PRESENTAZIONE TESI
“LE FONDAZIONI E L’INVESTIMENTO IMMOBILIARE”
La seguente tesi dovrebbe spiegare l’evoluzione conosciuta nel tempo dall’istituto della
fondazione, che resta il luogo attraverso cui perpetuare la volontà del fondatore mediante la
gestione del patrimonio ma l’impiego di questo strumento risulta più dinamico rispetto al
passato, non limitandosi più alle sole erogazioni liberali e spingendosi fino all’investimento.
Attraverso l’analisi delle tipologie e dello scopo vengono evidenziati questi aspetti, rinvenibili
soprattutto nelle fondazioni di impresa.
Attraverso l’analisi tributaria, invece, sono sottolineati i limiti imposti dall’ordinamento a
questa “nuova” gestione: la fondazione può svolgere attività che esulano dalla missione
istituzionale ma non deve essere uno strumento per l’elusione della disciplina sugli enti
commerciali.
Grazie all’analisi statutaria e agli interventi delle fondazioni è stato possibile cogliere le varie
strategie nella gestione del patrimonio; l’investimento immobiliare è risultato uno strumento
utile in diversi modi ed in misura diversa a seconda degli obbiettivi delle fondazioni: ad un
estremo è utilizzato esclusivamente come strumento per la gestione del patrimonio, e ne sono
state illustrate le motivazioni di carattere economico, all’altro è utilizzato come strumento per
assolvere agli scopi istituzionali, e ne sono state illustrate le modalità.
La parte dedicata agli interventi dovrebbe essere una conferma di quanto sostenuto, da cui si
evince appunto l’interesse delle fondazioni per l’investimento immobiliare, soprattutto
nell’ambito dei progetti per lo sviluppo locale.
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI GENOVA
Facoltà di Giurisprudenza
Tesi di laurea
in
diritto delle persone.
Le fondazioni e l’investimento immobiliare.
Relatore: Prof.ssa Alessandra Pinori
Candidato: Ivo Conte
ANNO ACCADEMICO 2008-2009
INDICE-SOMMARIO
Capitolo Primo
LA DISCIPLINA DELLE FONDAZIONI
1. Nozione e fonti
2. Costituzione
3. Scopo
4. Tipologie
5. Il patrimonio e la sua liquidazione
6. L’amministrazione
7. Trasformazione ed estinzione
Capitolo Secondo
IL REGIME FISCALE DELLE FONDAZIONI
1. L’esercizio di attività economiche
2. I tributi
Capitolo Terzo
L’INVESTIMENTO IMMOBILIARE COME
STRUMENTO DELLE FONDAZIONI
1. Premessa
2. L’investimento immobiliare come strumento
per la gestione del patrimonio
3. L’investimento immobiliare come strumento
per l’assolvimento delle funzioni istituzionali
4. Interventi immobiliari delle fondazioni
Bibliografia
Capitolo primo
LA DISCIPLINA DELLE FONDAZIONI
LE FONDAZIONI.
Nozione.
In antico non si distingueva tra associazioni e fondazioni, dato che le fondazioni
venivano ricondotte al prototipo dell’ “universitas”, immaginando di essere in presenza
di una associazione formata dai destinatari della fondazione, ossia da coloro che
traggono vantaggio dall’ attività. Nell’ Ottocento comunque si cominciò a distinguere,
quali specie del medesimo genere, tra associazione come universitas personarum,
ossia come pluralità di persone unite dal perseguimento di uno scopo comune, e
fondazione come universitas bonorum, ossia come complesso di beni destinato al
perseguimento di uno scopo.
Le fondazioni oggi rientrano, al pari delle associazioni, tra le formazioni sociali prese in
considerazione dall’art. 2 cost., il quale dispone che “la Repubblica riconosce e
garantisce i diritti inviolabili dell’ uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali
ove si svolge la sua personalità”. Si tratta dunque di organismi collettivi, al pari delle
associazioni, ma costituiti per il raggiungimento di uno scopo stabilito dal fondatore all’
atto della costituzione della fondazione.
La nozione più risalente di fondazione, come la intendiamo oggi, è stata elaborata dalla
dottrina, non essendo presente nel codice civile la relativa definizione, e pone al centro
dell’ istituto l’aspetto patrimoniale: la fondazione è un patrimonio destinato allo
scopo. Prima conseguenza di questa definizione è stata la configurazione dell’organo
amministrativo come servente e mero esecutore, in antitesi al ruolo dominante della
volontà del fondatore.
Ma questo è un profilo ormai datato, la cui non attualità risulta dall’analisi della prassi
statutaria, analisi che ha fatto emergere una nuova definizione dell’istituto che da
risalto all’organizzazione che “si avvale del patrimonio per realizzare lo scopo”.
Attualmente quindi l’elemento personale, rappresentato dagli amministratori, risulta
rivalutato rispetto al passato.
L’evoluzione che ha investito l’istituto si evince inoltre dal fatto che nel settore si è
affermata una definizione di tipo operativo di fondazione, che la identifica come
“un’organizzazione privata basata su un patrimonio ed uno statuto, gestita in modo
autonomo, che non distribuisce profitto ed è caratterizzata dalla finalità di pubblica
utilità”.
Secondo l’European Foundation Centre di Bruxelles, infine, la definizione di fondazione
necessariamente oggi deve tenere conto, data la struttura e l’attività svolta dalla
genericità delle fondazioni, anche dell’ elemento reddituale, oltre che dell’elemento
organizzativo: la fondazione è un ente senza finalità di lucro, con una propria sorgente
di reddito che deriva non esclusivamente dal patrimonio.
La tradizionale espressione “patrimonio per uno scopo” comunque, pur non riuscendo
a dare pienamente conto del processo di trasformazione conosciuto nel tempo, coglie i
due elementi essenziali, patrimonio e scopo, che rimangono al centro dell’istituto
acquisendo sempre più una valenza dinamica e programmatica. Patrimonio e scopo
infatti indicano il percorso operativo della fondazione, diretto al perseguimento di
attività filantropiche di assistenza e beneficienza in senso tradizionale, ma anche verso
la produzione di beni e servizi pubblici o quasi pubblici.
Le fondazioni costituiscono una specie a se, rispetto a quella delle associazioni, dal
momento che non è il fine partecipativo a sovraintendere la costituzione di una
fondazione ma è invece il perseguimento dello scopo iniziale stabilito dal fondatore. La
differenza tra associazioni e fondazioni emerge quindi sin dal momento della loro
costituzione; gli organismi associativi nascono per volontà di un insieme di individui
che decidono di perseguire in comune uno scopo ideale e non economico, quindi il
negozio di associazione è un atto plurilaterale di autonomia privata definibile come
contratto aperto, mentre quello di fondazione è un negozio chiuso.
Le fondazioni sono necessariamente enti dotati di personalità giuridica, a differenza
delle associazioni che possono essere anche non riconosciute, e come tali si
configurano come autonomo centro di imputazione di situazioni giuridiche rispetto al
fondatore e come soggetto di diritto capace di agire.
Il concetto di persona giuridica assolve in rapporto alla fondazione una funzione
diversa rispetto a quella svolta in rapporto all’associazione: l’esigenza è quella di
concettualizzare un nuovo ideale soggetto di diritto, la fondazione come persona
giuridica, cui attribuire la proprietà dei beni e la genericità dei rapporti, creando quindi
un autonomo centro di imputazione, mentre nell’ associazione il concetto di persona
giuridica è solo l’espressione riassuntiva di una disciplina facente capo a più esseri
umani.
Una ulteriore differenziazione risiede nel fatto che nella fondazione l’organizzazione
collettiva opera in posizione servente rispetto allo scopo cui è preordinata, mentre
nell’ associazione assume posizione dominante.
Fonti.
Le fondazioni nel codice civile sono regolamentate, assieme alle associazioni, nella
sezione degli enti dotati di personalità giuridica ai capi primo e secondo del titolo
secondo del libro primo; le disposizioni riguardano contenuto e revoca del negozio di
fondazione (artt. 14, 15, 16), il riconoscimento (art. 12) gli acquisti di immobili e
l’accettazione di donazione eredità e legati (art.17), i controlli sull’ attività e l‘attività
dell’ organo amministrativo(artt.18,25,26), la trasformazione, l’estinzione e la
liquidazione dell’ente (artt. 28, 29, 30, 31, 32 e disp.att.) ed infine la registrazione delle
persone giuridiche (artt.33, 34, 35). Per il resto il codice non si esprime, come per le
associazioni, sugli scopi e non prevede disciplina neppure per quanto riguarda il
patrimonio, l’organizzazione, i compiti degli organi; aspetti che comunque riguardano
la vita dell’ente, e su cui inevitabilmente si è pronunciata la giurisprudenza.
Quindi, per riassumerne la natura giuridica, le fondazioni dal punto di vista
costituzionale, vanno annoverate tra le formazioni sociali di cui all’ art.2 , e sotto il
profilo civilistico sono persone giuridiche private.
Sono inapplicabili alle fondazioni le disposizioni che il c.c. prevede per gli enti
associativi riconosciuti, in riferimento a particolari fattispecie non riscontrabili nella
vita di una fondazione, come ad esempio, la disciplina del rapporto tra organo
assembleare e amministrativo.
COSTITUZIONE.
L’atto costitutivo.
Secondo l’art 14 c.c., atto costitutivo può essere un atto unilaterale tra vivi, per il quale
è imposta la forma dell’atto pubblico, o un testamento.
Atto costitutivo e statuto, data la loro natura di atti unilaterali, vanno interpretati
secondo le norme sull’interpretazione dei contratti, essendo tali norme espressamente
dichiarate applicabili anche agli atti unilaterali.
Nell’atto costitutivo si racchiudono la manifestazione di volontà del fondatore, lo
scopo del costituendo ente, le sue dotazioni iniziali ed il riferimento alle regole,
contenute nello statuto (statuto che in definitiva si articola nelle politiche di attuazione
definite dagli amministratori chiamati pro tempore ad attuarlo), che dovranno
sovraintendere il funzionamento della fondazione.
L’atto costitutivo di una fondazione è quindi una dichiarazione di volontà del
fondatore, non ricettizia ed unilaterale, che decide di vincolare un proprio elemento
patrimoniale al perseguimento di uno scopo ; secondo la dottrina e la giurisprudenza
tale atto conserva la propria struttura di atto unilaterale anche quando viene formato
da più persone o da una moltitudine di persone, come nel caso in cui la fondazione
venga costituita per pubblica sottoscrizione inoltre, fondatori possono essere soggetti
privati ma anche enti .
Il negozio di fondazione è anche l’atto mediante il quale il fondatore, enunciando un
determinato scopo e predisponendo la struttura organizzativa che provvederà alla
realizzazione dello scopo, fornisce la fondazione dei mezzi patrimoniali necessari;
Secondo la Corte di Cassazione, il negozio di fondazione non è confrontabile con altri
atti di liberalità ma costituisce un genus a se stante, un atto di autonomia privata con il
quale viene manifestata la destinazione di cespiti patrimoniali al conseguimento di uno
scopo. Questo orientamento permette di rilevare come nell’atto unilaterale di
autonomia privata si celino due negozi distinti, un atto di diritto personale ed un atto
di diritto patrimoniale. L’atto di diritto personale è il negozio di fondazione con cui il
fondatore decide di dare vita all’ ente, l’atto di diritto patrimoniale è il negozio di
dotazione che comporta effetti reali in ordine alla disponibilità dell’ elemento
patrimoniale e in ordine alla sua proprietà.
L’atto di dotazione, logicamente susseguente all’atto di fondazione, è elemento
essenziale per la costituzione, quindi la distinzione dell’atto costitutivo in due atti ha
rilevanza solo teorica, dato che l’atto sebbene complesso è unitario. Di conseguenza
l’atto di dotazione costituisce parte integrante dell’atto di fondazione anche se
contenuto in un documento separato rispetto a quest’ultimo.
La Corte di Cassazione riconosce che quando uno stesso soggetto in un solo atto
esprime la volontà di dare vita ad un unico ente e contestualmente dispone
l’assegnazione di un patrimonio a favore dell’ ente stesso da istituire, il negozio di
attribuzione di beni può essere così strettamente collegato con funzione strumentale
al negozio di fondazione da risultarne inscindibile. In questo caso i due negozi vengono
a costituire un’unità funzionale per il nesso teleologico con cui sono stati concepiti,
attuati e collegati, cosicchè lo svolgimento e le vicende di un negozio si riperquotono
necessariamente su quello collegato. Secondo la giurisprudenza, il rapporto di
interdipendenza tra atto di fondazione e atto di dotazione va valutato in base al
carattere dell’atto di dotazione rispetto a quello di fondazione: di conseguenza il
diniego del riconoscimento per insufficienza del patrimonio non spiegherebbe effetti
sull’atto di fondazione mentre la nullità dell’ atto di fondazione comporterebbe
l’invalidità dell’atto di dotazione. Quindi l’inefficacia dell’atto di dotazione può
conciliarsi con la conservazione dell’ente, che può proseguire con altri mezzi
patrimoniali, mentre l’invalidità dell’atto di fondazione per incapacità o vizi del volere
determina la nullità di quello di dotazione.
L’atto di dotazione è caratterizzato dalla gratuità e ciò lo espone all’azione di riduzione
e al regime di revocatoria ordinaria e fallimentare. Nel caso in cui la fondazione non sia
costituita per atto tra vivi invece, nei confronti del testamento i creditori dovranno
esperire la separazione dei beni del defunto da quelli dell’erede.
La costituzione per testamento.
L’ atto di ultima volontà del fondatore, seppure redatto in un momento antecedente
alla morte, acquisisce efficacia al momento in cui è aperta la successione ereditaria e
quindi al momento della morte del fondatore, nel luogo del domicilio del defunto. Le
forme di testamento idonee alla costituzione sono tutte quelle possibili contemplate
dal
codice. Il contenuto del testamento può prevedere almeno tre ipotesi di
costituzione:
-la costituzione simultanea, in cui il fondatore esprime nel testamento la volontà che
venga costituita una determinata fondazione, per il perseguimento di una determinata
finalità, sulla base di regole che egli stesso predetermina ed alle quali dovranno
attenersi i futuri amministratori; nel contempo il testamento deve contenere anche la
volontà del testatore di destinare tutto o parte del suo patrimonio al raggiungimento
delle finalità indicate (quindi attribuisce il patrimonio in proprietà alla costituenda
fondazione con vincolo di scopo).
-la costituzione successiva, in cui il testatore esprime soltanto la volontà di destinare
tutto o parte del proprio patrimonio ad una costituenda fondazione per il
perseguimento di un determinato scopo ma, ed è qui la differenza rispetto alla prima
ipotesi, senza predeterminare le regole statutarie del futuro ente le quali dovranno
essere approntate in un secondo momento a completamento del negozio di
fondazione.
-costituzione per interposta persona, in cui il fondatore non stabilisce direttamente la
costituzione di una fondazione ma attribuisce tale compito all’ onerato, che è l’erede.
Questi dovrà adempiere il suo compito come mero esecutore della volontà del
testatore, nel caso in cui siano fissate nel testamento le regole di funzionamento e lo
scopo, o come soggetto abilitato ad integrare la volontà del testatore.
Aperta la successione sorge il problema di verificare in quale momento la fondazione
potrà considerarsi giuridicamente in grado di accettare l’eredità. Tale momento
coincide con la concessione del riconoscimento da parte dell’autorità; infatti secondo
l’art.600 c.c. le disposizioni a favore di un ente non riconosciuto non hanno efficacia se
entro un anno dal giorno in cui il testamento è eseguibile non è fatta l’istanza per
ottenere il riconoscimento. Dato che una fondazione non ancora riconosciuta si trova
in uno stato di quiescenza dovuto alle more del procedimento per l’ottenimento della
personalità giuridica, può ritenersi che entro il termine perentorio di un anno dal
giorno in cui il testamento è eseguibile deve essere almeno presentata l’istanza per
ottenere il riconoscimento.
Quanto alle modalità previste dal codice civile per accettare l’eredità, l’art 473 c.c.
dispone che “l’ accettazione dell‘eredita devolute alle perone giuridiche non può farsi
che col beneficio di inventario”, quindi è necessario che gli amministratori effettuino la
relativa dichiarazione innanzi ad un notaio o al cancelliere del Tribunale in cui si è
aperta la successione.
Revoca dell’atto costitutivo.
L’atto costitutivo può essere revocato dal fondatore fino a quando, dispone l’art 15c.c.,
non sia intervenuto il riconoscimento o il fondatore non abbia fatto iniziare l’attività da
lui disposta.
Nel caso dell’avvenuto riconoscimento la possibilità di revoca è inibita, secondo la
Corte di Cassazione, perché il negozio di fondazione si è perfezionato e la fondazione
quindi ha acquisito autonomia giuridica.
Nel caso dell’ inizio dell’attività la possibilità di revoca è inibita perché, sempre
secondo la Corte di Cassazione, il comportamento del fondatore è considerabile come
una rinuncia alla revoca dal momento che, una volta che l’opera abbia iniziato la sua
attività non rimane più nella disponibilità del fondatore, ed interessando la generalità
dei cittadini non può essere distrutta ad arbitrio dei privati.
Contenuto minimo
L’art 16 c.c. prevede quali devono essere i contenuti tipici di questi due atti, atto
costitutivo e statuto, fornendo una tassativa elencazione degli elementi necessari
considerati dalla dottrina il contenuto minimo.
Tra i requisiti dell’ atto costitutivo e dello statuto l’art 16 c.c. indica la denominazione
dell’ente, l’indicazione dello scopo, del patrimonio e della sede, le norme
sull’ordinamento e sull’ amministrazione, nonché le modalità e i criteri di erogazione
delle rendite. Dalla disposizione emerge come il modello avuto presente dal legislatore
fosse l’ente il cui scopo si esaurisce nel dispensare denaro ai c.d. beneficiari,
concezione di fondazione che ormai non si erge più a modello, essendosi affermati
diversi tipi di fondazioni oltre a quello di erogazione.
In assenza di tali indicazioni non potrà quindi essere concesso il riconoscimento.
Secondo la Corte di Cassazione, in merito al contenuto minimo, è sufficiente
l’indicazione dello scopo essendo l’autorità deputata al riconoscimento competente a
fissare anche le norme di governo. Da qui si è affermata la sufficiente determinabilità
dello statuto, anche da parte di un terzo, e la facoltativa indicazione del patrimonio, se
il fondatore o altri abbiano già provveduto a fornire l’ente dei mezzi patrimoniali
necessari.
Sono infine facoltative, secondo l’art. 16 c1. c.c., le clausole relative alla estinzione
dell’ente, alla sua trasformazione ed alla devoluzione del patrimonio, perché sono
vicende su cui interverrà d’ufficio l’autorità vigilante, quindi non sono elementi
essenziali per il funzionamento.
Modificazione.
Secondo l’art. 16 c.c., le future modificazioni di atto costitutivo e statuto sono possibili,
ma devono essere approvate dall’autorità governativa con le stesse forme indicate
dall‘ art. 12 che disciplina il procedimento di riconoscimento. Inoltre gli amministratori
dovranno fornire le documentazioni necessarie a provare il rispetto delle disposizioni
statutarie inerenti il procedimento di modifica dello statuto. La ragione di questa
disposizione è quella di monitorare continuamente la permanenza delle condizioni
iniziali in base alle quali è stata concessa la personalità giuridica, evitando modifiche
statutarie che vadano ad incidere in modo non corretto sullo scopo sociale e sul
patrimonio della fondazione determinando la variazione del livello di congruità del
patrimonio.
Le modifiche per essere opponibili nei confronti dei terzi in buona fede devono essere
iscritte nel registro delle persone giuridiche (art 34 c.2 c.c.).
Le controversie sulla validità dell’atto costitutivo.
Le controversie circa la validità o l’efficacia dell’ atto costitutivo rientrano nella
giurisdizione del giudice ordinario, secondo la Corte di Cassazione, atteso che il
negozio di fondazione integra un negozio di autonomia privata che non partecipa della
natura del provvedimento amministrativo di riconoscimento
ma è regolato in
relazione alla sua validità ed efficacia dalle norme privatistiche e genera rapporti di
diritto privato e posizioni di diritto soggettivo. Ciò dunque anche dopo che sia
intervenuto il riconoscimento, sulle cui controversie è invece competente il giudice
amministrativo. Nel senso che le controversie circa la validità delle disposizioni
patrimoniali contenute nel negozio di fondazione possano essere fatte valere davanti
all’autorità giurisdizione ordinaria, anche dopo che è intervenuto il provvedimento
amministrativo di riconoscimento, si è espressa anche una successiva sentenza: Cass.
721/1972. Nella stessa decisione si afferma che l’eventuale invalidità o inefficacia del
negozio di fondazione nella sua parte patrimoniale, fa nascere a favore di chi vanta
diritti soggettivi sul patrimonio attribuito all’ente il potere di chiedere l’annullamento
del provvedimento attributivo della personalità al Consiglio di Stato, perché il giudice
ordinario non può disporre il rilascio dei beni se non sia stato preventivamente
annullato dal giudice amministrativo l’atto di riconoscimento. Secondo invece
sentenza della Cassazione n. 4024/1984
la
lo stesso giudice ordinario, accertata
l’invalidità dell’atto di fondazione, può disporre la restituzione dei beni agli aventi
diritto, ma questa è rimasta un’opinione isolata.
SCOPO
La specificazione dello scopo, che deve essere non generico e non imprecisato, attiene
alla validità dell’atto di fondazione.
Lo scopo delle fondazioni è più limitato rispetto a quello previsto dalla disciplina
costituzionale per gli enti di tipo associativo, dato che l’art. 18 cost. permette ai singoli
di associarsi liberamente per il perseguimento in comune di uno scopo, ed è qui la
differenza, non vietato dalla legge. Lo scopo di una fondazione invece ,per costante
orientamento dei giudici di legittimità deve essere esclusivamente di pubblica utilità,
poiché solo in questo caso è possibile in via del tutto eccezionale imporre ai beni
vincoli di indisponibilità tendenzialmente perpetui. Il timore ricorrente, in relazione ai
vincoli del patrimonio della fondazione, è quello dell’accumulo di eccessive risorse, la
necessaria tutela di creditori e terzi e la protezione del traffico giuridico.
La giurisprudenza sulla base degli artt. 28 c.1 e 31 c.2 c.c. ritenne che la realizzazione
di una utilità sociale,il prefiggersi un bene collettivo sono un tratto essenziale della
fondazione cui altrimenti l’ autorità governativa dovrebbe negare il riconoscimento .
Quindi il pubblico scopo della fondazione è ciò che rende accettabili gli inconvenienti
economici connessi al vincolo di destinazione perpetuo.
La pubblica utilità dello scopo delle fondazioni si giustifica anche per evitare che
mediante un organismo collettivo si oltrepassino i limiti dettati dall’ ordinamento
all’operatività dell’ istituto della sostituzione fedecommissaria di cui agli art. 692 ss
codice civile. In tal senso non potrebbe ritenersi ammissibile un negozio di fondazione
attraverso il quale il fondatore vincoli in perpetuo il proprio patrimonio con lo scopo di
attribuirlo ai propri discendenti. In giurisprudenza si sottolinea che lo scopo deve
essere esterno al patrimonio e non di mero godimento, in quanto il godimento non si
aggiunge a ciò che è già della natura stessa dei singoli beni e non potrebbe perciò
giustificare l’entificazione. Quindi l’ente costituito con l’unico scopo di attribuire i frutti
del proprio patrimonio ereditario in perpetuo a tutti i discendenti di una determinata
persona non costituisce fondazione per mancanza dello scopo proprio delle
fondazione, ma ente di puro fatto.
L’immutabilità dello scopo è quello che caratterizza le fondazioni, giacchè le iniziali
intenzioni del fondatore non possono essere mutate né da una apposita decisione
degli amministratori né tramite provvedimento dell’autorità amministrativa che
trasformi la fondazione, dato che il meccanismo dell’art 28 c.c. sulla trasformazione
delle fondazioni in altra organizzazione opera solo nel caso in cui lo scopo sia esaurito
o divenuto impossibile o di scarsa utilità e non opera per ragioni diverse di
opportunità.
La pubblica utilità dello scopo non va confusa con la non commercialità delle attività
svolte dalla fondazione per il perseguimento dello scopo stesso. Altri sono infatti gli
scopi altre sono le attività per attuarli, che entro determinati limiti, potranno essere
anche attività economiche.
Lo scopo rileva anche dal punto di vista operativo, dato che la gestione del patrimonio
è indirizzata al raggiungimento dello stesso. Tradizionalmente le fondazioni erano
dirette al perseguimento di attività filantropiche e di beneficienza, mentre oggi la loro
attività si spinge fino alla produzione dei beni e servizi pubblici o quasi pubblici in grado
di contribuire in maniera efficace ad un accrescimento del benessere collettivo. La
fondazione apparirebbe oggi come una delle figure principe grazie alle quali dare
praticabilità giuridica alla spinta auto organizzativa della società nell’ ambito della c.d.
sussidiarietà orizzontale.
Nella scelta dei settori d’intervento privilegiati prevalgono i progetti e le iniziative
nell’area della cultura dell’assistenza e della ricerca, ma generalmente lo scopo della
fondazione è tale da comprendere più settori di intervento in cui agire
contemporaneamente. Una ricerca della Fondazione Giovanni Agnelli, condotta su
oltre 500 fondazioni , dimostra come in Italia lo strumento della fondazione è inteso
come produttore diretto di specifici beni e servizi, dato che il 70% delle analizzate si
identifica nel modello di fondazione c.d. operativo, mentre solo il 5% si riconosce nel
modello, pensato dal legislatore, di fondazione di erogazione pura.
Lo scopo, può incidere positivamente sul regime fiscale dell’ente dato che una
fondazione, che svolge esclusivamente attività di solidarietà sociale in almeno uno
degli undici settori elencati nel decreto legislativo n. 460/1997, può beneficiare del
regime agevolato riservato alle organizzazioni non lucrative di utilità sociale, e se
svolge le suddette attività alle condizioni indicate dalla legge n.266/1991, può
usufruire del regime ancor più favorevole riservato alle organizzazioni di volontariato e
alle organizzazioni non governative.
TIPOLOGIE.
Le fondazioni di famiglia.
Le fondazioni di famiglia, secondo l’art 28 c.c., sono destinate a opere a vantaggio dei
membri di una o più famiglie determinate.
La fondazione di famiglia è evocata come strumento alternativo alla successione
ereditaria: si tratterebbe di una forma giuridica idonea a garantire la coesione e la
durata nella trasmissione della ricchezza familiare a prescindere dalle vicende
personali dei
congiunti, garantendo l’indivisibilità del patrimonio e l’eventuale
continuazione dell’ impresa, dal momento che gli eredi non potrebbero sottrarre
sostanze ne cedere quote ad estranei essendo solo beneficiari.
A proposito dei limiti di questo tipo di fondazione è stato affermato che “il
riconoscimento della fondazione istituita esclusivamente per perpetuare il prestigio di
una famiglia comporterebbe una contraddizione con le preclusioni vigenti nei confronti
della sostituzione fedecommissaria e dell’usufrutto successivo” e ciò ”nemmeno nel
caso in cui il vincolo di destinazione del patrimonio abbia come finalità quella di
garantire la continuità dell’azienda e la conservazione della sua organizzazione”. Sono
queste le affermazioni con cui la giurisprudenza nega la legittimità di alcune particolari
fondazioni di famiglia, le cui uniche tracce sono rinvenibili esclusivamente in
fondazioni preunitarie in vita anche addirittura dal 1600.
Secondo la Corte di Cassazione infatti, l’ imposizione sui beni di vincoli di indisponibilità
immutabili e tendenzialmente perpetui, si giustifica unicamente per il perseguimento
di scopi di pubblica utilità. Non è pertanto ammissibile una fondazione di famiglia
avente lo scopo di attribuire in perpetuo i frutti di un patrimonio a tutti i successivi
discendenti di una determinata famiglia.
Lo scopo per presentare caratteri di pubblica utilità
deve essere tale per cui i
beneficiari della fondazione non saranno i discendenti in modo automatico, bensì solo
in quanto versino in quella particolare situazione soggettiva di indigenza
o di
meritevolezza in rapporto agli studi che il fondatore ha preso in considerazione, in
modo che la conservazione del patrimonio intero di una famiglia non sia lo scopo della
disposizione ma sia il mezzo per realizzare una diversa finalità socialmente utile.
Si ritiene comunque valido l’atto di fondazione che, fermo restando lo scopo di
pubblica utilità proprio dell’ente, preveda che una data percentuale degli avanzi attivi
del bilancio annuale sia devoluta agli eredi del fondatore.
Fondazione di impresa.
La parte della sentenza citata che recita “nemmeno nel caso in cui il vincolo di
destinazione del patrimonio abbia come finalità quella di garantire la continuità
dell’azienda e la conservazione della sua organizzazione“ allude alle fondazioni di
impresa, in cui il rapporto tra fondazione e impresa è diretto.
L’esercizio di impresa è in rapporto indiretto con la fondazione quando l’attività
economica è meramente strumentale all’esercizio di altre attività non economiche, che
sole non permetterebbero il raggiungimento degli scopi, quando cioè l’impresa
contribuisce a procacciare i mezzi necessari al sostentamento della fondazione stessa e
dei suoi obbiettivi.
Il rapporto è diretto ove l’esercizio dell’impresa è immediatamente rivolto agli scopi
istituzionali della fondazione e pertanto, trattandosi di oggetto principale dell’ente si
applicheranno gli obblighi imposti dalla disciplina imposta dall’imprenditore
commerciale (qualora l’esercizio di impresa costituisca l’oggetto secondario della
fondazione si farà riferimento alla figura dell’imprenditore ma non commerciale).
Pronunciandosi per l’inammissibilità delle fondazioni di impresa, la sentenza più nota
ha sottolineato che la personalità giuridica attribuita alle fondazioni ed il connesso
beneficio della responsabilità limitata, sono attribuiti per il conseguimento di uno
scopo socialmente rilevante e non per l’esercizio di un impresa che darebbe luogo ad
un ingiustificato privilegio rispetto alle società.
Normalmente quindi le fondazioni si limitano a assumere il controllo di società che
svolgono in proprio nome l’attività di impresa, eludendo di fatto il problema
dell’attribuzione della qualifica di imprenditore commerciale.
In definitiva nelle fondazione di impresa l’intersezione dell’attività istituzionale
all’attività di impresa si manifesta riguardando, non
l’attività esercitata in via
strumentale al perseguimento della finalità statutaria ma lo scopo stesso, quindi
l’utilizzo della fondazione come titolare di impresa dovrebbe ammettere
necessariamente una gestione più indipendente da parte degli amministratori come
avviene nelle società.
Fondazione holding.
La fondazione holding ha ad oggetto l’amministrazione del patrimonio o la gestione
dell’impresa tramite l’esercizio di funzioni direttive, con l’obbligo statutario di
devolvere le rendite del patrimonio o degli utili di impresa ad altra fondazione.
L’ autonomia giuridica della fondazione holding rispetto alle altre fa si che essa si
presenti come priva di uno scopo rientrante fra quelli perseguibili in forma di
fondazione, dal momento che essa agisce per ricavare rendite da un patrimonio. Il
Consiglio di Stato però ha ammesso che può esserne riconosciuto il carattere di
fondazione e la giustificazione risiede nel fatto che la holding deve devolvere le
rendite del proprio patrimonio o gli utili della propria impresa ad altre fondazioni che
perseguono direttamente fini di utilità sociale: lo scopo di pubblica utilità è quindi
perseguito, come in tutti i casi di organizzazioni holding, in via mediata, dato che
l’attuazione dello scopo enunciato nello statuto, è rimessa ad altre fondazioni
Il fatto che la fondazione holding svolga esclusivamente attività di gestione
patrimoniale produce conseguenze rilevanti nel caso in cui essa non si limiti ad
amministrare il patrimonio ma lo utilizzi per l’esercizio di un’impresa commerciale, dal
momento che sarà qualificata come imprenditore commerciale.
Fondazione di partecipazione.
La fondazione di partecipazione si caratterizza per la sua articolazione in organi
collegiali, con funzioni di gestione e di indirizzo, grazie alla quale i fondatori sono soliti
riservarsi nell’atto costitutivo facoltà di direzione e controllo attraverso l’elezione di
propri rappresentanti nei vari consigli.
Il patrimonio, a differenza di quanto avviene nelle fondazioni ordinarie, ha struttura
aperta e viene alimentato dai contributi dei soci sostenitori che apportano beni o
servizi; quindi è presente una pluralità di fondatori, similmente all’associazione, con
l’apporto di capitali, al pari di un azionariato diffuso , ed altre caratteristiche proprie
delle società commerciali, come il consiglio di amministrazione e di indirizzo.
La fondazione di partecipazione quindi rappresenta la commistione tra il modello
fondazionale civilistico e il tradizionale schema associativo.
L’utilizzo ricorrente dell’istituto è motivato dalla garanzia che assicura in termini di
utilizzo delle risorse economiche, senza che la gestione dei fondi possa riflettersi sulla
loro destinazione come avviene nelle fondazioni ordinarie.
Tra i casi
di fondazione di partecipazione previsti dall’ordinamento si possono
annoverare le fondazioni bancarie, istituite dal d.lgs. 153/1999 il cui art. 4 lett. b.
contempla la possibilità per le fondazioni bancarie di origine associativa di mantenere
l’assemblea dei soci senza perdere il carattere di ente istituzionale ; il d.p.r. 254/2001
inoltre ha concesso alle università la possibilità di costituire fondazioni partecipative
per l’esercizio di attività di corredo della didattica .
Oltre ai casi espressamente previsti nelle leggi speciali era dubbio se potevano
istituirsene altre, dato che il Cons. St. con la sent. n.288/2000 si era espresso nel senso
dell’inammissibilità.
Più recentemente il Consiglio di Stato ne ha ammesso la valenza ammettendo che,
nella fondazione di partecipazione si realizza una unilateralità plurisoggettiva che non
contrasta con l’idea di fondazione, in quanto la presenza di più volontà soggettive è
finalizzata al perseguimento dei medesimi scopi.
Sulla peculiarità che partecipi alla fondazione un ente pubblico, l’amministrazione
finanziaria ha puntualizzato essere ciò del tutto plausibile purchè rimangano intatti gli
scopi che l’ente fondazionale si è prefissato e non sia presente un’influenza dominante
dei partecipanti nella determinazione della gestione.
La fondazione di partecipazione si presta per svolgere attività di impresa , potendo
essere impiegata in diversi settori economici , con l’eventualità di coinvolgere diversi
soggetti terzi mediante la sottoscrizione di quote del fondo di dotazione, senza con
questo diventare soci .
E’ possibile anche il caso che una fondazione partecipi al capitale di una società
commerciale, ciò non comporta l’assunzione della qualifica di imprenditore da parte
dell’ente , purchè non sussista un rapporto di immediata gestione della partecipata.
Conferma di questa tesi giunge anche dalla Cassazione secondo la quale, affinchè un
ente possa essere considerato imprenditore è necessario che esso svolga in maniera
diretta l’attività stessa e non anche che si limiti semplicemente a sfruttare i proventi
commerciale di altri soggetti imprenditori. A tal fine è fondamentale che la
partecipazione societaria possa inquadrasi quale investimento patrimoniale dal quale
l’ente intenda trarre fonti di finanziamento a
beneficio della propria attività
istituzionale ,e che non si verifichi la situazione per la quale la partecipazione
costituisce lo scopo stesso dell’esistenza dell’ente.
Inoltre, se la partecipazione alla società è di maggioranza non significa
necessariamente che la partecipazione stessa debba essere qualificata come elemento
immobilizzato di tipo commerciale. La partecipazione è qualificabile quale mera
operazione di investimento dell’ente, volto alla valorizzazione del patrimonio e al
reperimento indiretto dei mezzi finanziari, tramite l’incasso di dividendi, e pertanto
collocabile tra le immobilizzazioni finanziarie di tipo istituzionale.
Fondazioni fiduciarie.
La dottrina considerava fondazioni fiduciarie le disposizioni modali, cioè le attribuzioni
di beni ad una persona fisica o giuridica, gravata dall’onere di adempiere un
determinato scopo con la particolarità, nel caso di persona giuridica, della perpetuità
dell’attuazione dell’onere perchè l’estinzione dell’ente non ne comporta la risoluzione
se il patrimonio si devolve ad un’altra persona giuridica. La disposizione modale si
risolve in un vincolo a carico del destinatario, unico titolare e legittimato a disporre dei
beni: secondo parte della dottrina parlare in questo caso di fondazione fiduciaria è
perciò improprio. L’attribuzione fiduciaria a favore di un ente dotato di personalità
confluirebbe nel patrimonio di quest’ultimo , e il vincolo non garantirebbe in nessun
modo il perseguimento dello scopo in vista del quale l’attribuzione è stata effettuata.
Parte della dottrina ha individuato ipotesi normative di fondazione fiduciaria nella
disciplina prevista nell’ art.32 c.c. che disciplina le donazioni e i lasciti. Questi atti
imprimerebbero sui beni donati o lasciati un vincolo reale e non solo personale di
destinazione, vincolo che impedirebbe all’ente di utilizzare i beni per uno scopo
diverso dal quale sono destinati: il lascito o la donazione costituirebbero un atto di
fondazione con cui determinati beni verrebbero a costituire un patrimonio separato, di
cui sarebbe amministratore l’ente destinatario e sul quale potrebbero soddisfarsi
soltanto quei creditori che abbiano acquistato ragioni di credito in relazione all’attività
di gestione dei beni con destinazione particolare.
QUALIFICAZIONI SPECIALI
Organizzazioni non lucrative di utilità sociale.
Le onlus rappresentano la qualificazione speciale più conveniente a fini tributari, dopo
quella di organizzazioni di volontariato, per le associazioni e le fondazioni. Si tratta di
una qualificazione introdotta con il decreto legislativo n.460 97, all’ interno di un
progetto di riorganizzazione del terzo settore, che mirava al riordino della disciplina
tributaria degli enti non commerciali e degli enti di tipo associativo e che istituisse e
regolamentasse un nuovo soggetto giuridico non lucrativo, denominato onlus.
Prima dell’intervento l’associazionismo solidaristico riceveva un trattamento tributario
analogo a quello delineato per gli enti non commerciali e per quelli di tipo associativo
che, seppure vantaggioso rispetto a quello applicato agli enti commerciali, non
permetteva di premiare tutti quei soggetti operanti nel terzo settore le cui finalità
associative non erano solo non lucrative ma anche solidaristiche.
Le onlus non sono organismi preordinati all’approntamento di una serie di servizi a
beneficio dei propri associati, mirano invece a garantire l’erogazione di servizi sociali
all’esterno dell’ente, precisamente nei confronti di soggetti terzi rispetto alla
fondazione, i quali si trovino in particolari situazioni di svantaggio.
Questo vincolo di eterodestinazione dell’attività sociale a soggetti terzi rispetto all’ente
è ciò che caratterizza le onlus e che permette ad una associazione o ad una fondazione
di ottenere la qualificazione tributariamente agevolata, ove ricorrano specifici requisiti.
Comunque le onlus possono esercitare eccezionalmente l’attività anche a beneficio dei
propri associati o partecipanti, laddove versino nelle medesime condizioni di
svantaggio previste per i destinatari terzi , in base all’art 10 c.3 del decreto.
Nonostante l’obbligo dell’esclusivo perseguimento delle finalità tipiche di solidarietà
sociale cui il legislatore fa riferimento nel delineare le diverse attività in concreto
esercitabili da una onlus è possibile per l’ente dirigere la propria attività anche nei
confronti di soggetti non obbiettivamente svantaggiati. Prevede infatti il comma 5 dell’
art. 10 che le attività tipiche possono essere svolte nei confronti di chiunque ed allora
assumeranno la denominazione di attività connesse a quelle istituzionali e tuttavia,
devono essere contenute entro tassativi limiti percentuali ed in ogni caso non possono
essere prevalenti rispetto a quelle istituzionali e ciò a pena del disconoscimento della
qualifica di onlus e della perdita dei benefici fiscali che vi sono collegati.
Tra i requisiti soggettivi deve essere considerata la forma dell’ente che aspira
all’ottenimento della qualificazione tributariamente agevolata di onlus e le fondazioni
rientrano tra i soggetti riconoscibili a differenza degli enti commerciali che ad esempio,
non sono riconoscibili a priori.
Tra i requisiti oggettivi il decreto prevede l’esercizio di una serie di attività all’interno di
specifici settori determinati dalla legge stessa, lo svolgimento delle attività nei
confronti di determinati soggetti, il divieto di svolgere attività diverse da quelle
espressamente previste dalla legge ad eccezione di quelle direttamente connesse, il
divieto di distribuzione anche in modo indiretto di utili di gestione, l‘obbligo di
devoluzione del patrimonio a particolari enti in caso di scioglimento, l’obbligo di
redazione annuale del bilancio, il principio di democraticità e l’uso dell’acronimo onlus
nella denominazione dell’ente o in qualsiasi altro suo segno distintivo o comunicazione
rivolta al pubblico.
I requisiti formali sono quelli che attengono le concrete modalità di redazione dell’atto
costitutivo e dello statuto degli enti potenzialmente riconoscibili come onlus. La legge
istitutiva dispone che deve trattarsi di atto pubblico o scrittura privata autenticata o
registrata.
Organizzazioni di volontariato.
Le organizzazioni di volontariato sono enti che perseguono una finalità solidaristica, al
pari delle onlus, la quale tuttavia è accompagnata dal c.d.volontarismo.
Con la legge n.266/1991 ,il legislatore ha voluto istituire e disciplinare il fenomeno del
volontarismo sia in termini giuridici che tributari, con lo scopo di incentivarne la
diffusione anche alla luce della valenza sociale che lo stesso riveste nella società civile.
Il trattamento tributario è di totale irrilevanza fiscale di tutte le attività che le
organizzazioni di volontariato possono svolgere per il perseguimento dello scopo
sociale.
L ‘attività di volontariato è puntualmente definita dalla legge quadro nel primo comma
dell’art. 2 dove si precisa che per attività di volontariato si deve intendere “quella
prestata in modo personale spontaneo e gratuito, tramite l’organizzazione di cui il
volontario fa parte, senza fini di lucro anche indiretto ed esclusivamente per fini di
solidarietà”.
Le organizzazioni di volontariato rientrano tra le onlus di diritto tuttavia il ministero
delle finanze nella circolare interpretativa sulle norme dettate per le onlus ha concluso
che “l’individuazione della norma di maggior favore deve essere frutto di una
valutazione soggettiva”.
Le fondazioni rientrano tra gli enti potenzialmente riconoscibili come organizzazioni di
volontariato e per esserlo sono tenute a dotarsi di atto costitutivo e statuto conformi
alle previsioni contenute nella legge n.266/1991, ad iscriversi presso gli appositi
registri, a ritrarre le proprie risorse economiche solo nei modi e nei termini previsti
dalla stessa legge, ad avvalersi dell’attività dei terzi lavoratori dipendenti o autonomi
solo entro determinati limiti legislativi e a devolvere il patrimonio eventualmente
residuo ad altre organizzazioni di volontariato.
Quanto al settore di attività ed alle relative modalità di svolgimento , l’art 3 c. 1
dispone che è considerato organizzazione di volontariato ogni organismo liberamente
costituito al fine di svolgere l’attività di cui all’articolo 2 e che si avvale in modo
determinante e prevalente delle prestazioni personali, volontarie e gratuite dei propri
aderenti. In particolare, il quarto comma dell’art.3 prevede che le organizzazioni di
volontariato possono assumere lavoratori dipendenti, avvalersi di prestazioni di lavoro
autonomo esclusivamente nei limiti necessari al loro regolare funzionamento oppure
occorrenti a qualificare o specializzare l’attività da esse svolta.
Infine nell’atto costitutivo o nello statuto devono essere espressamente previsti
l’assenza di fini di lucro, la democraticità della struttura, l’ elettività e la gratuità delle
cariche associative, la gratuità delle prestazioni fornite dagli aderenti, i criteri di
ammissione e esclusione degli aderenti, obblighi e diritti degli aderenti, l’obbligo di
formazione del bilancio (dal quale devono risultare i beni e i lasciti e i contributi
ricevuti), le modalità di approvazione del bilancio da parte dell’assemblea degli
aderenti.
Ultimo requisito sostanziale è rappresentato dall’iscrizione nell’apposito registro delle
organizzazioni di volontariato istituito ai sensi dell’art 6.
Organizzazioni non governative.
La legge n. 49/1987 disciplina l’attività delle organizzazioni non governative. Si tratta
di organismi operanti all’interno del terzo settore in quanto rivolgono la loro attività a
fini solidaristici e di volontariato. Il loro ambito è più esteso di quello delle onlus e degli
organismi di volontariato, trattandosi di enti che sono protesi alla cooperazione
internazionale per favorire lo sviluppo di paesi del terzo mondo che versano in
condizioni di obbiettiva indigenza ed arretratezza economica.
Il riconoscimento di idoneità , cui sono subordinati sia la concessione di benefici di
carattere fiscale che la possibilità di ottenere contributi pubblici per la realizzazione
dell’attività è preso in esame dall’art. 28 della legge istitutiva. L’idoneità può essere
richiesta limitatamente alle attività per la realizzazione di programmi a breve e medio
periodo nei paesi in via di sviluppo, per la selezione, la formazione e l’impiego di
volontari in servizio civile e per attività di formazione in loco di cittadini dei paesi in via
di sviluppo.
Il comma 4 dell’art. 28 dispone espressamente che il riconoscimento di idoneità alle
organizzazioni non governative può essere dato per uno o più settori di intervento a
condizione che le medesime risultino costituite ai sensi degli art. 14, 36, 39 c.c., quindi
deve necessariamente trattarsi di associazioni, fondazioni e comitati .
I requisiti oggettivi richiesti dalla legge per ottenere il riconoscimento possono
suddividersi in formali, attinenti alla modalità di costituzione, necessariamente per
atto pubblico o testamento, e sostanziali elencati al c.4 dell‘art. 28.
Ove l’ente dimostri di possedere tutti i requisiti potrà effettuare apposita domanda di
riconoscimento la quale, se accolta, spiegherà effetto su tre fronti:
-contribuzioni per le attività di cooperazione promosse dall’ ente;
-finanziamento da parte della direzione generale per la cooperazione allo sviluppo di
specifici programmi di cooperazione;
-decommercializzazione delle attività di cooperazione svolte, le quali sono da
considerarsi ai fini fiscali attività di natura non commerciale.
IL PROCEDIMENTO DI RICONOSCIMENTo.
Il d.p.r. 361/2000.
L’ attuale normativa è in vigore dal 2001, in applicazione della riforma operata dal
D.P.R.361/2000 che ha abrogato l’art 12 c.c. semplificando la procedura e rendendola
decentrata. Pertanto gli enti costituiti sotto forma di fondazioni devono, per espressa
disposizione legislativa, ottenere riconoscimento della personalità giuridica che può
essere subordinato a richieste di modifiche dell’ente da parte dell’autorità ma non
dello statuto esistente, se non per conformarlo alla volontà del fondatore nel caso di
fondazione testamentaria.
Il riconoscimento può essere regionale o nazionale, secondo quanto già previsto dal
dpr 616/1977; nel caso di fondazioni che operano nelle materie previste di
competenza delle regioni e le cui finalità statutarie si esauriscono nella ambito di una
sola regione, il riconoscimento è determinato dall’iscrizione nel registro delle persone
giuridiche istituito presso la stessa regione.
Dalla natura concessoria, viene fatta derivare l’efficacia costitutiva del riconoscimento,
quindi una fondazione non esiste fino al momento in cui è riconosciuta, con le relative
conseguenze sulla disciplina del patrimonio.
L’istanza di riconoscimento.
L’istanza di riconoscimento deve essere presentata dal presidente della fondazione al
presidente della regione, in caso di riconoscimento regionale, ovvero al prefetto
competente in base della sede legale della fondazione, nel caso di riconoscimento
nazionale.
La procedura per ottenere il riconoscimento disciplinato dal d.p.r. n.361/2000 inizia
con la presentazione di un’apposita domanda al Prefetto del luogo in cui è stabilita la
sede della fondazione ma nel caso di fondazione testamentaria il Prefetto può
procedere d’ufficio.
Nell’istanza occorre allegare:
- l’eventuale autorizzazione del consiglio di amministrazione;
-copie autentiche dell’atto pubblico di costituzione della fondazione e dello statuto;
-una relazione sulla consistenza del patrimonio iniziale;
-una relazione sulla attività che l’ente intende svolgere;
- l’elenco nominativo di tutti i componenti gli organi direttivi.
(Qualora la fondazione ne abbia i requisiti, anche
l’attestazione di iscrizione
all’anagrafe delle onlus) .
Inoltre è necessario che siano state soddisfatte le condizioni previste da norme di legge
o di regolamento per la costituzione dell’ente, che lo scopo sia possibile e lecito
oltreché come già ricordato ,il patrimonio risulti adeguato alla realizzazione dello
scopo.
In attesa di riconoscimento i beni rimangono nel patrimonio del fondatore e sono
quindi esposti all’azione dei creditori personali. Gli effetti degli atti compiuti in questo
periodo sono sospesi o ricadono sul loro autore se legittimato, in analogia a quanto
disposto dagli artt. 2334 c.2 e 2338 c.1,2.
Decisione sull’istanza di riconoscimento.
L’autorità pubblica deve decidere sull’istanza entro il termine di 120 giorni e
provvedere all’ iscrizione o al rifiuto mediante una procedura semplificata: procedura
che prevede l’abolizione del parere del consiglio di stato delle competenze ministeriali,
limitatamente alle fondazioni di diritto privato , e l’abolizione dell’obbligo di
pubblicazione in gazzetta ufficiale.
Per le fondazioni istituite per testamento il riconoscimento può essere concesso dal
prefetto, d’ufficio, in caso di ingiustificata inerzia del soggetto abilitato alla
presentazione della domanda.
Il prefetto, verificata la sussistenza delle condizioni richieste, provvede alla
registrazione nel registro delle persone giuridiche entro il termine di 120 giorni dalla
presentazione della domanda o comunica le eventuali ragioni ostative all’iscrizione o la
necessità di integrare la domanda.
I richiedenti possono presentare memorie e documenti nei successivi 30 giorni.
Entro l’ulteriore termine di 30 giorni, il Prefetto provvede all’iscrizione o comunica ai
richiedenti il motivo dell’ulteriore diniego.
Il rifiuto del riconoscimento, che deve essere motivato è impugnabile davanti al
giudice amministrativo.
Alcuni dei più ricorrenti motivi ostativi sono la genericità o ampiezza eccessiva dello
scopo, l’inutilità dello scopo, scopo già sufficientemente perseguito da altro ente
riconosciuto o il patrimonio insufficiente.
Iscrizione nel registro delle persone giuridiche.
L’autorità che decreta il riconoscimento provvede d’ufficio all’iscrizione nel registro
delle persone giuridiche, che con il dpr n.361/2000 è stato sdoppiato in due registri
distinti: uno per i riconoscimenti regionali, tenuto presso la regione competente per
territorio e l’altro per i riconoscimenti ultraregionali tenuto presso la prefettura
competente per territorio. In tali registri vengono successivamente annotate tutte le
modifiche dello statuto e dell’atto costitutivo, il trasferimento della sede , l’istituzione
di sedi secondarie , la sostituzione degli amministratori, l’indicazione di quelli ai quali è
attribuita la rappresentanza , le deliberazioni e i provvedimenti in relazione allo
scioglimento ,gli eventuali liquidatori e tutti gli altri atti previsti da norme di legge.
Con l’acquisto della personalità giuridica, che consegue all’iscrizione, l’ente viene
riconosciuto come soggetto di diritto. Conseguenze immediate sono l’autonomia del
patrimonio, la limitazione della responsabilità degli amministratori per le obbligazioni
assunte.
Inoltre la personalità giuridica ha rilevanza anche nel rapporto tra il patrimonio della
fondazione ed creditori personali del fondatore i quali possono esperire le azioni di
separazione revocatoria e di riduzione. L’azione revocatoria, ai sensi dell’ art 2901c.c.
ss, prima del riconoscimento della personalità giuridica sarà necessaria se il vincolo di
destinazione del patrimonio è opponibile ai creditori del fondatore ovvero se per i
beni immobili è avvenuta la trascrizione avente natura reale ex art 2645 c.c. e se per i
beni mobili si è usata la forma dell’atto pubblico per l’atto di fondazione. Nell’ipotesi in
cui sia già avvenuto il riconoscimento dell’ente la sentenza di accoglimento dell’azione
revocatoria dichiara l’estinzione della fondazione e ne avvia la procedura di
liquidazione .Nel caso di fondazione testamentaria non è possibile dar luogo all’azione
revocatoria ma potrà essere esperita solo l’azione di separazione ex art 512c.c. e ss.
con la quale i creditori potranno rifarsi sul patrimonio del decuius. Infine l’azione di
riduzione ex art 253 c.c. può essere esperita sia prima del riconoscimento che dopo,
ma in quest’ultimo caso le azioni esecutive potranno essere esercitate solo sui beni
residui dopo la liquidazione .L’annullamento dell’atto di riconoscimento, come quello
dell’atto di fondazione producono i loro effetti in modo irretroattivo.
IL PATRIMONIO E LA SUA LIQUDAZIONE.
Il patrimonio
Il negozio di dotazione è l’ atto con cui il fondatore attribuisce in proprietà al
costituendo ente una determinata quantità di patrimonio, che servirà per il
funzionamento della fondazione.
Il patrimonio iniziale della fondazione quindi è rappresentato dai beni e dai diritti
sottoposti al vincolo di destinazione dal fondatore, ed è uno dei requisiti essenziali
della fondazione, secondo l’art.16 c.1, la cui entità deve essere commisurata alle
risorse necessarie per il raggiungimento dello scopo, secondo l’art. 1 d.p.r. 361/00,
pena il mancato riconoscimento.
Tale misura del patrimonio, la cui dimostrazione deve essere documentata dagli
amministratori in sede di riconoscimento, è direttamente collegata allo scopo della
fondazione e quindi non può determinarsi con certezza a priori quale sia la misura
accettabile; generalmente sarà più elevato nelle fondazioni di erogazione che non in
quelle di azione.
La perentorietà di queste disposizioni risulta comunque temprata nell’applicazione,
infatti si è dato rilievo non solo alla consistenza attuale del patrimonio ma anche alle
sue possibilità di incremento, considerando sufficiente il diritto a prelevare le rendite
di un patrimonio altrui di cui l’ente stesso ha l’amministrazione; questa particolare
fattispecie di fondazione costituita per amministrare un patrimonio le cui rendite sono
erogate da altre fondazioni è stata riconosciuta legittima dal Consiglio di Stato.
Il patrimonio comunque, sempre secondo la giurisprudenza del Consiglio di stato, deve
essere predefinito sin dall’inizio essendo insufficiente la previsione di fonti esterne di
contribuzione o di entrate future od eventuali.
Il vincolo sui beni nel caso in cui venisse trascritto ha natura reale, di conseguenza
sarebbe nulla la delibera di smobilizzo assunta dagli amministratori in contrasto con le
modalità dello statuto.
Il codice non prevede espressamente limiti al depauperamento del patrimonio ma
sopravvenute difficoltà economiche, che rendano impossibile il proseguimento dell’
attività, porterebbero l’ente ad estinguersi (con conseguente liquidazione del
patrimonio) a meno che non intervenga l’istituto della trasformazione.
Un ulteriore funzione del patrimonio, oltre a quella di assolvere allo scopo fissato dal
fondatore, è quella di garantire i terzi che entreranno in rapporto con l’ente che,
essendo persona giuridica, risponderà autonomamente delle obbligazioni assunte
senza che sia possibile per i terzi escutere il patrimonio degli amministratori o più in
generale di chi ha agito in nome e per conto dell’ ente.
Secondo un’indagine Istat sulle fonti di finanziamento delle fondazioni risulta che le
risorse di cui dispongono le fondazioni derivano solo per il 27% dalle rendite
patrimoniali ed il 42% da sussidi e contributi, ricavi da vendita di beni e servizi.
Da una ricerca cofin del 2001, secondo gli operatori del settore delle fondazioni la
rilevanza complessiva delle entrate di fonte privata sotto forma di donazioni è
maggiore rispetto a quella dei contributi pubblici, per le fondazioni in misura più
rilevante rispetto ad altre organizzazioni di privato sociale; inoltre i redditi di origine
patrimoniale vengono dagli intervistati posti solo al quarto posto in ordine di
importanza , dopo le sovvenzioni pubbliche le donazioni di enti privati e le donazioni di
privati cittadini. Le spiegazioni date sono relative alla redditività limitata del
patrimonio per i vincoli della sua gestione ma anche a strategie volte all’integrità del
patrimonio con riduzione dei rischi di una gestione orientata alla produzione di redditi.
In ogni caso emerge una percezione diffusa fra gli operatori del settore della
complessiva sottopatrimonializzazione delle fondazioni di diritto civile quindi
dell’insufficienza dei redditi patrimoniali a garantire il loro ordinario funzionamento,
infatti il 68.7% delle fondazioni effettua attività di fundraising.
La liquidazione.
Al verificarsi di una causa di estinzione, prevista dalla legge o dallo statuto, segue l’
apertura della liquidazione secondo quanto stabilito dall’art 30 c.c. e dalle disp. att..
Esaurite le fasi della liquidazione i beni che residuano devono essere devoluti in
conformità alle disposizioni statutarie relative oppure, in mancanza, attribuendo i beni
ad atri enti che hanno analoghi fini ex art. 31 c.c. .
L’atto di fondazione non può disporre che i beni residui tornino al fondatore o ai suoi
eredi altrimenti si andrebbe contro lo scopo di pubblica utilità o si cadrebbe nel divieto
della sostituzione fedecommissaria previsto nell’art 692 c5 c.c. .
L’AMMINISTRAZIONE
Gli amministratori.
L’esecuzione dell’atto di fondazione, quindi l’utilizzo del patrimonio per il
perseguimento dello scopo, è affidata a persone diverse dal fondatore, che
rappresentano nell’istituto “l’elemento personale”. L’interdipendenza tra scopo e
patrimonio quindi, deve essere ulteriormente articolata, inserendosi il riferimento
all’organizzazione: si è segnalato l’evolvere delle definizioni dell’istituto, dall’originario
omaggio nei confronti della teoria del patrimonio separato, all’ enfasi attualmente
riposta sul ruolo delle persone e dell’organizzazione medesima che si spinge, oltre alla
gestione del patrimonio, anche all’investimento. Quindi la rivalutazione dell’elemento
personale trae argomento dall’ampiezza dei poteri del consiglio di amministrazione.
Tale organo è l’unico previsto dal c.c. per le fondazioni ordinarie, a differenza che per
le associazioni, dato che l’atto di costituzione è un atto unilaterale del fondatore che
prefigura l’organizzazione dell’ ente (o i criteri per determinarla), oltre a dotarlo dei
mezzi necessari, e non è quindi necessario un organo deliberativo in grado di
sovraintendere l’operato degli amministratori o di sostituirli in caso di rinnovo delle
cariche o in caso di incapacità, in quanto si tratta di aspetti che originariamente il
fondatore ha determinato e che sono garantiti dal costante controllo dell’ autorità
governativa.
Quindi le modalità di designazione degli amministratori, e la durata della loro carica,
possono essere indicate unicamente dal fondatore (o da soggetti da lui indicati) ma
dopo la nomina l’amministratore o il collegio si rendono organi autonomi, come tali
immuni dalle ingerenze del fondatore. Il Consiglio di Stato ha negato al fondatore la
facoltà di riservarsi la nomina degli amministratori per le successive rinnovazioni, come
anche il potere di scioglimento del consiglio di amministrazione. Il Consiglio di Stato,
nella stessa sentenza, ha negato la possibilità di modificare lo statuto nel senso che
mentre il fondatore può riservarsi la nomina di membri a vita del consiglio di
amministrazione all’atto della fondazione, non può riservarsi la nomina per le
successive rinnovazioni dell’organo né può riservarsi la facoltà di scioglierlo.
Dalla natura di atto unilaterale dell’atto di fondazione deriva la qualificazione
dell’organo amministrativo come esecutore della volontà del fondatore e quindi che
l’amministrazione della fondazione dovrà essere attuata secondo modalità e termini
che non siano in contrasto con lo scopo prefissato dal fondatore e con le regole di
funzionamento interno dell’ ente ; in concreto gli amministratori nel disporre dei beni
della fondazione saranno vincolati al perseguimento dello scopo loro indirettamente
assegnato, dato che esclusivamente l’autorità governativa ha il potere, anch’esso
vincolato, di modificare la destinazione del patrimonio secondo quanto stabilito dagli
artt. 28 e 31 c.c. . Gli amministratori comunque non sono soggetti ad alcuna ingerenza
da parte del fondatore e da parte dell’autorità governativa nel caso in cui agiscano
secondo le regole di amministrazione fissate nello statuto; l’intervento dell’autorità
governativa, ai sensi dell’art 25 c.c., in definitiva è un controllo di legittimità
dell’operato e non può interferire fino a quando gli amministratori non abbiano
violato la legge o lo statuto stesso.
L’ atto di fondazione deve stabilire i poteri, le funzioni e i soggetti dotati del potere di
rappresentanza, secondo l’art 18 c.c. . Nel caso in cui queste determinazioni
mancassero o fossero inattuabili alla nomina o alla sostituzione provvederebbe
l’autorità governativa, secondo quanto stabilito dall’art. 25 c.1 c.c. .
L’organo amministrativo può consistere in un singolo o in un collegio, nel quale siano
concentrati tutti i poteri, ma può accadere che si articoli in organi distinti di indirizzo,
di amministrazione e di controllo; dalla prassi statutaria emerge che accanto al
consiglio di amministrazione spesso sono previsti altri organi, non necessari, quali
assemblee, consigli generali o comitati esecutivi che collaborano con l’organo
amministrativo.
Si ritiene possibile che sia il fondatore stesso ad amministrare la gestione della
fondazione.
Nel caso in cui una persona giuridica sia nominata consigliere, saranno gli
amministratori di questa a ricoprire materialmente la carica.
Gli amministratori possono percepire un compenso che però deve rispettare il divieto
di distribuzione degli utili.
Le indicazioni in ordine agli amministratori e alla loro sostituzione devono essere
iscritte nel registro delle persone giuridiche per usufruire degli effetti della pubblicità
dichiarativa che ne consegue. Gli atti compiuti in violazione del potere di
rappresentanza sono inefficaci nei confronti della fondazione, come sono inefficaci nei
confronti della fondazione
gli atti che eccedono le limitazioni del potere di
rappresentanza non iscritte nel registro delle imprese delle quali si provi la
conoscibilità da parte del terzo.
La cessazione della carica può avvenire per decesso, dimissioni, scadenza del termine e
per espulsione deliberata dal consiglio. Nell’ambito di una vicenda riguardante
l’impugnazione della delibera di estromissione dal consiglio direttivo di una fondazione
il Tribunale amministrativo ha affermato che l’esercizio del potere pubblico di
controllo,
in questo caso
sul consiglio di amministrazione ed
a tutela
dell’amministratore, può essere attivato in base a sollecitazioni esterne che però
restano mere segnalazioni
e non si traducono in situazioni meritevoli di tutela
giurisdizionale; in casi del genere, per difendere le proprie posizioni soggettive
concretatesi in un diritto, sarebbe stato necessario rivolgersi al giudice ordinario e non
all’autorità amministrativa, cui l’amministratore espulso si era rivolto per ottenere
tutela. Però il giudice ordinario in seguito adito ha rifiutato di pronunciarsi sostenendo
che il potere di annullamento della delibera di una fondazione, nella specie quella di
espulsione, spetta solo all’autorità amministrativa di controllo e successivamente alla
giurisdizione amministrativa
In sintesi,il controllo amministrativo è funzionale alla protezione dell’interesse
dell’ente (Cons. St. 291/1974 )mentre, se esiste un interesse distinto, questo sarà
separatamente azionabile a prescindere dalla segnalazione rivolta all’ autorità(Tar
Lombardia 4598/2000).
Gli amministratori non possono modificare gli elementi essenziali della fondazione,
quali gli scopi, il patrimonio l’ordinamento interno, le modalità di erogazione delle
rendite, le disposizioni sulla estinzione; l’ esercizio di queste funzioni spetta all’
autorità governativa.
Secondo alcune opinioni potrebbe essere disposto dagli amministratori, con
provvedimento poi approvato dall’autorità governativa, il trasferimento della sede e,
se il patrimonio fosse esiguo, anche la modificazione statutaria che limiti il settore di
attività o che preveda la fusione con un ente avente fini analoghi perché in questo
caso l’autorità governativa avrebbe solo una posizione di supplenza e, come tale,
interverrebbe solo nel caso in cui gli amministratori non avessero ancora provveduto.
Nelle more del procedimento di riconoscimento, gli amministratori
rispondono
personalmente e solidalmente con la fondazione delle obbligazioni assunte dalla
fondazione stessa, e sono inoltre ritenuti responsabili del corretto adempimento dei
doveri sanciti nell’art 33. Infatti l’art.35 c.c., pone a carico degli amministratori un
ammenda nel caso in cui non adempiano correttamente agli obblighi di registrazione
nel registro delle persone giuridiche in seguito al riconoscimento.
L’autorità governativa.
L’autorità governativa dopo l’ emanazione del d.p.r. 361/2000 si identifica nella
prefettura, nelle regioni o nelle province a seconda dell’ambito in cui operano le
fondazioni.
All’autorità governativa spetta
il potere di annullare le delibere dell’organo
amministrativo che siano contrarie a norme imperative, ordine pubblico, buon
costume e all’atto di fondazione. L’annullamento può essere richiesto da coloro che
fanno parte degli organi dell’ente e da qualsiasi interessato, non pregiudica i diritti
acquistati dai terzi in buona fede in conseguenza degli atti compiuti in esecuzione della
delibera annullata.
Il provvedimento dell’autorità governativa può essere impugnato dinnanzi al giudice
amministrativo. Secondo le Sezioni Unite, l’autorità giudiziaria ordinaria potrà
comunque valutare la legittimità degli atti compiuti dagli amministratori in modo
indiretto, nel momento in cui sia chiamata a pronunciare su un negozio di cui sia parte
una fondazione ed in ordine al quale assuma rilevanza la legittimità di quegli atti
oppure nel momento in cui sia chiamata ad accertare la responsabilità connessa
all’esecuzione di una delibera nulla, a prescindere dalla preventiva impugnazione di
quest’ultima in sede amministrativa, in quanto il controllo dell’autorità governativa
non è incompatibile col principio fondamentale della nullità dell’atto contrario a norme
imperative buon costume ordine pubblico. La valutazione è oggetto principale del
giudizio quando l’autorità giudiziaria sia adita nei casi previsti dal c. ultimo dell’art 25
c.c., in cui si prevede che si possa esercitare azione contro gli amministratori “per i fatti
riguardanti la loro responsabilità”.
Il Consiglio di Stato ha precisato che l’intervento dell’autorità governativa ha finalità
e portata diverse, più penetranti rispetto ai provvedimenti adottati dall’autorità
giudiziaria
ordinaria, essendo preordinato a normalizzare compiutamente
la
situazione dell’ente al di fuori della contrapposizione delle parti in contrasto.
La difformità dell’azione degli amministratori rispetto allo statuto alla legge o allo
scopo della fondazione rappresenta il presupposto in base al quale l’ autorità
governativa può sciogliere l’amministrazione o nominare un commissario straordinario
(art. 25).
L’amministratore provvisorio.
Nelle more del procedimento di riconoscimento, l’art 3 disp.att., prevede la possibilità
di nominare un amministratore provvisorio a cura del tribunale su istanza del prefetto.
La Cassazione ha precisato che il potere del prefetto di promuovere gli atti conservativi
necessari per l’esecuzione delle disposizioni patrimoniali in favore di un ente da
istituire, deve intendersi limitato alla sola ipotesi in cui l’atto costitutivo o lo statuto
dell’eligendo ente non contengano alcuna indicazione circa il soggetto cui sia
demandato il compito di amministrare il patrimonio fino al riconoscimento, dato che la
dotazione di beni all’ ente nascituro produce l’effetto immediato di destinarli al
costituendo soggetto sottraendoli ad ogni altro potere dispositivo. Ne deriva che se lo
statuto di una fondazione in attesa di riconoscimento, devolve al suo presidente
l’amministrazione del patrimonio , deve ritenersi giuridicamente inesistente il
provvedimento con il quale il tribunale nomina un diverso amministratore provvisorio
ed è quindi affetto da invalidità assoluta il contratto con il quale detto amministratore
vende i beni, trattandosi di soggetto del tutto sfornito del potere di rappresentare.
Obblighi amministrativi
Per le fondazioni è obbligatorio munirsi di codice fiscale, ciò
per consentirne
l’identificazione, secondo quanto previsto dal D.M. 539/87. Ne sono escluse le
fondazioni riconosciute perché giuridicamente inesistenti. Le domande per
l’attribuzione del codice fiscale devono essere predisposte dal legale rappresentante
dell’ente, tramite appositi modelli, ed indirizzate all’agenzia dell’entrate competente
territorialmente a seconda della relativa sede legale dell’ente (quindi vanno indirizzate
alla camera di commercio in cui si trova la sede legale dell’ente). Deve essere allegata
copia dell’atto costitutivo e dello statuto, approvati e sottoscritti da tutti i fondatori.
Un ulteriore ed eventuale obbligo è quello dell’iscrizione nel registro delle imprese,
istituito dalla legge 580/1993 e regolamentato dal DPR 581/95, allo scopo di
pubblicizzare presso le camere di commercio gli enti che hanno come fine prevalente
o esclusivo lo svolgimento di attività commerciali. Le fondazioni non risultano
espressamente tra i soggetti per cui vige l’obbligo di iscrizione ma possono essere
ricomprese tra i soggetti indicati alla lett. a punto 1) dell’art. 7 del regolamento, nella
categoria degli imprenditori di cui all’art 2195 c.c., allorchè la fondazione eserciti
prevalentemente attività commerciale, secondo anche quanto stabilito dalla circolare
ministeriale 3407/C del 9 gennaio 1997. Nel caso in cui la fondazione non esercitasse
più o non esercitasse in modo prevalente l’attività commerciale è onere degli
amministratori chiederne la cancellazione per usufruire delle agevolazioni conseguenti
al mutamento della qualifica di ente commerciale.
Invece nel caso in cui la fondazione esercitasse attività commerciali in una misura tale
da non essere considerata ente commerciale sarebbe tenuta ad iscriversi nel
repertorio economico amministrativo, tenuto presso le camere di commercio.
Secondo la circolare ministeriale 3407/C del 9 gennaio 1997, infatti, “devono essere
iscritte al rea tutte quelle forme di esercizio collettivo di attività economiche di natura
commerciale e/o agricola che si collocano in una dimensione di sussidiarietà o di
ausiliarietà rispetto all’ oggetto principale di natura ideale, culturale , ricreativa, ecc.
del soggetto stesso”.
TRASFORMAZIONE E ESTINZIONE
La trasformazione di cui all’art.28 c.c.
Le fondazioni presentano come particolare loro caratteristica l’immutabilità dello
scopo che però deve poter mutare in presenza di determinate circostanze, ciò per
evitare che l’attività di pubblica utilità che la fondazione persegue sia irrisoria o
obsoleta e quindi che il vincolo esercitato da essa sui beni ingiustificato. Il codice civile
allora prevede, all’ art. 28, le fattispecie che possono dare luogo alla trasformazione
dell’ente:
quando lo scopo è esaurito o divenuto impossibile o di scarsa utilità o il patrimonio è
divenuto insufficiente, l’autorità governativa anziché dichiarare estinta la fondazione,
può provvedere alla sua trasformazione, allontanandosi il meno possibile dalla volontà
del fondatore.
La
trasformazione
è
una
modificazione
dell’atto
costitutivo,
attuata
con
provvedimento dell’ autorità governativa; la delibera degli amministratori equivale ad
una proposta.
Oggetto della modificazione è di regola lo scopo, anche se
è possibile una
trasformazione per fusione con altro ente che persegue fini analoghi.
E’ escluso si possa pervenire alla trasformazione quando i fatti che vi darebbero luogo
sono considerati nell’atto di costituzione come fatti estintivi e di devoluzione dei beni a
terze persone, o quando si tratta di fondazioni destinate a vantaggio di soltanto una o
più famiglie: il patrimonio residuo sarà devoluto a enti che hanno fini analoghi e, nell’
ultimo caso definitivamente sottratto al vantaggio della famiglia.
Si ritiene in dottrina che la trasformazione non interrompe, come la modificazione
dello scopo la continuità del rapporto di fondazione, neppure se viene attuata la
fusione con altra fondazione.
La trasformazione di cui all’art.2500septies c.c.
Il codice disciplina anche l’ipotesi della trasformazione in fondazione, prevedendo che,
con il voto favorevole dei 2/3 dei soci, la società di capitali possa trasformarsi in
fondazione.
La trasformazione di società di capitali in fondazione sottace l’intento del socio di
grande maggioranza, e salvo comunque il diritto di recesso dei non assenzienti, di
attribuire all’impresa una forma giuridica che la renda immune dai possibili contrasti o
dalle tentazioni dissolutrici degli eredi.
A seguito della delibera di trasformazione i soci si spoglieranno di ogni diritto sul
patrimonio sociale, che verrà destinato al perseguimento di uno scopo determinato. Le
azioni o le quote sono assegnate secondo quanto previsto dall’atto di fondazione o in
mancanza di previsione secondo quanto disposto dall’art 31 c.c. in tema di devoluzione
dei beni delle fondazioni.
Dal momento che gli effetti della delibera equivalgono a quelli dell’ atto di fondazione,
si dovrà poi chiedere la registrazione alla prefettura secondo quanto stabilito dal d.p.r.
361/2000.
La trasformazione eterogenea ha effetto trascorsi 60 giorni dall’ultimo degli
adempimenti pubblicitari previsti dall’art 2500, salvo che risulti il consenso il consenso
dei creditori. Entro i 60 giorni,
i creditori possono fare opposizione alla
trasformazione.
L’estinzione.
Le fondazioni possono estinguersi ex art 27 c.c., per cause previste nell’atto costitutivo
e nello statuto, per raggiungimento dello scopo o sopravvenuta impossibilità di
raggiungerlo.
La prefettura accertata l’esistenza di una di tali cause, su istanza di qualunque
interessato o anche d’ufficio, da comunicazione al presidente del tribunale
competente, individuato in base alla sede legale dell’ente, affinchè provveda secondo
quanto disposto dall’art. 11 disp. att. c.c . e dagli amministratori dell’ ente.
Al verificarsi della causa di estinzione segue per gli amministratori il divieto di
compiere atti di straordinaria amministrazione e l’ apertura della liquidazione secondo
l’art 30 c.c..
Capitolo Secondo
LA DISCIPLINA FISCALE DELLE FONDAZIONI
L’ ESERCIZIO DI ATTIVITA’ ECONOMICHE
Non è sufficiente, sotto il profilo tributario, che un ente si configuri come non lucrativo
per giustificare le particolari agevolazioni riconosciute agli enti non profit perchè
sarebbe leso il principio costituzionale della capacità contributiva se la sola
qualificazione dell’ente bastasse a conferire un trattamento diversificato rispetto alla
generalità degli imprenditori.
Per questi motivi la non commercialità dell'attività svolta non può desumersi
esclusivamente dalle finalità non lucrative dell’ ente, ma deve essere ricavata da una
combinazione di fattori caratteristici:
-se l’attività essenziale per realizzare direttamente gli scopi primari è di tipo non
commerciale, l’ente dovrà essere considerato non commerciale e l’attività
commerciale esercitata strumentale.
-se l'attività essenziale è di tipo commerciale l’ente dovrà essere ricompreso tra quelli
aventi per oggetto esclusivo o principale l’ esercizio di attività di impresa , quindi dovrà
essere considerato commerciale.
Individuazione delle attività svolte dall’ente.
Per l’individuazione delle attività svolte dall’ente, secondo l’ art 73 tuir, si deve fare
riferimento all’oggetto esclusivo o principale dell’ ente determinato in base alla legge,
all’atto costitutivo e allo statuto ma non solo. Infatti la legge, l’ atto costitutivo e lo
statuto potrebbero anche prevedere l’esercizio di più
attività di natura non
commerciale e commerciale allo stesso tempo. A questo punto occorrerebbe
esaminare l’ attività che in via primaria consente all’ente la realizzazione degli scopi
prefissati.
La differenza tra la categoria di ente commerciale e quella di ente non commerciale è
costituita quindi dall‘incidenza dell’esercizio di attività commerciale rispetto all’attività
istituzionale esercitata.
Attività commerciale.
Dal combinato disposto dalle disposizioni di cui agli artt. 55 tuir e 2195 c.c. si evince
che affinchè si realizzi il presupposto della commercialità è sufficiente che un ente
eserciti:
- un’attività economica in maniera abituale e continuativa nell’ambito dei settori
indicati dall’art 2195 c.c., anche in mancanza di idonea organizzazione
- un’attività che si concretizzi nella prestazione di servizi e che sia svolta con adeguata
organizzazione; la
corte di cassazione considera impresa la gestione che tende
direttamente e immediatamente al solo conseguimento di fini economici, sia per la
intrinseca natura intrinseca delle attività stesse e per le particolari esigenze della sua
organizzazione, sia per il criterio della redditività che la caratterizza; quindi per evitare
l’acquisto della qualifica di ente commerciale sarebbe sufficiente che le attività
economiche svolte fossero prive di creazione di nuova ricchezza e che non ci fosse un
mercato di riferimento, elemento essenziale di una attività commerciale.
Perdita della qualifica di ente non commerciale.
Come sancisce l’art.. 149 tuir, letto in combinato disposto con i commi 4 e 5 dell’art.73
del tuir, l’ente perde la qualifica di non commerciale se esercita prevalentemente
attività commerciale per un intero periodo di imposta, ma ai fini della qualificazione
commerciale dell’ente si deve tenere conto, nell’ambito del giudizio complessivo,
anche dei seguenti parametri:
• della prevalenza delle immobilizzazioni relative all'attività commerciale al netto degli
ammortamenti;
• della prevalenza dei ricavi derivanti dall'attività commerciale rispetto al valore
normale delle cessioni o prestazioni afferenti le attività istituzionali;
• della prevalenza dei redditi derivanti dall'attività commerciale rispetto a quelli
"istituzionali" cioè i contributi, le sovvenzioni, le liberalità e le quote associative nel
caso in cui si tratti di fondazione in partecipazione.
• della prevalenza dei componenti reddituali negativi "commerciali" rispetto alle
rimanenti spese.
In primo luogo all’ente non lucrativo divenuto commerciale, si applicherebbero le
disposizioni compatibili con la natura non lucrativa delle norme relative agli enti
commerciali; inoltre anche per l’ente originariamente non lucrativo, varrebbe
l’attrazione di ogni componente reddituale al reddito di impresa, quindi una
conseguenza sarebbe la tassazione delle liberalità e dei contributi.
Determinazione del reddito di impresa.
Sono redditi di impresa quelli derivanti dall'esercizio per professione abituale, non
esclusiva delle attività indicate dall’art 2195 c.c.; non si considerano commerciali le
attività di prestazioni di servizi rese in conformità alle finalità istituzionali dell’ente e
senza organizzazione nel caso in cui permettano di ottenere un bilancio
presumibilmente in pareggio.
Le fondazioni unitamente agli altri enti non commerciali possono determinare il
reddito di impresa utilizzando diverse metodologie, variamente articolate a seconda
del volume dei ricavi commerciali conseguiti. Per le eventuali attività commerciali
esercitate, vige l’obbligo di tenere contabilità separata nel rispetto di un criterio di
trasparenza nella gestione dell’ente, finalizzate ad evitare l’elusione della disciplina
sugli enti commerciali.
L’impostazione generale della disciplina fiscale per le fondazioni, prevede una
delimitazione delle attività fiscalmente irrilevanti allo scopo di distinguerle da quelle
commerciali, con particolare attenzione al requisito dell’ economicità, per sottolineare
la tassabilità di queste ultime, affinchè ricavi e costi delle attività svolte non vengano
confusi tra loro .
Determinazione degli altri redditi.
Gli “altri redditi” delle fondazioni sono rappresentati dai redditi fondiari, dai redditi di
capitale e dai diversi redditi.
La disciplina dettata dal tuir in tema di redditi fondiari è riferibile in primo luogo alle
persone fisiche ma, in forza di espressi richiami, può estendersi alla generalità degli
enti non commerciali .
Sono definiti redditi fondiari quelli derivanti da terreni e fabbricati situati nel territorio
dello stato che sono o devono essere iscritti, con attribuzione di rendita, nel catasto
dei terreni o nel catasto edilizio urbano.
Nella categoria dei redditi fondiari si distinguono i redditi dominicali, i redditi agrari e i
redditi dei fabbricati.
I redditi da fabbricati, se derivano da immobili strumentali all’attività economica
esercitata, contribuiscono alla formazione del reddito di impresa. Invece se i redditi da
fabbricati derivano da immobili strumentali all’attività istituzionale della fondazione
che li possiede, saranno tassati semplicemente come redditi fondiari.
Nel caso di locazione degli immobili di proprietà della fondazione, la dottrina afferma
che deve invocarsi il principio secondo cui la gestione di una o più unità immobiliari
effettuata in base ad un disegno unitario può integrare gli estremi di una attività di
impresa solo ove ricorrano i requisiti di organizzazione, sistematicità e metodo
economico. La qualità di imprenditore deve ritenersi quindi insussistente se l’ente si
limita ad una gestione puramente conservativa del suo patrimonio, risultando
impossibile, in una simile evenienza, rinvenire una attività di produzione di servizi
(quindi la mera amministrazione di immobili non è produttiva di redditi di impresa ma
è solo attività strumentale dalla quale ritrarre risorse per perseguire altri fini).
La determinazione del reddito complessivo.
La determinazione del reddito complessivo avviene dalla sommatoria di tutte le varie
componenti reddituali, ma resta escluso da ogni imposizione tutto ciò che è riferibile
alla sfera istituzionale dell’ente: quindi sono escluse dal reddito imponibile le liberalità,
la raccolta di fondi tramite la vendita non abituale di beni e la prestazione di servizi resi
in conformità alle finalità istituzionali e non rientranti nell’ art. 2195c.c. .
I TRIBUTI.
Ai fini tributari le fondazioni sono considerate alla stregua di tutti gli altri enti non
commerciali. Vengono sottoposte a regimi differenziati in relazione al tipo di attività
svolta e in relazione alla qualificazione speciale che riescono ad ottenere.
Ires e Ire.
Le fondazioni risultano incluse tra i soggetti passivi dell’ imposta sui redditi delle
società, con differenze sulla determinazione della base imponibile.
Presupposto dell’imposta è il possesso di redditi in denaro o in natura, rientranti nelle
categorie elencate nel tuir all’art 6.
Concorrono alla base imponibile, i redditi fondiari, di capitale, di impresa e diversi,
quindi rispetto all’elencazione dell’art. 6
rimangono esclusi i redditi di lavoro
dipendente e di lavoro autonomo.
La determinazione del reddito quindi è effettuata in maniera simile alle persone
fisiche, ossia è quello che risulta dalla somma dei redditi delle singole categorie
elencate nell’ art. 6 tuir, con la differenza che la tassazione del reddito non cresce al
crescere del reddito ma l’aliquota è fissa.
Per quanto riguarda l’imposta sui redditi, la principale agevolazione che riguarda le
fondazioni è la riduzione alla metà dell’imposta sul reddito delle persone giuridiche nel
caso in cui perseguano un fine equiparato per legge ai fini di beneficienza ed
istruzione, operino nel settore storico, letterario, scientifico, abbiano scopi
esclusivamente culturali, siano enti di assistenza sociale, società di mutuo soccorso,
enti ospedalieri, corpi scientifici, accademie, fondazioni e associazioni storiche,
letterali, scientifiche, di esperienze e ricerche aventi scopi esclusivamente culturali.
Caratteristica principale per fruire di tale agevolazione è l’avvenuto riconoscimento
della personalità giuridica.
In relazione agli introiti, il criterio generale di determinazione stabilisce di delimitare gli
introiti fiscalmente irrilevanti ed applicare l’imposta a quelli imponibili, distinguendo le
entrate da attività commerciali da quelle di impiego di capitale, di godimento di beni
immobili, di attività economiche diverse .
Quanto alla valutazione dei costi, l’orientamento del legislatore prevede che nella
determinazione dell’imponibile delle attività commerciali siano considerati solo i costi
ad esse inerenti.
La determinazione del reddito complessivo avviene dalla sommatoria di ciascuna
categoria reddituale, in maniera simile a quanto avviene per le persone fisiche,
rilevando solo le attività e i proventi che il legislatore considera espressamente e
restando escluso da imposizione tutto ciò che è riferibile alla sfera istituzionale
dell’ente .
Caratteristica per gli enti non commerciali è l’esclusione dall’imponibile dei contributi e
delle donazioni, principale fonte di finanziamento. Le raccolte di fondi effettuate
occasionalmente sono estranee alla nozione di attività commerciale perché non
abituali e quindi non riconducibili alla categoria del reddito di impresa: in assenza di
attività economica manca il presupposto del tributo. Un simile trattamento è riservato
ai contributi pubblici, erogati per lo svolgimento convenzionato
o in regime di
accreditamento a fondazioni che esercitano attività di assistenza sociale.
Inoltre sono escluse dalla formazione dalla reddito le prestazioni di servizi non
rientranti nell’elencazione dell’art.2195, resi in conformità alle finalità istituzionali
dell’ente, senza specifica organizzazione e verso pagamento di corrispettivi che non
eccedono i costi di diretta imputazione.
Dall’importo determinato dalla sommatoria dei vari redditi devono essere sottratti gli
oneri deducibili così ottenendo l’imposta lorda, dalla quale occorrerà sottrarre gli
importi detraibili.
Per le fondazioni non residenti il reddito complessivo, è determinato dai soli redditi
prodotti all’interno del territorio dello stato determinato secondo le disposizioni
relative alle categorie in cui i singoli redditi rientrano.
Iva.
La soggettività passiva ai fini Iva delle fondazioni è prevista dal d.p.r. 633/1972 all’art.
4, che distingue, nell’ambito delle disposizioni dedicate agli enti diversi dalle società,
tra enti che possiedano o no come oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività
commerciali o agricole.
Quindi occorre verificare quale attività viene esercitata in modo esclusivo o principale
dall’ente, distinguendo se si tratta di attività di impresa o no; se l’attività principale è di
impresa la conseguenza sarà l’attrazione di tutte le attività nell‘ambito commerciale,
diversamente saranno assoggettate all’imposta le sole operazioni derivanti da attività
commerciali o agricole.
Qualora l’ente svolga attività commerciali, i cui proventi vengano destinati alle finalità
istituzionali, dette attività non sarebbero considerate come principali e pertanto non
verranno considerate come non aventi un diretto collegamento con gli scopi essenziali
dell’ente.
Il presupposto oggettivo della disciplina Iva, è il manifestarsi di cessioni di beni e la
prestazione di servizi effettuate nel territorio dello stato, nell’esercizio di imprese o
nell’esercizio di arti o professioni, oltre che nel caso di importazioni da chiunque
effettuate.
Le cessioni di beni che rilevano ai fini Iva, sono tutte quelle operazioni che
giuridicamente comportano il trasferimento del diritto di proprietà o di altro diritto
reale di godimento , a condizione che avvenga a titolo oneroso e che si tratti di beni.
Nel caso di prestazioni di servizi, l’imposizione grava su tutte le prestazioni
corrispettive ma l’obbligo impositivo non sorge ove manchi il corrispettivo della
prestazione o ove le parti coinvolte nello scambio delle prestazioni non siano mosse da
motivazioni di ordine economico.
Cessioni di beni e prestazioni di servizi per rilevare ai fini Iva devono essere effettuate
nell’esercizio di impresa o nell’esercizio di arti e professioni, quindi ci si riferisce al
requisito dell’economicità della gestione.
Irap.
L’imposta regionale sulle attività produttive è una imposta reale diretta, in vigore dal
primo gennaio 1998.
Il decreto Irap prevede che l’attività esercitata dalle società o dagli enti costituisce in
ogni caso presupposto di imposta .
I soggetti passivi di Irap sono gli imprenditori individuali, le società, gli enti commerciali
e non commerciali , gli esercenti arti e professioni .
Il presupposto è l’esercizio abituale di una attività diretta alla produzione e allo
scambio di beni e servizi.
La regola generale prevista per gli enti non commerciali determina la base imponibile
in un importo pari alle retribuzioni spettanti al personale dipendente.
La peculiarità consiste nella tassazione dei redditi non in capo al percettore, dopo
essere avvenuta la percezione, ma nella fase antecedente della loro formazione, nei
confronti degli esercenti un’attività di produzione e scambio di beni e servizi;
rappresenta quindi una voce di costo per i l soggetto che eroga i compensi.
Ai fini della determinazione della base imponibile degli enti non commerciali è
necessaria una distinzione in funzione dell’attività esercitata, evidenziando se l’ente
svolga o meno attività commerciale in via esclusiva.
Un primo metodo, quello retributivo, è riservato a tutti gli enti privati non commerciali
che svolgono esclusivamente attività non commerciale . La base imponibile è costituita
dall’ammontare delle somme corrisposte per prestazioni di lavoro dipendente di
qualunque tipo, ai sensi dell’ art. 67 c .1 lett c. bis, qualsiasi altro emolumento erogato
dagli enti non commerciali quindi sfugge alla formazione del valore della produzione
netta. Nell’ipotesi in cui un ente commerciale svolga, accanto all’attività istituzionale,
anche un’attività commerciale, la base imponibile Irap è calcolata con il metodo misto
ed è costituita dalla somma di due distinte basi imponibili: relativamente all’attività
istituzionale esercitata, riferendosi al metodo retributivo di cui sopra, mentre per
l’attività commerciale si considera il valore della produzione netta, i cui criteri di
determinazione sono fissati dallo stesso decreto Irap. Il valore della produzione netta è
ricavato dal conto economico, ed è dato dalla differenza fra il valore della produzione
e la somma dei costi della produzione, con esclusione delle perdite su crediti e dei costi
per il personale dipendente.
Imposta di registro.
Per l’applicazione dell’imposta di registro non ci sono particolari previsioni, pertanto
valgono le regole generali comuni agli altri enti non commerciali.
Quando l’atto è soggetto ad Iva, quindi nel caso di atti pubblici, l’imposta di registro è
applicata in misura fissa, mentre le scritture private non autenticate sono soggette a
registrazione solo in caso in cui le disposizioni in esse contemplate sono relative ad
operazioni soggette ad Iva.
L’atto costitutivo e lo statuto sono soggetti all’’imposta di registro solo se vengono
redatti nella forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata, quindi
sempre per quanto riguarda le fondazioni.
Ici.
Le fondazioni che siano titolari di diritti di proprietà , usufrutto , uso o abitazione su
immobili situati nel territorio dello stato, risultano tra i soggetti passivi dell’imposta
comunale sugli immobili. La base imponibile è costituita dal valore degli immobili
determinato secondo modalità particolari. La disciplina relativa all’Ici prevede una
particolare norma di esenzione per gli immobili utilizzati dagli enti non commerciali
destinati esclusivamente delle attività assistenziali, sanitarie, didattiche, culturali, di
culto ed altre.
Le fondazioni pertanto risulteranno soggetto passivo Ici solo per gli immobili con
diversa destinazione rispetto a quelle istituzionali.
Capitolo terzo
L’INVESTIMENTO IMMOBILIARE COME STRUMENTO DELLE FONDAZIONI
PREMESSA.
Il mercato immobiliare.
Il mercato immobiliare si compone di due principali segmenti: il mercato delle locazioni
e quello dei diritti di proprietà, cui si deve aggiungere il terzo segmento rappresentato
dal settore delle costruzioni. Il sistema immobiliare invece, comprende anche tutte le
attività accessorie quali la gestione, la mediazione e la consulenza immobiliare,
elementi che comunque incidono sulla scelta dell’investitore, al pari del trattamento
tributario.
Il mercato delle locazioni è quello avente come oggetto di scambio il diritto di
godimento di un bene immobile, rappresentato da terreni o superfici edificate. In
questo senso ogni unità immobiliare può essere considerata come una elementare
forma di impresa di proprietà diretta.
Il mercato delle proprietà è il circuito di scambio in cui vengono negoziati i diritti
all’attribuzione dei flussi di cassa generati dall’attività immobiliare. Nel caso di
investimento diretto il diritto di percezione dei flussi di cassa derivanti dal godimento
dell’immobile spetta a favore della persona fisica indicata nell’atto di compravendita.
Nell’ ipotesi di possesso finanziario l’investimento si realizza attraverso l’acquisizione di
titoli azionari di un veicolo societario mentre la titolarità del diritto di proprietà dell’
immobile è attribuito al veicolo societario .
Le peculiarità del mercato immobiliare, rispetto agli altri settori merceologici, è
rappresentata dal fatto che gli immobili rappresentano un comparto a se stante ed
avente natura reale, suscettibile inoltre di diversificazione infrasettoriale: oggetto
dell’investimento è un attività o un diritto reale che possono formare oggetto di
autonoma valutazione e sono fonte di flusso reddituale direttamente conseguente alla
proprietà del bene, a prescindere dall’ inserimento del bene in un insieme economico
organizzato.
Quindi la natura reale del bene e le sue caratteristiche settoriali permettono, si vedrà,
di utilizzare l’investimento immobiliare sia come strumento di gestione del patrimonio
sia come bene per lo svolgimento di attività reali.
Le fondazioni in rapporto al mercato immobiliare.
Si è visto che la definizione originaria di fondazione si è evoluta grazie al diverso ruolo
ricoperto dall’amministrazione rispetto al passato in relazione alla gestione del
patrimonio.
Alle fondazioni è posto l’obbiettivo dell’utilità sociale da maturare attraverso lo
sfruttamento del patrimonio ed operando in settori definiti, per quanto riguarda le
fondazioni bancarie dallo statuto ma nell’ambito dei settori ammessi indicati dalla
legge, e per le altre dallo scopo stabilito dal fondatore; questi sono i termini del campo
di azione delle fondazioni che sono chiamate ad aziendalizzare la loro attività: ciò per
espressa disposizione legislativa del decreto legge n.153/1999 in relazione alle
fondazioni bancarie e per le altre indirettamente per evitare l’estinzione dovuta
all’eccessivo depauperamento del patrimonio o per perseguire in modo più efficiente
gli scopi, nei casi in cui decidano di intervenire investendo il loro patrimonio. Non vi è
più dubbio quindi che le fondazioni, ancorchè non siano un impresa orientata al
profitto, siano viceversa un azienda alla ricerca di tutte le caratteristiche di efficienza
interna tipiche del mondo produttivo. Questo aspetto emerge maggiormente, tra tutte
le varie tipologie di fondazioni, nelle fondazioni bancarie che si presentano come un
soggetto costituito da un azienda di produzione (analoga ad una società finanziaria di
investimento) ed una azienda di erogazione (come lo sono gli enti pubblici).
L’intervento della fondazione può avvenire nei settori prescelti secondo almeno due
percorsi decisionali:
-utilizzando il proprio patrimonio e quindi effettuando un investimento di capitale.
-utilizzando le rendite del patrimonio stesso indirizzandole verso un sistema erogativo.
Rispetto quindi agli obbiettivi della fondazione, che consistono nella gestione del
patrimonio da una parte e nel perseguimento dei fini istituzionali dall’altra , si pone
allora la questione di quale modalità sia più efficiente al raggiungimento degli
obbiettivi: se l’investimento, l’erogazione od entrambe.
Ad un estremo c’è l’investimento immobiliare di una parte di patrimonio, inteso come
una delle scelte di gestione patrimoniale tesa a equilibrare rischio e rendimento.
In questo caso l’obbiettivo della fondazione è quello di ottenere dal patrimonio
investito in immobili, un rendimento di mercato che contribuisca a generare risorse
disponibili per le erogazioni o per altri interventi. Secondo questo modello la gestione
del patrimonio e il perseguimento della missione istituzionale, attraverso l’erogazione
di contributi, vengono condotti separatamente.
In altre ipotesi invece l’investimento immobiliare si sposa con il perseguimento dei fini
istituzionali quindi la gestione del patrimonio manca o è in secondo piano: come
avviene, ad esempio, nel caso in cui la fondazione effettui interventi di housing sociale.
Quindi a seconda dell’obbiettivo della fondazione lo strumento dell’investimento si
presta a funzioni diverse.
L’INVESTIMENTO IMMOBILIARE COME STRUMENTO PER LA GESTIONE PATRIMONIALE
Real estate e la diversificazione del rischio.
La scelta di allocare risorse nel real estate, ossia nel comparto immobiliare, esprime
una decisione di investimento che impone logiche di scelta che considerano il profilo di
rischio – rendimento, anche in considerazione del grado di correlazione tra diverse
asset class,
quali ad esempio azioni e obbligazioni. Le ragioni che giustificano
l’investimento immobiliare sono in questo senso rappresentate dalla diversificazione,
ossia da quella condizione che permette di disporre di un portafoglio di investimento
che è composto da elementi che scontano l’influenza di fattori economici eterogenei.
L’inserimento di attività immobiliari ha senso dal punto di vista di un investitore
razionale (ossia dal punto di vista di un soggetto che tra due investimenti che offrono
lo stesso rendimento atteso ma sono caratterizzati da una diversa distribuzione di
probabilità dei risultati sceglierà l’attività che presenta il minor rischio di ottenere
risultati diversi da quelli attesi) se a parità di rischio sostenuto migliora il rendimento
atteso del proprio portafoglio o se la diversificazione in immobili abbassi il grado di
rischio a parità di condizioni di rendimento. Nel caso delle fondazioni, nella valutazione
del rendimento atteso, la funzione di pubblica utilità incide in misura diversa a
seconda che l’obbiettivo dell’investimento sia esclusivamente la gestione patrimoniale
o anche la missione istituzionale.
Le fondazioni, anche se non sono orientate al profitto, sono considerabili come un
azienda alla ricerca dell’ efficienza quindi in parte ragionano in termini di rischiorendimento, ed una adeguata politica di diversificazione patrimoniale permette di
ottenere i suddetti obbiettivi ricercati da un comune investitore: accettare determinati
rendimenti affrontando un livello di rischio minore oppure aumentare i rendimenti
attesi accettando il medesimo livello di rischio che caratterizza il portafoglio base non
diversificato.
Il legislatore, per quanto riguarda le fondazioni bancarie, ha disciplinato
espressamente questo aspetto; i punti che riguardano la diversificazione del
patrimonio stabiliscono che :
-le fondazioni diversificano il rischio di investimento del patrimonio e lo impiegano in
modo da ottenere una adeguata redditività, assicurando il collegamento funzionale
con le loro finalità istituzionali e in particolare con lo sviluppo del territorio;
-al medesimo fine possono mantenere o acquisire partecipazioni non di controllo in
società, ed anche diverse da quelle aventi per oggetto esclusivo l’esercizio di imprese
strumentali;
-le fondazioni possono investire una quota non superiore al 10% del proprio
patrimonio in beni immobili diversi da quelli strumentali, ossia immobili che non
hanno collegamenti con la funzione istituzionale della fondazione, come invece lo ha
ad esempio la sede (possono altresì investire parte del loro patrimonio in beni che non
producono adeguata redditività, qualora si tratti di beni, mobili o immobili , di
interesse storico o artistico con stabile destinazione pubblica o di beni immobili adibiti
a sede della fondazione o allo svolgimento della sua attività istituzionale o di quella
delle imprese strumentali).
In particolare l’art.5 del decreto legge sulle fondazioni bancarie n.153/1999 stabilisce
che:
-il patrimonio è vincolato al perseguimento degli scopi statutari ed è gestito secondo
principi di trasparenza e moralità;
-nella gestione patrimoniale si devono osservare criteri prudenziali di rischio in modo
tale da conservarne il valore e ottenerne una redditività adeguata;
-la gestione del patrimonio è svolta con modalità idonee ad assicurare la separazione
dalle altre attività della fondazione;
-il patrimonio è incrementato dalla riserva obbligatoria e da altri eventuali
accantonamenti.
La legge n.212/2003 inoltre, offrendo la menzionata possibilità alle fondazioni di
investire una quota non superiore al 10% in immobili non strumentali, in sostanza ha
dato pieno compimento operativo alla volontà del legislatore in tema di
diversificazione, possibilità che prima era esclusa per le fondazioni bancarie dall’art. 12
c.4 del decreto legge 153/199 il quale stabiliva che, se una fondazione bancaria fosse
stata titolare di diritti reali su beni immobili diversi da quelli strumentali , avrebbe
perso la natura di ente non commerciale e quindi l’agevolazione di cui all’art 6 del
d.p.r. 601/73, che prevede la riduzione del 50% dell’imposta sul reddito delle persone
giuridiche (in sostanza si limitava la politica di diversificazione all’investimento in
immobili strumentali); per le fondazioni ordinarie invece quanto alla possibilità di
diversificazione si doveva e si deve fare riferimento, per la qualificazione dell’ ente
come commerciale o non commerciale, al principio di strumentalità delle attività
economiche rispetto a quelle istituzionali: se dall’applicazione di tale principio l’ente
risulta non commerciale avrà diritto alla riduzione del 50% dell’imposta sul reddito
delle persone giuridiche.
Quindi i benefici dell’investimento immobiliare, nella gestione di un patrimonio, sono
determinati dal fatto che gli immobili hanno caratteristiche che danno luogo ad una
bassa correlazione con le altre classi di attività. La diversificazione in varie asset class
infatti è utile se i rendimenti attesi delle stesse non sono influenzati da identici fattori
di rischio: l’opportunità dell’investimento nel comparto immobiliare è rappresentata
dal fatto che i rischi sistematici riconducibili alle attività immobiliari, come l’inflazione,
sono contenuti rispetto alle altre componenti di una asset allocation, per le quali
invece i parametri di rendimento, di volatività e di correlazione non sono costanti nel
tempo;
per gli immobili invece prevale il rischio idiosincratico rispetto a quello
sistematico, ossia quel rischio riconducibile ai fattori locali e specifici del singolo
mercato immobiliare; per questo motivo per un investitore che agisce nel mercato
immobiliare è importante intervenire in un territorio di riferimento .
Nel valutare l’opportunità di investire nel comparto immobiliare si deve quindi
applicare la “teoria di portafoglio” , formalizzando le correlazioni che intercorrono tra
le diverse classi di attività che compongono l’universo di investimento, individuando
per ogni possibile livello di rischio la combinazione ottimale di attività che consente di
massimizzare il rendimento atteso stabilendo la c.d. frontiera efficiente.
In funzione della componente di rischio individuale la teoria di portafoglio quantifica le
decisioni di investimento, identifica la combinazione ottimale di attività che soddisfano
le condizioni di rischio e rendimento desiderate.
Di conseguenza l’applicazione della teoria di portafoglio richiede di conoscere il
rendimento atteso delle diverse classi, osservandone le serie storiche passate e
stimandone la replicabilità futura, osservando la volatività dei rendimenti e la
covarianza del rendimento (ossia grado di correlazione delle diverse attività
considerate come oggetto di investimento) e considerando la frontiera efficiente (ossia
l’insieme di portafogli che massimizzano il rendimento atteso per ogni livello di
rischio).
Forma finanziaria o proprietaria.
La caratteristica di essere negoziabile sia in forma diretta che finanziaria genera due
segmenti: il mercato delle proprietà detenute in via diretta e il mercato di titoli di
società immobiliari. Nel caso di possesso diretto il controllo dell’investimento è
direttamente in capo all’investitore finale. Il possesso finanziario invece, assicura il
controllo degli asset in via indiretta, tramite i diritti che derivano dalla quota o
dall’azione.
La questione della scelta della modalità dell’investimento diretto o finanziario si pone
dopo aver considerato l’opportunità dell’investimento immobiliare; l’investitore dovrà
considerare le modalità dell’investimento che variano a seconda delle possibilità
economiche.
La modalità diretta, real estate property market, tendenzialmente è riservata ai grandi
operatori ed esclusa ai piccoli che potranno orientarsi verso la forma finanziaria, real
estate equity market, che supera i limiti delle eccessive risorse necessarie per effetto
della divisibilità degli strumenti mobiliari emessi da veicoli societari specializzati nel
real estate.
Nella scelta della modalità allocativa, vanno considerate anche le preferenze di rischio,
rendimento, durata e liquidità; ad esempio investitori istituzionali, come le fondazioni,
che operano su medio lungo termine ed hanno flussi di cassa in eccesso potrebbero
privilegiare investimenti immobiliari diretti, in quanto possono agevolmente
sopportare il rischio di liquidità connesso, richiedendo un premio maggiore di
investimento, mentre investitori al dettaglio, che abbiano necessita di dismettere
rapidamente le attività immobiliari, si orientano verso forme finanziarie che assicurano
una più facile liquidità, anche se si espongono ad una volatilità maggiore dei prezzi
dell’attività.
I vantaggi della forma finanziaria sono quindi costituiti dall’abbattimento del vincolo
dimensionale: mentre la proprietà diretta impone necessariamente un investimento
unitario data la tendenziale indivisibilità del bene, la cartolarizzazione della proprietà
consente di frazionare l’investimento.
La proprietà diretta consente un diversificazione di portafoglio anche
a livello
infrasettoriale, nel caso in cui l’investitore volesse usufruire dei benefici della
diversificazione all’interno dello stesso comparto immobiliare, ma solo in presenza di
grandi ricchezze che permettono di investire in immobili diversi per tipologia, area
economico-geografica e dimensione; invece la partecipazione ad un organismo
finanziario può consentire di acquistare pro quota un portafoglio immobiliare già
ampliamente diversificato a livello settoriale e geografico, anche se come già detto,
esposto ad una volatività maggiore.
Quindi la fondazione che vuole esclusivamente adempiere al dettato normativo del
decreto legge n.153/1999, o che vuole perseguire esclusivamente obbiettivi di
gestione del patrimonio, potrà anche optare per la forma finanziaria, ma nel caso in cui
volesse usufruire della diversificazione e nel contempo adempiere la sua missione
istituzionale opterà per l’investimento diretto.
L’INVESTIMENTO IMMOBILIARE COME STRUMENTO PER L’SSOLVIMENTO DELLA
MISSIONE ISTITUZIONALE
Gli interventi delle fondazioni nel mercato immobiliare: diretti, in partnership, tramite
contributi e erogazioni.
L’operazione delle fondazioni nel mercato immobiliare può avvenire almeno secondo
tre modalità di intervento.
Attraverso gli interventi diretti le fondazioni possono gestire autonomamente gli
aspetti operativi connessi alle erogazioni senza ricorrere a soggetti o istituti terzi. In
generale
i progetti così sostenuti possono essere originali considerato che non
esistono altri soggetti in grado di fornire il prodotto o il servizio desiderato. In altri casi,
anche se il mercato è in grado di offrirlo, la qualità dello stesso può indurre la
fondazione ad agire direttamente per la produzione del bene o per l’erogazione del
servizio ipotizzato. In altri casi ancora la fondazione può avere la possibilità di
organizzare il processo produttivo in modo tale da conseguire economie di scala e di
scopo che permettono di raggiungere gli obbiettivi prefissati a fronte di un minore
impiego di risorse. Infine, la realizzazione diretta può garantire alla singola fondazione
un maggior controllo sull’efficacia e sull’efficienza del prodotto o del servizio offerto.
Con gli interventi in partnership le fondazioni possono conseguire i propri obbiettivi
attraverso la collaborazione con enti o istituti caratterizzati da elevata capacità
professionale, che operano nel segmento desiderato e forniscono il prodotto o servizio
richiesto. In questo caso la singola fondazione dopo aver selezionato i partner di
riferimento può specificare le linee di intervento, concordare il piano di azione e le
risorse necessarie, definire obbiettivi performance e controlli di qualità. Un’ulteriore
peculiarità dell’intervento in partnership delle fondazioni sta nel fatto che, pur agendo
esse nell’ambito di un autonomia statutaria, sono a volte ideate
progettate e
realizzate nell’ambito di percorsi parternariali con il comune e con gli altri attori
pubblici come ad esempio le università; le loro sono quindi iniziative molto legate ai
territori che concorrono a realizzare traiettorie di sviluppo locale condivise da una
pluralità di soggetti.
Le fondazioni utilizzano, infine, le modalità operative contributi e donazioni per
conseguire i propri obbiettivi statutari attraverso l’attività di grant making, ossia
attraverso l’esecuzione di un segmento di politica erogativa caratterizzata dalla
concessione di un numero elevato di finanziamenti di diversa entità. Tale modalità è
solitamente caratterizzata da una procedura di evidenza pubblica in grado di garantire
un elevato livello di trasparenza per quanto riguarda i criteri di selezione delle iniziative
ritenute più meritevoli.
Le fondazioni inoltre possono avviare una rete di soggetti giuridici in grado di operare
autonomamente, pur sviluppando sinergie congiunte. Tale strategia, si è visto, può
essere perseguita sia mediante la costituzione di nuovi enti o la coordinazione dei
diversi enti ad opera della fondazione holding, sia attraverso l’acquisizione di
partecipazioni in società operanti in settori strategici per lo sviluppo del territorio. In
questi casi rispetto alla fondazione holding
o partecipante, tali soggetti sono
caratterizzati da una missione specifica e dettagliata che non viene perseguita in via
mediata.
Anche in questo caso, rispetto agli obbiettivi e agli strumenti, si pone la questione di
quale modalità sia più efficiente al raggiungimento degli obbiettivi:
l’ investimento patrimoniale in società enti strumentali può essere coerente con la
scelta di interventi caratterizzati da un orizzonte temporale di medio lungo termine,
mentre il ricorso all’ azienda di erogazione alimentata dal patrimonio meglio nel breve.
La riqualificazione territoriale.
Il mercato immobiliare si compone di due principali segmenti: il mercato delle locazioni
e quello dei diritti di proprietà, cui si deve aggiungere il terzo segmento rappresentato
dal settore delle costruzioni che se pianificate ed inserite in una ottica di sviluppo del
territorio si ergono a riqualificazione urbana.
Nell’azione dei governi locali la priorità riconosciuta alla riqualificazione urbana
interagisce con altre priorità. Le amministrazioni comunali fanno riferimento, per la
riqualificazione della città, al piano regolatore che è un documento della stessa
amministrazione che incide sul regime immobiliare, disciplinando gli interventi fisici
riguardanti la città. Al piano regolatore comunque si affiancano il piano strategico, che
è formato dall’insieme delle azioni materiali ed immateriali che l’amministrazione
comunale e gli altri portatori di interessi concordano di mettere in atto per realizzare
una comune idea di città, e altri strumenti integrati, procedure partecipative e
concertative, che mettono insieme risorse sia pubbliche che private, in cui diversi
soggetti si fanno portatori di interessi che possono anche contrastare.
Inoltre la riqualificazione urbana, oltre ad interagire con gli interessi dei partecipanti ai
vari progetti, interagisce con altre priorità settoriali, quali la promozione di funzioni di
sviluppo o le problematiche inerenti il traffico e l’accessibilità e l’ emergenza abitativa.
Quindi le sole iniziative dell’ amministrazione comunale non bastano per affrontare i
problemi della trasformazione urbana, e per ovviare a questi problemi si cerca di
aggregare diversi soggetti portatori di interessi specifici.
In un tale contesto, le fondazioni possono considerarsi uno dei nuovi attori che
agiscono sulla scena urbana, dal momento che le loro missioni le pongono in grado di
recare un apporto non generico ma connesso ai loro scopi. Anch’esse quindi
partecipano alla definizione e all’attuazione delle politiche di riqualificazione urbana in
un tale contesto multifattoriale e concertativo.
Il maggior numero di iniziative delle fondazioni che incidono sulla riqualificazione
urbana si collocano nei seguenti filoni:
-il restauro e la riqualificazioni di beni di pregio storico o architettonico, ai quali le città
cui appartengono e la comunità attribuiscono un grande valore simbolico;
- l’università e la ricerca scientifica, con investimenti legati allo sviluppo locale;
- la sanità e la salute, per accrescere le dotazioni territoriali ;
-il social housing, nell’ ambito di strategie di sostegno alla formazione universitaria o di
solidarietà sociale ;
-le infrastrutture di rilevanza strategica per lo sviluppo locale.
Le peculiarità degli interventi immobiliari delle fondazioni nella riqualificazione urbana
derivano da diversi fattori:
-i progetti privati negoziati con l’ amministrazione comunale tendono a realizzare beni
pubblici da cui gli immobili privati traggono benefici diretti, producendo quindi
esternalità positive di natura economica e sociale.
- gli interventi delle fondazioni generalmente non producono beni privati puri ma beni
non rivali, beni cioè il cui il cui consumo di un individuo non riduce la possibilità di
consumo di un altro individuo;
-le scelte del governo locale sono condizionate dalla pressante domanda di beni
pubblici per bisogni percepiti come primari (mobilità,istruzione,sport.. ) e gli interventi
delle fondazioni in settori diversi si compensano con quelli delle amministrazioni;
- infine, le condizioni di emergenza in cui versano molti tessuti urbani obbligano a
privilegiare, nelle scelte del governo locale, il breve periodo rispetto alle esigenze delle
future generazioni ed al contrario gli interventi delle fondazioni sono generalmente
proiettate nel medio o lungo periodo e possono accettare rendimenti ridotti, se
ritengono che l’iniziativa abbia particolare rilevanza sociale.
Le fondazioni dunque producono beni pubblici o quasi-pubblici in spazi del mercato
immobiliare urbano che gli interventi realizzati dagli altri soggetti lasciano scoperti,
ritagliandosi il loro ruolo nella riqualificazione urbana, all’interno della c.d. sussidiarietà
orizzontale che spinge la società stessa ad auto organizzarsi.
Sono diverse le modalità di intervento nell’ottica della riqualificazione urbana.
Un modo per intervenire è quello di investire in strutture strategiche per il territorio. In
questo caso le fondazioni riescono a coniugare rendimenti finanziari discreti con il
perseguimento di attività istituzionali: la missione filantropica e sociale non si applica
più solo alla erogazione dei contributi e influenza anche alcune scelte del investimento
del patrimonio.
Un altro possibile approccio nel mercato immobiliare è quello di realizzare investimenti
funzionali a particolari programmi filantropici o sociali. In questo caso il rendimento
atteso dell’investimento può essere anche ridotto, a patto che mantenga nel tempo il
valore del patrimonio della fondazione, e l’interesse per gli interventi immobiliari
nasce dall’attenzione per categorie di persone o servizi che rischiano l’esclusione dal
contesto cittadino per motivi legati alla disponibilità di un alloggio o di spazi adeguati
che il mercato non è in grado di offrire.
Un’ ulteriore modalità di intervento è quella di erogazione di contributi a fondo
perduto; le fondazioni elaborano una propria strategia di erogazione e selezionano i
progetti che senza contributi non potrebbero essere realizzati . Qui non ha senso
parlare di investimenti e rendimenti attesi, in quanto l’erogazione a fondo perduto non
prevede alcuna forma di ritorno economico.
L’housing sociale o settore immobiliare sociale.
Il settore immobiliare sociale ricade soprattutto nelle ultime due modalità di impegno
delle fondazioni nel settore immobiliare.
Si tratta di un area con una gamma piuttosto ampia di possibili interventi, da progetti
sperimentali ad alloggi
destinati a persone che soffrono un disagio quasi
esclusivamente economico.
La riduzione dell‘ intervento pubblico , la liberalizzazione del mercato degli affitti e la
crescita generalizzata dei valori immobiliari, han contribuito ad acuire il bisogno
abitativo dei di categorie che fino a qualche anno fa si sarebbero considerate solide, e
hanno quindi dato la possibilità al fenomeno dell’ housing sociale di estendersi,
soprattutto dopo il 1998, anno in cui è cessato il prelievo forzoso dell’ 1|oo sulla massa
dei salari dei lavoratori destinato a finanziare l’edilizia residenziale pubblica.
Le iniziative immobiliari sociali vengono realizzate anche in questo caso con partner,
anche privati oltre che operatori no profit, e sono previsti rapporti di sussidiarietà con
gli enti pubblici: i comuni reperiscono le aree, la regione e le provincie si occupano del
finanziamento e dell’indirizzo.
La modalità più utilizzata, date le scarse risorse, è quella dell’erogazione a fondo
perduto.
L‘intervento tende a restituire agli utenti condizioni di massima autonomia per non
trasformarli in soggetti perennemente assistiti.
Dal punto di vista finanziario si utilizzano anche strumenti come il fondo comune di
investimento e schemi di abbattimento del costo dei finanziamenti
come
l’allungamento della durata delle operazioni di finanziamento fino a 35 anni.
L’orizzonte temporale delle fondazioni può essere di medio lungo periodo a differenza
della maggioranza degli operatori di mercato e si possono accettare, nel caso in cui
non si effettuino erogazioni a fondo perduto, rendimenti ridotti, dal momento che
incide sulla combinazione ottimale di attività che soddisfano le condizioni di rischio e
rendimento desiderate il fine di pubblica utilità.
Gli aspetti critici sono rappresentati dal fatto che nel parternariato con gli enti pubblici,
complessità e tempi della politica possono creare tensione per lo sviluppo dei progetti.
Un esempio di fondazione impegnata in questo settore è rappresentato dalla
“Fondazione Housing Sociale” che, con altre società di gestione di fondi, ha realizzato
un fondo immobiliare specializzato in edilizia sociale. Gli investitori che hanno aderito
hanno accettato un rendimento particolarmente basso per sostenere l’iniziativa
patrocinata e sostenuta anche dalle regioni e da altre associazioni. Le tipologie di
intervento in cui si impegnerà il fondo sono costituite dalla realizzazione di villaggi
urbani integrati, all’interno dei quali verranno promossi servizi studiati in modo tale da
assicurarne la sostenibilità, e dall’intervento di edilizia residenziale universitaria.
INTERVENTI IMMOBILIARI DELLE FONDAZIONI
Compagnia di San Paolo.
La compagnia di San Paolo si è impegnata dal 1997 ad oggi, con un investimento di
circa 5milioni e 600mila euro, nel recupero architettonico di Palazzo Carignano, aula
del parlamento in cui si fece l’Italia, opera dell’architetto di corte Guarino Guarini . Il
restauro dell’atrio guariniano è stato effettuato in accordo con la sopraintendenza per
il patrimonio storico artistico ed etnoantropologico del Piemonte, la riqualificazione
della facciata ottocentesca è stata promossa dal Ministero per i beni e le attività
culturali, e dalla Consulta per la valorizzazione per i beni artistici e culturali di Torino.
Nel 2004 è stato inserito il progetto di riqualificazione e riallestimento del Museo
Nazionale del Risorgimento Italiano, riconsegnando Palazzo Carignano alla storia
urbana e civile della città, ricollocandolo tra i monumenti più importanti d’Europa.
Fondazione Cassamarca.
La Fondazione Cassamarca si impegna nella tutela e nella valorizzazione del territorio,
attraverso società strumentali delegate a seguire gli interventi di natura immobiliare
sul patrimonio della fondazione e sul patrimonio immobiliare affidato da terzi in
concessione , con gli scopi di uniformità di decisioni nell’attività di ristrutturazione e
l’ottimizzazione dell’organizzazione, dei costi di intervento e della futura
manutenzione.
La tenuta agricola Ca’Tron, di circa 1100 ettari , è stata acquistata da parte della
Fondazione Cassamarca dall’ULSS 9 di Treviso, per dare vita al progetto “Master
Campus”, finalizzato ad offrire percorsi formativi di livello universitario e post
universitario a studenti italiani e stranieri.
Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna.
La Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, contribuisce alla salvaguardia e allo
sviluppo del patrimonio artistico e culturale attraverso la definizione di propri
programmi e progetti di investimento, da realizzare direttamente o con la
collaborazione di altri soggetti pubblici o privati. Le risorse messe a disposizione
annualmente dalla Fondazione sono da questa gestite direttamente, per la
realizzazione di progetti di cui è ideatrice e promotrice, o tramite erogazioni, per il
sostegno e la realizzazione di progetti ed iniziative in collaborazione con enti ed
istituzioni terzi che rilevano esigenze particolari e presentano un piano di intervento
tramite la richiesta di contributi.
Ogni anno da parte della Fondazione è stanziato un milione di euro per la realizzazione
del progetto “bella fuori”, che ha come obbiettivo la riqualificazione della periferia di
Bologna, in collaborazione con il comune di Bologna ed i quartieri.
Fondazione di Venezia.
Il patrimonio complessivo della Fondazione di Venezia distribuisce risorse
prevalentemente nei tre settori di “arte, attività e beni culturali” , “educazione
istruzione e formazione”, “ricerca scientifica e tecnologica”.
La società strumentale Euterpe Venezia s.r.l. è proprietaria di un fabbricato che è stato
adibito , dall’epoca del suo acquisto, a sede della Scuola di Musica della Fondazione
Musicale Santa Cecilia. Si tratta di un palazzetto di tre piani di impianto preottocentesco, con uno scoperto di 270 mq ed una superficie complessiva di 1119 mq ,
nel centro storico di Portoguaro. Il progetto di ristrutturazione e di restauro , con una
operazione di ammodernamento, che si adeguerà anche esteticamente al contiguo
teatro che il Comune di Portoguaro si accinge a costruire , renderà più funzionale
l’attività didattica della Fondazione Musicale Santa Cecilia.
Fondazione Monte dei Paschi di Siena.
La Fondazione Monte dei Paschi di Siena, impiega circa l’80% delle sue risorse, 61
milioni di euro concessi nel 2006, per finanziare progetti propri o per conto terzi,
operando prevalentemente nella regione Toscana, in particolare nel territorio senese.
Sul fronte dell’edilizia abitativa e sociale, la Fondazione nell’arco di un quinquennio si è
impegnata a finanziare nel territorio provinciale circa 1000 unità abitative, da locare
alle fasce economiche più deboli, al canone mensile di 4euro/mq. Inoltre si è occupata
della promozione di una maggiore vivibilità dei centri abitati, la realizzazione di zone
verdi in area urbana e la costruzione o l’ampliamento delle strutture destinate a
parcheggio, con preferenza per soluzioni sostenibili a basso impatto ambientale.
Fondazione Cassa di Risparmio di Tortona.
La Fondazione Cassa di Risparmio di Tortona ha avviato nel 2002 il progetto per
realizzare una residenza sanitaria integrata nel territorio in cui ha sede, destinata a
sopperire alle carenze degli anziani non autosufficienti e dei soggetti colpiti da
patologie invalidanti. La residenza è articolata in quattro corpi di fabbrica per un totale
di 120 posti letto. Si è cercato di superare la tradizionale casa di riposo , cercando di
abbinare i più moderni concetti di edilizia sanitaria con tecnologie costruttive
all’avanguardia.
La gestione della struttura è stata affidata ad un ente no profit, sulla base di una
convenzione che predispone ed attua il piano dei servizi all’utenza che organizza in
funzione degli obbiettivi ricevuti in assegnazione.
Fondazione Pescarabruzzo.
La mission della fondazione è quella di perseguire scopi di utilità sociale a favore della
comunità locale, nella ricerca, la formazione ,l’arte ed i beni culturali ed ambientali ,la
sanità, la promozione dello sviluppo socioeconomico.
Uno dei progetti ideati e portati avanti esclusivamente dalla fondazione è il progetto
“SpazioInformaGiovani”, con l’obbiettivo di creare conoscenza e stimolare la ricerca
di informazioni attraverso un inedito servizio gratuito di pubblica utilità all’interno di
particolari unità dalla Fondazione restaurate. L’avvio del progetto è rappresentato
dalla creazione di postazioni di internet point di fruizione gratuita, motivata dal fatto
che si è rilevata una diffusione della rete internet ad accesso pubblico nell’area
metropolitana di Pescara inferiore rispetto alle altre aree europee. Tale progetto si
propone inoltre di dare vita a nuovi ambiti di sperimentazione aggregativa e di
scambio, realizzando uno spazio finalizzato all’accoglienza e all’ascolto per mezzo di
colloqui individuali di orientamento ed informazione con operatori qualificati. Il
progetto , inaugurato nel 2005, ha registrato una affluenza di circa 200 persone che
hanno utilizzato con una stabile frequenza i servizi dello SpazioInformaGiovani.
Fondazione Varrone.
La Fondazione Varrone, di Rieti, è intervenuta nella ristrutturazione della chiesa di
Santa Scolastica. I lavori di restauro hanno consentito di adibire l’immobile ad
auditorium, gestito direttamente dalla fondazione, allo scopo di ospitare eventi
culturali come concerti, giornate di studio e convegni.
La nuova destinazione d’uso è stata fortemente voluta dalla Fondazione per favorire la
crescita e l’approfondimento culturale del territorio di appartenenza.
Ulteriori interventi della Fondazione nel settore immobiliare sono rappresentati dalle
erogazioni per il finanziamento delle operazioni di recupero di Palazzo Dosi, edificio
storico della città di Rieti.
Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria.
La Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria persegue scopi di pubblica utilità
promuovendo lo sviluppo economico del territorio tramite interventi di conservazione
e valorizzazione dei beni culturali ed ambientali e tramite l’assistenza e la tutela delle
categorie più deboli.
Una delle operazioni con cui la Fondazione è intervenuta nel settore immobiliare è
rappresentata dal progetto di housing sociale con cui la Fondazione, in collaborazione
con società strumentale oikos 2006, ha offerto agli inquilini di determinati
appartamenti l’opportunità di divenire nel lungo termine proprietari delle unità
immobiliari, in quanto il canone di affitto versato dal conduttore non è solo un canone
calmierato ma anche una rata del mutuo senza anticipo che si trasforma dopo ogni
versamento in un “mattone” della futura proprietà.
Fondazione Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde.
La Fondazione Cassa di Risparmio delle Province Lombarde investe il proprio
patrimonio soprattutto in erogazioni filantropiche, dal 1991 ad oggi ha sostenuto circa
20mila progetti con erogazioni complessive di oltre 1.2miliardi di euro a favore di enti
no profit che operano nel territorio lombardo.
L’azione della Fondazione si è focalizzata anche nell’housing sociale, con l’attenzione
per progetti che garantiscono il reinserimento sociale. A ottobre 2006 ha promosso il
progetto “emergenza dimora” con l’obbiettivo di realizzare piccoli spazi di ospitalità in
contesti urbani. L’intervento è stimato in circa 3milioni di euro .
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