MarcoPolo e l'Oriente
Marco Polo, suo padre Nicolò e suo zio Matteo, vissero molti anni alla splendida corte di Kublai
Khan signore del potente impero mongolo. Desiderosi di rivedere la loro terra natale, alla fine
convinsero l'imperatore - che ormai stava invecchiando - a rimandarli a casa. Quando vide che
erano pronti per la partenza, il Gran Khan diede loro due tavolette, sulle quali era scritto che
potevano viaggiare liberamente attraverso il suo regno e che dovunque andavano dovevano ricevere
provviste per sé e il loro seguito. Consegnò loro ambasciate per il Papa, per il re di Francia e di
Spagna e per tutto il resto della Cristianità. Quindi allestì una potente flotta per riportare loro e tutto
ciò che possedevano in Italia. Quando le navi presero il mare, entrambi sapevano che non si
sarebbero mai più rivisti.
Dopo tre ardui e lunghi anni riuscirono infine a sbarcare a Venezia, con grande stupore dei loro
cittadini che già da tempo li avevano dati per morti. I diari di Marco Polo - scritti dopo il suo rientro
dall'Oriente - furono pubblicati poco dopo la sua morte. Essi contenevano molte belle descrizioni
dei suoi viaggi. Com'era il mondo nel 1295, anno del ritorno a casa di Marco Polo?
L'aspetto più saliente era l'esistenza dell'impero mongolo. uno stato che legava la Cina all'Europa
per la prima ed unica volta nella storia. I Grandi Khan, suoi governatori, si assicuravano che le
strade dei loro immensi possedimenti fossero del tutto sicure, sia di giorno che di notte. Gli artisti
occidentali ritraevano le steppe dell'Asia abitate da creature bizzarre, come quest'uomo senza la
testa, con la faccia sul petto.
Gli stessi Khan erano curiosi di sapere le cose del mondo al di là delle loro frontiere.
Rapportitra Oriente e Occidente
Marco Polo ci dice che durante i suoi numerosi viaggi nelle terre di Kublai Khan, egli annotava su
un diario le abitudini e i costumi curiosi degli abitanti di quelle terre lontane, e Kublai Khan aveva
molto più piacere di ascoltare questi che non di leggere rapporti dei suoi ambasciatori e dei suoi
funzionari. Benché la città proibita che esiste oggi sia stata sia ingrandita che ricostruita dal tempo
di Kublai Khan, essa si trova esattamente dove c'era il suo splendido palazzo imperiale, a Pechino.
Marco Polo non fu l'unico europeo a visitare il palazzo, durante il lungo regno di Kublai Khan.
A partire dagli anni 1240, quando i Mongoli cominciarono ad attaccare l'Europa, i missionari
venivano inviati verso Oriente per convertire gli invasori al Cristianesimo. Essi ebbero un certo
successo e il Papa nominò una sede arcivescovile a Pechino dove piano piano si formò una piccola
congregazione di credenti. Ma la maggior parte dei visitatori di Pechino erano mercanti e le loro
mogli, che facevano quel lungo viaggio fino in Cina alla ricerca di merci di lusso, come seta e
porcellane. Molti morirono lì e furono sepolti sul luogo, come Caterina Villoni la cui lapide - un
ibrido tra cinese e latino - si trova a Yang-Ciò ancora nello stesso posto dove fu seppellita nel 1342.
Purtroppo il secolo della pace mongola volgeva al termine. Kublai Khan morì nel 1294 all'età di 80
anni. I suoi successori fallirono nel mantenere il controllo sulle aree fuori del territorio cinese;
quindi nel 1368 furono del tutto estromessi dalla Cina. Gli europei non si spingevano più lungo la
via della seta fino al Katai, perché senza la protezione del Khan, non era più sicura.
Icommerci e l'inizio della peste
Le spezie arrivavano ancora per via mare dall'India e la flotta veneziana contava centinaia di
vascelli, la maggior parte dei quali costruiti nel vasto cantiere della Repubblica - l'Arsenale - il più
grande complesso industriale in tutta l'Europa. Le galere lì costruite viaggiavano regolarmente in
Francia, Spagna e Portogallo, nelle Fiandre e in Inghilterra, trasportando merce che proveniva
dall'Oriente. Non c'era più solo la seta e le spezie; le stazioni commerciali e i forti genovesi e
veneziani, situati lungo le rive del Mar Nero, esportavano sempre più grano e caviale nella zona
mediterranea, ma soprattutto trasportavano schiavi dal Caucaso: georgiani, circassi e russi. Questo
traffico spietato di esseri umani fu interrotto, assieme a tutto il resto che veniva in Europa, solo a
causa di una calamità che ebbe il suo inizio nel 1347. Solo in Europa morirono di "morte nera"
decine di milioni di persone. Molte città videro morire metà della popolazione. Alcuni monasteri
persero tutti i monaci, tranne uno o due. Dappertutto la morte divenne un'ossessione, fuori da ogni
controllo e comprensione.
La pestebubbonica
Alcuni villaggi furono completamente spazzati via dalla mappa, diventando villaggi medioevali
abbandonati di cui oggi rimangono solo le impronte. Lo storico Froissat, che scrisse subito dopo gli
avvenimenti, pensava che fosse morto un terzo del genere umano. Agnoli di Tura, che scrisse la sua
cronaca a Siena, mentre l'orribile evento era in corso, era ancora più pessimista. "Questa" - diceva "è la fine del mondo".
Considerando la proporzione del disastro è curioso che non ci sia accordo su come fosse
cominciata. Certamente arrivò in Europa dall'Asia; ma come? La teoria più probabile è che i primi a
portarla in Europa furono un gruppo di genovesi, sbarcati in Sicilia, al ritorno dall'assedio della loro
fortezza a Kaffa, in Crimea. Riferirono che gli assedianti mongoli, improvvisamente, erano
cominciati a morire di una strana malattia, che procurava alle sue vittime dei rigonfiamenti neri che
trasudavano sangue e davano dolori insopportabili, sino a causare la morte. Per la disperazione, i
Mongoli avevano lanciato i corpi in decomposizione dei loro morti al di sopra delle mura della città,
con delle catapulte gigantesche. Un piccolo gruppo dei genovesi sopravvissuti era riuscito a
scappare da Kaffa. Quando giunsero a destinazione, la maggior parte di loro era morta.
Dopo aver percorso senza sosta tutta l'Asia, la "morte nera" era calata in Europa. Prima della fine
dell'anno, aveva raggiunto il continente. Arrivò sino agli angoli più remoti di questo e anche nelle
isole più lontane. Poche località vi sfuggirono e tra queste, una parte della Polonia e il Nord Italia.
Nel 1353, quando la pestilenza finalmente diminuì, forse 20 milioni di europei - dalla Scozia alla
Spagna e dall'Irlanda a Creta - erano stati decimati dalla "morte nera". Si crede ancora che la
malattia era la peste bubbonica, diffusa da un parassita mortale che si trovava nello stomaco di una
pulce, che si attaccava sia ai topi che agli uomini. La difesa migliore sarebbe stata uccidere i ratti ed
evitare tutti i luoghi dove potevano esserci questi animali, come le case. Invece la maggior parte
della gente uccideva cani e gatti, credendo che fossero loro la fonte dell'infezione. Pertanto i topi
continuarono a moltiplicarsi.
Invece di rifugiarsi in campagna (come fecero i personaggi del Decamerone di Boccaccio durante la
peste, raccontandosi storie), la maggior parte della gente si chiuse in casa, come Madonna
Fiammetta del Boccaccio; e come lei morirono. "Questi uomini coraggiosi e gentildonne - scrisse il
poeta sconsolatamente - che qualunque medico avrebbe dichiarato sani, prendevano la prima
colazione con i loro congiunti, compagni e amici la mattina. E a sera già dividevano la cena
nell'altro mondo con i loro antenati".
Guerre ecarestie in Europa
La "morte nera" non fu l'unica calamità che si abbattè sull'Europa durante il XIV secolo. Verso il
1300 il continente era quasi certamente sovrappopolato. Un secolo e più di ininterrotta crescita
economica, aveva prodotto un rapido aumento della popolazione, specialmente nelle città. Era
diventato sempre più difficile nutrirla. Tra il 1315 e il 1319 una serie di cattivi raccolti provocò
carestie ed epidemie. Man mano che il secolo andava avanti i cattivi raccolti divennero sempre più
frequenti. I poveri mangiavano tutto quello che potevano trovare: cani, gatti, erba, radici.
Tuttavia - nonostante la carestia e la peste - sembrava che ci fosse ancora parecchia gente per fare la
guerra. La lotta tra Francia e Inghilterra, iniziata nel 1337, è conosciuta come la "Guerradei 100
anni": durò infatti sino al 1453. Gli episodi salienti furono raccontati da storici, quali Jean Warven e
Jean Froissart, le cui cronache - con bellissime illustrazioni - furono copiate più e più volte, e se le
contendevano i soldati di entrambi i fronti. Nei vari periodi di pace tra l'Inghilterra e la Francia, i
giovani inglesi potevano sempre trovare un'occupazione andando a combattere all'estero. Essi
guerreggiarono in Svizzera intorno al 1370, combattendo contro gli abitanti di Berna in una serie di
azioni feroci. Gli inglesi indossavano mantelli con cappuccio sopra l'armatura, per proteggersi dal
freddo, cosicché passarono alla storia come i "Kabler" - "gli uomini incappucciati".
In Italia, i soldati di ventura - per la maggior parte inglesi - avevano come condottiero Sir John
Achwood. Le loro azioni brutali, perpetrate al servizio di molti principi dell'Italia del Nord, furono
narrate successivamente - anche con un po' di fantasia - da Sir Arthur Conan-Doyle, nel suo libro
"La Compagnia Bianca".
L'imperobizantino e Venezia
Mentre l'Europa occidentale subiva la recessione, la peste e le guerre rovinose, la parte sudorientale del continente cadde infine sotto il dominio musulmano, avendo i Turchi Ottomani - una
popolazione nomade proveniente dalle steppe dell'Asia - conquistato definitivamente l'ultimo
territorio bizantino intorno a Costantinopoli.
Nel 1450 tutto quello che rimaneva dell'impero bizantino, un tempo potente e che era durato per
1.000 anni, era la città di Costantinopoli. I Turchi la cinsero d'assedio per lungo tempo sperando di
costringere la città ad arrendersi prima che arrivassero i difensori in aiuto dall'Occidente. Nel 1453,
infine, un assalto, sferrato intorno alle mura, ebbe successo e Costantinopoli, la capitale costruita
dal primo imperatore cristiano, divenne una città musulmana che fu ben presto ribattezzata col
nome di Istanbul. Fu un colpo mortale per l'orgoglio cristiano e provocò anche uno scacco al
commercio dei cristiani. I mercanti occidentali persero tutte le loro concessioni commerciali nel
vicino Oriente.
Fra le più colpite la Repubblica veneziana, la più esposta e vulnerabile delle potenze europee nella
contesa tra Islam e Cristianità. Essendo una comunità marinara, dipendeva enormemente dal
commercio delle spezie e della mercanzia esotica proveniente dall'est. Pertanto, per poter
sopravvivere, le era necessario mantenere buone relazioni con il mondo islamico. Desiderava che il
mondo islamico non la vedesse come un avamposto della Cristianità ma come un centro neutrale.
Papa Pio II, nel 1463, scriveva: "Voi veneziani ... quanto si è degradato il vostro antico carattere! I
troppi commerci con i Turchi hanno fatto di voi gli amici degli infedeli." - "Siamo Veneziani e poi
cristiani!" - ribatterono i veneziani. La città lagunare cercò di sopravvivere edificando fortificazioni
estese lungo l'Adriatico per tenete lontano i Turchi, mentre continuava i suoi commerci con le
nazioni amiche situate più a est. Poiché l'avanzata ottomana continuava, temporaneamente il
commercio con l'est crollò.
Commerciogenovese e scoperte d'Africa
La principale rivale di Venezia nei commerci con l'Oriente - la Repubblica genovese - reagì in
modo del tutto diverso al sorgere della potenza ottomana. Prontamente i suoi mercanti trasferirono i
loro interessi finanziari e i loro commerci da est ad ovest. Nel 1489 vendettero perfino i loro diritti
su Cipro a Venezia.
La figura più rappresentativa di questa espansione era il principe Enrico, capo del principale ordine
crociato in Portogallo. Egli era ansioso di procurarsi dei territori tutti per sé a spese dell'Islam, sia
per convertire alla Cristianità sia per accrescere le sue ricchezze. Come prima cosa, intorno al 1420,
mandò dei pionieri ad occupare le isole delle Azzorre, Madeira e le Canarie, sia per evitare che
cadessero nelle mani dei musulmani che per assicurarsi rendite per la sua causa. con l'aiuto del
capitale e dell'esperienza genovese, le isole ben presto cominciarono ad esportare ricchi carichi di
legname, tinture, zucchero e anche vino madeira. Il principe Enrico, che più tardi sarebbe stato
soprannominato "Enrico il navigatore", cominciò a mandare le navi usate per il commercio delle
isole a sud, lungo le coste dell'Africa. Nel 1434 passarono Capo Bojador, la punta più lontana
precedentemente conosciuta dagli europei. I capitani di Enrico il Navigatore avevano viaggiato per
ben 2.000 miglia lungo la costa africana. Ora il motivo principale non era più quello religioso, o la
curiosità: era solo il guadagno.
Ben presto, alcune migliaia di schiavi vennero imbarcati ogni anno sulle navi che li conducevano
dalla pianura costiera oltre Capo Verde, in Portogallo. Il governo portoghese si fece carico
direttamente dell'invio di altre navi ancora più a sud. Dal 1470 in poi una serie di intrepidi
esploratori portoghesi avanzò costantemente lungo la costa occidentale africana, sino ad allora
inesplorata. I loro viaggi verso l'ignoto erano pericolosi; ma l'avanzata continuava sinché nel 1488 il
capitano Bartolomeo Diaz doppiò il Capo di Buona Speranza. Diaz eresse una grande croce di
pietra con le insegne del Portogallo, come avevano fatto i suoi predecessori in tutti i loro viaggi
sull'estremo lembo di terra del suo approdo. I portoghesi speravano di trovare al di là della punta
africana una via che conducesse all'India attraverso il mare. É difficile per chi vive nel XX secolo
immaginare come apparisse il mondo ai contemporanei di Diaz.
Levecchie teorie
Ben più di 1.000 anni prima che i portoghesi cominciassero ad esplorare l'Africa occidentale, il
geografo Strabone aveva disegnato una mappa del mondo conosciuto che partendo dalla Britannia
del nord traversava l'Europa e il Nord Africa, per giungere fino all'India. Egli aveva supposto che il
continente africano fosse circondato dall'acqua, come mostra chiaramente questa ricostruzione,
basata sui suoi scritti. L'egiziano Tolomeo che scrisse nel II secolo d.C., segna una zona poco estesa
del mondo conosciuto ma non è d'accordo con Strabone per quanto riguarda l'Africa. Tolomeo
presenta il continente che va giù dritto sino in fondo alla mappa e si congiunge all'Asia con un
ponte di terra. Quando, all'inizio del XV secolo, fu riscoperto, le teorie di Tolomeo divennero base
della geografia mondiale.
Navigando sino all'estrema punta dell'Africa, Diaz dimostrò che le teorie di Tolomeo erano
sbagliate. Questa mappa, disegnata dal cartografo tedesco Martellus intorno all'anno 1490, mostra la
costa occidentale dell'Africa che si stende giù, fino al Capo e l'inizio del percorso via mare per
l'India e l'Oriente. Il viaggio di Diaz aveva tolto ogni dubbio alla questione.
Il suo successo, tuttavia, non ebbe immediato seguito. Le piccole navi di Diaz erano state quasi
distrutte dalle tremende mareggiate del Capo e che Diaz, a tale proposito, battezzò Capo delle
Tempeste, e consigliò al re di costruire una flotta di navi più grandi per il passaggio in India. Fece
anche presente di equipaggiarle con artiglieria pesante, dato che l'Oceano Indiano era territorio
riservato dei potenti mercanti mussulmani.