DR. FRANCESCO PISANU (IPRASE) Grazie. Salve a tutti. Innanzitutto, vorrei ringraziare, ne approfitto molto velocemente, le persone con cui ho interagito in questi ultimi..., diciamo dall’anno scorso fino ad oggi, principalmente Pialisa Ardeni e Mara Garuti. Allora, faccio una breve digressione. Noi abbiamo iniziato a lavorare all’interno di questo progetto perché c’era stato richiesto di un supporto per riuscire a fare una prima analisi degli esiti che il progetto aveva avuto dopo anni di attività e realizzazione, da diversi punti di vista. Allora, i dati che c’erano a disposizione l’anno scorso e che sono attualmente a disposizione adesso, sono di diverso tipo, ci sono dati di tipo strutturale, quindi, ad esempio, il molte ore complessivo o le risorse dedicate alle singole attività all’interno del progetto, insomma tutto ciò che può descrivere dal punto di vista strutturale i progetti, in una visione evolutiva nel corso del tempo, e noi abbiamo pensato di agganciare a questo, a questi dati chiamiamoli oggettivi, tutta una serie di dati che noi definiamo, in genere, psicosociali, cioè legati ad alcuni elementi già indicati in precedenza, ad esempio legati alla motivazione degli studenti, che sono poi gli utenti finali di questo progetto. Quindi, una parte di questa presentazione sarà dedicata ad un riassunto tipo di scenario, rispetto ai dati oggettivi, invece un’altra verrà dedicata ai dati, diciamo più soggettivi, da questo punto di vista. Allora, gli elementi che ci hanno interessato di più, rispetto a questo progetto, sono fondamentalmente i seguenti: innanzitutto, il fatto che si faccia una sorta di riferimento all’attività di insegnamento e di apprendimento al di là della classe. Quindi, ci interessava questo aspetto di utilizzo di canali differenti, per quanto riguarda l’insegnamento e l’apprendimento. Ovviamente, queste scelte, queste ipotesi anche metodologiche sono o potrebbero essere a rischio, nel senso che è vero che la classe, spesso, viene considerata, se siete insegnanti lo sapete meglio di me, come una specie di monolite, il canale preferenziale per l’apprendimento, però da un punto di vista formale, bisogna passare per forza da questo tipo di canale. Situazioni di questo tipo, ad esempio, di attività di compiti assieme o tutoraggio o i laboratori, a volte può anche capitare che siano, in realtà, delle fughe, rispetto a questi contesti, cioè situazioni in cui, in qualche modo, si alza bandiera bianca e si delega (non è il caso di questo progetto ovviamente) ad altre situazioni la soluzione di problemi che non riescono ad essere risolti all’interno della classe. Quindi, c’era questo aspetto che ci interessava molto, una diversa considerazione delle attività di insegnamento e di apprendimento. Un altro aspetto era quello delle reti. Noi arrivavamo, l’anno scorso, da una serie di indagini e di ricerche che riguardavano i bisogni educativi speciali anche in un’ottica di rete. Diciamo che gli esiti che abbiamo avuto non sono stati molto entusiasmanti da questo punto di vista, nel senso che a parole, tutti descrivono la propria persona, il proprio ente, il proprio gruppo all’interno di una rete. Tutti facciamo parte di una rete, è la bellezza delle reti, è necessario fare rete etc. Se, però, poi, iniziamo a studiare, effettivamente, le reti da un punto di vista un po’ più chiamiamolo empirico, ad esempio noi abbiamo fatto degli studi dal punto di vista dell’analisi dei reticoli sociali, abbiamo scoperto che, in realtà, spesso le reti vivevano su intenzioni, su auto-attribuzioni che, effettivamente, non esistevano nella pratica. Quindi, queste grandi reti che vivevano, dal punto di vista degli accordi di programma e delle intenzioni, alla fine poi, nella pratica quotidiana, scomparivano oppure, in realtà, erano composte da piccole sottoreti all’interno. Quindi, eravamo interessati a capire quali potessero essere i premi, in termini di riconoscimenti, che i nodi e le reti ricevono per la partecipazione. Ad esempio, una cosa che mi ha incuriosito molto stamattina, parlando delle reti e della partecipazione alle reti dei genitori, è che molti genitori continuano a fare attività all’interno del progetto, anche se i propri figli hanno concluso il percorso scolastico – educativo. Allora, l’aspetto interessante è capire che cosa premia, da un punto di vista, appunto, non monetario, questi genitori nel continuare a partecipare e a dare il loro contributo a quello che potrebbe essere il capitale sociale di queste attività. L’ultimo aspetto principale, che poi ci ha spinto a interessarci è il disagio. Sempre per partire da attività che svolgiamo noi come istituto di ricerca, una cosa che ci ha piacevolmente colpito è che, ad esempio, una delle proposte a livello di individuazione del problema, è che esiste una sorta di scheda ad utilizzo, insomma, degli insegnanti, sulla quale vengono raccolte le differenti situazioni problematiche per singola classe. Ecco, questa, in realtà, è un’attività che abbiamo scoperto con le nostre ricerche nel nostro territorio di riferimento, che non viene svolta in maniera sistematica, cioè attraverso una modalità di gestione molto, così, soggettiva, rispetto ai contesti di classe, dove questo problema, spesso, viaggia più sull’informale, piuttosto che sul formale. Quindi, il problema viene identificato, e per evitare immediatamente il caso, all’interno della scuola, si tende a tenerlo un po’ più sotto traccia. Quindi, classe, rete e disagio sono stati gli elementi fondamentali, che ci hanno spinto a interessarci a questa attività. Allora, per iniziare, visto che molto è stato già detto nell’intervento precedente, farò riferimento a quelle che sono le attività svolte all’interno di questo progetto. Noi, nello specifico, abbiamo esaminato dal punto di vista dei dati raccolti, due attività, lo vedremo dopo: i compiti assieme o insieme, dipende un po’ dalle etichette utilizzate, e il tutoraggio; però sappiamo bene che ci sono anche altre attività, ad esempio i laboratori con una tripla declinazione dei laboratori, ci sono altre attività un po’ più peculiari, come ad esempio lo sportello di ascolto, ecc. Quindi, anche i dati che vedremo nella seconda parte, sono più centrati su due attività, prevalentemente, i compiti insieme e il tutoraggio. L’aspetto interessante di questa attività, soprattutto all’interno di questo progetto, è che, ovviamente, da un punto di vista formale, sono extracurricolari, quindi non intaccano, nella maggior parte dei casi, l’orario scuola in modo stretto, ma vanno a realizzarsi con una selezione in alcune classi, quindi con alcuni studenti che vengono presi da alcune classi e poi, si svolgono in orari diversi rispetto a quelli del tempo scuola. Diciamo che la differenza fondamentale tra queste due possibilità delle attività extracurricolari è che siano più o meno strutturate. Allora, in genere si pensa che mettere lo studente problematico in una situazione al di fuori del contesto classe, dove può fare qualcos’altro per calmarne le istanze comportamentali e devianti, possa funzionare di per se stesso. In realtà, credo che una delle caratteristiche principali di questo progetto è che non ci sia questo aspetto un po’ così da laissez-faire, diciamo, ma le attività scelte extracurricolari hanno una forte struttura e valenza da un punto di vista della gestione anche didattica e pedagogica. Questo è un aspetto che tratteremo in maniera un po’ più approfondita successivamente, nel senso che dalle analisi che abbiamo fatto, in base ai dati che abbiamo raccolto, soprattutto per una di queste attività, cioè i compiti assieme, che probabilmente ha una sovrapposizione maggiore con le attività in classe, è possibile vedere e individuare tutta una serie di aspetti che sono facilmente riconducibili alle attività in classe, all’effetto che possono avere nelle attività in classe, e questo non è sicuramente un aspetto secondario. Ad esempio, scrivendo il report dell’indagine internazionale TIMSS (Trends in International Mathematics and Science Study), che immagino anche voi conosciate, nella provincia di Trento, ci siamo accorti, in maniera abbastanza paradossale, che l’effetto dei compiti a casa, del tempo speso nei compiti a casa, è spesso inversamente proporzionale al rendimento scolastico, negli ambiti disciplinari matematica e scienze. Banalmente, più i ragazzi, cioè gli studenti della quarta elementare e della terza media, passano tempo a casa, a fare compiti a casa, più è probabile che vadano peggio in matematica e in scienze. La differenza fondamentale non la fa tanto il tempo dedicato ad ogni singola sessione dei compiti in casa, ma da una parte la qualità del tempo (quindi con quale frequenza vengono assegnati) e poi l’utilizzo strategico dei compiti, nel senso che non è che basta dire: “Ora che tornate a casa, cinque ore, rivedete le cose fatte oggi e ci vediamo domani”. È anche possibile una situazione in cui si chiede in maniera più frequente, però per meno tempo e in maniera più strategica per alcuni aspetti, e il rendimento va sensibilmente ad aumentare. E questo tipo di approccio si collega in maniera molto stretta alle attività dei compiti assieme, nel senso che da quello che ho capito io, da osservatore esterno, sono assolutamente simmetriche da un punto di vista preparatorio, rispetto alle attività da fare in classe, e questo non è un aspetto secondario, come vedremo in seguito in questa presentazione, e probabilmente da una sorta di valore aggiunto maggiore, probabilmente rispetto ad altre attività che hanno meno struttura e meno legame con le attività in classe, che forse rimangono un po’ più sospese sull’aspetto relazionale e di gestione dei comportamenti e meno sull’aspetto di investimento, dal punto di vista cognitivo e degli apprendimenti. Allora, partiamo con la parte, diciamo, principale della presentazione. Come vi dicevo, c’è una prima parte in cui descrivo le diverse componenti del progetto e cerco di darne un’interpretazione, rispetto ai dati oggettivi raccolti, e poi una seconda parte, dove vedremo un po’ quello che è il punto di vista degli studenti su due tipologie di attività. Su alcuni aspetti del progetto, passo molto velocemente, perché sono già in parti stati descritti precedentemente. Sicuramente, uno dei punti di partenza è ovviamente una situazione di disagio e di problematicità. Anche questo sarebbe un aspetto interessante da sondare in maniera un po’ più probabilmente precisa. Il fatto che esista una scheda di raccolta delle situazioni problematiche, è molto positivo, dal nostro punto di vista, perché rende il tutto molto più strutturato, però sarebbe anche interessante sapere, in maniera più approfondita, da un esterno, quello che, poi, effettivamente, è l’uso delle schede, cioè se c’è una corrispondenza diretta tra i dati raccolti con le schede e poi il reclutamento, scusatemi il termine, dei ragazzi all’interno delle attività, oppure se ci sono dei punti intermedi in cui questi dati, più o meno oggettivi, vengono rielaborati e ricondotti a scelte che poi diventano comunque soggettive e frutto più di una scelta, appunto, condivisa all’interno del consiglio di classe, piuttosto che del dato effettivamente raccolto. Però, sicuramente, si tratta di situazioni dove c’è un problema evidente, esplicito, probabilmente raccolto dal singolo insegnante in maniera evidente, con, appunto, alcune caratteristiche comportamentali o di scarso rendimento scolastico, che necessita un tipo di attività contenitiva o supportiva. Ecco, uno degli elementi interessanti, che magari potrebbero essere lanciati a livello di possibili piste di sviluppo, da questo punto di vista, potrebbe essere il legame con l’attività curricolare, cioè come queste situazioni problematiche, poi possono essere o devono essere necessariamente gestite all’esterno della classe, oppure possono trovare anche spazi di azione all’interno della classe stessa, per raggiungere un buon bilanciamento tra le due situazioni nell’effettiva realizzazione delle attività didattiche. Sui destinatari del progetto, quindi in base, ovviamente, a questa introduzione, abbiamo una lunga serie di situazioni, chiamiamole problematiche in termini generali, che variano da situazioni più o meno strutturate e certificate, ad altre che sono all’interno del grande contenitore delle situazioni, appunto, problematiche o di disagio, in termini generali. Possiamo vedere, ovviamente, un numero molto alto di alunni stranieri, quindi questo ci fa pensare, io non ho mai visto le classi all’interno del vostro contesto scolastico, però posso immaginare che la probabilità di trovare degli alunni di nazionalità non italiana o non direttamente italiana, sia molto elevata. È una situazione che si sta consolidando anche nella Provincia di Trento, dove spesso capita, soprattutto nella scuola media, di ritrovarci davanti a classi molto eterogenee. Quindi, sicuramente, situazioni di eterogeneità di classe sono la base di questi elementi. Poi abbiamo un contenitore molto generale, che è questo delle lacune nella preparazione. Immagino che anche questa categoria venga alimentata, in maniera ibrida, tra dati di tipo oggettivo e anche da giudizi un po’ più soggettivi da parte degli insegnanti; quindi c’è l’effettivo andamento scolastico non completamente pertinente rispetto alle attese, ma magari c’è anche un giudizio molto più ampio, rispetto a quello che pensa o dice l’insegnante. Queste sono le due categorie principali che compongono i destinatari del progetto. Ovviamente, sono categorie rispetto anche alla filosofia di partenza del progetto, che necessitano di situazioni di trattamento e di intervento, come dicono gli stessi membri dello staff del progetto, un po’ diverse, rispetto a quelle tradizionali. Questo può essere vero dal punto di vista generale, il problema è che spesso (e ce ne rendiamo conto soprattutto noi, che viviamo a stretto contatto con gli insegnanti), è difficile trovare una chiara identificazione di cosa potrebbe essere un insegnamento non tradizionale. Allora, è facile dire: “Non faccio didattica frontale”, però è difficile dire quali possono essere le alternative valide, perché uno dice: “Va beh, faccio una didattica molto più partecipata e attiva”, però a un certo punto diventa un problema di tecniche quindi se, ad esempio l’insegnante o l’operatore non dispone di tutta una serie di tecniche e strumenti di tipo pedagogico, è difficile poi dare una proposta altrettanto valida e di spessore. Uno degli aspetti importanti, che riguardano i dati chiamiamoli oggettivi, sono i soggetti che realizzano le attività. Prima abbiamo sentito parlare dello sviluppo della rete, e l’aspetto interessante di questa rete è che si è consolidata o stabilizzata, come dicono i sociologi, su due versanti principali: una forte presenza dell’aspetto istituzionale, quindi Fondazione più Comune, che ha una partecipazione anche dal punto di vista economico e finanziario, e poi, come potete vedere da queste colonne viola molto ampie, una forte presenza del mondo del volontariato. Tanto che, ad esempio, la colonna più alta che vedete, non so se riuscite a leggere, i laboratori pomeridiani volontari, sono fatti quasi esclusivamente da volontari o da persone che arrivano dal mondo del volontariato, piuttosto che in ambito istituzionale. A noi interesserebbe analizzare al meglio le due colonne che ci appaiono alla destra, cioè quelle che riguardano lo studio assieme, vedere se, effettivamente, gli esiti, da un punto di vista, ad esempio, anche delle percezioni degli studenti, di attività svolte da persone che arrivano dalle istituzioni, cioè gli insegnanti e gli educatori, possono essere simili o, in qualche modo, diverse, rispetto alle attività svolte da volontari, quindi da persone che professionalmente non svolgono quel tipo di attività. Questa, ad esempio, potrebbe essere una ulteriore pista di approfondimento, rispetto al caso molto interessante di questo progetto. Ci sono anche altre situazioni, ad esempio il tutoraggio viene gestito in maniera preponderante, con risorse di tipo istituzionale e meno con risorse di tipo volontario o legate al volontariato. Quindi, è probabile che una delle piste più interessanti di approfondimento possa essere anche questa, vedere se, effettivamente, l’apporto del mondo del volontariato, dal punto di vista della qualità delle attività svolte, anche in un’ottica pedagogica ed educativa, possa essere altrettanto valido, rispetto a quello dato da persone che, professionalmente, si occupano di questi aspetti. Questo anche in un’ottica strategica, nel senso che è vero che le risorse saranno sempre di meno, a disposizione, ormai, di tutti gli enti pubblici o privati che si occupano di educazione, e quindi, questo significa che una buona parte delle attività sarà sempre di più svolta da persone che appartengono al mondo non strettamente istituzionale, quindi, ad esempio, al mondo del volontariato. Questo, però, significa creare, probabilmente, maggiori legami che portino, rispetto al mondo del volontariato, una maggiore sostanza, dal punto di vista tecnico – operativo. Uno degli aspetti interessanti che ho letto proprio nell’ultima parte, è la preparazione, o forse c’è stato già un rilascio di alcuni manuali o indicazioni operative su come gestire queste attività, immagino ad uso e consumo principalmente di persone che non hanno una professionalità esplicitamente legata, da questa punto di vista. Ecco, questo è un altro aspetto interessante, che potrebbe servire per dare una base comune, non dico in termini omologanti, ma quantomeno degli standard comuni, a persone che arrivano da situazioni professionali e sociali molto diverse. Che ne so, il genitore che fa una professione che, ad esempio, non ha nessuna valenza di tipo educativo o pedagogico, potrebbe avere gli strumenti minimi per poter svolgere alcune attività, da questo punto di vista. Questo scenario, dal punto di vista del tempo dedicato, è, secondo noi, uno dei più interessanti, in termini di informazioni da dare e da rilasciare, soprattutto per il fatto che ha un linguaggio comune. Cioè, in tutte le attività c’è un riferimento al tempo dedicato in maniera abbastanza omogenea. Altri elementi, ad esempio, legati alle risorse, spesso sono molto più variabili, e non sappiamo se, effettivamente, riescono a spiegare alcuni aspetti caratterizzanti delle singole attività, cioè non è detto che se in un’attività si investono più soldi (banalizzo un po’ la cosa), poi queste attività diventano, in automatico, più efficaci o siano più utili, da un punto di vista pratico - operativo. Allora, all’interno delle due grandi categorie, Fondazione più Comune e Volontariato, ci sono, ovviamente, diversi soggetti altrettanto peculiari. Ovviamente, gli insegnanti e gli educatori professionisti sono quelli che lavorano all’interno dell’ambito istituzionale e sui quali si fa maggiormente carico, da un punto di vista, diciamo, formale. Abbiamo, però, tutta un’altra serie di soggetti, che magari, molti di voi conoscono meglio di me, che orbitano all’interno di queste attività, e che danno il loro contributo in maniera molto sostanziale. Abbiamo già parlato dei genitori, dell’associazione dei genitori, ma ci sono anche altre tipologie di soggetti, che provengono dal mondo del volontariato. Sulla tipologia degli interventi, ovviamente si tratta di una scelta multimodale. Ci sono diverse tipologie di interventi che possono andare ad impattare diverse tipologie di esigenze. Ne abbiamo già sentito parlare durante l’intervento precedente e, in genere, durante la giornata, li riassumo molto brevemente, in base alla caratteristiche del tutto peculiari. Il tutoraggio, che in genere sono attività più prevalentemente (da quello che abbiamo compreso noi, in base ai dati raccolti), di tipo individuale, almeno dal punto di vista formale, cioè dove si fa attività, appunto, di potenziamento, sul singolo individuo o sulle caratteristiche del singolo individuo. Ovviamente, questo tipo di relazione, potrebbe portare ad uno sbilanciamento, da un punto di vista delle esigenze di recupero e dal punto di vista relazionale, personale, in base alle problematiche, però come vediamo nell’ultimo punto, l’obiettivo è anche quello di avere una valenza di tipo formativo e non solamente dal punto di vista sociale e relazionale. I compiti insieme, invece, sono le attività probabilmente un po’ più complesse da questo punto di vista, almeno dal nostro punto di vista, perché sono strettamente legate all’attività didattica, vengono fatte spesso in maniera partecipata, c’è un rapporto abbastanza peculiare tra la persona, l’adulto, l’esperto che gestisce le relazioni e gli studenti; quindi insomma, lì troviamo uno degli strumenti più potenzialmente utili e dal valore aggiunto che, probabilmente, daranno i frutti migliori, da questo punto di vista. Ci sono, poi, le attività laboratoriali, di vario tipo. Ciò che caratterizza, ovviamente, queste attività (un po’ anche per ricollegarci all’esperienza che abbiamo avuto noi in Trentino), è la forte centratura sulle attività operative. Quindi, non si tratta, come va di moda adesso, di didattica laboratoriale in senso stretto, ma si tratta proprio di andare all’interno di laboratori e mettere a frutto tutte le peculiarità e abilità, dal punto di vista anche manuale ed operativo. Anche in questo caso, gli aspetti più sensibili e problematici sono quelli legati al dare una valenza e una connotazione da un punto di vista educativo e formativo a questa attività. Cioè, la domanda è: “Come è possibile appaiare alle attività che, apparentemente, sembrano del tutto formali, anche un carico di tipo formativo ed educativo, in modo tale che quel tempo non rimanga solo un’attività pratica in senso stretto, ma possa contribuire al successo formativo del singolo ragazzo?”. Ci sono, poi, altre attività, come lo sportello d’ascolto ad esempio, che è più centrata su attività chiamiamole di counseling, cioè di attività di ascolto, rispetto alle esigenze dei singoli. Anche in questo caso, la centratura è prettamente da un punto di vista individuale e poi, ci sono tutta una serie di interventi per gli alunni stranieri. Anche in questo caso, degli aspetti particolari possono essere quelli legati alla Didattica Interculturale, in modo tale da associare, in maniera un po’ più pertinente, un po’ più sintonizzata, rispetto alle esigenze dei singoli alunni stranieri. Ci può essere una sovrapposizione con altre forme di strumenti utilizzati precedentemente, come i laboratori pomeridiani, ad esempio, di cucina, danza etc., che vanno a ripescare alcune caratteristiche culturali, legate alle tradizioni dei singoli studenti. Allora, non so quanto tempo mi è rimasto ancora, vorrei fare un’ultima panoramica. Un altro degli aspetti interessanti di questo progetto è la presenza di una forte spinta nei confronti della ricerca-azione, del grande contenitore della ricerca-azione. Cioè, pensare a una situazione in cui si raccolgono dei dati, per attivare processi di miglioramento e di potenziamento dell’attività. Una parte di questa attività ha visto il mio istituto, l’IPRASE, come protagonista, nella raccolta di questa tipologia di dati, e abbiamo potuto farlo, come vi dicevo, su due tipologie di queste attività, cioè i compiti assieme e il tutoraggio, raccogliendo più dati per quanto riguarda i compiti assieme e un po’ meno per quanto riguarda il tutoraggio. È un’indagine che abbiamo svolto attraverso la raccolta, attraverso un questionario, scegliendo due ambiti di raccolta dati e di focalizzazione: da una parte la soddisfazione degli utenti rispetto alle attività e, invece, dall’altra, l’impatto su alcune variabili di tipo psicosociale. Allora, vi faccio vedere in maniera abbastanza veloce i dati. Non spaventatevi per questo grafico. In sostanza, è la rappresentazione di uno strumento di raccolta dati che si chiama “differenziale semantico”. Si tratta di coppie di aggettivi, che vengono richieste alle persone che rispondono al questionario, per sapere dove si colloca il singolo soggetto, rispetto all’attività svolta. Allora, sulla parte sinistra, vedete tutta una serie di aggettivi più positivi, sulla parte invece destra, quelli della polarità negativa. Nella maggior parte dei casi, ovviamente di tutte le dimensioni considerate, gli studenti hanno considerato in maniera molto positiva le attività sia di compiti assieme che di tutoraggio. Se vedete, i piccoli istogrammi grigi, che rappresentano le frequenze sulle varie modalità, sono collocati tutti sulla parte positiva. Diciamo che il discorso diventa un po’ più mediato su due punti principalmente, per quanto riguarda, ad esempio, i compiti assieme: il fatto che sia più o meno appassionante e il fatto che sia più o meno attraente. Queste sono due dimensioni, sulle quali abbiamo un po’ più indecisione, rispetto alle risposte dei ragazzi. Non so se questi elementi possano essere approfonditi successivamente, per cercare di rimodulare le attività e non so che tipo di contenuto può essere dato al concetto di più appassionante o più attraente, però probabilmente possono essere alcuni aspetti che possono essere integrati all’interno dell’attività dei compiti assieme. Stesso discorso per quanto riguarda il tutoraggio. Sono esattamente gli stessi elementi emersi per questo tipo di attività. Quindi, in genere, attività che sono state positivamente raccolte dagli studenti, in tutti i casi, con alcuni punti di attenzione particolare. Poi, in una seconda parte del questionario, è stato chiesto agli studenti di rispondere ad una serie di domande rispetto ad alcuni indicatori. Gli indicatori, fondamentalmente, riguardano aspetti del coinvolgimento e della motivazione dei ragazzi, rispetto all’attività svolta. Allora, nei grafici, molto velocemente, vi faccio vedere quelli che sono i diversi profili di risposta sui compiti assieme e sul tutoraggio. In sostanza, i numeri sono le percentuali di rispondenti per ogni modalità, dal livello basso a quello più alto e le linee, quella arancione e quella blu, sono le due attività. Allora, nella maggior parte di questi indicatori, abbiamo notato che, in genere, ci sono dei punteggi più positivi, per quanto riguarda i compiti assieme; vengono, in qualche modo, premiati maggiormente, rispetto al coinvolgimento, all’interesse, alla motivazione, rispetto all’attività di tutoraggio. Ovviamente, si tratta di attività diverse, nel senso che i compiti assieme sono attività molto più sociali, molto più sintonizzate rispetto alle attività in classe, mentre il tutoraggio, spesso, è un’attività svolta in maniera individuale o su compiti che non sono strettamente centrati sull’attività in classe. Le differenze le possiamo vedere, per molti di questi indicatori, tranne che per un indicatore che è esattamente questo, cioè le relazioni studenti/adulti, che, come vedete, ha un andamento abbastanza simile, sia nei compiti insieme, che nel tutoraggio. Quindi, in genere, le domande erano di questo tipo: “Complessivamente, in questa attività, c’è un buon rapporto tra insegnante e studente?”, “Vi piace parlare con l’insegnante di questa attività?”, quindi questo ci dà un’informazione di ritorno, rispetto a qualità delle interazioni, delle diverse professionalità messe in atto, in questa attività. Faccio vedere l’ultimo schema, rispetto alle analisi fatte, che cerca di incrociare alcune variabili tipo il genere, il tipo della classe, la durata delle attività, la frequenza delle attività e la nazionalità dei genitori, rispetto agli indicatori considerati. La variabile “genere” non ha riscontrato delle differenze, nel senso che le attività svolte all’interno dei compiti assieme e i giudizi dati rispetto a questa attività, non differenziano i maschi e le femmine, quindi riescono ad essere inclusive, senza creare differenziazioni di genere. Le differenze, in parte, ci sono sulla tipologia di classe, nel senso che, faccio un esempio, se guardiamo in alto, il controllo percepito e la rilevanza del lavoro a scuola, ad esempio i punteggi degli studenti della prima media sono superiori a quelli della seconda e della terza. C’è questo elemento, probabilmente, di maggior controllo percepito, rispetto agli studenti della prima, che probabilmente sono più seguiti, più monitorati, rispetto poi a quelli della seconda e della terza classe. In maniera abbastanza particolare, la durata dell’attività non ha sancito delle differenze, cioè persone che hanno seguito per più tempo questa attività, non hanno differenze nella percezione, rispetto a quelle che l’hanno seguita di meno. Se consideriamo dieci – undici pomeriggi dedicati in media dagli studenti, chi l’ha seguita per undici ha le stesse percezioni rispetto a quelli che l’hanno seguita per meno di undici. Le differenze, in realtà, ci sono per la tipologia di attività, per la frequenza della tipologia dell’attività. L’unica attività che ha sancito una differenza rispetto alla frequenza, sono le preparazioni alle verifiche. Cioè un attività molto strumentale, fatta in preparazione di un evento che poi sta per succedere in classe, quindi studiare per prepararsi ad una verifica piace di più, è più soddisfacente, è più motivante, rispetto ad un’attività che non riguarda un esito nella realtà di classe. E poi, un altro aspetto interessante, è rivolto alla nazionalità dei genitori. Ci si aspetterebbe che gli studenti che provengono da famiglie non completamente italiane abbiano maggiori difficoltà o percepiscano in maniera più negativa le attività in classe. In realtà, abbiamo scoperto che spesso i punteggi di soddisfazione e di motivazione sono più alti negli studenti che appartengono a famiglie in parte eterogenee, quindi con almeno un genitore non italiano, rispetto a quelli che, invece, hanno dei genitori completamente italiani, soprattutto su due aspetti, in particolare: sulle future aspirazioni e obiettivi, cioè queste attività vengono considerate importanti, dal punto di vista del proseguimento, ad esempio, della carriera formativa; andare a studiare alle superiori, fare un corso di formazione ecc., sono considerate più importanti dagli studenti non italiani, piuttosto che dagli studenti italiani, quindi evidentemente le attività proposte sono attività che hanno una forte valenza da un punto di vista pratico, operativo e della realtà effettiva. E poi, soprattutto, un altro aspetto, e qua chiudo, è legato al supporto tra pari per apprendimento. Cioè, il rapporto con i compagni, durante lo svolgimento dell’attività, viene percepito come migliore da parte degli studenti non completamente italiani, rispetto a quelli italiani. Quindi, evidentemente, queste attività sono organizzate in maniera tale da essere molto inclusive, come già detto, rispetto agli studenti provenienti da famiglie potenzialmente più in difficoltà, e questo, secondo me è un punto di pregio, rispetto, appunto, alle caratteristiche dell’attività stessa. Quindi, su alcuni aspetti, io direi abbastanza strategici, ad esempio, un’attività come i compiti assieme, può essere, effettivamente, uno snodo molto importante, rispetto al collegamento tra ciò che avviene in classe, le verifiche, i compiti, gli apprendimenti formali, e ciò che può avvenire al di fuori della classe, sia per quanto riguarda gli apprendimenti informali, ma soprattutto per quanto riguarda ciò che avviene nel mondo reale, l’utilizzo pratico – operativo. L’ultima cosa. Abbiamo cercato di vedere quali fossero, tra queste variabili considerate, quelle che influivano di più, sulle decisioni di continuare a studiare, cioè abbiamo chiesto loro: “Sei intenzionato a continuare a studiare dopo le scuole medie? Se sì, fino a che livello?” e in sostanza, l’unica variabile che riesce a influire su questa scelta, sono le future aspirazioni e obiettivi, cioè quanto queste attività possono essere considerate utili, fruibili fondamentalmente nel mondo reale e non solo collegate ad apprendimenti astratti di discipline, ma insomma utili anche nella vita reale, che possono consentirmi di vivere meglio, di raggiungere un livello di cittadinanza, diciamo, più qualitativo e non, semplicemente, un contenitore appunto di contenuti e di nozioni. Io mi fermerei qua, per evitare di prendere altro tempo.