Messa esequie don Giovanni Montanari

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Diocesi Piacenza-Bobbio
Servizio Documentazione
Messa esequie don Giovanni Montanari
24 Settembre 2007
Liturgia, letture: Es 1, 1-6; Sal 126 (125); Lc 8, 16-18.
Commento alla prima lettura e al Salmo, ma non al Vangelo.
Presentazione
Don Michele Malinverni
Caro Vescovo Luciano,
La ringrazio a nome della Comunità parrocchiale di Santa Brigida, dei familiari di don Giovanni,
dei sacerdoti e delle tante persone qui presenti di presiedere questa Eucaristia.
Insieme a Lei annunciamo che la Risurrezione di Cristo illumina e trasfigura la morte del nostro don
Giovanni.
Chi lo ha conosciuto e amato, ora ha il cuore ferito. Ci è chiesto di affidare a Dio la vita di don
Giovanni, maestro sapiente, padre buono, amico fedele, prete di carità, capace di parlare al cuore di
tanti con la sua semplicità e dolcezza, con il suo stile interamente plasmato dalla preghiera e dalla
fedeltà al ministero sacerdotale.
Il dolore del distacco è una ferita che diviene, però, solco dove deporre il chicco di grano di questa
Eucarestia. Possiamo fare questo perché don Giovanni ci ha insegnato a fare Eucaristia. Era cosa
bella, vera, buona viverla con lui... la si respirava, la si vedeva, la si gustava... era pane, vino, mani,
parole, sguardi, preghiera, forti della presenza di Cristo Risorto.
E fino alla fine, don Giovanni ha dato testimonianza di essere uomo eucaristico: con la sua pace e
con la sua serenità ha offerto a Dio non il pane e il vino, ma la sua malattia, e ancora una volta ha
reso presente il miracolo della vita vera che vince la morte.
Don Giovanni nei suoi 59 anni di vita sacerdotale ha svolto in particolare due lunghi servizi. Per
circa 20 anni è stato in Seminario Urbano, prima come prefetto dei Teologi e professore e poi come
vice-rettore dal 1962 al 1968. Ha accompagnato tanti bambini e giovani nei loro primi passi verso il
sacerdozio. Molti presbiteri lo ricordano per la prudenza, la moderazione, la bontà...
Credeva tanto nell’amicizia sperimentata, fin da quando entrò in Seminario a 13 anni nel 1936, con
i suoi compagni di studio, di ordinazione, di ministero... un’amicizia fatta di lealtà, di rispetto, di
gratitudine; un’amicizia pacata, ma forte e tenace come la roccia.
Dopo gli studi a Roma, nel 1972, don Giovanni è diventato parroco di Santa Brigida. Una
parrocchia trasformata in una casa, la casa di tutti, in quanto casa di Dio. Tutti erano accolti e
trovavano posto: le sue cinque sorelle, i catechisti, i chierichetti, i giovani, gli adulti, le famiglie.
Tutti da lui ricevevano fiducia e chi si è fidato ha sperimentato che il poco che donava era
trasformato in un tesoro inesauribile da ricevere...
E qui e così è nata la anche la mia vocazione e tanti hanno incontrato il Signore come
riconciliazione e perdono, comunione e Spirito, Amore e Parola, consolazione e pace e sorgente
inesauribile di vita.
Concludo con un ricordo. Una volta don Giovanni mi ha confidato di avere sempre impresso negli
occhi e nel cuore un’immagine... era l’immagine di quando bambino si sedeva a tavola per
mangiare, nella sua casa, con i genitori, le sue nonne, i suoi nove fratelli... Era l’immagine della
gioia di essere con tutta la sua famiglia attorno ad un’unica mensa ringraziando Dio per il bene
ricevuto in quella giornata.
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Penso che lo spirito di don Giovanni non si sia mai allontanato da quella mensa, infatti, diventato
uomo, perso che abbia scoperto che quella era il segno di una mensa ancora più bella e gioiosa,
quella Eucaristica, il banchetto preparato da Dio, per sfamare e dissetare ogni uomo. Mantenendo
sempre nei suoi occhi l’incanto di un bambino felice, don Giovanni ha scelto di vivere ogni cosa
come se stesse sempre intorno alla mensa eucaristica: ha mangiato il pane della vita, ha bevuto il
vino della salvezza, e li ha offerti ai suoi familiari, ai suoi parrocchiani e a tutti quelli che incontrava
e conosceva.
Penso che ora celebrare insieme, per lui l’Eucaristia di Gesù, sia il modo più vero di essere ancora
con lui e per dirgli grazie per il dono che è stato.
La sua morte unita a Cristo possa diventare un vero compimento: non una fine, ma l’inizio
dell’eterno banchetto nel Regno di Dio.
Mons. Luciano Monari, Vescovo
Amministratore Diocesi di Piacenza-Bobbio- Vice presidente CEI
Introduzione
Con questa speranza ci presentiamo davanti al Signore, e celebriamo questa Eucaristia alla presenza
di don Giovanni Montanari, perché il Signore doni a lui la ricompensa per tutto il bene che ha
seminato nella Chiesa piacentina, e doni a noi di sapere prendere qualche cosa del suo esempio e di
sapere vivere con fedeltà e coerenza il cammino di vita che il Signore ci custodisce davanti.
Chiediamo con umiltà anzitutto al Signore di perdonare i nostri peccati, perché possiamo celebrare
l’Eucaristia con un cuore libero e gioioso.
Omelia
-ISperimentare la vita con l’amarezza di essere come in esilio
1. Sperimentiamo nella nostra vita l’amarezza di essere come in esilio lontani da casa
nostra, e il disagio a volte di vivere.
Il Salmo 126 (125) che abbiamo pregato risponde alla prima lettura. Racconta il Libro di Esdra che
nell’anno 538 a.C. Ciro imperatore di Persia emette quel decreto che permette agli Ebrei esuli in
Babilonia di ritornare in patria; erano esuli da cinquant’anni, da quando Nabucodonosor li aveva
deportati nel 586 a.C. Dunque, ritornano in patria e, dice il Salmo, ricominciano a vivere:
«[2]Allora la nostra bocca si aprì al sorriso, la nostra lingua si sciolse in canti di gioia»
(Sal 126, 2).
E in poche righe il Salmo descrive la dinamica della vita di ogni uomo. È un a vita che è fatta di
esilio e di ritorno, che è fatta di lacrime e di gioia, che è fatta del tempo della semina e poi del
tempo del raccolto; queste cose vanno inevitabilmente insieme. Sperimentiamo nella nostra vita
la amarezza di essere come in esilio lontani da casa nostra, e il disagio a volte di vivere.
Sperimentiamo le lacrime e sentiamo la fatica e il rischio del seminare. Vorremmo riuscire a
cancellare le lacrime ma è vano, è inutile; sarebbe come volere raccogliere senza prima avere
seminato.
Ricordate il Vangelo di Giovanni:
«se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore,
produce molto frutto» (Gv 12, 24).
La dinamica della vita è quella: la vita richiede il sacrificio di sé, poco o tanto in un modo o
nell’altro ciascuno ha la sua storia e ciascuno può raccontare il suo cammino, ma questa mescolanza
di lacrime e di gioia è dentro l’esistenza di ogni persona.
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- II Don Giovanni Montanari
1. Don Giovanni non aveva altri interessi, il suo interesse era Santa Brigida; non aveva
altra speranza, la sua speranza era la vita di Santa Brigida.
Salutiamo oggi don Giovanni Montanari, 83 anni e di questi 35 nella parrocchia di Santa Brigida.
È, mi sembra, uno di quei preti che si identificano totalmente con la loro parrocchia. Ne abbiamo
avuti tanti qui a Piacenza, preti che hanno speso la loro esistenza giorno per giorno per la comunità
che è stata a loro affidata, e quella è diventata tutta la loro vita, tutto il loro impegno e tutta la loro
speranza. Per quello che so io don Giovanni non aveva altri interessi, il suo interesse era Santa
Brigida; non aveva altra speranza, la sua speranza era la vita di Santa Brigida, non aveva altre
sicurezze se non l’affetto delle persone che gli stavano vicino. E dicevo, per questo ha speso la sua
vita, perché 35 anni sono la “carriera lavorativa” di una persona nella sua esistenza.
2. In realtà nella vita di persone come don Giovanni quella frase si realizza: «dare la
vita per i fratelli».
Quando san Giovanni nella sua prima Lettera dice:
«[16]Da questo abbiamo conosciuto l’amore: Egli ha dato la sua vita per noi – questo è
l’Amore - quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli» (1 Gv 3, 16).
Dicevo, quando leggiamo quelle frasi ci sentiamo come di fronte a qualche cosa di immenso - «dare
la vita per i fratelli», sacrificare tutto quello che noi siamo. E in realtà nella vita di persone come
don Giovanni quella frase si realizza.
Non dico che debbono essere persone perfette, però senza dubbio sono persone che la loro vita
l’hanno messa al servizio degli altri. E per noi la presenza di persone di questo genere diventa un
aiuto immenso, perché, mi sembra, ci aiutano innanzitutto a credere che Dio c’è e che Dio
interviene dentro la storia del mondo, che non sta per conto suo, ma interviene dentro la vita delle
persone e la cambia.
3. Il segno più bello dell’esistenza di Dio è l’esistenza di persone umane che hanno una
vita trasformata dal loro rapporto con il Signore.
Voglio dire questo. Noi siamo preoccupati di trovare le prove cosmologiche della esistenza di Dio,
il bing beng, quindi quello che c’è stato prima del bing beng, o la legge della crescita
dell’entropia… o tutte queste cose. Ma il segno più bello dell’esistenza di Dio è l’esistenza di
persone umane che hanno una vita trasformata dal loro rapporto con il Signore, persone che
hanno fatto del servizio la ragione della loro vita.
È chiaro, uno può dire: “Sono delle persone illuse, hanno pensato di fare chissà che cosa spendendo
la vita per gli altri!”. Uno può anche dire così, ma credo che normalmente ci venga da dire: “Sono
persone attraverso le quali abbiamo visto la forza dell’Amore e della comunione, della fraternità e
della solidarietà; dentro la fragilità dell’uomo, non sono persone perfette, ma è proprio questo
quello che è bello: ricordare che siamo tutti delle persone fragili e deboli, ma nonostante questo, in
queste persone fragili e deboli si esprime un a forza di Amore stupenda e positiva.
4. Don Giovanni per me è un segno di una vita spesa non per accumulare per sé ma
per dare gioia e speranza e vita e amore agli altri.
Credo che se uno pensa a don Giovanni, e pensa alle sue gioie, a quello che gli ha dato energia e
forza nella vita, trova quello. La sua gioia l’ha trovata nei parrocchiani che venivano a Messa e che
celebravano insieme con lui, nel suo coro a cui voleva bene, nei catechisti a cui voleva benissimo
perché lo aiutavano nella trasmissione della fede, per don Michele Malinverni - per don Michele
stravedeva don Giovanni; queste erano le sue gioie.
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Ma quello che è bello è questo: che le sue gioie non erano delle cose che lui aveva, la sua gioia era
l’esistenza di altre persone, era che altre persone stessero bene, che fossero brave, che avessero
fede, che si volessero bene… questa era la sua gioia.
E credo che questo sia il segreto più bello di una vita. Si può spendere la vita per possedere molte
cose, ma si può spendere la vita per donare gioia a molte persone; sono due modi di impostare la
vita.
Don Giovanni, almeno per quello che lo conosco io, per me è un segno del secondo modo: di
una vita spesa non per accumulare per sé ma per dare gioia e speranza e vita e amore agli
altri.
5. Don Giovanni gli ultimi giorni della sua vita sono stati giorni sereni, non la fine della
vita ma il compimento, come se avesse davvero dato tutto.
Qualcuno ha detto che, quando nella vita si fa carriera, l’inizio della carriera è bello, perché tutti
battono le mani e dicono: ma che bravo, ma che forte, ma che potente!”. Ma poi la vita concreta
diventa sempre una vita pesante, perché uno deve difendersi dall’invidia, deve costruire rapporti
con gli altri, ed è un dramma! E alla fine, quando termina il suo cammino, c’è soprattutto
l’amarezza di quello che si è perduto.
E quando invece uno imposta la vita nella dimensione del donare, all’inizio è una sofferenza grande
perché bisogna rinunciare, bisogna rinunciare a dei propri progetti, a dei propri desideri; ma il
cammino è un cammino fecondo, perché una persona vede attorno a sé fiorire la vita degli altri e la
gioia degli altri, e il compimento della vita è speranza serena.
Don Giovanni è così: gli ultimi giorni della sua vita sono stati giorni sereni. Sono stati, quello
che ricordava don Michele nella presentazione, non la fine della vita ma il compimento, come se
avesse davvero dato tutto; non c’era più nient’altro da dare, cera solo da mettere la firma e il
sigillo sulla esperienza passata, sul dono passato; e in questo credo che abbiamo da prendere molto,
da imparare molto.
- III La nostra vita è il tempo della semina
1. Il tempo della semina, è con tutto il rischio della nostra vita, perché quando noi
mettiamo gli altri al centro della nostra vita rischiamo, non siamo sicuri del ritorno,
doniamo senza avere alla fine la garanzia del frutto, del guadagno.
È il tempo della semina quello della nostra vita. E la semina nell’antichità era un rischio grosso,
ma questo non riusciamo a capirlo.
Dovete ricordare innanzitutto che seminando il grano si poteva sperare al massimo in un raccolto
che fosse tre o quattro volte tanto. Mentre il raccolto dei campi di oggi, di 15/20/25 per uno, non se
lo sognavano gli antichi, quindi per gli antichi era un raccolto magro.
Secondo, che quel grano che si gettava nei solchi era il pane quotidiano, perché non avevano da
parte molti magazzini, era come rinunciare a un po’ del pane di oggi nella speranza di avere domani
un pane un pochino più abbondante. Per questo dice il Salmo:
«[5]Chi semina, semina nelle lacrime» (Sal 126, 5).
Perché sta rischiando, perché sta buttando via un po’ del suo sostentamento con l’incertezza che da
quello venga fuori poco o che per un qualche problema di meteorologia o di nemici o di razziatori o
cose di questo genere, alla fine ci perda tutto.
Dicevo, questo è il tempo della semina, con tutto il rischio della nostra vita, perché quando noi
mettiamo gli altri al centro della nostra vita rischiamo, non siamo sicuri del ritorno, doniamo
senza avere alla fine la garanzia del frutto, del guadagno.
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Ma proprio questo è il senso profondo e bello della vita. È il nostro sì alla vita, è il nostro sì a Dio: il
donare, il non trattenere, il non volere tenere tutto per sé; anche la capacità di distaccarsi, appunto di
non volere trattenere.
Don Giovanni ci ha dato in questo un esempio. La sua morte è naturalmente
motivo di sofferenza, ci ricordava don Michele nella presentazione, ma è
anche motivo di speranza. È come se in questa Eucaristia che celebriamo ci
fosse la promessa della immortalità. Noi portiamo all’altare il pane è il
piccolo seme della nostra vita che gettiamo nel solco dell’amore di Dio. C’è
del rischio in questo, lo ricordavo prima, tutti i gesti di generosità e di bontà
che facciamo portano con sé un rischio. Ma siamo convinti che la potenza
del Signore accoglie il piccolo, piccolo, grano della nostra sofferenza e lo
trasforma nella ricchezza della sua vita, nel corpo e nel sangue di Cristo,
quindi lo trasforma in immortalità e in speranza e in gioia.
Ecco che il Signore ci dia questa fede grande, e che la memoria di don
Giovanni ci aiuti a fare anche noi della nostra vita un cammino umile e
semplice, di bontà e di generosità affidato alla fedeltà di Dio.
* Cv. Documento non rivisto dall’autore, ma rilevato come amanuense dal registratore, scritto in forma didattica, con l’aggiunta dei riferimenti
biblici; i titoli formano l’articolo per la comunicazione.
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