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Il peccato è la rottura della relazione con Dio
Quello che Scalfari non ha capito (ma solo lui?)
Proprio in nome del dialogo, ma non come di solito si pensa.
Bensì, per mostrare l'utilità che ha un cattolico a dialogare con
un laico, ho deciso di scrivere questo post.
Un amico mi ha mandato il link dell'articolo di Scalfari, apparso
su Repubblica.it. L'ho letto e ovviamente mi sono confermato
che in Italia siamo tutti C.T. della nazionale, siamo tutti "primi
ministri", siamo tutti teologi. Anche e soprattutto i matematici e i
giornalisti lo sono. Come già Benedetto XVI avevo detto, in
risposta a Odifreddi il 24 settembre scorso, credo che anche a
Scalfari si possa dire: "posso soltanto invitarLa in modo deciso a
rendersi un po' più competente".
Leggi l'articolo di Scalfari »
Perché la lettura che Scalfari offre di papa Francesco e della storia teologica del cristianesimo non è
tanto una interpretazione personale. Che sarebbe legittima. E' soprattutto una mancanza di conoscenza
dei dati. "Il peccato è un concetto eminentemente teologico, è la trasgressione di un divieto. Quindi è una
colpa" dice Scalfari indicando il punto di partenza del suo ragionamento.
Basterebbe leggere il numero 1850 del Catechismo della Chiesa cattolica per capire che non è così. "Il
peccato è un'offesa a Dio: si erge contro l'amore di Dio per noi e allontana da lui i nostri cuori. Come il
primo peccato, è una disobbedienza, una ribellione contro Dio, a causa della volontà di diventare «come
Dio» (Gn 3,5), conoscendo e determinando il bene e il male, il peccato è amore di sé fino al disprezzo di
Dio". Per la Chiesa il centro della definizione di peccato è relazionale, non legale. Non è tanto la
trasgressione di una regola, ma la rottura di una relazione, quella con Dio.
E questa differenza può essere nascosta o sottovalutata solo da chi non conosce il senso di una
relazione con Dio. Perciò è ovvio e normale che Scalfari possa leggerlo solo così. La conseguenza qual
è? Che peccato e colpa finiscono per diventare sinonimi. E il senso di peccato viene confuso col senso di
colpa. Posso accettare che Scalfari lo dica. E' un non credente. O forse, è un uomo in ricerca, e mi fa un
immenso piacere che abbia trovato in Francesco un interlocutore che lo attrae.
Faccio invece fatica ad accettare che questa visione del peccato come trasgressione di una regola sia la
base dell'etica di molti cattolici. Che si dicono credenti. Che, nonostante Gesù Cristo, hanno ancora una
visione di Dio simile a quella dello stesso Scalfari nell'antico testamento: "Il Dio mosaico è un giudice e al
tempo stesso un esecutore della giustizia". Assolutamente parziale e riduttiva.
La visione di Dio che si ha dentro è la base da cui - che ce ne rendiamo conto o no - partiamo per dare
valutazioni e interpretazioni di tutta la realtà. Perciò lo stupore di Scalfari è giustificato nella lettura delle
parole, azioni e gesti di papa Francesco. Dal suo punto di vista l'insistenza sul Dio misericordioso e che
perdona all'infinito è una novità assoluta di questo papa. E in questo modo la novità di Gesù Cristo, che
rivela il Dio misericordioso viene però sconnessa da tutto il resto della rivelazione, creando una frattura
tra grazia e natura che si risolve solo immaginando un Dio che rende ininfluente le scelte libere dell'uomo.
Tanto che Scalfari non riesce a comprendere il senso dell'esistenza dell'inferno, che invece è la
dimostrazione più lampante della libertà autentica dell'uomo.
Ma molti cattolici, su questo mostrano una serie di reazioni apparentemente opposte, che partono però
dalla stessa idea di Dio che Scalfari si porta dentro, quella del giudice. Dalla paura, all'insofferenza, alla
rabbia, perché secondo loro la deriva di Francesco è proprio quella di essersi venduto al relativismo
"modello Scalfari". Mi chiedo se davvero chi ha queste reazioni ha sperimentato il senso della relazione di
amore e di misericordia di Dio verso di sé. O se invece continua a sentire il proprio peccato come una
colpa, che finisce per rinchiuderli in un egocentrismo negativo auto giudicante.
Perché la differenza tra senso di colpa e senso di peccato sta proprio qui. Il senso di colpa è
l'autogiudizio negativo di una coscienza che si relaziona solo a sé stessa, guardando ad una regola presa
come "altro da sé". Toglie perciò energia alla persona, che solamente può dire: così non va bene, sono
sbagliato. E la volta dopo ripeterà lo stesso comportamento. Una questione perciò individuale, che si
gioca tutta tra sé e sé, dove il rapporto con Dio non esiste. Il senso di peccato invece esiste solo a partire
dall'esperienza della relazione con Dio, non prima.
E' nel momento in cui Lui mi può perdonare che mi accorgo si essere peccatore, non prima! Prima sono
solo colpevole. Il senso di peccato perciò da energia, apre alla relazione di fiducia con Dio e si traduce in
un: quanto manca ancora per arrivare "a casa"? E Dio risponde: "Non temere, va bene così, puoi farcela".
E la volta dopo abbiamo più possibilità di non ripetere quel comportamento. La rivoluzione di Francesco
sta proprio in questo, non nell'aver cancellato il peccato, ma nell'aver rimesso al centro questa differenza,
ridando al peccato il suo senso più vero.
Gilberto Borghi
(articolo tratto da www.vinonuovo.it)
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