'apertura di sedi in almeno un terzo delle regioni e in un terzo delle province del territorio
nazionale.
3. La costituzione degli istituti è approvata con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale
entro novanta giorni dalla data di presentazione della domanda.
4. Entro un anno dalla data della domanda di riconoscimento il Ministero del lavoro e della previdenza
sociale accerta la realizzazione del progetto di cui al comma 2 e concede il riconoscimento definitivo.
5. Gli istituti di patronato e di assistenza sociale che abbiano ottenuto il riconoscimento definitivo di cui al
comma 4 hanno l'obbligo di iscrizione nel registro delle persone giuridiche presso la prefettura del luogo ove
hanno la sede legale e svolgono la loro attività.
6. Non possono presentare domanda di riconoscimento le confederazioni e le associazioni che nel
quinquennio precedente abbiano costituito un altro istituto di patronato e di assistenza sociale il quale non
abbia ottenuto il riconoscimento definitivo a norma del comma 4 o sia stato sottoposto alle procedure di cui
all'articolo 16 della presente legge.
7. Il progetto di cui al comma 2 non deve essere presentato da parte delle associazioni operanti nelle province
autonome di Trento e di Bolzano che intendono promuovere la costituzione di istituti di patronato e di
assistenza sociale a norma dell'articolo 2, comma 2.
4. Atto costitutivo e statuto.
1. Lo statuto degli istituti di patronato e di assistenza sociale deve indicare:
a) l'organizzazione promotrice;
b) la denominazione dell'istituto;
c) la sede legale;
d) l'articolazione territoriale delle strutture e degli organi rappresentativi dell'istituto;
e) gli organi di amministrazione e di controllo;
f) le finalità e le funzioni dell'istituto, conformemente a quanto stabilito dalla presente legge;
g) la gratuità delle prestazioni, salve le eccezioni stabilite dalla presente legge;
h) la dotazione finanziaria e i mezzi economici.
2. Le modificazioni dell'atto costitutivo e dello statuto devono essere notificate e approvate dal Ministero del
lavoro e della previdenza sociale. Qualora entro sessanta giorni dalla data di notifica il Ministero non formuli
proprie osservazioni, le modificazioni si intendono approvate.
3. I membri degli organi di controllo di cui al comma 1, lettera e), devono essere iscritti nel registro dei
revisori contabili secondo le disposizioni del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 88, e successive
modificazioni.
5. Convenzioni.
1. Le confederazioni e le associazioni di lavoratori che non hanno promosso un istituto di patronato e di
assistenza sociale possono avvalersi dei servizi di un istituto di patronato già costituito. A tale fine devono
essere sottoscritte apposite convenzioni da notificare al Ministero del lavoro e della previdenza sociale.
Qualora nei trenta giorni successivi il Ministro non formuli proprie osservazioni, le stesse si intendono
approvate.
6. Operatori.
1. Per lo svolgimento delle proprie attività operative, gli istituti di patronato e di assistenza sociale possono
avvalersi esclusivamente di lavoratori subordinati dipendenti degli istituti stessi o dipendenti delle
organizzazioni promotrici, se comandati presso gli istituti stessi con provvedimento notificato alla Direzione
provinciale del lavoro e per l'estero alle autorità consolari e diplomatiche.
2. È ammessa la possibilità di avvalersi, occasionalmente, di collaboratori che operino in modo volontario e
gratuito esclusivamente per lo svolgimento dei compiti di informazione, di istruzione delle pratiche, nonché
di raccolta e consegna delle pratiche agli assistiti e agli operatori o, su indicazione di questi ultimi, ai soggetti
erogatori delle prestazioni. In ogni caso, ai collaboratori di cui al presente comma non possono essere
attribuiti poteri di rappresentanza degli assistiti. Resta fermo il diritto dei collaboratori al rimborso delle
spese autorizzate secondo accordo ed effettivamente sostenute e debitamente documentate, per l'esecuzione
dei compiti affidati. Le modalità di svolgimento delle suddette collaborazioni devono risultare da accordo
scritto vistato dalla competente Direzione provinciale del lavoro e per l'estero dalle autorità consolari e
diplomatiche.
3. Esclusivamente in relazione all'attività di cui agli articoli 8 e 10 e per periodi limitati di tempo, in
corrispondenza di situazioni di particolare necessità ed urgenza, gli istituti di patronato e di assistenza sociale
possono stipulare contratti di collaborazione coordinata e continuativa.
4. Per lo svolgimento delle attività all'estero gli istituti di patronato e di assistenza sociale possono avvalersi
di organismi promossi dagli istituti stessi o dalle organizzazioni promotrici di cui all'articolo 2.
7. Funzioni.
1. Gli istituti di patronato e di assistenza sociale esercitano l'attività di informazione, di assistenza e di tutela,
anche con poteri di rappresentanza, a favore dei lavoratori dipendenti e autonomi, dei pensionati, dei singoli
cittadini italiani, stranieri e apolidi presenti nel territorio dello Stato e dei loro superstiti e aventi causa, per il
conseguimento in Italia e all'estero delle prestazioni di qualsiasi genere in materia di sicurezza sociale, di
immigrazione e emigrazione, previste da leggi, regolamenti, statuti, contratti collettivi ed altre fonti
normative, erogate da amministrazioni e enti pubblici, da enti gestori di fondi di previdenza complementare o
da Stati esteri nei confronti dei cittadini italiani o già in possesso della cittadinanza italiana, anche se
residenti all'estero.
2. Rientra tra le attività degli istituti di patronato e di assistenza sociale l'informazione e la consulenza ai
lavoratori e ai loro superstiti e aventi causa relative all'adempimento da parte del datore di lavoro degli
obblighi contributivi e della responsabilità civile anche per eventi infortunistici.
8. Attività di consulenza, di assistenza e di tutela.
1. Le attività di consulenza, di assistenza e di tutela degli istituti di patronato riguardano:
a) il conseguimento, in Italia e all'estero, delle prestazioni in materia di previdenza e quiescenza obbligatorie
e di forme sostitutive e integrative delle stesse;
b) il conseguimento delle prestazioni erogate dal Servizio sanitario nazionale;
c) il conseguimento delle prestazioni di carattere socio-assistenziale, comprese quelle in materia di
emigrazione e immigrazione;
d) il conseguimento, in Italia e all'estero, delle prestazioni erogate dai fondi di previdenza complementare,
anche sulla base di apposite convenzioni con gli enti erogatori.
2. Le attività di consulenza, di assistenza e di tutela sono prestate indipendentemente dall'adesione
dell'interessato all'organizzazione promotrice e a titolo gratuito, salve le eccezioni stabilite dalla presente
legge. In ogni caso, sono prestate a titolo gratuito le attività per le quali è previsto il finanziamento pubblico
di cui all'articolo 13.
3. Gli istituti di patronato, in nome e per conto dei propri assistiti e su mandato degli stessi, possono
presentare domanda e svolgere tutti gli atti necessari per il conseguimento delle prestazioni indicate al
comma 2, anche con riguardo alle disposizioni di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive
modificazioni.
9. Attività di assistenza in sede giudiziaria.
1. Il patrocinio in sede giudiziaria è regolato dalle norme del codice di procedura civile e da quelle che
disciplinano la professione di avvocato.
2. Gli istituti di patronato assicurano la tutela in sede giudiziaria mediante apposite convenzioni con
avvocati, nelle quali sono stabiliti i limiti e le modalità di partecipazione dell'assistito alle spese relative al
patrocinio e all'assistenza giudiziaria, anche in deroga alle vigenti tariffe professionali, in considerazione
delle finalità etico-sociali perseguite dagli istituti stessi. Dette convenzioni sono notificate alla Direzione
provinciale del lavoro competente per territorio, la quale provvede a comunicarle alle corrispondenti sedi
degli enti tenuti alle prestazioni. Alla predetta partecipazione alle spese relative al patrocinio legale non sono
tenuti i soggetti che percepiscono un reddito, con esclusione di quello della casa di abitazione, non superiore
al trattamento minimo annuo del Fondo pensioni lavoratori dipendenti. Sono altresì esonerati dalla predetta
partecipazione alle spese relative al patrocinio legale tutti gli assistiti che promuovono eventuali cause o
ricorsi per errori imputabili al patronato. Per i titolari di un reddito non inferiore al trattamento minimo
annuo del Fondo pensioni lavoratori dipendenti e non superiore al doppio di esso, con esclusione di quello
della casa di abitazione, il contributo alle predette spese è ridotto nella misura del 50 per cento.
3. Gli avvocati e i patronati non possono, neppure per interposta persona, stipulare con i loro assistiti alcun
patto di compenso relativo ai beni che formano oggetto delle controversie affidate al loro patrocinio, sotto
pena di nullità e del risarcimento dei danni.
4. Qualora il giudizio possa concludersi con la conciliazione o la transazione, la parte ne viene prontamente
informata.
5. L'esercizio della tutela in sede giudiziaria non rientra tra le attività ammesse al finanziamento di cui
all'articolo 13.
6. Il Governo della Repubblica è delegato a emanare, su proposta del Ministro del lavoro e della previdenza
sociale, di concerto con il Ministro della giustizia, secondo le procedure di cui all'articolo 14 della legge 23
agosto 1988, n. 400, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, un decreto
legislativo per l'adeguamento delle disposizioni di cui all'articolo 410 del codice di procedura civile alla
particolarità della materia di cui alla presente legge ed all'intervento dei patronati riconosciuti, nonché per
l'introduzione di specifiche procedure deflattive per la soluzione delle controversie nelle materie di cui
all'articolo 8, in ogni caso senza limitazioni del diritto all'azione in giudizio ed in forme compatibili con il
disposto dell'articolo 147 delle disposizioni di attuazione e transitorie del codice di procedura civile,
approvate con regio decreto 18 dicembre 1941, n. 1368.
7. Lo schema del decreto legislativo è sottoposto al parere delle Commissioni parlamentari competenti in
materia di lavoro della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, che devono esprimerlo entro
trenta giorni.
10. Attività diverse.
1. Gli istituti di patronato possono altresì svolgere senza scopo di lucro attività di sostegno, informative, di
servizio e di assistenza tecnica:
a) in favore dei soggetti di cui all'articolo 7, comma 1, finalizzate alla diffusione della conoscenza della
legislazione, alla promozione dell'interesse dei cittadini in materia di sicurezza sociale, previdenza, lavoro,
mercato del lavoro, risparmio previdenziale, diritto di famiglia e delle successioni e anche all'informazione
sulla legislazione fiscale nei limiti definiti dal presente articolo;
b) in favore delle pubbliche amministrazioni e di organismi comunitari, sulla base di apposite convenzioni
stipulate con le amministrazioni interessate, secondo i criteri generali stabiliti con decreto del Ministro del
lavoro e della previdenza sociale da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della
presente legge, sentiti gli istituti di patronato e di assistenza sociale.
2. In relazione alle materie di cui al comma 1, lettera a), gli istituti di patronato possono svolgere, anche
mediante stipula di convenzione, attività finalizzate all'espletamento di pratiche con le pubbliche
amministrazioni e con le istituzioni pubbliche e private e al conseguimento delle prestazioni e dei benefìci
contemplati dall'ordinamento amministrativo, anche con riferimento alle disposizioni di cui alla legge 7
agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni, nonché stipulare convenzioni con centri autorizzati di
assistenza fiscale già costituiti.
3. Gli istituti di patronato svolgono, ai sensi dell'articolo 24 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626,
e successive modificazioni, attività di informazione, consulenza e assistenza in materia di salute e sicurezza
nei luoghi di lavoro gratuitamente nei confronti dei lavoratori e, sulla base di apposite tariffe, emanate a
norma del comma 4, nei confronti della pubblica amministrazione e dei datori di lavoro privati, sulla base di
apposite convenzioni stipulate secondo le modalità e i criteri stabiliti con decreto del Ministro del lavoro e
della previdenza sociale, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge.
4. Le convenzioni di cui ai commi 1, lettera b), e 2, prevedono il rimborso delle spese sostenute dagli istituti
di patronato e di assistenza sociale da parte delle istituzioni pubbliche e private convenzionate.
11. Attività di supporto alle autorità diplomatiche e consolari italiane all'estero.
1. Gli istituti di patronato e di assistenza sociale possono svolgere, sulla base di apposite convenzioni con il
Ministero degli affari esteri, attività di supporto alle autorità diplomatiche e consolari italiane all'estero, nello
svolgimento di servizi non demandati per legge all'esclusiva competenza delle predette autorità.
12. Accesso alle banche dati.
1. Per lo svolgimento delle proprie attività gli istituti di patronato e di assistenza sociale, nell'àmbito del
mandato conferito dal soggetto interessato, sono autorizzati ad accedere alle banche dati degli enti eroganti le
prestazioni.
2. Il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, sentiti l'Autorità per l'informatica nella pubblica
amministrazione e il Garante per la protezione dei dati personali, stabilisce con proprio decreto, da adottare
entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, le linee-guida di apposite
convenzioni da stipulare tra gli istituti di patronato e di assistenza sociale e gli enti eroganti le prestazioni.
13. Finanziamento.
1. Per il finanziamento delle attività e dell'organizzazione degli istituti di patronato e di assistenza sociale
relative al conseguimento in Italia e all'estero delle prestazioni in materia di previdenza e quiescenza
obbligatorie e delle forme sostitutive ed integrative delle stesse, delle attività di patronato relative al
conseguimento delle prestazioni di carattere socio-assistenziale, comprese quelle in materia di emigrazione e
immigrazione, si provvede, secondo i criteri di ripartizione stabiliti con il regolamento di cui al comma 7,
mediante il prelevamento dell'aliquota pari allo 0,226 per cento a decorrere dal 2001 sul gettito dei contributi
previdenziali obbligatori incassati da tutte le gestioni amministrate dall'Istituto nazionale della previdenza
sociale (INPS), dall'Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell'amministrazione pubblica
(INPDAP), dall'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) e dall'Istituto di
previdenza per il settore marittimo (IPSEMA). Salvo quanto disposto dal comma 2, le somme stesse non
possono avere destinazione diversa da quella indicata dal presente articolo.
2. Il prelevamento di cui al comma 1 è destinato al finanziamento degli istituti di patronato e di assistenza
sociale nelle seguenti percentuali:
a) 89,90 per cento all'attività;
b) 10 per cento all'organizzazione, di cui il 2 per cento per l'estero;
c) 0,10 per cento per il controllo delle sedi all'estero, finalizzato alla verifica dell'organizzazione e
dell'attività.
3. I predetti istituti provvedono, entro e non oltre il 31 gennaio di ciascun anno, al versamento, nello stato di
previsione dell'entrata del bilancio dello Stato, nell'unità previsionale di base 6.2.2 « Prelevamenti da conti di
tesoreria; restituzioni; rimborsi; recuperi e concorsi vari», sul capitolo 3518, di una somma pari all'80 per
cento di quella calcolata applicando l'aliquota di cui al comma 1 sul gettito dei contributi previdenziali
obbligatori incassati nell'anno precedente. Entro e non oltre il 30 giugno di ciascun anno, gli istituti
previdenziali stessi provvedono a versare, sulla stessa unità previsionale di base, capitolo 3518, la restante
quota.
4. A decorrere dall'anno 2002, al fine di assicurare tempestivamente agli istituti di patronato e di assistenza
sociale le somme occorrenti per il regolare funzionamento, gli specifici stanziamenti, iscritti nelle unità
previsionali di base dello stato di previsione del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, sono
determinati, in sede previsionale, nella misura dell'80 per cento delle somme impegnate, come risultano nelle
medesime unità previsionali di base nell'ultimo conto consuntivo approvato. I predetti stanziamenti sono
rideterminati, per l'anno di riferimento, con la legge di assestamento del bilancio dello Stato, in relazione alle
somme effettivamente affluite all'entrata, per effetto dell'applicazione dell'aliquota di cui al comma 1, come
risultano nel conto consuntivo dell'anno precedente.
5. In ogni caso, è assicurata agli istituti di patronato l'erogazione delle quote di rispettiva competenza, nei
limiti dell'80 per cento indicato nel comma 4, entro il primo trimestre di ogni anno.
6. Le aziende sanitarie locali che decidono di avvalersi, in regime convenzionale, delle attività di patronato e
di assistenza volte al conseguimento delle prestazioni erogate dal Servizio sanitario nazionale, al fine di
fronteggiare il relativo onere, sono tenute ad adottare misure di contenimento dei costi gestionali per un
equivalente importo, da deliberarsi da parte dei competenti organi.
7. Con regolamento del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, adottato ai sensi dell'articolo 17,
comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della
presente legge, sentiti gli istituti di patronato e di assistenza sociale, sono stabilite le modalità di ripartizione
del finanziamento di cui ai commi 1 e 2, sulla base dei seguenti criteri:
a) previsione delle quote percentuali da destinare al finanziamento dell'attività svolta in Italia e all'estero;
b) individuazione dell'attività e dell'organizzazione da assumere a riferimento per la ripartizione delle risorse
di cui ai commi 1 e 2 e per il loro aggiornamento periodico, definendo, altresì, le modalità di accertamento,
di rilevazione e controllo dell'attività, dell'estensione e dell'efficienza dei servizi; i criteri per la valutazione
dell'efficienza delle sedi, dell'attività svolta, in relazione all'ampiezza dei servizi, al numero degli operatori
ed al peso ponderato dei suddetti elementi;
c) definizione, per le attività svolte e per l'organizzazione, delle modalità di documentazione e dei criteri di
verifica anche di qualità, da parte del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, nonché delle modalità
di presentazione delle istanze di rettifica delle rilevazioni effettuate e dei criteri per la definizione di
eventuali discordanze nella rilevazione delle attività e dell'organizzazione;
d) previsione di un periodo transitorio, comunque non superiore ad un triennio, volto a consentire una
graduale applicazione del nuovo sistema di finanziamento.
8. Per il perseguimento delle finalità loro proprie, gli istituti di patronato e di assistenza sociale possono
altresì ricevere:
a) eredità, donazioni, legati e lasciti;
b) erogazioni liberali;
c) sottoscrizioni volontarie;
d) contributi e anticipazioni del soggetto promotore e delle sue strutture periferiche.
9. I maggiori oneri per la finanza pubblica, valutati in lire 54 miliardi a decorrere dall'anno 2001, sono
compensati mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 3 del decretolegge 20 gennaio 1998, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 marzo 1998, n. 52.
14. Adempimenti degli istituti di patronato e di assistenza sociale.
1. Gli istituti di patronato e di assistenza sociale:
a) tengono regolare registrazione di tutti i proventi e di tutte le spese, corredata dalla documentazione
contabile;
b) comunicano al Ministero del lavoro e della previdenza sociale, entro tre mesi dalla chiusura dell'esercizio
annuale, il rendiconto dell'esercizio stesso e i nominativi dei componenti degli organi di amministrazione e di
controllo;
c) forniscono, entro il 30 aprile di ciascun anno, al Ministero del lavoro e della previdenza sociale, i dati
riassuntivi e statistici dell'attività assistenziale svolta nell'anno precedente, nonché quelli relativi alla struttura
organizzativa in Italia e all'estero.
15. Vigilanza.
1. Gli istituti di patronato e di assistenza sociale sono sottoposti alla vigilanza del Ministero del lavoro e della
previdenza sociale. Per quanto attiene alle attività degli istituti di patronato e di assistenza sociale non
rientranti nella competenza del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, il Ministero medesimo
provvede di concerto con il Ministero competente.
2. Per il controllo delle sedi estere il Ministero del lavoro e della previdenza sociale provvede a effettuare le
ispezioni necessarie per la verifica dell'organizzazione e dell'attività svolta, utilizzando le risorse di cui al
comma 2, lettera c), dell'articolo 13, con proprio personale dipendente che abbia particolare competenza in
materia.
16. Commissariamento e scioglimento.
1. In caso di gravi irregolarità amministrative o di accertate violazioni del proprio compito istituzionale, il
Ministro del lavoro e della previdenza sociale nomina un commissario per la gestione straordinaria delle
attività di cui all'articolo 8.
2. L'istituto di patronato e di assistenza sociale è sciolto ed è nominato un liquidatore nel caso in cui:
a) non sia stato realizzato il progetto di cui all'articolo 3, comma 2, o non sia stato concesso il
riconoscimento definitivo di cui all'articolo 3, comma 4, o siano venuti meno i requisiti di cui agli articoli 2 e
3;
b) l'istituto presenti per due esercizi consecutivi un disavanzo patrimoniale e lo stesso non sia ripianato
dall'organizzazione promotrice entro il biennio successivo;
c) l'istituto non sia più, per qualsiasi motivo, in grado di funzionare.
17. Divieti e sanzioni.
1. È fatto divieto agli istituti di patronato e di assistenza sociale di avvalersi, per lo svolgimento delle proprie
attività, di soggetti diversi dagli operatori di cui all'articolo 6. La violazione del suddetto divieto comporta,
per la sede in cui si è verificata detta violazione, la decadenza dal diritto ai contributi finanziari di cui
all'articolo 13, per le attività svolte dalla sede in cui si è verificata la infrazione.
2. È fatto divieto ad agenzie private ed a singoli procacciatori di esplicare qualsiasi opera di mediazione a
favore dei soggetti di cui all'articolo 7, comma 1, nelle materie ivi indicate. I contravventori sono puniti con
l'ammenda da lire due milioni a lire venti milioni e, nei casi più gravi, con l'arresto da quindici giorni a sei
mesi. Quando, per le condizioni economiche del reo, l'ammenda può presumersi inefficace, anche se
applicata nel massimo, il giudice ha facoltà di aumentarla fino al quintuplo.
18. Trattamento fiscale.
1. I contributi derivanti da convenzioni stipulate con la pubblica amministrazione rientrano fra quelli che, ai
sensi dell'articolo 108, comma 2-bis, lettera b), del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con
decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, non
concorrono alla formazione del reddito. Le attività relative a tali contributi non rientrano, ai sensi
dell'articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive
modificazioni, tra quelle effettuate nell'esercizio di attività commerciali.
2. Le attività istituzionali svolte dalle associazioni promotrici, a fronte del pagamento di corrispettivi
specifici, possono essere svolte dagli istituti di patronato promossi da dette associazioni. Per tali attività trova
applicazione il regime fiscale già previsto al riguardo nei confronti delle associazioni sindacali, a condizione
che dette attività siano svolte dagli istituti di patronato in luogo dell'associazione promotrice.
19. Relazione al Parlamento.
1. Il Ministro del lavoro e della previdenza sociale presenta al Parlamento entro il mese di dicembre di ogni
anno una relazione sulla costituzione e sul riconoscimento degli istituti di patronato e di assistenza sociale,
nonché sulle strutture, sulle attività e sull'andamento economico degli istituti stessi.
Nella prima applicazione della presente legge, la relazione è presentata al termine del primo biennio
successivo alla data di entrata in vigore della presente legge.
20. Disposizioni transitorie.
1. Gli istituti di patronato e di assistenza sociale già operanti alla data di entrata in vigore della presente legge
devono presentare al Ministero del lavoro e della previdenza sociale, entro novanta giorni dalla medesima
data, domanda di convalida del riconoscimento. Si applicano le disposizioni di cui all'articolo 3, comma 7.
2. Alla domanda deve essere allegata una documentazione comprovante la rispondenza ai requisiti stabiliti
dalla presente legge. In assenza di detti requisiti, l'istituto deve presentare il progetto di cui all'articolo 3,
comma 2.
3. Il Ministero del lavoro e della previdenza sociale accerta entro sei mesi la sussistenza dei requisiti di
legge, ovvero verifica entro un anno l'attuazione del progetto di cui all'articolo 3, comma 2. Si applicano le
disposizioni di cui agli articoli 3, comma 6, e 16, comma 2, lettera a).
4. Gli istituti di patronato e di assistenza sociale di cui al comma 1 possono richiedere al Ministero del lavoro
e della previdenza sociale l'autorizzazione per lo svolgimento dell'attività in forma consortile per un periodo
non superiore a tre anni decorrente dalla data di entrata in vigore della presente legge. Ai fini della
concessione dell'autorizzazione si applicano le disposizioni dei commi 1, 2 e 3. Ai consorzi si applicano
altresì le disposizioni di cui all'articolo 16 qualora entro il periodo transitorio di tre anni non si pervenga alla
costituzione di un unico patronato.
5. Fino alla data di entrata in vigore del regolamento di cui all'articolo 13, comma 7, si applicano i criteri di
ripartizione del Fondo per il finanziamento delle attività di patronato stabiliti dal decreto 13 dicembre 1994,
n. 764 del Ministro del lavoro e della previdenza sociale.
6. Resta invariata la posizione economica e giuridica del personale degli istituti di patronato e di assistenza
sociale.
21. Abrogazioni.
1. Sono abrogati:
a) il decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 29 luglio 1947, n. 804, e successive modificazioni;
b) la legge 27 marzo 1980, n. 112;
c) il decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 1017.
2. Il decreto 13 dicembre 1994, n. 764 del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, è abrogato con
effetto dalla data di entrata in vigore del sistema di finanziamento previsto dall'articolo 13.
3. È abrogata ogni altra disposizione incompatibile con le norme della presente legge.
De Agostini Professionale - LEGGI D'ITALIA (testo vigente)
Aggiornamento alla GU 28/05/2002
32. ASSISTENZA E BENEFICENZA PUBBLICA E) Assistenza in favore di particolari categorie
D.Lgs. 4 maggio 2001, n. 207
Riordino del sistema delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, a norma dell'articolo 10 della L.
8 novembre 2000, n. 328.
TITOLO I Disposizioni generali
Capo I - Disposizioni generali
1. Àmbito di applicazione e quadro generale di riferimento.
1. Il presente decreto legislativo disciplina il riordino delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza,
già disciplinate dalla legge 17 luglio 1890, n. 6972, di seguito denominate «istituzioni» nel quadro della
realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali di cui all'articolo 1 della legge 8 novembre
2000, n. 328, di seguito denominata «legge», in attuazione della delega prevista dall'articolo 10.
2. Gli interventi e le attività svolte dalle istituzioni riordinate a norma del presente decreto legislativo si
attuano nel rispetto dei princìpi dettati dalla legge e delle disposizioni regionali.
2. Criteri generali per l'inserimento delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza nell'àmbito della
rete degli interventi di integrazione sociale.
1. Le istituzioni di cui al presente decreto legislativo, che operano prevalentemente nel campo socio
assistenziale anche mediante il finanziamento di attività e interventi sociali realizzati da altri enti con le
rendite derivanti dalla gestione del loro patrimonio, sono inserite nel sistema integrato di interventi e servizi
sociali di cui all'articolo 22 della legge, nel rispetto delle loro finalità e specificità statutarie.
2. Le Regioni disciplinano le modalità di concertazione e cooperazione dei diversi livelli istituzionali con le
istituzioni e, in sede di programmazione dei servizi sociali e socio-sanitari, allo scopo di determinare la
pianificazione territoriale e di definire gli interventi prioritari, le regioni definiscono:
a) le modalità di partecipazione delle istituzioni e delle loro associazioni o rappresentanze, alle iniziative di
programmazione e gestione dei servizi;
b) l'apporto delle istituzioni al sistema integrato di servizi sociali e socio-sanitari;
c) le risorse regionali eventualmente disponibili per potenziare gli interventi e le iniziative delle istituzioni
nell'àmbito della rete dei servizi.
3. Criteri generali per diverse tipologie di istituzioni.
1. Alle istituzioni che operano prevalentemente nel settore scolastico si applicano, in presenza dei requisiti
previsti, le disposizioni del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 16 febbraio 1990, pubblicato
nella Gazzetta Ufficiale n. 45 del 23 febbraio 1990. Le Regioni disciplinano le residue ipotesi e regolano i
rapporti con i nuovi enti pubblici o privati nell'àmbito delle deleghe di cui all'articolo 138 del decreto
legislativo 31 marzo 1998, n. 112.
2. Gli enti equiparati alle istituzioni dall'articolo 91 della legge 17 luglio 1890, n. 6972, vale a dire i
conservatori che non abbiano scopi educativi della gioventù, gli ospizi dei pellegrini, i ritiri, eremi ed istituti
consimili non aventi scopo civile o sociale, le confraternite, confraterie, congreghe, congregazioni ed altri
consimili istituti deliberano la propria trasformazione in enti con personalità giuridica di diritto privato senza
sottostare ad alcuna verifica di requisiti.
4. Disposizioni comuni.
1. Le istituzioni riordinate in aziende di servizi o in persone giuridiche private a norma del presente decreto
legislativo conservano i diritti e gli obblighi anteriori al riordino. Esse subentrano in tutti i rapporti attivi e
passivi delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza di cui alla legge 17 luglio 1890, n. 6972, dalle
quali derivano.
2. Alle istituzioni riordinate in aziende di servizi o in persone giuridiche private si applicano le disposizioni
contenute nell'articolo 6 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n.
601, alle condizioni ivi previste.
3. L'attuazione del riordino non costituisce causa di risoluzione del rapporto di lavoro col personale
dipendente che alla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo abbia in corso un rapporto di
lavoro a tempo indeterminato. Il personale dipendente conserva i diritti derivanti dall'anzianità complessiva
maturata all'atto del riordino. Eventuali contratti di lavoro a termine sono mantenuti fino alla scadenza.
4. In sede di prima applicazione, e comunque fino al 31 dicembre 2003, gli atti relativi al riordino delle
istituzioni in aziende di servizi o in persone giuridiche di diritto privato sono esenti dalle imposte di registro,
ipotecarie e catastali, e sull'incremento del valore degli immobili e relativa imposta sostitutiva.
5. I comuni, le province, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano possono adottare nei
confronti delle istituzioni riordinate in aziende pubbliche di servizi alla persona o in persone giuridiche di
diritto privato, la riduzione e l'esenzione dal pagamento dei tributi di loro pertinenza.
6. Alla tariffa, parte prima, allegata al testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta di registro,
approvato con decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, sono apportate le seguenti
modificazioni:
a) (2);
b) (3);
c) (4).
7. La disciplina delle erogazioni liberali prevista dall'articolo 13 del decreto legislativo 4 dicembre 1997, n.
460, relativa alle organizzazioni non lucrative di utilità sociale, è estesa alle istituzioni riordinate in aziende
di servizi.
(2) Aggiunge un capoverso, dopo l'ottavo, all'art. 1 parte prima della tariffa allegata al D.P.R. 26 aprile 1986,
n. 131.
(3) Aggiunge la nota II-quinquies) all'art. 1 della tariffa, parte prima, allegata al D.P.R. 26 aprile 1986, n.
131.
(4) Aggiunge l'art. 11-ter alla parte prima della tariffa allegata al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131.
Capo II - Aziende di servizi
5. Aziende pubbliche di servizi alla persona.
1. Le istituzioni che svolgono direttamente attività di erogazione di servizi assistenziali sono tenute a
trasformarsi in aziende pubbliche di servizi alla persona e ad adeguare i propri statuti alle previsioni del
presente capo entro due anni dall'entrata in vigore del presente decreto legislativo. Sono escluse da tale
obbligo le istituzioni nei confronti delle quali siano accertate le caratteristiche di cui al decreto del Presidente
del Consiglio dei Ministri 16 febbraio 1990, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 45 del 23 febbraio 1990,
recante: «Direttiva alle regioni in materia di riconoscimento della personalità giuridica di diritto privato alle
istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza a carattere regionale e infraregionale», o per le quali
ricorrano le altre ipotesi previste dal presente decreto legislativo.
2. La trasformazione in azienda pubblica di servizi alla persona è esclusa:
a) nel caso in cui le dimensioni dell'istituzione non giustifichino il mantenimento della personalità giuridica
di diritto pubblico;
b) nel caso in cui l'entità del patrimonio e il volume del bilancio siano insufficienti per la realizzazione delle
finalità e dei servizi previsti dallo statuto;
c) nel caso di verificata inattività nel campo sociale da almeno due anni;
d) nel caso risultino esaurite o non siano più conseguibili le finalità previste nelle tavole di fondazione o
negli statuti.
3. Le ipotesi di cui al comma 2 sono definite dalle regioni sulla base di criteri generali previamente
determinati con atto di intesa da adottarsi in sede di Conferenza unificata, acquisito il parere delle
associazioni o rappresentanze delle aziende pubbliche di servizi alla persona e delle IPAB, tenendo
comunque conto del territorio servito dall'istituzione, della tipologia dei servizi e della complessità delle
attività svolte, del numero e della tipologia degli utenti e di ogni altro elemento necessario per la
classificazione delle istituzioni.
4. Nei casi di cui al comma 2, lettere b) e c), l'istituzione può comunicare alla Regione, nel termine di due
anni dall'entrata in vigore del presente decreto legislativo, un piano di risanamento, anche mediante fusione
con altre istituzioni, tale da consentire la ripresa dell'attività nel campo sociale e il mantenimento della
personalità giuridica di diritto pubblico. In tal caso la Regione, ove nell'ulteriore termine di centottanta giorni
il piano non abbia avuto attuazione, promuove lo scioglimento dell'istituzione prevedendo la destinazione del
patrimonio nel rispetto delle tavole di fondazione o, in mancanza di disposizioni specifiche, prioritariamente
in favore di altre istituzioni del territorio o dei comuni territorialmente competenti, possibilmente aventi
finalità identiche o analoghe.
5. Nel caso di cui al comma 2, lettera d), la istituzione, ove disponga di risorse adeguate alla gestione di
attività e servizi in misura tale da giustificare il mantenimento della personalità giuridica di diritto pubblico,
nel termine di due anni dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo può deliberare la
modifica delle finalità statutarie in altre finalità il più possibile simili a quelle previste nelle tavole di
fondazione, eventualmente prevedendo anche la fusione con altre istituzioni del territorio e presentando alla
Regione il relativo piano. Ove nell'ulteriore termine di centottanta giorni il piano non abbia avuto attuazione
la regione promuove lo scioglimento dell'istituzione provvedendo a destinarne il patrimonio con le modalità
di cui al comma 4.
6. Con l'atto d'intesa di cui al comma 3 le Regioni provvedono altresì a dettare criteri omogenei per la
determinazione dei compensi degli amministratori e dei direttori, in proporzione alle dimensioni e alle
tipologie di attività delle aziende. Detti criteri sono aggiornati ogni tre anni.
7. I procedimenti per la trasformazione delle istituzioni sono disciplinati dalle Regioni con modalità e termini
che ne consentano la conclusione entro il termine di trenta mesi dall'entrata in vigore del presente decreto
legislativo.
8. Alle istituzioni riordinate in aziende di servizi si applicano le disposizioni fiscali di cui all'articolo 88,
comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e delle disposizioni, anche
amministrative, di attuazione.
6. Autonomia delle aziende pubbliche di servizi alla persona.
1. L'azienda pubblica di servizi alla persona non ha fini di lucro, ha personalità giuridica di diritto pubblico,
autonomia statutaria, patrimoniale, contabile, gestionale e tecnica ed opera con criteri imprenditoriali. Essa
informa la propria attività di gestione a criteri di efficienza, efficacia ed economicità, nel rispetto del
pareggio di bilancio da perseguire attraverso l'equilibrio dei costi e dei ricavi, in questi compresi i
trasferimenti.
2. All'azienda pubblica di servizi alla persona si applicano i princìpi relativi alla distinzione dei poteri di
indirizzo e programmazione dai poteri di gestione. Gli statuti disciplinano le modalità di elezione o nomina
degli organi di Governo e di direzione e i loro poteri, nel rispetto delle disposizioni del presente capo.
3. Nell'àmbito della sua autonomia l'azienda pubblica di servizi alla persona può porre in essere tutti gli atti
ed i negozi, anche di diritto privato, funzionali al perseguimento dei propri scopi istituzionali e
all'assolvimento degli impegni assunti in sede di programmazione regionale. In particolare, l'azienda
pubblica di servizi alla persona può costituire società od istituire fondazioni di diritto privato al fine di
svolgere attività strumentali a quelle istituzionali nonché di provvedere alla gestione ed alla manutenzione
del proprio patrimonio. L'eventuale affidamento della gestione patrimoniale a soggetti esterni avviene in base
a criteri comparativi di scelta rispondenti all'esclusivo interesse dell'azienda.
4. Gli statuti disciplinano i limiti nei quali l'azienda pubblica di servizi alla persona può estendere la sua
attività anche in ambiti territoriali diversi da quello regionale o infraregionale di appartenenza.
7. Organi di Governo.
1. Sono organi di Governo dell'azienda pubblica di servizi alla persona il consiglio di amministrazione ed il
presidente, nominati secondo le forme indicate dai rispettivi statuti, che determinano anche la durata del
mandato e le modalità del funzionamento del consiglio di amministrazione. Il presidente ha la rappresentanza
legale dell'azienda.
2. Gli statuti prevedono i requisiti necessari per ricoprire le cariche di presidente o consigliere di
amministrazione sulla base dei criteri determinati con l'atto di intesa di cui all'articolo 5, comma 3.
3. Gli organi di Governo restano in carica per non più di due mandati consecutivi, salvo che lo statuto
disponga diversamente.
4. Ai componenti gli organi di Governo delle IPAB e delle aziende di servizi si applicano le disposizioni di
cui all'articolo 87 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.
5. Gli emolumenti spettanti ai componenti gli organi di Governo sono determinati, sulla base dei criteri
definiti dalla Regione sulla base dell'atto di intesa di cui all'articolo 5, comma 3, con il regolamento di
organizzazione dell'azienda, approvato dal consiglio di amministrazione entro tre mesi dalla data del suo
insediamento, sottoposto ai controlli stabiliti dalla legge regionale.
8. Funzioni degli organi di Governo.
1. Gli organi di Governo dell'azienda pubblica di servizi alla persona esercitano le funzioni di indirizzo,
definendo gli obiettivi ed i programmi di attività e di sviluppo e verificano la rispondenza dei risultati
dell'attività amministrativa e della gestione agli indirizzi impartiti.
2. Il consiglio di amministrazione esercita le funzioni attribuite dallo statuto, e comunque provvede alla
nomina del direttore; alla definizione di obiettivi, priorità, piani, programmi e direttive generali per l'azione
amministrativa e per la gestione; all'individuazione ed assegnazione al direttore delle risorse umane,
materiali ed economico-finanziarie da destinare al fine del raggiungimento delle finalità perseguite;
all'approvazione dei bilanci; alla verifica dell'azione amministrativa e della gestione e dei relativi risultati e
l'adozione dei provvedimenti conseguenti; all'approvazione delle modifiche statutarie ed i regolamenti
interni.
9. Gestione dell'azienda di servizi e responsabilità del direttore.
1. La gestione dell'azienda pubblica di servizi alla persona e la sua attività amministrativa sono affidate ad un
direttore, nominato, sulla base dei criteri definiti dallo statuto, dal consiglio di amministrazione, anche al di
fuori della dotazione organica, con atto motivato in relazione alle caratteristiche ed all'esperienza
professionale e tecnica del prescelto. Può essere incaricato della direzione dell'azienda anche un dipendente
dell'azienda stessa non appartenente alla qualifica dirigenziale, purché dotato della necessaria esperienza
professionale e tecnica, per tipologie di aziende individuate in sede di formulazione dei criteri generali di cui
all'articolo 5, comma 3.
2. Il rapporto di lavoro del direttore è regolato da un contratto di diritto privato di durata determinata e
comunque non superiore a quella del consiglio di amministrazione che lo ha nominato, eventualmente
rinnovabile, il cui onere economico è stabilito dal regolamento di cui all'articolo 7, comma 5.
3. La carica di direttore è incompatibile con qualsiasi altro lavoro, dipendente o autonomo, e la relativa
nomina determina per i lavoratori dipendenti il collocamento in aspettativa senza assegni e il diritto alla
conservazione del posto.
4. Il direttore è responsabile del raggiungimento degli obiettivi programmati dal consiglio di
amministrazione e della realizzazione dei programmi e progetti attuativi e del loro risultato, nonché della
gestione finanziaria, tecnica ed amministrativa dell'azienda, incluse le decisioni organizzative e di gestione
del personale dal punto di vista organizzativo, di direzione, coordinamento, controllo, di rapporti sindacali e
di istruttoria dei procedimenti disciplinari.
5. Il consiglio di amministrazione, servendosi degli strumenti di valutazione di cui al successivo articolo 10,
adotta nei confronti del direttore i provvedimenti conseguenti al risultato negativo della gestione e
dell'attività amministrativa posta in essere ed al mancato raggiungimento degli obiettivi. In caso di grave
reiterata inosservanza delle direttive impartite o qualora durante la gestione si verifichi il rischio grave di un
risultato negativo il consiglio di amministrazione può recedere dal contratto di lavoro, secondo le
disposizioni del codice civile e dei contratti collettivi.
10. Verifiche amministrative e contabili.
1. Le aziende pubbliche di servizi alla persona, nell'àmbito della loro autonomia, si dotano degli strumenti di
controllo di regolarità amministrativa e contabile, di gestione, di valutazione della dirigenza, di valutazione e
controllo strategico di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 286.
2. Lo statuto prevede un apposito organo di revisione, ovvero l'affidamento dei compiti di revisione a società
specializzate, nei casi individuati dalle Regioni.
11. Personale.
1. Il rapporto di lavoro dei dipendenti delle aziende pubbliche di servizi alla persona ha natura privatistica ed
è disciplinato previa istituzione di un autonomo comparto di contrattazione collettiva effettuata secondo i
criteri e le modalità di cui al titolo III del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive
modificazioni. Detto rapporto è disciplinato con modalità e tipologie, anche inerenti a forme di flessibilità,
tali da assicurare il raggiungimento delle finalità proprie delle aziende medesime.
2. I requisiti e le modalità di assunzione del personale sono determinati dal regolamento di cui all'articolo 7,
comma 5, nel rispetto di quanto previsto in materia dai contratti collettivi, adottando il metodo della
programmazione delle assunzioni secondo quanto previsto dall'articolo 39, comma 1, della legge 27
dicembre 1997, n. 449, e assicurando idonee procedure selettive e pubblicizzate.
3. Gli statuti debbono garantire l'applicazione al personale dei contratti collettivi di lavoro.
12. Adeguamento e approvazione degli statuti e dei regolamenti di organizzazione.
1. Gli statuti delle aziende pubbliche di servizi alla persona, ferme restando le originarie finalità statutarie,
sono adeguati, al fine della trasformazione, dagli organi di amministrazione delle istituzioni stesse e sono
inviati agli organi regionali competenti, che li approvano nel termine e con le modalità previste dalle leggi
regionali. Successive modifiche degli statuti sono sottoposte alla stessa procedura.
Con la stessa procedura è altresì adottato e approvato il regolamento di organizzazione dell'azienda di cui
all'articolo 7, comma 5.
13. Patrimonio.
1. Il patrimonio delle aziende pubbliche di servizi alla persona è costituito da tutti i beni mobili ed immobili
ad esse appartenenti, nonché da tutti i beni comunque acquisiti nell'esercizio della propria attività o a seguito
di atti di liberalità.
2. All'atto della trasformazione le istituzioni provvedono a redigere un nuovo inventario dei beni immobili e
mobili, segnalando alle Regioni gli immobili che abbiano valore storico e monumentale e i mobili aventi
particolare pregio artistico per i quali si rendano necessari interventi di risanamento strutturale o di restauro.
3. I beni mobili e immobili che le aziende di servizi destinano ad un pubblico servizio costituiscono
patrimonio indisponibile degli stessi, soggetto alla disciplina dell'articolo 828, secondo comma, del codice
civile. Il vincolo dell'indisponibilità dei beni va a gravare: a) in caso di sostituzione di beni mobili per
degrado o adeguamento tecnologico, sui beni acquistati in sostituzione; b) in caso di trasferimento dei servizi
pubblici in altri immobili appositamente acquistati o ristrutturati, sui nuovi immobili. I beni immobili e
mobili sostituiti entrano automaticamente a fare parte del patrimonio disponibile. Le operazioni previste dal
presente comma sono documentate con le annotazioni previste dalle disposizioni vigenti.
4. Gli atti di trasferimento a terzi di diritti reali su immobili sono trasmessi alla Regione, la quale può
richiedere chiarimenti - limitatamente ai casi in cui non sia contestualmente documentato il reinvestimento
dei relativi proventi - entro il termine di trenta giorni dalla ricevuta comunicazione, decorso inutilmente il
quale gli atti acquistano efficacia. Ove la Regione chieda chiarimenti, il termine di sospensione dell'efficacia
degli atti è prorogato fino al trentesimo giorno decorrente dalla data in cui le aziende li hanno forniti. Gli atti
non acquistano efficacia ove la Regione vi si opponga in quanto l'atto di trasferimento risulti gravemente
pregiudizievole per le attività istituzionali dell'azienda di servizi. In tal caso la Regione adotta
provvedimento motivato entro il termine predetto.
5. I trasferimenti di beni a favore delle aziende di servizi da parte dello Stato e di altri enti pubblici, in virtù
di leggi e provvedimenti amministrativi, sono esenti da ogni onere relativo a imposte e tasse, ove i beni siano
destinati all'espletamento di pubblici servizi.
14. Contabilità.
1. Le Regioni, a norma dell'articolo 10, comma 3, della legge, definiscono i criteri generali in materia di
contabilità delle aziende pubbliche di servizi alla persona, prevedendo la possibilità di utilizzare procedure
semplificate per la conclusione dei contratti per l'acquisizione di forniture di beni e di servizi di valore
inferiore a quello fissato dalla specifica normativa comunitaria e di quella interna di recepimento, nonché
disposizioni per la loro gestione economico-finanziaria e patrimoniale, informate ai princìpi di cui al codice
civile, prevedendo, tra l'altro:
a) l'adozione del bilancio economico pluriennale di previsione nonché del bilancio preventivo economico
annuale relativo all'esercizio successivo;
b) le modalità di copertura degli eventuali disavanzi di esercizio;
c) la tenuta di una contabilità analitica per centri di costo e responsabilità che consenta analisi comparative
dei costi, dei rendimenti e dei risultati;
d) l'obbligo di rendere pubblici, annualmente, i risultati delle proprie analisi dei costi, dei rendimenti e dei
risultati per centri di costo e responsabilità;
e) il piano di valorizzazione del patrimonio immobiliare anche attraverso eventuali dismissioni e
conferimenti.
2. Alle aziende pubbliche di servizi alla persona si applica l'articolo 5, comma 7, del decreto legislativo 30
dicembre 1992, n. 502, come sostituito dall'articolo 5, comma 1, del decreto legislativo 19 giugno 1999, n.
229.
3. Le aziende pubbliche di servizi alla persona sono sottoposte ai controlli successivi sull'amministrazione e
ai controlli sulla qualità delle prestazioni disciplinati dalle leggi regionali.
4. Per conferire struttura uniforme alle voci dei bilanci pluriennali e annuali e dei conti consuntivi annuali,
nonché omogeneità ai valori inseriti in tali voci e per consentire alle Regioni rilevazioni comparative dei
costi, dei rendimenti e dei risultati, è predisposto, entro tre mesi dall'entrata in vigore del presente decreto
legislativo, apposito schema, con decreto interministeriale emanato di concerto fra i Ministri del tesoro e
della famiglia, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province
autonome, sentite le associazioni nazionali di rappresentanza delle aziende pubbliche di servizi alla persona.
5. Le Regioni disciplinano le procedure per la soppressione e la messa in liquidazione delle aziende
pubbliche di servizi alla persona che si trovano in condizioni economiche di grave dissesto, sulla base dei
princìpi desumibili dalla legge 4 dicembre 1956, n. 1404, e successive modificazioni.
15. IPAB che svolgono attività indiretta in campo socio-assistenziale mediante destinazione delle rendite
derivanti dall'amministrazione.
1. Le istituzioni che alla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo svolgono indirettamente
attività socio assistenziale mediante l'erogazione, ad enti e organismi pubblici e privati operanti nel settore,
delle rendite derivanti dall'attività di amministrazione del proprio patrimonio e delle liberalità ricevute a tal
fine, ed hanno natura originariamente pubblica possono, qualora gli statuti e le tavole di fondazione
prevedano anche l'erogazione diretta di servizi e qualora le loro dimensioni consentano il mantenimento della
personalità giuridica di diritto pubblico, trasformarsi in azienda di servizi. Ove gli organi di governo
deliberino la trasformazione, nel termine di due anni dall'entrata in vigore del presente decreto legislativo tali
istituzioni adeguano gli statuti alle disposizioni del presente capo ed attivano gli interventi e servizi sociali
coerenti con le loro finalità.
2. Le istituzioni di cui al comma 1, qualsiasi sia la loro originaria natura, qualora a norma dell'articolo 5
debba escludersi la loro trasformazione in azienda pubblica di servizi alla persona, si trasformano in
fondazioni di diritto privato. A tali fondazioni si applicano le disposizioni di cui al capo III.
Capo III - Persone giuridiche di diritto privato
16. Trasformazione in persone giuridiche di diritto privato.
1. Le istituzioni per le quali siano accertati i caratteri o l'ispirazione di cui all'articolo 5, comma 1, quelle per
le quali i criteri di cui all'articolo 5, comma 1, e il presente decreto legislativo escludano la possibilità di
trasformazione in azienda pubblica di servizi alla persona, provvedono alla loro trasformazione in
associazioni o fondazioni di diritto privato, disciplinate dal codice civile e dalle disposizioni di attuazione del
medesimo, nel termine di due anni dall'entrata in vigore del presente decreto legislativo. La trasformazione si
attua nel rispetto delle originarie finalità statutarie.
2. Decorso inutilmente il termine di cui al comma 1, le Regioni nominano un commissario che provvede alla
trasformazione; per le IPAB che operano in più regioni la nomina è effettuata d'intesa dalle Regioni
interessate. Decorsi sei mesi dalla scadenza del termine di cui al comma 1 senza che le Regioni abbiano
provveduto alla nomina del commissario, essa è effettuata dal prefetto del luogo in cui l'istituzione ha la sede
legale.
3. Le associazioni e fondazioni di cui al comma 1 sono persone giuridiche di diritto privato senza fine di
lucro, dotate di piena autonomia statutaria e gestionale e perseguono scopi di utilità sociale, utilizzando tutte
le modalità consentite dalla loro natura giuridica.
4. La Regione, quale autorità governativa competente, esercita il controllo e la vigilanza ai sensi degli articoli
25 e 27 del codice civile.
5. Ai procedimenti per l'acquisizione della personalità giuridica di diritto privato da parte delle istituzioni,
dopo l'esaurimento dei procedimenti di accertamento delle caratteristiche che consentono la trasformazione,
disciplinati dalle Regioni, si applicano le disposizioni di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10
febbraio 2000, n. 361. Alla domanda di registrazione vanno allegati l'atto costitutivo o istitutivo della
istituzione e la deliberazione di trasformazione contenente lo statuto del nuovo ente.
17. Revisione statutaria.
1. La trasformazione in persone giuridiche di diritto privato, nel rispetto delle tavole di fondazione e delle
volontà dei fondatori, avviene mediante deliberazione assunta dall'organo competente, nella forma di atto
pubblico contenente lo statuto, che può disciplinare anche:
a) le modalità di impiego delle risorse anche a finalità di conservazione, valorizzazione e implementazione
del patrimonio;
b) la possibilità del mantenimento, della nomina pubblica dei componenti degli organi di amministrazione
già prevista dagli statuti, esclusa comunque ogni rappresentanza;
c) la possibilità, per le fondazioni, che il consiglio di amministrazione, che deve comunque comprendere le
persone indicate nelle originarie tavole di fondazione in ragione di loro particolari qualità, possa essere
integrato da componenti designati da enti pubblici e privati che aderiscano alla fondazione con il
conferimento di rilevanti risorse patrimoniali o finanziarie;
d) la possibilità, per le associazioni, di mantenere tra gli amministratori le persone indicate nelle originarie
tavole di fondazione in ragione di loro particolari qualità, a condizione che la maggioranza degli
amministratori sia nominata dall'assemblea dei soci, in ossequio al principio di democraticità.
2. Nello statuto sono altresì indicati i beni immobili e i beni di valore storico e artistico destinati dagli statuti
e dalle tavole di fondazione alla realizzazione dei fini istituzionali e sono individuate maggioranze
qualificate per l'adozione delle delibere concernenti la dismissione di tali beni contestualmente al
reinvestimento dei proventi nell'acquisto di beni più funzionali al raggiungimento delle medesime finalità,
con esclusione di qualsiasi diminuzione del valore patrimoniale da essi rappresentato, rapportato ad attualità.
3. Lo statuto può prevedere che la gestione del patrimonio sia attuata con modalità organizzative interne
idonee ad assicurare la sua separazione dalle altre attività dell'ente.
18. Patrimonio.
1. Il patrimonio delle persone giuridiche di diritto privato di cui al presente Capo è costituito dal patrimonio
esistente all'atto della trasformazione e dalle successive implementazioni. Ciascuna istituzione, all'atto della
trasformazione, è tenuta a provvedere alla redazione dell'inventario, assicurando che sia conferita distinta
evidenziazione ai beni espressamente destinati dagli statuti e dalle tavole di fondazione alla realizzazione
degli scopi istituzionali.
2. I beni di cui all'articolo 17, comma 2, restano destinati alle finalità stabilite dalle tavole di fondazioni e
dalle volontà dei fondatori, fatto salvo ogni altro onere o vincolo gravante sugli stessi ai sensi delle vigenti
disposizioni e fatte salve le ipotesi di cui all'articolo 17, comma 2.
3. Gli atti di dismissione, di vendita o di costituzione di diritti reali su beni delle persone giuridiche private
originariamente destinati dagli statuti e dalle tavole di fondazione delle istituzioni alla realizzazione delle
finalità istituzionali sono inviati alle Regioni, che ove ritengano la deliberazione in contrasto con l'atto
costitutivo o lo statuto, la inviano al pubblico ministero per l'esercizio dell'azione di cui all'articolo 23 del
codice civile.
Capo IV - Fusioni
19. Rinvio alla disciplina regionale.
1. Le Regioni, al fine di incentivare e potenziare la prestazione di servizi alla persona nelle forme
dell'azienda pubblica di servizi alla persona di cui al presente decreto, stabiliscono, nell'àmbito di livelli
territoriali ottimali previamente individuati nelle sedi concertative di cui all'articolo 2, comma 3, i criteri per
la corresponsione di contributi ed incentivi alle fusioni di più istituzioni.
2. Allo scopo di favorire il processo di riorganizzazione, le Regioni possono disciplinare procedure
semplificate di fusione e istituire forme di incentivazione anche iscrivendo nel proprio bilancio un apposito
fondo a cui destinare una quota delle risorse di cui all'articolo 4 della legge.
3. In caso di fusione, lo statuto dell'azienda che da essa deriva prevede il rispetto delle finalità istituzionali
disciplinate dagli originari statuti e tavole di fondazione anche per quanto riguarda le categorie dei soggetti
destinatari dei servizi e degli interventi e dell'àmbito territoriale di riferimento.
4. Lo statuto dell'azienda derivante dalla fusione prevede che una parte degli amministratori sono nominati
dagli enti locali sui quali l'azienda insiste.
5. Le fusioni, gli accorpamenti, le trasformazioni e l'estinzione delle aziende pubbliche di servizio alla
persona sono soggetti ai controlli stabiliti dalle regioni.
Capo V - Disposizioni varie
20. Poteri sostitutivi.
1. Qualora la Regione rilevi una accertata inattività che comporti sostanziale inadempimento alle previsioni
che dispongono la trasformazione delle istituzioni, assegna al soggetto inadempiente un congruo termine per
provvedere in tal senso, decorso infruttuosamente il quale, sentito il soggetto medesimo, nomina un
commissario che provvede in via sostitutiva.
2. Le Regioni disciplinano l'intervento sostitutivo nei casi di gravi violazioni di legge, di statuto o di
regolamento, di gravi irregolarità nella gestione amministrativa e patrimoniale delle aziende pubbliche di
servizi alla persona, nonché di irregolare costituzione dell'organo di governo.
21. Disposizione transitoria.
1. A norma dell'articolo 30 della legge, alla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo è
abrogata la disciplina relativa alle IPAB prevista dalla legge 17 luglio 1890, n. 6972, e dai relativi
provvedimenti di attuazione. Nel periodo transitorio previsto per il riordino delle istituzioni, ad esse
seguitano ad applicarsi le disposizioni previgenti, in quanto non contrastanti con i princìpi della libertà
dell'assistenza, con i princìpi della legge e con le disposizioni del presente decreto legislativo.
22. Regioni a statuto speciale e province autonome di Trento e Bolzano.
1. Le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e Bolzano provvedono ai sensi degli statuti
di autonomia e delle relative norme di attuazione.
De Agostini Professionale - LEGGI D'ITALIA (testo vigente)
Aggiornamento alla GU 23/07/2002
12. AMMINISTRAZIONE DEL PATRIMONIO E CONTABILITA' GENERALE DELLO
STATO A) Norme generali sull'amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello Stato
L. 28 dicembre 2001, n. 448
Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato (legge finanziaria 2002)
(articoli estratti)
38. Incremento delle pensioni in favore di soggetti disagiati.
1. A decorrere dal 1° gennaio 2002 è incrementata, a favore dei soggetti di età pari o superiore a settanta anni
e fino a garantire un reddito proprio pari a 516,46 euro al mese per tredici mensilità, la misura delle
maggiorazioni sociali dei trattamenti pensionistici di cui:
a) all'articolo 1 della legge 29 dicembre 1988, n. 544, e successive modificazioni;
b) all'articolo 70, comma 1, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, con riferimento ai titolari dell'assegno
sociale di cui all'articolo 3, comma 6, della legge 8 agosto 1995, n. 335;
c) all'articolo 2 della legge 29 dicembre 1988, n. 544, con riferimento ai titolari della pensione sociale di cui
all'articolo 26 della legge 30 aprile 1969, n. 153.
2. I medesimi benefìci di cui al comma 1 in presenza dei requisiti anagrafici di cui al medesimo comma, sono
corrisposti ai titolari dei trattamenti trasferiti all'INPS ai sensi dell'articolo 10 della legge 26 maggio 1970, n.
381, e dell'articolo 19 della legge 30 marzo 1971, n. 118, nonché ai ciechi civili titolari di pensione, tenendo
conto dei medesimi criteri economici adottati per l'accesso e per il calcolo dei predetti benefìci.
3. L'età anagrafica relativa ai soggetti di cui al comma 1 è ridotta, fino ad un massimo di cinque anni, di un
anno ogni cinque anni di contribuzione fatta valere dal soggetto. Il requisito del quinquennio di
contribuzione risulta soddisfatto in presenza di periodi contributivi complessivamente pari o superiori alla
metà del quinquennio.
4. I benefìci incrementativi di cui al comma 1 sono altresì concessi ai soggetti con età pari o superiore a
sessanta anni, che risultino invalidi civili totali o sordomuti o ciechi civili assoluti titolari di pensione o che
siano titolari di pensione di inabilità di cui all'articolo 2 della legge 12 giugno 1984, n.
222.
5. L'incremento di cui al comma 1 è concesso in base alle seguenti condizioni:
a) il benefìciario non possieda redditi propri su base annua pari o superiori a 6.713,98 euro;
b) il benefìciario non possieda, se coniugato e non effettivamente e legalmente separato, redditi propri per un
importo annuo pari o superiore a 6.713,98 euro, né redditi, cumulati con quello del coniuge, per un importo
annuo pari o superiore a 6.713,98 euro incrementati dell'importo annuo dell'assegno sociale;
c) qualora i redditi posseduti risultino inferiori ai limiti di cui alle lettere a) e b), l'incremento è corrisposto in
misura tale da non comportare il superamento dei limiti stessi;
d) per gli anni successivi al 2002, il limite di reddito annuo di 6.713,98 euro è aumentato in misura pari
all'incremento dell'importo del trattamento minimo delle pensioni a carico del Fondo pensioni lavoratori
dipendenti, rispetto all'anno precedente.
6. Ai fini della concessione delle maggiorazioni di cui al presente articolo non si tiene conto del reddito della
casa di abitazione.
7. Nei confronti dei soggetti che hanno percepito indebitamente prestazioni pensionistiche o quote di
prestazioni pensionistiche o trattamenti di famiglia, a carico dell'INPS, per periodi anteriori al 1° gennaio
2001, non si fa luogo al recupero dell'indebito qualora i soggetti medesimi siano percettori di un reddito
personale imponibile ai fini IRPEF per l'anno 2000 di importo pari o inferiore a 8.263,31 euro.
8. Qualora i soggetti che hanno indebitamente percepito i trattamenti di cui al comma 7 siano percettori di un
reddito personale imponibile ai fini dell'IRPEF per l'anno 2000 di importo superiore a 8.263,31 euro non si fa
luogo al recupero dell'indebito nei limiti di un quarto dell'importo riscosso.
9. Il recupero è effettuato mediante trattenuta diretta sulla pensione in misura non superiore a un quinto.
L'importo residuo è recuperato ratealmente senza interessi entro il limite di ventiquattro mesi.
Tale limite può essere superato al fine di garantire che la trattenuta di cui al presente comma non sia
superiore al quinto della pensione.
10. Le disposizioni di cui ai commi 7, 8 e 9 non si applicano qualora sia riconosciuto il dolo del soggetto che
abbia indebitamente percepito i trattamenti a carico dell'INPS. Il recupero dell'indebito pensionistico si
estende agli eredi del pensionato solo nel caso in cui si accerti il dolo del pensionato medesimo.
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284. PROFESSIONI SANITARIE E ARTI AUSILIARIE G) Varie
D.M. 8 ottobre 1998, n. 520
Regolamento recante norme per l'individuazione della figura e del relativo profilo professionale
dell'educatore professionale, ai sensi dell'articolo 6, comma 3, del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502
IL MINISTRO DELLA SANITÀ
Visto l'articolo 6, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, recante: «Riordino della
disciplina in materia sanitaria, a norma dell'articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421», nel testo
modificato dal decreto legislativo 7 dicembre 1993, n. 517;
Ritenuto che, in ottemperanza alle precitate disposizioni, spetta al Ministro della sanità di individuare con
proprio decreto le figure professionali da formare ed i relativi profili, relativamente alle aree del personale
sanitario infermieristico, tecnico e della riabilitazione;
Ritenuto di individuare con singoli provvedimenti le figure professionali;
Ritenuto di individuare la figura dell'educatore professionale;
Visto il parere del Consiglio superiore di sanità, espresso nella seduta del 22 ottobre 1997;
Udito il parere del Consiglio di Stato espresso dalla Sezione consultiva per gli atti normativi nell'adunanza
generale del 1° giugno 1998;
Ritenuto di provvedere alla individuazione della figura e relativo profilo professionale dell'educatore
professionale anche alla luce dei provvedimenti in corso per l'armonizzazione delle figure professionali del
settore;
Vista la nota, in data 19 ottobre 1998, con cui lo schema di regolamento è stato trasmesso, ai sensi
dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, al Presidente del Consiglio dei Ministri;
Adotta il seguente regolamento:
1. 1. È individuata la figura professionale dell'educatore professionale, con il seguente profilo:
l'educatore professionale è l'operatore sociale e sanitario che, in possesso del diploma universitario abilitante,
attua specifici progetti educativi e riabilitativi, nell'ambito di un progetto terapeutico elaborato da un'équipe
multidisciplinare, volti a uno sviluppo equilibrato della personalità con obiettivi educativo/relazionali in un
contesto di partecipazione e recupero alla vita quotidiana; cura il positivo inserimento o reinserimento psicosociale dei soggetti in difficoltà.
2. L'educatore professionale:
a) programma, gestisce e verifica interventi educativi mirati al recupero e allo sviluppo delle potenzialità dei
soggetti in difficoltà per il raggiungimento di livelli sempre più avanzati di autonomia;
b) contribuisce a promuovere e organizzare strutture e risorse sociali e sanitarie, al fine di realizzare il
progetto educativo integrato;
c) programma, organizza, gestisce e verifica le proprie attività professionali all'interno di servizi sociosanitari e strutture socio-sanitarie-riabilitative e socio educative, in modo coordinato e integrato con altre
figure professionali presenti nelle strutture, con il coinvolgimento diretto dei soggetti interessati e/o delle
loro famiglie, dei gruppi, della collettività;
d) opera sulle famiglie e sul contesto sociale dei pazienti, allo scopo di favorire il reinserimento nella
comunità;
e) partecipa ad attività di studio, ricerca e documentazione finalizzate agli scopi sopra elencati.
3. L'educatore professionale contribuisce alla formazione degli studenti e del personale di supporto, concorre
direttamente all'aggiornamento relativo al proprio profilo professionale e all'educazione alla salute.
4. L'educatore professionale svolge la sua attività professionale, nell'ambito delle proprie competenze, in
strutture e servizi socio-sanitari e socio-educativi pubblici o privati, sul territorio, nelle strutture residenziali
e semiresidenziali in regime di dipendenza o libero professionale.
2. 1. Il diploma universitario dell'educatore professionale, conseguito ai sensi dell'articolo 6, comma 3, del
decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni ed integrazioni, abilita all'esercizio
della professione.
3. 1. La formazione dell'educatore professionale avviene presso le strutture sanitarie del Servizio sanitario
nazionale e le strutture di assistenza socio-sanitaria degli enti pubblici individuate nei protocolli d'intesa fra
le regioni e le università. Le università provvedono alla formazione attraverso la facoltà di medicina e
chirurgia in collegamento con le facoltà di psicologia, sociologia e scienza dell'educazione.
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32. ASSISTENZA E BENEFICENZA PUBBLICA E) Assistenza in favore di particolari categorie
D.P.C.M. 15 dicembre 2000 (1).
Riparto tra le regioni dei finanziamenti destinati al potenziamento dei servizi a favore delle persone che
versano in stato di povertà estrema e senza fissa dimora.
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
Vista la legge 8 novembre 2000, n. 328, recante la legge quadro per la realizzazione del sistema
integrato di interventi e servizi sociali, che individua come finalità la promozione di interventi per garantire
la qualità della vita, pari opportunità, non discriminazione e diritti di cittadinanza, la prevenzione,
eliminazione o riduzione delle condizioni di disabilità, di bisogno e di disagio individuale e familiare,
derivanti da inadeguatezza di reddito, difficoltà sociali, e condizioni di non autonomia, in coerenza con gli
articoli 2, 3 e 38 della Costituzione;
Visto in particolare l'art. 28 della citata legge 8 novembre 2000, n. 328, che prevede l'emanazione da parte
del Presidente del Consiglio dei Ministri di un atto di indirizzo e coordinamento contenente i criteri di riparto
alle regioni dei finanziamenti del Fondo nazionale per le politiche sociali destinati al potenziamento degli
interventi volti ad assicurare i servizi destinati alle persone che versano in situazioni di povertà estrema e alle
persone senza fissa dimora, i termini delle richieste di finanziamento, i requisiti per l'accesso ai
finanziamenti, i criteri generali di valutazione dei progetti, le modalità di monitoraggio dei progetti, nonché
le priorità da assicurare ai comuni delle grandi aree urbane;
Vista la legge 15 marzo 1997, n. 59, recante la delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti
alle regioni ed enti locali, per la riforma della pubblica amministrazione, ed in particolare l'art. 8;
Visto il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, recante conferimento di funzioni e compiti amministrativi
dello Stato alle regioni ed agli enti locali, ed in particolare l'art. 131, che conferisce alle regioni ed agli enti
locali tutte le funzioni ed i compiti amministrativi nella materia dei «servizi sociali», tranne quelli
espressamente mantenuti allo Stato;
Considerata l'ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri 21 gennaio 2000, pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale n. 18 del 24 gennaio 2000, che a seguito del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 21
gennaio 2000, pubblicato nella citata Gazzetta Ufficiale, recante la dichiarazione dello stato di emergenza,
fino al 31 gennaio 2001, nel territorio dei comuni capoluogo delle aree metropolitane individuate ai sensi
dell'art. 17 della legge 8 giugno 1990, n. 142, e successive modifiche ed integrazioni, derivante dalla grave
situazione riguardante le persone che versano in stato di povertà estrema e che si trovano senza dimora, ha
autorizzato la spesa di lire 30 miliardi per l'anno 2000 da destinarsi ad interventi di carattere straordinario
aggiuntivi rispetto a quelli effettuati ai sensi della legislazione vigente;
Acquisita l'intesa della conferenza unificata, ai sensi dell'art. 28, comma 3, della legge 8 novembre 2000, n.
328, nella seduta del 6 dicembre 2000;
Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 15 dicembre 2000;
Sulla proposta del Ministro per la solidarietà sociale;
Decreta:
1. Termine per la presentazione dei progetti.
1. Gli enti locali, le organizzazioni di volontariato, gli organismi non lucrativi di utilità sociale e le IPAB
possono presentare alle regioni, entro il 30 giugno di ciascun anno, i progetti concernenti la realizzazione,
l'ampliamento o l'innovazione di centri e di servizi di pronta accoglienza, interventi socio- sanitari, servizi
per l'accompagnamento e il reinserimento sociale delle persone che versano in situazioni di povertà estrema e
delle persone senza fissa dimora.
2. Requisiti.
1. Sono ammessi ai finanziamenti regionali i progetti di cui all'art. 1 che presentino i seguenti requisiti:
a) individuazione di un'area territoriale determinata, anche a livello subcomunale o intercomunale, sulla base
di indicatori che documentino la presenza abituale di persone senza fissa dimora che frequentino detta area
come territorio nel cui àmbito organizzano la propria sopravvivenza, o la presenza di persone e nuclei
familiari in stato di bisogno primario;
b) presenza nell'area di cui alla lettera a) di servizi e opportunità in misura minima sufficiente per avviare un
processo di accompagnamento delle persone senza fissa dimora o di soggetti in condizione di povertà
estrema;
c) individuazione delle attività e servizi proposti nel progetto, dei loro obiettivi e dell'indicazione dettagliata
delle relative spese per la realizzazione;
d) individuazione dell'insieme dei soggetti pubblici e privati che partecipano all'attuazione del progetto,
unitamente alla documentazione che attesta la loro esperienza nel settore;
e) collegamento con altre iniziative eventualmente presenti nel territorio, concernenti la riqualificazione delle
aree urbane, l'assistenza economica, ed altri interventi e servizi idonei a realizzare le finalità dei servizi di cui
all'art. 1.
2. Nella valutazione dei progetti sono considerati preferenziali, secondo una graduatoria determinata dalla
regione e differenziata a seconda del contesto territoriale, i seguenti criteri:
a) l'attività di rete tra organizzazioni del terzo settore e la collaborazione tra soggetti pubblici e privati nella
realizzazione del progetto;
b) l'integrazione tra diverse aree di intervento e servizi, quali quello sanitario, assistenziale, formativo,
nell'attuazione del progetto;
c) la previsione, nell'àmbito del progetto, di percorsi di accompagnamento e graduale inserimento sociale,
che colleghino il superamento dell'emergenza con l'avvio di processi di reinserimento e recupero di capacità
delle persone interessate;
d) l'integrazione con altri progetti e iniziative esistenti a livello locale, che pur non riguardando
specificamente le persone senza fissa dimora e in stato di povertà estrema, possono utilmente raccordarsi ai
progetti a loro favore e agevolare il loro reinserimento sociale;
e) l'indicazione da parte dei soggetti proponenti di strumenti di auto-valutazione e verifica dei risultati
conseguiti nell'àmbito dei progetti.
3. Ripartizione delle risorse.
1. Le risorse finanziarie di cui all'art. 28 della legge 8 novembre 2000, n. 328, sono ripartite tra le regioni e le
province autonome di Trento e di Bolzano in base ai seguenti criteri:
a) il 75 % delle risorse è riservato alle regioni e alle province autonome di Trento e di Bolzano nelle quali è
compreso almeno un comune capoluogo di area metropolitana, come individuata ai sensi dell'art. 22 del
decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267;
b) la quota indicata alla lettera a) è ripartita tra le regioni e le province autonome ivi individuate in base alla
popolazione residente nella regione;
c) la quota residua del 25% delle risorse è ripartita tra le altre regioni e province autonome in base alla
popolazione residente.
2. Le risorse di cui al comma 1, lettera a), sono destinate dalle regioni con priorità ai comuni capoluogo di
aerea metropolitana come individuata dall'art. 22 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267; le risorse di
cui al comma 1, lettera c), sono destinate dalle regioni con priorità alle grandi aeree urbane.
4. Monitoraggio e verifica dei risultati degli interventi.
1. I soggetti di cui all'art. 1, destinatari delle risorse, trasmettono ogni sei mesi alla regione un rapporto
analitico sullo stato di attuazione degli interventi posti in essere. Il rapporto deve indicare:
a) il numero delle persone assistite in un arco di tempo definito, distinte per sesso ed età, almeno indicativa, e
la documentazione che attesta la realizzazione degli interventi;
b) la descrizione dei servizi offerti, degli eventuali percorsi suggeriti o promossi, del numero di persone
inserite nei vari percorsi di reinserimento;
c) la descrizione analitica, in termini finanziari e di risorse umane, delle risorse impiegate.
2. Le regioni possono attuare ulteriori forme di monitoraggio e valutazione dell'efficacia degli interventi.
5. Regioni a statuto speciale e province autonome di Trento e di Bolzano.
1. Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano provvedono all'attuazione
degli obiettivi del presente atto nel rispetto di quanto previsto dai rispettivi statuti e dalle relative norme di
attuazione.
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32. ASSISTENZA E BENEFICENZA PUBBLICA E) Assistenza in favore di particolari categorie
D.P.C.M. 30 marzo 2001
Atto di indirizzo e coordinamento sui sistemi di affidamento dei servizi alla persona
ai sensi dell'art. 5 della L. 8 novembre 2000, n. 328.
IL PRESIDENTE
DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
Vista la legge 8 novembre 2000, n. 328: «Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di
interventi e servizi sociali»;
Visto in particolare l'art. 5, comma 3 della legge n. 328 del 2000 che prevede l'adozione di un atto di
indirizzo e coordinamento del Governo sulla base del quale le regioni, secondo quanto previsto dall'art.
3, comma 4, della medesima legge, adottano specifici indirizzi per regolamentare i rapporti tra enti locali e
terzo settore, con particolare riferimento ai sistemi di affidamento dei servizi alla persona;
Visto l'art. 5, comma 4, della legge n. 328 del 2000 che prevede che le regioni disciplinino, sulla base degli
indirizzi del Governo, le modalità per valorizzare l'apporto del volontariato nell'erogazione dei servizi;
Vista la legge 11 agosto 1991, n. 266: «Legge-quadro sul volontariato»;
Vista la legge 7 dicembre 2000, n. 383: «Disciplina delle associazioni di promozione sociale»;
Vista la legge 8 novembre 1991, n. 381: «Disciplina delle cooperative sociali»;
Vista la legge 7 novembre 2000, n. 327: «Valutazione dei costi del lavoro e della sicurezza nelle gare di
appalto»;
Visto l'art. 8 della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni;
Visto l'art. 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281;
Visto il parere della Conferenza unificata, di cui all'art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n.
281, espresso nella seduta dell'8 marzo 2001;
Acquisita l'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome
di Trento e Bolzano, ai sensi dell'art. 8 della legge 15 marzo 1997, n. 59, espressa nella seduta dell'8 marzo
2001;
Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 21 marzo 2001;
Sulla proposta del Ministro per la solidarietà sociale;
Decreta:
1. Ruolo dei soggetti del terzo settore nella programmazione progettazione e gestione dei servizi alla
persona.
1. Il presente provvedimento fornisce indirizzi per la regolazione dei rapporti tra comuni e loro forme
associative con i soggetti del terzo settore ai fini dell'affidamento dei servizi previsti dalla legge n. 328 del
2000, nonché per la valorizzazione del loro ruolo nella attività di programmazione e progettazione del
sistema integrato di interventi e servizi sociali.
2. Le regioni, sulla base del presente provvedimento, adottano specifici indirizzi per:
a) promuovere l'offerta, il miglioramento della qualità e l'innovazione dei servizi e degli interventi anche
attraverso la definizione di specifici requisiti di qualità e il ruolo riconosciuto degli utenti e delle loro
associazioni ed enti di tutela;
b) favorire la pluralità di offerta dei servizi e delle prestazioni, nel rispetto dei princìpi di trasparenza e
semplificazione amministrativa;
c) favorire l'utilizzo di forme di aggiudicazione o negoziali che consentano la piena espressione della
capacità progettuale ed organizzativa dei soggetti dei terzo settore;
d) favorire forme di coprogettazione promosse dalle amministrazioni pubbliche interessate, che coinvolgano
attivamente i soggetti del terzo settore per l'individuazione di progetti sperimentali ed innovativi al fine di
affrontare specifiche problematiche sociali;
e) definire adeguati processi di consultazione con i soggetti del terzo settore e con i loro organismi
rappresentativi riconosciuti come parte sociale.
3. I comuni, ai fini dell'erogazione dei servizi e degli interventi, anche nell'àmbito dei rapporti di cui al
comma 1, predispongono, d'intesa con l'azienda USL nel caso di interventi socio-sanitari integrati, progetti
individuali di assistenza ovvero l'erogazione di interventi nell'àmbito di percorsi assistenziali attivi per
l'integrazione o la reintegrazione sociale.
2. I soggetti del terzo settore.
1. Ai fini del presente atto si considerano soggetti del terzo settore: le organizzazioni di volontariato, le
associazioni e gli enti di promozione sociale, gli organismi della cooperazione, le cooperative sociali, le
fondazioni, gli enti di patronato, altri soggetti privati non a scopo di lucro.
3. Le organizzazioni di volontariato.
1. Le regioni e i comuni valorizzano l'apporto del volontariato nel sistema di interventi e servizi come
espressione organizzata di solidarietà sociale, di autoaiuto e reciprocità nonché con riferimento ai servizi e
alle prestazioni, anche di carattere promozionale, complementari a servizi che richiedono una organizzazione
complessa ed altre attività compatibili, ai sensi della legge 11 agosto 1991, n. 266, con la natura e le finalità
del volontariato. Gli enti pubblici stabiliscono forme di collaborazione con le organizzazioni di volontariato
avvalendosi dello strumento della convenzione di cui alla legge n.
266/1991.
4. Selezione dei soggetti del terzo settore.
1. I comuni, ai fini della preselezione dei soggetti presso cui acquistare o ai quali affidare l'erogazione di
servizi di cui ai successivi articoli 5 e 6, fermo restando quanto stabilito dall'art. 11 della legge n.
328 del 2000, valutano i seguenti elementi:
a) la formazione, la qualificazione e l'esperienza professionale degli operatori coinvolti;
b) l'esperienza maturata nei settori e nei servizi di riferimento;
2. I comuni procedono all'aggiudicazione dei servizi di cui al comma 1 sulla base dell'offerta
economicamente più vantaggiosa, tenendo conto in particolare dei seguenti elementi qualitativi:
a) le modalità adottate per il contenimento del turn over degli operatori;
b) gli strumenti di qualificazione organizzativa del lavoro;
c) la conoscenza degli specifici problemi sociali del territorio e delle risorse sociali della comunità;
d) il rispetto dei trattamenti economici previsti dalla contrattazione collettiva e delle norme in materia di
previdenza e assistenza.
3. I comuni, ai fini delle aggiudicazioni di cui al comma 2, non devono procedere all'affidamento dei servizi
con il metodo del massimo ribasso.
5. Acquisto di servizi e prestazioni.
1. I comuni, al fine di realizzare il sistema integrato di interventi e servizi sociali garantendone i livelli
essenziali, possono acquistare servizi e interventi organizzati dai soggetti del terzo settore.
2. Le regioni disciplinano le modalità per l'acquisto da parte dei comuni dei servizi ed interventi organizzati
dai soggetti del terzo settore definendo in particolare:
a) le modalità per garantire una adeguata pubblicità del presumibile fabbisogno di servizi in un determinato
arco temporale;
b) le modalità per l'istituzione dell'elenco dei fornitori di servizi autorizzati ai sensi dell'art. 11 della legge n.
328 del 2000, che si dichiarano disponibili ad offrire i servizi richiesti secondo tariffe e caratteristiche
qualitative concordate;
c) i criteri per l'eventuale selezione dei soggetti fornitori sulla base dell'offerta economicamente più
vantaggiosa, tenuto conto di quanto previsto dall'art. 4.
3. Oggetto dell'acquisto o dell'affidamento di cui all'art. 6, deve essere l'organizzazione complessiva del
servizio o della prestazione, con assoluta esclusione delle mere prestazioni di manodopera che possono
essere acquisite esclusivamente nelle forme previste dalla legge n. 196 del 1997.
4. I comuni stipulano convenzioni con i fornitori iscritti nell'elenco di cui al comma 2, anche acquisendo la
disponibilità del fornitore alla erogazione di servizi e interventi a favore di cittadini in possesso dei titoli di
cui all'art. 17 della legge n. 328 del 2000.
6. Affidamento della gestione dei servizi.
1. Le regioni adottano specifici indirizzi per regolamentare i rapporti tra comuni e soggetti del terzo settore
nell'affidamento dei servizi alla persona di cui alla legge n. 328 del 2000 tenuto conto delle norme nazionali
e comunitarie che disciplinano le procedure di affidamento dei servizi da parte della pubblica
amministrazione.
2. Nel rispetto dei princìpi di pubblicità e trasparenza dell'azione della pubblica amministrazione e di libera
concorrenza tra i privati nel rapportarsi ad essa, sono da privilegiare le procedure di aggiudicazione ristrette e
negoziate. In tale àmbito le procedure ristrette permettono di valutare e valorizzare diversi elementi di qualità
che il comune intende ottenere dal servizio appaltato.
3. I comuni, nell'affidamento per la gestione dei servizi, utilizzano il criterio dell'offerta economicamente più
vantaggiosa, tenuto conto anche di quanto previsto all'art. 4.
4. I contratti previsti dal presente articolo prevedono forme e modalità per la verifica degli adempimenti
oggetto del contratto ivi compreso il mantenimento dei livelli qualitativi concordati ed i provvedimenti da
adottare in caso di mancato rispetto.
7. Istruttorie pubbliche per la coprogettazione con i soggetti del terzo settore.
1. Al fine di affrontare specifiche problematiche sociali, valorizzando e coinvolgendo attivamente i soggetti
del terzo settore, i comuni possono indire istruttorie pubbliche per la coprogettazione di interventi innovativi
e sperimentali su cui i soggetti del terzo settore esprimono disponibilità a collaborare con il comune per la
realizzazione degli obiettivi. Le regioni possono adottare indirizzi per definire le modalità di indizione e
funzionamento delle istruttorie pubbliche nonché per la individuazione delle forme di sostegno.
8. Promozione e qualificazione del terzo settore.
1. Le regioni e i comuni predispongono, di concerto con gli organismi rappresentativi del terzo settore, azioni
di promozione, sostegno e qualificazione dei soggetti del terzo settore mediante politiche formative, fiscali e
interventi per l'accesso agevolato al credito e ai fondi europei, avvalendosi anche delle realtà e delle
competenze da loro espresse.
9. Norme finali e transitorie.
1. In attesa della adozione delle norme statali e regionali in materia di autorizzazione e accreditamento,
previste dalla legge n. 328 del 2000, le regioni definiscono, nell'àmbito degli indirizzi di attuazione del
presente provvedimento, le condizioni minime e le modalità per l'instaurazione di rapporti economici tra i
comuni e i soggetti del terzo settore.
2. Le disposizioni del presente provvedimento si applicano anche ai soggetti ai quali i comuni delegano
l'esercizio delle proprie funzioni, nonché ai soggetti costituiti per l'esercizio delle stesse.
3. Le regioni adottano indirizzi al fine di rendere applicabili le norme del presente provvedimento anche ai
servizi ed interventi socio sanitari.
4. Le disposizioni di cui agli articoli 4, 5 e 6 del presente decreto si applicano, in quanto compatibili, ai
rapporti con altri soggetti erogatori.
5. Le regioni a statuto speciale e le province autonome provvedono alle finalità del presente atto di indirizzo
nell'àmbito delle proprie competenze, secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti.
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Aggiornamento alla GU 28/05/2002
32. ASSISTENZA E BENEFICENZA PUBBLICA E) Assistenza in favore di particolari categorie
D.P.R. 3 maggio 2001
Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali 2001-2003
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Visto l'art. 1 della legge 12 gennaio 1991, n. 13;
Visto l'art. 2, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400;
Visto il decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303;
Visto il decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300;
Vista la legge 8 novembre 2000, n. 328, recante legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di
interventi e servizi sociali, ed in particolare l'art. 18 della legge medesima che prevede l'adozione del Piano
nazionale e dei piani regionali degli interventi e dei servizi sociali;
Vista la deliberazione preliminare del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 16 febbraio 2001;
Acquisita l'intesa con la Conferenza Unificata di cui all'art. 8 del decreto legislativo del 28 agosto 1997, n.
281, nella riunione del 22 febbraio 2001;
Acquisiti i pareri degli enti e delle associazioni nazionali di promozione sociale di cui all'art. 1, comma 1,
lettere u) e b), della legge 19 novembre 1987, n. 476, e successive modificazioni, maggiormente
rappresentativi;
Acquisiti i pareri delle associazioni di rilievo nazionale che operano nel settore dei servizi sociali;
Acquisiti i pareri delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello nazionale e delle
associazioni di tutela degli utenti;
Acquisito il parere della competente Commissione della Camera dei deputati espresso nella seduta del 28
marzo 2001, mentre la competente Commissione del Senato della Repubblica non si è espressa nei termini
prescritti;
Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione dell' 11 aprile 2001;
Sulla proposta del Ministro per la solidarietà sociale;
Decreta:
È approvato il Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali per il biennio 2001-2003.
Allegato A
Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali 2001-2003
libertà, responsabilità e solidarietà nell'Italia delle autonomie
Premessa
Il primo Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali 2001-2003 viene predisposto in tempi
assai più ristretti rispetto a quelli previsti dalla legge n. 328/2000 (art. 18, comma 4), in risposta all'esigenza
dell'intero sistema di definire tempestivamente obiettivi strategici e indirizzi generali, indispensabili affinché
tutti i soggetti chiamati a concorrere alla programmazione e alla realizzazione del sistema integrato di
interventi e servizi sociali possano impegnarsi nell'attuazione della legge quadro sull'assistenza. Il rispetto
delle scadenze previste dalla legge n. 328/2000, ma anche il diffuso slancio riformatore proprio di questo
particolare momento storico, impongono - da un lato - e consentono - dall'altro - la prosecuzione del percorso
intrapreso, attraverso la predisposizione dei documenti di maggiore rilevanza previsti dalla legge quadro.
La scelta a favore della tempestività impone una metodologia e uno stile programmatorio essenziale e
selettivo, che rinuncia (in parte) alle analisi e alle argomentazioni per concentrarsi sugli orientamenti e gli
indirizzi di carattere generale. D'altro canto, il pluralismo istituzionale e sociale e il principio di sussidiarietà,
sanciti dalla legge quadro, richiedono che il Piano assuma la logica e le metodologie proprie della
programmazione strategica e partecipata, di seguito declinate nei termini che i ricordati vincoli temporali
consentono.
Il sistema integrato di interventi e servizi sociali non può che realizzarsi con il concorso di una pluralità di
attori, istituzionali e non, pubblici e privati, rispetto ai quali sono distribuiti ruoli e responsabilità,
competenze e risorse. In tale contesto, il Piano nazionale ha la funzione principale di orientare e mobilitare i
diversi soggetti affinché ciascuno «faccia la propria parte» e affinché nel loro insieme si integrino, attivando
una rete progettuale (prima) e gestionale (poi).
La programmazione sociale va infatti intesa come processo a più attori, collocati a più livelli, che apportano
competenze, ideazioni e risorse ad una progettazione che esigenze tanto ideali quanto di efficacia vogliono
partecipata. La ricerca e costruzione in itinere del consenso a tutti i livelli e fra tutti i soggetti è infatti la più
forte assicurazione perché il Piano non rimanga un messaggio scritto, ma si traduca, pur gradualmente, in
cambiamento effettivo della realtà, grazie all'azione convergente delle politiche e degli interventi sociali.
Il primo Piano sociale, a partire dal richiamo degli elementi fondanti le nuove politiche sociali (parte I),
intende evidenziare gli obiettivi prioritari (parte II) ed elaborare indicazioni per lo sviluppo del sistema
integrato degli interventi e dei servizi sociali (parte III), in un orizzonte temporale che, proprio per le
caratteristiche di orientamento e di promozione che il Piano assume, si estende (anche) oltre il triennio 20012003. Il Piano delinea inoltre le modalità e gli strumenti per il suo monitoraggio e per la verifica dei processi
in atto e dei risultati via via conseguiti, al fine di permettere agli organi di governo (ai diversi livelli) di
effettuare le necessarie valutazioni e di introdurre, se del caso, gli opportuni correttivi.
Attraverso questi passaggi il Piano si sforza di indicare tanto le linee e gli elementi unificanti le diverse
esperienze regionali e locali, quanto gli spazi di possibile loro articolazione, differenziazione e
sperimentazione nelle modalità organizzative e operative adeguate ai diversi contesti locali.
Parte I - Le radici delle nuove politiche sodali
La realizzazione del sistema integrato di cui alla legge n. 328/2000 richiede l'avvio di un profondo
cambiamento culturale nella società intera.
La legge n. 328/2000 propone un sistema in cui:
- il cittadino non è solo utente, - le famiglie non sono solo portatrici di bisogni, - la rete non si rivolge solo
agli ultimi (o ai penultimi), - l'assistenza non è solo sostegno economico, - l'approccio non è solo riparatorio,
- il disagio non è solo economico, - il sapere non è solo professionale, - gli interventi sociali non sono
opzionali.
Al contrario, il sistema integrato di interventi e servizi sociali deve essere progettato e realizzato a livello
locale:
- promuovendo la partecipazione attiva di tutte le persone, - incoraggiando le esperienze aggregative, assicurando livelli essenziali in tutte le realtà territoriali, - potenziando i servizi alla persona, - favorendo la
diversificazione e la personalizzazione degli interventi, - valorizzando le esperienze e le risorse esistenti, valorizzando le professioni sociali, - valorizzando il sapere quotidiano, - promuovendo la progettualità verso
le famiglie, - prevedendo un sistema allargato di governo, più vicino alle persone.
In altri termini, il sistema integrato di interventi e servizi sociali si sviluppa lungo una direttrice di riforma
che può essere così delineata:
- da interventi categoriali a interventi rivolti alla persona e alle famiglie, - da interventi prevalentemente
monetari a un insieme (integrato) di trasferimenti monetari e servizi in rete, - da interventi disomogenei a
livello inter e intra regionale, a livelli essenziali su tutto il territorio nazionale, - da prestazioni rigide,
predefinite a prestazioni flessibili e diversificate, basate su progetti personalizzati, - dal riconoscimento del
bisogno di aiuto all'affermazione del diritto all'inserimento sociale, - da politiche per contrastare l'esclusione
sociale a politiche per promuovere l'inclusione sociale.
La legge quadro sul sistema integrato di interventi e servizi sociali definisce le politiche sociali come
politiche universalistiche, rivolte alla generalità degli individui, senza alcun vincolo di appartenenza.
Esse mirano ad accompagnare gli individui e le famiglie lungo l'intero percorso della vita, in particolare a
sostenere le fragilità, rispondendo ai bisogni che sorgono nel corso della vita quotidiana e nei diversi
momenti dell'esistenza (in relazione all'età, alla presenza di responsabilità familiari o all'esigenza di
conciliare queste ultime con quelle lavorative), sostenendo e promuovendo le capacità individuali e le reti
familiari. Più in generale, il sistema mira a costruire comunità locali amichevoli, favorendo, dal lato
dell'offerta, gli interventi e i modelli organizzativi che promuovono e incoraggiano la libertà, e, dal lato della
domanda, la cittadinanza attiva e le iniziative di auto e mutuo aiuto.
Le politiche sociali perseguono obiettivi di ben-essere sociale. Lo strumento attraverso il quale tali obiettivi
sono realizzati è il Sistema integrato di interventi e servizi. La promozione delle possibilità di sviluppo della
persona umana, e non l'erogazione di prestazioni e servizi, è l'obiettivo ultimo degli interventi che gli Enti
locali, le Regioni e lo Stato programmano e realizzano in coerenza con quanto disposto dalla legge n.
328/2000.
Le politiche sociali tutelano il diritto a stare bene, a sviluppare e conservare le proprie capacità fisiche, a
svolgere una soddisfacente vita di relazione, a riconoscere e coltivare le risorse personali, a essere membri
attivi della società, ad affrontare positivamente le responsabilità quotidiane. Il diritto a stare bene è il
fondamento del diritto alle prestazioni e ai servizi sociali, i quali devono essere offerti ai livelli, secondo gli
standard e con le modalità definite dalla normativa di riferimento.
Il sistema integrato di interventi e servizi sociali promuove la solidarietà sociale attraverso la valorizzazione
delle iniziative delle persone, delle famiglie, delle forme di auto-aiuto e di reciprocità, nonché della
solidarietà organizzata.
In coerenza con la legge n. 328/2000, il Piano Nazionale Sociale 2001-2003 promuove lo sviluppo del
Welfare delle responsabilità, ovvero di un Welfare che può essere definito plurale, perché costruito e sorretto
da responsabilità condivise, in una logica di sistema allargato di governo, che valorizzi il federalismo
solidale in cui:
- tutti livelli di governo, Comuni, Province, Regioni e Stato, ognuno nell'àmbito delle proprie competenze,
concorrono a formulare, realizzare e valutare le politiche sociali, - le organizzazioni sindacali e le
associazioni sociali e di tutela degli utenti partecipano a formulare gli obiettivi di ben-essere sociale e a
valutarne il raggiungimento, - le comunità locali, le famiglie, le persone sono soggetti attivi delle politiche
sociali e, in quanto tali, svolgono un ruolo da protagonista nella progettazione e nella realizzazione del
sistema, - l'aggregazione e l'autorganizzazione degli utenti, delle famiglie, delle persone è fattore di
arricchimento della rete dei servizi, - le Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza che operano in
campo socioassistenziale partecipano alla programmazione regionale del sistema, - le Onlus, la
cooperazione, il volontariato, le associazioni e gli enti di promozione sociale, le fondazioni, gli enti di
patronato e gli enti riconosciuti delle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato accordi,
concorrono alla programmazione, all'organizzazione e alla gestione del sistema integrato, - le Onlus, la
cooperazione, il volontariato, le associazioni e gli enti di promozione sociale, le fondazioni, gli enti di
patronato e gli altri soggetti privati provvedono, insieme ai soggetti pubblici, all'offerta e alla gestione dei
servizi.
Al Comune, ente territoriale più vicino alle persone, è affidata la «regia» delle azioni dei diversi attori, in
un'ottica di condivisione degli obiettivi e di verifica dei risultati.
Il diritto ad usufruire degli interventi e dei servizi del sistema integrato è riconosciuto a tutti i cittadini
italiani e, nel rispetto degli accordi internazionali e con le modalità e i limiti definiti dalle leggi vigenti, ai
cittadini dell'Unione Europea ed ai loro familiari, nonché ai cittadini non comunitari con regolare permesso
di soggiorno.
Il sistema integrato di interventi e di servizi sociali ha come primi destinatari, in un'ottica insieme di
prevenzione e di sostegno, i soggetti portatori di bisogni gravi. Nella prospettiva universalistica e inclusiva
della cittadinanza, il sistema quindi dà priorità (art. 2, comma 3):
- ai soggetti in condizione di povertà o con limitato reddito, - ai soggetti con forte riduzione delle capacità
personali per inabilità di ordine fisico e psichico, - ai soggetti con difficoltà di inserimento nella vita sociale
attiva e nel mercato del lavoro, - ai soggetti sottoposti a provvedimenti dell'autorità giudiziaria che rendono
necessari interventi assistenziali, - ai minori, specie se in condizione di disagio familiare.
Il criterio di accesso al sistema integrato di interventi e servizi sociali è il bisogno. La diversificazione dei
diritti e delle modalità di accesso ad un determinato intervento è basata esclusivamente sulla diversità dei
bisogni.
Affinché le politiche sociali siano veramente universalistiche, è necessario che le persone e le famiglie con
situazioni di bisogno più acuto o in condizioni di maggiore fragilità siano messe in grado di poter accedere ai
servizi rivolti a tutti, oltre che eventualmente a misure e servizi specificamente dedicati. A questo scopo non
basta definire graduatorie di priorità che potrebbero, da sole, avere persino un effetto di segregazione sociale.
Occorre soprattutto sviluppare azioni positive miranti a facilitare e incoraggiare l'accesso ai servizi e alle
misure disponibili. Tali azioni dovranno riguardare la messa a punto di strumenti di informazione adeguati,
di modalità di lavoro sociale (al contempo attive e rispettose della dignità e delle competenze dei soggetti), di
misure di accompagnamento che compensino le situazioni di fragilità e valorizzino le capacità delle persone
e delle loro reti sociali e familiari.
Le Regioni e gli Enti locali sviluppano specifiche azioni affinché coloro che hanno più bisogno e perciò più
titolo ad accedere al sistema integrato non vengano esclusi o, comunque, non siano ostacolati da barriere
informative, culturali o fisiche nell'accesso ai servizi e agli interventi specificamente loro dedicati e a quelli
universalistici. Particolare attenzione sarà riservata agli interventi a favore dei soggetti che risiedono nelle
zone svantaggiate, nelle aree rurali e nei piccoli centri.
Le persone e le famiglie possono essere chiamate a concorrere al costo dei servizi universali in base alla loro
condizione economica, per salvaguardare il criterio dell'equità.
L'attuazione di un sistema di servizi a rete presuppone una complessa interazione tra tutti i soggetti coinvolti,
pubblici e privati. L'art. 1, comma 3 della legge n. 328/2000 attribuisce chiaramente la primaria
responsabilità della programmazione e dell'organizzazione del sistema integrato all'articolazione enti locali regioni - Stato; i commi successivi dello stesso articolo provvedono a riconoscere i vari soggetti privati che
forniscono servizi e che possono assumere un ruolo attivo nella progettazione e nella realizzazione degli
interventi.
Il principio di sussidiarietà trova quindi attuazione in senso sia verticale sia orizzontale.
In primo luogo, risulta confermata la scelta che privilegia i comuni quali titolari delle funzioni relative ai
servizi sociali offerti a livello locale (scelta già presente nel D.Lgs. n. 616/1977 e nel D.Lgs. n. 112/1998),
con alcune specificazioni connesse al concetto di rete. In riferimento ai comuni, si passa dai compiti di
erogazione di servizi alla attribuzione della titolarità delle funzioni (comprendenti la programmazione e la
realizzazione in àmbito locale; l'erogazione di servizi e prestazioni economiche; le attività di autorizzazione,
accreditamento e vigilanza delle strutture erogatrici; la definizione dei parametri per l'individuazione delle
persone destinatarie con priorità degli interventi). Assume anche particolare rilievo la prevista partecipazione
dei comuni al procedimento regionale per l'individuazione degli ambiti territoriali del sistema locale della
rete di servizi. La natura delle funzioni attribuite ai comuni è ulteriormente connotata dall'elenco, non
esaustivo, previsto dall'art. 6 della legge quadro.
Le province concorrono alla programmazione del sistema integrato secondo quanto previsto dalla normativa
e con le modalità definite dalle regioni.
Alle regioni sono attribuiti compiti di programmazione, coordinamento e indirizzo degli interventi sociali,
nonché di verifica dell'attuazione del sistema integrato nell'àmbito territoriale di competenza. Le funzioni
sono specificate all'art. 8, comma 3 della legge n. 328/2000, che contiene un elenco di compiti da attuarsi
«nel rispetto di quanto previsto» dal D.Lgs. n. 112 del 1998. Essi riguardano, fra l'altro, la determinazione
dei distretti (con il coinvolgimento degli enti locali interessati), la definizione di politiche integrate con gli
altri settori di intervento, la promozione di modelli sperimentali e innovativi, lo sviluppo di strumenti di
valutazione. Spetta, inoltre, alle regioni l'indicazione di una serie di criteri concernenti la determinazione del
concorso da parte degli utenti al costo delle prestazioni, la definizione delle tariffe che i comuni sono tenuti a
corrispondere ai soggetti accreditati e la concessione di buoni-servizio che consentano l'erogazione di
prestazioni. Infine, l'accentuazione della responsabilità politica e amministrativa delle regioni
nell'implementazione del sistema è alla base della previsione dei poteri sostitutivi ad esse conferiti.
Le residue funzioni statali riprendono formulazioni presenti, in primo luogo, nel D.Lgs. n. 112 del 1998 e in
altre leggi in materia di servizi sociali, che limitano le competenze statali a quelle strettamente connesse ai
compiti di indirizzo, coordinamento, mediante l'indicazione di standard, e di ripartizione delle risorse. l
compiti indicati alle lettere a), b), c ) e d) dell'art. 9, comma 1, riguardano l'indicazione dei princìpi e degli
obiettivi delle politiche sociali, mediante l'adozione del Piano nazionale degli interventi e servizi sociali che
costituisce il fondamentale atto di programmazione in materia; l'individuazione dei livelli essenziali ed
uniformi delle prestazioni, dei requisiti minimi strutturali e organizzativi per l'autorizzazione all'esercizio dei
servizi nonché dei requisiti e dei profili per le professioni sociali.
Secondo il principio della «sussidiarietà verticale», fra le Istituzioni pubbliche, «l'esercizio delle
responsabilità pubbliche deve, in linea di massima, incombere di preferenza sulle autorità più vicine ai
cittadini» (articolo 4 della Carta Europea).
Secondo il principio della «sussidiarietà orizzontale» fra Istituzioni pubbliche e società civile (intesa,
quest'ultima, come l'insieme dei soggetti individuali e collettivi che la compongono e rispetto ai quali
l'ordinamento giuridico esprime una valutazione positiva di valore), per renderne compatibile l'applicazione
con l'adeguatezza del livello di risposta ai bisogni, è necessario che l'Ente Locale titolare delle funzioni
sociali svolga pienamente le funzioni di lettura dei bisogni, di pianificazione e programmazione dei servizi e
degli interventi, di definizione dei livelli di esigibilità, di valutazione della qualità e dei risultati. In alcun
modo la «sussidiarietà orizzontale» può essere intesa quale semplice supplenza delle istituzioni pubbliche
alle carenze della società civile, ma quale strumento di promozione, coordinamento e sostegno che permette
alle formazioni sociali (famiglie, associazioni, volontariato, organizzazioni non profit in genere, aziende,
ecc.) di esprimere al meglio, e con la piena garanzia di libertà di iniziativa, le diverse e specifiche
potenzialità. Resta in capo alle istituzioni il ruolo fondamentale di garanzia della risposta (esistenza, qualità,
accessibilità).
Nei casi in cui l'intervento sociale provenga dalla comunità, esso è alternativo ai servizi sociali forniti
dall'Ente pubblico, soddisfacendo direttamente il bisogno. In un quadro solidaristico che preservi le
fondamentali funzioni dello stato sociale, la corretta applicazione del principio di sussidiarietà orizzontale
deve conservare e rafforzare il ruolo delle Istituzioni pubbliche in due direzioni:
a) sostegno costante alle risorse della società civile e ai legami solidaristici, b) sorveglianza sul sistema di
offerta complessivo, garanzie di imparzialità e completezza della rete degli interventi e dei servizi presenti
nel territorio.
La sussidiarietà deve essere realizzata attraverso la concertazione a tutti i livelli istituzionali (a partire dalle
Regioni e dagli Enti locali) con le organizzazioni sindacali che hanno il compito di formulare gli obiettivi di
benessere sociale di concorrere alla programmazione degli interventi e di verificarne il raggiungimento,
valorizzando il ruolo del volontariato del terzo settore nella coprogettazione e nella realizzazione dei servizi.
La concertazione a tutti i livelli istituzionali è altresì volta a valorizzare tutti gli attori istituzionali (Ipab) e gli
attori sociali (volontariato, terzo settore) nella progettazione e realizzazione del sistema integrato.
Il Piano nazionale sociale 2001-2003 si propone di valorizzare il lavoro svolto dal Dipartimento per gli
Affari Sociali, in accordo con i referenti regionali e con i ministeri di riferimento, nell'àmbito della
Programmazione dei Fondi strutturali 2000-2006, nella individuazione delle misure di intervento dei Quadri
comunitari di sostegno nazionali e dei complementi di programmazione dei Fondi europei (obiettivi 1 e 3),
nonché attraverso la predisposizione di un piano specifico di assistenza tecnica alle regioni e agli enti locali
delle regioni del centro nord e del mezzogiorno.
L'assistenza tecnica del Dipartimento per gli Affari Sociali si propone quale strumento di integrazione e
raccordo tra il quadro comunitario di sostegno dei fondi strutturali 2000-2006 e l'attuazione della legge
quadro sull'assistenza.
Parte II - Obiettivi di priorità sociale
Premessa Il Piano Nazionale Sociale 2001-2003 ha come obiettivo la promozione del ben-essere sociale
della popolazione.
La realizzazione di un sistema integrato di interventi e servizi sociali è lo strumento attraverso il quale le
politiche sociali perseguono gli obiettivi di benessere sociale.
Il primo Piano Nazionale Sociale individua i seguenti obiettivi prioritari:
1. valorizzare e sostenere le responsabilità familiari, 2. rafforzare i diritti dei minori, 3. potenziare gli
interventi a contrasto della povertà, 4. sostenere con servizi domiciliari le persone non autosufficienti (in
particolare le persone anziane e le disabilità gravi).
Oltre a tali quattro obiettivi, il Piano indica un quinto obiettivo riferito a una serie di interventi che per la loro
rilevanza, e in coerenza con quanto previsto dalla normativa di settore, meritano specifico rilievo:
l'inserimento degli immigrati, la prevenzione delle droghe, l'attenzione agli adolescenti.
Gli obiettivi non esauriscono, nel complesso, i bisogni di ben-essere sociale della popolazione. Altri bisogni,
non espressamente considerati nel Piano, potranno essere assunti dagli enti locali e dalle Regioni sulla base
di specifiche scelte di priorità sociale, tenuto conto dei bisogni della popolazione di riferimento.
Le Regioni, entro 120 giorni dalla entrata in vigore del Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali,
adottano i Piani Regionali ai sensi dell'articolo 18, comma 6 della legge n. 328/2000 e secondo le modalità
previste nell'articolo 3 della legge n. 328/2000.
Obiettivo 1
Valorizzare e sostenere le responsabilità familiari
Con l'obiettivo 1 il Piano Nazionale Sociale 2001-2003 si propone di:
- promuovere e sostenere la libera assunzione di responsabilità, - sostenere e valorizzare le capacità
genitoriali, - sostenere le pari opportunità e la condivisione delle responsabilità tra uomini e donne, promuovere una visione positiva della persona anziana.
1.1 - Promuovere e sostenere la libera assunzione di responsabilità
La libera assunzione di responsabilità da parte degli individui nei confronti dei più piccoli, dei più
anziani, dei non autosufficienti è non solo eticamente, ma anche socialmente, un fatto positivo. Le politiche
nazionali e locali devono agevolare tali atti di libertà, correggendo o eliminando tutti quei fattori che li
rendono troppo gravosi o inconciliabili con altre esigenze (in particolare, anche se non esclusivamente, con
quelle delle donne con carichi familiari).
Le politiche sociali devono sostenere attivamente le scelte relative all'avere uno o più figli e quelle relative
all'assunzione di responsabilità verso persone parzialmente autosufficienti nella propria rete familiare.
In tutti questi campi esistono forti diversificazioni nelle politiche locali che potrebbero utilmente essere
messe a confronto anche per avviare processi di apprendimento reciproco e di verifica delle « buone
pratiche», pur nella consapevolezza delle specificità locali.
Da questa diversità dei punti di partenza deriva anche la necessità di definire obiettivi di breve periodo
diversificati per regione. Essi andranno chiaramente identificati nei piani regionali, sia in termini di copertura
(percentuali di soggetti il cui bisogno si mira a soddisfare nell'arco del triennio, tasso di variazione rispetto
alla situazione di partenza), sia in termini di strumenti da attivare (tipi di servizi e interventi).
1.2 - Sostenere e valorizzare le capacità genitoriali
Il peso delle responsabilità genitoriali e, soprattutto, le difficoltà a conciliare lavoro e famiglia
condizionano in modo significativo sia le scelte della coppia circa l'avere uno o più figli, sia la
partecipazione delle donne al mercato del lavoro.
Alcuni comuni hanno iniziato a fornire un sostegno economico vuoi per coprire le spese implicate dalla
nascita di un figlio, vuoi per consentire ai genitori, specie a reddito medio-basso, di poter fruire
effettivamente del congedo opzionale in presenza di figli piccoli. Si tratta di misure importanti, ma che non
possono essere considerate alternative all'offerta di servizi di cura ed educazione di qualità e a prezzo
contenuto. Tali servizi, infatti, da un lato consentono con maggior agio ad entrambi i genitori, e soprattutto
all'eventuale unico genitore presente, di avere un lavoro remunerato (ovvero di assicurare nel tempo la
sicurezza economica a se e ai propri figli); dall'altro costituiscono una risorsa aggiuntiva per i bambini e per i
loro genitori: come spazi di socializzazione, di esposizione a esperienze e stimoli diversificati, di confronto e
arricchimento personale. Possono inoltre costituire importanti strumenti di prevenzione e ascolto del disagio.
Per quanto riguarda la presenza, nei comuni, di asili nido e di servizi per minori in età prescolare e scolare,
l'indagine Istat del 1997 rivela una situazione particolarmente grave. Nei piccoli comuni (meno di 5.000
abitanti), l'asilo nido è ancora molto raro (solo il 10% dei comuni del nord dispone di un asilo nido, 9% al
centro e 1,9% al sud). Nei comuni medi la situazione è estremamente diversificata (si va dal 71,5% del nord
al 28% del sud), mentre nei comuni più grandi il divario tra nord e sud è minore, ma ancora considerevole
(92,7% al nord contro 64,8% al sud).
In tale contesto, è fondamentale il ricorso alla rete di aiuti informali, oltre che dei servizi a pagamento. Le
famiglie con bimbi sono quelle che ricorrono più frequentemente agli aiuti informali, in particolare dei
nonni; le famiglie con bimbi in cui la donna lavora sono quelle che ricorrono più frequentemente sia ai
servizi privati sia alla rete informale (si veda in proposito l'Allegato statistico).
Ciò può produrre sia elementi di costrizione e sovraccarico sulle famiglie e le loro reti informali, sia forti
disuguaglianze tra famiglie e anche tra bambini a seconda della possibilità di ricorrere ad aiuti informali o a
pagamento.
Alla luce della situazione descritta, peraltro in maniera ancora parziale, dalle statistiche sulle responsabilità e
i carichi di lavoro delle famiglie con figli, le politiche sociali devono proporsi almeno i seguenti obiettivi di
carattere generale:
a) riconoscere il costo economico legato alla presenza di uno o più figli;
b) facilitare la conciliazione delle responsabilità genitoriali con la partecipazione al lavoro remunerato delle
madri e dei padri, in un'ottica di pari opportunità e di prevenzione dalla vulnerabilità economica;
c) sostenere, valorizzare e integrare le capacità genitoriali, fornendo strumenti per affrontare le normali fasi
di cambiamento e i momenti di crisi, in un'ottica di prevenzione.
Tali obiettivi coinvolgono, in primo luogo, le politiche nazionali, in particolare quelle fiscali e di regolazione
dei rapporti di lavoro e, in secondo luogo, le politiche locali, in particolare (ma non esclusivamente) per
quanto riguarda l'offerta di servizi e l'armonizzazione dei tempi delle città.
Con riguardo agli obiettivi di sostegno e potenziamento della libera assunzione di responsabilità familiari e
genitoriali, e in stretto collegamento con le azioni previste per l'obiettivo 2, i piani di zona dovranno
prevedere misure e servizi in ognuno dei seguenti campi:
a) interventi a sostegno della conciliazione tra responsabilità familiare e partecipazione al mercato del lavoro,
in particolare per le madri (ad esempio, servizi scolastici integrati, incentivi e cooperazione con le imprese
per l'adozione di orari amichevoli), anche in collegamento con la legge 8 marzo 2000;
b) servizi di cura per i bambini, sviluppando le opportunità e la logica della legge n. 285/1997;
c) agevolazioni e misure di sostegno economico a favore delle famiglie con figli (ad esempio, nelle politiche
tariffarie o abitative);
d) forme di agevolazione e sostegno delle famiglie con figli minori che presentano particolari carichi di cura
(ad esempio, famiglie con un solo genitore o con un minore con handicap grave);
e) strumenti di incentivazione dell'affidamento familiare nei confronti di minori in situazione di forte disagio
familiare e per i quali è impossibile, anche solo temporaneamente, rimanere presso la propria famiglia;
f) misure di sostegno alle responsabilità genitoriali (ad esempio, centri per le famiglie e consultori
pedagogici, entrambi aperti anche ai gruppi di auto e mutuo aiuto).
All'interno delle politiche di sostegno alle responsabilità familiari, specifica attenzione deve essere dedicata
alle famiglie che, di fronte alle responsabilità genitoriali, si trovano in condizioni di particolare difficoltà; ciò
attraverso sia lo sviluppo di servizi (anche domiciliari) che sostengano le competenze genitoriali sia (quando
queste misure non sono sufficienti a garantire la sicurezza e lo sviluppo dei minori) il ricorso temporaneo
all'affido.
I piani di zona devono indicare gli obiettivi di breve e medio periodo, e gli strumenti adottati per la
realizzazione degli obiettivi.
1.3 - Sostenere le pari opportunità e la condivisione delle responsabilità tra uomini e donne
La responsabilità di una famiglia comporta un rilevante
carico di lavoro sulla donna: il 48% delle donne occupate lavora più di 60 ore a settimana, tra lavoro
domestico e extradomestico (contro il 20% degli occupati). Il carico di lavoro è maggiore per le donne
lavoratrici con bimbi piccoli. Fra le 637 mila coppie con bimbi piccoli (da 0 a 2 anni) in cui la donna lavora,
ben il 64% delle donne lavora più di 60 ore a settimana. E fra quelle in cui il bimbo più piccolo ha tra i 3 e i
13 anni e la madre lavora (oltre 1 milione di famiglie), il 58% delle donne lavora più di 60 ore a settimana
(Allegato statistico).
Le responsabilità familiari sono la principale causa di abbandono dell'attività lavorativa da parte delle donne:
tra quelle con due figli, una su cinque ha abbandonato il lavoro in occasione della nascita di un bimbo,
addirittura una su quattro se in età compresa tra 25 e 34 anni (Allegato statistico). Inoltre, nonostante la
normativa a tutela della maternità, una percentuale significativa di donne interrompe il rapporto di lavoro nel
periodo di maternità protetta (circa il 10% in media e oltre il 15% in alcune regioni come il Veneto, la
Lombardia, il Trentino Alto Adige) (si veda l'Allegato statistico).
Nel rispetto delle libertà di scelta individuale, e nella consapevolezza che esistono diversi modelli culturali e
valoriali di famiglia, il Piano nazionale Sociale 2001-2003 propone che le Regioni e gli enti locali nel
progettare il sistema integrato di interventi e servizi affrontino esplicitamente (anche tramite l'ampliamento
dell'offerta dei servizi di cura, la piena attuazione della legge 8 marzo 2000, la collaborazione con i comitati
pari opportunità nazionale e locali) il problema relativo all'abbandono del lavoro da parte delle donne: a) nel
periodo di maternità protetta e b) in occasione della nascita di un figlio. Le statistiche disponibili (vedi
allegato statistico) consentono alle diverse regioni di conoscere la propria posizione di partenza e il divario
rispetto alla media nazionale e rispetto alle regioni con le posizioni più favorevoli (verso le quali le regioni e
i comuni devono puntare).
1.4 - Promuovere una visione positiva della persona anziana
La dinamica demografica pone l'Italia fra i Paesi con la più alta percentuale di anziani. All'1.1.2000 le
persone di età superiore ai 65 anni sono oltre 10 milioni, pari al 18% della popolazione. I grandi vecchi, di
età superiore agli 80 anni, rappresentano il 22% degli anziani. L'allungamento dell'aspettativa di vita (sono
stati aggiunti più di trent'anni alla vita media dall'inizio del XX secolo), insieme alla riduzione del tasso di
fecondità totale (il numero di nati per donna in età feconda è stato nel 1998 di 1,19, tra i più bassi al mondo)
ha portato l'Italia ad essere il primo Paese in cui la popolazione degli ultra sessantacinquenni ha superato
quella dei giovani con meno di 15 anni (tab. 1, Allegato statistico).
L'invecchiamento della popolazione, soprattutto in alcune regioni e comunità locali, sta modificando
fortemente le reti familiari e l'insieme dei bisogni cui esse tradizionalmente facevano fronte. Le famiglie con
almeno un anziano sono (secondo l'indagine Multiscopo dell'Istat) il 34,8% del totale (con un solo anziano
nel 22,9% dei casi, con due o più anziani nell'11,9% - vedi Allegato statistico). Tale situazione è
ulteriormente complicata dall'instabilità matrimoniale, dalla crescente diversificazione dei modi di «fare
famiglia», oltre che dalla mobilità territoriale delle generazioni giovani e adulte (per lo più per motivi legati
al lavoro).
Gli anziani che vivono soli sono oltre 2,6 milioni (il 27% degli anziani), di cui l'81% donne. La variabilità
territoriale è molto accentuata, si passa dal 20% di anziani soli in Sardegna al 34% in Val d'Aosta. Una cosi
alta percentuale di single non deve peraltro essere interpretata come indice di isolamento. Al contrario,
segnala sia l'adesione ad un modello di autonomia nella vita quotidiana reso possibile anche dalle migliorate
condizioni di salute in età anziana, sia l'esistenza di forti reti parentali che consentono autonomia senza
abbandono. Il 24% degli anziani soli riceve aiuti informali e (soltanto) il 5% riceve aiuti dal Comune o da
altri enti ed istituzioni.
Particolarmente a rischio appaiono 555 mila anziani soli che non hanno figli, fratelli, sorelle, oppure hanno
figli che vedono solo raramente. Il 77% di questi è al di fuori di qualunque rete di aiuto (allegato statistico).
A fronte di tale situazione, va peraltro osservato che aumenta il numero di persone anziane che
contribuiscono attivamente alla vita sociale o che offrono un sostegno (aiuto) informale alla famiglia. Il 58%
dei nonni pari a circa 6,3 milioni di persone - ha almeno un nipote con meno di 14 anni. La maggioranza dei
nonni con nipoti piccoli contribuisce alla loro cura. Infatti, complessivamente, l'84,2% dei nonni si prende
cura dei nipoti almeno in qualche occasione. Le nonne sono più spesso partecipi della vita quotidiana dei
nipotini: solo il 13% delle nonne non si occupa mai di loro. Ben il 29,8% dei nonni si occupa dei nipoti
mentre i genitori lavorano, ma sono soprattutto quelli meno istruiti ad essere più spesso impegnati in questa
attività. I nonni con maggiori livelli di istruzione sembrano invece più spesso occupati con i nipotini in
occasioni di svago (per il tempo libero dei genitori e durante le vacanze).
Emerge un segmento maggioritario di nonni che si cura dei nipoti occasionalmente o in momenti di
emergenza. Il segmento dei nonni impegnati a tempo pieno nella cura dei nipoti appare dunque minoritario. I
nonni «a tempo pieno» sono di più nel Nord del Paese, ove sono più alti i tassi di occupazione femminile, a
conferma del fatto che, in assenza di servizi adeguati, sono le reti familiari a consentire la conciliazione tra
partecipazione al lavoro e responsabilità familiari, esigenze di reddito ed esigenze di cura.
L'invecchiamento è un processo naturale che riguarda tutte le persone e che si sviluppa in modo differenziato
secondo i contesti sociali, culturali e familiari nei quali esso avviene. Non si tratta di un processo omogeneo
e lineare: le condizioni che esprimono la vecchiaia sono diverse, come sono diversi i bisogni ad essa
correlati. Dal punto di vista funzionale ci sono situazioni di totale autonomia e situazioni di totale
dipendenza. Rispetto ai legami con la comunità, e quindi ai meccanismi di appartenenza sociale, mentre
aumentano le persone anziane che contribuiscono alla vita sociale permangono situazione di debolezza e
fragilità dipendente dall'indebolimento dei ruoli sociali.
L'invecchiamento si sviluppa all'interno delle reti familiari e nei contesti comunitari, per cui implica
l'assunzione di precise responsabilità da parte delle componenti giovani e adulte della famiglia, relativamente
ad ognuna delle varie fasi in cui si sviluppa l'invecchiamento e non soltanto nel momento in cui si manifesta
la dipendenza in rapporto a condizioni di non autonomia.
Nella famiglia tali responsabilità riguardano di norma i figli, indipendentemente dalla condizione di
convivenza, figli che a loro volta possono già essere coinvolti in un loro processo di invecchiamento. È in
aumento la quota di anziani (per lo più donne) che ha responsabilità di cura nei confronti di altri anziani nella
generazione precedente. Riconoscere e valorizzare il rapporto di tutela e di sostegno che i figli possono
offrire ai genitori anziani, comporta offrire ai figli una serie di servizi e di aiuti, destinati ad integrare il
lavoro di cura (quotidianamente o per periodi di sollievo), a sostenere psicologicamente la persona, a offrire
risorse economiche (quando necessarie) per far fronte ai maggiori impegni. Occorre inoltre tenere presente
che la forma della famiglia e delle reti familiari cambia lungo il ciclo di vita e che vi sono individui e
famiglie nucleari che possono trovarsi a contare solo sulle proprie risorse ristrette, mentre altri possono
vivere da soli, ma contando su una più o meno fitta rete di relazioni familiari.
È assodato che la crescente necessità di differenziare i servizi rivolti alla popolazione anziana nasce non
tanto, e non solo, dalla carenza di risorse in rapporto al sempre crescente numero di potenziali utenti, quanto
al maturare di una nuova coscienza circa la necessità di restituire alle persone anziane il potere di
autodeterminazione, cioè di scegliere tra i vari servizi possibili quello più rispondente alle proprie
preferenze, fermo restando l'appropriatezza dello stesso e la valutazione del rapporto costi/benefìci per
quanto a carico della collettività. In particolare occorre che l'anziano non sia visto solo come soggetto
passivo, ma al contrario sia recuperato il ruolo fondamentale dell'anziano, come memoria, come saggezza,
come capacità di ridefinire le priorità dei valori, all'interno della società.
Il complesso di fenomeni legati ai mutamenti demografici e sociali richiede una forte innovazione e
diversificazione nell'offerta di servizi e interventi nonché nella creazione di sinergie e collaborazioni tra
servizi, reti familiari, associazioni di auto e mutuo aiuto, volontariato. Richiede anche di guardare alla
famiglia in modo non statico e omogeneo, prestando attenzione alle risorse e potenzialità effettivamente
disponibili, ma anche ai vincoli e alle difficoltà di tipo organizzativo e relazionale ed ai rischi di
impoverimento e dipendenza che può provocare per alcuni soggetti un troppo esclusivo affidamento alla
solidarietà familiare.
In una logica analoga vanno valorizzate e sostenute le risorse che la stessa comunità può mettere a
disposizione, in particolare attraverso le associazioni e i gruppi di volontariato (anche di volontariato
anziano), secondo princìpi di solidarietà (inter ed intra-generazionali).
Le politiche nei confronti della popolazione anziana possono qualificarsi con programmi improntati ad una
visione positiva dell'età anziana, promuovendo una cultura che valorizzi l'anziano come soggetto sociale in
una società integrata e solidale, garantendo condizioni di maggiore equità nella erogazione dei servizi.
Le politiche sociali devono proporsi almeno i seguenti obiettivi:
- sostenere le famiglie con anziani non autosufficienti bisognosi di assistenza a domicilio (anche a tutela
dell'autonomia della donna, sulla quale ricade nella maggior parte dei casi l'onere dell'assistenza), - innovare
e diversificare l'offerta di servizi e interventi, - riconoscere il diritto dell'anziano a scegliere dove abitare.
Tali obiettivi coinvolgono le politiche nazionali, in particolare quelle fiscali (di riconoscimento delle spese
per l'adeguamento delle abitazioni alle esigenze delle persone anziane e delle spese per l'assistenza) e le
politiche locali, in particolare (ma non esclusivamente) per quanto riguarda l'offerta e l'innovazione dei
servizi.
Il Piano nazionale Sociale 2001-2003 propone che le Regioni e gli enti locali nel progettare il sistema
integrato di interventi e servizi affrontino esplicitamente il problema relativo al sostegno alle famiglie con a
carico persone anziane non autosufficienti prevedendo specificamente misure e interventi volte a:
- potenziare i servizi di assistenza domiciliare, prevedendo, in ogni caso, almeno un servizio in ogni comune
(o consorzio di comuni), - sviluppare l'offerta di servizi di sollievo, prevedendo, in ogni caso, almeno un
servizio in ogni comune o consorzio di comuni.
Le statistiche disponibili (vedi allegato statistico) consentono alle diverse regioni di conoscere la propria
posizione di partenza nonché il divario rispetto alla media nazionale.
Gli interventi sociali a sostegno delle persone anziane ed in particolare delle persone anziane non
autosufficienti devono coordinarsi con il Progetto Obiettivo Anziani in particolar modo con le politiche di
integrazione tra sanità ed assistenza così come definito dall'Atto di Indirizzo e Coordinamento relativo alla
integrazione socio-sanitaria.
Con riguardo all'obiettivo di promozione di una visione positiva dell'anziano, e in stretto collegamento con
quanto delineato per l'obiettivo 1 e l'obiettivo 4, i piani di zona dovranno prevedere misure e servizi in
ognuno dei seguenti campi:
istituzione, d'intesa con le organizzazioni delle persone anziane, di un servizio civile, ai quale partecipano le
persone anziane (insieme ai più giovani) al fine di valorizzarne le esperienze e competenze,
servizi di assistenza domiciliare (anche integrata con i servizi sanitari) con personale qualificato, con
particolare attenzione allo sviluppo delle capacità relazionali degli operatori nel leggere le richieste non
formulate o le sofferenze inespresse e nel saper dare risposte che tengano anche in considerazione il bisogno
di ascolto,
centri diurni che sappiano coniugare il sollievo alle famiglie e l'offerta di attività riabilitative, ricreative; di
socializzazione sia per persone non autosufficienti fisiche sia per affetti da demenza senile o morbo di
Alzheimer,
servizi a sostegno della domiciliarità, trasporti adeguati che permettano una sufficiente mobilità e
l'autonomia nelle attività quotidiane,
mini-alloggi per gli anziani che per la posizione territoriale (es. montagna) o per lo stato della propria
abitazione siano impossibilitati a rimanervi (per alcuni periodi o definitivamente),
ospitalità temporanea, da un giorno a un massimo di tre mesi, nelle strutture residenziali, in posti associati ai
centri diurni, al fine di risolvere urgenti necessità familiari o per sollievo alla famiglia ospitante, affinché
possa soddisfare bisogni essenziali del nucleo ed in particolare dei minori presenti,
affidamento a famiglie selezionate anche sulla compatibilità reciproca relativa ad abitudini di vita, a gusti,
ad àmbito territoriale,
offerta di attività di volontariato o di utilità sociale in particolare favorendo lo sviluppo dell'auto-mutuo
aiuto in tutti i settori del bisogno sociale,
apertura delle strutture residenziali e diurne alla comunità locale nella quale sono inseriti e promozione di
incontri intergenerazionali in particolare tra bambini e anziani,
soggiorni marini o in altre località, anche per persone non autosufficienti sia ricoverate in strutture sia
residenti al proprio domicilio.
Obiettivo 2
Rafforzare i diritti dei minori
Con l'obiettivo 2, il Piano Nazionale Sociale 2001-2003 si propone di consolidare le risposte per l'infanzia e
per l'adolescenza, in una logica di rafforzamento dei diritti dei minori, compresi gli immigrati.
2.1 - Consolidare e rafforzare le risposte per l'infanzia e l'adolescenza
La diminuzione della natalità, il progressivo invecchiamento della popolazione, l'aumento del tasso di
occupazione della donna, talvolta la crisi dei rapporti coniugali, stanno introducendo rapidi mutamenti nella
struttura familiare e nella condizione dei minori. Oggi i bambini ed i ragazzi, soprattutto nel nord del paese,
hanno raramente molti fratelli e cugini mentre dispongono di un maggior numero di nonni e bisnonni con i
quali passano molto tempo e dai quali vengono spesso accuditi. In questo quadro, la condizione e i bisogni
dei minori sono in rapido cambiamento; stanno anche emergendo nuove fragilità e disagi evolutivi che, in
molti casi, a causa del progressivo aumento delle condizioni di povertà, sfociano in difficoltà conclamate.
La legge n. 328/2000 precisa (art. 22, comma 1, lettera c) che gli interventi per la promozione dei diritti
dell'infanzia e dell'adolescenza, nonché gli interventi a sostegno dei minori in situazione di disagio rientrano
nel «livello essenziale delle prestazioni sociali erogabili sotto forma di beni e servizi». La legge precisa
inoltre che gli interventi del sistema integrato sono realizzati secondo le finalità della legge n. 285/1997
(diritti ed opportunità per l'infanzia e l'adolescenza). Si tratta di una precisazione importante, perché volta a
recepire la legge n. 285/1997 che nelle sue finalità, si ispira alla convenzione dell'Onu sui diritti del
fanciullo.
Gli interventi per infanzia ed adolescenza vanno pertanto inquadrati in una logica di esigibilità dei diritti e di
costruzione di opportunità. Le politiche si rivolgono tanto a situazioni di disagio conclamato e di
disadattamento, quanto al cosiddetto «disagio evolutivo». Nella progettazione degli interventi per l'infanzia e
l'adolescenza è importante passare dalla progettazione di singoli servizi alla progettazione di politiche
pubbliche di territorio, organiche e di comunità, che tengano conto delle esigenze delle nuove generazioni in
una logica - al contempo - promozionale, preventiva (primaria e secondaria) e curativa, nella prospettiva di
sostenere ed accompagnare i minori verso uno sviluppo evolutivo sano.
Le politiche sociali per infanzia e adolescenza si propongono inoltre, con iniziative di sostegno alla
genitorialità, di formare ed accompagnare gli adulti più vicini ai bambini ed ai ragazzi.
Lo strumento strategico per la costruzione delle politiche per l'infanzia e l'adolescenza, per il loro
consolidamento e la loro qualificazione è il Piano territoriale di intervento per l'infanzia e l'adolescenza
(L. n. 285/1997, art. 2, comma 2). Il Piano territoriale di intervento per l'infanzia e l'adolescenza si propone
infatti di:
dare compiuta attuazione al Piano d'Azione nazionale elaborato dall'Osservatorio Nazionale sull'infanzia e
l'adolescenza ai sensi dell'articolo 2 della legge 23 dicembre 1997, n. 451;
consolidare e dare più organicità agli interventi preesistenti rivolti a bambini e ragazzi, valutando
costantemente la loro appropriatezza e adeguatezza,
evidenziare sul territorio nuovi bisogni e nuove attese delle giovani generazioni, promuovere interventi
innovativi che rispondano a tali bisogni e attese,
promuovere idee ed iniziative sperimentali per conoscere nuovi bisogni e aprire nuovi fronti di
soddisfazione delle esigenze delle nuove generazioni.
Alla costruzione del Piano territoriale partecipano, nel medesimo territorio, tutti gli attori istituzionali e della
società civile coinvolti nell'erogazione delle politiche per i minori.
Il Piano territoriale per l'infanzia e l'adolescenza è costruito in stretta connessione con gli altri strumenti
strategici di programmazione locale, previsti dalla legge n. 328/2000 (in particolare, il Piano di zona e la
Carta dei servizi sociali). È importante che l'ente locale (comune capofila o associazione di Comuni) si
ponga in un ottica di regia di tale processo progettuale, investendo energie e risorse.
È altrettanto importante che gli altri livelli di governo (Province, Regioni, Dipartimento per gli Affari
Sociali) sostengano questo processo con adeguati accompagnamenti ed interventi di promozione, assistenza
tecnica e formazione, che rappresentano condizione essenziale per utilizzare a pieno gli strumenti e le
opportunità di sviluppo, anche culturale, delle politiche italiane per l'infanzia e l'adolescenza.
In particolare si propone la prosecuzione e l'implementazione dei positivi rapporti tra regioni, enti locali ed il
Centro Nazionale di documentazione ed analisi sull'infanzia e l'adolescenza previsto dall'articolo 3 della
citata legge n. 451/1997.
In stretto collegamento con quanto indicato per il sostegno alle responsabilità familiari e la conciliazione tra
responsabilità familiari e lavorative, le politiche sociali devono proporsi almeno i seguenti obiettivi, da
realizzare nel triennio 2001-2003:
1. attivazione di forme di partecipazione degli adolescenti alla vita della loro comunità locale, 2. creazione di
spazi di socializzazione e per il tempo libero «protetti», anche in collaborazione con gli istituti scolastici, 3.
rafforzamento ed estensione dell'affidamento familiare come modalità di risposta al disagio familiare, in
alternativa alla istituzionalizzazione, 4. programmazione di campagne informative e di consulenza sulle
dipendenze e sulle possibilità di affrancamento da esse, in particolare mediante gruppi di auto-mutuo aiuto,
5. realizzazione di almeno una struttura di accoglienza per minori a carattere famigliare (art. 22, comma 2,
lett. c) per ciascun àmbito territoriale definito dalla Regione, 6. attivazione di servizi quali educatori di strada
e simili.
Ogni regione, sulla base degli obiettivi che precedono, provvederà ad istituire un osservatorio generale, in
collaborazione con le province, dello stato dei servizi rivolti all'infanzia e all'adolescenza, a seguito del
quale, entro il primo anno di vigenza del Piano nazionale, individuerà con gli enti locali le priorità di
istituzione dei servizi, modulate sulle caratteristiche demografiche, territoriali, socio-culturali.
Il Piano regionale ed i piani di zona stabiliranno gli obiettivi concretamente raggiungibili per ciascun anno di
vigenza del Piano.
Con riguardo all'obiettivo di consolidare le risposte per l'infanzia e l'adolescenza, e in stretto collegamento
con quanto delineato per l'obiettivo 1, i piani di zona dovranno prevedere lo sviluppo di misure e servizi in
ognuno dei seguenti campi:
servizi di tipo prescolastico, a completamento della rete di scuole per l'infanzia, gestiti con la partecipazione
dei genitori;
realizzazione di servizi per la prima infanzia, attraverso lo sviluppo e la qualificazione di nidi d'infanzia e di
servizi ad essi integrativi che consentano una risposta qualificata e flessibile a bisogni sociali ed educativi
diversificati;
offerta di spazi di gioco di libero accesso per i bambini da 0 a 3 anni, con genitori, nonni, ecc., anche con la
presenza di operatori di supporto alle funzioni genitoriali;
luoghi di gioco «guidato», accessibili anche ai bambini residenti in zone ad alta dispersione, mirato a
favorire la socializzazione, la tolleranza, il rispetto e un rapporto positivo con se stessi e con il mondo
circostante;
sostegno psicologico e sociale per nuclei famigliari a rischio di comportamenti violenti e maltrattamenti,
attraverso interventi di prevenzione primaria e a forte integrazione sociosanitaria;
servizi di cura e recupero psico-sociale di minori vittime di maltrattamenti e violenze, anche sessuali,
attraverso interventi con caratteristiche di forte integrazione tra i settori sociale, sanitario, giudiziario e
scolastico;
servizi di sostegno per i minori sottoposti ad abusi;
servizi di supporto per gli studenti con difficoltà di apprendimento, anche come aiuto alla famiglia nel
seguire il percorso scolastico del figlio;
offerta di spazi e stimoli ad attività di particolare interesse da parte degli adolescenti, con la presenza di
persone di altre generazioni, con o senza la presenza di operatori qualificati, per assicurare l'inclusione
sociale, le pari opportunità, nonché lo sviluppo di capacità di autogestione degli spazi e delle attività;
percorsi sperimentali di formazione ed inserimento lavorativo che assecondino le capacità, la creatività, le
positive aspirazioni dei giovani, soprattutto di quelli a rischio di devianza, riducendo il divario di opportunità
rispetto ai coetanei inseriti in contesti sociali più favorevoli;
luoghi di ascolto immediatamente accessibili, al di fuori dei consueti spazi istituzionali e preferibilmente
interni o attigui ai luoghi abitualmente frequentati, che permettano ai giovani di conoscere, instaurando
rapporti di fiducia ed amicali, operatori esperti cui esprimere la proprie difficoltà;
gruppi appartamento per adolescenti, anche non ancora maggiorenni, previo nullaosta del Tribunale dei
Minori, privi di validi supporti familiari, eventualmente accompagnati da operatori esperti nel percorso di
autonomizzazione.
I servizi sopra indicati dovranno fare riferimento alle esperienze già avviate nell'applicazione della L. n.
285/1997, consolidandone gli obiettivi e la metodologia, e perfezionando la qualità degli interventi, anche
attraverso la conoscenza e la valutazione delle sperimentazioni effettuate.
Obiettivo 3
Potenziare gli interventi a contrasto della povertà
Con l'obiettivo 3, il Piano Nazionale Sociale 2001-2003 si propone di potenziare gli interventi volti a
contrastare la povertà (e in particolare le povertà estreme) e a restituire alle persone le capacità di condurre
una vita con dignità.
Il contrasto alla povertà e all'esclusione sociale è uno degli obiettivi strategici ripetutamente indicati dal
Consiglio Europeo, in particolare da quello del 17 dicembre 1999 e quello del marzo 2000 a Lisbona, e
ancora nell'accordo sull'agenda sociale europea approvata a Nizza nel novembre 2000. In occasione del
Consiglio Europeo di Lisbona si è concordato che ciascun paese metterà in campo un piano di azione
nazionale di contrasto alla povertà, in cooperazione con la Commissione. Tali piani di azione dovranno
contenere obiettivi di breve e medio termine specifici e l'indicazione degli strumenti messi in campo. È fatta
esplicita menzione sia della competenza specifica dei governi locali sia della necessità di coinvolgere le
associazioni non lucrative come soggetti particolarmente attivi.
In Italia si trova in condizione di povertà relativa (cioè consuma meno della metà del consumo medio procapite) 1'11,9% delle famiglie: 2.600.000 di famiglie, pari a 7.500.000 persone. Se guardiamo alla povertà
assoluta (cioè alla impossibilità di soddisfare bisogni essenziali) la percentuale scende, ma rimane
significativa: essa coinvolge il 4,8% delle famiglie (pari a circa 1.038.000 famiglie). La povertà è concentrata
nel Mezzogiorno e nelle isole, ove risiede il 66% delle famiglie povere. È inoltre concentrata nelle famiglie
numerose, con quattro, e soprattutto cinque o più, componenti, specialmente se tra questi ci sono tre o più
figli minori. Anche le famiglie in cui c'è almeno un anziano sono più vulnerabili alla povertà, toccando il
15,7%. Infine vi è un nesso stretto tra mancanza di lavoro della persona di riferimento e povertà della
famiglia: è povero il 28,7% delle famiglie in cui la persona di riferimento è in cerca di lavoro. Anche se vi
sono famiglie povere anche là dove la persona di riferimento è lavoratore dipendente (9%) o autonomo (7%).
Gli interventi di contrasto alla povertà riguardano innanzitutto le politiche attive dei lavoro e di sviluppo
locale e le politiche formative. In parte riguardano anche le politiche di conciliazione tra partecipazione al
mercato del lavoro e responsabilità di cura familiare, nella misura in cui molta povertà è dovuta all'esclusivo
impegno domestico delle madri, specie nel caso di famiglie con un solo genitore e nelle famiglie numerose.
Anche le misure di sostegno economico alla crescita dei figli costituiscono una forma di prevenzione e
contrasto della povertà, in quanto correggono la potenziale inadeguatezza del reddito familiare rispetto al
numero di persone che da questo dipendono.
In questa prospettiva è importante che le iniziative di sviluppo locale, incluse quelle che si avvalgono dei
fondi europei, si pongano esplicitamente (anche) obiettivi di contrasto e prevenzione della povertà,
individuando sia i soggetti potenzialmente più vulnerabili, sia gli strumenti più adatti a sostenerne le
potenzialità (in termini di occupabilità, ma anche di capacità di condurre una vita dotata di senso per sé e per
altri, di possibilità di sostenere relazioni significative e di assumere responsabilità verso altri).
Se un'occupazione adeguatamente remunerata è la via maestra per contrastare la povertà, non sempre in un
momento e in un contesto dato vi è una domanda di lavoro sufficiente a coprire l'offerta e non sempre chi si
trova in povertà è immediatamente in grado di accettare una eventuale occupazione (per formazione
inadeguata, per fragilità fisica o psichica, per gravosità del carico familiare di cura). Inoltre vi è chi è povero
nonostante abbia una occupazione, perché la remunerazione non è adeguata ai bisogni familiari o anche solo
ai bisogni individuali. Come hanno mostrato molte ricerche italiane e straniere, infatti, i motivi per cui si
entra in povertà sono diversificati, così come lo sono le risorse per uscirne. Di questa diversificazione
devono tenere conto le politiche per essere efficaci, non tanto per quanto riguarda il sostegno economico, ma
per quanto riguarda le misure di accompagnamento sociale e il tipo di patti che si stipulano con i benefìciari
del sostegno economico.
La legge quadro, all'art. 23 stabilisce che, tramite un apposito provvedimento legislativo, venga esteso su
tutto il territorio nazionale il Reddito Minimo di Inserimento, RMI, attualmente in corso di sperimentazione
in un limitato numero di Comuni italiani come misura di sostegno al reddito e di integrazione sociale rivolta
a chi si trova al di sotto di una determinata soglia di reddito familiare. Ciò consentirà anche al nostro Paese di
ottemperare alla raccomandazione europea del 1992 relativa all'impegno di ogni Paese a fornire a tutti i
cittadini la garanzia di un livello minimo di risorse e prestazioni sufficiente a vivere conformemente alla
dignità umana.
In assenza di una misura nazionale di sostegno al reddito di ultima istanza, i governi locali (regionali,
provinciali e comunali) hanno sviluppato negli anni modalità di intervento fortemente diversificate nel livello
di sostegno, nei soggetti benefìciari, nella durata dei benefìci. Tale diversificazione raramente è spiegabile
con la diversità dei bisogni; viceversa produce forti disuguaglianze tra cittadini a parità di bisogno oltre che
forme di discrezionalità difficilmente accettabili.
Nel breve periodo, in attesa che il Reddito Minimo di Inserimento venga messo a regime, è quindi necessario
che i governi locali inizino a modificare i propri sistemi di assistenza economica nella prospettiva di
intervento prevista dal RMI: uniformità e chiarezza dei criteri di accertamento del reddito, riferimento al
bisogno e non alla appartenenza categoriale, orientamento alla valorizzazione delle capacità e potenzialità
dei soggetti, sviluppo di forme di accompagnamento sociale in collaborazione con i diversi soggetti pubblici,
non lucrativi e privati presenti sul territorio, inserimento di queste attività nei piani di sviluppo locale.
Il reddito minimo di inserimento è in prospettiva lo strumento di base di una politica di alleviamento della
povertà per chi, in modo più o meno temporaneo, non ha le risorse personali o le opportunità necessarie per
essere economicamente autonomo. Ad esso devono accompagnarsi politiche di sostegno e incentivazione
alla formazione (per i giovani) e alla riqualificazione (per gli adulti), di facilitazione all'accesso all'abitazione
per le famiglie a basso reddito (anche in collegamento con le misure nazionali), di facilitazione all'utilizzo
dei servizi sociali, formativi e sanitari da parte di chi si trova in condizioni di particolare vulnerabilità. In
attesa dell'estensione del RMI su base nazionale, gli enti locali potranno e dovranno iniziare a ridefinire la
propria attività anche in questi settori, indicando nei propri piani gli obiettivi di medio e breve termine
rispetto alla situazione di partenza.
Tra coloro che si trovano in situazione di grave disagio economico e di rischio di esclusione sociale
particolare attenzione va prestata alle persone senza dimora. A queste persone vanno dirette specifiche
misure sia per favorirne l'inserimento e il reinserimento nei servizi (inclusi quelli sanitari), sia per
accompagnarle in un percorso di recupero delle capacità personali e relazionali, sia infine per affrontarne i
bisogni di sopravvivenza fisica.
In questa prospettiva la legge quadro ha indicato le persone senza dimora tra i benefìciari prioritari del RMI a
regime (nel suo duplice aspetto di sostegno al reddito e di accompagnamento sociale) e ha allocato un
finanziamento ad hoc per due anni, per sollecitare i governi locali, specie metropolitani, ad attivare una
gamma articolata di misure e servizi specifici.
Tali indicazioni vanno nella direzione indicata dal Consiglio Europeo il quale, con riferimento ai piani
nazionali di azione per l'inclusione sociale che anche il nostro Paese dovrà predisporre, ha precisato le
seguenti direttrici di sviluppo:
1. la promozione della partecipazione al lavoro e dell'accesso, da parte di tutti, alle risorse, ai diritti, ai beni e
ai servizi, 2. la prevenzione dei rischi di esclusione, 3. l'azione a favore dei più vulnerabili, 4. la
mobilitazione dell'insieme degli attori.
Il Piano nazionale sociale 2001-2003, in coerenza con quanto sancito dalla legge n. 328/2000 e in linea con
gli orientamenti del Consiglio europeo, si propone i seguenti obiettivi:
- promuovere l'inserimento nei piani di zona delle azioni a contrasto della povertà, - estendere e uniformare
progressivamente le forme di sostegno al reddito di chi si trova in povertà, - creare le condizioni
organizzative e professionali necessarie per la messa a regime del RMI, - sviluppare forme di
accompagnamento sociale e di integrazione sociale personalizzate, mirate - ove possibile - al raggiungimento
della autonomia economica, - ridurre l'evasione scolastica.
A tal fine, i piani di zona dovranno prevedere, attraverso il coinvolgimento attivo dei destinatari e previa
precisazione delle condizioni organizzative, tecniche e professionali più adeguate all'attuazione delle
politiche di contrasto della povertà, lo sviluppo di misure e interventi nei seguenti campi:
- avvio di forme di collaborazione tra scuole e servizi sociali al fine di prevenire l'evasione scolastica e di
sostenere la frequenza, - sviluppo di servizi di accompagnamento sociale, - avvio di una razionalizzazione
delle forme di sostegno al reddito esistenti, - sperimentazione, sotto la regia delle regioni, di forme di
erogazione di «pacchetti di risorse» (integrazione del reddito, accesso gratuito ai trasporti, aiuti per il
pagamento delle utenze e per l'acquisto di alcuni beni di consumo, ecc.) alle famiglie e agli individui in
condizione di povertà, - avvio di sperimentazioni di «contratti di inserimento» con i benefìciari d'aiuti
economici, in collaborazione con i diversi soggetti presenti sul territorio, - rilevazione delle condizioni di
povertà a livello locale.
Per quanto riguarda i «senza dimora», il presente Piano indica quale obiettivo specifico la generalizzazione
sul territorio di servizi e azioni che consentano di prendere contatto con i senza dimora e di offrire loro
condizioni di riduzione del danno e percorsi di recupero. A tal fine, i piani di zona dovranno prevedere lo
sviluppo di misure volte a:
- approntare, per i diversi livelli subterritoriali (quartieri/zone di particolare frequentazione dei senza
dimora), almeno un servizio di bassa soglia, - sviluppare almeno un servizio di seconda accoglienza e di
accompagnamento, - avviare iniziative di collaborazione tra servizi sociali, sanitari, del lavoro (oltre che con
il volontariato) per consentire il progressivo re-inserimento nei servizi di tutti.
Obiettivo 4
Sostenere con servizi domiciliari le persone non autosufficienti, in particolare gli anziani e le disabilità
gravi
Con l'obiettivo 4, il Piano nazionale si propone in particolare di:
- favorire la permanenza a domicilio, o l'inserimento presso famiglie, persone o strutture comunitarie di
accoglienza di tipo familiare, di persone anziane e/o disabili con problemi di non auto sufficienza, in
particolare delle disabilità gravi, sostenendone l'autonomia e limitando quanto più possibile il ricorso
all'istituzionalizzazione, - sostenere i nuclei familiari nelle responsabilità di cura domiciliare di persone
anziane e/o disabili non autosufficienti, in particolare di quelli gravi.
Dall'indagine multiscopo dell'Istat sulle condizioni di salute emerge che nel 1999 i disabili sono il 5% della
popolazione di 6 anni e più, oltre 2,6 milioni di persone. Il dato si riferisce alla popolazione che vive in
famiglia e non tiene conto delle persone residenti permanentemente in istituto.
Le persone con disabilità sono prevalentemente concentrate tra gli anziani (73,2%, per un totale di 1, 9
milioni di persone), per i quali il rischio di malattie, in particolare di quelle invalidanti, aumenta
esponenzialmente con il passare degli anni. Tra le persone di 65-74 anni, i disabili sono il 9,3%, passano al
20,7% tra 75 e 79 anni, per arrivare al 47,5% tra le persone con più di 80 anni. Vanno comunque considerati
i disabili non anziani: 87 mila minori, 127 mila persone tra 18 e 34 anni e 505 mila persone tra 35 e 64 anni
(vedi allegato statistico).
Considerando i diversi livelli di disabilità, quello più grave è rappresentato dal confinamento che implica la
permanente costrizione a letto o su una sedia con livelli di autonomia pressoché nulli, nonché il
confinamento in casa per impedimento fisico o psichico. Risultano confinati il 2,2% delle persone di 6 anni e
più (tra le persone di più di 80 anni il tasso raggiunge il 24%).
Complessivamente, possono essere considerati disabili gravi 1,5 milioni di persone (2,8%); sono state
considerate tra queste i confinati a letto o su una sedia, le persone con molti problemi (cioè coloro che
presentano almeno due tipologie di problemi tra difficoltà nelle funzioni, nel movimento, nella vista, udito,
parola) e i confinati a casa che non sono autonomi nella gestione di soldi, nell'uso del telefono, dei mezzi di
trasporto e nell'assunzione delle medicine.
La centralità della famiglia nella cura della malattia e nella tutela della salute è un dato consolidato.
Le famiglie con almeno un disabile sono 2 milioni 396 mila, l'11,2% del totale; in 246 mila famiglie vive più
di un disabile. Le famiglie con almeno un disabile grave sono 1 milione 403 mila, il 6,6% delle famiglie
italiane. Il problema delle barriere architettoniche all'interno del proprio edificio risulta particolarmente grave
per i disabili. Il 48,2% dei disabili è confinato o ha difficoltà di movimento e abita a piani superiori al piano
terra senza avere l'ascensore.
Sono 2 milioni 673 mila le persone di 14 anni e più che vivono con disabili, il 5,4% della popolazione, quasi
quanto i disabili. Esiste anche un altro settore di persone che pur non vivendo con persone disabili (o non
autonome) se ne prendono cura nell'àmbito della rete informale: 1,5 milioni di persone tra i 35 e i 69 anni di
età hanno almeno un genitore non convivente con problemi di autonomia. L'82, 7% di questi vede i propri
genitori almeno una volta a settimana. L'aiuto è dato dal 30,9% di questi, in maggioranza donne (allegato
statistico).
Il sostegno e l'affiancamento delle famiglie in cui siano presenti anziani o disabili non autosufficienti, siano
esse composte da anziani soli, da coppie di anziani ovvero siano famiglie plurigenerazionali, può essere reso
concreto solo attraverso un effettivo sviluppo della rete dei servizi e delle prestazioni, purché la stessa rete
abbia caratteristiche di flessibilità funzionale ed organizzativa adeguata alle diverse esigenze delle famiglie.
Queste vanno considerate a partire dalla possibilità, per le famiglie, di entrare in comunicazione con il
sistema dei servizi; di veder accolte e considerate le proprie proposte nella ricerca di soluzioni rispetto ai
problemi che si trovano ad affrontare; di poter fruire di programmi individualizzati che tengano conto della
trasformazione nel tempo delle condizioni di bisogno. Se è vero, infatti, che le responsabilità di cura e
assistenza riguardano, di solito, i genitori per quanto riguarda i disabili, ed i figli per quanto riguarda gli
anziani, le risposte devono tener conto delle difficoltà di organizzazione della vita domestica, di quelle legate
all'attività lavorativa dei familiari, dei problemi di relazione e di comunicazione, della fatica e del
logoramento dei membri su cui grava l'onere dell'accudimento quotidiano delle persone bisognose di cure,
specie quando essi stessi sono già coinvolti in un loro processo di invecchiamento, delle difficoltà infine di
natura economica che possono derivare dalla necessità di far fronte ad impegni onerosi e prolungati nel
tempo.
La rete dei servizi deve poter disporre di strumenti, professionalità e strutture sufficienti a garantire
l'attivazione di forme di supporto flessibili a soddisfare innanzitutto le esigenze organizzative e psicologiche
della famiglia, che possono richiedere, nei diversi momenti e nelle diverse situazioni, forme di affiancamento
nei compiti di assistenza e servizi di sollievo che prevedano interventi a domicilio, semiresidenziali o
residenziali, ovvero la possibilità di disporre di informazioni e conoscenze che possano contenere e ridurre i
danni e gli scompensi conseguenti alla situazione di non autosufficienza.
La comunità locale può fornire risposte ai problemi della famiglia con anziani e disabili non autosufficienti
attivando sia il sistema dei servizi, sia le risorse del volontariato e più in generale della cittadinanza attiva,
considerando in prima istanza le esigenze effettive della famiglia e la sua possibilità di condurre una vita il
più possibile piena ed autonoma.
Con riguardo al sostegno domiciliare per le persone anziane non autosufficienti, la legge n. 328/2000
prevede esplicitamente una riserva di risorse, a valere sul Fondo nazionale per le politiche sociali, allo scopo
di favorire l'autonomia della persona anziana non autosufficiente e di sostenere il nucleo familiare
nell'assistenza domiciliare. Coerentemente con tale previsione, il Piano nazionale sociale 2001-2003 indica
specificamente fra le aree di intervento in base alle quali è definito il riparto funzionale delle risorse
complessivamente disponibili (vedi Parte III, paragrafo 3) la macro-area « persone anziane», a favore della
quale sono allocate risorse che tengono conto di quanto indicato nell'articolo 15, comma 1 della legge n.
328/2000. Ferme restando le competenze del Servizio sanitario nazionale in materia di prevenzione, cura e
riabilitazione, gli interventi a favore degli anziani non autosufficienti a sostegno della domiciliarità dovranno
essere realizzati prestando particolare attenzione alla necessaria integrazione tra assistenza e sanità, secondo
gli indirizzi della legge n. 328/2000, anche tenuto conto di quanto previsto dall'atto di indirizzo e
coordinamento di recente emanazione sull'integrazione sociosanitaria.
Il Piano sociale 2001-2003 propone alle Regioni e agli Enti locali, in applicazione dell'articolo 15 della legge
n. 328/2000, di promuovere un Progetto nazionale per le persone anziane non autosufficienti con l'obiettivo
di consentire alle persone anziane di vivere a casa o in un ambiente simile alla casa, contro il rischio di
abbandono, di sradicamento dalle abitudini e dal contesto sociale, di segregazione in istituto. Alla
elaborazione e alla realizzazione di tale progetto concorrono le organizzazioni del volontariato, del privato
sociale nonché le Ipab.
Con riferimento all'handicap, il Piano nazionale sociale 2001-2003 si propone di dare piena attuazione
all'articolo 22, comma 2, lettera f, della legge n. 328/2000, alla legge n. 162/1998 nonché al Programma di
Azione per le politiche dell'handicap 2000-2003 adottato dal Consiglio dei Ministri del luglio 2000.
Nell'àmbito di tale Programma di azione e nel quadro del processo di integrazione dei servizi sociali e di
quelli sanitari, per favorire una piena tutela dei disabili e delle loro famiglie e promuovere opportunità di
integrazione, assumono particolare rilievo i seguenti obiettivi:
- sostenere e sviluppare tutta l'autonomia e le capacità possibili delle persone non autosufficienti, in
particolare dei disabili gravi, - rimuovere gli ostacoli che aggravano la condizione di disabilità, - creare
condizioni di pari opportunità, - sostenere, ma anche sollevare le famiglie, - monitorare, attraverso una
commissione permanente attivata presso la segreteria della Conferenza Stato/Regioni, i livelli di attivazione
degli interventi per disabili gravi nei termini di misure assistenziali, educative, riabilitative e scolastiche.
Con riguardo all'obiettivo di sostenere e sviluppare l'autonomia delle persone non autosufficienti, e in stretto
collegamento con quanto delineato per gli obiettivi 1 e 2, i piani di zona dovranno prevedere, con particolare
riferimento alla disabilità grave e gravissima, lo sviluppo delle seguenti misure:
- progetti personalizzati di riabilitazione e reinserimento sociale, anche dei soggetti seguiti in strutture ad alta
integrazione assistenziale, - individuazione di soluzioni abitative adeguate alla disabilità fisica, anche grave,
favorendo la ristrutturazione delle abitazioni degli interessati, l'utilizzo di patrimoni comunali finalizzati a
interventi sociali o di edilizia popolare, la dotazione di tecnologie adeguate, - sviluppo di servizi di assistenza
a domicilio per favorire la permanenza dei disabili presso la propria abitazione anche quando privi di
sostegno familiare, per sollevare la famiglia (quando presente) e per permettere al disabile un soddisfacente
uso del tempo libero, - sviluppo di piani di apprendimento o recupero di capacità nella gestione della vita
quotidiana, anche in vista del «Dopo di noi», cioè del momento in cui la famiglia non è più in grado di
assistere il disabile, - promozione delle famiglie - comunità per il «Dopo di noi», - misure volte a consentire
al disabile grave una vita di relazione e sociale il più possibile piena e indipendente (garantendo efficaci
mezzi di trasporto, promuovendo programmi di accesso ai servizi per il tempo libero, favorendo la pratica
sportiva, ecc.), - previsione di soluzioni residenziali di emergenza o di sostegno domiciliare per necessità
temporanee o imprevedibili, - sviluppo di centri diurni a sostegno della permanenza in famiglia di persone
con handicap grave, - misure di sostegno all'inserimento scolastico e lavorativo attraverso servizi adeguati,
coinvolgendo le famiglie quali parti attive del processo di autonomizzazione dei propri congiunti, garantendo
la dignità del soggetto inserito, ricercando la migliore collocazione possibile per lo sviluppo delle capacità
del disabile, - sperimentazione di programmi di assistenza, anche in forma indiretta ed autogestita, per la vita
indipendente delle persone non autosufficienti.
I Piani di zona devono garantire almeno i seguenti servizi a favore delle famiglie e delle persone con
disabilità grave e gravissima:
- centro diurno a carattere educativo, - assistenza domiciliare e servizi di sollievo per le famiglie così come
previsto dalla legge n. 162/1998, - famiglie - comunità per il «Dopo di noi».
Le Regioni, in collaborazione con gli enti locali, nell'àmbito del Sistema informativo regionale dei servizi
sociali, anche prevedendo il coinvolgimento dell'Istat, provvedono a promuovere, in ogni àmbito territoriale,
un censimento della domanda esplicita di prestazioni e servizi domiciliari, nonché studi e ricerche volti a
rilevare il bisogno complessivo e la domanda sommersa. Provvedono altresì alla rilevazione quantitativa
dell'offerta di servizi di assistenza domiciliare disponibile sul territorio.
I Piani regionali ed i Piani di zona prevedono come obiettivo da perseguire nel triennio un incremento, anche
con il concorso del fondo sanitario regionale, per ogni anno del livello di copertura del bisogno, in
particolare con riferimento agli anziani non autosufficienti, sulla base delle rilevazioni di cui in precedenza.
Obiettivo 5
Altri obiettivi di particolare rilevanza sociale
Oltre agli obiettivi di cui in precedenza, il Piano 2001-2003 indica quali settori cui rivolgere particolare
attenzione a livello locale le aree volte a favorire l'inclusione della popolazione immigrata, la prevenzione
delle dipendenze e l'impegno nei confronti dell'adolescenza.
La prevenzione delle dipendenze, e in particolare delle tossicodipendenze, richiede lo sviluppo di un'esplicita
strategia di intervento. Le azioni di prevenzione, soprattutto dell'uso di droghe sintetiche, devono
comprendere:
- aiuto e sostegno alle famiglie e alla scuola, - interventi di riqualificazione del tessuto urbano e sociale e
creazione, per i giovani, di opportunità di aggregazione e di partecipazione alla vita della comunità, - misure
volte a costruire relazioni di fiducia fra le generazioni, a supportare le motivazioni e le capacità dei giovani, a
sviluppare il senso di appartenenza positiva all'ambiente in cui vivono, - interventi volti a promuovere
modelli e stili di vita che rifiutino il ricorso a sostanze tossicodipendenti o all'abuso di alcool, - interventi di
informazione sugli effetti dell'uso delle sostanze tossicodipendenti, e in particolare delle droghe sintetiche.
I piani di zona di sviluppo delle politiche sociali devono prestare specifica attenzione alle misure volte a
favorire l'inclusione degli immigrati, con specifico riferimento agli interventi diretti ad affrontare i problemi
legati a:
- la tutela dei diritti dei minori immigrati, - la condizioni abitativa degli immigrati, - l'accesso ai servizi alla
persona.
Per quanto riguarda l'attenzione nei confronti dell'adolescenza si rimanda a quanto indicato nei capitoli
relativi agli obiettivi 1 e 2.
Parte III - Lo sviluppo del sistema integrato di interventi e servizi sociali
Lo sviluppo del sistema integrato di interventi e servizi sociali richiede la precisazione di una serie di
strumenti, di seguito delineati nei loro aspetti essenziali e con riferimento agli elementi prioritari nella prima
fase di attuazione della legge quadro per l'assistenza.
1 - Il livello essenziale delle prestazioni sociali
I livelli essenziali delle prestazioni sociali sono disegnati, nei limiti delle risorse del fondo nazionale per
le politiche sociali e tenuto conto delle risorse ordinarie già destinate dagli enti locali alle politiche sociali,
con riferimento a:
- un insieme di princìpi generali, ispiratori della legge quadro e alla base della programmazione delle
politiche sociali, - una griglia articolata su tre dimensioni:
1) le aree di intervento, 2) le tipologie di servizi e prestazioni, 3) le direttrici per l'innovazione nella
costruzione della rete degli interventi e dei servizi.
I princìpi ispiratori, enunciati nella parte prima del presente Piano, sono richiamati in questa sede in quanto
alla base del delicato e complesso processo di realizzazione di un sistema in grado di garantire, sull'intero
territorio nazionale, un insieme di interventi giudicati prioritari ed essenziali ai fini delle politiche di
sostegno alla piena realizzazione della persona. I princìpi esplicitano gli obiettivi di ben- essere che le
politiche sociali intendono perseguire.
Le tre dimensioni contribuiscono a connotare, ognuna da una diversa angolatura, i possibili contenuti dei
livelli essenziali.
La prima dimensione (aree di intervento) contribuisce a rispondere al quesito «livelli essenziali per chi? per
rispondere a quali bisogni?».
La seconda dimensione (tipologie di servizi) contribuisce a rispondere al quesito «livelli essenziali per
erogare quali prestazioni e servizi?».
La terza dimensione (direttrici per l'innovazione) contribuisce a risponde al quesito «livelli essenziali
garantiti come? con quali criteri organizzativi e di erogazione dei servizi e delle prestazioni?».
Le aree di intervento costituiscono una articolazione, per macro categorie, delle aree rispetto alle quali le
politiche sociali devono prevedere interventi e risposte. Le aree sono individuate con riferimento ai bisogni
da soddisfare, tenuto conto delle indicazioni della legge quadro e delle priorità dei presente Piano. Esse sono
così definite:
1.responsabilità familiari2.diritti dei minori3.persone anziane4.contrasto della povertà5.disabili (in
particolare, i disabili gravi)6.droghe7.avvio della riforma
Le prime sei aree fanno riferimento a ambiti di bisogno, la settima è proposta tenuto conto della
esigenza di prevedere interventi specifici, e adeguati finanziamenti, per l'avvio e la piena attuazione della
riforma da parte dell'Amministrazione centrale, delle regioni e degli enti locali. Si noti che l'area relativa
all'inserimento degli immigrati non è stata individuata come area a sé, bensì ricompresa trasversalmente nelle
altre aree.
Le tipologie di servizi e prestazioni costituiscono una articolazione, per macro categorie, degli interventi e
delle prestazioni che possono essere programmate e realizzate per rispondere alle esigenze proprie delle aree
di bisogno di cui alle citate aree di interventi. Esso sono definite con riferimento a quanto previsto
dall'articolo 22, comma 4, della legge n. 328/2000 come segue:
1.servizio sociale professionale e segretariato sociale per l'informazione e consulenzaal singolo e ai nuclei
familiari2.servizio di pronto intervento sociale per le situazioni di emergenza personali e familiari
3.assistenza domiciliare4.strutture residenziali e semi-residenziali per soggetti con fragilità sociali5.centri di
accoglienza residenziali o diurni a carattere comunitario
Le direttrici per l'innovazione nelle politiche sociali e, in particolare, nella costruzione della rete degli
interventi e servizi (terza dimensione) descrivono i criteri progettuali, di organizzazione e di funzionamento
della rete, anche con l'obiettivo di consolidare e rafforzare le leggi innovative sulle politiche sociali. La
complessità dei fenomeni legati ai mutamenti sociali richiede, infatti, una forte innovazione nella definizione
delle politiche sociali, la creazione di sinergie e collaborazioni fra tutti i soggetti coinvolti e la valorizzazione
delle risorse e delle potenzialità disponibili. Tali direttrici possono essere così delineate:
- partecipazione attiva delle persone nella definizione delle politiche che le riguardano, - integrazione degli
interventi nell'insieme delle politiche sociali, mobilitando a tal fine tutti gli attori interessati e prevedendo
una strategia unitaria per l'integrazione sociosanitaria, - promozione del dialogo sociale, della concertazione
e della collaborazione tra tutti gli attori pubblici e privati, in particolare coinvolgendo i soggetti non lucrativi,
le parti sociali e le organizzazioni dei servizi sociali, incoraggiando l'azione di tutti i cittadini e favorendo la
responsabilità sociale delle imprese, - potenziamento delle azioni per l'informazione, l'accompagnamento, gli
sportelli per la cittadinanza, - sviluppo degli interventi per la domiciliarità e la deistituzionalizzazione, interventi per favorire l'integrazione sociale, - sviluppo delle azioni e degli interventi per la diversificazione e
la personalizzazione dei servizi e delle prestazioni sociali, - innovazione nei titoli per l'acquisto dei servizi.
Le direttrici attraversano trasversalmente le aree di intervento e le tipologie di servizi.
Con riguardo alle tipologie di servizi e prestazioni sociali e alle direttrici per l'innovazione si richiamano i
seguenti aspetti.
La funzione di segretariato sociale (art. 22, comma 4 lett. a) risponde all'esigenza primaria dei cittadini di:
- avere informazioni complete in merito ai diritti, alle prestazioni, alle modalità di accesso ai servizi, conoscere le risorse sociali disponibili nel territorio in cui vivono, che possono risultare utili per affrontare
esigenze personali e familiari nelle diverse fasi della vita.
In particolare l'attività di segretariato sociale è finalizzata a garantire: unitarietà di accesso, capacità di
ascolto, funzione di orientamento, funzione di filtro, funzioni di osservatorio e monitoraggio dei bisogni e
delle risorse, funzione di trasparenza e fiducia nei rapporti tra cittadino e servizi, soprattutto nella gestione
dei tempi di attesa nell'accesso ai servizi.
È quindi un livello informativo e di orientamento indispensabile per evitare che le persone esauriscano le
loro energie nel procedere, per tentativi ed errori, nella ricerca di risposte adeguate ai loro bisogni. A questo
scopo occorre in particolare evitare che proprio i cittadini più fragili e meno informati vengano scoraggiati
nella ricerca di aiuto a fronte di barriere organizzative e burocratiche che comunque vanno rimosse per
ridurre le disuguaglianze nell'accesso.
Sul piano organizzativo occorre quindi istituire in ogni àmbito territoriale, definito ai sensi degli articoli 6 e
8, comma 3 lettera a) della legge n. 328/2000, una «porta unitaria di accesso» al sistema dei servizi, tale da
essere accogliente nei confronti della più ampia tipologia di esigenze e tecnicamente capace di assolvere le
funzioni sopra indicate.
Nel piano di zona vanno individuate le soluzioni più idonee per unificare non solo l'accesso ai servizi sociali
ma, più in generale, l'accesso al sistema dei servizi sociosanitari presenti nell'àmbito dei distretto, tramite
accordi operativi con l'azienda sanitaria, ai sensi dell'art. 3-quater del D.Lgs. n. 229/1999.
La funzione di segretariato sociale risulterà tanto più efficace quanto sarà progettata e attuata in modo
collaborativo con tutti gli attori sociali della rete e in particolare con le organizzazioni solidali presenti nel
territorio, cioè con le forme di cittadinanza attiva nella tutela dei soggetti deboli e nella promozione dei loro
diritti.
Il cittadino rivolgendosi al segretariato sociale, oltre ad avere informazione, e orientamento nel sistema di
offerta pubblica, solidaristica e di auto-aiuto presente nel welfare locale, potrà avere informazioni anche sui
soggetti privati che erogano servizi a pagamento, sulle tariffe praticate e sulle caratteristiche dei servizi
erogati.
Per svolgere le funzioni di segretariato sociale è necessario disporre di professionalità idonee, dotate delle
competenze necessarie per riconoscere le ricadute organizzative, gestionali nonché le implicazioni tecnicoprofessionali di quanto viene proposto al cittadino.
Le funzioni del servizio sociale professionale sono finalizzate alla lettura e decodificazione della domanda,
alla presa in carico della persona, della famiglia e/o del gruppo sociale, all'attivazione ed integrazione dei
servizi e delle risorse in rete, all'accompagnamento e all'aiuto nel processo di promozione ed emancipazione,
in riferimento al dettato dell'articolo 22 della legge n. 328/2000.
Per qualificare le scelte finalizzate all'integrazione socio-sanitaria è necessario garantire unitarietà al
processo programmatorio rendendo tra loro compatibili le scelte previste dal Programma delle attività
territoriali (di cui all'articolo 3-quater del D.Lgs. n. 229/1999) e dal Piano di zona (di cui all'articolo 19 della
legge n. 328/2000.) Il Programma delle attività territoriali è il piano di salute distrettuale in cui sono definiti i
bisogni prioritari e gli interventi di natura sanitaria e sociosanitaria necessari per affrontarli. Allo stesso
tempo il Piano di zona è lo strumento per definire le strategie di risposta ai bisogni sociali e sociosanitari. È
pertanto necessario che i due strumenti siano gestiti all'interno di un'unica strategia programmatoria, attuata
in modo collaborativo tra azienda sanitaria ed enti locali, finalizzata alla promozione e alla tutela della salute
delle persone e delle famiglie.
Con riguardo alle innovazioni introdotte con i «titoli per l'acquisto dei servizi sociali», già sperimentati in
alcuni comuni ed espressamente previsti dall'articolo 17 della legge n. 328/2000, i comuni possono
diversificare gli interventi assicurati dal sistema integrato prevedendo la concessione, su richiesta
dell'interessato, di buoni-servizio utilizzabili per «acquistare» servizi da uno degli erogatori (pubblici o
privati) accreditati ai sensi della legge n. 328/2000, operanti sul territorio. I comuni possono assegnare i
buoni servizio anche come alternativa a proprie prestazioni economiche. L'obiettivo è introdurre una
maggiore libertà di scelta in merito a come e da chi farsi assistere (elementi sempre più essenziali per un
servizio di qualità), all'interno di un sistema regolato in maniera tale da non produrre esiti negativi sotto il
profilo dell'equità e dell'appropriatezza degli interventi. A tal fine la legge n.
328/2000, nell'introdurre i «titoli per l'acquisto dei servizi sociali» precisa che essi dovranno essere forniti
«nell'àmbito di un percorso assistenziale attivo per la integrazione o la reintegrazione sociale dei soggetti
benefìciari».
La conoscenza dei bisogni è indispensabile sia per una adeguata programmazione degli interventi, sia per il
monitoraggio e la valutazione delle politiche. Perciò i diversi livelli di governo, oltre a partecipare al sistema
informativo dei servizi sociali di cui all'articolo 21 della legge n. 328/2000 e al punto 7, Parte III di questo
Piano, si dotano di strumenti di verifica periodica dei bisogni della popolazione e della adeguatezza delle
risposte ad essa forniti.
Va privilegiata l'adozione di modelli organizzativi e di gestione orientati ai risultati, così da rendere possibile
la gestione per processi, con le relative fasi di controllo e di valutazione. Anche per questo vanno richiamate
le norme già in vigore per gli enti in materia di controllo di gestione, norme che valorizzano proprio i
risultati, riducendo la «centralità» della prestazione.
Potrebbero essere inoltre introdotti anche strumenti per la diffusione e il confronto delle «buone pratiche»,
utilizzabili nella logica dell'apprendimento continuo (learning organisation) e all'interno dei sistemi
premianti.
2 - La programmazione partecipata
I piani regionali
Le Regioni sono chiamate ad esercitare un ruolo incisivo nella programmazione dei servizi alle persone,
attraverso la predisposizione di piani regionali secondo i tempi stabiliti dall'articolo 18, comma 6, e le
modalità previste dall'articolo 3 della legge n. 328/2000, volti a selezionare le priorità, a definire le risorse
disponibili, a precisare le modalità di funzionamento del sistema integrato e a verificare i risultati raggiunti.
Il Piano di Zona
In base al principio di sussidiarietà, lo sviluppo del sistema integrato di interventi e servizi sociali
spetta, negli ambiti definiti dalle regioni e compatibilmente con le risorse disponibili, ai Comuni associati.
Il Piano di Zona, PdZ,è lo strumento fondamentale attraverso il quale i Comuni, con il concorso di tutti
soggetti attivi nella progettazione, possono disegnare il sistema integrato di interventi e servizi sociali con
riferimento agli obiettivi strategici, agli strumenti realizzativi e alle risorse da attivare.
La legge n. 328/2000 specifica (art. 19, comma 2), le finalità strategiche del Piano di Zona, il quale è volto a:
- «favorire la formazione di sistemi locali di intervento fondati su servizi e prestazioni complementari e
flessibili....», - «responsabilizzare i cittadini nella programmazione e nella verifica dei servizi», - «qualificare
la spesa, attivando risorse, anche finanziarie, derivate dalla concertazione» con i soggetti interessati, «definire criteri di ripartizione della spesa a carico di ciascun comune, delle aziende unita sanitarie locali e
degli altri soggetti firmatari dell'accordo, prevedendo anche risorse vincolate per il raggiungimento di
particolari obiettivi», - «prevedere iniziative di formazione e di aggiornamento degli operatori...».
La predisposizione del PdZ assume un significato strategico ai fini della precisazione delle condizioni da
garantire su tutto il territorio. In tale contesto, vanno valorizzate le esperienze programmatorie degli enti
locali, realizzate sia in occasione dell'attuazione della legge n. 285/1997 sia nei limitati (ma significativi) casi
di predisposizione di documenti analoghi, laddove previsti dalle normative regionali.
In particolare, pare utile richiamare alcuni aspetti generali in grado di qualificare il processo di
pianificazione:
- il processo non deve essere visto in termini meramente amministrativi (e di adempimento formale), ma
deve prevedere l'attivazione di azioni responsabilizzanti, concertative, comunicative che coinvolgano tutti i
soggetti in grado di dare apporti nelle diverse fasi progettuali;
- l'attenzione va concentrata, in primo luogo, sui bisogni e sulle opportunità da garantire e, solo in secondo
luogo, sul sistema di interventi e servizi da porre in essere;
- devono essere valorizzate le risorse e i fattori propri e specifici di ogni comunità locale e di ogni àmbito
territoriale: ciò al fine non solo di aumentare l'efficacia degli interventi, ma anche di favorire la crescita delle
risorse presenti nelle singole realtà locali;
- particolare attenzione deve essere riservata, sin dalle prime fasi della programmazione, alle condizioni
tecniche e metodologiche che consentono di effettuare (successivamente) valutazioni di processo e di esito;
- vanno puntualmente definite le responsabilità, individuando, negli «accordi di programma», gli organi e le
modalità di gestione ed esplicitando le azioni da porre in essere nei confronti dei soggetti eventualmente
inadempienti.
La predisposizione del PdZ può essere articolata nelle seguenti fasi metodologiche:
a) attivazione della procedura, prevedendo il coinvolgimento di tutti i soggetti interessati e la definizione dei
singoli ruoli, b) ricostruzione della «base conoscitiva», ai fini dell'analisi dei bisogni e della conoscenza
dell'esistente, c) individuazione degli obiettivi strategici, d) precisazione dei contenuti, con riferimento a
quanto indicato all'articolo 19, comma 1 della legge n. 328/2000, e) approvazione del PdZ e sottoscrizione di
un'«accordo di programma», ai sensi dell'articolo 27 della legge n. 142/1990 e successive modificazioni.
3 - Il finanziamento delle politiche sociali La legge n. 328/2000 costituisce, anche dal punto di vista delle
risorse finanziarie disponibili, una svolta significativa rispetto alla precedente visione frammentaria,
discontinua e settoriale del finanziamento delle politiche sociali. L'istituzione del Fondo Nazionale per le
Politiche Sociali, FNPS, pone infatti le basi per una concreta, complessiva programmazione degli interventi.
Il FNPS è alimentato, attraverso stanziamenti di bilancio, a carico della fiscalità generale, da un insieme di
fonti che, originariamente disciplinate da una pluralità di disposizioni legislative, contribuiscono alla
formazione dell'ammontare complessivo delle risorse specificamente destinate alle politiche sociali.
Nel triennio 2001-2003, le risorse complessivamente confluite al fondo sono determinate in relazione a
quanto previsto dalle leggi di settore. Nella tabella di seguito riportata sono indicate le risorse destinate alle
politiche sociali per il triennio di validità del Piano. Gli importi comprendono anche le risorse relative a
interventi e a specifiche fiscalizzazioni la cui destinazione funzionale è già definita da provvedimenti
legislativi ovvero si riferiscono a benefìci economici la cui erogazione risulta già attribuita per via legislativa
ad altri enti (in particolare, assegni di maternità e assegni al nucleo familiare). Sono per contro esclusi gli
assegni agli invalidi civili.
Per quanto ancora inadeguato rispetto ai livelli di molti altri paesi sviluppati dell'Unione Europea, le
innovazioni introdotte nel corso dell'ultimo quinquennio in materia di assistenza consentono di garantire alle
politiche sociali un ammontare di risorse in continua crescita.
Le risorse afferenti il Fondo nazionale per le politiche sociali per il corrente anno ammontano, in realtà, a lire
3.080.050.000.000.
A tale cifra si aggiunge lo stanziamento disposto dalla legge n. 53/2000 disposizioni emanate per il sostegno
della maternità e della paternità, per il diritto alla cura ed alla formazione - pari a lire 499.000.000.000 che,
pur non contribuendo alla formazione del Fondo in parola, concorrono alla determinazione del totale delle
risorse stanziate per il corrente anno in materia di politiche sociali, per un importo complessivo di circa lire
3.500.000.000.000.
3.1 - Schema generale del processo di allocazione delle risorse
L'innovazione introdotta con l'istituzione del FNPS impone la definizione ex novo di un meccanismo di
allocazione delle risorse, fra settori di intervento e fra aree territoriali, che tenga conto dei bisogni
complessivi delle diverse realtà geografiche e degli obiettivi prioritari definiti dalla programmazione
nazionale e locale.
Lo schema generale del processo di allocazione delle risorse finanziarie destinate alla realizzazione degli
obiettivi di politica sociale è delineato come segue.
La metodologia di riparto è definita tenuto conto dell'insieme delle risorse disponibili per i procedimenti di
riallocazione. A tal fine sono considerati gli stanziamenti previsti per il FNPS, compresi quelli disponibili in
base alle disposizioni legislative di cui all'articolo 80, comma 17, della legge finanziaria per l'anno 2001.
Particolare attenzione è riservata alle esigenze di:
- evitare sovrapposizioni nel finanziamento di specifici settori o programmi di intervento (articolo 20,
comma 5, lettera a, della legge n. 328/2000), - garantire opportune integrazioni ai settori e ai programmi di
intervento che, pur benefìciando di risorse assicurate da specifiche leggi di settore, accedono al FNPS, nel
rispetto degli equilibri generali e compatibilmente con le disponibilità complessive.
Con riferimento alle procedure operative, la metodologia proposta è volta a favorire:
- la semplificazione delle procedure di assegnazione delle risorse (in coerenza con quanto previsto
dall'articolo 20, comma 5, lettera a, della legge n. 328/2000), prevedendo il riparto in un'unica soluzione, ai
sensi dell'articolo 80;comma 18, della legge finanziaria per l'anno 2001, - la funzionalità rispetto alle
esigenze di programmazione degli enti decentrati, prevedendo tempi e modalità tali da consentire alle
Regioni e agli enti locali di conoscere i) con certezza, ii) con sufficiente anticipo, iii) su un orizzonte
temporale tendenzialmente triennale, le risorse disponibili, sulla base delle quali procedere alla
programmazione delle politiche, - la trasparenza delle procedure, con riferimento sia alla ricognizione degli
stanziamenti previsti dai diversi provvedimenti normativi, sia ai criteri adottati per la loro allocazione (fra
settori di intervento e fra aree territoriali), - la snellezza della metodologia adottata, garantendo il miglior
equilibrio possibile fra semplicità delle procedure e completezza degli elementi considerati.
Con riferimento alla metodologia di allocazione, lo schema logico propone un riparto a due livelli, per aree
di intervento e per aree territoriali:
- per aree di intervento, con riguardo alla articolazione degli interventi in base ai bisogni da soddisfare
(evitando, in linea di principio, il riparto in base ai servizi da erogare), - per aree territoriali, con riguardo alle
dimensioni della popolazione destinataria dei programmi di intervento (o di suoi sotto-insiemi),
opportunamente corretta secondo i fattori di correzione di seguito individuati sulla base di quanto previsto
dalla n. 328/2000.
Con riferimento ai criteri e ai parametri di riparto, per il primo triennio di validità del Piano Nazionale
Sociale la metodologia è definita con riferimento a:
- gli obiettivi di priorità sociale individuati per il periodo 2001-2003, - l'esigenza di assicurare un congruo
ammontare di risorse per l'attuazione della legge quadro e per l'avvio del sistema integrato di interventi e
servizi sociali, - i criteri generali (demografici, economici e occupazionali) indicati dall'articolo 18, comma
3, lettera n) della legge n. 328/2000, - le statistiche disponibili (con riferimento all'ultimo dato noto) circa gli
elementi demografici, economici e occupazionali di cui all'articolo 18, comma 3, lettera n) della legge n.
328/2000.
Con riferimento alle esigenze di sostegno e incentivazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali,
la metodologia di riparto prevede quote di risorse specificamente destinate a:
- incentivare l'associazionismo degli enti locali, in particolare dei comuni, ai sensi dell'articolo 20, comma 5,
lettera b) della legge n. 328/2000, anche tenuto conto dell'inadeguatezza della dimensione comunale per una
efficiente organizzazione di molti servizi e programmi di intervento, - sostenere l'integrazione fra programmi
di intervento e fra enti locali, favorendo la realizzazione di reti di servizi.
Con riferimento alle esigenze di responsabilizzazione degli enti che accedono al riparto, la procedura
contempla misure volte a:
- garantire che gli stanziamenti a favore delle regioni e degli enti locali costituiscano quote di
cofinanziamento dei programmi e dei relativi interventi (ai sensi dell'articolo 20, comma 5, lettera c), della
legge n. 328/2000), prevedendo anche modalità di accertamento mediante lo sviluppo del sistema
informativo dei servizi sociali, - prevedere l'adozione di strumenti di analisi, valutazione e verifica delle
risorse impiegate, dei programmi svolti e dei risultati raggiunti (ai sensi dell'articolo 20, comma 5, lettera d),
della legge n. 328/2000), - prevedere l'introduzione di procedure per la revoca dei finanziamenti in caso di
mancato impegno da parte degli enti destinatari (ai sensi dell'articolo 20, comma 5, lettera e), della legge n.
328/2000.) Con riferimento ai vincoli di destinazione dei finanziamenti, pare utile precisare che, mentre è
assolutamente chiara l'intenzione del legislatore di assicurare esplicitamente la finalizzazione del FNPS alle
politiche sociali (e, quindi, di escludere - almeno nel breve-medio periodo - la sua equiparazione agli altri
trasferimenti interessati dal provvedimento sul federalismo fiscale di cui al D.Lgs. n. 56/2000), il riparto per
aree di intervento è da considerarsi, in fase di prima applicazione e in attesa dell'emanazione del regolamento
di cui all'art. 20, comma 5, della legge 8 novembre 2000, n. 328 (salvo diversa indicazione della normativa
vigente), indicativo delle priorità definite dalla programmazione nazionale per il triennio 2001-2003 e, in
quanto tale, non vincolante per le Regioni, fermo restando l'impegno delle Regioni a:
a) prevedere programmi e azioni in ciascuna delle aree di intervento;
b) garantire che le risorse ripartite non siano sostitutive di quelle già destinate dai singoli enti territoriali.
In particolare ogni regione potrà utilmente prevedere modalità di allocazione fra i diversi settori di intervento
(all'interno, ovviamente, delle politiche sociali) che tengano conto dei bisogni specifici della popolazione di
riferimento, dello sviluppo esistente (e auspicato) della rete locale dei servizi e delle priorità definite dalla
programmazione regionale.
3.2 - Metodologia e criteri di riparto
La metodologia di allocazione delle risorse prevede un riparto per aree di intervento e per aree territoriali.
Ai fini del riparto delle risorse disponibili per il triennio 2001-2003, considerate le priorità individuate dal
presente Piano nazionale, sono definite le seguenti macro-aree di intervento:
Aree di intervento1.responsabilità familiari2.diritti dei minori3.persone anziane4.contrasto
povertà5.disabili (in particolare, disabili gravi)6.immigrati7.droga8.avvio della riforma
della
L'articolazione per aree di intervento corrisponde a quella prevista per i livelli essenziali del sistema integrato
(punto 1 della parte III), con l'aggiunta dell'area relativa agli immigrati che in quella sede è considerata (e
inserita) trasversalmente (rispetto alle diverse aree), mentre in questa sede è considerata a parte, stante la
presenza di una specifica legge di settore che ne dispone il finanziamento.
Il riparto per aree di intervento riflette il principio in base al quale le risorse devono essere allocate agli
obiettivi da realizzare (e non alle prestazioni da erogare), posto che le politiche sociali perseguono obiettivi
di ben-essere (e non di produzione di servizi); esso è funzionale inoltre all'esigenza di favorire l'integrazione
degli interventi all'interno delle singole aree (integrazione infra-settoriale) e fra le diverse aree di intervento
(integrazione inter-settoriale).
L'area n. 8 «avvio della riforma» è inserita alla scopo di garantire il finanziamento di azioni e progetti
specificamente destinati all'avvio del sistema integrato di interventi e servizi, elaborati dalle regioni o dagli
enti locali, finalizzati a:
- lo sviluppo del sistema informativo dei servizi sociali, in una logica di condivisione delle informazioni e di
integrazioni dei sistemi informativi dei diversi livelli di governo, - lo sviluppo di forme di aggregazione e
associazione degli enti locali, al fine di evitare diseconomie e duplicazioni di esperienze (articolo 20, comma
5, lettera a, della legge n. 328/2000), - la sperimentazione di forme innovative di organizzazione ed
erogazione degli interventi, anche al fine di assicurare l'effettivo accesso alle categorie più fragili, - lo
sviluppo di programmi di intervento di valenza sovra-regionale o nazionale, - la realizzazione di progetti
obiettivo e di azioni programmate con particolare riferimento alla definizione di percorsi attivi a favore delle
persone in condizioni di povertà e di difficoltà psico-fisica (articolo 18, comma 3, lettera b, della legge n.
328/2000), - la realizzazione di progetti obiettivo finalizzati alla realizzazione di specifici obiettivi
individuati come particolarmente prioritari dalla programmazione regionale e locali e pertanto meritevoli di
una quota vincolata di finanziamenti, - il funzionamento del Dipartimento per gli Affari Sociali, per quanto
attiene alle funzioni di indirizzo, coordinamento e monitoraggio delle politiche sociali, affidate allo Stato
(art. 9, legge n. 328/2000), in relazione all'attuazione della riforma.
In fase di prima applicazione, tenuto conto dei vincoli - soprattutto temporali - che limitano la realizzazione
di specifici progetti, le risorse riservate all'area n. 8 «avvio della riforma» sono contenute entro i limiti
ritenuti sufficienti a garantire il finanziamento di attività preliminari allo sviluppo dei programmi di
intervento.
Il riparto per aree territoriali ha come principale riferimento la popolazione destinataria delle politiche
sociali, di volta in volta definita con riguardo alle caratteristiche demografiche, economiche e occupazionali
verosimilmente correlate al fabbisogno finanziario delle singole realtà regionali (o locali). Il riferimento alla
popolazione, quale criterio principe ai fini del riparto per aree territoriali, rimanda alla quota capitaria di
finanziamento, calcolata con riguardo:
a) alla popolazione complessiva, per tutte le aree di intervento destinate alla generalità della popolazione,
senza alcuna significativa differenziazione, b) alla popolazione obiettivo, per tutte le aree di intervento
destinate a specifici sotto-insiemi di popolazione, caratterizzati in base alla struttura demografica, la
condizione reddituale e occupazionale (articolo 18, comma 3, lettera n, della legge n. 328/2000.) Ne risulta
un riparto per quota capitaria corretta tenuto conto delle diverse caratteristiche della popolazione.
L'individuazione dei parametri di riparto è effettuata assegnando maggiore importanza alla «struttura
demografica» della popolazione, rispetto ai livelli di reddito e alle condizioni occupazionali. Tale scelta è
motivata da una serie di considerazioni, di principio e tecniche. Innanzitutto, esiste ampio consenso circa il
fatto che le caratteristiche socio-demografiche della popolazione (età, genere, tipo e dimensione della
famiglia di appartenenza, ecc.) costituiscono il più importante indicatore (e predittore) di bisogno, cui le
politiche sociali devono fare riferimento.
In secondo luogo, gli indicatori demografici presentano alcune importanti caratteristiche che ne facilitano (e
ne giustificano) l'impiego: sono disponibili in modo sistematico e a livello territoriale disaggregato, sono
comprensibili e semplici da utilizzare. Gli indicatori di reddito e di occupazione sono, per contro, meno
oggettivi e completi.
Infine, la preferenza accordata ai dati demografici discende dalla convinzione che le esigenze della` persona,
all'interno della famiglia, debbono essere al centro dell'attenzione di chi progetta e governa il sistema dei
servizi.
Tenuto conto delle considerazioni esposte, lo schema di riparto è sintetizzato nella tavola 3.4.3, il quale
riporta anche gli indicatori utilizzabili per la concreta quantificazione della quota di risorse allocabile nelle
diverse aree territoriali. Il dettaglio degli indicatori terrà conto delle indicazioni contenute nelle diverse leggi
di settore.
In fase di prima applicazione, tenuto conto delle finalizzazioni previste dalle leggi di settore che assicurano in particolare alle aree immigrati e droga - stanziamenti che possono essere ritenuti adeguati in termini
comparativi rispetto alle disponibilità complessive, il riparto funzionale delle risorse indistinte è effettuato
sulla base delle quote riportate nella tavola seguente (colonna centrale). La quota proposta per l'area
«persone anziane» è definita nel rispetto di quanto previsto dall'articolo 15, comma 1 della legge n. 328/2000
e considerata l'assenza di ogni altro finanziamento riservato nonostante le particolari esigenze del settore.
Tav. n. 3.4.3Aree di intervento%indicatoriResponsabilità familiari15%Popolazione residenteDiritti dei
minori10%Popolazione < 18 anniPopolazione < 4 anniPersone anziane60%Popolazione > 65
anniPopolazione > 75 anniContrasto povertà7%tasso di occupazione % poveriDisabili (gravi, in
particolare)7%n. disabili graviImmigrati-n. immigratiDroga-popolazione obiettivoAvvio della
Riforma1%popolazione residente
I livelli di governi destinatari del riparto sono le regioni e gli enti locali, secondo le indicazioni della
normativa di riferimento.
3.3 - Sostegno e revoca in caso di mancato utilizzo dei finanziamenti
Ai sensi dell'articolo 20, comma 5, lettera d), della legge n. 328/2000, le Regioni e gli enti locali diretti
destinatari dei finanziamenti di cui al FNPS predispongono annualmente una relazione sulle attività svolte,
sulle risorse impegnate e sui risultati raggiunti.
La relazione è oggetto di ampia pubblicizzazione presso la popolazione e le parti sociali.
La relazione, contenente anche il dettaglio degli stanziamenti erogati da almeno 2 anni e non ancora
impegnati, è trasmessa al Dipartimento per gli Affari Sociali della Presidenza del Consiglio dei Ministri. In
caso di mancato impegno di parte (o dell'insieme) dei finanziamenti, il Dipartimento per gli Affari Sociali e
l'ente destinatario dei finanziamenti costituiscono, entro 3 mesi dall'avvenuta verifica, un Comitato paritetico
per l'analisi delle cause del mancato utilizzo delle risorse disponibili e per la individuazione delle possibili
forme di accelerazione dei programmi di intervento.
Qualora, a 30 mesi dall'erogazione degli stanziamenti, le somme risultassero ancora non impegnate, l'ente
che ha provveduto al trasferimento è tenuto, ai sensi dell'articolo 20, comma 5, lettera d), della legge n.
328/2000, a procedere alla revoca degli stanziamenti stessi. Della revoca è data ampia pubblicizzazione
presso la popolazione dell'area territoriale interessata. Le somme revocate sono riallocate fra tutti i
destinatari; esse possono altresì essere destinate alle aree e alle amministrazioni alle quali sono state
revocate, per il finanziamento di programmi speciali volti a superare gli ostacoli che precedentemente hanno
impedito lo sviluppo dei programmi di intervento.
4 - La qualità del sistema integrato di interventi e servizi sociali
Le Regioni hanno da tempo regolamentato in varie forme la qualità dei servizi socio-assistenziali e
socio-educativi. Questo complesso di norme, procedure e strumenti valgono nel territorio di riferimento e
spesso per singoli settori d'intervento.
Nell'àmbito sociale, lo sviluppo dal basso dell'iniziativa dei cittadini, delle associazioni, del volontariato e
delle imprese si fonda da un lato sull'autonoma capacità dei soggetti di «fare qualità» e dall'altro su una
visione condivisa degli elementi qualificanti dei servizi sociali. La concertazione, già ampiamente
sperimentata per la programmazione dei servizi, è altrettanto importante per la valutazione e lo sviluppo di
un sistema di qualità, che si basa su valori comuni, regole condivise e controlli imparziali.
Infine, le regole per la qualità che si vanno determinando in àmbito pubblico riguardano per lo più i servizi
sociali essenziali di cui l'Ente Locale è titolare e che sono definiti nei piani regionali. Tranne poche
esperienze esemplari, finora le Regioni e gli Enti Locali non sono ancora intervenuti per regolare la qualità
dei servizi che i cittadini e le famiglie acquistano direttamente e/o organizzano in proprio avvalendosi di
personale non sempre inquadrato con contratti appropriati. In particolare, quando a questo personale viene
affidata l'assistenza a domicilio di anziani con ridotta autonomia (diurna o continuativa) e l'assistenza
educativa dei bambini (singoli o in gruppi), il servizio assume un carattere sociale che deve sottostare a
princìpi di qualità, a tutela delle persone che ne usufruiscono.
In tale contesto, devono essere avviate politiche che utilizzino incentivi mirati alle famiglie che acquistano
servizi alla persona accreditati dal pubblico. Tale scelta, da un lato favorisce l'emersione del lavoro
sommerso e, dall'altro, consente di affermare nel concreto che la qualità dei servizi è strettamente legata alla
qualità del lavoro impiegato. Ciò implica una progettualità integrata fra i servizi per l'impiego, i servizi per la
formazione professionale e i servizi alla persona.
Si tratta allora di costruire un «sistema qualità sociale», inteso come insieme di regole, procedure, incentivi e
controlli atti ad assicurare che gli interventi e i servizi sociali siano orientati alla qualità, in termini di
adeguatezza ai bisogni, efficacia dei metodi e degli interventi, uso ottimale delle risorse impiegate, sinergie
con servizi e risorse del territorio, valutazione dei risultati, apprendimento e miglioramento continuo.
A tal fine, le Regioni e gli Enti Locali:
- individuano la tipologia dei servizi da includere nel sistema per la qualità sociale, - promuovono sedi di
concertazione sui princìpi generali ispiratori della qualità dei diversi interventi e servizi sociali, invitando
tutti i soggetti interessati al sistema, enti pubblici, produttori privati, professionisti del sociale e
rappresentanti dei cittadini fruitori dei servizi, - definiscono le norme per l'autorizzazione al funzionamento e
le norme per l'accreditamento, operando, ove possibile, L'accorpamento in un testo unico delle molteplici
normative, procedure e adempimenti richiesti ai produttori di servizi, - individuano i soggetti istituzionali, le
metodologie e gli strumenti, atti a controllare l'applicazione delle norme in modo omogeneo sul territorio
regionale, trasparente e imparziale, - programmano e attuano piani di formazione e di incentivazione, ai fini
di favorire e sostenere l'applicazione delle norme e diffondere una cultura della qualità sociale, - adottano
propri strumenti di valutazione della qualità dei servizi, del funzionamento e dell'impatto del sistema qualità.
Contestualmente all'adozione di norme che definiscano i requisiti professionali degli operatori addetti ai
servizi, le Regioni programmano piani di formazione professionale finalizzati a:
1) garantire agli utenti livelli di professionalità tendenzialmente omogenei, 2) consentire agli operatori in
servizio di ottenere titoli professionali riconosciuti a livello nazionale, 3) assicurare agli enti che gestiscono
servizi di poter reperire sul mercato del lavoro locale la quantità e qualità di personale richiesto dalle norme.
5 - Rapporti tra enti locali e terzo settore L'attuale sistema di erogazione dei servizi sociali è fortemente
incentrato sulla relazione tra ente locale e terzo settore. Per questo la legge di riforma introduce rispetto al
tema della esternalizzazione dei servizi sociali rilevanti novità, definendo le diverse funzioni svolte dagli enti
pubblici e dal privato sociale, riconoscendo espressamente al privato sociale un ruolo in termini di coprogettazione dei servizi e di realizzazione concertata degli stessi.
Coerentemente a questa impostazione, e riconoscendo una grande crescita del terzo settore, gli enti locali
dovranno ricorrere a forme di aggiudicazione dei servizi che «consentano ai soggetti operanti nel terzo
settore di esprimere pienamente la propria progettualità». Questo significa privilegiare, ove possibile e
funzionale, il ricorso all'appalto concorso, lo strumento che più di ogni altro consente la progettualità dei
partecipanti e la possibilità di valutare la qualità delle prestazioni offerte e del personale che si propone di
impiegare.
Nel procedere alla valutazione dei servizi esternalizzati, gli enti locali dovranno accogliere una concezione di
valutazione che si distingua nettamente dal concetto di adeguamento a standard, assumendo parametri riferiti
all'efficacia, all'efficienza e ai risultati degli interventi.
La legge di riordino dei servizi sociali, nel ribadire implicitamente il divieto delle gare al massimo ribasso
nell'àmbito dei servizi alla persona, ha assegnato alle regioni importanti funzioni di regolazione delle
modalità di interazione tra enti pubblici e terzo settore.
Alle regioni sono, infatti, assegnate due funzioni estremamente delicate: definire gli indirizzi per regolare i
sistemi di affidamento dei servizi alla persona e definire le modalità con cui valorizzare il volontariato.
La funzione regolativa della regione è opportuno si fermi alla indicazione in generale dei parametri da
considerare per la valutazione delle offerte, lasciando ad ogni singolo ente appaltante di definire quali siano
in concreto i criteri di scelta da adottare e gli indicatori da predefinire: una previsione analitica da parte della
regione dei criteri e degli indicatori per la individuazione del soggetto cui affidare l'erogazione dei servizi
alla persona, infatti, sarebbe incoerente con le finalità di flessibilità e di negozialità contenute nella legge di
riordino.
Per ogni tipo di servizio e per ogni singola gara d'appalto, del resto, è necessario che l'ente appaltante
ridefinisca i criteri di scelta, gli indicatori di riferimento e il sistema di ponderazione.
Rispetto al tema della valorizzazione dell'apporto del volontariato nell'erogazione dei servizi, la legge di
riforma non innova rispetto a quanto previsto dalla legge n. 266/1991, che non prevede che le organizzazioni
di volontariato vendano servizi in un regime di convenzionamento che leghi la quantità di prestazioni ad un
corrispettivo.
Nell'affidamento al volontariato di interventi o servizi, l'ente locale dovrà dunque prevedere nella
convenzione una modalità di rimborso spese coerente con le caratteristiche di gratuità e solidarietà che
caratterizzano le organizzazioni di volontariato. L'ente locale potrà evidentemente anche erogare contributi
alle organizzazioni di volontariato.
Al fine di favorire un corretto rapporto tra enti locali e terzo settore, le regioni sono chiamate ad istituire gli
albi regionali di soggetti autorizzati all'esercizio dei servizi socio-assistenziali sulla scorta di una valutazione
di indicatori oggettivi di qualità. La definizione degli indicatori rappresenterà per le regioni un grande
impegno anche culturale, oltre che una occasione per intervenire molto concretamente nel mercato delle
imprese sociali: è dunque opportuno che la definizione dei requisiti avvenga in modo partecipato, attraverso
un processo di individuazione di caratteristiche di qualità che ad una istruttoria tecnica faccia seguire una
successiva fase di confronto e validazione che coinvolga sia il pubblico che il privato sociale.
6 - La carta dei servizi sociali La carta dei servizi sociali, intesa e realizzata come «carta per la cittadinanza
sociale», non si limita a regolamentare l'accesso ai servizi riproducendo la logica dei soggetti erogatori, ma si
concentra sulle persone che hanno bisogno di accedere ai servizi. In tal senso la carta dei servizi sociali viene
a caratterizzarsi come percorso progettuale finalizzato a conseguire gli obiettivi di promozione della
cittadinanza attiva, consapevole nella popolazione, nelle istituzioni e nei servizi. Il termine « cittadinanza» si
collega strettamente ai diritti che ogni persona ritiene le debbano essere riconosciuti nella vita quotidiana e
nelle situazioni di bisogno. La logica dei diritti sociali nella carta per la cittadinanza si collega strettamente
con la logica dei doveri o meglio ancora dell'incontro tra diritti e doveri sociali.
Con riferimento ai contenuti, la carta dovrà prevedere:
- le condizioni per un patto di cittadinanza sociale a livello locale, - i percorsi e le opportunità sociali
disponibili, - la mappa delle risorse istituzionali e sociali, - i livelli essenziali di assistenza previsti, - gli
standard di qualità da rispettare, - le modalità di partecipazione dei cittadini, - le forme di tutela dei diritti, in
particolare dei soggetti deboli, - gli impegni e i programmi di miglioramento, - le regole da applicare in caso
di mancato rispetto degli standard.
Ogni comune, in quanto responsabile dell'offerta dei servizi sociali, deve adottare una propria « carta», nella
quale saranno riflessi i suoi orientamenti e le sue possibilità. Al fine di favorire una certa omogeneità, è
opportuno che le carte abbiano un «nocciolo» di contenuti comuni. In particolare è necessario che, almeno
per i tipi di prestazioni più diffuse, alcuni indicatori siano definiti a livello nazionale, ferma restando la
possibilità di affinarli e integrarli in sede locale e, soprattutto, fermo restando l'esclusiva responsabilità delle
amministrazioni comunali nella determinazione dei valori (e quindi nella concreta determinazione degli
standard di qualità). A tale esigenza corrisponderà la produzione dello Schema di riferimento che il
Dipartimento per gli Affari Sociali dovrà presentare, nonché l'eventuale implementazione che potranno farne
le regioni.
Di particolare rilevanza è il processo di costruzione delle carte. In primo luogo esso costituisce una preziosa
occasione di coinvolgimento della collettività, con la quale potranno essere confrontati i princìpi cui si
ispirano le strategie di offerta e negoziati gli standard di qualità e gli strumenti in caso di mancato rispetto.
Così facendo si potrà dar corpo all'affermazione secondo la quale le carte costituiscono un «patto» tra i
comuni e i cittadini. In secondo luogo, la loro costruzione costituisce una preziosa occasione di verifica,
all'interno delle amministrazioni, dello stato dei servizi sociali e delle possibilità di miglioramento, dando
cosi corpo all'affermazione secondo la quale le carte costituiscono uno strumento, oltre che di tutela dei
cittadini, di crescita organizzativa.
La legge n. 328/2000 stabilisce che l'adozione della carta dei servizi sociali da parte degli erogatori è
condizione per il loro accreditamento. Evidentemente tale previsione non può essere riferita alle
amministrazioni comunali e sta piuttosto ad indicare che anche i gestori dei servizi - in quanto diversi dalle
amministrazioni comunali - devono dotarsi, ognuno, di una propria carta. Il contenuto di quest'ultima,
peraltro, deve essere diverso da quello fin qui considerato: le «carte» dei soggetti in questione devono
contenere impegni (nei confronti dei comuni) riferiti al possesso di strumenti e al rispetto di regole di
funzionamento coerenti con un effettivo «orientamento alla qualità», caratterizzandosi dunque per la
presenza di standard di tipo organizzativo. In ogni caso si deve escludere che gestori dei servizi diversi dalle
amministrazioni comunali stabiliscano, essi stessi, gli standard di qualità delle prestazioni. Anche nel caso di
gestioni «esterne», infatti, questi ultimi devono restare di competenza dei comuni che, al riguardo, potranno
procedere come segue: definire un insieme di indicatori e valori di base; sollecitare quanti competono per
l'affidamento di un servizio a formulare proposte migliorative; convalidare la proposta contenuta nell'offerta
più rispondente al proprio insieme di obiettivi e di vincoli, assumendone a tutti gli effetti la responsabilità nei
confronti dei cittadini.
7 - Il sistema informativo dei servizi sociali Il sistema informativo dei servizi sociali (Siss) risponde alle
esigenze della programmazione, della gestione e della valutazione delle politiche sociali. È strumento di
conoscenza di fondamentale importanza per gli operatori, i responsabili delle politiche (ai diversi livelli) e i
cittadini. La sua funzione non è (solo) quella di descrivere le risorse impiegate e le attività svolte nelle
diverse articolazioni territoriali e organizzative, ma (soprattutto) quella di facilitare la lettura dei bisogni e di
sostenere il processo decisionale a tutti i livelli di governo, sulla base di una rigorosa analisi delle attività e
dei risultati raggiunti rispetto ai risultati attesi e alle esigenze della popolazione. La disponibilità di
informazioni è inoltre funzionale alla diffusione della cultura del confronto e alla valutazione comparativa
delle esperienze e dei risultati.
Lo sviluppo del Siss deve prevedere il potenziamento della produzione statistica ufficiale nell'àmbito delle
indagini presso le famiglie e presso le istituzioni (pubbliche e private). Le rilevazioni statistiche ufficiali
presso le famiglie devono permettere di valutare la rete degli aiuti che i cittadini ricevono dal settore sociale
(pubblico e privato), e degli aiuti informali (familiari e non) che i cittadini si scambiano, nonché i bisogni
emergenti. Le rilevazioni ufficiali presso le istituzioni devono garantire un flusso di informazioni continuo
rispetto all'offerta dei servizi, con particolare riferimento ai servizi attivati localmente per i diversi soggetti
sociali (bambini, anziani, disabili, ecc).
Specifica attenzione dovrà essere dedicata ai sistemi di rendicontazione degli enti locali (in particolare, ai
bilanci dei Comuni) al fine di renderli più funzionali alla rilevazione delle informazioni sulla spesa e sulle
attività sociali.
Per sviluppare la massima potenzialità, il sistema informativo dei servizi sociali (Siss) dovrà essere
organicamente collegato, fra l'altro, al sistema informativo sanitario (Sis) e a quello europeo (Eurostat).
Fra le funzioni specifiche del Siss, assumono particolare rilievo:
a) il monitoraggio dei livelli essenziali di cui all'articolo 22 della legge n. 328/2000;
b) il monitoraggio di specifiche misure di intervento promosse dalle politiche sociali, in particolare il
Reddito minimo di inserimento (Rmi) e il Reddito minimo per la disabilità;
c) l'analisi della qualità dei servizi e della loro effettiva rispondenza ai bisogni da soddisfare, anche attraverso
l'utilizzo di un insieme (essenziale) di indicatori collegati al sistema delle Carte dei servizi sociali.
Per essere funzionale alle esigenze di governo delle politiche sociali, il Siss deve essere essenziale ovvero
disegnato in modo da evitare la proliferazione delle informazioni e l'inflazione di dati.
Particolare attenzione dovrà essere riservata alle esigenze di flessibilità e tempestività, evitando di
sacrificarle alle richieste di esaustività e completezza. Il modello di funzionamento dei flussi informativi (chi
rileva le informazioni, con chi e come sono condivise, come sono trattate ed elaborate, come sono aggregate,
come ritornano a chi le ha prodotte) deve essere improntato ad estrema chiarezza, entro una logica
sufficientemente decentrata, perché è a livello locale che si gioca l'affidabilità del sistema.
Al fine di evitare la sovrapposizione o (addirittura) la contrapposizione di più sistemi informativi (uno o più
nazionali, tanti regionali, tanti locali) è essenziale che i diversi soggetti (ai diversi livelli di governo) si
integrino e condividano il disegno complessivo del Siss. In particolare, la partecipazione di tutti gli attori alla
costruzione del sistema, favorendo il superamento dei limiti propri della visione da mero debito informativo,
è garanzia di collaborazione allo sviluppo del sistema e fonte di fertili aspettative nei suoi confronti. A tutti i
livelli di governo, il bilancio informativo fra, da un lato, i dati che si rilevano o si acquisiscono e, dall'altro,
le conoscenze che si ricavano o si restituiscono, deve essere rispettato, caratterizzando in senso circolare i
rapporti tra i diversi attori coinvolti (all'interno degli enti e tra centro e periferia).
È essenziale che alla definizione dell'architettura del Siss collaborino esperti di politiche sociali (in
particolare, di valutazione di programmi e servizi), esperti statistici (in particolare dell'Istat, in modo da
sviluppare sinergie e omogeneità), esperti di sistemi informativi (in modo da garantire lo sviluppo di
connessioni di rete, in un'ottica di interoperabilità funzionale), responsabili delle politiche sociali e, in primo
luogo, responsabili locali (perché la partecipazione di chi produce e utilizza le informazioni è condizione
indispensabile per la qualità del sistema). È inoltre necessario che essi sappiano cogliere (in una logica di
costante ascolto) i fabbisogni conoscitivi delle principali istituzioni interessate, inclusa la Commissione di
Indagine sull'Esclusione Sociale.
De Agostini Professionale - LEGGI D'ITALIA (testo vigente)
Aggiornamento alla GU 28/05/2002
32. ASSISTENZA E BENEFICENZA PUBBLICA E) Assistenza in favore di particolari categorie
D.M. 21 maggio 2001, n. 308
Regolamento concernente «Requisiti minimi strutturali e organizzativi per l'autorizzazione all'esercizio dei
servizi e delle strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale, a norma dell'articolo 11 della L. 8 novembre
2000, n. 328».
IL MINISTRO PER LA SOLIDARIETÀ SOCIALE
Visto l'articolo 17, comma 3, della legge 28 agosto 1998, n. 400;
Vista la legge 8 novembre 2000, n. 328, recante «Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di
interventi e servizi sociali»;
Visti in particolare gli articoli 9, comma 1, lettera c), e 11, comma 1, della legge n. 328 del 2000, che
prevedono la fissazione dei requisiti minimi strutturali e organizzativi per l'autorizzazione all'esercizio dei
servizi e delle strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale;
Visto l'articolo 8, comma 3, lettera f), della medesima legge n. 328 del 2000 che prevede che le regioni, sulla
base dei requisiti minimi fissati dallo Stato, definiscano i criteri per l'autorizzazione, l'accreditamento e la
vigilanza delle strutture e dei servizi a gestione pubblica o dei soggetti di cui all'articolo 1, commi 4 e 5;
Sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281;
Sentiti i Ministri della sanità e per gli affari regionali;
Udito il parere della sezione consultiva per gli atti normativi del Consiglio di Stato, espresso nell'adunanza
del 9 aprile 2001;
Vista la comunicazione al Presidente del Consiglio dei Ministri n. DAS/232/UL/749 dell'8 maggio 2001, a
norma dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400;
Adotta il seguente regolamento:
1. Oggetto e finalità.
1. Il presente decreto fissa i requisiti minimi strutturali e organizzativi per l'autorizzazione all'esercizio dei
servizi e delle strutture a ciclo diurno e residenziale di cui alla legge n. 328 del 2000, con previsione di
requisiti specifici per le comunità di tipo familiare con sede nelle civili abitazioni.
2. Ai sensi dell'articolo 11, comma 2, della legge n. 328 del 2000, le regioni recepiscono e integrano, in
relazione alle esigenze locali, i requisiti minimi fissati dal presente decreto, individuando, se del caso, le
condizioni in base alle quali le strutture sono considerate di nuova istituzione e le modalità e i termini entro
cui prevedere, anche in regime di deroga, l'adeguamento ai requisiti per le strutture già operanti.
2. Strutture e servizi soggetti ai requisiti minimi per l'autorizzazione.
1. I requisiti minimi per l'autorizzazione al funzionamento di cui alla legge n. 328 del 2000 riguardano le
strutture e i servizi già operanti e quelli di nuova istituzione, gestiti dai soggetti pubblici o dai soggetti di cui
all'articolo 1, commi 4 e 5 della legge n. 328 del 2000 che, indipendentemente dalla denominazione
dichiarata, sono rivolti a:
a) minori per interventi socio-assistenziali ed educativi integrativi o sostitutivi della famiglia;
b) disabili per interventi socio-assistenziali o socio-sanitari finalizzati al mantenimento e al recupero dei
livelli di autonomia della persona e al sostegno della famiglia;
c) anziani per interventi socio-assistenziali o socio-sanitari, finalizzati al mantenimento e al recupero delle
residue capacità di autonomia della persona e al sostegno della famiglia;
d) persone affette da AIDS che necessitano di assistenza continua, e risultano prive del necessario supporto
familiare, o per le quali la permanenza nel nucleo familiare sia temporaneamente o definitivamente
impossibile o contrastante con il progetto individuale;
e) persone con problematiche psico-sociali che necessitano di assistenza continua e risultano prive del
necessario supporto familiare, o per le quali la permanenza nel nucleo familiare sia temporaneamente o
definitivamente impossibile o contrastante con il progetto individuale.
2. Per le strutture che erogano prestazioni socio-sanitarie di cui all'articolo 8-ter del decreto legislativo n. 502
del 1992, come modificato dal decreto legislativo n. 229 del 1999, l'autorizzazione di cui al comma 1, lettere
b), c), d) ed e), è rilasciata comunque in conformità a quanto previsto dall'articolo 8- ter dello stesso decreto
legislativo.
3. Restano ferme le disposizioni adottate in attuazione della legge 18 febbraio 1999, n. 45, in materia di
strutture e servizi destinati al recupero e alla riabilitazione della tossicodipendenza.
3. Strutture di tipo familiare e comunità di accoglienza di minori.
1. Le comunità di tipo familiare e i gruppi appartamento con funzioni di accoglienza e bassa intensità
assistenziale, che accolgono, fino ad un massimo di sei utenti, anziani, disabili, minori o adolescenti, adulti
in difficoltà per i quali la permanenza nel nucleo familiare sia temporaneamente o permanentemente
impossibile o contrastante con il progetto individuale, devono possedere i requisiti strutturali previsti per gli
alloggi destinati a civile abitazione. Per le comunità che accolgono minori, gli specifici requisiti
organizzativi, adeguati alle necessità educativo-assistenziali dei bambini e degli adolescenti, sono stabiliti
dalle regioni.
4. Soggetti e procedure.
1. Fino all'entrata in vigore della disciplina regionale, e fatto salvo quanto stabilito dall'articolo 2, comma 2,
e dall'articolo 8, comma 1, i comuni rilasciano autorizzazioni all'esercizio dei servizi e delle strutture a ciclo
diurno e residenziale a seguito della verifica del possesso dei requisiti minimi strutturali e organizzativi di
cui al presente decreto.
5. Requisiti comuni delle strutture a ciclo diurno e residenziale.
1. Fermo restando il possesso dei requisiti previsti dalle norme vigenti in materia urbanistica, edilizia,
prevenzione incendi, igiene e sicurezza e l'applicazione dei contratti di lavoro e dei relativi accordi
integrativi, le strutture devono possedere i seguenti requisiti minimi ai sensi dell'articolo 9, comma 1, lettera
c), della legge n. 328 del 2000:
a) ubicazione in luoghi abitati facilmente raggiungibili con l'uso di mezzi pubblici, comunque tale da
permettere la partecipazione degli utenti alla vita sociale del territorio e facilitare le visite agli ospiti delle
strutture;
b) dotazione di spazi destinati ad attività collettive e di socializzazione distinti dagli spazi destinati alle
camere da letto, organizzati in modo da garantire l'autonomia individuale, la fruibilità e la privacy;
c) presenza di figure professionali sociali e sanitarie qualificate, in relazione alle caratteristiche ed ai bisogni
dell'utenza ospitata, così come disciplinato dalla regione;
d) presenza di un coordinatore responsabile della struttura;
e) adozione di un registro degli ospiti e predisposizione per gli stessi di un piano individualizzato di
assistenza e, per i minori, di un progetto educativo individuale; il piano individualizzato ed il progetto
educativo individuale devono indicare in particolare: gli obiettivi da raggiungere, i contenuti e le modalità
dell'intervento, il piano delle verifiche;
f) organizzazione delle attività nel rispetto dei normali ritmi di vita degli ospiti;
g) adozione, da parte del soggetto gestore, di una Carta dei servizi sociali secondo quanto previsto
dall'articolo 13 della legge n. 328 del 2000, comprendente la pubblicizzazione delle tariffe praticate con
indicazione delle prestazioni ricomprese.
6. Requisiti comuni ai servizi.
1. Ferma restando l'applicazione dei contratti di lavoro e dei relativi accordi integrativi, il soggetto erogatore
di servizi alla persona di cui alla legge n. 328 del 2000 deve garantire il rispetto delle seguenti condizioni
organizzative, che costituiscono requisiti minimi ai sensi dell'articolo 9, comma 1, lettera c), della medesima
legge:
a) presenza di figure professionali qualificate in relazione alla tipologia di servizio erogato, secondo standard
definiti dalle regioni;
b) presenza di un coordinatore responsabile del servizio;
c) adozione, da parte del soggetto erogatore, di una Carta dei servizi sociali secondo quanto previsto
dall'articolo 13 della legge n. 328 del 2000 comprendente la pubblicizzazione delle tariffe praticate con
indicazione delle prestazioni ricomprese;
d) adozione di un registro degli utenti del servizio con l'indicazione dei piani individualizzati di assistenza.
7. Requisiti specifici delle strutture.
1. Ai fini della individuazione dei requisiti minimi delle strutture si considerano:
a) strutture a carattere comunitario;
b) strutture a prevalente accoglienza alberghiera;
c) strutture protette;
d) strutture a ciclo diurno.
2. Le strutture a carattere comunitario sono caratterizzate da bassa intensità assistenziale, bassa e media
complessità organizzativa, destinate ad accogliere utenza con limitata autonomia personale, priva del
necessario supporto familiare o per la quale la permanenza nel nucleo familiare sia temporaneamente o
definitivamente contrastante con il piano individualizzato di assistenza.
3. Le strutture a prevalente accoglienza alberghiera sono caratterizzate da bassa intensità assistenziale, media
e alta complessità organizzativa in relazione al numero di persone ospitate, destinate ad accogliere anziani
autosufficienti o parzialmente non autosufficienti.
4. Le strutture protette sono caratterizzate da media intensità assistenziale, media e alta complessità
organizzativa, destinate ad accogliere utenza non autosufficiente.
5. Le strutture a ciclo diurno sono caratterizzate da diverso grado di intensità assistenziale in relazione ai
bisogni dell'utenza ospitata e possono trovare collocazione all'interno o in collegamento con una delle
tipologie di strutture di cui ai commi precedenti.
6. Oltre ai requisiti indicati agli articoli precedenti, le strutture di cui al presente articolo devono possedere i
requisiti indicati nell'allegato A al presente decreto quale parte integrante.
8. Norme transitorie e finali.
1. Ferma restando l'applicazione dei requisiti minimi di cui al presente decreto, fino all'adozione di ulteriori
disposizioni regionali continuano ad applicarsi le norme regionali relative ai procedimenti di autorizzazione
emanate prima dell'entrata in vigore della legge n. 328 del 2000.
2. Le strutture per anziani già operanti alla data di entrata in vigore del presente decreto, con capacità
ricettiva superiore a quella fissata nell'allegato A al presente provvedimento e con camere fino ad un
massimo di quattro posti letto, non possono in nessun caso aumentare la capacità ricettiva e devono
comunque organizzare la propria attività per nuclei funzionali fino a trenta ospiti.
3. Le regioni, nell'àmbito delle norme di cui all'articolo 1, comma 2, adottano i tempi e le misure volte al
definitivo superamento degli istituti per minori con particolare riguardo ai requisiti minimi richiesti ai sensi
dell'articolo 22, comma 3, della legge n. 328 del 2000.
4. Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano provvedono alle finalità del
presente decreto nell'àmbito delle proprie competenze, secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti.
De Agostini Professionale - LEGGI D'ITALIA (testo vigente)
Aggiornamento alla GU 23/07/2002
32. ASSISTENZA E BENEFICENZA PUBBLICA E) Assistenza in favore di particolari categorie
D.M. 13 dicembre 2001, n. 470
Regolamento concernente criteri e modalità per la concessione e l'erogazione dei finanziamenti di cui
all'articolo 81 della L. 23 dicembre 2000, n. 388, in materia di interventi in favore dei soggetti con handicap
grave privi dell'assistenza dei familiari.
IL MINISTRO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI
Visto l'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400;
Visto l'articolo 81 della legge 23 dicembre 2000, n. 388;
Visto il decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, come modificato dal decreto-legge 12 giugno 2001, n.
217, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2001, n. 317;
Visto il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112;
Visto l'articolo 59, comma 44, della legge 27 dicembre 1997, n. 449;
Visto l'articolo 20 della legge 8 novembre 2000, n. 328;
Acquisito il parere della Conferenza Unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n.
281, reso nella seduta del 27 settembre 2001;
Udito il parere del Consiglio di Stato, espresso dalla Sezione consultiva per gli atti normativi nell'adunanza
dell'8 novembre 2001;
Vista la comunicazione al Presidente del Consiglio dei Ministri, effettuata ai sensi dell'articolo 17, comma 3,
della legge 23 agosto 1988, n. 400, con nota n. 84187/19/5/744 del 23 novembre 2001;
Adotta il seguente regolamento:
1. Oggetto.
1. Il presente regolamento disciplina i criteri per il trasferimento alle regioni e alle province autonome di
Trento e di Bolzano dei finanziamenti di cui all'articolo 81 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, nonché i
criteri e le modalità per la concessione e l'erogazione degli stessi da parte delle regioni e delle province
autonome di Trento e di Bolzano per la realizzazione, da parte di organizzazioni senza scopo di lucro, di
nuove strutture, destinate al mantenimento e all'assistenza di soggetti con handicap grave privi dei familiari
che ad essi provvedevano; stabilisce, altresì, le modalità di verifica dell'attuazione delle attività svolte e
disciplina le ipotesi di revoca dei finanziamenti concessi.
2. Ai sensi del presente regolamento, per soggetti con handicap grave si intendono i soggetti di cui
all'articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, la cui situazione di gravità sia accertata ai sensi
dell'articolo 4 della medesima legge.
3. Per amministrazione statale competente si intende il Ministero del lavoro e delle politiche sociali Dipartimento delle politiche sociali e previdenziali.
2. Trasferimento delle risorse alle regioni.
1. Le risorse previste dall'articolo 81 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, ad integrazione del Fondo di cui
all'articolo 59, comma 44, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modifiche, sono assegnate alle
regioni e alle province autonome di Trento e di Bolzano con un apposito provvedimento di riparto successivo
e integrativo del decreto di cui all'articolo 20, comma 7, della legge 8 novembre 2000, n. 328, sulla base
dell'ultima rilevazione della popolazione residente effettuata dall'Istituto nazionale di statistica (2).
2. Al fine di evitare effetti sperequativi, anche in considerazione della natura degli interventi da realizzare, il
20% delle risorse finanziarie disponibili viene ripartito attribuendo una quota di medesimo importo a
ciascuna regione e provincia autonoma. Il restante 80% viene ripartito in base alla popolazione residente.
(2) Le risorse di cui al presente comma sono state assegnate alle province autonome di Trento e Bolzano con
D.M. 16 aprile 2002 (Gazz. Uff. 27 giugno 2002, n. 149).
3. Soggetti abilitati a presentare la domanda.
1. Possono presentare la domanda per la concessione dei contributi i rappresentanti legali degli organismi di
cui all'articolo 1, comma 5, della legge 8 novembre 2000, n. 328, che abbiano una diretta e comprovata
esperienza nel settore dell'assistenza ai soggetti con handicap grave:
organismi non lucrativi di utilità sociale;
organismi della cooperazione;
organizzazioni di volontariato;
associazioni ed enti di promozione sociale;
fondazioni; enti di patronato;
altri soggetti privati.
2. L'esperienza nel settore dell'assistenza ai soggetti con handicap grave, comprovata secondo modalità
individuate dalle regioni e dalle province autonome di Trento e di Bolzano, deve essersi svolta per un
adeguato periodo di tempo e deve essere riferita all'attività diretta della singola organizzazione nel distretto
sanitario o nella regione o nella provincia autonoma in cui si intende realizzare la nuova struttura di
accoglienza.
4. Progetti finanziabili.
1. Da parte delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano, nel quadro della programmazione
degli interventi sociali di cui all'articolo 8, comma 2, della legge 8 novembre 2000, n.
328, anche in collaborazione con gli enti locali, sono finanziabili i progetti che prevedono l'apertura di nuove
strutture di accoglienza dei soggetti di cui all'articolo 1, comma 2, e più in particolare:
a) l'acquisto, la ristrutturazione, la locazione di immobili necessari per l'apertura delle suddette strutture, che
vanno localizzate in contesti territoriali tali da consentirne l'integrazione con la rete dei servizi sociali del
territorio;
b) l'acquisto e la messa in opera degli impianti e delle attrezzature, compreso l'arredamento, necessari per il
funzionamento delle strutture di accoglienza; tali beni devono essere di primo acquisto e conformi ai requisiti
di sicurezza previsti per le attrezzature delle residenze per l'assistenza dei soggetti con handicap grave;
c) l'avvio e la prosecuzione, per un anno dall'apertura del servizio, delle attività assistenziali, di tutela e di
sostegno da realizzare nelle strutture di accoglienza.
2. Il progetto contiene una descrizione completa delle caratteristiche degli interventi e delle professionalità
allo scopo impiegate ed è corredato di adeguata documentazione attestante i costi degli stessi e la relativa
copertura.
5. Criteri per l'individuazione dei progetti da finanziare.
1. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, con propri provvedimenti emanati nel rispetto
delle norme degli statuti di autonomia, stabiliscono i criteri per l'individuazione dei progetti da ammettere al
finanziamento.
2. Al fine di assicurare l'omogeneità qualitativa dei servizi sul territorio nazionale, i soggetti di cui al comma
1 del presente articolo assegnano le risorse sulla base della qualità del progetto dal punto di vista:
dei requisiti strutturali e funzionamento;
delle attività assistenziali, di tutela, di sostegno psicologico ed educativo;
del collegamento del progetto con i servizi sociali di base, con le strutture sanitarie e formative e con altre
iniziative, servizi e strutture già esistenti sul territorio per l'assistenza ai soggetti con handicap grave.
6. Requisiti delle strutture di accoglienza.
1. Le strutture di cui all'articolo 4 devono avere dimensioni ridotte e comunque tali da assicurare
l'inserimento e l'accoglienza del soggetto con handicap grave in un contesto di tipo familiare e devono
rispondere ai requisiti igienico-sanitari previsti dai regolamenti comunali per le case di abitazione. Esse non
possono, comunque, avere requisiti inferiori a quelli previsti dalla normativa statale e regionale e dai
regolamenti locali per le strutture residenziali destinate all'assistenza di soggetti con handicap grave.
7. Modalità di concessione e di erogazione dei finanziamenti.
1. Nel quadro della programmazione degli interventi sociali di cui all'articolo 8, comma 2, della legge 8
novembre 2000, n. 328, anche in collaborazione con gli enti locali, le regioni e le province autonome di
Trento e di Bolzano, con propri provvedimenti emanati nel rispetto delle norme degli statuti di autonomia,
stabiliscono le forme di finanziamento, le modalità di concessione e di erogazione dei contributi, in modo
tale da garantirne, comunque, la massima pubblicità sul territorio.
2. Le attività ammesse al finanziamento devono essere comunque ultimate entro e non oltre due anni
dall'erogazione del contributo.
3. Il contributo è concesso a concorrenza della spesa prevista per la realizzazione del progetto e comunque
nel limite massimo di due miliardi di lire per progetto.
8. Valutazione a livello regionale.
1. Le modalità con cui procedere al monitoraggio, alla valutazione dell'attuazione dei progetti e alla revoca
dei finanziamenti di cui al presente regolamento sono rimesse alla determinazione autonoma delle singole
regioni.
9. Relazioni.
1. Entro il termine del 31 luglio 2002 le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano trasmettono
all'amministrazione statale competente una relazione iniziale in cui sono esplicitati i criteri utilizzati, l'elenco
dei progetti ammessi al finanziamento e il relativo stato di attuazione.
2. Entro il termine di due anni e sei mesi dall'erogazione del contributo, le regioni e le province autonome di
Trento e di Bolzano trasmettono all'amministrazione statale competente una relazione finale sullo stato di
attuazione degli interventi effettuati e sulla loro efficacia, anche sulla base dell'attività di cui all'articolo 8.
3. L'amministrazione statale competente, valutati gli esiti del finanziamento, formula proposte al Ministro,
anche ai fini di un'eventuale rimodulazione degli interventi.
10. Revoca dei finanziamenti.
1. L'amministrazione statale competente revoca alle regioni i trasferimenti effettuati in caso di:
mancata trasmissione da parte delle regioni delle relazioni di cui all'articolo 9;
segnalazione negativa, contenuta nella relazione, da parte delle regioni e delle province autonome sulle
realizzazioni progettuali;
mancato impegno contabile delle quote di competenza in favore dei soggetti destinatari di cui all'articolo 3
del presente regolamento entro il 30 giugno 2002.
2. Entro i sei mesi successivi alla revoca, l'amministrazione statale competente riassegna le risorse alle
regioni e alle province autonome che hanno adempiuto agli obblighi derivanti dal presente regolamento.
11. Entrata in vigore.
1. Il presente regolamento entra in vigore il quindicesimo giorno successivo alla data della sua pubblicazione
nella Gazzetta Ufficiale.
De Agostini Professionale - LEGGI REGIONALI D'ITALIA
Aggiornamento al BU 28/05/2002
Regione: Piemonte
6. ASSISTENZA E BENEFICENZA PUBBLICA Disposizioni di carattere generale
L.R. 9 giugno 1994, n. 18
Norme di attuazione della legge 8 novembre 1991, n. 381 ''Disciplina delle cooperative sociali''
TITOLO I Finalità della legge e istituzione dell'Albo regionale
Art. 1
Finalità.
1. La Regione Piemonte, in attuazione degli articoli 3, 4 e 45 della Costituzione, dell'articolo 4 dello Statuto
e della legge 8 novembre 1991, n. 381, riconosce il ruolo delle cooperative sociali che operano, con carattere
mutualistico, nell'interesse generale della comunità, per la promozione umana e l'integrazione sociale dei
cittadini, attraverso la gestione di servizi socio-sanitari ed educativi ovvero con lo svolgimento di attività
diverse agricole, industriali, commerciali o di servizi finalizzate all'inserimento lavorativo ed all'autonomia
economica di persone svantaggiate.
2. La presente legge disciplina i rapporti tra gli Enti pubblici e le cooperative sociali e i loro consorzi, nonché
definisce gli strumenti per la promozione, il sostegno e lo sviluppo della cooperazione sociale.
Art. 2 Albo regionale.
1. Ai fini di cui all'articolo 1 è istituito, presso l'Assessorato regionale all'Assistenza sociale, l'albo regionale
delle cooperative sociali.
2. L'albo si articola nelle seguenti sezioni:
a) sezione A, nella quale sono iscritte le cooperative che gestiscono servizi socio-sanitari ed educativi;
b) sezione B, nella quale sono iscritte le cooperative che svolgono attività diverse agricole, industriali,
commerciali o di servizi, finalizzate all'inserimento lavorativo di persone svantaggiate;
c) sezione C, nella quale sono iscritti i consorzi di cui all'articolo 8 della legge n. 381 del 1991 (5).
3. L'iscrizione all'albo è condizione per la stipula delle convenzioni tra le cooperative e le Amministrazioni
pubbliche, che operano in ambito regionale, nonché per accedere ai benefici previsti dalla legge.
4. Qualora le cooperative sociali svolgano attività idonee a favorire l'inserimento e l'integrazione lavorativa
di persone handicappate, ai sensi dell'articolo 18 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, l'iscrizione all'albo
regionale soddisfa la condizione per accedere alle convenzioni di cui all'articolo 38 della stessa legge.
5. Non sono iscrivibili all'albo regionale le cooperative ed i consorzi che abbiano, come esclusivo scopo
statutario, lo svolgimento di attività di formazione professionale, di cui alla legge 21 dicembre 1978, n. 845
(7), attuata con legge regionale 25 febbraio 1980, n. 8, nonché le società cooperative ed i loro consorzi,
che organizzino attività di istruzione di qualsiasi ordine e grado.
6. L'albo regionale è pubblicato, nel corso del mese di gennaio di ogni anno, sul Bollettino Ufficiale
(B.U.R.) della Regione Piemonte.
(5) Legge 8 novembre 1991, n. 381, art. 8: "Le disposizioni di cui alla presente legge si applicano ai
consorzi costituiti come società cooperative aventi la base sociale formata in misura non inferiore al settanta
per cento da cooperative sociali".
Art. 3 Iscrizione all'albo regionale.
1. I requisiti per l'iscrizione all'albo, le modalità di presentazione della domanda, la documentazione da
allegare ed il procedimento di iscrizione sono stabiliti con provvedimento di Giunta Regionale, sentite le
competenti Commissioni consiliari.
2. L'iscrizione all'albo è disposta con decreto del Presidente della Giunta 3. Il provvedimento di iscrizione è
notificato al richiedente, al Comune ove ha sede legale la cooperativa, all'U.S.S.L. di competenza, alla
Prefettura, all'Ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione, agli Enti previdenziali ed
assistenziali ed è pubblicato per estratto sul B.U.R.
4. Le cooperative iscritte all'albo di cui all'articolo 2, sono iscritte di diritto negli elenchi di cui al comma 6,
articolo 29 della legge regionale 23 gennaio 1984, n. 8.
Art. 4 Adempimenti successivi all'iscrizione.
1. Le cooperative sociali ed i consorzi iscritti all'albo regionale di cui all'articolo 2 della legge, comunicano
alla Regione, entro 60 giorni dal verificarsi dell'evento:
a) la messa in liquidazione o lo scioglimento della società;
b) le variazioni di Statuto;
c) le variazioni della compagine sociale, che comportino l'alterazione dei rapporti tra soci volontari e soci
ordinari, rispetto alle previsioni dell'articolo 2, comma 2, della legge n. 381 del 1991 (8) o, per i consorzi, il
venir meno del requisito di cui all'articolo 8 della legge n. 381 del 1991 (9);
d) nel caso di cooperative iscritte alla sezione B, il venir meno del requisito, prescritto all'articolo 4, comma
2, della legge n. 381 del 1991 (10), concernente i lavoratori svantaggiati.
2. Entro il 31 luglio di ogni anno, le cooperative sociali ed i consorzi iscritti all'albo trasmettono alla
Regione:
a) la dichiarazione degli Enti previdenziali attestante la regolarità dei versamenti relativa ai soci lavoratori ed
ai lavoratori dipendenti;
b) copia del bilancio dell'esercizio finanziario precedente e relative relazioni, controfirmate dai Presidenti del
Consiglio di amministrazione e del Collegio sindacale;
c) una nota informativa relativa all'attività svolta ed alla composizione o eventuale variazione della base
sociale.
3. Gli uffici preposti alla tenuta dell'albo possono chiedere in qualunque momento informazioni e
precisazioni aggiuntive.
(8) Legge 8 novembre 1991, n. 381, art. 2: " Soci volontari. - 1. Oltre ai soci previsti dalla normativa vigente,
gli statuti delle cooperative sociali possono prevedere la presenza di soci volontari che prestino la loro
attività gratuitamente. 2. I soci volontari sono iscritti in un'apposita sezione del libro dei soci. Il loro numero
non può superare la metà del numero complessivo dei soci. 3. Ai soci volontari non si applicano i contratti
collettivi e le norme di legge in materia di lavoro subordinato ed autonomo, ad eccezione delle norme in
materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. Il Ministro del lavoro e
della previdenza sociale, con proprio decreto, determina l'importo della retribuzione da assumere a base del
calcolo dei premi e delle prestazioni relative. 4. Ai soci volontari può essere corrisposto soltanto il rimborso
delle spese effettivamente sostenute e documentate, sulla base di parametri stabiliti dalla cooperativa sociale
per la totalità dei soci. 5. Nella gestione dei servizi di cui all'articolo 1, comma 1, lettera a), da effettuarsi in
applicazione dei contratti stipulati con amministrazioni pubbliche, le prestazioni dei soci volontari possono
essere utilizzate in misura complementare e non sostitutiva rispetto ai parametri di impiego di operatori
professionali previsti dalle disposizioni vigenti. Le prestazioni dei soci volontari non concorrono alla
determinazione dei costi di servizio, fatta eccezione per gli oneri connessi all'applicazione dei commi 3 e 4".
(9) Legge 8 novembre 1991, n. 381, art. 8: "Le disposizioni di cui alla presente legge si applicano ai consorzi
costituiti come società cooperative aventi la base sociale formata in misura non inferiore al settanta per cento
da cooperative sociali".
(10) Legge 8 novembre 1991, n. 381, art. 4: "Persone svantaggiate. - 1. Nelle cooperative che svolgono le
attività di cui all'articolo 1, comma 1, lettera b), si considerano persone svantaggiate gli invalidi fisici,
psichici e sensoriali, gli ex degenti di istituti psichiatrici, i soggetti in trattamento psichiatrico, i
tossicodipendenti, gli alcolisti, i minori in età lavorativa in situazioni di difficoltà familiare, i condannati
ammessi alle misure alternative alla detenzione previste dagli articoli 47, 47-bis, 47-ter e 48 della legge 26
luglio 1975, n. 354, come modificati dalla legge 10 ottobre 1986, n. 663. Si considerano inoltre persone
svantaggiate i soggetti indicati con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro
del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro della sanità, con il Ministro dell'interno e
con il Ministro per gli affari sociali, sentita la commissione centrale per le cooperative istituita dall'articolo
18 del citato decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 14 dicembre 1947, n. 1577, e successive
modificazioni 2. Le persone svantaggiate di cui al comma 1 devono costituire almeno il trenta per cento dei
lavoratori della cooperativa e, con il loro stato soggettivo, essere socie della cooperativa stessa. La
condizione di persona svantaggiata deve risultare da documentazione proveniente dalla pubblica
amministrazione, fatto salvo il diritto alla riservatezza. 3. Le aliquote complessive della contribuzione per
l'assicurazione obbligatoria previdenziale ed assistenziale dovute dalle cooperative sociali, relativamente alla
retribuzione corrisposta alle persone svantaggiate di cui al presente articolo, sono ridotte a zero".
Art. 5 Revoca dell'iscrizione all'albo.
1. La cancellazione è disposta con decreto del Presidente della Giunta Regionale:
a) quando siano venuti meno i requisiti per l'iscrizione;
b) in caso di inadempienza relativamente agli obblighi di cui all'articolo 4 e qualora sia rimasta senza esito
apposita diffida a provvedere nel termine di 30 giorni;
c) qualora la cooperativa o il consorzio siano stati sciolti o risultino inattivi da più di 24 mesi o a seguito
delle risultanze delle ispezioni effettuate ai sensi del decreto legislativo C.P.S. 14 dicembre 1947, n. 1577
(11), e successive modificazioni, o comunque non siano più in grado di continuare ad esercitare la loro
attività;
d) quando non sia stata effettuata, entro l'anno, per cause dipendenti dalla cooperativa, l'ispezione ordinaria
di cui al comma 3 dell'articolo 3 della legge n. 381 del 1991 (12).
2. Si procede, altresì, alla cancellazione dall'albo, qualora il numero delle persone svantaggiate scenda al di
sotto del 30% dei lavoratori complessivamente occupati o il numero dei soci volontari, previsti all'articolo 2
della legge n. 381 del 1991 (13) superi il 50% dei soci, a meno che la compagine sociale non venga
riequilibrata entro sei mesi dal verificarsi dell'irregolarità. Analoga procedura si segue per i consorzi nei
quali si sia verificata la variazione della compagine sociale prescritta per legge.
3. Il provvedimento di cancellazione è comunicato, a mezzo di raccomandata con avviso di ricevimento, alla
cooperativa o consorzio nonché agli altri Enti individuati al comma 3 dell'articolo 3 della legge ed è
pubblicato per estratto sul B.U.R.
(11) D.Lgs. C.P.S. 14 dicembre 1947, n. 1577 (G.U. 22 gennaio 1948, n. 17): «Provvedimenti per la
cooperazione».
(12) Legge 8 novembre 1991, n. 381, art. 3, comma 3: "Per le cooperative sociali le ispezioni ordinarie
previste dall'articolo 2 del citato decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 14 dicembre 1947, n.
1577, debbono aver luogo almeno una volta all'anno".
(13) Legge 21 dicembre 1978, n. 845 (G.U. 30 dicembre 1978, n. 362) «Legge quadro in materia di
formazione professionale».
Art. 6 Effetti della cancellazione.
1. Qualora una cooperativa o un consorzio siano stati cancellati dall'albo di cui all'articolo 2 le convenzioni
in essere sono automaticamente risolte salvo la facoltà, da parte dell'Amministrazione interessata, con
provvedimento motivato, di proseguire il rapporto fino alla scadenza naturale.
2. La cancellazione dall'albo comporta, altresì, la revoca dei benefici previsti dalla presente legge.
3. Una cooperativa cancellata dall'albo regionale non potrà presentare domanda per essere nuovamente
iscritta, se non trascorso un anno dalla cancellazione.
TITOLO II Raccordo con le attività sociali, assistenziali, sanitarie, educative, di formazione professionale
con le politiche attive del lavoro
Art. 7
Raccordo con le attività sociali, assistenziali, sanitarie ed educative.
1. Nell'ambito degli atti di programmazione delle attività sociali, assistenziali, sanitarie ed educative, la
Regione prevede le modalità di specifico apporto della cooperazione sociale e individua i settori di intervento
nei quali le viene riconosciuto un ruolo particolare in forza delle caratteristiche di finalizzazione all'interesse
pubblico, di imprenditorialità e democrazia che la caratterizzano.
Art. 8 Raccordo con le attività di formazione professionale.
1. Nell'ambito degli atti di programmazione, in materia di formazione professionale, la Regione prevede
strumenti volti a favorire:
a) la realizzazione di uno stretto raccordo tra le strutture formative del sistema regionale e le cooperative
sociali, concernente la formazione di base, la riqualificazione e l'aggiornamento degli operatori anche con
riferimento alle professionalità impegnate nell'ambito delle attività di inserimento lavorativo di soggetti
svantaggiati;
b) lo sviluppo, attraverso le cooperative sociali, di specifiche iniziative formative volte all'inserimento
lavorativo di persone svantaggiate, privilegiando le attività finanziabili mediante ricorso al Fondo Sociale
Europeo e ad altre provvidenze comunitarie;
c) autonome iniziative delle cooperative sociali finalizzate all'aggiornamento professionale del personale ed
alla qualificazione manageriale degli amministratori, attraverso adeguati riconoscimenti e supporti, in
particolare alle attività formative svolte in forma associata fra le cooperative sociali medesime. Tali
interventi si collocano nell'ambito delle iniziative di formazione continua, promosse dalla Regione e/o, in
quanto compatibili, nei programmi nazionali e comunitari in materia.
Art. 9 Raccordo con le politiche attive del lavoro.
1. Nell'ambito delle normative vigenti, la Regione riconosce alle cooperative sociali un ruolo privilegiato
nell'attuazione delle politiche attive del lavoro, in particolare per l'inserimento e l'integrazione lavorativa
delle persone svantaggiate e delle fasce deboli della popolazione.
TITOLO III Convenzioni tra Cooperative sociali, Consorzi ed Enti pubblici
Art. 10
Convenzioni.
1. Per la disciplina dei rapporti fra gli Enti pubblici e le cooperative sociali, la Regione, entro sei mesi
dall'entrata in vigore della presente legge, adotta, con provvedimento di Giunta Regionale, convenzioni tipo,
rispettivamente per:
a) la gestione di servizi socio sanitari, socio assistenziali e socio educativi;
b) la fornitura di beni e servizi di cui all'articolo 5 della legge n. 381 del 1991.
2. Con lo stesso provvedimento sono, altresì, stabiliti i criteri per la determinazione dei corrispettivi.
3. L'ambito di riferimento, per l'identificazione dei servizi sociali, è definito in relazione alla normativa
nazionale e regionale di settore.
4. Per gestione di servizi, di cui al comma 1, lettera a), è da intendersi l'organizzazione complessiva e
coordinata dei diversi fattori, materiali ed immateriali, con l'esclusione delle mere prestazioni di
manodopera.
5. Al fine di garantire, attraverso la continuità, un adeguato livello qualitativo dei servizi ed un efficace
processo di programmazione degli interventi, le convenzioni relative a servizi, caratterizzati da prestazioni
ricorrenti, hanno durata pluriennale, con verifiche annuali.
6. Le convenzioni in atto alla data di entrata in vigore della legge devono essere uniformate agli schemi di
convenzione tipo, entro un anno dalla data della loro approvazione da parte della Giunta Regionale.
Art. 11 Convenzioni tipo con cooperative iscritte alla sezione A di cui all'articolo 2.
1. Le convenzioni tipo, per la gestione di servizi da parte di cooperative iscritte alla sezione A di cui
all'articolo 2 dell'albo, prevedono:
a) l'attività convenzionale e le modalità di svolgimento della stessa;
b) l'indicazione della durata della convenzione, nonché il regime delle proroghe;
c) il regime delle reciproche inadempienze, le modalità e i tempi di disdetta e le fattispecie risolutive;
d) il numero degli addetti, con l'indicazione dei relativi requisiti di professionalità, e le caratteristiche
professionali del responsabile tecnico dell'attività;
e) l'eventuale partecipazione ad attività formative e relative modalità;
f) il ruolo dei volontari impiegati nel servizio, in relazione a quanto stabilito all'articolo 2 della legge n. 381
del 1991 (15);
g) l'indicazione delle norme contrattuali applicate alla generalità dei lavoratori;
h) la determinazione dei corrispettivi e le modalità di pagamento;
i) le modalità di verifica e vigilanza con particolare riferimento alla qualità delle prestazioni ed alla tutela
degli utenti;
l) l'obbligo e le modalità assicurative e previdenziali del personale;
m) le modalità di raccordo con gli uffici competenti;
n) nel caso di gestione di attività a ciclo diurno e/o residenziale, le caratteristiche strutturali e funzionali dei
presidi e la loro conformità alla vigente normativa.
(15) Legge 8 novembre 1991, n. 381, art. 2: " Soci volontari. - 1. Oltre ai soci previsti dalla normativa
vigente, gli statuti delle cooperative sociali possono prevedere la presenza di soci volontari che prestino la
loro attività gratuitamente. 2. I soci volontari sono iscritti in un'apposita sezione del libro dei soci. Il loro
numero non può superare la metà del numero complessivo dei soci. 3. Ai soci volontari non si applicano i
contratti collettivi e le norme di legge in materia di lavoro subordinato ed autonomo, ad eccezione delle
norme in materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. Il Ministro del
lavoro e della previdenza sociale, con proprio decreto, determina l'importo della retribuzione da assumere a
base del calcolo dei premi e delle prestazioni relative. 4. Ai soci volontari può essere corrisposto soltanto il
rimborso delle spese effettivamente sostenute e documentate, sulla base di parametri stabiliti dalla
cooperativa sociale per la totalità dei soci. 5. Nella gestione dei servizi di cui all'articolo 1, comma 1, lettera
a), da effettuarsi in applicazione dei contratti stipulati con amministrazioni pubbliche, le prestazioni dei soci
volontari possono essere utilizzate in misura complementare e non sostitutiva rispetto ai parametri di
impiego di operatori professionali previsti dalle disposizioni vigenti. Le prestazioni dei soci volontari non
concorrono alla determinazione dei costi di servizio, fatta eccezione per gli oneri connessi all'applicazione
dei commi 3 e 4".
Art. 12 Criteri di aggiudicazione dei servizi sociali.
1. Considerata la natura specifica delle prestazioni oggetto delle convenzioni di cui all'articolo 11, nelle gare
per l'affidamento di servizi socio-assistenziali, socio-sanitari, socio-educativi, si procede all'aggiudicazione
secondo il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, valutabile in base ad elementi diversi quali
il prezzo, la qualità del progetto, l'efficacia ai fini del raggiungimento degli obiettivi ed altri eventuali criteri
individuati in relazione al particolare servizio da affidarsi. È, in ogni caso, da escludere l'aggiudicazione
unicamente secondo il criterio del prezzo più basso.
Art. 13 Convenzioni con cooperative iscritte alla sezione B dell'albo di cui all'articolo 2.
1. Per il perseguimento delle finalità indicate all'articolo 5 della legge n. 381 del 1991, gli Enti pubblici
prevedono la destinazione di una quota degli stanziamenti, per forniture di beni e servizi, per le convenzioni
di cui al comma 1 dell'articolo 5.
2. Le convenzioni tipo, relative alla fornitura di beni e servizi diversi da quelli socio sanitari ed educativi,
oltre a quanto previsto all'articolo 11, indicano il numero di persone svantaggiate impegnate nella fornitura
ed il relativo monte ore di lavoro mensile.
3. Al fine di poter valutare che l'attività convenzionanda sia effettivamente finalizzata alla creazione di
opportunità di lavoro per le persone svantaggiate, i criteri per determinarne il numero sono stabiliti, sia in
relazione all'entità e la natura della fornitura, sia al grado di produttività e al fabbisogno formativo e di
supporto. Per ogni persona svantaggiata è adottato uno specifico progetto.
4. Oltre a quanto stabilito ai commi precedenti, per la scelta fra più offerte provenienti da cooperative sociali,
fatti salvi i principi generali di economicità, efficienza ed efficacia dell'azione amministrativa, gli Enti
pubblici appaltanti valutano secondo i seguenti criteri di priorità:
a) la continuità del programma terapeutico e di inserimento sociale;
b) la creazione di maggiori e stabili opportunità di lavoro per le persone svantaggiate;
c) il legame col territorio, sia delle persone svantaggiate, sia relativamente all'ambito di intervento della
cooperativa.
5. Nel provvedimento con cui si approvano e stipulano le convenzioni di cui al presente articolo si dà atto del
rispetto dei criteri di priorità indicati ai commi precedenti.
6. I consorzi, iscritti alla sezione C dell'albo regionale, che abbiano stipulato una convenzione, ai sensi del
presente articolo, affidano l'esecuzione della relativa fornitura, esclusivamente, a cooperative iscritte alla
sezione B.
TITOLO IV Interventi per la promozione, il sostegno e lo sviluppo della Cooperazione sociale
Art. 14
Contributi per la realizzazione di progetti di sviluppo
1. La Regione può concedere contributi per la realizzazione di progetti di sviluppo ed attività alle cooperative
iscritte alla sezione B dell'albo regionale.
2. Le cooperative, per essere ammesse al contributo, previsto al comma 1, devono presentare un progetto di
sviluppo biennale che indichi, tra l'altro:
a) gli obiettivi sociali, produttivi e occupazionali, che non possono essere inferiori all'inserimento a tempo
pieno al lavoro, di almeno una persona svantaggiata, così come definita all'articolo 4 della legge n. 381 del
1991 ;
b) le ipotesi di fattibilità sulla base della reale situazione presente;
c) un piano finanziario che dimostri l'idoneità all'attuazione del progetto proposto, assicurando stabilità
economica e la corretta rimunerazione del lavoro.
3. Per l'attuazione degli investimenti previsti dai progetti di sviluppo, la Regione può concedere un
contributo in conto capitale, pari all'80% della spesa riconosciuta ammissibile, in relazione alla realizzazione
dei seguenti investimenti: impianti, macchinari, attrezzature ed automezzi. Detto contributo non può superare
l'importo massimo di lire 50.000.000.
(18) Legge 8 novembre 1991, n. 381, art. 4: "Persone svantaggiate. - 1. Nelle cooperative che svolgono le
attività di cui all'articolo 1, comma 1, lettera b), si considerano persone svantaggiate gli invalidi fisici,
psichici e sensoriali, gli ex degenti di istituti psichiatrici, i soggetti in trattamento psichiatrico, i
tossicodipendenti, gli alcolisti, i minori in età lavorativa in situazioni di difficoltà familiare, i condannati
ammessi alle misure alternative alla detenzione previste dagli articoli 47, 47-bis, 47-ter e 48 della legge 26
luglio 1975, n. 354, come modificati dalla legge 10 ottobre 1986, n. 663. Si considerano inoltre persone
svantaggiate i soggetti indicati con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro
del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro della sanità, con il Ministro dell'interno e
con il Ministro per gli affari sociali, sentita la commissione centrale per le cooperative istituita dall'articolo
18 del citato decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 14 dicembre 1947, n.
1577, e successive modificazioni. 2. Le persone svantaggiate di cui al comma 1 devono costituire almeno il
trenta per cento dei lavoratori della cooperativa e, con il loro stato soggettivo, essere socie della cooperativa
stessa. La condizione di persona svantaggiata deve risultare da documentazione proveniente dalla pubblica
amministrazione, fatto salvo il diritto alla riservatezza. 3. Le aliquote complessive della contribuzione per
l'assicurazione obbligatoria previdenziale ed assistenziale dovute dalle cooperative sociali, relativamente alla
retribuzione corrisposta alle persone svantaggiate di cui al presente articolo, sono ridotte a zero".
Art. 15 Fondo di garanzia
1. Al fine di favorire l'accesso al credito a breve e medio termine da parte delle cooperative sociali e dei
consorzi, la Giunta Regionale è autorizzata a stipulare con Finpiemonte S.p.A. una convenzione avente
l'obiettivo di incrementare il fondo di garanzia.
2. Le modalità e le condizioni di partecipazione della Regione sono quelle previste dalla deliberazione del
Consiglio Regionale 42-12843 del 13 novembre 1990.
Art. 16 Finanziamenti a tasso agevolato
1. La Regione può concedere alle cooperative sociali un finanziamento a tasso agevolato, in concorso con gli
istituti di credito, che copra fino al cento per cento delle spese riconosciute ammissibili, con una
partecipazione massima regionale pari al settanta per cento delle spese ammesse e comunque per un importo
non superiore a lire centocinquanta milioni.
2. Gli investimenti ammessi a finanziamento sono quelli relativi ad impianti, macchinari, attrezzature,
automezzi, licenze, opere murarie ed arredi inerenti l'attività di impresa.
3. Gli investimenti di cui al comma 2 devono prevedere un incremento occupazionale di almeno una unità
lavorativa, limitatamente a quelle cooperative che riceveranno un finanziamento annuo superiore ai
cinquanta milioni, secondo i criteri che saranno definiti dalla deliberazione della Giunta regionale di cui
all'art. 21 .
Art. 17 Costituzione di un fondo di rotazione
1. Al fine di consentire la concessione di finanziamenti a tasso agevolato, per la realizzazione degli
investimenti di cui all'articolo 16, la Giunta regionale stipula una convenzione avente l'obiettivo di affidare
alla Finpiemonte S.p.A. la gestione di un fondo di rotazione
Art. 18 Servizi di assistenza e spese di avviamento.
1. Per le spese di avviamento connesse alla realizzazione del progetto di sviluppo, di cui all'articolo 14, da
sostenere o già sostenute nel primo anno di esercizio dalle cooperative sociali di nuova costituzione, la
Regione può, inoltre, concedere un contributo non superiore al cinquanta per cento della spesa riconosciuta
ammissibile e per un importo non superiore a lire venti milioni.
2. Per spese di avviamento, di cui al comma 1, sono da intendersi: le spese di costituzione della cooperativa,
l'acquisto di materie prime e semilavorati, il canone di locazione per gli immobili destinati alle attività
produttive non superiore a mesi dodici.
3. In aggiunta ai contributi di cui all'articolo 14, ai finanziamenti a tasso agevolato di cui all'articolo 16 ed ai
contributi di cui al comma 1, la Giunta regionale può concedere, secondo le modalità di cui ai commi 4 e 5,
contributi in relazione alle spese sostenute per l'acquisizione di servizi di assistenza tecnico gestionale.
4. Il contributo, di cui al comma 3, è concesso fino ad un massimo del trenta per cento delle spese
effettivamente sostenute e documentate e per un importo non superiore a lire dieci milioni.
5. Per servizi di assistenza tecnico gestionale sono da intendersi: l'analisi di mercato e l'accesso
all'innovazione tecnologica nonché gli investimenti di orientamento e di supporto alla gestione aziendale
necessari all'avviamento delle iniziative produttive
Art. 19 Interventi regionali per l'inserimento e la continuità lavorativa delle persone svantaggiate
1. Al fine di favorire la continuità lavorativa dei cittadini cui sia venuta meno la situazione di svantaggio,
riconosciuta ai sensi della legge n. 381 del 1991, la Regione interviene, per un massimo di due anni, con un
contributo, corrispondente al 50% degli oneri previdenziali assistenziali versati per detti lavoratori, da
erogarsi alle cooperative o datori di lavoro pubblici o privati che li abbiano assunti o li assumano con
rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
2. Sono, altresì, ammesse a fruire dei benefici di cui al comma 1, per un massimo di due anni, le cooperative
sociali che abbiano assunto con rapporto di lavoro a tempo indeterminato, almeno sei mesi prima della data
di entrata in vigore della legge, come soci lavoratori o come lavoratori dipendenti, persone considerate
svantaggiate ai sensi dell'articolo 2 della legge regionale 16 agosto 1989, n. 48, e che non rientrino nelle
categorie previste dall'articolo 4 della legge n. 381 del 1991
2-bis. Sono inoltre ammessi a fruire dei benefici di cui al comma 1 le cooperative sociali che abbiano assunto
con rapporto di lavoro a tempo indeterminato come soci lavoratori o come lavoratori dipendenti:
a) detenuti che prestino la loro opera all'interno degli istituti penitenziari;
b) detenuti ammessi al lavoro all'esterno come previsto dall'articolo 21 della legge 26 luglio 1975, n. 354
e successive modifiche ed integrazioni .
2-ter. Il contributo di cui al comma 2-bis può essere concesso, per un massimo di due anni, a partire
dall'instaurarsi di regolare e documentato rapporto di lavoro a tempo indeterminato
Art. 20 Divieto di cumulo dei benefici.
1. I contributi ed i finanziamenti di cui alla presente legge non sono cumulabili con altre agevolazioni
finanziarie della Regione per le medesime iniziative.
1-bis. I finanziamenti a tasso agevolato di cui all'articolo 16 non sono cumulabili con i contributi di cui
all'articolo 14 né con le spese di avviamento riconosciute all'articolo 18, comma 1, per tutta la durata del
progetto di sviluppo (30).
(30) Comma aggiunto dall'art. 5 della L.R. 22 ottobre 1996, n. 76.
Art. 21 Delibera per l'esame delle domande e la concessione dei contributi.
1. Entro sei mesi dall'entrata in vigore della legge la Giunta Regionale, sentita la Commissione consiliare
competente e la conferenza di cui all'articolo 22, approva una delibera intesa a definire le modalità
applicative in ordine ai contributi definiti al presente titolo IV, stabilendo in particolare:
a) le modalità per la presentazione delle domande, la documentazione da allegare alle stesse, le indicazioni
che devono essere contenute nei progetti di sviluppo;
b) le caratteristiche degli incrementi occupazionali da effettuarsi da parte delle cooperative al fine
dell'ammissione ai benefici della presente legge;
b-bis) i criteri per l'utilizzo e l'accesso ai finanziamenti di cui all'articolo 16 nonché il tasso di interesse da
applicarsi ai fondi regionali (31);
c) eventuali priorità per l'accoglimento delle domande.
2. Con la procedura di cui al comma 1, la Giunta Regionale può successivamente, entro il 31 gennaio di ogni
anno, apportare modifiche alla delibera.
(31) Lettera aggiunta dall'art. 6 della L.R. 22 ottobre 1996, n. 76.
TITOLO V
Art. 22
Conferenza regionale della cooperazione sociale.
1. L'Assessore regionale all'Assistenza convoca periodicamente, almeno una volta all'anno, conferenze cui
sono invitati:
a) rappresentanti con comprovata esperienza nel settore sociale, designati dalle associazioni regionali delle
cooperative più rappresentative, che risultino aderenti alle associazioni nazionali riconosciute;
b) rappresentanti designati dalle organizzazioni sindacali;
c) rappresentanti delle associazioni degli Enti locali;
d) il direttore o un suo delegato dell'ufficio regionale del lavoro e della massima occupazione;
d-bis) un rappresentante designato da ciascuna Amministrazione provinciale (32);
2. Alla conferenza possono essere invitati altri rappresentanti o esperti, in relazione alle problematiche
affrontate ed allo svolgimento dei lavori.
3. La conferenza esamina le questioni attinenti la cooperazione sociale con particolare riferimento:
a) ai piani e programmi di settore;
b) all'andamento delle convenzioni;
c) agli specifici interventi a sostegno previsti dalla legge.
4. La conferenza formula anche proposte alla Giunta Regionale in materia di cooperazione sociale.
(32) Lettera aggiunta dall'art. 118, comma 1, L.R. 26 aprile 2000, n. 44, aggiunto dall'art. 10, L.R. 15 marzo
2001, n. 5.
Art. 23 Pareri ai sensi del comma 5 dell'articolo 11 del decreto legislativo C.P.S. 14 dicembre 1947, n. 1577.
1. Ai fini della cancellazione della cooperativa dal registro prefettizio, è il Presidente della Giunta Regionale
l'organo competente ad esprimere il parere di cui all'ultimo comma dell'articolo 11 del decreto legislativo
C.P.S. 14 dicembre 1947, n. 1577, aggiunto ai sensi della lettera b) dell'articolo 6 della legge n. 381 del 1991
(33).
(33) D.Lgs. C.P.S. 14 dicembre 1947, n. 1577, art. 11, ultimo comma: "Per le cooperative sociali i
provvedimenti di cui al secondo comma sono disposti previo parere dell'organo competente in materia di
cooperazione della regione nel cui territorio la cooperativa ha sede legale".
Art. 24 Norma transitoria.
1. Per sei mesi dall'entrata in vigore della legge, l'iscrizione al registro regionale delle cooperative sociali,
istituito ai sensi dell'articolo 5 della legge regionale n. 48 del 1989, produce gli stessi effetti di quelli
derivanti dall'iscrizione all'albo regionale di cui all'articolo 2.
2. Entro novanta giorni dall'entrata in vigore della legge le cooperative iscritte al registro regionale di cui
all'articolo 5 della citata legge regionale n. 48 del 1989, inoltrano istanza al Presidente della Giunta
Regionale, per essere iscritte all'albo regionale. Nella domanda, corredata dalla documentazione attestante il
possesso dei requisiti per l'iscrizione, deve essere indicata la sezione dell'albo alla quale è richiesta
l'iscrizione.
3. Il Presidente della Giunta Regionale, entro 120 giorni dal ricevimento della domanda, completa di tutta la
documentazione, accertato il possesso dei requisiti, decreta l'iscrizione della cooperativa all'albo regionale.
Nel caso non sussistano i requisiti, entro lo stesso termine, adotta provvedimento motivato di diniego.
4. I provvedimenti di cui al comma 3 sono notificati ai medesimi destinatari indicati al comma 3 dell'articolo
3.
Art. 25 Norma finanziaria.
1. Ai fini di cui alla presente legge vengono istituiti appositi capitoli con la dotazione che sarà definita in
sede di variazione del bilancio dell'anno 1994.
2. Per gli anni successivi la copertura finanziaria degli oneri derivanti dall'applicazione della legge è stabilita
dai relativi bilanci di previsione.
Art. 26 Abrogazione norme in contrasto.
1. È abrogata la legge regionale n. 48 del 1989 «Norme in materia di cooperazione sociale».
De Agostini Professionale - LEGGI REGIONALI D'ITALIA
Aggiornamento al BU 28/05/2002
Regione: Piemonte
39. VOLONTARIATO
L.R. 29 agosto 1994, n. 38
Valorizzazione e promozione del volontariato.
Art. 1 Finalità.
1. La Regione Piemonte riconosce il valore sociale ed il ruolo dell'attività di volontariato volta alla
realizzazione di finalità di natura sociale, civile e culturale, salvaguardandone l'autonomia e l'apporto
originale. Promuove le condizioni atte ad agevolare lo sviluppo delle organizzazioni di volontariato, quali
espressioni di solidarietà e pluralismo, di partecipazione ed impegno civile.
Art. 2 Organizzazioni e attività di volontariato.
1. Si considerano organizzazioni di volontariato gli organismi liberamente costituiti e privi di ogni scopo di
lucro anche indiretto, i quali, avvalendosi in modo prevalente e determinante dell'attività personale,
spontanea, gratuita dei propri aderenti, perseguono esclusivamente fini di solidarietà.
2. Le organizzazioni di cui all'articolo 2 esplicano le loro attività mediante strutture proprie, o, nelle forme e
nei modi previsti dalla legge, nell'ambito di strutture pubbliche, o di strutture con queste convenzionate.
3. L'accesso alle strutture pubbliche o convenzionate è subordinato alla predisposizione di accordi, volti a
disciplinare le modalità di presenza e comportamento del volontario, nonché le modalità del rapporto tra
volontari e operatori pubblici, e finalizzati a realizzare una proficua collaborazione nell'ambito delle
specifiche competenze.
4. Le organizzazioni di volontariato possono assumere lavoratori dipendenti o avvalersi di prestazioni di
lavoro autonomo soltanto per assicurare il regolare esplicarsi del loro funzionamento o per una necessaria
qualificazione o specializzazione della loro attività.
5. Le organizzazioni di volontariato devono assicurare i propri aderenti, che prestano attività di volontariato,
contro gli infortuni e le malattie connessi allo svolgimento dell'attività stessa, nonché per la responsabilità
civile verso i terzi.
6. L'attività del volontario non può essere in alcun modo retribuita neppure dal beneficiario. È ammissibile
unicamente il rimborso ai volontari delle spese effettivamente sostenute per l'attività prestata entro i limiti e
secondo i criteri preventivamente stabiliti dalle organizzazioni stesse.
7. La qualità di volontario è incompatibile con qualsiasi forma di lavoro subordinato o autonomo e con ogni
altro rapporto di contenuto patrimoniale con l'organizzazione di cui il volontario stesso fa parte.
Art. 3 Registro delle organizzazioni di volontariato.
1. È istituito, ai sensi dell'articolo 6 della legge 11 agosto 1991, n. 266 (2), il registro regionale delle
organizzazioni di volontariato.
2. L'iscrizione nel registro è aperta alle organizzazioni di volontariato che, perseguendo le finalità di natura
civile, sociale e culturale di cui all'articolo 1 della legge, operano nelle seguenti aree:
a) socio assistenziale;
b) sanitaria;
c) impegno civile;
d) protezione civile;
e) tutela e promozione di diritti;
f) tutela e valorizzazione dell'ambiente;
g) promozione della cultura ed educazione permanente;
h) tutela e valorizzazione del patrimonio storico ed artistico;
i) educazione all'attività sportiva.
3. Il registro delle organizzazioni di volontariato è tenuto presso la Giunta Regionale, la quale, ne prevede
l'articolazione in sezioni. Gli organismi di collegamento e di coordinamento delle organizzazioni di
volontariato operanti in ambito regionale sono iscritti in apposita sezione. La Giunta Regionale può inoltre
individuare ulteriori aree di operatività delle organizzazioni di volontariato.
(2) Legge 11 agosto 1991, n. 266, art. 6:
"Registri delle organizzazioni di volontariato istituiti dalle regioni e dalle province autonome. - 1. Le Regioni
e le province autonome disciplinano l'istituzione e la tenuta dei registri generali delle organizzazioni di
volontariato. 2. L'iscrizione ai registri è condizione necessaria per accedere ai contributi pubblici nonché per
stipulare le convenzioni e per beneficiare delle agevolazioni fiscali, secondo le disposizioni di cui,
rispettivamente, agli articoli 7 e 8. 3. Hanno diritto ad essere iscritte nei registri le organizzazioni di
volontariato che abbiano i requisiti di cui all'articolo 3 e che alleghino alla richiesta copia dell'atto costitutivo
e dello statuto o degli accordi degli aderenti. 4. Le regioni e le province autonome determinano i criteri per la
revisione periodica dei registri, al fine di verificare il permanere dei requisiti e l'effettivo svolgimento
dell'attività di volontariato da parte delle organizzazioni iscritte. Le regioni e le province autonome
dispongono la cancellazione dal registro con provvedimento motivato. 5. Contro il provvedimento di diniego
dell'iscrizione o contro il provvedimento di cancellazione è ammesso ricorso, nel termine di trenta giorni
dalla comunicazione, al tribunale amministrativo regionale, il quale decide in camera di consiglio, entro
trenta giorni dalla scadenza del termine per il deposito del ricorso, uditi i difensori delle parti che ne abbiano
fatto richiesta. La decisione del tribunale è appellabile, entro trenta giorni dalla notifica della stessa, al
Consiglio di Stato, il quale decide con le medesime modalità e negli stessi termini. 6. Le regioni e le
province autonome inviano ogni anno copia aggiornata dei registri all'Osservatorio nazionale per il
volontariato, previsto dall'articolo 12. 7. Le organizzazioni iscritte nei registri sono tenute alla conservazione
della documentazione relativa alle entrate di cui all'articolo 5, comma 1, con l'indicazione nominativa dei
soggetti eroganti".
Art. 4 Iscrizione nel registro.
1. Sono iscritte nel registro regionale le organizzazioni costituite ai sensi dell'articolo 3 della legge n. 266 del
1991 (3), aventi sede legale o articolazioni locali autonome nella Regione Piemonte, qualunque sia la forma
giuridica da esse assunta, purché compatibile con il fine solidaristico.
2. Le organizzazioni di volontariato sono iscritte su richiesta del legale rappresentante. L'iscrizione è attuata
con decreto del Presidente della Giunta Regionale, adottato su proposta dell'Assessore competente per
materia.
3. L'iscrizione è disposta entro novanta giorni dalla data di ricevimento dell'istanza da parte dell'Assessorato
competente.
4. Il decreto di iscrizione, o di diniego di iscrizione, è pubblicato per estratto sul Bollettino Ufficiale della
Regione - B.U.R.
5. La Regione pubblica annualmente sul B.U.R. l'elenco delle organizzazioni di volontariato iscritte nel
registro e ne invia copia all'Osservatorio nazionale di cui all'articolo 12 della legge n. 266 del 1991 (4).
6. La Giunta Regionale, individua, con proprio provvedimento le procedure da adottarsi per l'iscrizione nel
registro.
7. L'iscrizione nel registro è condizione necessaria per accedere ai contributi pubblici, nonché per stipulare le
convenzioni e per beneficiare delle agevolazioni fiscali, in base alle disposizioni di cui rispettivamente agli
articoli 7 e 8 della legge n. 266 del 1991 (5).
(3) Legge 11 agosto 1991, n. 266, art. 3:
"Organizzazioni di volontariato. - 1. È considerato organizzazione di volontariato ogni organismo
liberamente costituito al fine di svolgere l'attività di cui all'articolo 2, che si avvalga in modo determinante e
prevalente delle prestazioni personali, volontarie e gratuite dei propri aderenti. 2. Le organizzazioni di
volontariato possono assumere la forma giuridica che ritengono più adeguata al perseguimento dei loro fini,
salvo il limite di compatibilità con lo scopo solidaristico. 3. Negli accordi degli aderenti, nell'atto costitutivo
o nello statuto, oltre a quanto disposto dal codice civile per le diverse forme giuridiche che l'organizzazione
assume, devono essere espressamente previsti l'assenza di fini di lucro, la democraticità della struttura,
l'elettività e la gratuità delle cariche associative nonché la gratuità delle prestazioni fornite dagli aderenti, i
criteri di ammissione e di esclusione di questi ultimi, i loro obblighi e diritti. Devono essere altresì stabiliti
l'obbligo di formazione del bilancio, dal quale devono risultare i beni, i contributi o i lasciti ricevuti, nonché
le modalità di approvazione dello stesso da parte dell'assemblea degli aderenti. 4.
Le organizzazioni di volontariato possono assumere lavoratori dipendenti o avvalersi di prestazioni di lavoro
autonomo esclusivamente nei limiti necessari al loro regolare funzionamento oppure occorrenti a qualificare
o specializzare l'attività da esse svolta. 5. Le organizzazioni svolgono le attività di volontariato mediante
strutture proprie o, nelle forme e nei modi previsti dalla legge, nell'ambito di strutture pubbliche o con queste
convenzionate".
(4) Legge 11 agosto 1991, n. 266, art. 12:
"Osservatorio nazionale per il volontariato. - 1. Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su
proposta del Ministro per gli affari sociali, è istituito l'Osservatorio nazionale per il volontariato, presieduto
dal Ministro per gli affari sociali o da un suo delegato e composto da dieci rappresentanti delle
organizzazioni e delle federazioni di volontariato operanti in almeno sei regioni, da due esperti e da tre
rappresentanti delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative. L'Osservatorio, che si avvale del
personale, dei mezzi e dei servizi messi a disposizione dal Segretariato generale della Presidenza del
Consiglio dei Ministri, ha i seguenti compiti: a) provvedere al censimento delle organizzazioni di
volontariato ed alla diffusione della conoscenza delle attività da esse svolte; b) promuovere ricerche e studi
in Italia e all'estero; c) fornire ogni utile elemento per la promozione e lo sviluppo del volontariato; d)
approvare progetti sperimentali elaborati, anche in collaborazione con gli enti locali, da organizzazioni di
volontariato iscritte nei registri di cui all'articolo 6 per far fronte ad emergenze sociali e per favorire
l'applicazione di metodologie di intervento particolarmente avanzate; e) offrire sostegno e consulenza per
progetti di informatizzazione e di banche-dati nei settori di competenza della presente legge; f) pubblicare un
rapporto biennale sull'andamento del fenomeno e sullo stato di attuazione delle normative nazionali e
regionali; g) sostenere, anche con la collaborazione delle regioni, iniziative di formazione ed aggiornamento
per la prestazione dei servizi; h) pubblicare un bollettino periodico di informazione e promuovere altre
iniziative finalizzate alla circolazione delle notizie attinenti l'attività di volontariato; i) promuovere, con
cadenza triennale, una Conferenza nazionale del volontariato, alla quale partecipano tutti i soggetti
istituzionali, i gruppi e gli operatori interessati . 2. E' istituito, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri
- Dipartimento per gli affari sociali, il Fondo per il volontariato, finalizzato a sostenere finanziariamente i
progetti di cui alla lettera d) del comma 1." (5) Legge 11 agosto 1991, n. 266, art. 7 e 8:
"7. Convenzioni. - 1. Lo Stato, le regioni, le province autonome, gli enti locali e gli altri enti pubblici
possono stipulare convenzioni con le organizzazioni di volontariato iscritte da almeno sei mesi nei registri di
cui all'articolo 6 e che dimostrino attitudine e capacità operativa. 2. Le convenzioni devono contenere
disposizioni dirette a garantire l'esistenza delle condizioni necessarie a svolgere con continuità le attività
oggetto della convenzione, nonché il rispetto dei diritti e della dignità degli utenti. Devono inoltre prevedere
forme di verifica delle prestazioni e di controllo della loro qualità nonché le modalità di rimborso delle spese.
3. La copertura assicurativa di cui all'articolo 4 è elemento essenziale della convenzione e gli oneri relativi
sono a carico dell'ente con il quale viene stipulata la convenzione medesima.
8. Agevolazioni fiscali. - 1. Gli atti costitutivi delle organizzazioni di volontariato di cui all'articolo 3,
costituite esclusivamente per fini di solidarietà, e quelli connessi allo svolgimento delle loro attività sono
esenti dall'imposta di bollo e dall'imposta di registro. 2. Le operazioni effettuate dalle organizzazioni di
volontariato di cui all'articolo 3, costituite esclusivamente per fini di solidarietà, non si considerano cessioni
di beni, né prestazioni di servizi ai fini dell'imposta sul valore aggiunto; le donazioni e le attribuzioni di
eredità o di legato sono esenti da ogni imposta a carico delle organizzazioni che perseguono esclusivamente i
fini suindicati. 3. e 4. I proventi derivanti da attività commerciali e produttive marginali non costituiscono
redditi imponibili ai fini dell'imposta sul reddito delle persone giuridiche (I.R.P.E.G.) e dell'imposta locale
sui redditi (I.L.O.R.), qualora sia documentato il loro totale impiego per i fini istituzionali
dell'organizzazione di volontariato. I criteri relativi al concetto di marginalità di cui al periodo precedente,
sono fissati dal Ministro delle finanze con proprio decreto, di concerto con il Ministro per gli affari sociali".
Art. 5 Revisione del registro.
1. La Giunta Regionale provvede alla revisione annuale del registro al fine di verificare il permanere dei
requisiti che hanno dato luogo all'iscrizione. Le organizzazioni iscritte nel registro sono pertanto tenute a
trasmettere alla Regione, entro il 31 luglio di ogni anno, una relazione dettagliata che illustri l'attività svolta,
nonché copia del bilancio.
2. La Giunta Regionale può richiedere sia al Comune nel cui territorio le organizzazioni di volontariato
hanno sede o svolgono la loro attività, sia ad altre pubbliche Amministrazioni un parere circa il permanere
delle condizioni alle quali è subordinata l'iscrizione.
3. Il venir meno dei requisiti di cui al comma 1 dell'articolo 5 e dell'effettivo svolgimento dell'attività di
volontariato comporta la cancellazione dell'organizzazione dal registro regionale. La cancellazione è disposta
con provvedimento motivato del Presidente della Giunta Regionale.
4. Il mancato adempimento, da parte delle organizzazioni di volontariato, agli obblighi di cui al comma 1
dell'articolo 5 è motivo di cancellazione dal registro, previa diffida.
5. La cancellazione dal registro è altresì disposta su richiesta delle organizzazioni di volontariato.
6. Le organizzazioni di volontariato iscritte nel registro devono comunicare alla Regione le variazioni dello
Statuto, dell'atto costitutivo o dell'accordo degli aderenti entro sessanta giorni dal prodursi dell'evento.
Art. 6 Partecipazione.
1. Le organizzazioni di volontariato iscritte nel registro partecipano alle fasi della programmazione pubblica
negli ambiti in cui le stesse operano.
2. La Regione e gli Enti locali informano e consultano le organizzazioni di volontariato su programmi e
progetti nelle materie attinenti ai settori di intervento delle stesse. Le organizzazioni di volontariato possono
proporre programmi ed iniziative.
Art. 7 Promozione del volontariato.
1. Il Consiglio Regionale indice, annualmente, «la giornata del volontariato».
2. La Giunta Regionale presenta al Consiglio Regionale, entro il 30 giugno di ogni anno, una relazione sullo
stato di attuazione della legge.
Art. 8 Formazione ed aggiornamento dei volontari.
1. Le organizzazioni di volontariato iscritte nel registro ai sensi dell'articolo 3 provvedono in modo
autonomo e diretto alla formazione e all'aggiornamento dei propri aderenti, attraverso specifici momenti di
studio, promuovendo, anche in forma associata, corsi di formazione e di aggiornamento.
2. Alle organizzazioni iscritte nel registro che predispongono attività formative o momenti di studio, la
Regione e gli enti locali forniscono, su richiesta, materiale informativo e didattico ed offrono collaborazione
tecnica.
3. La Regione, gli Enti locali e le Unità Socio-Sanitarie Locali, promuovono la partecipazione dei volontari
delle organizzazioni iscritte nel registro ai corsi di formazione e di aggiornamento già promossi nell'ambito
di specifici progetti secondo le modalità previste da leggi di settore.
Art. 9 Convenzioni.
1. La Regione, gli Enti locali e gli altri Enti pubblici possono stipulare convenzioni con le organizzazioni di
volontariato iscritte nel registro di cui all'articolo 3 da almeno sei mesi e operanti da almeno un anno.
Nelle convenzioni si devono individuare la tipologia dell'utenza, le prestazioni da erogare, le modalità di
erogazione.
2. Le convenzioni, oltre a quanto disposto dall'articolo 7 della legge n. 266 del 1991 (6), devono tra l'altro
prevedere:
a) il contenuto e le modalità dell'intervento dei volontari;
b) la durata del rapporto convenzionale;
c) il numero e, quando richiesto dalla natura dell'attività da svolgere, la qualificazione professionale degli
aderenti alla organizzazione stipulante;
d) il numero degli eventuali soggetti dipendenti o fornitori di prestazioni specializzate impegnati nel servizio
convenzionato e il tipo di rapporto intercorrente;
e) le modalità di coordinamento tra volontari e operatori dei servizi pubblici;
f) le modalità di rimborso degli oneri relativi alla copertura assicurativa e delle spese documentate sostenute
dall'organizzazione per lo svolgimento dell'attività convenzionata;
g) le modalità di verifica dell'attuazione della convenzione anche attraverso incontri periodici tra i
responsabili dei servizi pubblici e i responsabili operativi dell'organizzazione;
h) le modalità di risoluzione del rapporto.
3. Gli Enti pubblici inviano alla Regione copia della convenzione stipulata.
4. Con proprio provvedimento la Giunta Regionale può prevedere, per alcuni settori di operatività, criteri e
requisiti differenziati cui i soggetti convenzionati devono attenersi.
(6) Legge 11 agosto 1991, n. 266, art. 7 e 8:
"7. Convenzioni. - 1. Lo Stato, le regioni, le province autonome, gli enti locali e gli altri enti pubblici
possono stipulare convenzioni con le organizzazioni di volontariato iscritte da almeno sei mesi nei registri di
cui all'articolo 6 e che dimostrino attitudine e capacità operativa. 2. Le convenzioni devono contenere
disposizioni dirette a garantire l'esistenza delle condizioni necessarie a svolgere con continuità le attività
oggetto della convenzione, nonché il rispetto dei diritti e della dignità degli utenti. Devono inoltre prevedere
forme di verifica delle prestazioni e di controllo della loro qualità nonché le modalità di rimborso delle spese.
3. La copertura assicurativa di cui all'articolo 4 è elemento essenziale della convenzione e gli oneri relativi
sono a carico dell'ente con il quale viene stipulata la convenzione medesima.
8. Agevolazioni fiscali. - 1. Gli atti costitutivi delle organizzazioni di volontariato di cui all'articolo 3,
costituite esclusivamente per fini di solidarietà, e quelli connessi allo svolgimento delle loro attività sono
esenti dall'imposta dibollo e dall'imposta di registro. 2. Le operazioni effettuate dalle organizzazioni di
volontariato di cui all'articolo 3, costituite esclusivamente per fini di solidarietà, non si considerano cessioni
di beni, né prestazioni di servizi ai fini dell'imposta sul valore aggiunto; le donazioni e le attribuzioni di
eredità o di legato sono esenti da ogni imposta a carico delle organizzazioni che perseguono esclusivamente i
fini suindicati. 3. e 4. I proventi derivanti da attività commerciali e produttive marginali non costituiscono
redditi imponibili ai fini dell'imposta sul reddito delle persone giuridiche (I.R.P.E.G.) e dell'imposta locale
sui redditi (I.L.O.R.), qualora sia documentato il loro totale impiego per i fini istituzionali
dell'organizzazione di volontariato. I criteri relativi al concetto di marginalità di cui al periodo precedente,
sono fissati dal Ministro delle finanze con proprio decreto, di concerto con il Ministro per gli affari sociali".
Art. 10 Requisiti di priorità nelle scelte convenzionali.
1. Sono criteri di priorità nella scelta delle organizzazioni per la stipulazione delle convenzioni:
a) lo svolgimento dell'attività dell'organizzazione nel territorio per il quale si richiede l'intervento;
b) l'aver attivato sistemi di formazione e aggiornamento dei volontari negli specifici settori di intervento;
c) la garanzia di una continuità di servizio se richiesto dalla natura dell'attività da convenzionare;
d) la garanzia della qualità del servizio comprovata anche da esperienze precedentemente maturate.
Art. 11 Consiglio regionale del volontariato.
1. È istituito presso la Giunta Regionale il Consiglio regionale del volontariato.
2. Entro sei mesi dall'approvazione della legge, la Giunta Regionale propone al Consiglio Regionale la
composizione e le modalità di funzionamento del Consiglio regionale di cui al comma 1 dell'articolo 11.
3. Nell'ambito del Consiglio regionale del volontariato deve essere garantita la rappresentanza di ogni settore
del volontariato. Al Consiglio regionale del volontariato sono attribuite le seguenti funzioni:
a) attività di promozione e attuazione, direttamente o in collaborazione con gli Enti locali, con le
organizzazioni di volontariato e con i centri di servizio di cui all'articolo 15 della legge n. 266 del 1991 (7),
di iniziative di studio e di ricerca anche ai fini dello sviluppo dell'attività di volontariato;
b) promozione con cadenza biennale della conferenza regionale del volontariato;
c) formulazione di pareri e proposte circa l'attuazione della legge.
4. Agli oneri derivanti si provvede con gli stanziamenti previsti dall'articolo 15.
(7) Legge 11 agosto 1991, n. 266, art. 15:
"Fondi speciali presso le regioni. - 1. Gli enti di cui all'articolo 12, comma 1, del decreto legislativo 20
novembre 1990, n. 356 devono prevedere nei propri statuti che una quota non inferiore ad un quindicesimo
dei propri proventi, al netto delle spese di funzionamento e dell'accantonamento di cui alla lettera d) del
comma 1 dello stesso articolo 12, venga destinata alla costituzione di fondi speciali presso le regioni al fine
di istituire, per il tramite degli enti locali, centri di servizio a disposizione delle organizzazioni di
volontariato, e da queste gestiti, con la funzione di sostenerne e qualificarne l'attività. 2.
Le casse di risparmio, fino a quando non abbiano proceduto alle operazioni di ristrutturazione di cui
all'articolo 1 del citato decreto legislativo n. 356 del 1990, devono destinare alle medesime finalità di cui al
comma 1 del presente articolo una quota pari ad un decimo delle somme destinate ad opere di beneficienza e
di pubblica utilità ai sensi dell'articolo 35, terzo comma, del regio decreto 25 aprile 1929, n. 967, e
successive modificazioni. 3. Le modalità di attuazione delle norme di cui ai commi 1 e 2, saranno stabilite
con decreto del Ministro del tesoro, di concerto con il Ministro per gli affari sociali, entro tre mesi dalla data
di pubblicazione della presente legge nella Gazzetta Ufficiale".
Art. 12 Progetti sperimentali.
1. Le organizzazioni di volontariato acquisiscono parere preventivo della Giunta Regionale sui progetti
sperimentali di cui all'articolo 12 della legge n. 266 del 1991 (8), lettera d), elaborati in autonomia.
(8) Legge 11 agosto 1991, n. 266, art. 12:
"Osservatorio nazionale per il volontariato. - 1. Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su
proposta del Ministro per gli affari sociali, è istituito l'Osservatorio nazionale per il volontariato, presieduto
dal Ministro per gli affari sociali o da un suo delegato e composto da dieci rappresentanti delle
organizzazioni e delle federazioni di volontariato operanti in almeno sei regioni, da due esperti e da tre
rappresentanti delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative. L'Osservatorio, che si avvale del
personale, dei mezzi e dei servizi messi a disposizione dal Segretariato generale della Presidenza del
Consiglio dei Ministri, ha i seguenti compiti: a) provvedere al censimento delle organizzazioni di
volontariato ed alla diffusione della conoscenza delle attività da esse svolte; b) promuovere ricerche e studi
in Italia e all'estero; c) fornire ogni utile elemento per la promozione e lo sviluppo del volontariato; d)
approvare progetti sperimentali elaborati, anche in collaborazione con gli enti locali, da organizzazioni di
volontariato iscritte nei registri di cui all'articolo 6 per far fronte ad emergenze sociali e per favorire
l'applicazione di metodologie di intervento particolarmente avanzate; e) offrire sostegno e consulenza per
progetti di informatizzazione e di banche-dati nei settori di competenza della presente legge; f) pubblicare un
rapporto biennale sull'andamento del fenomeno e sullo stato di attuazione delle normative nazionali e
regionali; g) sostenere, anche con la collaborazione delle regioni, iniziative di formazione ed aggiornamento
per la prestazione dei servizi; h) pubblicare un bollettino periodico di informazione e promuovere altre
iniziative finalizzate alla circolazione delle notizie attinenti l'attività di volontariato; i) promuovere, con
cadenza triennale, una Conferenza nazionale del volontariato, alla quale partecipano tutti i soggetti
istituzionali, i gruppi e gli operatori interessati . 2. E' istituito, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri
- Dipartimento per gli affari sociali, il Fondo per il volontariato, finalizzato a sostenere finanziariamente i
progetti di cui alla lettera d) del comma 1."
Art. 13 Centri di servizio e Comitato di gestione del fondo speciale presso la Regione.
1. I centri di servizio di cui all'articolo 15 della legge n. 266 del 1991 (9), nell'attività di sostegno progettuale
alle organizzazioni di volontariato, si uniformano agli indirizzi emergenti dal piano regionale di sviluppo e
dai singoli piani di settore.
2. Il Presidente della Giunta Regionale, o un suo delegato, partecipa di diritto al Comitato di gestione del
fondo speciale previsto dall'articolo 15 della legge n. 266 del 1991 (10).
3. Il Presidente del Consiglio Regionale nomina, ai sensi della L.R. 18 febbraio 1985, n. 10 e successive
modificazioni, quattro rappresentanti delle organizzazioni di volontariato iscritte nel registro regionale del
volontariato maggiormente presenti ed operanti sul territorio regionale quali componenti del Comitato di
gestione del fondo speciale di cui al comma 1 dell'articolo 13. Tali rappresentanti durano in carica 2 anni e
non sono immediatamente rieleggibili.
4. Il Comitato di gestione del fondo speciale presenta annualmente alla Giunta e al Consiglio Regionale una
relazione sull'attività dei centri di servizio.
(9) Legge 11 agosto 1991, n. 266, art. 15:
"Fondi speciali presso le regioni. - 1. Gli enti di cui all'articolo 12, comma 1, del decreto legislativo 20
novembre 1990, n. 356 devono prevedere nei propri statuti che una quota non inferiore ad un quindicesimo
dei propri proventi, al netto delle spese di funzionamento e dell'accantonamento di cui alla lettera d) del
comma 1 dello stesso articolo 12, venga destinata alla costituzione di fondi speciali presso le regioni al fine
di istituire, per il tramite degli enti locali, centri di servizio a disposizione delle organizzazioni di
volontariato, e da queste gestiti, con la funzione di sostenerne e qualificarne l'attività. 2.
Le casse di risparmio, fino a quando non abbiano proceduto alle operazioni di ristrutturazione di cui
all'articolo 1 del citato decreto legislativo n. 356 del 1990, devono destinare alle medesime finalità di cui al
comma 1 del presente articolo una quota pari ad un decimo delle somme destinate ad opere di beneficienza e
di pubblica utilità ai sensi dell'articolo 35, terzo comma, del regio decreto 25 aprile 1929, n. 967, e
successive modificazioni. 3. Le modalità di attuazione delle norme di cui ai commi 1 e 2, saranno stabilite
con decreto del Ministro del tesoro, di concerto con il Ministro per gli affari sociali, entro tre mesi dalla data
di pubblicazione della presente legge nella Gazzetta Ufficiale".
(10) Legge 11 agosto 1991, n. 266, art. 15:
"Fondi speciali presso le regioni. - 1. Gli enti di cui all'articolo 12, comma 1, del decreto legislativo 20
novembre 1990, n. 356 devono prevedere nei propri statuti che una quota non inferiore ad un quindicesimo
dei propri proventi, al netto delle spese di funzionamento e dell'accantonamento di cui alla lettera d) del
comma 1 dello stesso articolo 12, venga destinata alla costituzione di fondi speciali presso le regioni al fine
di istituire, per il tramite degli enti locali, centri di servizio a disposizione delle organizzazioni di
volontariato, e da queste gestiti, con la funzione di sostenerne e qualificarne l'attività. 2.
Le casse di risparmio, fino a quando non abbiano proceduto alle operazioni di ristrutturazione di cui
all'articolo 1 del citato decreto legislativo n. 356 del 1990, devono destinare alle medesime finalità di cui al
comma 1 del presente articolo una quota pari ad un decimo delle somme destinate ad opere di beneficienza e
di pubblica utilità ai sensi dell'articolo 35, terzo comma, del regio decreto 25 aprile 1929, n. 967, e
successive modificazioni. 3. Le modalità di attuazione delle norme di cui ai commi 1 e 2, saranno stabilite
con decreto del Ministro del tesoro, di concerto con il Ministro per gli affari sociali, entro tre mesi dalla data
di pubblicazione della presente legge nella Gazzetta Ufficiale".
Art. 14 Contributi.
1. La Regione può concedere alle organizzazioni di volontariato iscritte nel registro contributi a titolo di
sostegno di specifici e documentati progetti e attività.
2. La Giunta Regionale, acquisito il parere delle competenti Commissioni consiliari, individua, con proprio
provvedimento, i criteri e le modalità per l'erogazione dei contributi e ne dà comunicazione al Consiglio
Regionale (11).
3. Agli oneri derivanti si provvede con gli stanziamenti previsti dall'articolo 15.
(11) I criteri per l'assegnazione dei contributi sono stati stabiliti con Delib.G.R. 28 giugno 1999, n. 31- 27680
e Delib.G.R. 7 maggio 2002, n. 39-5950.
Art. 15 Norma finanziaria.
1. Per l'attuazione della presente legge è autorizzata, per l'anno 1994, la spesa di lire 610 milioni.
2. Nello stato di previsione della spesa sono conseguentemente istituiti appositi capitoli con la
denominazione sottoindicata e lo stanziamento, in termini di competenza e di cassa, a fianco di ciascuno
specificato:
«Finanziamento relativo al funzionamento e alle attività del Consiglio regionale del volontariato» con la
dotazione di lire 10 milioni; «Contributi a favore delle organizzazioni di volontariato a titolo di sostegno di
specifici progetti» con la dotazione di lire 600 milioni.
3. Alla copertura degli oneri, di cui ai commi 1 e 2, si provvede mediante riduzione, per pari importo
complessivo, del capitolo n. 15950.
4. Per gli anni 1995 e successivi la copertura finanziaria degli oneri viene stabilita dalle relative leggi di
approvazione del bilancio.
Art. 16 Ambito di applicazione e abrogazione di norme.
1. La L.R. 27 agosto 1984, n. 44, è abrogata.
2. È altresì abrogata ogni altra norma regionale incompatibile con le disposizioni della legge.
3. Per quanto non previsto dalla legge, si applicano le disposizioni di cui alla legge n. 266 del 1991.
Art. 17 Norma finale.
1. In sede di prima attuazione della legge sono ratificate le iscrizioni nel registro già avvenute ai sensi della
deliberazione del Consiglio Regionale 3 marzo 1992, n. 339-2899.
Art. 18 Norma transitoria.
1. Le convenzioni in corso con le organizzazioni di volontariato alla data di entrata in vigore della legge
hanno efficacia fino alla loro scadenza naturale.
2. L'eventuale rinnovo è subordinato all'avvio delle procedure di adeguamento delle organizzazioni di
volontariato alla normativa prevista dalla legge.
3. Al fine di garantire la revisione del registro per l'anno 1994, le organizzazioni di volontariato iscritte nel
corso del 1992 e del 1993 sono tenute a trasmettere alla Regione la documentazione di cui all'articolo 5,
comma 1, entro sessanta giorni dalla pubblicazione della presente legge.
De Agostini Professionale - LEGGI REGIONALI D'ITALIA
Aggiornamento al BU 28/05/2002
Regione: Piemonte
6. ASSISTENZA E BENEFICENZA PUBBLICA Disposizioni di carattere generale
L.R. 13 aprile 1995, n. 62
Norme per l'esercizio delle funzioni socio-assistenziali
Capo I - Finalità e principi
Art. 1
Oggetto della legge.
1. La legge, ai sensi degli articoli 117 e 118 della Costituzione e secondo quanto previsto dalla legislazione
vigente, detta norme per l'esercizio delle funzioni socio-assistenziali.
Art. 2 Obiettivi e principi ispiratori.
1. L'esercizio delle funzioni socio-assistenziali è finalizzato alla tutela del diritto di cittadinanza sociale delle
persone e alla tutela ed al sostegno della famiglia, risorsa e soggetto primario del sistema sociale e delle
singole persone, mediante interventi mirati a prevenire e rimuovere le situazioni di bisogno, di rischio e di
emarginazione, anche mediante la promozione di iniziative volte ad adeguare l'ambiente di vita e di lavoro
alle esigenze dei soggetti svantaggiati.
2. Le attività dirette al raggiungimento degli obiettivi di cui al comma 1 sono informate ai seguenti principi
ispiratori:
a) rispetto della dignità della persona e del suo diritto alla riservatezza;
b) superamento dell'istituzionalizzazione, privilegiando servizi e interventi mirati al mantenimento,
all'inserimento ed al reinserimento della persona nel contesto familiare, sociale, scolastico e lavorativo;
c) superamento delle logiche di assistenza differenziata per categorie di assistiti;
d) coordinamento ed integrazione dei servizi socio-assistenziali con i servizi sanitari, educativi, scolastici,
dell'Amministrazione giudiziaria e con tutti gli altri servizi sociali territoriali;
e) riconoscimento dell'apporto originale ed autonomo del privato sociale, in particolare delle organizzazioni
di volontariato e della cooperazione sociale, per la promozione umana, l'integrazione delle persone e il
sostegno alla famiglia;
f) promozione e incentivazione delle varie forme di solidarietà liberamente espresse dai cittadini e dalle forze
sociali per il conseguimento degli obiettivi di cui alla presente legge;
g) promozione ed incentivazione di tutte le forme di integrazione di cittadini di culture diverse, nel rispetto
delle competenze attribuite dalla legge ad altri soggetti.
Capo II - Attività di prevenzione
Art. 3
Informazione, ricerca e progetti.
1. Ai fini e secondo i principi di cui all'articolo 2, la Regione e gli Enti locali promuovono le iniziative
opportune e, in particolare:
a) la diffusione dell'informazione sul settore socio-assistenziale;
b) studi e ricerche volti ad identificare gli stati di bisogno e di emarginazione nonché progetti mirati di
intervento, con particolare riferimento ad innovazioni tecnologiche mirate al miglioramento della qualità
degli interventi a favore dei soggetti in stato di bisogno;
c) specifiche iniziative di ricerca, progettazione, sperimentazione di nuove proposte formative e di
innovazioni didattiche attinenti all'area socio-assistenziale;
d) ogni altra iniziativa, anche sperimentale, che concorra alla realizzazione degli obiettivi di cui alla presente
legge.
Art. 4 Soddisfacimento di esigenze socio-relazionali.
1. Al fine di prevenire fenomeni di emarginazione connessi a carenze di natura socio-relazionale di soggetti o
gruppi a rischio, gli Enti locali operano, mediante servizi aperti a tutta la popolazione, incentivando,
favorendo e realizzando interventi ed iniziative di tipo educativo, culturale, ricreativo, sportivo e di tempo
libero.
2. Concorrono al soddisfacimento di bisogni socio-relazionali servizi polifunzionali di aggregazione sociale.
Art. 5 Soddisfacimento di esigenze abitative.
1. Nell'ambito della prevenzione di situazioni connesse a carenze o inidoneità abitative di soggetti a rischio,
gli Enti locali intervengono per:
a) assegnazione in locazione di alloggi di loro proprietà, in particolare utilizzando i beni vincolati a finalità
socio-assistenziali. A tale fine essi operano anche mediante trasformazione e riconversione di beni mobili ed
immobili appartenenti al patrimonio comunale;
b) l'incentivazione, all'interno dei piani di edilizia residenziale, della costruzione di alloggi abbinati, per
favorire l'aggregazione di nuclei parentali con la presenza di soggetti a rischio;
c) il miglioramento delle condizioni abitative attraverso opere di manutenzione, risanamento ed adeguamento
degli alloggi, o attraverso la concessione di specifici contributi economici finalizzati a tale scopo;
d) la sistemazione in albergo o in strutture ricettive in situazioni eccezionali e transitorie non altrimenti
risolvibili;
e) la verifica dell'attuazione dell'articolo 3, n. 3.3 del decreto del Ministro dei lavori pubblici 14 giugno 1989,
n. 236 e dell'articolo 17 del decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1978, n. 384, in relazione alle
esigenze delle persone inabili che hanno difficoltà di deambulazione.
Art. 6 Promozione dell'inserimento lavorativo.
1. Ai fini dell'attuazione di politiche attive del lavoro, la Regione e gli Enti locali operano per promuovere
l'inserimento ed il reinserimento lavorativo di soggetti in particolari situazioni di bisogno ed esposti a gravi
rischi di emarginazione.
2. A tali fini, in particolare, con osservanza delle norme nazionali in materia di collocamento al lavoro:
a) attuano iniziative formative finalizzate all'adeguamento delle capacità professionali in relazione alle
potenzialità dei soggetti interessati e alle possibilità concrete di inserimento nel mondo del lavoro;
b) favoriscono e promuovono l'inserimento lavorativo, anche a tempo parziale, di persone svantaggiate e
fasce deboli della popolazione, in particolare di soggetti handicappati come previsto dalla legge 5 febbraio
1992, n. 104;
c) promuovono e favoriscono la costituzione di cooperative sociali alle quali partecipano soggetti di cui al
presente articolo, anche attraverso la concessione di contributi economici.
Art. 7 Abolizione delle barriere architettoniche.
1. La Regione, nell'ambito delle proprie competenze, si impegna ad operare per l'abolizione delle barriere
architettoniche, in particolare per quanto attiene agli edifici pubblici, ai luoghi di pubblico spettacolo, ai
mezzi di trasporto ed ai servizi pubblici in genere.
2. Tale attività si esplica anche attraverso l'incentivazione alla costruzione, ristrutturazione e dotazione degli
ausili necessari nell'edilizia abitativa singola e collettiva e la promozione, secondo le modalità previste dal
Piano socio-sanitario regionale (P.S.S.R.), successivamente denominato Piano, dell'applicazione della
normativa vigente in materia di eliminazione delle barriere architettoniche.
3. La concessione dei finanziamenti previsti da leggi regionali è subordinata al rispetto della normativa in
materia di eliminazione delle barriere architettoniche.
4. La Regione per gli edifici di suo utilizzo predispone un piano triennale di adeguamento e ristrutturazione
per il superamento delle barriere architettoniche e per gli ausili a sostegno delle persone portatrici di
handicap, con specifici finanziamenti integrativi e relativi stanziamenti di bilancio.
5. La Regione predispone altresì un piano per l'adeguamento alla normativa vigente dei mezzi di trasporto
pubblico gestiti da Enti locali e da società concessionarie, e per l'attivazione e gestione di servizi di trasporto
non di linea particolarmente dedicati a persone con grave disabilità da parte dei Comuni; a tale fine sono
previsti specifici finanziamenti integrativi e relativi stanziamenti di bilancio da trasferire agli Enti gestori ed
ai Comuni, secondo criteri che verranno definiti con specifica deliberazione del Consiglio Regionale.
Capo III - Soggetti titolari e loro funzioni
Art. 8
Soggetti pubblici titolari di funzioni socio-assistenziali.
1. Fatte salve le competenze riservate allo Stato, sono titolari di funzioni socio-assistenziali i seguenti
soggetti pubblici:
a) Regione;
b) Province;
c) Comuni.
Art. 9 Funzioni della Regione.
1. Spettano alla Regione la programmazione, l'indirizzo e il coordinamento dei servizi socio-assistenziali,
nonché la verifica e il controllo della loro attuazione a livello territoriale.
2. Nell'ambito degli obiettivi e degli indirizzi del Piano regionale di sviluppo la Regione:
a) approva gli indirizzi di programmazione socio-assistenziale nell'ambito del Piano, ne coordina e ne
verifica l'attuazione;
b) ripartisce le risorse del Fondo per la gestione delle attività socio-assistenziali secondo i criteri definiti nel
Piano, nonché altre risorse finalizzate previste dalla legge;
c) partecipa all'elaborazione degli strumenti di programmazione nazionale dei servizi di assistenza sociale;
d) promuove, indirizza e coordina il Sistema informativo socio-assistenziale (successivamente denominato
Sistema informativo) regionale e locale, operando in raccordo con il livello nazionale nelle sue diverse
articolazioni;
e) attua direttamente o in collaborazione con l'Università ed altri Enti e istituti specializzati, o promuove,
tramite l'incentivazione delle iniziative di altri soggetti, quanto previsto dall'articolo 3.
3. La Regione esercita ogni altra funzione ad essa attribuita dalla legge, anche mediante delega e subdelega
secondo quanto previsto agli articoli 34 e 38.
Art. 10 Contenuti della programmazione socio-assistenziale regionale.
1. Il Piano socio-sanitario triennale della Regione (P.S.S.R.), approvato con legge, determina, per quanto
attiene la programmazione socio-assistenziale integrata con la programmazione sanitaria:
a) gli obiettivi prioritari articolati per settori di intervento;
b) gli indirizzi per le politiche inerenti le varie attività e le modalità organizzative delle stesse;
c) i raccordi con le scelte della programmazione regionale;
d) i requisiti qualitativi e quantitativi degli interventi e del personale;
e) le modalità per la verifica del raggiungimento degli obiettivi, anche ai fini di una concreta incentivazione,
tramite le risorse di cui alla lettera f), degli Enti gestori, che abbiano raggiunto i requisiti qualitativi e
quantitativi di cui alla lettera d);
f) le priorità di destinazione, per settori di intervento delle risorse previste dalla Regione nel proprio bilancio
pluriennale ed i criteri per il riparto annuale del Fondo per la gestione delle attività socio- assistenziali tra gli
Enti gestori;
g) gli indirizzi per l'integrazione delle attività socio-assistenziali con i servizi territoriali ed in particolare con
il servizio sanitario regionale, disciplinando le modalità ed i criteri della messa a disposizione di personale e
mezzi per l'esercizio delle attività integrate e per la costituzione di gruppi di lavoro interdisciplinari;
h) le direttive per l'esercizio delle funzioni delegate e subdelegate;
i) gli indirizzi e le modalità per l'esercizio delle funzioni di cui all'articolo 11 svolte dalle Province per la
predisposizione della programmazione locale;
l) gli indirizzi per l'inserimento, nella gestione associata dei servizi socio-assistenziali di cui all'articolo 13, di
altri servizi sociali svolti dai Comuni che partecipano alla gestione stessa;
m) gli indirizzi e le modalità per la realizzazione e lo sviluppo del Sistema Informativo nelle sue diverse
articolazioni territoriali, individuando e definendo i requisiti informativi ed informatici.
Art. 11 Funzioni delle Province.
1. Le Province, ai sensi della legislazione vigente e secondo quanto previsto dalla legge 8 giugno 1990, n.
142:
a) collaborano alla predisposizione del Piano mediante la presentazione di proposte, deliberate dai Consigli
Provinciali, utili alla predisposizione dei documenti di Piano da sottoporre all'approvazione della Giunta
regionale;
b) concorrono alla predisposizione della programmazione locale in attuazione del Piano;
c) esercitano le funzioni socio-assistenziali ad esse attribuite dalla normativa statale e regionale vigente.
Art. 12 Funzioni dei Comuni.
1. I Comuni esercitano, con gli obiettivi e secondo i principi di cui all'articolo 2 e secondo le modalità
gestionali di cui all'articolo 13, le funzioni amministrative in materia socio-assistenziale ad essi attribuite
dalla legge, realizzando, tramite il servizio socio-assistenziale di cui all'articolo 32, gli interventi previsti
dall'articolo 22.
2. È altresì di competenza dei Comuni ogni altra attività socio-assistenziale non espressamente attribuita
dalla legislazione vigente ad altri soggetti, compresa l'attività di prevenzione delle situazioni di
emarginazione sociale. Tale attività è esercitata mediante interventi coordinati definiti da progetti- obiettivo
individuati dal Piano.
Capo IV - Soggetti gestori e modalità gestionali
Art. 13
Soggetti gestori delle attività socio-assistenziali (3).
1. La Regione individua nella gestione associata la forma gestionale idonea a garantire l'efficacia e
l'efficienza delle attività socio-assistenziali di competenza dei Comuni.
2. I Comuni, nel rispetto dei vincoli della programmazione e degli indirizzi regionali, gestiscono le attività
socio-assistenziali secondo le seguenti modalità:
a) in forma associata tramite delega all'Unità Sanitaria Locale (U.S.L.), ai sensi dell'articolo 3, comma 3, del
decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 e successive modificazioni;
b) tramite consorzi o altre forme associative previste dalla legge n. 142 del 1990 tra Comuni o tra Comunità
Montane oppure tra Comuni e Comunità Montane;
c) tramite Comunità Montana, ai sensi dell'articolo 31, comma 3, della legge regionale 18 giugno 1992, n.
28;
d) tramite delega individuale all'U.S.L., ai sensi dell'articolo 3, comma 3, del D.Lgs. n. 502 del 1992 e
successive modificazioni;
e) direttamente.
3. Gli ambiti territoriali di riferimento delle forme associative di cui alle lettere a) e b), del comma 2, sono
individuati, di norma, entro i confini delle preesistenti Unità Socio-Sanitarie locali (U.S.S.L.) già operanti al
31 dicembre 1994, tenuto conto degli ambiti territoriali dei distretti socio-sanitari di cui all'articolo 4 della
legge regionale 22 settembre 1994, n. 39 e con possibilità di accorpamento o di suddivisione degli ambiti
distrettuali.
4. Le attività per la tutela materno infantile e dell'età evolutiva, le attività a rilievo sanitario di cui all'articolo
16 per gli handicappati e gli anziani non autosufficienti nonché le attività delegate e subdelegate di cui agli
articoli 34 e 38 sono, in ogni caso, esercitate dalle U.S.L. o dai Comuni capoluogo di Provincia che non
scelgano di partecipare alla gestione associata ovvero dai Consorzi o dalle Associazioni costituite ai sensi
della legge n. 142 del 1990 o dalle Comunità Montane operanti entro gli ambiti territoriali di cui al comma 3.
5. Le attività socio-assistenziali sono esercitate in via prioritaria in forma diretta dagli Enti di cui al comma
2. Il Piano individua le attività socio-assistenziali il cui esercizio può essere affidato ad altri soggetti e
definisce criteri e modalità di tale affidamento.
(3) Vedi la Circ.P.G.R. 30 marzo 1998, n. 4/ASS, la Delib.G.R. 6 agosto 2001, n. 823799 e la Delib.G.R. 6
agosto 2001, n. 83-3800.
Art. 14 Gestione associata tramite delega all'Unità Sanitaria Locale.
1. Ai fini della gestione associata tramite delega all'U.S.L. è istituita una apposita assemblea tra i Comuni
associati composta:
a) dal Sindaco per i Comuni fino a cinquemila abitanti;
b) dal Sindaco, nonché da un membro della maggioranza e da un membro della minoranza eletti dal
Consiglio Comunale con voto limitato per i Comuni con popolazione superiore a cinquemila abitanti.
2. Qualora l'ambito territoriale della Associazione dei Comuni coincida con quello della Comunità Montana,
l'assemblea dell'Associazione è quella della Comunità Montana.
3. (4) 4. Quando l'ambito territoriale coincida con quello del Comune o di parte di esso, l'assemblea è
costituita dal Consiglio Comunale e dai Presidenti delle relative Circoscrizioni.
5. I componenti delle assemblee delle Associazioni dei Comuni, già costituite ai sensi della legge regionale 3
settembre 1991, n. 44 alla data del 31 dicembre 1994, si intendono riconfermati fino al rinnovo dei rispettivi
Consigli Comunali.
6. Alle sedute dell'assemblea dell'Associazione dei Comuni partecipano, senza diritto di voto:
a) il direttore generale dell'U.S.L. che si avvale, per le materie di competenza, della presenza del direttore
amministrativo e del direttore sanitario;
b) il direttore del servizio socio-assistenziale.
7. L'assemblea approva i seguenti atti predisposti dal direttore generale dell'U.S.L.:
a) i programmi socio-assistenziali relativi all'ambito territoriale di competenza e le loro eventuali modifiche,
anche se queste comportano spese non eccedenti il competente stanziamento di bilancio, i criteri per la loro
attuazione nonché gli atti che comportano impegni di spesa pluriennale;
b) il bilancio preventivo, le relative variazioni, l'assestamento e il conto consuntivo per la parte socioassistenziale. In base alle disposizioni normative del Piano viene trasmessa all'assemblea, ai fini conoscitivi,
la relazione annuale sull'andamento della gestione e sullo stato di attuazione del Piano di attività e di spesa
(P.A.S.);
c) la dotazione di personale socio-assistenziale, messo a disposizione dai Comuni, necessaria per l'esercizio
delle funzioni delegate (5);
d) le convenzioni di competenza dell'U.S.L. concernenti in tutto o in parte la materia socio- assistenziale.
8. L'assemblea promuove l'attuazione degli istituti di partecipazione di cui al Capo III della legge n. 142 del
1990.
9. L'assemblea, entro sessanta giorni dalla sua costituzione, approva il Regolamento relativo al proprio
funzionamento e lo trasmette al competente settore della Giunta regionale, che formula eventuali
osservazioni entro trenta giorni dal ricevimento; i Regolamenti già approvati alla data del 31 dicembre 1994
si ritengono confermati.
10. L'assemblea nomina un Presidente ed un Vicepresidente a maggioranza assoluta dei componenti.
11. I Presidenti delle assemblee di una stessa U.S.L., costituiti in apposita Commissione, mantengono i
rapporti operativi con la direzione dell'U.S.L. e, in particolare:
a) svolgono funzioni di raccordo tra i Comuni dell'Associazione e l'U.S.L.;
b) procedono a verifiche generali sull'andamento complessivo delle attività socio-assistenziali svolte
dall'U.S.L.;
c) esprimono parere obbligatorio sugli atti predisposti dal direttore generale in materia socio- assistenziale da
sottoporre all'approvazione delle assemblee delle Associazioni dei Comuni.
(4) Comma abrogato dall'art. 2 della L.R. 22 dicembre 1995, n. 94.
(5) Lettera c) così sostituita all'art. 3 della L.R. 22 dicembre 1995, n. 94.
Art. 15 Incentivazione della gestione associata.
1. In coerenza con quanto previsto all'articolo 13, comma 1, la Regione incentiva la gestione associata, in
particolare nelle forme previste dalla legge n. 142 del 1990, nell'ambito del riparto del Fondo per la gestione
delle attività socio-assistenziali.
2. Al fine di assicurare una organizzazione omogenea sul territorio delle forme associative di cui al comma 1,
la Giunta regionale, entro novanta giorni dall'entrata in vigore della presente legge, approva appositi schemi
di convenzione-tipo e di Statuto-tipo relativi alle diverse forme associative.
3. In conformità alle indicazioni del Piano i Comuni possono attribuire alle forme associative di cui al
comma 1 la gestione di ulteriori servizi sociali di loro competenza.
Art. 16 Attività socio-assistenziali a rilievo sanitario e relative alla tutela materno infantile e dell'età
evolutiva.
1. I soggetti gestori, di cui all'articolo 13, comma 4, esercitano le attività socio-assistenziali a rilievo sanitario
relative agli handicappati ed agli anziani non autosufficienti e le attività inerenti la tutela materno infantile e
dell'età evolutiva, stipulando apposite convenzioni con le U.S.L., nel rispetto delle indicazioni contenute
nella normativa nazionale ed, in particolare, per il settore dell'handicap, nell'articolo 40 della legge n. 104 del
1992, nonché nel Piano. Nel caso di gestione mediante delega all'U.S.L., le suddette attività sono esercitate
sulla base di specifici protocolli operativi tra il servizio socio- assistenziale ed i servizi sanitari.
2. Le convenzioni di cui al comma 1 indicano le prestazioni socio-assistenziali e sanitarie erogate, nonché le
risorse materiali, finanziarie e di personale impiegate, e sono adottate sulla base di un disciplinare tipo
approvato dalla Giunta regionale entro novanta giorni dall'entrata in vigore della presente legge.
3. In caso di mancato accordo fra gli Enti di cui al comma 1 e l'U.S.L., la Giunta regionale interviene,
secondo le modalità previste dal Piano, per garantire lo svolgimento delle attività di cui al presente articolo.
Art. 17 Programmazione locale dei servizi socio-assistenziali.
1. I soggetti gestori delle attività socio-assistenziali di cui all'articolo 13, in attuazione degli obiettivi del
Piano, predispongono il P.A.S. per la gestione dei servizi socio-assistenziali, con validità temporale pari a
quella del Piano, con il quale vengono individuati gli obiettivi da perseguire e fissate le scelte gestionali
relative al periodo di riferimento.
2. Al P.A.S. è data attuazione annualmente attraverso uno specifico programma, da adottare contestualmente
al bilancio di previsione, avente ad oggetto tutti gli interventi da concretizzarsi nell'anno di riferimento, con
la quantificazione della relativa spesa, nei limiti delle risorse disponibili.
3. I soggetti gestori di cui al comma 1 adottano annualmente, contestualmente al conto consuntivo, la
relazione annuale sull'andamento della gestione e sullo stato di attuazione del P.A.S.
4. Le modalità per l'adozione dei provvedimenti di cui ai commi 1, 2 e 3, nonché le procedure per
l'approvazione dei medesimi da parte della Giunta regionale sono definite nel Piano.
Art. 18 Altri soggetti esercitanti attività socio-assistenziali.
1. Nell'ambito degli obiettivi e degli indirizzi definiti dalla programmazione regionale e locale e nel rispetto
dell'articolo 38 della Costituzione e della legislazione vigente, concorrono alla realizzazione del sistema
socio-assistenziale Enti, Istituzioni pubbliche e soggetti privati, dotati o meno di personalità giuridica, che
svolgono attività socio-assistenziale, nonché i cittadini che in forme individuali, familiari o associative
realizzano, anche volontariamente, prestazioni socio-assistenziali.
2. In particolare, per il conseguimento delle finalità di cui alla presente legge e degli obiettivi individuati
dalla programmazione regionale e locale, concorrono, secondo la propria specificità e competenza, le
organizzazioni di volontariato e le cooperative sociali di cui alla legge regionale 29 agosto 1994, n. 38 ed alla
legge regionale 9 giugno 1994, n. 18.
Art. 19 Organizzazioni di volontariato.
1. Secondo quanto disposto dalla L.R. n. 38 del 1994, la Regione, gli Enti locali e gli altri Enti pubblici, per
il conseguimento delle finalità di cui alla presente legge, possono stipulare con le organizzazioni di
volontariato iscritte nel registro regionale apposite convenzioni. In esse sono stabiliti i rapporti, comprese le
modalità per la messa a disposizione delle organizzazioni della eventuale documentazione necessaria per lo
svolgimento delle attività previste in convenzione.
2. La Regione e gli Enti gestori delle funzioni socio-assistenziali promuovono la partecipazione dei volontari
delle organizzazioni iscritte nel registro ai corsi di formazione e di aggiornamento, nell'ambito di specifici
progetti.
Art. 20 Cooperazione sociale.
1. La Regione identifica e valorizza le cooperative sociali, iscritte alla sezione A dell'albo regionale, di cui
alla L.R. n. 18 del 1994, quali soggetti specificatamente caratterizzati per la gestione dei servizi sociosanitari ed educativi. Riconosce e promuove la cooperazione sociale di inserimento lavorativo per la sua
precisa finalizzazione volta a fornire opportunità di lavoro ed integrazione sociale alle persone svantaggiate.
Capo V - Interventi socio-assistenziali, destinatari ed organizzazione dei servizi
Art. 21
Destinatari degli interventi socio-assistenziali.
1. Gli interventi socio-assistenziali sono garantiti, secondo le modalità previste dalla legge, a tutti i cittadini
residenti nel territorio della Regione Piemonte.
2. Gli interventi socio-assistenziali si estendono anche agli stranieri ed agli apolidi residenti nel territorio
della Regione, nel rispetto della normativa vigente.
3. Tali interventi secondo quanto previsto da accordi internazionali in materia, sono assicurati ai soggetti
stranieri presenti nel territorio regionale, fatto salvo il diritto di rivalsa da parte dell'Ente erogante, secondo
quanto disposto dalla normativa vigente.
4. Tutte le persone dimoranti nel territorio della Regione hanno comunque diritto agli interventi socioassistenziali non differibili, da erogarsi secondo le modalità di cui alla presente legge.
Art. 22 Interventi socio-assistenziali.
1. L'attività socio-assistenziale si svolge mediante interventi di sostegno del nucleo familiare e del singolo,
nonché mediante interventi di sostituzione, anche temporanea, del nucleo familiare, ove quelli di sostegno
risultino impraticabili. In particolare si svolge sotto forma di:
a) assistenza economica;
b) assistenza domiciliare;
c) assistenza socio-educativa territoriale;
d) assistenza alla persona disabile ex articolo 9 della legge n. 104 del 1992;
e) affidamenti presso famiglie, persone singole o comunità di tipo familiare;
f) interventi per minori e incapaci nell'ambito dei rapporti con l'Autorità giudiziaria;
g) inserimenti in centri diurni socio-assistenziali;
h) inserimenti in presidi residenziali socio-assistenziali.
2. Rientrano fra i precedenti anche gli interventi di cui all'articolo 23 del decreto del Presidente della
Repubblica 24 luglio 1977, n. 616.
3. L'attività socio-assistenziale comporta anche interventi, secondo le rispettive competenze, d'intesa con
Enti ed organismi competenti in altri settori, in particolare nel settore sanitario, scolastico, previdenziale,
giudiziario e penitenziario.
4. I livelli minimi delle attività socio-assistenziali sono stabiliti dal Piano.
Art. 23 Modalità e caratteristiche degli interventi.
1. Gli interventi socio-assistenziali garantiscono prestazioni rispondenti alle specifiche esigenze della
persona. Sono attuati quanto più è possibile nell'ambito del nucleo familiare, stimolando le risorse e le
potenzialità presenti nell'individuo e nel nucleo familiare stesso. Avvengono nel normale ambiente di vita e
con la partecipazione dell'avente diritto, nel rispetto della sua dignità e libertà, nonché delle sue personali
convinzioni.
2. Sono garantiti all'assistito la più ampia informazione, la possibilità di scelta motivata nell'accesso ai
servizi ed alle strutture ed il rapporto con la famiglia.
Art. 24 Assistenza economica.
1. Gli interventi economici sono diretti ai singoli o ai nuclei familiari in condizioni economiche che non
consentono il soddisfacimento dei bisogni fondamentali della vita, oppure in stato di bisogno straordinario, al
fine di promuoverne l'autonomia.
2. Gli interventi possono essere eccezionali e straordinari, ovvero di carattere continuativo, sempre
limitatamente al permanere della situazione di bisogno.
3. Interventi economici possono essere fatti in sostituzione di altri tipi di prestazioni socio-assistenziali
valutate indispensabili per il sostegno dell'autonomia delle persone in difficoltà, per il superamento di
contingenti situazioni di emarginazione sociale o di istituzionalizzazione.
4. Detti interventi sono effettuati in conformità agli indirizzi del Piano e nell'ambito dei criteri stabiliti dalla
programmazione locale.
Art. 25 Assistenza domiciliare.
1. Gli interventi di assistenza domiciliare sono diretti a persone o a nuclei familiari in situazioni di disagio o
di parziale o totale non autosufficienza che non sono in grado, anche temporaneamente, di garantire il
soddisfacimento delle esigenze personali, domestiche e relazionali, con lo scopo di salvaguardare
l'autonomia degli individui e la loro permanenza del proprio nucleo familiare o nella propria residenza.
2. L'assistenza domiciliare consiste in prestazioni di aiuto, da parte di personale in possesso dei requisiti
professionali previsti dalla presente legge, per il governo della casa e per il soddisfacimento dei bisogni
essenziali della personale e ove necessario, per consentire l'accesso ai servizi territoriali, nonché per il
supporto o la sostituzione temporanea del nucleo familiare delle persone in difficoltà.
3. L'assistenza domiciliare viene attivata altresì, in collaborazione con la sanità, nel contesto dei protocolli e
delle direttive predisposti dalla Amministrazione Regionale per l'attuazione dell'Assistenza domiciliare
integrata (A.D.I.) da parte dell'U.S.L.
Art. 26 Assistenza socio-educativa territoriale.
1. L'assistenza socio-educativa territoriale consiste in interventi di sostegno alla famiglia, anche per la
promozione della corresponsabilità genitoriale o a singoli soggetti a rischio di emarginazione, mediante
attività di tipo educativo, culturale, ricreativo, mirati all'inserimento ed all'integrazione nella società.
2. Gli interventi di cui al comma 1 vengono attuati, secondo la specificità dei singoli casi, in collaborazione
con i servizi sanitari, educativi, scolastici e con tutti gli altri servizi territoriali, i quali intervengono ciascuno
per la propria competenza, anche per quanto attiene agli oneri finanziari derivanti dagli interventi stessi.
Art. 27 Assistenza alla persona disabile ex articolo 9 della legge 5 febbraio 1992, n. 104.
1. L'assistenza alla persona disabile prevista all'articolo 9 legge n. 104 del 1992 consiste in interventi di aiuto
personale diretti alle persone handicappate in temporanea o permanente grave limitazione dell'autonomia
personale.
2. L'attività di aiuto personale raggruppa funzionalmente tutti gli interventi finalizzati a garantire l'autonomia
della persona con gravi disabilità temporanee o permanenti. In particolare, si realizza attraverso prestazioni
finalizzate a soddisfare esigenze personali connesse con l'espletamento delle funzioni usuali della vita
quotidiana, con la vita di relazione, con la possibilità di soddisfare interessi di studio, professionali, culturali
e di tempo libero del soggetto.
Art. 28 Affidamenti presso famiglie persone singole o comunità di tipo familiare.
1. Gli interventi di affidamento sono rivolti a minori, persone anziane, handicappate o comunque
parzialmente o totalmente non autosufficienti, le quali non possono essere adeguatamente assistite
nell'ambito della famiglia di appartenenza, e possono essere disposti presso famiglie o persone singole o
comunità di tipo familiare.
2. Gli affidamenti di persone anziane, handicappate o comunque parzialmente o totalmente non
autosufficienti, hanno carattere di temporaneità e sono attuati con il consenso dell'interessato o di chi esercita
la tutela, mantenendo il soggetto nel suo ambiente sociale, salvo che ciò sia pregiudizievole al soggetto
stesso.
3. Gli affidamenti familiari di minori sono rivolti a soggetti temporaneamente privi di un ambiente familiare
idoneo, al fine di assicurare loro il mantenimento, l'educazione e l'istruzione, a norma dell'articolo 2 e
secondo le modalità previste dagli articoli 4 e 5 della legge 4 maggio 1983, n. 184.
4. La Regione determina, nell'ambito del Piano i criteri, le condizioni e le modalità di sostegno alle famiglie,
alle persone singole e alle comunità di tipo familiare che hanno soggetti in affidamento, affinché tale
intervento si possa fondare sulla disponibilità e l'idoneità all'accoglienza, indipendentemente dalle condizioni
economiche ed anche in attuazione, per quanto riguarda l'affidamento di minori, dell'articolo 80, comma 3,
legge n. 184 del 1983.
Art. 29 Interventi per minori e incapaci nell'ambito dei rapporti con l'Autorità giudiziaria.
1. L'assistenza ai minori, nell'ambito dei rapporti con l'Autorità giudiziaria, si attua mediante interventi di
sostegno alla famiglia di origine o affidataria o adottiva nonché attraverso interventi di sostituzione del
nucleo familiare, secondo i principi e le finalità di cui alla legge n. 184 del 1983 e in attuazione della
legislazione vigente. Si attua, altresì, attraverso attività di collaborazione con l'Autorità giudiziaria, nei casi e
secondo le modalità previste dalla legge.
2. L'assistenza agli adulti incapaci, nei cui confronti sia promosso procedimento di interdizione o
inabilitazione, è attuata mediante interventi di sostegno e di collaborazione con l'Autorità giudiziaria, ove
richiesta.
Art. 30 Centri diurni socio-assistenziali.
1. I centri diurni socio-assistenziali sono presidi a carattere semi residenziale per favorire la vita di relazione
a persone in stato di difficoltà e per sostenere le relative famiglie. I relativi requisiti strutturali e gestionali
sono individuati nelle deliberazioni attuative del Piano.
2. Rientrano tra detti presidi anche i centri diurni socio-assistenziali a valenza educativa che perseguono lo
scopo di favorire la vita di relazione a persone ultra quattordicenni con grave disabilità mentale, anche
associata a menomazioni o disabilità fisiche e sensoriali, le cui condizioni non consentano di prevedere la
possibilità di un inserimento lavorativo, essendo già stati esperiti negativamente sia l'inserimento scolastico,
sia l'inserimento nella formazione professionale e nei corsi prelavorativi.
3. I centri diurni socio-educativi destinati a persone con gravi disabilità di cui al comma 2, in quanto
svolgono attività socio-assistenziali a rilievo sanitario, sono gestiti in forma integrata secondo le procedure
previste nell'articolo 16.
Art. 31 Presidi socio-assistenziali residenziali.
1. I presidi socio-assistenziali a carattere residenziale sono individuati nelle deliberazioni attuative del Piano
che ne definiscono anche i relativi requisiti strutturali e gestionali.
2. I presidi di cui al comma 1 comprendono anche:
a) le micro comunità destinate a soggetti in grado di autogestirsi con l'appoggio di idoneo personale;
b) le comunità alloggio protette per soggetti handicappati con autonomia personale gravemente limitata nei
confronti dei quali è richiesto anche l'apporto della funzione a valenza sanitaria, secondo quanto previsto dal
Piano, al fine di garantire la necessaria integrazione degli interventi.
3. I servizi sanitari e quelli socio-assistenziali esistenti sul territorio intervengono a favore degli ospiti, con le
stesse modalità seguite per la restante popolazione.
4. L'inserimento nei presidi residenziali socio-assistenziali è limitato al tempo per cui perdura l'impossibilità
di effettuare interventi presso il domicilio del soggetto. È effettuato con il consenso del soggetto stesso,
quando in grado di esprimere la propria volontà o in caso contrario, con il consenso di chi esercita la potestà
genitoriale o la tutela o curatela ovvero in attuazione di un provvedimento dell'Autorità giudiziaria.
5. Per adeguare la rete dei propri servizi alle esigenze degli utenti, gli Enti locali possono effettuare interventi
di ricovero negli istituti pubblici e privati esistenti sul territorio anche mediante convenzioni con Enti ed
organismi privi di scopo di lucro, che diano garanzie di funzionalità nel quadro degli indirizzi e degli
orientamenti indicati dal Piano.
6. In carenza sul territorio di presidi pubblici o di presidi di cui al comma 5, o di loro inidoneità, gli Enti
locali possono attuare convenzioni anche con presidi privati autorizzati, nei limiti e con le modalità previste
dal Piano.
7. Agli ospiti dei presidi residenziali socio-assistenziali è garantita la possibilità di assistenza religiosa.
Art. 32 Servizio socio-assistenziale.
1. Le attività socio-assistenziali di cui all'articolo 22 sono organizzate nel servizio socio-assistenziale,
secondo quanto previsto dal Piano.
2. Il servizio socio-assistenziale opera per la protezione e la tutela dei soggetti in stato di difficoltà e, in
particolare, dei minori, dei soggetti portatori di handicap, degli adulti e degli anziani soggetti a rischio di
emarginazione, esercitando le azioni necessarie per prevenire e rimuovere gli stati di bisogno.
3. A tal fine, il servizio socio-assistenziale, in particolare, provvede:
a) alla rilevazione e all'analisi conoscitiva dei bisogni e delle risorse del territorio;
b) alla programmazione degli interventi socio-assistenziali e alla verifica della loro attuazione;
c) alla prevenzione dei fattori di emarginazione e di disagio sociale;
d) all'erogazione degli interventi e delle prestazioni socio-assistenziali previste dalla legislazione vigente;
e) allo svolgimento di eventuali attività delegate e subdelegate previste dalla legge;
f) al collegamento con i servizi sanitari, educativi, scolastici, dell'Amministrazione giudiziaria e con gli altri
servizi e risorse sociali territoriali per consentire l'erogazione di interventi coordinati ed integrati;
g) all'informazione sui servizi socio-assistenziali attivati nonché alla sensibilizzazione del territorio sulle
problematiche sociali.
Capo VI - Funzioni amministrative regionali
Art. 33
Esercizio diretto di funzioni amministrative regionali.
1. La Regione esercita le seguenti funzioni amministrative:
a) concede, con deliberazione della Giunta regionale, l'autorizzazione preventiva all'alienazione e alla
trasformazione di destinazione d'uso di beni immobili e di titoli di proprietà delle Istituzioni pubbliche di
assistenza e beneficenza (I.P.A.B.) ed alla costituzione di diritti reali sugli stessi;
b) [concede, con deliberazione della Giunta regionale, l'autorizzazione preventiva all'istituzione,
all'ampliamento, alla modifica della pianta organica delle I.P.A.B., provvedendo anche all'eventuale
soppressione o alla trasformazione dei posti previsti nelle vigenti piante organiche] (6);
c) esercita ogni altra funzione prevista dalla legge 17 luglio 1890, n. 6972;
d) concede, con deliberazione della Giunta regionale, l'autorizzazione allo svincolo di destinazione d'uso di
beni immobili o di titoli pervenuti in proprietà ai Comuni per effetto della estinzione di I.P.A.B. o di Enti
comunali di assistenza (E.C.A.) e alla costituzione di diritti reali sugli stessi;
e) esercita, secondo le modalità tecniche, amministrative e organizzative definite dal Piano, l'attività di
controllo sull'esercizio delle funzioni socio-assistenziali da parte degli Enti gestori (7).
(6) Lettera abrogata dall'art. 118, comma 2, L.R. 26 aprile 2000, n. 44, aggiunto dall'art. 10, L.R. 15 marzo
2001, n. 5.
(7) Si veda la Circ. 22 settembre 1998 n. 13/ASA concernente il superamento delle procedure autorizzative
previste dal presente articolo, intervenuto a seguito dell'entrata in vigore della normativa statale di cui alla
legge n. 127 del 1997 e alla legge n. 191 del 1998.
Art. 34 Delega di funzioni amministrative regionali (8).
La Regione, secondo gli indirizzi definiti dal Piano, delega ai soggetti che gestiscono le attività socioassistenziali nelle forme di cui all'articolo 13, comma 4, le seguenti funzioni amministrative:
a) la vigilanza ed il controllo sugli organi delle I.P.A.B., nei limiti di cui alla legislazione statale vigente e
purché non siano attribuiti al Comitato regionale di controllo previsto dall'articolo 130 della Costituzione, a
norma dell'articolo 1, commi 3 e 4, del decreto del Presidente della Repubblica 15 gennaio 1972, n. 9
«Trasferimento alle Regioni a statuto ordinario delle funzioni amministrative statali in materia di beneficenza
pubblica e del relativo personale». Restano di competenza della Giunta regionale le funzioni relative alla
sospensione ed allo scioglimento dei Consigli di amministrazione e la nomina del commissario straordinario;
b) la nomina dei membri dei Consigli di amministrazione delle I.P.A.B., quando questa sia di competenza
regionale. Detta nomina è effettuata d'intesa con l'amministrazione regionale;
c) la dichiarazione di decadenza dei membri dei Consigli di amministrazione delle I.P.A.B. nei casi previsti
dalla legge;
d) le funzioni amministrative relative all'organizzazione e gestione degli interventi di formazione del
personale socio-assistenziale, nell'ambito degli indirizzi definiti dal Piano relativamente alla formazione di
base, riqualificazione, aggiornamento e formazione permanente.
2. La Regione, secondo gli indirizzi definiti dal Piano, delega alle U.S.L. le seguenti funzioni amministrative:
a) il rilascio, la modifica, la sospensione e la revoca dell'autorizzazione al funzionamento dei presidi socioassistenziali di cui all'articolo 27 della L.R. 23 aprile 1990, n. 37 «Norme per la programmazione sociosanitaria regionale e per il piano socio-sanitario regionale per il triennio 92», ai sensi degli articoli 36 e 37;
b) la vigilanza, la verifica ed il controllo dei requisiti gestionali e strutturali sui presidi socio-assistenziali
previsti dalla normativa vigente;
c) il rilascio, la sospensione e la revoca dell'autorizzazione al funzionamento e la vigilanza sugli asili nido
privati e sui servizi di vacanza per minori, nell'ambito della normativa statale e regionale relativa alla
protezione della maternità e dell'infanzia (9).
3. I soggetti delegati istituiscono una Commissione di vigilanza, di cui si avvalgono per lo svolgimento delle
funzioni di cui al comma 2.
4. All'interno della Commissione di vigilanza, le cui modalità operative sono definite dalle specifiche
disposizioni regionali vigenti, è presente personale dotato di competenza sanitaria e tecnica e personale
dotato di competenza socio-assistenziale, messo a disposizione dai soggetti gestori delle attività socioassistenziali territorialmente competenti.
5. Fino alla definizione di un modello sovraziendale con competenze di coordinamento, le funzioni di cui al
comma 2, sono esercitate dal Comune di Torino per il proprio ambito territoriale (10).
(8) Articolo così sostituito dall'art. 1 della L.R. 3 gennaio 1997, n. 5. Vedi, anche, la Delib.G.R. 13 novembre
2000, n. 29-1298 e la Delib.G.R. 20 novembre 2000, n. 19-1361.
(9) Vedi la Circ.P.G.R. 20 aprile 1998, n. 5/ASS.
(10) Articolo così sostituito dall'art. 1 della L.R. 3 gennaio 1997, n. 5, come corretto con avviso pubblicato
nel B.U. 22 gennaio 1997, n. 3.
Art. 35 Esercizio delle funzioni amministrative regionali in materia di formazione professionale.
l. Gli interventi di cui all'articolo 34, comma 1, lettera d), forniscono una preparazione professionale che,
tenendo conto della peculiarità del settore socio-assistenziale, mira alla realizzazione degli obiettivi della
legge (11).
2. Per esercitare dette funzioni i soggetti delegati si avvalgono dei propri uffici o dei servizi e delle attività di
Enti pubblici e privati, mediante convenzioni.
3. La Regione può realizzare specifiche iniziative riguardanti l'intero territorio regionale, attività di ricerca,
progettazione, sperimentazione di nuove proposte formative e di innovazioni didattiche direttamente, anche
in collaborazione con l'Università, altri Enti ed istituti specializzati.
(11) Comma così sostituito dall'art. 2 della L.R. 3 gennaio 1997, n. 5.
Art. 36 Autorizzazione al funzionamento di presidi socio-assistenziali.
1. A chiunque intenda aprire un presidio socio-assistenziale residenziale o semiresidenziale, è richiesto il
possesso dell'autorizzazione regionale al funzionamento che è rilasciata dal soggetto delegato alla gestione
delle funzioni di vigilanza e di controllo di cui all'articolo 34, competente per territorio.
2. L'autorizzazione è rilasciata sulla base della verifica del rispetto dei requisiti strutturali e gestionali
individuate dal Piano e dall'osservanza della normativa vigente.
3. I presidi socio-assistenziali funzionanti, già in possesso dell'autorizzazione al funzionamento, sono tenuti
ad adeguarsi ai requisiti strutturali e gestionali individuati nelle deliberazioni attuative del Piano secondo le
modalità e i tempi in esse indicati.
4. La permanenza dei requisiti richiesti all'atto del rilascio dell'autorizzazione è verificata mediante l'attività
di vigilanza e di controllo. Eventuali variazioni dei presupposti che hanno dato luogo al rilascio
dell'autorizzazione, comportano la modifica dell'autorizzazione stessa.
5. In caso di diniego dell'autorizzazione al funzionamento è ammessa opposizione da parte degli aventi
diritto, da presentarsi, entro venti giorni dalla notifica, alla Giunta regionale, che si pronuncia entro sessanta
giorni dal ricevimento.
Art. 37 Sospensione e revoca dell'autorizzazione al funzionamento dei presidi soci.o-assistenziali.
1. Qualora siano venuti meno i requisiti che hanno dato luogo al rilascio dell'autorizzazione, il soggetto,
delegato alla gestione delle funzioni di vigilanza e di controllo, prescrive al soggetto gestore del presidio un
congruo termine per ripristinarli prevedendo altresì le temporanee prescrizioni per garantire la sicurezza
degli utenti e degli operatori.
2. Qualora le prescrizioni di cui al comma 1, siano di particolare rilievo strutturale o gestionale, il soggetto
delegato alle funzioni di vigilanza e di controllo può prevedere, contestualmente alle prescrizioni stesse, la
successiva sospensione dell'autorizzazione in caso di inottemperanza.
3. Qualora le violazioni accertate comportino rilevanti pregiudizi per gli utenti o per gli operatori, il soggetto,
delegato alla gestione delle funzioni di vigilanza, può sospendere immediatamente l'autorizzazione.
4. Il provvedimento di sospensione, adottato dal soggetto vigilante, comporta la temporanea chiusura del
presidio per il periodo indicato nel provvedimento stesso.
5. Quando il soggetto vigilante accerti il superamento delle condizioni che hanno giustificato la sospensione
dell'autorizzazione, ne prende atto con apposita deliberazione, interrompendo la sospensione stessa.
6. La revoca dell'autorizzazione al funzionamento, che comporta la chiusura definitiva del presidio, è
disposta dal soggetto delegato alla vigilanza, qualora questo accerti:
a) la cessazione dell'attività socio-assistenziale nel presidio autorizzato;
b) la permanenza delle condizioni che hanno dato luogo al provvedimento di sospensione alla scadenza del
termine concesso per l'eliminazione delle stesse.
7. In caso di chiusura temporanea o definitiva del presidio, i soggetti interessati, in collaborazione con
l'Amministrazione Regionale, concordano un piano di dimissioni degli ospiti.
8. Contro i provvedimenti di sospensione e di revoca dell'autorizzazione al funzionamento è ammessa
opposizione da parte degli aventi diritto, da presentarsi, entro venti giorni dalla notifica, alla Giunta regionale
che si pronuncia entro sessanta giorni dal ricevimento.
Art. 38 Subdelega di funzioni amministrative regionali.
1. La Regione esercita, secondo gli indirizzi definiti dal Piano, subdelegandole ai soggetti che gestiscono le
attività socio-assistenziali nelle forme di cui all'articolo 13, comma 4, le funzioni di controllo pubblico,
previste dagli articoli 23 e 25 del codice civile, sull'amministrazione delle persone giuridiche private di cui
all'articolo 12 del codice civile, operanti nelle materie di cui all'articolo 22 del D.P.R. n. 616 del 1977 e le cui
finalità di esauriscono nell'ambito della Regione. Restano di competenza della Giunta regionale le funzioni
relative allo scioglimento dei Consigli di amministrazione e la nomina dei Commissari straordinari.
Art. 39 Modalità per l'esercizio diretto delle funzioni amministrative regionali, nonché delle funzioni
delegate e subdelegate (12).
1. La Regione con il Piano impartisce direttive per l'esercizio delle funzioni proprie delegate e subdelegate,
assicurando finanziamenti adeguati.
2. Qualora i soggetti delegati e subdelegati non esercitano tali funzioni, la Giunta regionale, dopo averli
sentiti e previa assegnazione di un congruo termine per provvedere, si sostituisce ad essi nelle attività non
adempiute.
3. La Regione esercita le funzioni di cui all'articolo 33 concernenti le I.P.A.B., nonché le funzioni di cui alla
lettera d) dell'articolo 33 acquisendo i necessari elementi di valutazione del soggetto gestore delle funzioni di
vigilanza e controllo della zona in cui l'Ente ha la sede legale.
4. Le autorizzazioni regionali di cui alle lettere a) e d) dell'articolo 33 relative a beni immobili sono rilasciate
sulla base del valore dei beni stessi ricavato da una perizia giurata ed asseverata predisposta da tecnici
incaricati dall'Ente interessato e regolarmente iscritti presso i relativi ordini professionali.
5. I beni mobili ed immobili, le relative rendite e i proventi derivanti alle I.P.A.B. dalle operazioni di cui alla
lettera a) dell'articolo 33 sono esclusivamente destinati alle finalità socio-assistenziali previste dagli Statuti
dei singoli Enti interessati.
(12) Vedi, anche, la Delib.G.R. 13 novembre 2000, n. 29-1298.
Capo VII - Personale e beni destinati ai servizi socio-assistenziali
Art. 40
Utilizzo dei beni immobili vincolati a finalità socio-assistenziali.
1. I beni dei Comuni e delle preesistenti U.S.S.L., vincolati o già destinati a finalità socioassistenziali,
compresi quelli pervenuti in proprietà ai Comuni stessi per effetto dell'estinzione di I.P.A.B. e di E.C.A.,
idonei allo svolgimento di attività socio-assistenziali, mantengono tale destinazione ed il loro uso è definito
secondo quanto disposto dal Piano.
2. Eventuali deroghe al vincolo di destinazione d'uso dei beni immobili di cui al comma 1, possono essere
eccezionalmente autorizzate dalla Giunta regionale qualora sia stato soddisfatto il fabbisogno di strutture
socio-assistenziali della zona in cui i beni sono ubicati, fermo restando che i relativi proventi sono destinati
permanentemente a finalità socio-assistenziali.
3. I beni immobili di cui al comma 1, che non sono idonei per lo svolgimento di attività socio-assistenziali,
fermo restando che le relative rendite sono vincolate a finalità socio-assistenziali, possono essere alienati,
previa autorizzazione rilasciata dalla Giunta regionale. I relativi proventi sono utilizzati prioritariamente per
la realizzazione, la ristrutturazione e la manutenzione di strutture socio-assistenziali.
4. La Regione promuove l'ottimale utilizzo del patrimonio immobiliare dei Comuni vincolato a finalità
socio-assistenziali, nel rispetto dell'autonomia dei singoli enti, anche mediante proposte di riconversione del
patrimonio non idoneo allo svolgimento di attività socio-assistenziali in strutture direttamente utilizzabili per
le stesse attività (13).
(13) Si veda la Circ. 22 settembre 1998 n. 13/ASA concernente il superamento delle procedure autorizzative
previste dal presente articolo, intervenuto a seguito dell'entrata in vigore della normativa statale di cui alla
legge n. 127 del 1997 e alla legge n. 191 del 1998.
Art. 41 Personale dei servizi socio-assistenziali.
1. Dalla data di assunzione delle funzioni socio-assistenziali da parte degli enti gestori di cui all'articolo 13 e,
comunque, dal 1 gennaio 1997, è trasferito, nelle piante organiche (P.O.) dei Comuni, delle comunità
montane, o dei loro consorzi, il personale dei servizi socio-assistenziali:
a) dei Comuni e delle comunità montane che, alla data del 31 dicembre 1994, era a disposizione del servizio
socio-assistenziale delle preesistenti Unità socio sanitarie locali (U.S.S.L.);
b) delle Province, messo a disposizione dai servizi socio-assistenziali ai sensi della legge regionale 23 aprile
1992, n. 24;
c) delle P.O. funzionali di cui all'articolo 47, comma 3, compreso il personale assunto nelle stesse entro il 31
dicembre 1996, in seguito a specifica autorizzazione regionale.
2. Nel caso di gestione tramite l'Unità sanitaria locale (U.S.L.) il personale, di cui al comma 1, è posto a
disposizione della U.S.L.
3. Le P.O. del personale socio-assistenziale sono attivate nei limiti delle attività esercitate da ciascuno degli
enti di cui all'articolo 13 e sono determinate dagli enti stessi sulla base dei carichi di lavoro necessari per
garantire i livelli programmati delle attività socio-assistenziali.
4. Al personale, di cui al comma 1, si applica la normativa del comparto Enti locali, fatto salvo il
mantenimento ad esaurimento dei trattamenti economici pregressi (14).
(14) Articolo così sostituito dall'art. 4 della L.R. 22 dicembre 1995, n. 94.
Art. 42 Requisiti professionali del personale dei servizi socio-assistenziali.
1. La Regione definisce, nel Piano, nel rispetto della normativa statale in materia, le figure professionali, i
requisiti di accesso del personale addetto ai servizi socio-assistenziali.
2. Nelle more dell'approvazione del Piano le funzioni proprie delle figure professionali di «assistente
domiciliare e dei servizi tutelari» e di «educatore professionale» sono quelle definite nella normativa
regionale vigente.
3. Per lo svolgimento delle funzioni di cui al comma 2, agli operatori è richiesto il possesso rispettivamente:
a) dell'attestato regionale di qualifica di «assistente domiciliare e dei servizi tutelari» o altra qualifica
equipollente, conseguita in esito a corsi specifici riconosciuti dalla Regione;
b) del diploma di «educatore professionale» o di «educatore specializzato» o altro titolo equipollente
conseguito in esito a corsi biennali o triennali post-secondari, riconosciuti dalla Regione o rilasciati
dall'Università.
4. L'assunzione dell'assistente domiciliare e dei servizi tutelari alla IV qualifica funzionale presso gli Enti
pubblici avviene per concorso pubblico.
5. Gli operatori di cui al comma 2, in servizio alla data di entrata in vigore della presente legge e privi dei
requisiti professionali suddetti devono essere riqualificati ai sensi del comma 3, entro i termini stabiliti nel
Piano.
6. Per l'accesso ai posti di «educatore agli handicappati» previsti nelle piante organiche, ai sensi del decreto
del Presidente della Repubblica 25 giugno 1983, n. 347, sono considerati requisiti sufficienti, in deroga a
quanto disposto al comma 3 e fino alla data del 31 dicembre 1995 (15), il diploma di istruzione secondaria di
secondo grado, unitamente ad almeno due anni di esperienza nella funzione, ferma restando la necessità della
successiva riqualificazione ai sensi della normativa vigente.
(15) Il termine è stato prorogato al 31 dicembre 1996 dall'art. 5 della L.R. 22 dicembre 1995, n. 94.
Art. 43 Direttore del servizio socio-assistenziale.
1. Gli Enti di cui all'articolo 13, comma 4, gestori delle funzioni socio-assistenziali, prevedono nella propria
pianta organica un posto di direttore socio-assistenziale con qualifica apicale, secondo i rispettivi
ordinamenti.
2. Il direttore socio-assistenziale deve essere in possesso del diploma di laurea e deve avere svolto per
almeno cinque anni attività di direzione in settori sociali o socio-sanitari di Enti o strutture pubbliche ovvero
in strutture private di medie o grandi dimensioni, ivi comprese quelle del privato sociale.
3. I responsabili-coordinatori dei servizi socio-assistenziali che rivestivano nei rispettivi servizi, alla data del
31 dicembre 1994, qualifiche dirigenziali ovvero posizioni funzionali apicali, assumono, ad esaurimento, la
funzione di direttore socio-assistenziale, mantenendo la posizione funzionale pregressa, a prescindere
dall'eventuale nuova tipologia organizzativa adottata dagli Enti di cui al comma 1.
Capo VIII - Disposizioni finanziarie
Art. 44
Modalità di finanziamento delle attività socio-assistenziali.
1. Fatti salvi i finanziamenti provenienti dallo Stato vincolati a specifiche finalità, le attività socioassistenziali di cui all'articolo 22 sono finanziate dai Comuni, con il concorso della Regione e degli utenti,
nonché dal Fondo sanitario regionale per le specifiche attività di cui all'articolo 16, secondo quanto previsto
dalla normativa vigente e dalle convenzioni di cui all'articolo 16.
2. I Comuni che partecipano alla gestione associata dei servizi socio-assistenziali, sono tenuti ad iscrivere nel
proprio bilancio le quote di finanziamento stabilite dall'organo associativo competente e ad operare i relativi
trasferimenti in termini di cassa alle scadenze previste dai soggetti gestori.
3. La Regione ripartisce annualmente con deliberazione del Consiglio Regionale, i criteri definiti dal Piano
verificati annualmente in ordine alla necessità di garantire la realizzazione di servizi qualitativamente e
quantitativamente omogenei sul territorio, il Fondo per la gestione delle attività socio- assistenziali, che fa
capo a tre distinti capitoli del bilancio regionale, denominati (16):
a) Fondo per la gestione delle attività socio-assistenziali: risorse regionali;
b) Fondo per la gestione delle attività socio-assistenziali: trasferimenti dalle Province [L.R. n. 24 del 1992];
c) Fondo per la gestione delle attività socio-assistenziali: assegnazioni statali non vincolate.
4. Ai fini della predisposizione della programmazione locale, la Regione comunica annualmente, in via
presuntiva, prima della data entro la quale gli Enti gestori sono tenuti a presentare il bilancio di previsione,
l'ammontare delle quote del Fondo per la gestione delle attività socio-assistenziali spettanti a ciascun Ente
per l'anno successivo. Le risorse regionali di cui al comma 3, lettera a), non devono essere complessivamente
inferiori a quelle dell'anno in corso, incrementate del tasso di inflazione programmato.
5. Le funzioni delegate e subdelegate sono finanziate dalla Regione mediante l'istituzione, a partire
dall'esercizio finanziario 1996, di due capitoli con la denominazione rispettivamente di «Funzioni socioassistenziali delegate: Vigilanza - assegnazione di finanziamenti agli Enti delegati» e «Funzioni socioassistenziali delegate: formazione professionale - assegnazione di finanziamenti agli Enti delegati», la cui
dotazione è definita dalle leggi di approvazione del bilancio. Le relative risorse sono ripartite tra gli Enti
delegati secondo i criteri definiti dal Piano.
6. Per le finalità di cui all'articolo 9, comma 2, lettera e), a partire dall'esercizio finanziario 1996, sono
istituiti due capitoli con la denominazione rispettivamente di «Spese per attività di formazione, informazione,
studi, ricerche e progetti nel settore socio-assistenziale» e «Contributi a terzi per attività di formazione, di
informazione, studi, ricerche e progetti nel settore socio-assistenziale», la cui dotazione è definita dalle leggi
di approvazione del bilancio.
(16) I criteri per il riparto del fondo per la gestione delle attività di cui al presente articolo ono stati approvati
con Delib.C.R. 29 febbraio 2000, n. 624.
Art. 45 Titolarità degli oneri degli interventi socio-assistenziali.
1. Gravano sui Comuni, nel rispetto delle modalità di gestione di cui all'articolo 13, gli oneri inerenti gli
interventi socio-assistenziali di cui all'articolo 22, erogati agli aventi diritto che presso tali Comuni abbiano
acquisito e detengano, ai sensi della legge n. 6972 del 1890, il domicilio di soccorso.
2. L'organizzazione e l'erogazione degli interventi socio-assistenziali non differibili di cui all'articolo 21, nel
rispetto delle modalità di gestione di cui all'articolo 13, sono effettuati dal Comune nel cui territorio il
destinatario degli interventi stessi risiede o dimora, anche quando l'onere finanziario degli interventi gravi, ai
sensi delle disposizioni inerenti al domicilio di soccorso, su altro Comune della Regione. È fatto salvo il
diritto dell'Ente erogante di rivalersi nei confronti del Comune sede del domicilio di soccorso dell'assistito o,
in caso di assistenza a cittadini stranieri, secondo quanto disposto dalla normativa vigente.
3. Ai sensi dell'articolo 72 della legge n. 6972 del 1890, comma 1, n. 1, come modificato dall'articolo 5 della
legge 26 aprile 1954, n. 251, il domicilio di soccorso si determina sulla base della effettiva dimora
ultrabiennale in un Comune, indipendentemente dalla iscrizione anagrafica nello stesso o dalla sua
cancellazione.
4. Qualora l'avente diritto sia collocato in affidamento familiare a terzi o in Comunità di tipo familiare o
ospitato in strutture residenziali situate nel territorio di un Comune diverso da quello sede del domicilio di
soccorso, gli oneri finanziari relativi al ricovero continuano a gravare, anche in caso di trasferimento di
residenza, sul Comune sede di tale domicilio.
Art. 46 Concorso degli utenti al costo degli interventi socio-assistenziali.
1. Gli utenti concorrono, secondo quanto definito dagli atti di programmazione locale in conformità con i
criteri individuati dal Piano, alla copertura dei costi degli interventi, fatta salva la facoltà degli Enti gestori di
intervenire, senza oneri a carico degli utenti, in presenza di specifici progetti individuati nel Piano, per la
tutela di particolari soggetti esposti a rischio di emarginazione.
2. In ogni caso va riservata alla disponibilità dell'utente, per esigenze personali, una quota di reddito la cui
misura minima è determinata con apposita deliberazione di Giunta regionale.
Capo IX - Norme transitorie e finali
Art. 47
Gestione delle attività socio-assistenziali - Fase transitoria.
(giurisprudenza) 1. Nelle more della costituzione del nuovo ordinamento previsto dalla presente legge e fino
al 31 dicembre 1995, per assicurare la continuità delle attività socio-assistenziali, le U.S.L. esercitano,
secondo le modalità organizzative e gestionali in vigore al 31 dicembre 1994, ai sensi della legge regionale
23 agosto 1982, n. 20 e successive modificazioni ed integrazioni e della L.R. n. 44 del 1991, le funzioni
socio-assistenziali precedentemente svolte dalle preesistenti USSL. Resta salva la facoltà degli Enti locali di
gestire le attività socio-assistenziali secondo le altre modalità previste all'articolo 13, comma 2, anche in
vigenza della fase transitoria.
2. Nel periodo transitorio e, comunque, fino alla definizione dei livelli minimi delle attività socioassistenziali da parte del Piano, devono essere comunque salvaguardati i livelli delle attività socioassistenziali già erogate sulla base delle modalità e degli standard fissati nella legge regionale 23 aprile 1990,
n. 37 e nelle deliberazioni attuative.
3. Per il periodo transitorio di cui al comma 1, le piante organiche funzionali dei servizi socio-assistenziali,
istituite ai sensi dell'articolo 31-bis della L.R. n. 20 del 1982 e successive modificazioni ed integrazioni, sono
quelle provvisoriamente rideterminate ai sensi dell'articolo 3, comma 6, della legge 24 dicembre 1993, n.
537, ovvero quelle rideterminate ai sensi dell'articolo 3, comma 11, della legge n. 537 del 1993 e dall'articolo
31 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 e approvate dalla Giunta regionale.
4. Fino alla data del 31 dicembre 1995, al concorso per la copertura del posto di funzionario di area socioassistenziale nelle piante organiche di cui al comma 3, possono partecipare gli operatori inquadrati nelle
piante organiche di cui alla L.R. n. 20 del 1982 e successive modificazioni ed integrazioni, ovvero i
dipendenti di Enti pubblici formalmente messi a disposizione funzionale delle suddette piante organiche, che
si trovino, alla data di entrata in vigore della presente legge, nelle seguenti situazioni:
a) personale direttivo, in possesso del diploma di scuola secondaria di secondo grado, responsabile dei
servizi sociali ovvero delle attività distrettuali o integrative e delegate, con incarico formalmente attribuito da
almeno quattro anni;
b) assistenti sociali in possesso dei requisiti di cui alla legge 23 marzo 1993, n. 84, con almeno sei anni di
effettivo servizio prestato nella qualifica presso pubbliche Amministrazioni.
5. L'assunzione del personale di cui al comma 4 avviene per concorso pubblico.
Art. 48 Personale del servizio socio-assistenziale - Fase transitoria.
1. Il personale di cui all'articolo 41, comma 1, e comunque operante al 31 dicembre 1994 presso i servizi
socio-assistenziali delle preesistenti U.S.S.L., è assegnato alle U.S.L. di riferimento provvisoriamente e
mantenendo il rapporto costituito a tale data, fino all'attivazione delle piante organiche degli Enti di cui
all'articolo 13.
2. È altresì assegnato provvisoriamente alle U.S.L., nei termini di cui al comma 1, il personale assunto nelle
piante organiche, di cui all'articolo 47, comma 3, nel corso del 1995 in seguito a specifica autorizzazione
regionale.
Art. 49 Responsabile del servizio socio-assistenziale - Fase transitoria.
1. I responsabili del servizio socio-assistenziale - coordinatori sociali, già inquadrati nella pianta organica del
servizio socio-assistenziale o formalmente incaricati della funzione alla data di entrata in vigore della L.R. n.
39/1994 mantengono la funzione di responsabile del servizio socio-assistenziale per la vigenza della fase
transitoria, nell'ambito territoriale di ogni singola preesistente USSL.
2. Il direttore generale dell'U.S.L., per l'adozione degli atti in materia socio-assistenziale, acquisisce il parere
del responsabile del servizio socio-assistenziale interessato.
3. I responsabili del servizio socio-assistenziale, di cui al comma 1, con qualifica dirigenziale ovvero apicale,
sono inquadrati nella pianta organica degli Enti di cui all'articolo 13, comma 4, ad avvenuta costituzione dei
medesimi, in qualità di direttore socio-assistenziale, fatto salvo quanto stabilito dall'articolo 43, comma 3.
4. Possono accedere al posto di direttore socio-assistenziale, tramite concorso e fino al 31 dicembre 1995 i
dipendenti formalmente incaricati della funzione di responsabile alla data di entrata in vigore della L.R. n. 39
del 1994 ai sensi della L.R. n. 20 del 1982 e successive modificazioni ed integrazioni ancorché non in
possesso dei requisiti di cui all'articolo 43.
Art. 50 Gestione delle attività delegate e subdelegate.
1. Nella fase transitoria le funzioni delegate e subdelegate di cui alla L.R. n. 20 del 1982 e successive
modificazioni ed integrazioni sono esercitate, tramite le U.S.L., secondo le procedure già attivate dalle
preesistenti U.S.S.L.
2. Nel periodo transitorio di cui al comma 1, le funzioni delegate sono, altresì, esercitate dalle associazioni
dei comuni e dai consorzi costituiti, ai sensi degli articoli 24 e 25 della legge 8 giugno 1990, n. 142 per la
gestione dei servizi socio-assistenziali negli ambiti territoriali di cui alla legge regionale 9 luglio 1976, n. 41,
dalle comunità montane che gestiscano detti servizi entro i medesimi ambiti territoriali, nonché dal Comune
di Torino per quanto attiene al suo territorio (17).
(17) Comma così sostituito dall'art. 6 della L.R. 22 dicembre 1995, n. 94.
Art. 51 Norme finanziarie - Fase transitoria.
1. Per l'anno 1995 le U.S.L. predispongono separata contabilizzazione per la gestione delle attività socioassistenziali previste dall'articolo 47, che vengono finanziate ai sensi della L.R. n. 20 del 1982 e successive
modificazioni ed integrazioni.
2. I criteri di riparto del Fondo per la gestione delle attività socio-assistenziali per l'anno 1995 restano quelli
già individuati all'articolo 35 della L.R. n. 20 del 1982 e successive modifiche ed integrazioni.
3. Per l'esercizio finanziario 1995 resta operante il piano dei conti già attivato con riferimento alla L.R. n.
20 del 1982 e successive modifiche ed integrazioni.
Art. 52 Amministrazione delle Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza già concentrate o
amministrate dagli Enti comunali di assistenza.
1. Fino all'entrata in vigore della legge di riforma dell'assistenza pubblica e delle relative leggi regionali di
attuazione, si provvede all'amministrazione ordinaria e straordinaria delle I.P.A.B., già concentrate o
amministrate dagli E.C.A., attraverso un Collegio commissariale composto da cinque membri, nominati dal
Comune in cui l'Ente ha sede legale.
2. In seno al predetto Collegio è garantita la rappresentanza della minoranza consiliare nonché eventuali
componenti di diritto, qualora previsti nello Statuto dell'Ente.
3. I Consiglieri comunali non possono essere nominati membri del Collegio commissariale per
incompatibilità fra i due incarichi.
4. Il Presidente del Collegio è eletto dal Collegio stesso fra i propri componenti.
5. Il Collegio commissariale dura in carica quanto il Consiglio Comunale che lo ha nominato.
6. La nomina del Collegio commissariale deve avvenire entro novanta giorni dal rinnovo del Consiglio
Comunale.
7. Per la validità delle adunanze e delle deliberazioni si applicano le norme della legge n. 6972 del 1890 e del
relativo Regolamento di esecuzione, approvato con regio decreto 5 febbraio 1891, n. 99, nonché dei relativi
Statuti, in quanto compatibili.
Art. 53 Articoli 12, 13 e 14 della legge regionale 6 gennaio 1978, n. 2 - Abrogazione.
1. Gli articoli 12, 13 e 14 della legge regionale 6 gennaio 1978, n. 2, sono abrogati.
Art. 54 Legge regionale 23 agosto 1982, n. 20 e legge regionale 3 settembre 1991, n. 44 - Abrogazione.
1. Sono abrogate le L.R. n. 20 del 1982 e n. 44 del 1991, ad esclusione delle norme delle leggi medesime
regolanti il periodo transitorio, di cui all'articolo 47, fino alla sua scadenza.
Art. 55 Dichiarazione d'urgenza.
La presente legge è dichiarata urgente ai sensi dell'art. 45 dello Statuto ed entra in vigore il giorno stesso
della sua pubblicazione sul Bollettino Ufficiale della Regione Piemonte.
De Agostini Professionale - LEGGI REGIONALI D'ITALIA
Aggiornamento al BU 28/05/2002
Regione: Piemonte
6. ASSISTENZA E BENEFICENZA PUBBLICA Disposizioni di carattere generale
L.R. 4 agosto 1997, n. 43
Promozione della rete di strutture socio-assistenziali destinate a persone disabili.
Art. 1 Finalità
1. Con la legge la Regione promuove il potenziamento della rete di strutture socio-assistenziali
semiresidenziali e residenziali destinate a persone disabili.
Art. 2 Strutture ammissibili ai contributi
1. Per la realizzazione delle finalità di cui all'art. 1, la Regione concede a soggetti pubblici e privati
contributi in conto capitale per l'acquisto, la ristrutturazione, la nuova costruzione, gli arredi e le attrezzature
di immobili destinati a:
a) centri diurni socio terapeutici educativi (RAF diurne);
b) centri diurni socio terapeutici educativi (RAF diurne), con nucleo di dieci posti di residenzialità notturna;
c) residenze assistenziali flessibili (RAF).
2. La Regione concede, altresì, a soggetti pubblici e privati contributi in conto capitale per l'attivazione, a
favore di disabili intellettivi, di gruppi appartamento, inseriti in normali contesti abitativi, con una capacità
massima di sei posti letto e con i requisiti strutturali previsti dalla normativa in materia di edilizia
residenziale pubblica.
3. I contributi di cui al presente articolo sono concessi a condizione che consentano il completo
funzionamento delle strutture alle quali sono destinati.
Art. 3 Entità dei contributi
1. I contributi destinati alle strutture di cui all'art. 2, comma 1, sono assegnati fino alla misura massima del
50 per cento dell'importo totale del progetto.
2. I contributi destinati alle strutture di cui all'art. 2, comma 2, variano da un minimo di L. 5 milioni ad un
massimo di L. 10 milioni per posto letto.
Art. 4 Criteri per l'assegnazione dei contributi e modalità di presentazione delle domande
1. I criteri per l'assegnazione dei contributi di cui all'articolo 2 e le modalità di presentazione delle domande
sono individuati con deliberazione della Giunta regionale previo parere della Commissione consiliare
competente, da adottarsi entro sessanta giorni dall'entrata in vigore della legge. I suddetti criteri terranno
conto degli obiettivi del Piano regionale socio-assistenziale e del fabbisogno rilevato sul territorio .
2. La deliberazione di cui al comma 1 individua, altresì, i requisiti gestionali dei gruppi appartamento ai fini
della loro autorizzazione quali presidi socio-assistenziali.
3. Le domande di ammissione ai contributi per la realizzazione delle strutture di cui all'articolo 2, comma 1,
devono essere corredate dalla seguente documentazione:
a) titolo comprovante la proprietà o la disponibilità d'uso almeno ventennale dell'area o dell'immobile
oggetto dell'intervento;
b) statuto dell'ente o associazione richiedente, oppure, per i soggetti privati, certificato di iscrizione alla
Camera di Commercio, attestante l'assenza di procedimenti concorsuali relativi agli istituti fallimentari;
c) relazione illustrativa delle funzioni e delle caratteristiche organizzative e gestionali del presidio che
consenta, in particolare, la valutazione dell'intervento sulla base dei criteri di cui al comma l;
d) progetto preliminare dell'intervento strutturale previsto, ai sensi dell'articolo 16, comma 3, della legge 11
febbraio 1994, n. 109 (Legge quadro in materia di lavori pubblici);
e) atto formale di approvazione del progetto preliminare e della relativa copertura finanziaria.
4. Le domande di ammissione ai contributi per le strutture di cui all'articolo 2, comma 2, devono essere
corredate del titolo comprovante la proprietà o la disponibilità, per almeno sei anni, dell'immobile sede del
gruppo appartamento, nonché della documentazione di cui al comma 3, lettere b) e c).
5. La documentazione comprovante la proprietà o la disponibilità dell'area dell'immobile oggetto
dell'intervento, gli elementi dell'atto costitutivo e l'iscrizione alla Camera di Commercio, può essere sostituita
dalle dichiarazioni previste dalla legge 4 gennaio 1968, n. 15 (Norme sulla documentazione amministrativa e
sulla legalizzazione ed autenticazione di firme) e dalle dichiarazioni temporaneamente sostitutive rilasciate
ai sensi del D.P.R. 25 gennaio 1994, n. 130 (Regolamento recante norme attuative della legge 4 gennaio
1968, n. 15 con particolare riferimento all'articolo 3 e ad altre disposizioni in materia di dichiarazioni
sostitutive)
6. I contributi sono assegnati con deliberazione della Giunta regionale contenente le graduatorie delle
richieste ammissibili al finanziamento, l'elenco delle richieste escluse e l'ammontare del contributo destinato
a ciascun intervento.
7. L'Assessore regionale all'assistenza riferisce annualmente alla Commissione consiliare competente in
merito all'attuazione della legge.
Art. 5 Verifiche di congruità con la programmazione regionale
1. Gli interventi di cui all'articolo 2, comma 1, devono risultare congrui rispetto alle indicazioni della
programmazione regionale e della L.R. 13 aprile 1995 n. 62 «Norme per l'esercizio delle funzioni socioassistenziali».
2. La verifica di congruità è effettuata dal settore competente, previo parere favorevole dell'Azienda sanitaria
locale (ASL) e del soggetto gestore dell'attività socio-assistenziale competente per territorio, ai sensi
dell'articolo 13, comma 4, della L.R. n. 62 del 1995. Nei pareri, rilasciati in base alle rispettive competenze,
deve risultare che i presidi oggetto di intervento sono coordinati ed integrati nell'ambito della rete dei servizi
sociali e sanitari del territorio in cui sono ubicati.
3. L'espressione dei pareri favorevoli di cui al comma 2 è condizione necessaria per la successiva stipula di
convenzioni tra i presidi ai quali è stato assegnato il contributo ai sensi dello legge e l'ASL a garanzia dello
svolgimento delle attività a rilievo sanitario.
Art. 6 Modalità di concessione e di erogazione dei contributi di cui all'articolo 2, comma 1
1. La concessione dei contributi destinati alla realizzazione delle strutture di cui all'articolo 2, comma 1, è
disposta con decreto del Presidente della Giunta regionale, in sede di approvazione del progetto definitivo,
redatto ai sensi dell'articolo 16, comma 4, della L. n. 109 del 1994 e presentato entro i termini stabiliti
dall'atto di assegnazione.
2. Il progetto definitivo di cui al comma 2 è corredato di:
a) concessione edilizia e altri pareri tecnici previsti dalla legge;
b) atto formale di approvazione degli elaborati di progetto e della relativa copertura finanziaria.
3. Il settore competente provvede ad assumere, entro sessanta giorni dalla presentazione del progetto
definitivo, il parere del Servizio opere pubbliche e difesa del suolo o del Comitato regionale opere pubbliche,
ai sensi della L.R. 21 marzo 1984, n. 18 (Legge generale in materia di opere e lavori pubblici).
4. Il decreto di concessione indica il termine di inizio dei lavori e stabilisce altresì il termine di ultimazione
degli stessi conformemente a quanto previsto dal progetto definitivo.
5. L'erogazione del contributo è effettuata con le seguenti modalità: 30 per cento alla stipula del contratto dei
lavori, previa presentazione dell'atto di vincolo di cui all'articolo 8; 30 per cento allo stato di avanzamento
pari al 30 per cento dei lavori appaltati; 30 per cento a fine lavori; 10 per cento alla presentazione del
certificato di collaudo e del titolo di autorizzazione al funzionamento.
6. Il mancato rispetto delle condizioni stabilite nell'atto di concessione comporta la decadenza dal contributo,
salva l'eventuale proroga dei termini di inizio ed ultimazione lavori concessa dal Presidente della Giunta
regionale per un periodo complessivo comunque non superiore a nove mesi.
7. La Giunta regionale, nel pronunciare la decadenza dal finanziamento, dispone la cancellazione del relativo
impegno ed il recupero delle somme eventualmente erogate. Nel caso sia stata realizzata solo una parte di
opere, purché consistente in un lotto agibile, la Giunta regionale può disporre la riduzione del contributo in
misura corrispondente al costo delle opere realizzate.
Art. 7 Modalità di erogazione dei contributi di cui all'articolo 2, comma 2
1. I contributi di cui all'articolo 2, comma 2, sono erogati, in unica soluzione, ad avvenuta comunicazione
dell'autorizzazione al funzionamento, quali presidi socio-assistenziali dei gruppi appartamento per i quali
sono stati assegnati.
Art. 8 Vincolo di destinazione
1. Le strutture immobiliari di cui all'articolo 2, comma 1, per le quali vengono concessi i contributi, sono
soggette al vincolo di destinazione d'uso socio-assistenziale della durata di venti anni.
2. Il vincolo è reso pubblico mediante trascrizione presso la competente conservatoria dei registri
immobiliari a cura e spese dei beneficiari.
3. La Giunta regionale, su richiesta motivata del soggetto interessato, può autorizzare il mutamento di
destinazione d'uso dell'immobile, previa restituzione del contributo percepito ed il pagamento di una somma
pari all'1,5 per cento dell'importo complessivo del contributo medesimo per ciascun anno mancante al
raggiungimento dei venti anni di vincolo di cui al comma 1.
4. Le strutture immobiliari di cui all'articolo 2, comma 2, per le quali sono concessi i contributi, sono
vincolate a mantenere la destinazione d'uso socio-assistenziale per la durata di sei anni. La destinazione d'uso
è verificata mediante l'attività di vigilanza e l'inosservanza del vincolo determina la restituzione del
contributo percepito ed il pagamento di una somma pari al 5 per cento dell'importo complessivo del
contributo medesimo per ciascun anno mancante al raggiungimento dei sei anni.
5. Per le suddette strutture è ammessa la possibilità di variazione d'uso per altra tipologia di utenza
nell'ambito socio-assistenziale, in funzione di documentata necessità e a condizione che tale variazione non
pregiudichi il soddisfacimento quali-quantitativo delle esigenze dei soggetti disabili.
Art. 9 Disposizioni finanziarie
1. Per l'attuazione della presente legge è autorizzata per l'anno finanziario 1998 la spesa di lire 8 miliardi.
2. Nel bilancio regionale per l'anno finanziario 1998 sono istituiti i seguenti capitoli:
a) "Contributi a soggetti pubblici per la realizzazione di RAF e di RAF diurne per soggetti disabili", con la
dotazione di lire 4 miliardi;
b) "Contributi a soggetti privati per la realizzazione di RAF e di RAF diurne per soggetti disabili", con la
dotazione di lire 2 miliardi;
c) "Contributi a soggetti pubblici per l'attivazione di gruppi appartamento per disabili intellettivi", con la
dotazione di lire 1 miliardo e 300 milioni;
d) "Contributi a soggetti privati per l'attivazione di gruppi appartamento per disabili intellettivi", con la
dotazione di lire 700 milioni.
3. Tra i capitoli di bilancio di cui al comma 2 possono essere effettuate variazioni compensative con atto
amministrativo.
4. Alla spesa complessiva di lire 8 miliardi si fa fronte con la riduzione di pari ammontare della dotazione del
capitolo 27170/98.
De Agostini Professionale - LEGGI REGIONALI D'ITALIA
Aggiornamento al BU 20/08/2002
Regione: Piemonte
20. ENTI LOCALI Disposizioni di carattere generale ed ordinamento
L.R. 26 aprile 2000, n. 44
Disposizioni normative per l'attuazione del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 «Conferimento di
funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della
legge 15 marzo 1997, n. 59»
(articoli estratti)
Capo III - Servizi sociali
Art. 113 Oggetto.
1. Il presente capo individua le funzioni di competenza della Regione e degli Enti locali nel sistema integrato
dei servizi e degli interventi sociali, così come definito dalla legge 8 novembre 2000, n. 328 (Legge quadro
per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali) (66).
(66) Il titolo VIII, nel quale è compreso il presente articolo, è stato aggiunto dall'art. 10, L.R. 15 marzo
2001, n. 5.
Art. 114 Funzioni della Regione.
1. Nell'ambito delle proprie funzioni di programmazione, indirizzo e coordinamento, sono di competenza
della Regione le seguenti funzioni amministrative:
a) l'adozione del piano regionale degli interventi e dei servizi sociali provvedendo, in particolare,
all'integrazione socio-sanitaria e al coordinamento con le politiche dell'istruzione, della formazione
professionale e del lavoro;
b) la raccolta e l'elaborazione dei dati sui bisogni, sulle risorse e sull'offerta dei servizi socio- assistenziali,
realizzando il sistema informativo regionale dei servizi sociali, in raccordo con il livello nazionale,
provinciale e locale;
c) la definizione degli ambiti territoriali ottimali per la gestione dei servizi, nonché gli strumenti e le
modalità di intervento per la creazione dei sistemi locali dei servizi sociali;
d) la definizione, sulla base dei requisiti minimi definiti dallo Stato, dei criteri per l'autorizzazione,
l'accreditamento e la vigilanza delle strutture e dei servizi sociali a gestione pubblica o privata;
e) l'istituzione del registro dei soggetti autorizzati all'erogazione di interventi e servizi sociali;
f) la definizione dei requisiti di qualità per gli interventi e le prestazioni sociali;
g) la definizione, sulla base delle indicazioni fornite a livello nazionale, dei criteri per la concessione dei
titoli per l'acquisto di servizi sociali e per la determinazione del concorso degli utenti al costo delle
prestazioni;
h) la promozione di forme di assistenza tecnica per gli enti gestori dei servizi sociali, predisponendo
strumenti di controllo di gestione atti a valutare l'efficacia e l'efficienza dei servizi;
i) la promozione della sperimentazione di modelli innovativi di servizi;
j) la gestione di finanziamenti previsti da specifiche leggi regionali di promozione in materia di servizi
sociali, fatta salva quella oggetto di specifico trasferimento o delega;
k) la programmazione, l'indirizzo e il coordinamento delle attività formative per il personale dei servizi
sociali, nonché la vigilanza e il controllo sullo svolgimento di tali attività;
l) la definizione degli standard formativi degli operatori dei servizi sociali, nell'ambito dei requisiti generali
definiti dallo Stato;
m) la definizione dei criteri per la determinazione delle tariffe che i comuni corrispondono ai soggetti
accreditati;
n) la concessione, in regime di convenzione con l'Istituto nazionale previdenza sociale (I.N.P.S.), ai sensi
dell'articolo 80, comma 8, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato - Legge finanziaria 2001) dei nuovi trattamenti economici a favore degli
invalidi civili di cui all'articolo 130, comma 2 del D.Lgs. n. 112/1998 e la relativa legittimazione passiva nei
procedimenti giurisdizionali ed esecutivi, nonché la determinazione e la concessione di eventuali benefici
aggiuntivi, rispetto a quelli determinati con legge dello Stato, a favore degli invalidi civili;
o) l'esercizio dei poteri sostitutivi nei confronti degli Enti locali inadempienti rispetto a quanto stabilito dagli
articoli 6, comma 2, lettere a), b) e c), e 19 della legge n. 328/2000;
p) in via transitoria, fino all'entrata in vigore della legge regionale di recepimento dei provvedimenti
nazionali attuativa dell'articolo 9, comma 1, lettera c) della legge n. 328/2000, l'autorizzazione e la vigilanza
relative alle Residenze sanitarie assistenziali (R.S.A.) gestite direttamente dalle A.S.L.;
q) la tenuta e la pubblicazione del registro regionale delle organizzazioni di volontariato, nonché dell'albo
regionale delle cooperative sociali, quali aggregazioni delle sezioni provinciali degli stessi;
r) in via transitoria, fino all'emanazione della legge regionale attuativa del decreto legislativo sulla disciplina
delle Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza (I.P.A.B.):
1) il riconoscimento della personalità giuridica di diritto privato delle I.P.A.B.;
2) l'esercizio di tutte le funzioni concernenti le I.P.A.B. previste dalla legge 17 luglio 1890, n. 6972
(Norme sulle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza) fatte salve quelle oggetto di delega di cui
all'articolo 115;
3) l'approvazione di modifiche statutarie e istituzionali, comprese le estinzioni, delle ex I.P.A.B.
privatizzate (67).
(67) Il titolo VIII, nel quale è compreso il presente articolo, è stato aggiunto dall'art. 10, L.R. 15 marzo 2001,
n. 5.
Art. 115 Funzioni delle province.
1. Sono di competenza delle province le seguenti funzioni amministrative:
a) il concorso alla programmazione regionale mediante la presentazione di proposte, concordate con gli enti
gestori dei servizi sociali, contenenti l'indicazione delle attività da svolgersi sul territorio di competenza nel
periodo di riferimento della programmazione stessa e individuate sulla base dei bisogni rilevati sul territorio
medesimo;
b) la promozione del coordinamento dei servizi sociali locali, affinché si realizzi un'equilibrata distribuzione
di servizi sul proprio territorio, mediante l'istituzione di apposite conferenze con gli enti gestori dei servizi
sociali e con gli altri soggetti del proprio territorio coinvolti nella realizzazione dei servizi;
c) la raccolta ed elaborazione dei dati sui bisogni, sulle risorse e sull'offerta dei servizi del territorio di
competenza, anche con analisi mirate su fenomeni rilevanti in ambito provinciale, in raccordo con i sistemi
informativi dei servizi sociali regionali e locali;
d) la diffusione, di concerto con gli enti gestori precitati, dell'informazione in materia di servizi sociali sul
proprio territorio;
e) l'istituzione dell'ufficio provinciale di pubblica tutela per l'esercizio di funzioni di tutore ad esse deferite
dalle competenti autorità giudiziarie e per la consulenza a favore di altri soggetti individuati come tutori dalle
autorità stesse.
2. Sono trasferite alle province le seguenti funzioni amministrative:
a) l'istituzione della sezione provinciale dell'albo delle cooperative sociali, l'iscrizione e la cancellazione
dall'albo stesso, nonché i relativi adempimenti amministrativi previsti dalla normativa vigente;
b) l'istituzione della sezione provinciale del registro delle organizzazioni di volontariato, l'iscrizione e la
cancellazione dal registro stesso, nonché i relativi adempimenti amministrativi previsti dalla normativa
vigente;
c) il rilascio delle autorizzazioni all'attivazione dei corsi di formazione degli operatori dei servizi sociali, la
nomina delle commissioni esaminatrici e il rilascio degli attestati su moduli predisposti dalla Regione;
d) l'autorizzazione agli svincoli di destinazione degli asili-nido comunali realizzati con i piani di
finanziamento regionale.
3. Sono delegate alle province le seguenti funzioni amministrative:
a) in via transitoria, fino all'emanazione della legge regionale attuativa del decreto legislativo sulla disciplina
delle I.P.A.B.:
1) la vigilanza sugli organi e sull'attività amministrativa delle I.P.A.B.;
2) la nomina dei membri dei consigli di amministrazione delle I.P.A.B., quando questa sia di competenza
regionale e la dichiarazione di decadenza dei membri dei Consigli di Amministrazione delle I.P.A.B. nei casi
previsti dalla legge;
b) le funzioni di controllo pubblico, previste dagli articoli 23 e 25 del codice civile, sull'amministrazione
delle persone giuridiche private di cui all'articolo 12 del codice civile, operanti in materia di servizi sociali;
c) la concessione di contributi previsti dalle specifiche leggi regionali di settore alle organizzazioni di
volontariato e alle cooperative sociali, ad eccezione di quelli previsti dagli articoli 16 e 17 della legge
regionale 9 giugno 1994, n. 18 (Norme di attuazione della legge 8 novembre 1991, n. 381 "Disciplina delle
cooperative sociali"), sulla base di criteri e modalità definiti dalla Regione, d'intesa, con le province;
d) la concessione dei finanziamenti per la realizzazione dei corsi di formazione degli operatori dei servizi
sociali, sulla base dei criteri e delle modalità definite dalla Regione, d'intesa con le province;
e) la concessione di contributi per la gestione degli asili-nido comunali, sulla base dei criteri e delle modalità
definite dalla Regione, d'intesa con le province;
f) la predisposizione dei piani territoriali provinciali di intervento ai sensi della legge 28 agosto 1997, n. 285
(Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l'infanzia e l'adolescenza) e il relativo controllo
gestionale dei progetti e dei contributi (69).
(69) Il titolo VIII, nel quale è compreso il presente articolo, è stato aggiunto dall'art. 10, L.R. 15 marzo
2001, n. 5.
Art. 116 Funzioni dei comuni.
1. I comuni, in forma singola o associata, mediante gestione diretta o delegata, secondo quanto stabilito dalla
legge regionale sull'ordinamento dei servizi sociali:
a) programmano e realizzano il sistema locale degli interventi sociali a rete , stabilendone le forme di
organizzazione, i princìpi di coordinamento, i criteri gestionali e le modalità operative ed erogano i relativi
servizi;
b) esercitano le funzioni in materia di servizi sociali già di competenza delle province, ai sensi dell'articolo 8,
comma 5, della L. n. 328/2000 e secondo quanto sarà previsto da specifica legge regionale in materia;
c) sono titolari delle funzioni amministrative relative all'autorizzazione, alla vigilanza e all'accreditamento
dei servizi sociali e delle strutture a ciclo residenziale o semiresidenziale, fatto salvo quanto previsto, in via
transitoria, al comma 2;
d) elaborano ed adottano, mediante un accordo di programma i piani di zona relativi agli ambiti territoriali
individuati in sede di programmazione regionale, al fine di garantire l'integrazione del sistema dei servizi
sociali con la collaborazione di tutti i soggetti, pubblici e privati, che possano concorrere alla gestione e allo
sviluppo;
e) promuovono forme innovative di collaborazione per lo sviluppo di interventi di auto-aiuto e per favorire la
reciprocità tra i cittadini nell'ambito della vita comunitaria;
f) coordinano programmi, attività, progetti degli enti che operano nell'ambito di competenza tramite
operatività tra i servizi che realizzano attività, volte all'integrazione sociale, ed intese con le A.S.L., per le
attività socio-sanitarie e per i piani di zona;
g) adottano la carta dei servizi di cui all'articolo 13 della L. n. 328/2000 e garantiscono ai cittadini il diritto di
partecipare alla verifica della qualità dei servizi.
2. In via transitoria, fino all'entrata in vigore della legge regionale di recepimento dei provvedimenti
nazionali attuativi dell'articolo 9, comma 1, lettera c) della L. n. 328/2000, sono delegate alle A.S.L. le
seguenti funzioni amministrative:
a) autorizzazioni e vigilanza relative alle RSA non gestite direttamente dalle A.S.L.;
b) autorizzazioni e vigilanza relative ai presìdi socio-assistenziali, ad esclusione dei presìdi ubicati nel
Comune di Torino, per i quali le attività suddette vengono svolte dal Comune stesso (70).
(70) Il titolo VIII, nel quale è compreso il presente articolo, è stato aggiunto dall'art. 10, L.R. 15 marzo 2001,
n. 5.
Art. 117 Funzioni delle A.S.L.
1. È trasferita alle A.S.L., l'assegnazione delle indennità spettanti ai cittadini affetti da tubercolosi (TBC) non
assistiti dall'I.N.P.S., ai sensi della legge 4 marzo 1987, n. 88 (Provvedimenti a favore dei tubercolotici) (71).
(71) Il titolo VIII, nel quale è compreso il presente articolo, è stato aggiunto dall'art. 10, L.R. 15 marzo 2001,
n. 5.
Art. 118 Modificazioni ed abrogazioni alla L.R. n. 18/1994 e alla L.R. n. 62/1995.
1. (72).
2. La lettera b) del comma 1 dell'articolo 33 della legge regionale 13 aprile 1995, n. 62 (Norme per l'esercizio
delle funzioni socio-assistenziali) è abrogata (73).
(72) Aggiunge la lettera d-bis) al comma 1 dell'art. 22, L.R. 9 giugno 1994, n. 18.
(73) Il titolo VIII, nel quale è compreso il presente articolo, è stato aggiunto dall'art. 10, L.R. 15 marzo 2001,
n. 5.
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