Brevi note sulla responsabilità civile del notaio

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Notaio – Mancata indicazione dell’ipoteca iscritta su uno dei beni compravenduti Inadempimento per violazione dovere di informazione e consulenza – Sussiste - Responsabilità
civile – Sussiste – Danno futuro – Risarcibilità – Limiti.
Nel caso di accertamento di un comportamento negligente del notaio, consistito nella redazione di un
atto finale non conforme al regolamento di interessi voluto dalle parti e/o nella violazione degli
obblighi di informazione su di lui incombenti, egli non può che rispondere delle conseguenze
patrimoniali sofferte, come danno emergente o lucro cessante, a causa della condotta a lui soltanto
ascrivibile.
Il danno all’acquirente in buona fede di immobile ipotecato patito nell’ipotesi in cui si scopra che nel
rogito il notaio non abbia indicato l’ipoteca iscritta su di uno dei beni compravenduti è risarcibile a
certe condizioni ed entro certi limiti non potendo tuttavia escludersi che il pericolo di conseguenze
economiche pregiudizievoli come la perdita del bene a seguito di espropriazione, valga ad integrare un
danno futuro immediatamente risarcibile laddove esso appaia così probabile da risolversi in una
sostanziale certezza, come nell’ipotesi in cui l’espropriazione è preannunciata dal creditore che ha
anche effettuato il pignoramento (*).
Cass., Sez. III, 17 gennaio 2012, n. 546; Pres. Preden; Rel. Barreca.
Svolgimento del processo - R. A. e M. A. citarono in giudizio il notaio B. F. per il risarcimento del
danno da responsabilità professionale in ordine alla stipulazione, a suo rogito, di un contratto di
assegnazione in proprietà di un appartamento, concluso in data 12 maggio 1997, tra gli stessi attori e la
cooperativa edilizia V. a r. l.
Il Tribunale di Roma, autorizzata la chiamata in causa da parte del convenuto sia delle società di
assicurazione per la responsabilità professionale … omissis …, che della cooperativa edilizia V. a r. l.,
accolse la domanda degli attori e condannò il notaio al risarcimento dei danni, quantificati in lire
137.300.000, oltre interessi e spese; rigettò, invece, le domande proposte dal convenuto nei confronti
delle società assicuratrici e della V., condannandolo al pagamento delle spese anche in favore di queste
ultime.
La Corte d’Appello di Roma ha rigettato l’appello.
Avverso la sentenza, il notaio B. propone ricorso per cassazione a mezzo di quattro motivi, illustrati da
memoria.
Non si difendono gli intimati R., M. e società cooperativa edilizia V. a r. l.
Motivi della decisione - 1.- Logicamente preliminare è l’esame del secondo, terzo e quarto motivo di
ricorso che, in quanto intimamente connessi, vanno trattati congiuntamente, secondo quanto appresso.
1.1. - Col secondo motivo di ricorso si denuncia il vizio di violazione e falsa applicazione dell’art. 1362
c. c., commi 1 e 2, art. 1218 c.c. e art. 1223 c. c., ultima parte, nonché illogicità della motivazione su un
punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c. p. c., n. 5, per avere la Corte d’Appello
opinato che, essendo l’atto di accollo “destinato a trovare applicazione solo al momento in cui il
creditore lo avrebbe accettato in sede di frazionamento del mutuo”, l’importo della somma posta
contrattualmente a carico del R. e della M. sarebbe rimasto “indeterminato fino a tale momento”.
Deduce il ricorrente che: la formulazione dell’art. 3 dell’atto rogato non avrebbe potuto indurre ad un
siffatto equivoco, atteso che il suo contenuto (riportato in ricorso) faceva espresso riferimento al prezzo
convenuto tra le parti nell’importo complessivamente determinato in lire 291.000.000 ed era tale da
comportare che l’accollo del mutuo non avrebbe potuto essere superiore all’importo di lire 50.000.000;
una volta definiti i rapporti con l’istituto mutuante, gli acquirenti, nei rapporti interni, fossero tenuti a
dare un conguaglio ove la Cooperativa avesse corrisposto interamente la somma dovuta di lire
177.300.000 ovvero avessero diritto a ricevere il conguaglio dalla Cooperativa ove avessero anticipato
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per intero tale somma o comunque una somma maggiore di quella di lire 50 milioni pattuita; in nessun
caso si sarebbe potuto ritenere (come invece ritenuto dalla Corte d’Appello) che fosse previsto in
contratto un corrispettivo “elastico o variabile”. Aggiunge che risulterebbe pacificamente dagli atti di
causa che gli acquirenti erano ben a conoscenza del non avvenuto frazionamento del mutuo.
1.2. - Col terzo motivo di ricorso si denuncia il vizio di violazione e falsa applicazione degli artt. 1218
e 1223 c.c. e art. 115 c. p. c. in relazione all’art. 360 c. p. c., n. 3, per avere la Corte d’Appello imputato
al notaio B. di non avere dato agli acquirenti l’informazione circa le possibili conseguenze del mancato
frazionamento dell’atto di mutuo, che, se resa, “avrebbe logicamente evitato la sorpresa per gli
acquirenti di vedersi accollare in concreto una quota di mutuo (e non un mero conguaglio) per un
importo notevolmente superiore a quello astrattamente indicato nell’atto di vendita”. Deduce il
ricorrente che su questa base, e sull’erroneo presupposto (di cui anche al motivo precedente) che il
notaio avesse operato nel rogito una “erronea indicazione della quota di mutuo”, la Corte d’Appello
avrebbe finito per addossare al professionista il pagamento della somma di lire 127.300.000, che la
Cooperativa aveva l’obbligo di corrispondere all’istituto mutuante e che semmai gli acquirenti avevano
l’obbligo, puramente e semplicemente, di anticipare. Aggiunge che, non essendo risarcibile la “mera
sorpresa di vedersi esposti al rischio di anticipazioni non previste”, gli attori avrebbero dovuto provare
il danno effettivamente subito, consistente in spese o perdite - per aver dovuto anticipare somme che
contrattualmente non erano a loro carico (gravando sulla Cooperativa) - ovvero nel danno causato
dall’esistenza dell’ipoteca (peraltro chiaramente indicata nel rogito) da riferire ad un credito di
ammontare superiore a lire 50 milioni.
1.3. - Col quarto motivo di ricorso si denuncia il vizio di violazione e falsa applicazione degli artt. 106
e 112 c. p. c., per non avere la Corte d’Appello preso in considerazione il ruolo svolto dalla cooperativa
edilizia V. a r. l., dovendo invece ascriversi, in primo luogo, a quest’ultima i danni asseritamente subiti
dai signori R. e M.
2. - Il secondo ed il terzo motivo sono fondati. Occorre premettere il consolidato principio in ragione
del quale, in tema di interpretazione del contratto, il rilievo da assegnare alla sua formulazione letterale
va verificato alla luce dell’intero contesto negoziale e le singole clausole vanno considerate in
correlazione tra loro, dovendosi procedere al rispettivo coordinamento a norma dell’art. 1363 c.c. e con
riguardo a tutta la formulazione letterale della dichiarazione negoziale, in ogni parte e parola che la
compone, dovendo il giudice collegare e raffrontare tra loro frasi e parole al fine di chiarirne il
significato (cfr. Cass. n. 18180/07; n. 5287/07; n. 4670/09).
Nella specie risulta violato il disposto dell’art. 1362 c. c., anche in relazione al successivo art. 1363 c.c.
Si legge nella sentenza impugnata che il notaio, nel contratto di compravendita, avrebbe “determinato
la quota di mutuo a carico della parte acquirente in modo del tutto equivoco, per una somma di gran
lunga inferiore a quella effettiva, risultante dal successivo atto di frazionamento del mutuo”; in
proposito, nel prosieguo della sentenza, è detto che l’espressione contenuta in contratto “salvo
conguaglio” non varrebbe a giustificare una qualsiasi differenza tra il pattuito, che sarebbe stato di lire
50.000.000, ed il dovuto dagli acquirenti, che sarebbe stato di gran lunga superiore, in modo che ne
sarebbe risultata vanificata la quantificazione in 50 milioni.
2.1. - La Corte d’Appello ha altresì confermato la valutazione espressa dal primo giudice secondo cui,
così operando, il notaio avrebbe posto in essere un atto finale in contrasto con il regolamento di
interessi voluto dalle parti; e, per di più, non avrebbe informato gli acquirenti delle conseguenze
derivanti dal mancato frazionamento del mutuo, che avrebbero comportato che, fino al compimento di
questo, la quota di mutuo accollata agli acquirenti medesimi sarebbe rimasta indeterminata. Con la
conseguenza dell’obbligo risarcitorio del notaio di corrispondere agli acquirenti il maggior importo
della quota di mutuo risultante dal frazionamento, pari a lire 127.300.000.
3. - Quanto riportato sopra sub 2. non trova conferma nel tenore dell’art. 3 del contratto in
contestazione, che è il seguente: “Il corrispettivo della presente assegnazione è stato convenuto tra le
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parti in complessive lire 291.000.000 (duecentonovantunomilioni) di cui lire 268.000.000
(duecentosessantotto milioni) per l’appartamento ed il box n. 52 e lire 23.000.000 (ventitremilioni) per
il box n. 50, prezzo che viene regolato come segue: a) quanto a lire 241.000.000
(duecentoquarantunomilioni) la Cooperativa venditrice dichiara di averle già ricevute dalla quale
acquirente alla quale rilascia corrispondente quietanza; b) quanto alle residuali lire 50.000.000
(cinquanta milioni) la parte acquirente, con il consenso della Cooperativa assegnante, si accolla e fa
propria la corrispondente quota del mutuo di originarie lire 50.000.000 (cinquantamilioni), salvo
conguaglio, concesso dal … omissis …, con atti …omissis... mutuo garantito da ipoteca iscritta presso
la Conservatoria dei Registri Immobiliari di Roma … omissis …, gravante solamente sul
l’appartamento int. 14 e sul box n. 52 oggetto del presente atto di vendita. In relazione a detto accollo la
parte acquirente dichiara di ben conoscere i predetti atti di mutuo e di accettarli come se da essa
medesima fossero stati stipulati con l’istituto mutuante, limitatamente alla quota accollata, subentrando
alla parte venditrice in tutti i diritti ed obblighi da quest’ultima assunti ed impegnandosi di pagare alle
convenute scadenze le rate della quota di mutuo accollata e di notificare copia autentica di questo atto
all’istituto mutuante … omissis …”.
L’interpretazione offerta dal giudice, dunque, non tiene conto della correlazione tra la previsione di cui
alla lett. b) con quella di cui alla prima parte, laddove il corrispettivo pattuito è determinato
nell’importo complessivo di lire 291.000.000, nonché con quella di cui alla lett. a), laddove si da atto
dell’avvenuto pagamento della somma di lire 241.000.000 a titolo di prezzo. La correlazione tra diverse
parti della medesima clausola contrattuale ed, in particolare, l’esatta determinazione della quota di
mutuo accollata (pari a lire 50 milioni, vale a dire alla differenza tra il prezzo complessivamente
pattuito di lire 291.000.000 e la parte di prezzo di lire 241.000.000, della quale la parte venditrice
rilasciava quietanza) non giustificano la conclusione che la quota stessa fosse indeterminata o
comunque determinata “in modo del tutto equivoco”.
3.1. - Non rispettosa dei canoni ermeneutici legali appare anche l’interpretazione dell’inciso “salvo
conguaglio” inserito nella parte della clausola sotto la lett. b), sopra riportata. Nei rapporti tra le parti il
prezzo totale da pagarsi dagli acquirenti non avrebbe potuto superare l’importo di lire 291.000.000,
così come espressamente determinato nella prima parte dello stesso art. 3, della quale le parti sub a) e
sub b) costituivano mere precisazioni (per come reso evidente dall’inciso “prezzo che viene regolato
come segue”); di conseguenza, non è corrispondente al dato letterale quanto ritenuto dal giudice di
merito, secondo cui il “conguaglio” sub b) sarebbe stato destinato ad operare sostanzialmente in modo
da poter modificare il prezzo complessivo di lire 291.000.000 (sul punto il ricorrente, piuttosto,
rappresenta che la naturale funzione del conguaglio è quella di regolare i rapporti di dare-avere tra le
parti in modo che il saldo finale fosse quello di lire 291.000.000, corrispondente al prezzo pattuito).
4. - S’è detto in precedenza che la sentenza ipotizza un altro titolo di responsabilità in capo al
professionista, consistente nel non avere adeguatamente informato gli acquirenti delle conseguenze del
mancato frazionamento: ciò, peraltro, nel presupposto, di cui sopra, dell’indeterminatezza dell’importo
oggetto dell’accollo da parte degli acquirenti; dovendo rivalutare tale presupposto, interpretando il
contratto secondo i canoni ermeneutici sopra richiamati, il giudice di merito dovrà rivalutare anche le
proprie conclusioni in merito alle conseguenze dannose eventualmente prodotte dalla violazione degli
obblighi di informazione.
4.1. - Come correttamente rilevato col terzo motivo di ricorso, anche ove dovesse risultare una
responsabilità del notaio a tale ultimo titolo, il danno non potrebbe essere sic et simpliciter
commisurato (come ha fatto il giudice d’appello) alla differenza tra lire 50 milioni e quanto
complessivamente preteso dall’istituto mutuante.
Così decidendo, infatti, si potrebbe finire per fare ricadere sul notaio il costo dell’inadempimento della
controparte contrattuale dei R. - M., ove si ritenesse quest’ultima obbligata, secondo l’interpretazione
del contratto sostenuta dal ricorrente, a tenere indenni gli acquirenti, mediante il pagamento del
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conguaglio, di quanto eventualmente anticipato all’istituto mutuante oltre l’importo convenuto di lire
50 milioni. Allora, la violazione degli obblighi di informazione, ove esistente, potrebbe essere riferita
soltanto all’obbligo che comunque gli acquirenti assumevano - senza che di ciò fossero stati resi edotti
dal notaio - nei confronti dell’istituto di credito mutuante ed al fatto che essi sarebbero stati tenuti ad
ottemperare alla richiesta di pagamento di quest’ultimo ben oltre la somma di lire 50 milioni (e per una
cifra - questa, sì - indeterminata al momento della stipulazione del contratto e da determinarsi solo al
momento del successivo frazionamento del mutuo), salvo a rivalersi nei confronti della Cooperativa
alienante.
5. - Nel caso di accertamento di un comportamento negligente del notaio, consistito nella redazione di
un atto finale non conforme al regolamento di interessi voluto dalle parti e/o nella violazione degli
obblighi di informazione su di lui incombenti, egli non può che rispondere delle conseguenze
patrimoniali sofferte, come danno emergente o lucro cessante, a causa della condotta a lui soltanto
ascrivibile.
5.1. - Analogamente deve concludersi anche con riguardo all’ulteriore condotta negligente che il
giudice a quo ha inteso ascrivere al notaio B., consistita nell’avere omesso di indicare nell’atto, e
quindi di precisare alla parte acquirente, che l’ipoteca iscritta in favore dell’istituto mutuante gravava
non soltanto sull’appartamento ed uno dei due box (contraddistinto con il n. 52), ma anche sull’altro
box (contraddistinto con il n. 50) oggetto della stessa compravendita.
Ed invero il danno dell’acquirente in buona fede di immobile ipotecato è risarcibile a certe condizioni
ed entro certi limiti, dei quali il giudice di merito dovrà tornare ad occuparsi (tenendo presente la
giurisprudenza consolidata di questa Corte espressa da Cass. n. 6123/00, n. 13957/05, n. 264/06, come
di recente parzialmente rivisitata da Cass. n. 10072/10): il danno relativo, infatti, potrà essere ritenuto
sussistente e risarcito soltanto in presenza di detti limiti e condizioni, che non risultano in alcun modo
essere stati presi in considerazione dal giudice a quo in ragione di quanto dedotto dagli attori e di
quanto emerso nel corso dei due precedenti gradi di giudizio.
S’impone con riguardo a detti ulteriori accertamenti di merito la cassazione della sentenza impugnata
limitatamente alle statuizioni concernenti la conferma della condanna del B. al risarcimento dei danni e
la condanna dello stesso al rimborso delle spese processuali in favore dei R. - M. ed il rinvio alla Corte
d’Appello di Roma, in diversa composizione.
6. - Il quarto motivo è infondato, siccome non appare pertinente il riferimento all’art. 106 c. p. c. e ad
un asserito rapporto di “manleva” tra il notaio convenuto e la società cooperativa da quest’ultimo
chiamata in causa, atteso che il chiamante non risulta poter fare valere nei confronti della cooperativa
chiamata un rapporto di garanzia, propria o impropria. Piuttosto, la chiamata del terzo risulta essere
stata effettuata al fine di ottenere la liberazione dello stesso convenuto dalla pretesa degli attori, in
ragione del fatto che il terzo si dovrebbe individuare come unico obbligato nei loro confronti ed in vece
dello stesso convenuto: tuttavia, nel caso di specie, la responsabilità della Cooperativa, se fosse
configurabile, lo sarebbe in forza di un rapporto nascente da un titolo diverso (contratto di assegnazione
in proprietà) da quello posto a base della pretesa dedotta in giudizio dagli attori (contratto di
prestazione d’opera professionale). Ne segue che il giudice di merito dovrà accertare il ruolo della
cooperativa edilizia nell’intera vicenda per cui è causa, ma soltanto nei limiti in cui questo rileva al fine
di escludere o ridurre il danno del cui risarcimento debba rispondere il notaio nei confronti dei
contraenti R. e M.
7. - Con il primo motivo di ricorso si denuncia il vizio di violazione e falsa applicazione degli artt.
1218, 1223 e 2729 c.c. e art. 115 c. p. c. in relazione all’art. 360 c. p. c., n. 3, nonché insufficienza ed
illogicità della motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c. p. c., n. 5,
per avere la Corte d’Appello commisurato una parte del danno subito dal R. e dalla M. all’onorario
professionale del notaio e per avere stimato congruo l’importo di lire 10.000.000 “con riferimento al
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valore dell’atto pubblico ed alle tariffe professionali”, non essendo noto l’onorario concretamente
corrisposto al notaio B.
Il motivo resta assorbito siccome il danno della cui liquidazione si tratta è stato considerato dalla Corte
d’Appello come conseguenza di quegli stessi comportamenti negligenti del notaio, dei quali il giudice
di rinvio dovrà nuovamente occuparsi in ragione di quanto sopra.
8. - Conclusivamente, il giudice di rinvio dovrà accertare se sussista la responsabilità professionale del
notaio B. nei limiti sopra precisati.
Va rimessa al giudice di rinvio anche la decisione sulle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo ed il terzo motivo di ricorso, rigetta il quarto e dichiara assorbito il primo.
Cassa la sentenza impugnata con riferimento ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’Appello di Roma in
diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del giudizio di cassazione.
(*) BREVI NOTE SULLA RESPONSABILITÀ CIVILE DEL NOTAIO: CONTENUTO DELLA
PRESTAZIONE PROFESSIONALE, DOVERE DI INFORMAZIONE E RISARCIMENTO
DEL DANNO FUTURO.
di Nelson Alberto CIMMINO
Notaio in Pesaro
Sommario 1. L’attività del notaio: principi generali - 2. Il rapporto notaio – cliente - 3. Il contenuto del
contratto di opera notarile - 4. Il dovere di informazione e consulenza - 5. Il risarcimento del danno
futuro.
1. L’attività del notaio: principi generali
I notai sono pubblici ufficiali (1) istituiti per ricevere gli atti tra vivi e di ultima volontà, attribuire loro
pubblica fede, conservarne il deposito e rilasciarne le copie, i certificati o gli estratti (art. 1, 1° comma,
l. 16 febbraio 1913, n. 89, legge notarile).
L’attività fondamentale del notaio, che ne caratterizza il ministero, è dunque l’attività di certificazione
o di documentazione: “il notaio, cui è devoluto dall’art. 47 della legge notarile 16 febbraio 1913, n. 89,
il compito di indagare la volontà delle parti e dirigere personalmente la compilazione integrale
dell’atto, non assiste le parti o una di esse, ma svolge la sua opera a favore di tutti i contraenti,
prestando la sua collaborazione tecnico-giuridica per accertare quale sia di costoro la effettiva volontà
che egli dovrà tradurre, in virtù del potere di certificazione derivantegli dalla sua pubblica funzione,
nell’atto da redigere” (2).
Naturalmente, fondamento del documento che il notaio forma è la volontà delle parti: “ovvio, pertanto,
che sia compito del notaio, ancorché possa sovente costargli una grande pazienza, di accertare
autonomamente la volontà che anima le parti stesse, mercé una procedura che, lungi dal rimettersi alle
dichiarazioni spontaneamente da loro rilasciate, non abbia nemmeno ad arrestarsi a un progetto già da
loro predisposto, ma abbia piuttosto a dispiegarsi, attraverso la posizione di puntuali e ben mirate
domande, in una escussione e discussione chiarificativi. Non basta. Va altresì tenuto conto che, come le
parti non sempre sanno apprezzare la rilevanza giuridica delle varie circostanze, così il notaio, se pur
non può essere chiamato a rispondere dei dati che gli vengono offerti dagli interessati su sua domanda,
non può però rimettersi senz’altro alla rappresentazione, o peggio valutazione, che ne venga fatta dai
medesimi” (3).
Preciso dovere del notaio, stabilito dall’art. 47 della legge notarile, è quello di interrogare ed ascoltare
le parti, provvedendo poi a tradurre la loro volontà nel testo dell’accordo.
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Tale principio è stato poi ribadito dall’art. 37 del testo dei Principi di deontologia professionale dei
notai, approvato dal Consiglio Nazionale del Notariato con deliberazione n. 2/56 del 5 aprile 2008,
pubblicato (in G.U. n. 177 del 30 luglio 2008), il quale stabilisce che “in ogni caso compete al notaio
svolgere di persona, in modo effettivo e sostanziale, tutti i comportamenti necessari: (…) per l’indagine
sulla volontà delle parti, da svolgere, in modo approfondito e completo, mediante proposizione di
domande e scambio di informazioni intese a ricercare anche i motivi e le possibili modificazioni della
determinazione volitiva come prospettatagli”.
In conclusione, l’indagine della volontà delle parti ad opera del notaio rappresenta il momento
qualificante dell’attività notarile, la cui rilevanza non è stata scalfita dalla recente modifica, apportata
con l’art. 12 della “legge di semplificazione e riassetto normativo per l’anno 2005”, che ha sostituito
l’ultimo comma dell’art. 47 della legge notarile, eliminando gli avverbi “soltanto” e “personalmente”,
contenuti nel testo originario, e disponendo che il notaio indaga la volontà delle parti e cura, sotto la
propria direzione e responsabilità, la compilazione integrale dell’atto (4).
La funzione essenziale dei notai (ma certamente non l’unica, considerati tutti i compiti che man mano
sono stati loro affidati - basti pensare alle attribuzioni delegate in tema di espropriazione forzata
immobiliare - ) è dunque quella di redigere contratti ed atti autentici muniti di fede privilegiata (artt.
2699 e 2700 c. c.), creando così certezze giuridiche (5).
Alla funzione documentale si accompagna quella di controllo sulla liceità del contenuto dell’atto (art.
28, l. 16 febbraio 1913, n. 89, legge notarile); anzi, si ritiene (6) che la seconda prevalga sulla prima, in
quanto il notaio, non potendo ricevere atti contrari alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume,
non può in concreto svolgere la sua funzione certificante ove il controllo di legalità risulti negativo.
In altre parole - e non potrebbe essere altrimenti - il pubblico ufficiale, prima di scrivere, deve
verificare che ciò che si accinge a mettere su carta sia conforme alla legge.
Dunque, “la funzione notarile è funzione pubblica di interesse generale ed il notaio che la svolge non si
limita a realizzare un semplice documento avente fede privilegiata che consacra la volontà delle parti,
ma investe il contenuto e gli scopi dell’intero negozio notarile grazie al quale le parti intendono
raggiungere l’assetto dei loro interessi conformemente alla legge e per mezzo di uno strumento tecnicogiuridico cui il notaio conferisce una particolare forza probatoria ed effettività erga omnes, affinché gli
interessi delle parti che si esprimono nel contratto trovino, grazie alla funzione notarile, una tutela più
intensa ed una compiuta certezza di realizzazione delle finalità economico-sociali tipiche del negozio
affidato al ministero del notaio, il quale non riduce la sua funzione alla mera indagine e
documentazione della volontà dei contraenti ma svolge attività di controllo della legalità dell’atto, di
consulenza, di accertamento dei presupposti dell’atto stesso affinché questo raggiunga e conservi, nel
comune interesse delle parti, il suo effetto tipico” (7).
Il notaio non è dunque un semplice scriba, redattore di un documento, ma è investito di una funzione
attiva, cioè quella di tutore della legalità dei rapporti che, mercé la sua opera professionale, si
instaurano tra le parti.
A causa di tale fondamentale attribuzione la dottrina, mutuando una espressione del notariato tedesco,
ha definito il notaio “custode del diritto” (8).
Il controllo di legalità non è che un aspetto della più complessa funzione c.d. “di adeguamento” che
consiste nell’indagine personale da parte del notaio della volontà delle parti e quindi nella direzione
della compilazione integrale dell’atto conformemente alla accertata volontà, dando così ad essa una
appropriata veste giuridica ed adeguando, appunto, la fattispecie concreta al diritto (9).
In altri termini, il notaio deve svolgere prima una indagine di fatto, diretta ad accertare la effettiva
volontà delle parti, cioè quale sia il concreto risultato cui esse mirano, e quindi una indagine di diritto,
finalizzata a valutare la rispondenza al diritto dell’accordo negoziale voluto dalle parti; infine deve
plasmare la fattispecie concreta per armonizzarla con il paradigma astratto risultante dall’ordinamento
positivo (10).
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La funzione di adeguamento è quindi complementare all’esercizio della funzione documentale.
Il ruolo del notaio dunque non è meramente passivo, ma è anzi dinamico ed attivo e consiste nel
prospettare alle parti tutte le possibili conseguenze dell’atto che intendono stipulare, onde consentire
loro di modificare lo schema dei reciproci rapporti che esse avevano prospettato ed adattarlo ai
suggerimenti del notaio (11).
Naturalmente, la funzione di adeguamento affidata al notaio non annulla l’autonomia privata delle
parti, le quali sono libere di accettare o meno la soluzione proposta dal notaio (12).
In altri termini, il notaio può formulare consigli e suggerimenti che le parti sono però libere di rifiutare,
sempre che, ovviamente, l’atto che le parti intendono porre in essere sia lecito.
Tutto ciò fa sì che l’opera del notaio non possa ridursi a quella di un passivo registratore delle
dichiarazioni altrui, ma presuppone un’attività preparatoria e successiva idonea a far conseguire alle
parti il risultato pratico voluto: “pur essendo tale professionista tenuto ad una prestazione di mezzi e di
comportamenti e non di risultato, pur tuttavia è tenuto a predisporre i mezzi di cui dispone, in vista del
conseguimento del risultato pratico perseguito dalle parti, impegnando la diligenza ordinaria media
rapportata alla natura della prestazione; sicché la sua opera non può ridursi al mero compito di
accertamento della volontà delle parti e di direzione della compilazione dell’atto, ma deve estendersi a
quelle attività, preparatorie e successive, necessarie in quanto tese ad assicurare la serietà e certezza
dell’atto giuridico posto in essere, e ciò in conformità allo spirito della legge professionale (art. 1 legge
n. 89/1913)” (13).
2. Il rapporto notaio - cliente
Una non recente dottrina ha affermato che quando il cliente richiede l’opera del notaio per la redazione
di un atto pubblico ovvero il compimento di tutte quelle attività che rientrano nella prestazione notarile
tipica, tra notaio e cliente non si instaura alcun rapporto contrattuale (14).
In altre parole, poiché il notaio è un pubblico ufficiale obbligato per legge a prestare il suo ministero,
mancherebbe quella libertà necessaria ad una convenzione; la richiesta delle parti fungerebbe dunque
da mero presupposto per l’esecuzione della pubblica funzione di cui il notaio è investito. Al contrario,
l’esistenza di un vero e proprio rapporto contrattuale può ravvisarsi solo quando si richiedono al notaio
attività intellettuali che non rientrano tra le pubbliche funzioni (prestazioni di pareri, consulenza ed
assistenza, ecc.) (15).
A tale tesi ha aderito una remota giurisprudenza secondo cui “la circostanza che il notaio entri in
relazione con il cliente non altera la natura dell’attività che egli svolge: attività non negoziale, fornita in
assoluta condizione d’indipendenza, che potrebbe, al più, rientrare nel c.d. lavoro autonomo, dove,
come è noto, l’autonomia di chi fornisce l’opera fa sì che non possa farsi risalire la responsabilità per
danni a colui che l’opera ha richiesto. Ma la più esatta impostazione è che fra notaio, titolare di un
pubblico ufficio, e cliente non è ravvisabile rapporto contrattuale alcuno, perché manca quella libertà
che è necessaria al fine di consentire la convenzione. La richiesta non integra che un semplice
presupposto per esercitare la pubblica funzione, che non conferisce al cliente la figura di contraente e,
tanto meno, può dar luogo ad una estensione di responsabilità (16).
Il fatto poi che gli onorari notarili siano pagati dal cliente non viene ritenuto elemento sufficiente a
dimostrare l’esistenza di un rapporto professionale fra il notaio ed i clienti che a lui si rivolgono (17).
La teoria che nega che fra notaio e cliente esista un vero e proprio rapporto contrattuale è rimasta
invero isolata.
Prevale in dottrina ed in giurisprudenza l’orientamento per cui, pur essendo il notaio investito di una
pubblica funzione obbligato a prestare il suo ministero, i rapporti del notaio nei confronti dei clienti
sono disciplinati da un contratto di diritto privato, sia quando il cliente affida al notaio un qualsiasi
incarico di carattere privato, sia quando richiede l’opera del notaio per la redazione di un atto pubblico.
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Dunque, “tra cliente e notaio esiste un rapporto contrattuale avente per oggetto l’attività e la diligenza
che il notaio dovrà dispiegare per far sorgere un altro rapporto contrattuale, nel quale lo stesso cliente
dovrà assumere posizione di soggetto: il primo rapporto è correlativo al secondo, e strumentale rispetto
al medesimo, e può esserne soggetto, oltre al notaio, solo chi si accinge ad essere soggetto
dell’istituendo rapporto” (18).
Il contratto concluso fra il notaio ed il cliente è dunque un contratto a prestazioni corrispettive nel quale
all’obbligo per il notaio si prestare la propria attività professionale in vista del conseguimento dello
scopo perseguito dalle parti, si contrappone l’obbligo per il cliente di pagargli gli onorari previsti dalla
tariffa (19).
Ciò che induce a ritenere fondata la tesi dominante è la considerazione che, pur essendo obbligato dalla
legge a prestare la propria opera, in concreto il notaio non esercita mai la sua funzione di propria
iniziativa, ma sempre dietro richiesta delle parti (20).
La stessa legge notarile è chiarissima in tal senso allorquando afferma che “il notaro è obbligato a
prestare il suo ministero ogni volta che ne è richiesto” (art. 27, 1° comma) e quando si legge che “il
notaro potrà recarsi, per ragioni delle sue funzioni, in tutto il territorio del distretto in cui trovasi la sua
sede notarile, semprechè ne sia richiesto” (art. 26, 2° comma).
In conclusione, l’obbligo legale di contrarre a carico del notaio non contraddice il carattere contrattuale
del rapporto che si instaura tra il notaio stesso ed il cliente (21).
Circa la natura di siffatto contratto, parte della giurisprudenza ravvisa tra il notaio ed il cliente, in
relazione alla stipulazione dell’atto pubblico, l’esistenza di un mandato: “il rapporto di mandato (ex
lege) costituito tra le parti e il notaio, il quale venga richiesto della stipulazione, si estrinseca in
un’assistenza d’indole tecnica; ma questa si presume, in mancanza di uno specifico incarico, limitata
alla definizione delle pratiche inerenti alla stipulazione del negozio, onde la prestazione di consigli
intesi a chiarire gli aspetti economici e giuridici del negozio che le parti si accingono a stipulare non
può intendersi estesa a pratiche amministrative, aventi solo un rapporto estrinseco ed occasionale con
l’atto notarile, ed involgere la responsabilità del notaio. Lo stesso potere d’investigazione, limitato al
controllo delle dichiarazioni delle parti circa elementi che condizionano la validità e l’efficacia del
contratto, non può a iniziativa del notaio spingersi sino ad investire dichiarazioni estranee agli elementi
diretti ed essenziali della stipula” (22).
Siffatto indirizzo, seppur autorevolmente sostenuto dalle Sezioni Unite della Suprema Corte, è rimasto
in verità del tutto isolato ed ha trovato riscontro solo in una recente sentenza della Cassazione, rimasta
parimenti senza seguito, per la quale “il rapporto fra il notaio ed il cliente è inquadrabile nello schema
del mandato, per cui il primo è tenuto a compiere quanto è nelle sue possibilità per il conseguimento
del risultato a cui il secondo aspira” (23).
Prevale invece nettamente l’orientamento che configura il contratto di opera notarile come un comune
contratto di opera intellettuale disciplinato dalle norme generali di cui all’art. 2229 e ss. c. c.: “l’attività,
che il notaio svolge come libero professionista, si inquadra nel genus del lavoro autonomo e,
precisamente, nell’esercizio delle professioni intellettuali. All’attività notarile, pertanto, si applicano,
tra le altre, le disposizioni di cui all’art. 2232 c. c., che impone al prestatore intellettuale dell’opera di
eseguire personalmente l’incarico assunto, anche avvalendosi di sostituti ed ausiliari, sotto la propria
direzione e responsabilità. Essendo la prestazione del professionista una prestazione di facere
infungibile, gli ausiliari sono legati dal rapporto contrattuale con il notaio, il quale risponde dei loro
eventuali fatti colposi ex art. 1228 c. c. L’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio
dell’attività professionale del notaio soggiace a criteri di valutazione più rigorosi della semplice
diligenza richiesta al mandatario (art. 1710 comma 1 c. c.). Nell’adempimento delle obbligazioni
inerenti all’esercizio dell’attività professionale del notaio, avuto riguardo alla natura dell’attività
esercitata ai sensi dell’art. 1176 comma 2 c. c., la diligenza comprende anche la perizia, vale a dire la
conoscenza delle regole tecniche proprie della specifica professione e la loro attuazione” (24).
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Il fatto che al rapporto di prestazione d’opera notarile si applichino, oltre alle generali norme
codicistiche che disciplinano i rapporti di prestazione d’opera intellettuale, anche le norme speciali
dell’ordinamento del notariato, non ne altera dunque la natura contrattuale (25).
In senso contrario si è invece espressa una dottrina minoritaria che ritiene che il rapporto notaio-cliente
abbia sì natura contrattuale non inquadrabile però nello schema del contratto di opera intellettuale come
previsto e disciplinato dal codice civile, ma sia piuttosto un contratto d’opera atipico proprio a causa
della coesistenza in esso di elementi di diritto pubblico e di diritto privato (26).
La violazione del contratto di prestazione d’opera professionale dà luogo a responsabilità contrattuale
per inadempimento (27).
3. Il contenuto del contratto di opera notarile
Ciò che caratterizza il contratto di opera intellettuale - e quindi anche il contratto di opera notarile - è il
fatto che il professionista assume una obbligazione di mezzi e non di risultati (28).
Il notaio non è dunque tenuto al raggiungimento di un certo risultato corrispondente all’interesse del
cliente, ma solo ad un comportamento diligente e attento nei limiti delle proprie competenze: egli deve,
in sostanza, usare la diligenza media di un professionista sufficientemente preparato ed avveduto in
vista del conseguimento del risultato voluto dalle parti – deve cioè prestare a tutti i contraenti una
collaborazione tecnico-professionale, ponendo a disposizione degli stessi la sua preparazione e la sua
esperienza e dirigendo personalmente la compilazione dell’atto, in modo da tradurre la volontà dei
contraenti nello strumento negoziale tecnicamente idoneo affinché possano conseguire il risultato che si
ripromettono - senza essere però responsabile per il mancato raggiungimento del risultato stesso (29).
L’obbligo di impiegare la diligenza media non è limitato all’accertamento della volontà delle parti ed
alla redazione dell’atto notarile, ma si estende a tutte quelle attività preparatorie e successive idonee a
far conseguire alle parti il risultato pratico voluto e che pure rientrano nel contenuto della funzione
notarile (30).
Nella fattispecie la diligenza assume un duplice significato: parametro di imputazione del mancato
adempimento e criterio di determinazione del contenuto dell’obbligazione (31).
Il punto è assolutamente pacifico per la giurisprudenza secondo cui “nell’adempimento delle
obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo
alla natura dell’attività esercitata (art. 1176 c. c.) che nel caso del notaio consiste nel prestare a tutti i
contraenti una collaborazione tecnico-professionale, ponendo a disposizione degli stessi la sua
preparazione e la sua esperienza e dirigendo personalmente la compilazione dell’atto, in modo da
tradurre la volontà dei contraenti nello strumento negoziale tecnicamente idoneo affinché possano
conseguire il risultato che si ripromettono. Egli, poiché la prestazione notarile, come di norma ogni
altra prestazione professionale, è prestazione di mezzi e di comportamento, deve predisporre gli
strumenti giuridici e materiali di cui dispone in vista del conseguimento di quel risultato, con la
diligenza media di un professionista adeguatamente preparato ed avveduto, salvo che l’atto da stipulare
non implichi risoluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, nel qual caso risponde solo per
dolo o colpa grave. E tutto ciò mentre fa sì che l’opera del notaio non possa ridursi a quella di un
passivo registratore delle dichiarazioni altrui, presuppone d’altra parte un’attività preparatoria, della cui
efficienza deve giudicarsi normalmente sulla base dello stesso criterio di diligenza media” (32).
Va precisato che la diligenza che deve impiegare il notaio nell’espletamento dell’incarico non è quella
generica del buon padre di famiglia di cui all’art. 1176, 1° co., c. c., ma la diligenza specifica e
qualificata del professionista di cui all’art. 1176, 2° comma, c. c. (33).
La diligenza che il notaio deve adottare è dunque la diligenza del buon professionista che non è il
professionista medio in senso assoluto, ma il professionista che si colloca fra il professionista
diligentissimo ed il professionista almeno sufficientemente diligente, così come nel campo delle
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obbligazioni in generale il buon padre di famiglia non è l’uomo comune in senso assoluto, ma colui che
si colloca fra il vir diligentissimus ed il quisque de populo.
In sostanza, il notaio, ed in generale il professionista intellettuale, ha il dovere di svolgere il proprio
incarico con un grado di scrupolosità e accortezza che può essere definito come professionale medio
(34).
Il riferimento alla diligenza qualificata del professionista non impone un metodo diverso e più severo di
valutazione rispetto alla diligenza del buon padre di famiglia, dovendosi comunque far riferimento ad
un parametro di “diligenza media”, cioè alla diligenza media di un professionista sufficientemente
preparato ed avveduto (35).
Risulta così superato il diverso orientamento di una assai risalente pronuncia della Suprema Corte per
cui “la diligenza media, che si richiede generalmente nella esplicazione dei doveri professionali, è
maggiore per il notaio, rispetto alla figura del privato professionista e ciò in considerazione che il
notaio è investito di pubblico ufficio e di pubblica fede nel disimpegno di quelle mansioni che
l’ordinamento giuridico gli affida” (36).
4. Il dovere di informazione e consulenza
Si ritiene che fra gli obblighi del notaio, connessi all’espletamento delle sue funzioni, vi sia anche
quello di assistere i clienti, fornendo loro una adeguata informazione e consulenza giuridica ed
adottando tutti gli accorgimenti necessari per rogare un atto che sia il più idoneo ed economico
possibile per la realizzazione degli interessi perseguiti dalle parti (37).
Anzi, si ritiene che “il compito d’esame e informazione che incombe al notaio in rapporto alle parti, è
espressione della stessa funzione notarile, per modo che la sua violazione è violazione d’un compito
funzionale. Tant’è ch’esso, lungi dal poter mai risentire dell’identità della parte che ha assunto
l’iniziativa dell’incarico o su cui devono ricadere le spese, dev’essere esercitato, oltre che a regola
d’arte, anche e soprattutto nella più rigorosa imparzialità. Né, a sua volta, vi contraddice, ch’esso
comporti, per parte degli interessati, limitazioni o esoneri, ciò valendo, in linea di principio, non già a
negare la preesistenza e funzionalità del còmpito stesso, ma solo a influire sulle modalità della sua
attuazione. È poi non meno notevole, come coessenziale alla caratterizzazione predetta, che un tale
compito debba svolgersi, non solo in regime di responsabilità personale, ma anche nello stile, per
almeno i momenti più qualificanti, d’un personale impegno. Ne sta a far fede, prima ancora che la
norma sulle modalità di lettura dell’atto (LN art. 51 n. 8), quella concernente il suo stesso impianto (art.
47/3 «Spetta al notaro soltanto d’indagare la volontà… e dirigere personalmente la compilazione…»)
(38).
Si ritiene che in capo al notaio sussista anche il dovere di informare il cliente in ordine alla disciplina
fiscale dell’atto che gli viene richiesto di ricevere, sulla base di una conoscenza della normativa in
materia che è lecito attendersi da un professionista accorto e ben preparato: “ai sensi dell’art. 1176 c. c.
il notaio ha l’obbligo di svolgere un’adeguata ricerca legislativa (o di successiva consulenza) al fine di
far conseguire alle parti il regime fiscale più favorevole, ove per avventura non fosse già a conoscenza
dello stesso. In assenza di tale informazione, egli risponde per i danni che il cliente abbia conseguito
per effetto della mancata fruizione dei benefici fiscali e sempre che non sia possibile per il contribuente
ottenere il rimborso dell’imposta pagata” (39).
È dunque vero che il notaio non deve essere anche il consulente fiscale delle parti, ma non è meno vero
che non può ignorare del tutto la normativa fiscale, tenuto conto dei normali riflessi fiscali degli atti
ricevuti (40).
Tuttavia, precisa la più attenta dottrina, “tanto rigore intende dare rilevanza all’affidamento che le parti
ripongono nell’intervento del notaio, la cui opera è vista non solo come garanzia della legittimità
dell’atto ma anche dell’opportunità, inclusa quella fiscale, dello stesso. (…) Se dal notaio ci si attende
competenza in materia tributaria, non è invece degna di protezione l’aspettativa di vedersi suggerire
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una soluzione distorta che pieghi la realtà alle convenienze fiscali. Ancora, al notaio non dovrebbe
domandarsi più certezza di quanto il sistema giuridico ne conceda, soprattutto se si tratta di quello
tributario che, quasi per definizione, ne accorda ben poca. Così, di fronte alla negazione di un beneficio
fiscale da parte dell’Amministrazione Finanziaria – che risulti invece spettante secondo
l’interpretazione privilegiata dalla giurisprudenza - , il cliente che non ha inteso intraprendere la via
giudiziaria contro il fisco non può che perdere la causa per danni intentata contro il notaio” (41).
In senso contrario va segnalata una pronuncia di merito che, in verità, sostiene che in capo al notaio
non sussista alcun obbligo di informazione circa la disciplina fiscale dell’atto: “ben più difficile è,
invece, ipotizzare, in linea generale, che, nell’incarico al notaio, possa ritenersi compreso, sic et
simpliciter, senza una specifica indicazione, anche quello relativo alla disciplina fiscale dell’atto. Il
regime fiscale, infatti, è aldifuori dell’ambito strettamente preparatorio dell’atto medesimo,
incombendo, per legge, al notaio solo di provvedere al pagamento, per conto del cliente, e salvo rivalsa,
sia dell’imposta di registro che dell’Invim (…). Appare evidente, quindi, come (…) non sia
configurabile un generico obbligo per il notaio rogante, salva l’ipotesi (…) di uno specifico incarico
conferito ad opera del cliente, di tenere informato quest’ultimo in ordine a quale possa essere la
disciplina fiscale più favorevole per il cliente medesimo, esorbitando tale attività da quelli che sono i
compiti istituzionali del notaio, connessi alla preparazione dell’atto” (42).
L’obbligo di consulenza a carico del notaio non ha dunque limiti precisi, ma è da escludersi che possa
estendersi sino alla valutazione dell’opportunità economica dell’operazione, di cui al notaio sfuggono
normalmente gli elementi positivi di valutazione e che comunque non rientrano nella sua competenza.
Sul punto è da segnalare una remotissima pronuncia di merito che si è espressa in senso contrario,
affermando che “il Notaio ha l’obbligo di ingerirsi della utilità, convenienza e congruità delle
pattuizioni delle parti dedotte in atto, particolarmente quando egli abbia personale scienza di quegli
elementi che possono concorrere alla valutazione del contratto” (43).
La sentenza, rimasta di fatto giustamente isolata, è stata criticata assai duramente dai suoi
commentatori: “ci sembra che questa volta (…) l’estensore di questa sentenza abbia largamente
superati tutti quei limiti che, pur nella più ampia libertà di giudizio, la stessa collocazione della
Magistratura impone nella indagine sulle spesso tempestose vicende contrattuali. (…) È veramente
spiacevole e doloroso dover constatare come dalla motivazione di questa sentenza risultino non
perfettamente conosciuti dall’estensore quale sia la concreta sostanza della funzione notarile; quali i
limiti che, nell’esercizio di tale funzione, non solo la legge scritta, ma anche la legge morale assegnano
all’attività del Notaio; e quali, addirittura, le fondamentali nozioni sulla struttura del documento
notarile. Vogliamo solamente permetterci di ricordare:
a) che il Notaio, nella redazione degli atti dalle leggi affidate alla sua specifica competenza, non trova e non può né deve ricercare – altre limitazioni che quelle che le leggi stesse espressamente sanzionano;
b) che il Notaio non può, né deve indagare i motivi che inducono le parti a volere e stipulare quel
determinato contratto, e che non possono, come è evidente, ma come nella sentenza sembra si voglia
ritenere, confondersi od anche solo equipararsi alla causa del contratto stesso;
c) che il Notaio non può, né deve, in alcun modo ingerirsi della convenienza o meno, per l’uno o per
l’altra parte, alla conclusione di quel determinato contratto (…);
d) che il Notaio non può, né deve – all’infuori di quelle nozioni dirette all’accertamento della identità
delle parti – interferire nella formulazione del contratto con suoi particolari e personali convincimenti o
con sue presunte informazioni su fatti, cose, circostanze o persone, sino al punto da dover contrastare,
come il tribunale sembra ritenere, l’attuazione della dichiarata volontà contrattuale delle parti” (44).
5. Il risarcimento del danno futuro
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Pur ritenendosi che nell’incarico conferito al notaio possa sia compreso anche quello relativo alla
consulenza ed all’informazione, tuttavia si sostiene che, in assenza di un preciso riferimento normativo,
la sua eventuale violazione non sia fonte di responsabilità per il notaio (45).
In verità, quest’ultimo orientamento sembra, anche alla luce della sentenza che si annota, superato.
Nel caso deciso dalla Cassazione nella sentenza in commento, la condotta negligente che il giudice
ascrive al notaio (con conseguente obbligo di risarcimento del danno) consistite infatti nel non avere
adeguatamente informato gli acquirenti delle conseguenze del mancato frazionamento del mutuo,
determinando l’indeterminatezza dell’importo oggetto dell’accollo da parte degli acquirenti, nonché
nell’avere omesso di indicare nell’atto, e quindi di precisare alla parte acquirente, che l’ipoteca gravava
non soltanto sull’appartamento ed uno dei due box ma anche sull’altro box, oggetto della stessa
compravendita.
La Suprema Corte si è già espressa in senso analogo in tempi recenti, affermando che “l’obbligo di
informazione da parte del notaio integra un elemento essenziale della sua prestazione professionale, il
cui inadempimento costituisce violazione delle obbligazioni derivanti dal contratto di prestazione
d’opera professionale ed è fonte di responsabilità «ex contractu». In particolare, nella stesura di un atto
pubblico di trasferimento immobiliare la preventiva verifica della libertà e disponibilità del bene,
attraverso la consultazione dei registri immobiliari, costituisce - salvo espressa dispensa per concorde
volontà delle parti - un obbligo derivante dall’incarico conferito dal cliente (nella specie, è stata ritenuta
sussistente la responsabilità professionale del notaio che aveva omesso di informare gli acquirenti di un
immobile ipotecato circa i rischi relativi all’acquisto)” (46).
A tal proposito, la giurisprudenza ha sempre sostenuto che l’acquirente di un immobile gravato da una
ipoteca non rilevata dal notaio ha diritto al risarcimento del danno effettivamente subito, di cui il
danneggiato deve fornire la prova (47).
In altri termini, “l’azione di responsabilità contrattuale nei confronti del professionista che abbia violato
i propri obblighi può essere accolta, secondo le regole generali che governano la materia risarcitoria, se
e nei limiti in cui un danno si sia effettivamente verificato. Ai fini dell’accertamento di tale danno è
dunque necessario valutare se i clienti avrebbero, con ragionevole certezza, potuto conseguire una
situazione economicamente più vantaggiosa qualora il notaio avesse diligentemente adempiuto la
propria prestazione” (48).
Dunque, il mancato accertamento d’un vincolo pignoratizio od ipotecario gravante sull’immobile ed il
consequenziale mancato avvertimento all’acquirente da parte del notaio rogante la compravendita non
possono considerarsi produttivi d’un danno in re ipsa e tali, pertanto, da legittimare, di per se stessi,
una pretesa risarcitoria dell’acquirente nei confronti del notaio indipendentemente dalla dimostrazione
d’un qualsivoglia effettivo pregiudizio subito dal primo a causa del comportamento del secondo (49).
Un danno solo eventuale, non tradottosi in effettivo pregiudizio, non è risarcibile: “come, infatti, è stato
acutamente osservato in dottrina, occorre distinguere tra pericolo di danno e pericolo che determina
però un danno attuale, poiché solo quest’ultimo gode della tutela risarcitoria” (50).
In senso conforme si è affermato che “agli effetti dell’azione di risarcimento dei danni, il terzo
acquirente di immobili ipotecati - cui l’art. 2858 c.c. attribuisce il diritto potestativo di pagare i
creditori iscritti ovvero di rilasciare i beni ovvero di liberarli dalle ipoteche - deve dimostrare di avere
effettivamente tenuto una di tali condotte, dovendosi distinguere, in mancanza di prova di un effettivo
pregiudizio, tra pericolo di danno e pericolo che determina un danno attuale come nel caso di
impossibilità o di ritardo nel rivendere il bene a terzi” (51).
Nella sentenza in commento i giudici della Suprema Corte, discostandosi significativamente
dall’orientamento prevalente, affermano invece la immediata risarcibilità di un danno non attuale in
considerazione del fatto che il pericolo di conseguenze economiche pregiudizievoli, come la perdita del
bene a seguito di espropriazione, integra un danno futuro immediatamente risarcibile laddove esso
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appaia così probabile da risolversi in una sostanziale certezza, come nell’ipotesi in cui l’espropriazione
è preannunciata dal creditore che ha anche effettuato il pignoramento.
In presenza di tali limiti e condizioni, il danno futuro potrà essere ritenuto sussistente e risarcito.
Sembra così consolidarsi un nuovo e diverso orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo
il quale il risarcimento del danno futuro, sia in termini di danno emergente che di lucro cessante, non
può compiersi in base ai medesimi criteri di certezza che presiedono alla liquidazione del danno già
completamente verificatosi nel momento del giudizio, e deve avvenire secondo un criterio di rilevante
probabilità, per cui “è configurabile come danno futuro immediatamente risarcibile il pericolo che un
pregiudizio economico si verifichi con rilevante probabilità, ogniqualvolta l’effettiva diminuzione
patrimoniale appaia come il naturale sviluppo di fatti concretamente accertati ed inequivocamente
sintomatici di quella probabilità, secondo un criterio di normalità e di regolarità dello sviluppo causale,
fondato sulle circostanze del caso concreto (nella specie, è stata cassata la sentenza di merito che,
nonostante avesse accertato la negligenza del notaio per non aver verificato l’esistenza di iscrizioni
ipotecarie pregiudizievoli, ne aveva escluso la condanna al risarcimento dei danni asseritamente subiti
dall’acquirente di un immobile gravato da ipoteca, a seguito della richiesta di versamento della frazione
di mutuo insoluto da parte del creditore ipotecario del venditore fallito e dell’esecuzione del
pignoramento del bene)” (52).
Dunque, l’acquirente di un immobile, non informato al momento del rogito dell’ipoteca gravante sul
bene e al quale sia stato chiesto da parte del creditore ipotecario il pagamento di una somma, subendo
inoltre il pignoramento del bene acquistato, ha diritto al risarcimento. Si configura, infatti, un danno
futuro immediatamente indennizzabile e, pertanto, non è necessario che l’acquirente abbia già pagato il
creditore ipotecario o che gli abbia rilasciato il bene o lo abbia liberato dall’ipoteca ovvero abbia subito
l’espropriazione (53).
NOTE
(1) Caratteristica fondamentale dell’attività notarile consiste nell’inscindibile intreccio di elementi
pubblicistici e privatistici; dunque, il notaio è allo stesso tempo ufficiale dello Stato esercente una
funzione pubblica – cioè titolare di poteri che si esercitano non per un interesse proprio quanto
piuttosto per tutelare esigenze ed interessi della collettività - e libero professionista. Lovato, Il notaio
pubblico ufficiale e libero professionista nei notariati a tipo latino, in Riv. not., 1955, 162 s.: ”il Notaio
è pubblico ufficiale in quanto è vincolato all’ufficio di cui è investito, ufficio al quale accede a mezzo
di concorso, è sottoposto a vigilanza da parte degli organi dello Stato, assolve un interesse d’ordine
generale che lo Stato gli affida, elevandone l’attività al ruolo di pubblica funzione. Egli è invece libero
professionista in quanto svolge un’attività, che ha anche carattere privato; organizza lo studio, che la
legge gli impone di tenere aperto, a sue spese; non può contare su clientela fissa, svolgendosi la
professione in regime di libera concorrenza nell’ambito del distretto, sia pure con determinati vincoli e
limiti; agisce come ogni altro libero professionista per un interesse personale di lucro, che realizza
direttamente dal cliente in base a un rapporto di prestazione d’opera di natura privatistica; e al pari di
ogni altro professionista risponde in proprio delle conseguenze pregiudizievoli, quale che sia il grado
della sua colpa nell’esplicazione dell’attività richiestagli”. Circa i rapporti fra pubblica funzione e
libera professione nell’ambito nell’attività notarile si è spesso discusso in passato circa la prevalenza
dell’uno o dell’altro aspetto. Sul punto v. Cass., 11 maggio 1957, n. 1659, in Banca borsa e titoli di
credito, 1957, II, 336; Cass., 15 novembre 1960, n. 3046, in Giur. it., 1962, I, 1, 206; Cass., 25 ottobre
1972, n. 3255, in Giust. civ., 1973, I, 459; Trib. Milano, 19 febbraio 2001, in Rep. Giur. it., 2001,
Misure cautelari personali, 96. In dottrina Amato, I limiti della libertà professionale del notaio, in Riv.
not., 1960, 63.
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(2) Cass., 15 novembre 1960, n. 3046, cit. In dottrina Nigro, Il notaio nel diritto pubblico, in Riv. not.,
1979, 1153: “il notaio raccoglie e racchiude le dichiarazioni di scienza o di volontà di uno o più
soggetti (compreso sé stesso) in un documento atto per legge (art. 2699, 2700) a suscitare certezze
legali ed a fornire prova fino a querela di falso (l’atto pubblico)”. V. pure Porcari, Notaio: garante
della legalità o mero certificatore?, in Giur. it., 1995, I, 1, 1752.
(3) Tondo, Dovere per il notaio di informazione e consulenza, in Studi e Materiali - Quaderni
semestrali del Consiglio Nazionale del Notariato, 1/2002, Giuffrè, Milano, 2002, 316.
(4) A tal proposito non possono non condividersi i principi enunciati da Cass., 21 dicembre 2011, n.
28023, in CED Cassazione, 2011 secondo cui “l’attività professionale del notaio è contrassegnata da
un’assoluta personalità ed indelegabilità delle proprie funzioni, come rilevasi da una serie di norme.
L’art. 47 l. n. 89/1913 statuisce che il notaio indaga sulla volontà delle parti e sotto la propria direzione
e responsabilità cura la compilazione integrale dell’atto, cui è strettamente connessa la lettura, atteso
che è in questa fase, contrassegnata dalla contemporanea presenza delle parti, che emerge il riscontro
finale della corretta individuazione di tale volontà e dell’adeguata trasposizione nel testo predisposto.
Questi principi sono anche affermati dagli artt. 36 e 37 del codice deontologico, nonché dall’art. 42,
che alla lett. c) prevede che il notaio deve dare alle parti i chiarimenti richiesti o ritenuti utili ad
integrazione della lettura dell’atto, dall’art.51, n. 8 l. n. 89/1913, e 67 R.D. n. 1326/1914. Tali norme
ribadiscono che spetta al notaio, dopo aver dato lettura dell’atto, chiedere alle parti se quanto trascritto
sia conforme alle loro volontà. L’attività del notaio è dunque contrassegnata dalla personalità e dalla
qualità della prestazione nelle varie fasi in cui si articola, non necessariamente tutte contestuali, ma
funzionalmente collegate, che trovano la loro sintesi nella lettura dell’atto che deve essere effettuata
personalmente dal notaio, con le modalità dette. Tale è l’importanza della lettura dell’atto che l’art. 49
dei principi deontologici prevede che sugli atti a raccolta pubblica o autenticata, deve essere indicata
l’ora della sottoscrizione. Dal complesso delle norme riscontrate emerge dunque che la frettolosità è
incompatibile con l’attività notarile ed essa è ben deducibile presuntivamente allorquando il tempo
dedicato alla formazione dell’atto non sia sufficiente neppure alla lettura integrale dell’atto stesso. In
questo caso è onere del notaio provare la corretta esecuzione delle varie operazioni. La corte di merito
non si è attenuta a tali principi, giacché se è vero che la normativa vigente non prescrive una
contestualità o sequenzialità diretta tra le fasi di indagine della volontà delle parti, di redazione
dell’atto, e di lettura dello stesso, cosicché tali fasi possono dispiegarsi anche in modo intermittente,
con intervalli tra una fase ed un’altra, anche per la riflessione delle parti, tuttavia la sequenza dei tempi
deve essere tale da consentire la personale e completa esecuzione di tutte le operazioni da parte del
notaio. Né il supporto organizzativo di studio del notaio, per quanto efficiente, può valere ad esentare il
notaio dai suoi doveri di diligenza ed accuratezza della prestazione, ad altri non delegabili. Alla luce di
tali principi, disattesi dalla sentenza impugnata, dovrà essere esaminata l’attività svolta dal notaio, cui
era stato imputato di aver ricevuto negli ultimi giorni del mese di dicembre un numero particolarmente
elevato di atti (…), che per gli orari di sottoscrizione, anche in relazione ai diversi luoghi nei quali sono
stati stipulati, risultano di difficile compatibilità con il principio della personalità e qualità della
prestazione”.
(5) Boero, La legge notarile commentata, Utet, Torino, 1993, 10 s.: ”nella sua più vasta accezione tale
funzione comprende non soltanto mere attestazioni di identità o di dichiarazioni rese, ma coinvolge
anche indagini in tema di capacità e di legittimazione (si pensi, ad es., all’intervento in atto di una
società o di una persona giuridica) che talora risultano particolarmente complesse e comportano
rilevanti assunzioni di responsabilità. Anche le attività apparentemente più semplici (…) rendono
spesso necessaria, in realtà, la soluzione di problemi giuridici delicati, anche in rapporto alla sola
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attività di certificazione (…). Al migliore esercizio della funzione certificante tendono le numerose
disposizioni di carattere formale dettate sia per il ricevimento di atti pubblici, sia per l’autenticazione
delle sottoscrizioni, nonché le norme che disciplinano la conservazione degli atti e la vigilanza sui notai
(ancorché queste ultime, riconnesse soprattutto col carattere di pubblico ufficiale attribuito al notaio,
non trovino probabilmente giustificazione nella sola attività di certificazione, ma vadano valutate con
riferimento all’intero, più vasto ambito della pubblica funzione)”.
(6) Boero, Op. cit., 12.
(7) Cass., 13 giugno 2002, n. 8470, in Riv. not. 2002, 1226.
(8) Riva Sanseverino, Sulla funzione del notaio, in Riv. not., 1954, 230: “risulta che il notaio non è
solo un documentatore di dichiarazioni di volontà e, talora, anche di dichiarazioni di scienza, e che il
suo compito non consiste solo nel costruire un documento dotato di una certa efficacia probatoria, ma
anche (la denominazione tedesca di Rechtswahrer, “custode del diritto”, è infatti particolarmente
rappresentativa) nel dare alla volontà delle parti quella forma di manifestazione che corrisponde ai loro
intenti, ma ai loro intenti nell’ambito dell’ordinamento giuridico”.
(9) D’Orazi Flavoni, Sul contenuto della prestazione notarile, in FI, 1959, I, 156 s.: “la funzione
documentale, pur essendo quella di immediata evidenza e di più rifinita enunciazione testuale, non
esaurisce il ministero notarile, nemmeno quando a questo si allude come tipica attività istituzionale, che
trova appunto il suo logico esito nella redazione del documento. Non già accanto, ma prima e al di
sopra della funzione documentale si imposta e si svolge la funzione rivolta ad adeguare, anche nei
particolari, la fattispecie concreta (voluta dalle parti) ad uno dei possibili paradigmi astratti previsti
dalle norme positive. Funzione di adeguamento, la cui portata si gradua dal più nei settori degli atti
inter vivos, al meno nel settore dei negozi mortis causa, attraverso una estesa gamma di tonalità, che
arricchisce non poco quando, dal documento di contenuto propriamente negoziale, si passi a
considerare l’ambito delle verbalizzazioni notarili. Scarse, inorganiche ed oscure, dunque, le
disposizioni di legge in materia: da esse si desume però sempre che la figura del notaio trova peculiari
tratti fisionomici nell’attribuzione di questa funzione; attribuzione che differenzia il notaio da ogni altro
pubblico ufficiale documentatore. Dati come acquisiti questi elementi, nel campo della funzione di
adeguamento, si distingue (…) l’adeguamento necessario dall’adeguamento facoltativo. Quando la
incombenza di adeguamento si origina da un obbligo generico, gravante sul notaio in conseguenza
dell’officium di cui è investito, o da una specifica obbligazione ex lege, l’adeguamento assume la
qualifica di “necessario”. Al di fuori di queste ipotesi, la funzione di adeguamento può ancora profilarsi
con un carattere di possibilità e di eventualità che postula l’incarico ad hoc conferito dalle “parti” (o da
una di esse) al notaio e da questi accettato. L’adeguamento si designa allora come “facoltativo”. Anche
in tal caso si genera a carico del notaio una obbligazione (di comportamento), ma questa obbligazione
ha la sua fonte nel contratto di prestazione professionale e si distingue quindi così dall’obbligo generico
connesso all’officium come dalla specifica obbligazione ex lege, che si ritrovano sempre all’origine
della funzione di adeguamento necessario”.
(10) D’Orazi Flavoni, Op. cit., 157 s.: “riguardo alla fattispecie concreta, accertare le effettive
volizioni negoziali, la loro congruità ed adeguatezza, la variabilità in relazione all’effetto pratico da
conseguire, è indagine che l’ordinamento del notariato affida categoricamente ed indeclinabilmente al
notaio, attraverso una disposizione che dell’intero istituto costituisce pietra angolare, anche se per la
infelice collocazione e per l’incongrua formulazione è spesso dimenticata o trascurata. Dice l’ult.
comma dell’art. 47 legge notarile: «Spetta al notaro soltanto di indagare la volontà delle parti… », con
16
ciò intendendo che – almeno per la più alta manifestazione della sua funzione documentale, e cioè nei
riguardi dell’atto pubblico – il notaio non possa mai sottrarsi alla osservanza di questo obbligo che,
come si è detto, trova nel citato art. 47 la sua più ampia formulazione.
Dopo l’indagine di fatto, l’indagine di diritto: il notaio valuta la rispondenza giuridica della fattispecie
concreta da realizzare, osservando, tra l’altro, il disposto dell’art. 28, n. 1, legge notarile. Problema non
sempre agevole, ché l’art. 28, n. 1, implica, da un lato, l’assoluto rispetto delle norme cogenti,
dall’altro, l’accorta valutazione dei limiti propri alla norme permissive. Analizzata nei suoi momenti
essenziali, ecco la funzione di adeguamento necessario in piena luce”.
(11) Boero, Op. cit., 16: “la tradizionale impostazione della funzione di adeguamento si collega, infatti,
più o meno consapevolmente, ad uno schema che non sempre trova riscontro nella realtà: quello di due
parti contraenti prive di adeguate cognizioni tecnico-giuridiche, che esprimono un loro comune intento
empirico rispetto al quale il notaio è chiamato ad un’opera di traduzione in corretti parametri giuridici
e, all’occorrenza, di integrazione, previa indagine della comune volontà delle parti ed in conformità
agli esiti di tale indagine, su quei punti del rapporto che risulti necessario od opportuno statuire o
chiarire. Il ruolo del notaio, in tale ambito, non è meramente passivo, ma consiste anzi tipicamente
anche nel prospettare alle parti tutte le principali conseguenze (ad es., di ordine fiscale) dei loro intenti,
onde consentire loro eventualmente, in relazione ai consigli del notaio e pur senza che la loro volontà
possa essere coartata, di modificare lo schema dei reciproci rapporti che esse avevano prospettato”.
(12) D’Orazi Flavoni, Op. cit., 158: “il notaio ha il compito di adottare tutti gli accorgimenti idonei a
favorire la realizzazione degli interessi delle parti. Ciò implica che a tal fine debba curarsi la idonea
regolamentazione così sostanziale come fiscale del rapporto. È tuttavia ovvio che, nei limiti in cui
l’autonomia privata è riconosciuta dall’ordinamento positivo, il notaio non può imporre alle parti una
soluzione da esse non gradita. Di fronte a norme che consentano più o meno ampie alternative, questo
sembra essere limite invalicabile della funzione di adeguamento necessario”.
(13) Cass., 15 giugno 1999, n. 5946, in Riv. not., 2000, 136.
(14) Romano, La distinzione tra diritto pubblico e privato (e suoi riflessi nella configurazione
dell’ufficio notarile), in Riv. not., 1963, 45: “ci limitiamo a riaffermare il carattere di ufficio che
domina anche il rapporto interno. Dissentiamo quindi dalla diffusa corrente che ricorre alla nozione di
contratto per qualificare il rapporto professionale notarile. Ci sembra che siamo fuori dall’ambito
dell’art. 1321 c. c.: all’ufficio, anche privato, si domanda, e da esso si ottiene una risposta,
unilateralmente, e non è necessario perché si configuri l’accordo vincolante, che si debba ricorrere alla
sola figura del contratto. Scelta, investitura, regole professionali, compensi, seguono regole
intieramente diverse da quelle dei rapporti costituiti regolati e sciolti secondo la norma citata. Ciò
perché gli obblighi derivano, nell’esercizio della funzione, dalla legge che la ordina, così come per il
giudice è l’ordinamento cui appartiene e non la volontà della parte che a lui si rivolge”.
(15) Scarpello, Su di un caso di responsabilità per danni cagionati nell’esercizio delle funzioni
notarili, in Foro padano, 1955, I, 88 s.: “sembra da escludere che tra il notaro e le parti possa
configurarsi un vero e proprio rapporto contrattuale per quanto concerne la prestazione di ministero
notarile, consistente nella recezione degli atti tra vivi e di ultima volontà. Si può ammettere che in
dipendenza di incarichi particolari, connessi alla prestazione di tale ministero, possano instaurarsi
situazioni di natura contrattuale, come quando si affida al notaro in deposito una somma, ovvero gli si
dà mandato di riscuotere danaro o altri valori o di procedere all’acquisto di titoli. Ma, per quanto
attiene alla recezione degli atti, il notaro è obbligato a prestare il suo ministero per legge e non in virtù
17
di un vincolo contrattuale, che sia sorto in dipendenza della richiesta avuta dalle parti. Tale richiesta
costituisce un mero presupposto per l’esercizio della funzione pubblica, della quale il notaro è investito.
È questa che obbliga il notaro ad esercitare il suo ministero ogni volta che ne sia richiesto e ad
osservare, nell’esercizio di esso, tutte le formalità prescritte dalla legge per la recezione degli atti.
D’altra parte, non sembra neppure sostenibile che l’obbligo di osservare tali formalità sia imposto al
notaro dalla legge nei confronti di determinati soggetti e cioè per tutelare soltanto i particolari interessi
di coloro, che si pongono in relazione col notaro, richiedendone la prestazione dell’ufficio. Come già si
è messo in luce, l’obbligo predetto è legato inscindibilmente alla funzione notarile. Esso non sorge, di
volta in volta, dalla richiesta delle parti, ma preesiste a tale richiesta, poiché sorge all’atto stesso
dell’assunzione dell’ufficio notarile. Anzi, si può affermare che l’obbligo in questione trascenda
l’interesse delle parti richiedenti, in quanto mira a tutelare l’interesse del pubblico in generale ed cioè
anche l’interesse di tutti coloro, che pur non partecipando all’atto rogato, si vengono a trovare,
comunque, nella situazione di dovere fare affidamento sulla validità formale dell’atto stesso. Trattasi,
adunque, di un obbligo che il notaro è tenuto ad osservare erga omnes, in quanto inteso a salvaguardare
la pubblica fede negli atti notarili e la sicurezza del commercio giuridico”.
(16) Cass., 11 maggio 1957, n. 1659, cit.
(17) Lobina, In tema di responsabilità civile del notaio ex articolo 2671 codice civile, in Archivio resp.
civ., 1968, 898: “né, a sminuire tale considerazione, può valere l’osservazione che l’onorario per la
stipulazione dell’atto è corrisposto al notaio dal cliente, poiché, tale circostanza – riscontrabile anche
per altre categorie di pubblici ufficiali, quali, ad esempio, gli ufficiali giudiziari, per i quali
evidentemente, il mandato professionale è fuori di discussione, la cui notula è pagata da chi richiede
l’atto – dettata essenzialmente da ragioni di risparmio del denaro pubblico, non è indicativa e
determinante agli effetti della costituzione di un rapporto professionale, ben potendosi ravvisare
rapporti di natura professionale (per esempio nel caso del difensore officioso) nei quali la prestazione
può non avere quale corrispettivo la corresponsione dell’onorario da parte del cliente”.
(18) Cass., 16 febbraio 1957, n. 553, in Foro it., 1957, I, 774.
(19) De Cupis, La responsabilità civile del notaio, in Riv. not., 1957, 17: “tra il notaio e ciascuna delle
parti che intendono stipulare un contratto a mezzo di rogito notarile, esiste un distinto rapporto
contrattuale, in virtù del quale il notaio stesso è tenuto all’impiego della normale diligenza nella
strumentazione dell’atto, affinché abbia vita un altro rapporto contrattuale che le parti intendono
costituire tra loro mediante il detto atto. In altre parole, tra il cliente e il notaio esiste un rapporto
contrattuale, avente per oggetto l’attività e la diligenza che dovrà dispiegare il notaio per far sorgere un
altro rapporto contrattuale nel quale lo stesso cliente dovrà assumere posizione di soggetto: il primo
rapporto è correlativo al secondo, e strumentale rispetto al medesimo; e può esserne soggetto, oltre al
notaio, solo chi si accinge ad essere soggetto dell’istituendo rapporto”.
(20) Triola, La responsabilità del notaio, Giuffrè, Milano, 1999, 33: “nella generalità dei casi il notaio
svolge la sua funzione su incarico dei clienti, i quali sono liberi nella scelta del professionista cui
rivolgersi. Il fatto di non poter rifiutare tali prestazioni o di non poterne fissare liberamente il contenuto
(in quanto predeterminato dalla legge) non è sufficiente ad escludere l’esistenza di un rapporto
contrattuale”.
(21) Cattaneo, La responsabilità civile del notaio, in Riv. not., 1956, 630: “il notaio e il cliente
stipulano un contratto, anche quando si tratti di esercizio di pubbliche funzioni. Gli obblighi di legge
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relativi alla pubblica funzione divengono obbligazioni contrattuali, entrano nel contenuto del contratto.
Infatti, oltre che pubblico ufficiale, il notaio è anche un libero professionista, e viene retribuito
direttamente dal cliente. L’obbligo di prestare la propria opera è appunto un obbligo di contrarre.
Obblighi generali di tal genere sono posti specie a carico di chi è in una situazione di monopolio legale
(art. 2597 cod. civ.) o esercita un pubblico servizio (art. 1679 cod. civ.). Il contratto resta tale, anche se
una delle parti è tenuto a concluderlo. Del resto un obbligo di contrarre, anche se praticamente poco
importante, vige anche per un’altra categoria di liberi professionisti, cioè per i procuratori legali (art.11
R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578). Per le professioni sanitarie, poi, l’obbligo esiste in caso di
urgenza. Il caso del notaio non è dunque isolato”.
(22) Cass., Sez. U., 26 ottobre 1959, n. 3109, in Giur. it., 1961, I, 1, 735.
(23) Cass., 18 marzo 1997, n. 2396, in Riv. not., 1997, 1216, con nota di Musolino, Osservazioni in
tema di contratto di mandato e responsabilità professionale del notaio.
(24) Cass., 10 novembre 1998, n. 11284, in Riv. not., 1999, 715.
(25) Lovato, Op. cit., 166: “il rapporto che intercorre tra il Notaio e il cliente è di carattere civile e di
natura contrattuale regolato sotto il nome di contratto di prestazione d’opera intellettuale e l’aspetto
pubblicistico, che assume l’obbligazione del Notaio è comune (sia pure in misura più attenuata) alle
altre professioni, in quanto compiono un servizio che è rilevante per l’ordine pubblico e che lo Stato
disciplina nell’interesse della collettività. L’esistenza di un contratto fra cliente e Notaio, derivante
dalla sua figura di privato professionista, che coesiste senza esserne esclusa con quella di pubblico
ufficiale, porta alla conseguenza che la determinazione della responsabilità per colpa va condotta col
rigoroso rispetto delle esigenze giuridiche, che regolano l’istituto della responsabilità e che questa va
considerata sul piano del carattere contrattuale della prestazione”.
Analoghe argomentazioni si ritrovano in App. Roma, 4 febbraio 1957, in Foro it., 1958, 602: “nel
nostro ordinamento la natura pubblica di un servizio non esclude che il servizio stesso possa essere
prestato nell’ambito e con le regole che disciplinano la materia contrattuale (vedi ad es. art. 1679 cod.
civ.). Né si giunge a conclusione diversa per il fatto che il notaio non può rifiutare la prestazione della
propria opera, perché anche altri professionisti, come quelli forensi, non possono, senza giusto motivo,
rifiutare il loro ufficio (art. 11 legge forense) e tuttavia rispondono, come è pacifico in dottrina e
giurisprudenza, verso i loro clienti in via contrattuale di eventuali inadempienze. Non basta dunque la
natura della funzione notarile a fare escludere la sussistenza di un rapporto contrattuale di prestazione
di opera professionale, al quale sono applicabili le norme generali sui contratti e sulla relativa
responsabilità, integrate dalla legge speciale nel senso di un maggior rigore richiesto dalla delicatezza
della professione di notaio”.
(26) Girino, La figura giuridica del notaio, in Riv. not., 1985, 596 s.: “il contratto d’opera notarile
rientra nel novero di quelli di opera intellettuale, esattamente come i contratti dei liberi professionisti,
ma mentre in questi ultimi tutte le parti stipulanti sono soggetti privati o stipulano in tale veste, quello
notarile invece, nasce dall’accordo fra uno o più privati, da una parte, ed un pubblico funzionario,
dall’altra. Questa variante di carattere soggettivo influenza e contagia tutte le strutture e le vicende del
negozio, dalla nascita alla conclusione, sicché non sembra azzardato parlare di un contratto d’opera sui
generis, dai connotati atipici rispetto a quelli disegnati dal legislatore civile. Le molteplici scriminanti,
nei confronti di questi ultimi, derivano dalla presenza, non solo del pubblico ufficiale, bensì anche e
soprattutto dalla numerosa corte di prescrizioni pubblicistiche che lo segue ed accompagna. (…)
Questo complesso di limiti e di condizioni, per quanto concerne il contratto d’opera notarile, è raccolto
19
nella legge e nel regolamento istituzionali, nonché in svariate altre disposizioni, disseminate nella
galassia dell’ordinamento: essi incombono non solo sulla forma, sul contenuto e sulle vicende di detto
contratto, ma persino sulla sua nascita. (…) Essi testimoniano chiaramente l’atipicità del contratto
d’opera notarile, che mal sopporta, e solo di rado, il giogo della disciplina imposta dal legislatore civile
ai contratti d’opera dei professionisti”.
(27) Casu, In tema di responsabilità professionale del notaio, in Riv. not., 2009, 1511; De Cupis, Sulla
responsabilità del notaio per la nullità dell’atto da lui rogato, in Foro it., 1955, IV, 7; Id., Ancora
sulla responsabilità del notaio, in Foro it., 1955, IV, 71; Id., Ancora sulla responsabilità del notaio, in
Foro it., 1955, IV, 198; Id., Nuova postilla sulla responsabilità del notaio, in Foro it., 1956, IV, 235;
D’Orazi Flavoni, La responsabilità e le responsabilità del notaio, in Riv. not., 1961, 383; Gabrielli,
La r. c. del notaio, in Il diritto privato nella giurisprudenza a cura di P. Cendon, La responsabilità
civile, VI, Utet, Torino, 1998, 513; Musolino, La responsabilità dell’avvocato e del notaio, Giuffrè,
Milano, 2005; Quaranta, Stipulazione del contratto e responsabilità del notaio, in Contratti, 1996,
229; Scarpello, Su di un caso di responsabilità per danni cagionati nell’esercizio delle funzioni
notarili, in Foro pad., 1955, I, 83; Sorgato, La diligenza del notaio nella fase preparatoria dell’atto di
trasferimento immobiliare, in Riv. not., 1974, 129; Zaraga, La responsabilità professionale del notaio,
in Riv. not., 1957, 559. In giurisprudenza v. Cass., 29 ottobre 1971, n. 3066, in Foro it., 1972, I, 651;
Cass., 29 agosto 1987, n. 7127, in Vita not., 1988, 365, ed in Riv. not., 1989, 418; Cass., 12 maggio
1990, n. 4111, in Nuova giur. civ. comm., 1991, I, 774; Cass., 15 giugno 1999, n. 5946, cit.; Cass., 19
gennaio 2000, n. 566, in Vita not., 2000, 503; Cass., 23 ottobre 2002, n. 14934, in Riv. not., 2003, 766.
(28) Angeloni, Responsabilità del notaio e clausole abusive, Giuffrè, Milano, 1999, 34 s.: “il notaio è
un professionista intellettuale esercente una professione protetta. Per professione intellettuale si intende
quella che richiede un “impiego prevalente di intelligenza e di cultura” rispetto al lavoro manuale. Le
professioni intellettuali protette si distinguono rispetto alle altre professioni intellettuali poiché i
professionisti che le esercitano debbono essere necessariamente inscritti in un albo o elenco
professionale tenuto dall’ordine di appartenenza, sono soggetti al potere disciplinare degli ordini
professionali, e possono svolgere la loro attività professionale esclusivamente nelle forme del contratto
d’opera intellettuale, la cui disciplina prevede inderogabilmente, tra l’altro, la privazione del diritto al
compenso per chi non è iscritto nell’albo o nell’elenco (art. 2231 c.c.) e l’esecuzione rigorosamente
personale della prestazione (art. 2232 c.c.). Il prestatore d’opera intellettuale che si obbliga ad eseguire
una prestazione nelle forme del contratto d’opera intellettuale è un “debitore di mezzi”. Sono
obbligazioni di mezzi quelle nelle quali il debitore è obbligato ad un determinato comportamento,
“idoneo a realizzare il risultato che il creditore si attende”, ma non anche alla realizzazione di quel
risultato. Sono invece obbligazioni di risultato quelle nelle quali il debitore è obbligato a realizzare il
risultato, a realizzare con piena soddisfazione il fine economico del creditore”.
(29) Trib. Belluno, 11 maggio 2009, in Riv. not., 2009,1507: “le obbligazioni inerenti all’esercizio di
un’attività professionale, come è quella notarile, sono, di regola, obbligazioni di mezzi e non di
risultato; ne deriva che l’inadempimento del professionista alla propria obbligazione non può essere
desunto, ipso facto, dal mancato raggiungimento del risultato utile avuto di mira dal cliente, dovendo
essere valutato alla stregua dei doveri inerenti lo svolgimento dell’attività professionale, e, in
particolare, del dovere di diligenza, per il quale trova applicazione, in luogo del tradizionale criterio
della diligenza del buon padre di famiglia, il parametro della diligenza professionale fissato dall’art.
1176, secondo comma c. c., parametro da commisurarsi alla natura dell’attività esercitata; quindi, non
potendo il professionista garantire l’esito comunque favorevole auspicato dal cliente, il danno derivante
da eventuali sue omissioni è ravvisabile solo ove si accerti, sulla base di criteri necessariamente
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probabilistici, che senza quell’omissione il risultato sarebbe stato conseguito, secondo un’indagine
istituzionalmente riservata al giudice di merito”.
(30) Cass., 28 gennaio 2003, n. 1228, in Riv. not., 2003, 1234 s.: “nell’adempimento delle obbligazioni
inerenti all’esercizio dell’attività di notaio, il professionista è tenuto ad una prestazione che, pur
rivestendo i caratteri dell’obbligazione di mezzi e non di risultato, non può ritenersi circoscritta al
compito di mero accertamento della volontà delle parti e di direzione della compilazione dell’atto,
estendendosi, per converso, a tutte quelle ulteriori attività, preparatorie e successive, funzionali ad
assicurare la serietà e la certezza del rogito e, in particolare, la sua attitudine ad assicurare il
conseguimento dello scopo tipico (non meno che del risultato pratico) del negozio divisato dalle parti,
con la conseguenza che l’inosservanza di tali obblighi accessori dà luogo a responsabilità ex contractu
per inadempimento dell’obbligazione di prestazione d’opera intellettuale, a nulla rilevando che la legge
professionale non contenga alcun esplicito riferimento a tale, peculiare forma di responsabilità. Incorre,
pertanto, nella predetta responsabilità professionale il notaio che, con riferimento alla procura speciale
presentatagli dal sedicente rappresentante della parte venditrice, non ne accerti con cura l’autenticità,
senza che, in relazione a tale omissione, egli possa legittimamente invocare la limitazione di
responsabilità di cui all’art. 2236 cod. civ., non essendo il suo comportamento riconducibile alla
fattispecie dell’imperizia, bensì a negligenza ed imprudenza, alla violazione, cioè, del dovere di
normale diligenza professionale, rispetto alla quale (…) rileva anche la colpa lieve, ai sensi del comma
2 dell’art. 1176 stesso codice”.
(31) Cass., 15 giugno 1999, n. 5946, cit.
(32) Cass., 16 febbraio 1974, n. 450, in Giust. civ., 1974, I, 1612. Nello stesso senso v. Cass., 25
ottobre 1972, n. 3255, cit.; Cass., 20 febbraio 1987, n. 1840, in Riv. not., 1987, 814; Cass., 29 agosto
1987, n. 7127, cit.; Trib. Catania, 16 febbraio 2002, in Contratti, 2002, 720. In dottrina RoppoBenedetti, La responsabilità professionale del notaio: problemi e prospettive, in Funzioni e compiti
del notaio nel sistema dell’Unione europea, Ipsoa, Milano, 2001, 63.
(33) Cass., 15 giugno 1999, n. 5946, cit.: “la responsabilità del notaio, per i danni causati al cliente
postula la violazione dei doveri inerenti al suo svolgimento, tra i quali quello della diligenza, che va a
sua volta valutato con riguardo alla natura dell’attività e che in rapporto alla professione di notaio
implica scrupolosa attenzione ed adeguata preparazione professionale. Infatti il notaio
nell’adempimento delle obbligazioni inerenti alla propria attività professionale è tenuto ad una
diligenza che non è solo quella del buon padre di famiglia, come richiesto dall’art. 1176, comma 1°, ma
è quella specifica del debitore qualificato, come indicato dall’art. 1176, comma 2°, la quale comporta il
rispetto di tutte le regole e gli accorgimenti che nel loro insieme costituiscono la conoscenza della
professione”.
(34) Musolino, Profili della colpa professionale: continuità delle fonti romane e interpretazioni
eterodosse, in Riv. not., 1996, 468: “si deve, comunque, rilevare che il parametro di riferimento per la
responsabilità professionale non è il bonus pater familias ex art. 1176, comma 1, c. c., ma, piuttosto, il
buon professionista di cui al comma 2° dell’art. citato. Sulla base di tale ultima norma, infatti,
nell’adempiere alle obbligazioni nascenti dall’esercizio di una attività professionale, è prescritta una
diligenza adeguata alla natura dell’attività svolta. Nel nostro campo di indagine, quindi, si prescinde dal
criterio generale secondo cui le obbligazioni vanno eseguite con la diligenza del buon padre di
famiglia, poiché quest’ultimo parametro presenta caratteri troppo elastici e generici, mentre il dovere di
diligenza, a cui il prestatore d’opera intellettuale è tenuto, deve adeguarsi alla peculiare natura delle
21
attività da questi esercitata. Il professionista intellettuale, in definitiva, ha il dovere di svolgere il
proprio incarico con un grado di scrupolosità e accortezza che può qualificarsi come professionale
medio. Un tale livello di diligenza è senz’altro maggiore di quello generico e comune, dovendosi
dispiegare, in virtù della specifica professionalità, una cura ed un interesse a loro volta specifici e
qualificati, identificabili, appunto, nella diligenza del buon professionista (art. 1176, comma 2°, c. c.)”.
In tal senso anche Cass., 10 novembre 1998, n. 11284, cit.; Cass., 21 aprile 2000, n. 5232, in Riv. not.,
2000, 1267.
(35) Alpa, Aspetti attuali della responsabilità del notaio, in Riv. not., 1984, 990: “l’art. 1176 indica il
metro della diligenza con la quale si deve apprezzare l’esecuzione di una obbligazione. La norma
dispone infatti che la diligenza richiesta è quella del buon padre di famiglia, cioè la diligenza di
carattere medio. Il comma 2° della norma stabilisce che nell’adempimento delle obbligazioni inerenti
all’esercizio di un’attività professionale (come è il nostro caso), la diligenza deve valutarsi con riguardo
alla natura dell’attività esercitata. Sorge perciò la questione se il comma 2° dell’art. 1176, là dove si
disciplina la “diligenza del professionista”, imponga un metodo diverso di valutazione rispetto a quello
previsto dal comma 1°. La risposta in giurisprudenza è in senso negativo: anche nel comma 2° quando
si parla di diligenza del professionista, si fa riferimento ad un parametro comune, medio, di diligenza
media”.
(36) Cass., 11 marzo 1964, n. 525, in Riv. not., 1964, 702.
(37) Tondo, Op. cit., 316: “premesso che la consulenza va oltre l’informazione, comportando non solo
la segnalazione dei possibili esiti per la via prescelta dalle parti, ma anche la proposizione
d’impostazioni autonome o alternative o migliorative, si è talvolta dubitato, ma probabilmente a torto,
se anch’essa rientri, al pari dell’altra, nella funzione di notaio. Ma, comunque, è certo che anch’essa,
non meno dell’altra, ha una grande frequenza di riscontro, come uno tra i connotati più costanti e
qualificanti, nella prassi notarile. E, per di più, in vista di favorire, per le parti stesse, oltre che il
massimo di risultato giuridico, anche il minimo di costo economico”.
(38) Tondo, Op. cit., 315.
(39) Cass., 13 gennaio 2003, n. 309, in Riv. not., 2003, 985, con nota di Salito, Il notaio diventa
consulente fiscale delle parti. In senso analogo App. Perugia, 26 gennaio 2000, in Rep. Giur. it., 2000,
Notaio, 71; Cass., 31 ottobre 2002, n. 309, in Vita not., 2003, 144, con nota di Siscaro, Colpa
professionale nell’attività notarile: informazione e consulenza fiscale.
(40) Cass., 18 gennaio 2002, n. 541, in Giust. civ., 2002, I, 995.
(41) Fusaro, Le – tre o troppe? – responsabilità del notaio, in Riv. not., 2004, 1319 s.
(42) App. Roma, 4 giugno 1996, in Giust. civ., 1997, I, 539.
(43) Trib. Monza, 26 marzo 1949, in Riv. not., 1949, 564.
(44) Giuliani, Nota a Trib. Monza 26 marzo 1949, in Riv. not., 1949, 564 s.
(45) Candian, La responsabilità civile del notaio nella fase preparatoria dell’atto di trasferimento
immobiliare, in Resp. civ. e prev., 276 s.: “in presenza di prestazioni tecniche da effettuare e in
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considerazione della circostanza che il cliente spesso evidenzia una scarsa conoscenza in materia, si
richiede al notaio di mantenere, in costanza del rapporto professionale, una adeguata informazione del
cliente sulle prestazioni da effettuare. Questo comportamento deriva necessariamente dal contratto di
prestazione d’opera intellettuale e si presenta come un’obbligazione accessoria. Il contenuto di tale
obbligazione si concreta quindi nella esposizione dei principali problemi da risolvere e delle
susseguenti prestazioni che si intendono eseguire, per ottenere un effetto il più possibile congruente.
(…) Non reputo che l’omissione di questo dovere comporti a carico del notaio una responsabilità
contrattuale, sia per la mancanza di una norma che la sanzioni, sia perché appare difficile dimostrare
sul piano concreto che da essa sia derivato direttamente un danno per il cliente. Il comportamento
omissivo per essere fonte di responsabilità presuppone una norma che ne determini l’obbligatorietà.
Non giova, per riscontrare questa norma, il fondare l’obbligo notarile di informazione su clausole
generali quali il dovere di correttezza e il principio di buona fede”.
(46) Cass., 11 gennaio 2006, n. 264, in CED Cassazione, 2006.
(47) Cass., 24 novembre 2009, n. 24682, in Notariato, 2010, 124: “la responsabilità professionale del
notaio, nei confronti del cliente, per inadempimento della prestazione professionale, non da diritto al
risarcimento ove dall’inadempimento non derivi un danno risarcibile”.
(48) Cass., 20 luglio 2010, n. 16905, in Vita not., 2011, 1301.
(49) Cass., 13 settembre 2004, n. 18376, in Riv. not., 2005, 579: “l’evento lesivo produttivo del danno
risarcibile - a parte la peculiare ipotesi della spesa necessaria per la purgazione dell’ipoteca o la
cancellazione della trascrizione del pignoramento a seguito dell’estinzione del debito per il quale l’una
era stata iscritta o l’altro era stato eseguito - deve essere ravvisato nella perdita o del bene, ove ne abbia
avuto luogo l’espropriazione, o di vantaggi determinati, ove l’esistenza del vincolo abbia impedito la
rivendita”.
(50) Cass., 12 maggio 2000, n. 6123, in Nuova giur. civ. comm., 2001, I, 420.
(51) Cass., 11 gennaio 2006, n. 264, cit.
(52) Cass., 27 aprile 2010, n. 10072, in Foro it., 2010, I, 3393.
(53) Cass., 27 aprile 2010, n. 10072, cit.